A cura di: Giorgio Damiani, Orazio Pazienza, Davide Giannoccaro, Antonluca Romoli. 1. SCHEMI INIZIALI 1.1 Generalità degli stati di aggregazione della materia La materia come siamo abituati a conoscerla ed interpretarla risulta presentarsi in natura secondo tre differenti “stati di aggregazione”, disposizioni particolarmente legate di atomi, da non interpretare come proprietà fisse di una sostanza. Nello specifico essi sono tre: stato solido, stato liquido e stato gassoso, e possono tutti, al variare delle condizioni ambientali, essere perseguiti da moltissime delle sostanze presenti in natura (in primis l’acqua). I materiali allo stato solido risultano possedere forma e volume proprio, e le molecole al loro interno risultano essere reciprocamente legate da forze interne abbastanza intense da pregiudicarne il moto libero nello spazio. Al pari dello stato solido anche i materiali allo stato liquido risultano possedere un proprio volume, ma assumono la forma del recipiente che li contiene, minimizzando la superficie di contatto con il fluido immiscibile con il quale sono a contatto (un banale esempio è un bicchiere pieno d’acqua, a contatto con l’aria). I legami che caratterizzano lo stato liquido sono inoltre meno intensi rispetto allo stato solido permettendo uno scorrimento delle molecole l’una sull’altra. Questi due primi stati di aggregazione, vista la particolare attitudine delle molecole ad agglomerarsi e non disperdersi casualmente, prendono il nome di stati condensati, e possiedono un’attitudine opposta a quello che è il nostro ultimo stato di aggregazione: lo stato gassoso. Nello specifico, i materiali allo stato gassoso risultano non possedere né forma né volume proprio e hanno la particolare attitudine, se liberati in un ambiente, di andare ad occupare tutto lo spazio a loro disposizione, vista l’assenza di legami intercorrenti tra le particelle. 1.1.1 Passaggi di stato Come già accennato in precedenza, ogni sostanza può cambiare stato in relazione alle trasformazioni caratteristiche del sistema termodinamico nel quale viene inserito. In particolare, un passaggio di stato si innesta in relazione ad un assorbimento o ad un rilascio di energia sotto forma di calore. Il passaggio da solido a liquido ad esempio prende il nome di fusione, e avvenendo in condizioni di innalzamento di temperatura, costituisce un processo con assorbimento di energia. Passaggio simmetrico di stato è la solidificazione che avviene a fronte di un rilascio di energia (calore latente) causato dal precedente abbassamento di temperatura. Il passaggio da liquido a gas, poi, prende il nome di evaporazione (assorbe energia) ed il suo processo inverso prende il nome di condensazione. Con il termine sublimazione si fa poi riferimento al passaggio diretto da stato solido a stato gassoso, ed infine con brinamento si indica il passaggio diretto da gas a solido (un interessante esempio di sublimazione è relativo al gas che si libera dall’emissione di ghiaccio secco ad alta pressione, costituito da nient’altro che anidride carbonica allo stato solido). Uno strumento di particolare interesse nello studio dei passaggi di stato è il “diagramma di stato”, una relazione grafico analitica che ci permette di osservare in relazione alla variazione delle condizioni ambientali quello che è il caratteristico stato di aggregazione di una sostanza, e quelle che sono le sue temperature di fusione o evaporazione. Dal diagramma di stato posto di fianco, relativo all’acqua, si osserva come alla pressione atmosferica le temperature caratteristiche dei passaggi di stato risultano proprio essere quelle notevoli, di cento gradi Celsius per l’evaporazione e di zero gradi Celsius per la fusione. 1.2 Struttura della materia Avendo, in via generale, descritto quelle che sono le proprietà distintive dei tre stati di aggregazione, andiamo ora ad osservare più nello specifico quelle che sono le particolari strutture distintive dei materiali in questi stati. 1.2.1 Stato solido e reticolo cristallino La particolare struttura dei materiali solidi, aventi forma e volume propri, dipende, a livello atomico, dall’equilibrio tra le particelle stesse e le forze intense che esercitano gli uni sugli altri. Questo fa sì che un solido possegga una struttura atomica ordinata con atomi collocati in posizioni fisse nello spazio, senza che essi siano liberi di muoversi proprio a causa dei legami (di molteplice tipologia) precedentemente instaurati: una struttura solida si presenta generalmente in tre forme, quali, “cristallina”, ovvero secondo una disposizione ordinata di atomi, “amorfa”, ovvero secondo una distribuzione disordinata di particelle (struttura caratterizzata da minori intervalli di fusione) ed infine “semi-amorfa”. Con il termine cristallo si fa riferimento, allora, ad una struttura ordinata di atomi la cui ripetizione nello spazio provoca la formazione di un reticolo: infatti, osservando un’ipotetica geometria di atomi, osserviamo come essi, schematizzati in forma sferica, vadano ad occupare i vertici di un solido regolare, che potrà assumere forma differente (cubo, prisma, tetraedro, ecc.) in relazione proprio a quella che è la natura particolare del materiale. Tale geometria prende il nome di “cella elementare” e la sua ripetizione e sovrapposizione nello spazio, provoca la formazione del reticolo ristallino. E’ importante sottolineare come queste approssimazioni di natura microscopica, hanno un estrema rilevanza macroscopico, poiché individuare breve in dal punto ci permettono di proprietà del tempo di vista materiale in analisi quali, ad esempio, la densità (mediante il calcolo del FCA, fattore di compattamento atomico, calcolato su di una cella elementare) e la temperatura di fusione, senza necessariamente bisogno di un’analisi empirica. Alcune celle elementari di necessaria menzione per la loro estrema diffusione in natura sono la struttura cubica a corpo centrato (C.C.C.) avente una geometria cubica, completata dall’inserimento di un atomo collocato nel baricentro del cubo; la struttura cubica a facce centrate (C.F.C) avente anch’essa una geometria cubica con inserimento questa volta di sei ulteriori atomi collocati al centro di ogni faccia del cubo, ed infine la struttura esagonale compatta (E.C), caratterizzata da una geometria prismatica a base esagonale, con atomi posti, oltre che sui vertici, al centro delle due facce di base (uno per faccia) e all’interno della struttura, con tre atomi posti internamente alla struttura prismatica a metà dell’altezza complessiva della cella. Le tre strutture differiscono in tutti quelli che sono i parametri utili a valutare le proprietà macroscopiche del materiale, ovvero, il numero di atomi interamente presenti nell’unità (2 per la C.C.C, 4 per la C.F.C, 6 per la E.C) il numero di coordinazione, ovvero il numero con cui ciascun atomo è in contatto, la costante reticolare, ovvero la dimensione uguale in tutte e tre le direzioni per la cella (il lato del cubo per C.C.C e C.F.C, rapporto tra altezza e lato di base nella E.C.) e proprio il fattore di compattamento, prima menzionato, pari al rapporto tra il volume effettivamente occupato dagli atomi nella cella ed il volume della cella. 1.2.1.1 Metodo di Miller Un' altra importante parentesi che risulta necessario aprire nel momento in cui ci si sofferma su quelle che sono le applicazioni pratiche relative allo studio del reticolo cristallino risulta essere legata all'individuazione di posizioni e piani specifici all'interno del reticolo cristallino. In particolare, il metodo utilizzato per l'individuazione delle località specifiche in un cristallo, prende il nome di "metodo di Miller", e adopera un sistema di individuazione dei punti del reticolo mediante una successione di tre numeri interi, ognuno indicante la distanza caratteristica della coordinata del punto in questione con quella che è l'origine del reticolo cristallino stesso: tale distanza sarà misurata impiegando come unità di misura i lati della cella unitaria del cristallo. L'origine, poi, viene individuata arbitrariamente mediante l'individuazione degli assi cristallografici, ovvero un sistema di assi collocato arbitrariamente in uno dei vertici della nostra cella elementare. Proprio da qui si parte per l'individuazione delle direzioni: considerato infatti un vettore passante per l'origine degli assi cristallografici, andiamo a fissare su di esso le coordinate di posizione del vettore nel suo punto conclusivo (frazionandole rispetto alla cella unitaria); andiamo poi a considerare per le 3 l'intero minore, attraverso il semplice calcolo del minimo comune multiplo, e riscriviamo per ognuna delle direzioni cristallografiche, [x;y;z], i rispetivi valori interi [u;v;w]. Un insieme di vettori aventi gli stessi indici di direzione risulta costituire una famiglia di "direzioni equivalenti", indicata con <u;v;w>. Un processo fondamentalmente analogo potrà essere seguito per l'individuazione di un piano: in primis si procede all'individuazione dello stesso, che per ipotesi NON dovrà essere passante per l'origine. A seguito si individuano le intercette del piano stesso con gli assi cristallografici (sempre frazionate rispetto alla cella unitaria) per poi andare ad individuare il reciproco dei valori in questione. A seguito si riducono i valori, per semplicità di scrittura, all'intero minore e si completa la notazione con la scrittura degli indici come (h;k;l) . Anche in questo caso, piani aventi i medesimi indici prendono il nome di famiglie di piani equivalenti, e si identificano come {h;k;l}. 1.2.2 Forme allotropiche e difetti del reticolo cristallino E’ inoltre necessario sottolineare come la struttura cristallina di un materiale solido, e quindi la caratteristica cella elementare, possono variare a fronte di variazioni di temperatura, secondo particolari trasformazioni denominate “trasformazioni allotropiche”: un esempio, è dato dalla struttura cristallina del ferro, il quale presenta tre forme allotropiche, ferro alpha, stabile fino ad una temperatura di 912°, ferro gamma, stabile per un intervallo di temperatura compreso tra i 912° ed i 1394° ed infine il ferro delta, stabile dai 1394° fino a fusione. Proprio le tre forme allotropiche presentano due differenti celle elementari: se il ferro alpha presenta infatti una struttura C.C.C (al pari del ferro delta), il ferro gamma risulterà possedere una struttura C.F.C, influendo sulle proprietà macroscopiche del materiale. Un’ultima menzione relativa alla struttura della materia allo stato solido è relativa ai difetti del reticolo cristallino, utili a permetterci di distinguere il grado di nobiltà di un materiale. Si definisce difetto, ogni forma di disomogeneità o mancanza nel reticolo cristallino, e tanto meno difetti saranno riscontrabili, tanto più nobile sarà il materiale in questione. I difetti possono essere catalogati in puntuali, lineari e superficiali. Ai primi appartengono difetti quali “le vacanze” identificabili come cavità del reticolo in posizioni nelle quali la disposizione avrebbe previsto la presenza di particelle, difetti interstiziali, caratterizzati dalla presenza di atomi, omogenei o eterogenei al reticolo in posizioni nelle quali il reticolo non avrebbe previsto la presenza di atomi, ed infine i difetti sostituzionali, caratterizzati dalla presenza di atomi eterogenei al reticolo in posizioni che sarebbero dovute esser occupate da atomi omogenei al reticolo, e quindi di differente dimensione. All’interno dei difetti lineari rientrano poi, impurezze quali “le dislocazioni a spigolo” o “a vite” caratterizzati rispettivamente dalla presenza in difetto di un semipiano di atomi per la prima e dalla presenza di un semipiano aggiuntivo nel secondo caso, mentre nei difetti superficiali si fa riferimento a quelle impurezze presenti sull’interfaccia tra differenti cristalli, aventi avuto in precedenza direzioni di crescita differenti (nella solidificazione ad esempio) e sulle quali superfici è frequente che si vengano a formare cricche o zone dalle minori prestazioni in termini di proprietà macroscopiche. 1.2.3 Stato liquido Lo stato liquido è stato precedentemente definito come quello stato condensato per il quale il materiale risulta avere volume proprio ma una forma dettata dal recipiente che lo contiene. I materiali di questo tipo risultano caratterizzati da molecole soggette a forze di attrazione elettrostatica reciproca e ad interazioni intermolecolari, responsabili della disposizione per strati sovrapposti, abbastanza forti da non consentire la separazione tra di esse, ma non così intense da bloccare le molecole in punti fissi dello spazio come avveniva per lo stato solido. Le molecole quindi sono in uno stato di continuo movimento reciproco, con scorrimento relativo tra le particelle senza che esse si separino. L’attitudine degli strati di liquido a scorrere gli uni sugli altri viene valutata attraverso la “viscosità”, utile a valutare la resistenza che incontrano i piani a scorrere reciprocamente: essa sarà tanto più bassa tanto più elevati risulteranno essere i valori di temperatura. Analiticamente la viscosità può essere ricavata supponendo di avere una particella di fluido a forma di parallelepipedo, applicando su di essa uno sforzo tangenziale. La relazione che ne risulterà, risulterà essere la relazione caratteristica di tutti i fluidi Newtoniani: dove µ è proprio la viscosità dinamica del liquido. 1.2.3.1 Dimostrazione Consideriamo, come detto, una particella di fluido a forma di parallelepipedo, sottoposta per ipotesi ad uno stato di tensione tangenziale π, applicato sulla faccia superiore della geometria in questione. In un intervallo di tempo βπ‘ la nostra geometria avrà necessariamente subito uno spostamento verso destra come in figura, percorrendo con la propria faccia superiore uno spazio pari a U*βπ‘ (U=velocità [m/s]). Osservando la geometria della regione triangolare formatasi, ora, possiamo mettere in correlazione la distanza percorsa con l'angolo di inclinazione "βπΎ" che si viene a formare rispetto alla verticale: tg(βπΎ)= (U*βt)/d , indicata con d la dimensione verticale della particella. Per infinitesimi intervalli di tempo, sappiamo di poter approssimare la tg di un angolo all'angolo stesso, da cui ricaviamo che βπΎ/βt = U/d. Volendo a questo punto risalire all'accelerazione angolare (π ) derivante dallo sforzo, che sappiamo, dalla meccanica tradizionale, βπΎ essere direttamente proporzionale allo sforzo stesso, osserviamo come π= lim ( βπ‘ )sarà, per βπ‘→0 sostituzione dall'equazione precedente, pari a U/d, e per intervalli di tempo infinitesimi e per distanze infinitesime pari a dU/dy (essendo d diretta lungo y). Sostituendo quest'ultima relazione nell'equazione di diretta proporzionalità di tra lo sforzo tangenziale e l’accelerazione angolare, otteniamo che π=k*π=k*(U/d) = k*(dU/dy), per gli infinitesimi. Isolando ora k, otteniamo che essa è pari a π*(d/U) e costituirà proprio la nostra "viscosità dinamica" C.V.D. Dal punto di vista dimensionale, essa sarà misurabile in [kg/m*s], e proprio da essa possiamo risalire, dividendo per la densità, ad un valore di "viscosità cinematica", dimensionalmente più pratica, misurabile quindi come: "ππ" = π /π" [m^2/s] L’osservazione della viscosità rende altresì evidente quella che è una delle proprietà caratteristiche dei liquidi, ovvero l’elasticità, individuata come l’attitudine di un fluido a deformarsi in seguito a l’azione di uno sforzo tangenziale, senza che riprendano al cessare della sollecitazione la forma originaria. Un’altra proprietà caratteristica dei materiali in questo stato di aggregazione è poi, la quasi totale incomprimibilità, che fa sì che in uno stato di pressione e temperatura costanti essi non possano praticamente essere compressi, secondo un fattore di comprimibilità che varia in funzione della natura del liquido stesso. 1.2.4 Cristalli liquidi e ferrofluidi Un’interessante situazione intermedia tra stato solido e stato liquido, è data dai “cristalli liquidi” ovvero particolari composti di matrice organica, che anziché possedere un passaggio di stato ben delineato tra fase solida e fase liquida risultano stabilizzarsi, in particolari condizioni intermedie, secondo mesofasi (fasi intermedie) che presentano caratteristiche sia dello stato solido che di quello liquido: essi in particolare sono totalmente anisotropi dal punto di vista ottico e termico (ovvero l’applicazione di calore o di radiazioni risulta essere indipendente dalla direzione di applicazione degli stessi) al pari dei solidi ma risultano possedere fluidità e mobilità molecolare al pari dei liquidi. Per quanto concerne la geometria della formazione dei cristalli liquidi, essi sono usualmente costituiti da molecole caratterizzate da una forte asimmetria, aventi una forma allungata caratterizzata da una direzione orientata analoga a quella dei solidi, ma una distribuzione casuale dei centri delle loro molecole, al pari dei fluidi. La loro particolare attitudine a variare poi la propria colorazione in relazione agli squilibri termici, li rendono di grande impiego per quanto concerne l’ingegneria dei sensori termici. Un'altra interessante forma di ibrido liquido-solido, di larghissima applicazione nelle moderne tecnologie elettriche, è relativa ai "ferrofluidi". I ferrofluidi sono composti di particelle ferromagnetiche sospese in un veicolo fluido, molto spesso un solvente organico oppure acqua. I ferrofluidi sono composti da nanoparticelle ferromagnetiche, solitamente magnetite, ematite o qualche altro composto contenente Fe2+ o Fe3+. Le dimensioni delle nano-particelle sono tipicamente nell'ordine dei 10 nm; tali dimensioni sono contenute al punto da far sì che l'agitazione termica le disperda uniformemente all'interno del solvente, e che le particelle contribuiscano alla risposta magnetica complessiva del fluido. I veri ferrofluidi sono stabili. Ciò significa che le particelle solide non si agglomerano o creano fasi separatamente, anche quando immerse in campi magnetici estremamente forti. Comunque, i tensioattivi tendono a spezzarsi con il tempo (pochi anni), e alla fine le nanoparticelle si agglomereranno, separandosi e cessando di contribuire alla risposta magnetica del fluido. I ferrofluidi sono usati comunemente negli altoparlanti e per formare dei sigilli liquidi attorno agli assi di rotazione degli hard disk. Possiedono inoltre caratteristiche di riduzione dell'attrito. Se applicati sulla superficie di un magnete sufficientemente potente, come uno fatto in neodimio, esso può planare su superfici lisce con una resistenza minima. 1.2.5 Stato gassoso Lo stato gassoso, infine, risulta essere, risulta essere uno stato di aggregazione non condensato, caratterizzato da particelle svincolate le une dalle altre, in uno stato di totale indipendenza tra le molecole in questione, le quali sono liberamente disposte a muoversi continuamente in tutto lo spazio a loro disposizione. Proprio questo perpetuo stato di moto risulta compiersi a causa degli urti continui tra le molecole libere in un ipotetico recipiente o tra le molecole stesse e le pareti del recipiente in questione. Questi scontri, provocano un moto per segmenti di retta, con continui cambi di direzione. Proprio a causa dell’assenza di legami intermolecolari, allora, un gas non avrà ne forma ne volume proprio, ma andrà ad occupare tutto lo spazio a propria disposizione. Inoltre l’assenza di interazioni chimiche fa si che, se per i solidi ed i liquidi come vedremo a seguito sarà possibile individuare una corrispondenza diretta tra le proprietà fisiche del materiale in questione ed il legame di interesse, per i gas esiste un comportamento molto uniforme tra le sostanze anche in presenza di una variazione dei parametri fisici che caratterizzano il loro stato iniziale. Per l’analisi dei gas sarà allora necessario provvedere ad uno studio delle variabili di stato del sistema, quali temperatura, pressione, volume e numero di moli, la cui indicazione sarà fondamentale per la caratterizzazione di un gas particolare, piuttosto che per un solido la cui indicazione della massa risultava sufficiente. Proprio a questo scopo nasce la legge dei gas ideali, ovvero una teorizzazione avente la specifica finalità di individuare una relazione tra le grandezze prima indicate, sempre nell’ipotesi di totale assenza di vincoli tra le particelle. La legge afferma in particolare che, indicata con P la pressione, con V il volume occupato dal gas, on T la temperatura, con n il numero di moli e con R una costante detta “costante dei gas ideali” che: PxV=nxRxT Questa legge mostra quelle che sono le attitudini generali di un gas, permettendoci di osservare il suo comportamento a fronte di una compressione (vista la natura dei gas che a differenza dei liquidi sono comprimibili, a causa dell’assenza di vincoli intermolecolari) o a fronte di un innalzamento di temperatura. 1.3 I legami La materia è costituita da atomi. In natura, solo pochi elementi esistono come atomi isolati: è il caso dei gas nobili, elementi dell’ottavo gruppo (VIIIA) della tavola periodica. Tutti gli altri elementi tendono a legarsi formando dei composti. I legami chimici sono delle forze che tengono uniti gli atomi e, il principio di base che spiega la loro formazione è quello della minima energia. Infatti, gli atomi isolati hanno un’energia maggiore (b) rispetto a quando sono legati mediante legame chimico (a). In altre parole, si ha, in generale, che il legame chimico dà luogo ad un sistema più stabile, cioè a minore energia rispetto agli atomi isolati. L’energia coinvolta nella formazione (o nella rottura) di un legame è detta “energia di legame”. Quest’ultima è l’energia necessaria per rompere un dato legame quando la sostanza si trova in fase gassosa, o l’energia liberata quando il legame si forma. I legami chimici che un atomo può formare dipendono dagli elettroni più esterni, cioè dagli elettroni di valenza. Un metodo utile per mettere in evidenza gli elettroni del livello più esterno di un atomo è quello che fa uso dei simboli di Lewis, dal nome del chimico Gilbert N. Lewis che propose di rappresentare gli elettroni valenza con puntini disposti attorno al simbolo dell’atomo. Lewis notò che gli elementi dell’ottavo gruppo (VIIIA), i gas nobili, hanno tutti otto elettroni di valenza (ad eccezione dell’elio, che ne ha solo 2) e sono poco reattivi. Lewis pertanto concluse che la presenza di otto elettroni esterni rappresenta una condizione di particolare stabilità alla quale tendono gli atomi di tutti gli elementi. La configurazione ad otto elettroni di valenza è chiamata “ottetto”. L’elio, invece, ha due elettroni esterni e anche questa configurazione è particolarmente stabile, perché i due elettroni completano il primo livello energetico. Secondo la teoria di Lewis un legame chimico è il risultato di un trasferimento o di una condivisione di elettroni in seguito ai quali i due atomi raggiungono la configurazione elettronica del gas nobile più vicino che, in genere, ha un ottetto completo. Secondo la “regola dell’ottetto” quando un atomo forma un legame, tende o a cedere, o ad acquistare, o a condividere elettroni in modo da raggiungere la configurazione esterna dell’ottetto completo. 1.3.1 Classificazione dei legami Esistono tre tipologie di legame: legame covalente, legame ionico e legame metallico. Per comprendere che tipo di legame tiene uniti due atomi dobbiamo far riferimento all’elettronegatività degli elementi coinvolti. Quest’ultima indica la tendenza di un atomo ad attirare gli elettroni di legame. Avremo che: - Se la differenza di elettronegatività, ΔE, è compresa tra 0 e 0,4 => legame covalente puro (o omopolare); - Se la differenza di elettronegatività, ΔE, è compresa tra 0,4 e 1,7 => legame covalente polare; - Se la differenza di elettronegatività, ΔE, è maggiore di 1,7 => legame ionico. 1.3.2 Elettronegatività Gli atomi manifestano una diversa capacità di attrazione nei confronti degli elettroni coinvolti nei legami chimici. Questa capacità viene descritta da una proprietà chiamata elettronegatività. Il concetto di elettronegatività viene espresso quantitativamente assegnando a ogni elemento un valore numerico. Il metodo più ampiamente utilizzato per determinare l’elettronegatività è stato quello messo a punto dal chimico statunitense Linus Pauling; i valori numerici sono stati ottenuti mettendo in relazione i dati sperimentali relativi all’energia di ionizzazione (l’energia necessaria per strappare un elettrone all’atomo), all’affinità elettronica (l’energia che si ottiene quando un elettrone viene aggiunto a un atomo) e all’energia di legame (l’energia richiesta per rompere un legame). La figura che segue riproduce una parte della tavola periodica in cui i valori di elettronegatività degli elementi sono rappresentati anche sotto forma di istogrammi. Come si vede, l’elettronegatività aumenta in un gruppo dal basso verso l’alto e in un periodo da sinistra verso destra: di conseguenza gli elementi più elettronegativi si trovano nell’angolo in alto a destra mentre quelli meno elettronegativi si trovano dalla parte opposta, nell’angolo in basso a sinistra. Si può notare che l’elettronegatività dei gas nobili non è stata determinata, dato che normalmente questi elementi non formano legami. 1.3.3 Il legame covalente Nel legame covalente due atomi condividono una o più coppie di elettroni di valenza. Il composto che si forma è detto composto molecolare (o covalente). Un legame tra due atomi in cui gli elettroni di legame sono equamente condivisi è detto “Legame covalente puro” o “omopolare”. Ad esempio: Nella molecola del cloro i due atomi mettono in comune una sola coppia di elettroni: si tratta di un “legame semplice”. I due elettroni che tengono uniti gli atomi nella molecola del cloro Cl 2 sono condivisi in egual misura da parte dei due nuclei. Talvolta, per raggiungere l’ottetto è necessario condividere più coppie di elettroni. Il legame covalente è pertanto definito doppio o triplo. Ad esempio: In generale i legami doppi sono più corti e più forti dei legami singoli, e quelli tripli sono più forti di quelli doppi. Il “legame covalente polare” si forma mediante condivisione di elettroni tra atomi la cui differenza di elettronegatività è compresa tra 0,4 e 1,7. In queste molecole gli elettroni di legame non sono equamente condivisi ed esse risultano polari. Ciò significa che gli elettroni di legame sono spostati verso l’atomo più elettronegativo, che acquisisce una parziale carica negativa (δ-), mentre l'altro atomo acquisisce una parziale carica positiva (δ+). Si forma così un dipolo. Un particolare legame covalente è il “legame dativo”. In esso la coppia di elettroni di legame è fornita da uno solo dei due atomi che partecipano al legame. L’atomo che dona gli elettroni si dice donatore, quello che li riceve prende il nome di accettore. Questo legame una volta formatosi non è distinguibile dal normale legame covalente. 1.3.3.1 Caratteristiche dei solidi covalenti (come ad esempio il diamante) I solidi covalenti o reticolari si formano grazie a una rete tridimensionale di legami covalenti fra gli atomi. Il legame covalente, anziché caratterizzare una singola molecola vista come entità microscopica a sé stante, può caratterizzare un intero reticolo cristallino. Proprietà caratteristiche dei solidi covalenti sono: - Elevata durezza; - poco volatili; - temperatura di fusione elevata; - bassissima conducibilità elettrica; - non sono solubili in acqua. 1.3.4 Il legame ionico Il legame ionico è un legame di natura elettrostatica che si forma quando si combinano fra loro gli atomi di elementi aventi, rispettivamente, una bassa energia di ionizzazione ( la minima energia che si deve fornire ad un atomo neutro allo stato gassoso per allontanare da esso l’elettrone del livello energetico più esterno) ed una elevata affinità elettronica (energia che si libera quando un atomo neutro allo stato gassoso acquista un elettrone). Il legame ionico si forma quando la differenza di elettronegatività tra due atomi è molto alta e indicativamente maggiore di 1,7. L’atomo più elettronegativo acquista l’elettrone e diventa uno ione negativo, l’altro, che perde l’elettrone, diviene uno ione positivo. Tra ioni di carica opposta si stabilisce una forza di attrazione elettrostatica che costituisce il legame ionico. Formano legami ionici elementi spiccatamente metallici (quelli che cedono facilmente un elettrone, elettronegatività piccola) uniti a elementi spiccatamente non-metallici (quelli che accettano facilmente un elettrone, elettronegatività elevata). Gli ioni in un composto ionico sono disposti secondo uno schema ben preciso e danno luogo ad un reticolo cristallino. La formula dei composti ionici è definita “unità formula”. Essa indica il rapporto di combinazione tra ioni positivi e negativi ma non rappresenta la molecola di un composto ( che si ha solo nei composti caratterizzati dalla presenza di legami covalenti) perché nei cristalli non si distinguono unità molecolari. Caratteristiche dei composti ionici sono le seguenti: - Sono solidi a temperatura ambiente e nelle normali condizioni di pressione; - Hanno alte temperature di fusione; - Si presentano in forme cristalline regolari e geometricamente ben definite; - Conducono la corrente solo allo stato fuso o in soluzione; - In forma solida non conducono la corrente; - Quasi tutti sono solubili in acqua e in altri solventi polari; - Rispondono alle tensioni in modo fragile a volte rompendosi con piani di sfaldamento. 1.3.5 Il legame metallico Il legame metallico è dovuto all’attrazione tra gli ioni metallici positivi e gli elettroni mobili che li circondano. In un metallo gli atomi perdono i loro elettroni di valenza trasformandosi in cationi (ioni positivi). I cationi si dispongono in modo da impacchettarsi nel miglior modo possibile, creando strutture geometriche ben definite. Gli elettroni di valenza sono delocalizzati su tutto il reticolo, cioè non appartengono più ai singoli atomi ma sono liberi di muoversi tra i vari cationi e, nonostante la mobilità della nube elettronica, la neutralità del sistema è garantita. Le proprietà tipiche dei metalli sono dovute alla libertà di movimento degli elettroni delocalizzati. Esse sono: - solidi a temperatura ambiente; - conducibilità elettrica e del calore; - duttilità; - malleabilità. La conducibilità elettrica, ovvero la capacità di condurre corrente elettrica, e la conducibilità termica, ovvero la capacità di condurre calore, sono da attribuire alla bassa energia di ionizzazione ed alla elevata mobilità degli elettroni di legame. La duttilità, cioè la capacità di lasciarsi forgiare in fili, e la malleabilità, cioè la capacità di lasciarsi forgiare in lamine sottili, sono la conseguenza della flessibilità del legame metallico. Gli elettroni mobili, infatti, consentono ai piani ionici di “scivolare” l’uno sull’altro lasciando inalterate le interazioni di legame tra i cationi e non facendo insorgere forze repulsive. 1.3.6 Forze intermolecolari (o legami secondari) Tali forze sono chiamate intermolecolari per distinguerle dai legami covalenti che agiscono all’interno delle molecole o dai legami ionici che vincolano gli ioni in un cristallo. Le forze intermolecolari sono forze di natura elettrostatica che si manifestano tra molecole elettricamente neutre o tra ioni e molecole polari. Questi legami hanno energia di legame minore rispetto a quella dei legami chimici primari, pertanto sono detti anche “interazioni deboli” e sono importanti per determinare le proprietà fisiche di sostanze allo stato liquido o solido. I legami intermolecolari possono essere classificati in diverse categorie in ragione del tipo di forza che interviene tra esse: - Interazione ione-dipolo; - Forze di Van der Waals (interazione dipolo-dipolo, interazione dipolo permanente-dipolo indotto e Forze di London, ovvero interazione dipolo istantaneo- dipolo indotto); - Legame ad idrogeno. 1.3.6.1 Interazione ione-dipolo L’interazione o legame ione - dipolo è la forza di attrazione elettrostatica che si stabilisce tra uno ione e una molecola polare. Si forma quando un composto ionico o molecolare, in acqua, si dissocia in ioni di carica opposta. Gli ioni positivi orientano e attirano la parziale carica negativa localizzata sull’atomo di ossigeno dell’ H2O, mentre ioni negativi orientano e attirano la parziale carica positiva localizzata sui due atomi di idrogeno, con la conseguenza che ogni ione è circondato da un numero elevato di molecole di H2O (idratazione). 1.3.6.2 Interazione dipolo-dipolo Sono deboli forze attrattive che si esercitano tra molecole polari inorganiche allo stato liquido o solido, oppure tra molecole organiche allo stato liquido. Le molecole polari sono dipoli elettrici che presentano una parziale carica positiva ad una estremità (δ+) ed una parziale carica negativa (δ-) all’altra estremità. Molecole di questo tipo, quando sono molto vicine, si orientano in modo tale da stabilire forze attrattive tra le parziali cariche di segno opposto. Le forze dipolari in un liquido sono più deboli che nello stato solido. 1.3.6.3 Interazione dipolo permanente-dipolo indotto Sono deboli forze attrattive che si esercitano tra molecole polari (H2O) e molecole apolari (I2). La molecola polare induce una separazione di cariche elettriche (polarizzazione) nella molecola apolare (dipolo indotto) permettendo lo stabilirsi di interazioni elettrostatiche. 1.3.6.4 Forze di London (Interazione dipolo istantaneo - dipolo indotto) Sono interazioni elettrostatiche che si stabiliscono tra molecole apolari (H2, N2, F2, CCl4) allo stato liquido o solido. Tali interazioni sono possibili a causa del continuo cambiamento di posizione degli elettroni in una molecola che può dar luogo, in un dato momento, a una densità elettronica asimmetrica, ovvero a un dipolo istantaneo. Questo può determinare per induzione in una molecola adiacente una temporanea polarizzazione (dipolo indotto) permettendo così lo stabilirsi di forze attrattive. 1.3.6.5 Legame ad idrogeno Tale legame si stabilisce quando in una molecola polare è presente l’atomo di idrogeno legato covalentemente ad un atomo dal raggio atomico piccolo e molto elettronegativo (N, O, F). Rispetto a tutti gli altri legami secondari, il legame ad idrogeno è quello caratterizzato da una forza di legame maggiore e determina l’elevato punto di ebollizione delle sostanze che lo presentano (come ad esempio l’acqua).