Famiglie-Laura Fruggeri Introduzione Oggi stanno cambiando i rapporti fra generazioni e quelli tra uomini e donne; inoltre, la famiglia nucleare costituita da coppia eterosessuale e figli non rappresenta più l’unica struttura attraverso cui i legami primari si realizzano. Quando pensiamo alle famiglie, oggi, la nostra concettualizzazione deve andare oltre la famiglia bi-generazionale composta da una coppia unita dal matrimonio e dai figli biologici; deve poter includere anche: • • • • • • Famiglie affidatarie Famiglie adottive che possono essere mutlirazziali o multiculturali Famiglie monoparentali a conduzione materna o paterna Coppie omosessuali con o senza figli Famiglie composte da persone divorziate e rispettivi figli Persone che vivono insieme senza vincoli di parentela, ma connessi da forti legami emotivi e da impegni reciproci Nel corso del Congresso internazionale della psicologia della famiglia, è stato affermato che: “I tempi stanno cambiando, la famiglia sta cambiando e nessuno sa per quanto tempo la Famiglia continuerà ad esistere e in quale forma. Alcuni hanno già sepolto la Famiglia come unità sociale di base. Nonostante ciò, in psicologia, la ricerca sulla famiglia è particolarmente vitale”. Lo scenario delle famiglie, nelle contemporanee società occidentali da una parte si registra un preoccupante aumento di segnali di disgregazione provenienti proprio da quei gruppi che nessuno si rifiuterebbe di definire famiglie; le statistiche ci informano che la maggior parte degli episodi di violenza perpetrata su donne e minori o da figli nei confronti dei propri genitori avvengono in gruppi familiari che corrispondono alla sedimentata immagine della famiglia nucleare ‘’normale’’. Dall’altra parte si constata che gruppi a cui è stata tradizionalmente negata un’identità di famiglia rivendicano con sempre maggiore forza il diritto di autodefinirsi ed essere definiti tale (ad esempio, coppie omosessuali). Di fronte ai segnali di difficoltà che la famiglia nucleare esprime nell’assolvere alle sue funzioni, molti evocano l’estinzione di questa forma familiare a vantaggio di altre alternative; di fronte alla richiesta di riconoscere come legami familiari quelli su cui si fondano nuove forme di convivenza, altri denunciano la perdita del valore della famiglia. Abbandonando ogni apriorismo dogmatico, i segnali che vengono dalla comunità sociale possono essere interpretati in altro modo: quelli provenienti dalla forma familiare nucleare richiamano l’attenzione sulla necessità di non darla per scontata e sollecitano analisi adeguate a rilevare le esigenze dei singoli gruppi familiari; i segnali provenienti da chi invece è coinvolto in forme di convivenza diverse da quella tradizionale esprimono una attribuzione condivisa di valore simbolico a la ‘’famiglia’’ che va al di là di ogni sua realizzazione normativa. Questi dati sono particolarmente interessanti in quanto forniscono indicazioni sulla direzione del cambiamento che la ‘’famiglia’’ sta intraprendendo. Un cambiamento non tanto destinato alla sostituzione della famiglia nucleare tradizionale con forme alternative, ma piuttosto orientato verso la co-esistenza di forme familiari diverse. Di fronte ad un quadro così multiforme e mutevole, gli studiosi si trovano a dover sviluppare nuovi modelli di analisi che siano in grado di rendere conto dei nuovi fenomeni emergenti. Alcuni principi essenziali per lo sviluppo di un discorso psicosociale sulla famiglia sono: • Il primo principio consiste nel riconoscimento della molteplicità delle forma che la famiglia oggi piò assumere. Avere questa visione è un principio metodologico e implica coniugare l’analisi e lo studio delle dinamiche e dei processi familiari con una riflessione sui modelli teorici adottati e sulla loro adeguatezza a rendere conto della diversità di forme che la famiglia può assumere • Il secondo principio è detto della complessità che consiste nel considerare le famiglie come sistemi di relazioni che si originano, si mantengono e/o cambiano attraverso processi la cui natura è al tempo stesso interpersonale e sociale. La gran parte della ricerca psicologica sulla famiglia resta prevalentemente focalizzata sulle dinamiche interpersonali; studia cioè le relazioni familiari a prescindere dalle appartenenze sociali, dai rapporti di potere, dalle condizioni materiali dell’esistenza e dalle ideologie dominanti. L’analisi dei rapporti, dei ruoli e delle dinamiche familiari viene qui condotta rivolgendo una particolare attenzione al contesto sociale in cui le famiglie sono inserite, poiché si parte dal presupposto che per comprendere i modi in cui le persone si relazionano tra loro nella sfera privata, non si possa prescindere dalle caratteristiche della struttura di potere, delle pratiche istituzionali e delle ideologie che regolano i più ampi rapporti sociali. In questo senso l’attenzione viene rivolta alle modulazioni che le dinamiche e i processi intrafamiliari assumono in rapporto a problematiche quali ad esempio quelle legate all’identità di genere, alla condizione di marginalità sociale, all’appartenenza etnica, ai cambiamenti connessi a situazioni di crisi socioeconomica, ma anche agli stereotipi e ai pregiudizi socialmente condivisi. Nel riconoscimento della molteplicità delle forme familiari, coniugato con l’attenzione alla complessità dei processi (individuali, interpersonali e sociali) in cui ogni famiglia è implicata, risiede la possibilità di elaborare strumenti di analisi che siano adeguati a cogliere le articolazioni ricorrenti delle dinamiche e dei processi familiari e contemporaneamente non sacrifichino la singolarità delle famiglie. Cpt.1) Oggetti e punti di vista La famiglia al plurale Il primato cronologico dello studio sistematico della famiglia spetta a storici e antropologi. I contributi forniti dalla ricerca antropologica fin dalla seconda metà del secolo scorso costituiscono degli imprescindibili punti di riferimento per ogni indagine scientifica sulla famiglia. Nel loro insieme questi studi mettono in evidenza l’ampia variabilità delle strutture e funzioni dei gruppi familiari e dunque l’impossibilità di definire la famiglia indipendentemente dal contesto spazio-temporale e quindi culturale in cui essa è inserita. Oggi questo rassicurante schema lineare non è più sufficiente. Le ricerche più recenti documentano che la molteplicità delle forme familiari non è unicamente legata alla variazione delle organizzazioni socio-culturali o alla dimensione storica: all’interno di un contesto sociale coesistono diverse forme di famiglia. Se fino agli anni Sessanta la famiglia nucleare, composta da genitori e figli, ed eventualmente quella estesa, che include anche la generazione precedente, potevano abbastanza agevolmente descrivere la maggior parte delle famiglie presenti nel contesto delle società occidentali, i risultati della ricerca socio-demografica contemporanea documentano che quei due modelli non possono più in nessun caso costituire gli unici riferimenti di analisi. Si parla di famiglie con un solo genitore, famiglie formate da coppie senza figli, famiglie formate da rapporti di parentela non di tipo coniugale, famiglie multiple, famiglie ricostruite o ricomposte (formate da persone divorziate), fino a famiglie unipersonali o solitarie, costituite da un unico componente. È veri che non tutti gli studiosi accettano di includere sotto la categoria ‘’famiglia le forme alternative’’. Alcuni perché le considerano deviazioni da una presunta norma tradizionale: segni del declino della famiglia e quindi forma di vita sociale intrinsecamente patogene. Altri studiosi sostengono che estendere il termine famiglia a forme alternative sia un’operazione confusiva che invece di definire la specificità dell’oggetto di studio porta ad una indebita generalizzazione. L’opportunità di non associare il termine famiglia con forme alternative di convivenza o con reti di relazioni diverse è giustificata da altri studiosi con argomentazioni opposte. Si teme che continuare a parlare di ‘’famiglia’’ possa oscurare la grande diversità di forme attraverso le quali i legami primari sono praticati e realizzati nella società contemporanea. Il termine stesso ‘’famiglia’’ non è un’etichetta neutrale, ma un marcatore ideologico che evoca e costruisce un preciso tipo di relazioni: quello della famiglia nucleare fondata su una divisione del lavoro che comporta l’ineguaglianza nella distribuzione del potere fra i sessi. Istituzioni, leggi e politiche sociali sono costruite, sostiene Gittins (1985), intorno a questa forma familiare stereotipica non perché essa costituisce la norma, ma perché diventi la norma. L’uso del termine ‘’la famiglia’’ per designare tutte le variazioni rispetto a quella tradizionale, si sostiene inoltre, continua a implicare una omogeneità che potrebbe essere rifiutata dalle stesse persone coinvolte nelle forme di relazioni alternative. L’uso incessante del termine la ‘’famiglia’’ ha l’effetto di negare ogni realtà o validità ad altre forme di relazioni vissute. Numerosi sono invece i ricercatori che, interpretando i cambiamenti delle forme familiari come risposte adattive alle trasformazioni sociali e quindi come forme di vita sociale non relegabili all’ambito delle marginalità o della devianza, mantengono il termine famiglia. La maggior parte della più recente letteratura internazionale sulla famiglia riguarda, infatti, le famiglie monoparentali, le famiglie ricomposte e altre forme ancora di convivenza. Nel definire che cosa sia ‘’la famiglia’’, non bisogna introdurre nella definizione scientifica dell’oggetto famiglia le definizione che emergono dalle pratiche sociali rischia di depotenziare la ricerca stessa. L’accettazione delle definizioni emergenti dai processi sociali suggerisce invece cautela nel procedere ad una identificazione dell’oggetto famiglia e stimola ad assumere un linguaggio al plurale. Sostituendo ‘’la famiglia’’ con ‘’le famiglie’’, secondo Berger e Berger (1983), si promuove l’accettazione della diversità e si evita di conferire una superiorità morale ad una specifica forma familiare. Gli studiosi della famiglia non possono che adottare un generalizzato ‘’modello della differenza’’ che si fonda su presupposti di diversità e molteplicità (le specificità familiari sono molteplici) opposti a quelli dell’uniformità e della normalità (c’è una specificità familiare) che si sono mostrati inadeguati a comprendere i cambiamenti contemporanei. Cigoli vede “nell’enfasi portata verso le nuove forme di famiglia” una “nuova retorica del famigliare”. Il richiamo alla diversità delle forme di famiglia presenti nella comunità sociale è in effetti ormai tanto diffuso da assumere il carattere di una moda. Un richiamo che solo raramente si traduce poi in metodologie nuove e diverse di studio delle dinamiche familiari. Spesso esso costituisce una premessa doverosa seguita da discorsi che continuano ad avere come parametro di riferimento la famiglia nucleare. “Nuova retorica del famigliare” è un’espressione pertinente a descrivere questo fenomeno, se ‘’retorica’’ viene intesa come esercizio sul vuoto, confezione linguistica dell’inesistente. Ma “retorica”, nelle scienze sociali, è un termine sempre più usato per riferirsi alla forma dei processi e dei modi della conoscenza. E, da questo punto di vista, la retorica del familiare che si caratterizza per l’attenzione prestata alle forme diverse di famiglia è nuova soltanto in contrapposizione ad una “vecchia retorica”. Quella che ha caratterizzato una ricerca esclusivamente orientata ad analizzare un solo tipo di famiglia, quella nucleare, elevata a norma e a parametro di riferimento, relegando ogni variazione da essa nella patologia. Nessuna ricerca sfugge a qualche tipo di retorica. Il problema riguarda “quale retorica”, se quella che si ispira a criteri di diversità e molteplicità o quella che si ispira a criteri di uniformità o universalità. I contesti della ricerca psicologica sulla famiglia La definizione di famiglia risulta interconnessa con: • • Il più generale contesto scientifico in cui lo studio della famiglia si colloca Lo spirito del tempo, ovvero l’insieme delle norme e dei valori condivisi in un dato periodo Nel 1926 Bruges propone un’analisi della famiglia come unità di persone in interazione reciproca. È soltanto negli ultimi decenni che la famiglia è diventata, per la psicologia, oggetto di analisi nella sua totalità. In precedenza la famiglia era presente nel quadro dell’indagine psicologica soltanto in quanto sfondo, matrice o contesto dello sviluppo individuale che costituiva in realtà il punto focale di un’analisi chiusa fra i poli della prospettiva psicoanalitica e di quella ambientalista. Dal punto di vista psicoanalitico, la famiglia è rilevante solo come istanza immaginaria e non come realtà istituzionale, dal momento che ciò che diventa significativo per l’individuo in fase di sviluppo sono soprattutto i modi e l’intensità di quanto delle relazioni familiari viene interiorizzato. La prospettiva ambientalista, fondata sul presupposto di un bambino modellato e influenzato dal mondo degli adulti, ha ridotto la famiglia al rapporto diadico madre-bambino, secondo il modello lineare causale del genitore che influenza il figlio. La sistematica osservazione delle relazioni dell’unità familiare ha inizio negli anni a cavallo fra i Cinquanta e i Sessanta in cui alcuni studiosi sottoposero a verifica l’ipotesi di una interdipendenza fra lo sviluppo individuale e le dinamiche di relazione interpersonale che prendono corpo nell’ambito della famiglia. Nei decenni successivi ci fu una massima espansione e diffusione. Un contesto scientifico favorevole in seguito alle revisioni delle teorie psicoanalitiche ad opera dei neofrudiani, che propongono una contestualizzazione delle dinamiche intrapsichiche nella società e nella cultura in cui vive l’individuo o grazie all’emergere di nuove discipline quali la cibernetica, la teoria dei sistemi e dell’informazione oltre che in conseguenza del superamento, nell’ambito della psicologia dello sviluppo, del modello causativo-ambientalista contestualmente all’affermarsi di un approccio allo sviluppo individuale fondato sulla reciprocità delle relazioni e delle influenze. Le dinamiche e i processi familiari possono essere studiati a vari livelli: • • • Livello individuale: a partire dal quale ci si interessa soprattutto dei singolo componenti e dei modi con cui essi partecipano alla costruzione dell’unità familiare Livello interpesonale: a partire dal quale si analizzano soprattutto le relazioni fra i componenti Livello sociale: a partire dal quale ci si focalizza sulle relazioni che un gruppo familiare intrattiene nel e con l’ambiente sociale L’analisi dei processi individuali, interpersonali e sociali, inoltre, può essere condotta attraverso la considerazione di queste due dimensioni: • • Strutturale e/o interattiva: ruoli, confini e comportamenti Simbolica: significati, credenze, rappresentazioni Dall’approccio tra dimensioni e livelli emergono i diversi aspetti che, nelle famiglie, possono essere oggetto di analisi. Gli studiosi che fanno riferimento all’approccio sistemico, ad esempio, considerano la famiglia come rete di interazioni, i ricercatori attenti alla funzione dei processi cognitivi nella strutturazione delle esperienze personali e sociali la concepiscono come un sistema emergente dall’interdipendenza di processi simbolici e interattivi. E all’interno dello stesso approccio teorico esistono modi diversi di definire la famiglia. Differenze rilevanti emergono fra chi adotta un punto di vista sincronico, che identifica la famiglia con il sistema interattivo nella dimensione del presente e chiuso dentro precisi confini, e chi invece, adottando un punto di vista diacronico, sottolinea l’importanza della trasmissione multigenerazionale identificando pertanto la famiglia con il sistema di interazioni e di scambi emotivi fra più generazioni. Un’altra importante differenza fra chi considera la famiglia come un insieme di relazioni interpersonali avulse da ogni collocazione storica, sociale e culturale, e quindi la considera come un sistema relativamente autocontenuto e autoregolato, e chi invece ritiene che le relazioni, i ruoli e le dinamiche familiari non possano essere studiate a prescindere dal contesto sociale, in particolare dalla struttura di potere, dai significati e dalle aspettative sociali, in quanto la struttura di potere e le ideologie che regolano le relazioni nella sfera pubblica organizzano i modi di relazione anche nella sfera privata. I ricercatori non possono non avere rappresentazioni della famiglia e “queste rappresentazioni rimandano da un lato a concezioni circa il funzionamento familiare e dall’altro a valenze affettivo-emotive relative alle proprie vicende familiari”. Da uno studio condotto sugli articoli comparsi nelle riviste italiane di psicologia dal 1960 al 1990 su tematiche attinenti la famiglia, emerge una stretta correlazione fra il modo in cui sono concettualizzare le relazioni familiari e le concezioni e i valori prevalentemente condivisi in un dato periodo nella comunità sociale, in riferimento alla posizione della donna nell’organizzazione socio-economica, all’indissolubilità o meno del matrimonio, ai rapporti e alla divisione dei ruoli fra maschi e femmine. Negli anni Settanta i rapporti all’interno della famiglia venivano analizzati sulla base del presupposto che il ruolo della donna si esaurisse nella dedizione ai figli e al marito, che fosse cioè limitato alla sfera del privato. I ricercatori non sono stati in grado di descrivere la posizione di ineguaglianza della donna dentro la famiglia a causa di procedure di indagine viziate da un punto di vista pregiudizialmente e inconsapevolmente a favore del maschio. L’uomo è stato rigidamente collocato nell’arida posizione di rappresentante dell’autorità ed escluso dal gioco delle dinamiche affettive. Fino agli anni Ottanta, l’indagine sulle famiglie è stata prevalentemente informata dal ‘’pregiudizio della famiglia nucleare”, al punto che ogni differenza da essa è stata considerata una deviazione dalla norma anziché una variazione. Un’analisi dei progetti di ricerca aventi per oggetto le famiglie ricomposte mette in evidenza come la maggior parte di essi inizi con un interrogativo negativo che presuppone e va alla ricerca di un qualche deficit. Gli stessi termini (matrigna, patrigno, figliastro) a cui si ricorre per descrivere i componenti delle famiglie ricomposte sono evocativi di negatività. La prospettiva della devianza è quella che ha guidato anche l’indagine sulle famiglie monoparentali. Il linguaggio utilizzato e le etichette più ricorrenti in letteratura: • • • • Madre non sposata Famiglie incomplete Famiglie senza padre Famiglie disgregate Altri pregiudizi illustrati da Gongla sono i seguenti: • • Un primo fa riferimento al fatto che “la fine di un matrimonio sancisce la dissoluzione della famiglia “l’assenza del matrimonio impedisca la costituzione della famiglia”, ovvero un genitore non sposato o separato non può fare famiglia insieme ai propri figli. La maggior parte delle ricerca sulle famiglie monoparentali è stata centrata sugli individui (sui figli, sul genitore) o sulle diadi (genitorefiglio), ma mai sul gruppo Un secondo incentrato su “l’assenza del padre”, in forza del quale il padre morto era considerato alla stessa stregua del padre separato, con la conseguenza che la maggior parte delle ricerche ometteva di indagare i diversi modi in cui il padre poteva essere in rapporto con la famiglia. La sua assenza veniva ritenuta responsabile di ogni difficoltà o anomalia rilevata nei processi di sviluppo dei membri della famiglia La ricerca sulle relazioni familiari è stata profondamente influenzata anche dal pregiudizio etnico. Per parecchio tempo lo studio della famiglie si è identificato con lo studio della famiglia bianca, anche in società tipicamente multietniche come quella del nord-america. Per quanto la letteratura recente dedichi maggior interesse a questo tipo di famiglie, la ricerca è ancora nella maggioranza dei casi orientata in senso etnocentrico. L’invisibilità e i pregiudizi di cui soffrono le famiglie con coppia omosessuale nel contesto sociale sono riscontrabili anche in quello scientifico. Salvo rare eccezioni, inoltre, lo studio delle famiglie di gay o lesbiche è informato da un doppio pregiudizio: • • Quello eterosessuale: secondo il quale queste famiglie sono analizzate per le loro differenze dalla norma o per i loro deficit Quello della omogeneità: in virtù del quale viene sottostimata la vasta gamma di forme che le caratterizza Le necessità pratiche autoriflessive da parte degli studiosi, cioè di considerare la riflessione sui propri tagli metodologici, linguaggi, presupposti epistemologici e ideologici come principio irrinunciabile di metodo nella ricerca sulle famiglie. L’autoriflessività è una pratica generativa; mettendo in luce i limiti inerenti il punto di vista adottato e dunque i confini stessi del campo di osservazione, essa stimola la curiosità verso ciò che il punto di vista adottato non permette di intravedere e si costituisce, così, come una possibilità di apertura verso le prospettive di analisi alternative. Le teorizzazioni che vengono elaborate sulle famiglie non rimangono rinchiuse nell’ambito della ricerca, esse si propagano, attraverso la comunicazione interpersonale e mass-mediale, nel contesto sociale, si traducono in senso comune e in pratiche sociali e istituzionali. In questo senso, si può affermare che le descrizioni delle dinamiche familiari, della loro qualità e dei loro effetti sui singoli che vengono formulate nell’ambito del discorso scientifico non sono soltanto descrizioni di realtà familiari; attraverso i processi dell’interazione sociale esse assumono il carattere della prescrittività, cioè definiscono che cosa le realtà familiari debbano essere. L’assenza di studi sulle famiglie di omosessuali, ad esempio, non rappresenta soltanto una carenza scientifica, essa contribuisce a riconostruire l’invisibilità di cui queste famiglie soffrono nel contesto sociale. Lo studio della famiglia fra patologia e normalità: dalla famiglia normale alle normalità delle famiglie L’esclusivo riferimento alla patologia per definire la famiglia ‘’normale’’ ha finito col costruirla come un’entità omogenea, il cui funzionamento veniva più presupposto che indagato, collocato quindi nel dover essere, nell’ideale, definito come assenza di conflitto, di contraddizione, di disagio e sofferenza. Omogeneità e armonie erano così le categorie principali attraverso cui la famiglia ‘’normale’’ veniva definita. Ma quando i ricercatori hanno iniziato a indagare le famiglie ‘’normali’’ individuate sulla base del criterio dell’assenza di sintomi psichiatrici o di qualsiasi altra manifestazione di problematiche comportamentali nei suoi membri, si sono trovati di fronte uno scenario completamente diverso. I modelli di analisi dei rapporti individuo-gruppo nelle scienze psico-sociali si trasformano. Da modelli fondati sull’armonia, sull’equilibrio e sull’uguaglianza, che indirizzavano i ricercatori a interrogarsi sul come le persone si conformano, come i gruppi mantengono la stabilità o su quali siano le fasi di uno sviluppo senza traumi, si è passati a modelli che guidano lo sguardo degli studiosi ai processi dell’innovazione, alla funzione generativa delle differenze, al come i gruppi cambiano, alla valenza evolutiva delle fasi di transizione, all’irriducibile grado di conflitto che caratterizza i rapporti nei e tra i gruppi. Questi cambiamenti nel contesto scientifico si intrecciano con la trasformazione culturale che segue la comparsa sulla scena sociale dei grandi movimenti liberati degli anni Settanta, i quali danno vice e legittimità a gruppi e categorie sociali fino ad allora relegati nella marginalità o nella devianza: minoranze etniche o religiose, omosessuali, donne ecc. È in questo contesto scientifico e sociale che la ricerca psicologica sulla famiglia esce dall’ambito clinico e si dota di nuovi strumenti metodologici. Viene prodotta un’ampia convergenza da parte degli studiosi su una definizione di famiglia “normale” sintetizzabile, ancor oggi e entrerebbero tutti quei gruppi familiari che soddisfano la maggior parte dei propri bisogni definiti in modo collettivo e congiunto, che mettono in grado i propri membri di realizzare gli scopi definiti da ciascuno e che non impediscono sistematicamente e consistentemente ai propri membri di perseguire bisogni e obiettivi individuali. La ricerca sulle famiglie in Italia segna dei ritardi. Nell’edizione italiana del libro “Normal Family Process” si è omesso di tradurre i capitoli relativi alle famiglie ricomposte, alle famiglie di omosessuali e quelli in generale facenti riferimento a tematiche psico-sociali quali divorzio, appartenenza di classe ed etnica, rapporti di potere legati alle differenze di genere. L’accento è posto sulla doppia funzione di mantenere una coesione del gruppo e di promuovere l’autonomia dei singoli membri. La possibilità di assolvere a tali funzioni è inoltre legata: • • • Non tanto all’assenza di conflitti, bensì al modo in cui i conflitti vengono negoziati all’interno del gruppo Non tanto all’assenza del disagio e sofferenza, ma al come disagi e sofferenze vengono affrontati Non tanto a modelli prescritti da norme prestabilite, ma alle singolari modalità specifiche di ogni famiglia nell’utilizzare le proprie risorse Conflitto, crisi, molteplicità diventano dunque i nuovi punti di riferimento nell’analisi psicologica delle famiglie. Conflitti La necessità di perseguire obiettivi che sono sia individuali che collettivi e l’ineguale distribuzione del potere fra i componenti implicano un grado di conflittualità inevitabile nelle famiglie che è anche un’importante occasione per la crescita. Il conflitto è da intendersi anziché esperienza aprioristicamente negativa, eccezionale e distruttiva, viene a configurarsi come una caratteristica irriducibile delle dinamiche interpersonali e sociali in cui si attivano i processi di cambiamento. Anche ricerche specifiche sui gruppi familiari hanno documentato che una gestione negoziale dei conflitti emergenti dalle differenze presenti in un nucleo familiare (differenze di genere, di potere, di obiettivi, di posizione nella rete di relazioni ecc.) costituisce una condizione per innescare processi evolutivi e innovativi all’interno del gruppo; l’evitamento o la negazione di conflitti da parte di uno o di entrambi i partner della coppia coniugale sono i più diffusi modelli interattivi associati con la separazione. Crisi Disagio e sofferenza accompagnano ogni crisi connessa alle necessarie transizioni che tutti i gruppi familiari attraversano nel corso della propria esistenza. Rilevante negli studi sulle famiglie è diventato non tanto il disagio in sé, ma i modi attraverso cui i gruppi familiari fanno fronte con successo alla crisi ad esso connessa. Molteplicità Le differenze che caratterizzano le famiglie sono state inizialmente accettate soltanto all’interno di confini preci, quelli di una limitazione della connotazione di famiglia a quella nucleare. Nonostante la consapevolezza circa la molteplicità di forme che la famiglia può assumere, l’oggetto dell’indagine psicologica è rimasto, a lungo e nella stragrande maggioranza dei casi, la famiglia nucleare composta dalla coppia coniugale e dai figli, che ha finito col costituire il parametro di riferimento anche per definire il grado di diversità accettabile nel concetto di normalità. Le varie molteplicità familiari sono: • • • • Famiglie monoparentali Famiglie ricomposte Famiglie plurinucleari o comunitarie Famiglie con coppia omosessuale Queste ricerche hanno mostrato che questi gruppi familiari non possono essere sbrigativamente collocati nella zona della patologia, evidenziando la specificità delle problematiche relazionali che ognuno di questi gruppi familiari presenta e quindi hanno sottolineato la necessità di non ridurli o semplificarli entro gli stetti confini di una omogeneizzante “normalità”. Trattare, ad esempio, una famiglia ricomposta come se fosse una famiglia nucleare significa ignorare la complessità dell’intreccio relazionale che la caratterizza, d’altra parte trattare la complessità di tale intreccio come causa “sufficiente” di patologia significa impedirsi aprioristicamente di rilevare le risorse presenti in tale intreccio. Ognuna di queste categorie di famiglie presenta al proprio interno differenze significative. Le famiglie di omosessuali, ad esempio, variano a seconda che la coppia sia composta da due uomini o da due donne. L’intreccio fra le variabili del genere e dell’orientamento sessuale dei partner comporta infatti delle differenze significative nell’organizzazione dei rapporti interpersonali. Ma variazioni altrettanto significative si riscontrano in relazione alla posizione che uno o entrambi i membri della coppia ricoprono in rapporto ad eventuali figli. Questi ultimi infatti possono essere figli nati da una relazione eterosessuale e affidati o meno, in seguito alla separazione, ad un genitore che ha iniziato una convivenza omosessuale; oppure essere figli nati in seguito al ricorso a tecniche di fecondazione artificiale, e conviventi con un solo o due genitori omosessuali. L’etichetta “famiglie ricostituite” crea un’ampia varietà di tipi, che si differenziano per lo stato civile precedente dei coniugi risposati (nubile/celibe, divorziato/a, vedovo/a), per il rapporto fra coniugi risposati e figli (comuni, di uno solo dei coniugi dal precedente matrimonio, di tutti e due i coniugi dai rispettivi precedenti matrimoni), e per il tipo di affidamento dei figli (se vivono con la coppia risposata, se vanno in visita per periodi determinati). La stessa complessità la riscontriamo nelle famiglie monoparentali, che possono essere tali a seguito di un divorzio o a seguito della morte di uno dei coniugi, o a seguito di un non-matrimonio; rilevante è, inoltre, la differenza fra le famiglie monoparentali a conduzione materna e paterna. Sono le famiglie a “lunga distanza”, o “pendolari” o “a due locazioni” che includono quei gruppi in cui un genitore è assente per periodi più o meno lunghi a causa del lavoro, emigrazione, lavoro stagionale, carcerazione. Queste differenze demografiche corrispondono a differenze significative in termini di modalità interattive, dinamiche relazionali e problematiche da affrontare. Evitare lo stereotipo della famiglia nucleare da analizzare tutti questi tipi di famiglie non è sufficiente, è necessario anche evitare una omologazione categoriale che non rende conto delle specificità delle dinamiche di ogni famiglia. “Le famiglie normali vengono concettualizzate nei termini dei processi fondamentali che sono propri di ogni sistema; tali processi riguardano l’integrazione, la stabilità e la crescita dell’unità familiare in relazione sia ai sistemi individuali, sia a quello sociale” Walsh 1982 La normalità non può così essere definita a prescindere dal contesto socio-temporale in cui le famiglie sono collocate: essa varia infatti in rapporto alle esigenze interne ed esterne che stimolano l’adattamento lungo tutti il ciclo di vita familiare. I modi attraverso cui viene realizzata la coniugazione di connessione e autonomia dei membri della famiglia varieranno a seconda che si tratti di una famiglia in cui entrambi i coniugi lavorano, di una famiglia monoparentale che si deve avvalere del sostegno e aiuto della famiglia estesa, di una famiglia ricostituita in cui ogni genitore condivide con due diversi partner i propri figli e i figli hanno a che fare con coppie genitoriali che non corrispondono con quelle coniugali, di una coppia eterosessuale od omosessuale, di un adulto single che prende cura dei genitori anziani. La stessa espressione “famiglia normale” risulta inadeguata nella nuova prospettiva che si viene qui delineando. D’altra parte la distinzione medica fra famiglia sana e patologica, la classificazione sociologica di famiglia funzionale e disfunzionale o quella che, anziché al concetto di norma, fa riferimento alle risorse della famiglia e differenzia fra famiglia capace (enable) e incapace (disable), non risultano più pertinenti dal momento che tutte si reggono su un dualismo che finisce con negare gli elementi di complessità che si vogliono evidenziare. La conclusione, a cui molti ricercatori sono pervenuti, di sostituire il termine “la famiglia” con il suo plurale allo scopo di evitare l’implicazione che c’è soltanto una famiglia “normale”. Parlare di normalità al plurale non significa presupporre che ogni forma di famiglia corrisponda una normalità, significa anzi ipotizzare che all’interno della stessa forma di famiglia esistano modi diversi di realizzare, l’integrazione, la stabilità e la crescita, così come possono esserci modi trasversalmente analoghi nelle diverse configurazioni familiari. Significa cioè utilizzare nell’analisi delle famiglia il criterio incrociato di struttura (come è composta la famiglia) e processo (come si organizza e si sviluppa). Cpt.2) La famiglia come sistema di interazioni Dagli individui alle relazioni familiari Per un certo periodo si è avuto un approccio sistemico e un’analisi delle dinamiche familiari, questi due processi sono stati impropriamente trattati come se fossero identici. La teoria dei sistemi ha fornito una cornice unificante entro cui comprendere tutti gli studi che, partendo dall’interazionismo simbolico della teoria della comunicazione, della fenomenologia e dell’approccio psicodinamico, consideravano la famiglia come unità. La nozione di sistema si presta ad essere utilizzata per studiare la famiglia come insieme e a superare così l’incongruenza di analizzare un oggetto collettivo con criteri metodologici individualistici. La complessità dei fenomeni deve poter essere affrontata dal punto di vista delle relazioni interattive, anziché da quello che prefigura una sommatoria di entità; l’attenzione è cioè diretta sulle relazioni reciproche che legano gli elementi costitutivi del sistema piuttosto che sulla loro individualità, sul loro numero o sulla loro specie. Gli elementi assumono dunque rilevanza e significato soltanto rispetto al tutto; quest’ultimo non si identifica tuttavia in una struttura statica definita indipendentemente dalle parti, ma emerge esso stesso dal processo di interscambio tra le parti, un processo i cui andamenti rispondono ai vincoli propri dello specifico sistema nel quale esso si svolge e si realizza. Da questo punto di vista, la famiglia viene identificata con il sistema di relazioni reciproche che legano i suoi componenti, la cui specificità emerge dalla loro appartenenza alla famiglia. La forma del rapporto fra la famiglia e i suoi membri è quella che Varela definisce “dell’embricazione fra livelli”, cioè l’una emerge dagli altri e viceversa: perché la famiglia esista come unità è necessario che esistano gli individui, la cui identità si costituisce a propria volta nell’appartenenza all’unità familiare. Il supporto metodologico a questa prospettiva di analisi viene soprattutto fornito dal modello cibernetico, incentrato sullo studio delle dipendenze reciproche tra fenomeni; tale modello propone una lettura delle relazioni tra variabili che è finalizzata ad individuare i percorsi e i meccanismi attraverso cui si specifica l’interdipendenza. Esso introduce perciò il riferimento ad una concezione circolare di casualità che si differenzia dalla classica sequenza lineare causa-effetto. Definendo la famiglia come un sistema, si accentua la natura circolare delle relazioni che caratterizzano la vita di un gruppo familiare, sottolineando la peculiarità di una situazione, cioè, nella quale ogni componente è in rapporto tale con gli altri per cui qualunque cambiamento di uno di essi innesca un cambiamento in tutti gli altri e nelle modalità di funzionamento dell’intero sistema. La concezione circolare della casualità non si esaurisce comunque entro i confini di un gruppo familiare, ma riguarda anche le interazioni che collegano quest’ultimo ad un ‘’ambiente’’. Questo tipo di interscambio è infatti un fattore essenziale per la vitalità del gruppo, per sua capacità di riprodursi e/o mutare nel tempo. La sopravvivenza del sistema famiglia è l’esito di due processi intrecciati: quello morfostatico che ne garantisce la continuità e la stabilità nei confronti delle continue variazioni dell’ambiente circostante o interno, e quello morfogenetico che ne regola le trasformazioni. Morfostati e morfogenesi sono interconnesse, dal momento che la possibilità per la famiglia di rimanere se stessa è legata alle sue capacità di mutare in relazione ai cambiamenti dei suoi componenti e a quelli che intervengono nell’ambiente in cui è inserita e con cui intrattiene rapporti. Gli interrogativi che diventano rilevanti nella ricerca riguardo i due principali processi che specificano un sistema familiare; in particolare riguardano il come un gruppo familiare coniuga: • • La coesione con l’individualità, cioè come realizza l’unità del gruppo in rapporto all’autonomia degli individui I processi morfostatici con quelli morfogenetici, cioè come il gruppo riesce a mantenere un continuità con se stesso e contemporaneamente a cambiare in rapporto alle sollecitazioni che vengono dai suoi rapporti con un “ambiente” (interno o esterno che sia). Le tipologie familiari monodimensionali Le prime ricerche sui gruppi familiari secondo la prospettiva sistemica si sono avvalse del materiale derivante da osservazioni condotte in contesti clinici ed erano orientate soprattutto ad individuare e /o verificare le differenze fra le dinamiche relazionali delle famiglie patologiche e di quelle non patologiche. L’obiettivo comune ai ricercatori era quello di pervenire alla formulazione di tipologie di modelli di relazione familiari descrittive di differenti modalità di funzionamento. Alcune tipologie sono state elaborate in base al presupposto secondo cui una famiglia si specifica soprattutto per i processi di comunicazione, cioè per il tipo di organizzazione dei componenti dei membri nel loro processo di influenzamento reciproco. Altre invece sono state formulate in base al principio secondo cui una famiglia si specifica per i processi sistemici, cioè per i modi di realizzare l’interconnessione della coesione gruppale con l’autonomia individuale della stabilità con il cambiamento Chi ha distinto le famiglie sulla base dei processi della comunicazione fa riferimento ad un’impostazione secondo la quale i messaggi che le persone si scambiano hanno almeno due livelli: • • Quello denotativo: che si identifica con il contenuto letterale Quello metacomunicativo: che riguarda il commento sul contenuto letterale e sulla natura della relazione tra le persone implicate In questo caso, le variabili che vengono rilevate nei gruppi familiari sono: • • • La chiarezza della comunicazione intesa come grado di congruenza tra il livello denotativo e quello metacomunicativo Le modalità con cui i comunicanti negoziano la definizione delle relazioni in cui sono implicati Le modalità attraverso cui vengono espressi accordi, disaccordi ed emozioni Virginia Satir (1964) classifica le famiglie secondo un continuum i cui poli opposti corrispondo rispettivamente ad un massimo e ad un’assenza di chiarezza nello scambio di informazioni e nella definizione delle regole intorno a cui la famiglia si organizza. L’utilizzo delle ‘’scale di interazione familiare” di Riskin e Faunce permette di classificare le famiglie secondo stili comunicativi rilevabili con l’insieme dei seguenti criteri: • • • • • • Chiarezza: quanto i membri della famiglia parlano chiaro Continuità e tematica: se i componenti della famiglia si attengono allo stesso discorso o se e come lo cambiano Impegno: se i membri prendono posizione sugli argomenti e sui sentimenti reciproci Accordo e disaccordo: quanto i singoli esprimono esplicitamente accordi o disaccordi l’uno con l’altro Intensità emotiva: se le persone mostrano variazioni emotive quando parlano fra loro Qualità della relazione: se i singoli si comportano amichevolmente o si attaccano fra loro A partire dai punteggi ottenuti in queste variabili, è possibile comporre un continuum di tipologie familiari che vanno dalle ‘’famiglie in difficoltà’’, non chiare, con frequenti cambiamenti tematici durante la conversazione, ostinatamente assertive, critiche, competitive, caotiche, alle “famiglie normali”, moderatamente chiare, non frammentarie né caotiche, tendenti ad espletare il compito assegnato, spontanee, con un buon grado di ironia, cooperative e rispettose delle differenze. La Scuola di Palo Alto adotta una tipologia dei gruppi familiari a partire dal criterio delle modalità attraverso cui i membri definiscono le loro relazioni reciproche. Simmetria, complementarità e reciprocità sono i diversi possibili stili comunicativi. La simmetria caratterizza quelle famiglie i cui membri agiscono a partire da un costante rifiuto del modo in cui altri definiscono se stessi nella relazione, la complementarità si identifica con quello stile comunicativo secondo cui ogni membro della famiglia adatta la definizione di sé sulla base della definizione che ne dà l’altro. La complementarità e la simmetria costituiscono opposti ma ugualmente rigidi stili di comunicazione e in quanto tali vengono identificati come forme patologiche. La famiglia ‘’normala’’ risulta essere quella caratterizzata da reciprocità, cioè da flessibilità e alternanza degli stili simmetrico e complementare, adottati di volta in volta secondo le situazioni o gli episodi in cui i membri della famiglia sono coinvolti. Avendo come riferimento i due principali processi che specificano un sistema familiare, sono state invece elaborate delle tipologie che contraddistinguono le famiglie in base al criterio del come esse assolvono alla funzione di coniugare le esigenze di coesione gruppale con quelle di autonomia personale dei singoli membri, da una parte, e le esigenze di stabilità con quelle di cambiamento, dall’altra. Gli indicatori per analizzare la forma che questi due processi assumono nelle famiglie sono diversi: alcuni hanno privilegiato le modalità interattive, altri la struttura. La classificazione dei gruppi familiari che utilizza come indicatori i modelli di comportamento interpersonale parte dall’ipotesi che nei sistemi familiari tali comportamenti non siano casuali, ma risultino organizzati secondo sequenze ripetitive e prevedibili. È proprio la regolarità dei comportamenti interpersonali che fa di una famiglia “quella famiglia”. L’analisi del gruppo familiare implica una rilevazione delle ridondanze emergenti nelle sequenze nelle sequenze interattive. Da un punto di vista strutturale, l’analisi di un gruppo familiare si concentra sui modi in cui sono organizzati i confini, la gerarchia e i ruoli. Quanto le regole che governano i confini inter e intrafamiliari siano chiare o ambigue, quanto flessibili o rigide, quanto prevedibili o variabili, quanto appropriate ai compiti che corrispondono alle diverse fasi di sviluppo di una specifica famiglia e quanto il quadro che emerge sia equilibrato o disequilibrato. Sequenze dei comportamenti interattivi e struttura del gruppo familiare rappresentano i fuochi di due diversi e interconnessi livelli di analisi. I circuiti ripetitivi di comportamento interpersonale contribuiscono infatti a definire i confini di un gruppo familiare, a mantenere ruoli e strutture gerarchiche; e ricorsivamente, l’organizzazione dei confini, ruoli e rapporti gerarchici perpetuano specifici modelli di comportamento. Ashby (1969) suddivide i modelli familiari in diverse classificazioni: • • • Il modello familiare altamente interconnessi sono rigidamente orientati all’omeostasi: l’equilibrio interno è mantenuto a scapito di qualsiasi cambiamento sollecitato dall’ambiente. È caratterizzata dalla ridondanza di sequenze interattive che si configurano come circuiti di correzione della deviazione dall’equilibrio raggiunto. È la famiglia, cioè, in cui ogni tentativo di mutamento da parte di un componente è controbilanciato da un comportamento complementare e resistente da parte di un altro La famiglia scarsamente interconnessa è invece quella in cui i membri operano in totale indipendenza l’uno dall’altro e rispondono ad ogni sollecitazione dall’esterno Rimane implicita in questa classificazione la famiglia “normale” che si distingue per uno stile di funzionamento flessibile, cioè capace di mantenere un equilibrio interno nei processi di adattamento all’ambiente Stieling (1972) adotta, come indicatore delle modalità con cui la famiglia coniuga stabilità e cambiamento, le caratteristiche strutturali. Si interroga cioè sulla chiusura e apertura della famiglia e il mondo esterno. Egli distingue le famiglie in centripete e centrifughe. Nelle prime i confini che le delimitano rispetto all’ambiente sono rigidi; i membri della famiglia cercano infatti soddisfazioni e gratificazioni all’interno del gruppo, verso il quale hanno più fiducia che nei confronti del mondo esterno. Nelle famiglie centrifughe, i confini rispetto all’ambiente sono labili, i suoi membri si aspettano infatti che le gratificazioni vengano dall’esterno e valutano maggiormente le attività e le relazioni che si svolgono nel contesto sociale rispetto a quelle che hanno luogo all’interno del gruppo familiare. Altri studiosi hanno distinto le famiglie sulla base dei loro modi di assolvere alla funzione di coniugare le esigenze di coesione gruppale con quelle di autonomia personale dei singoli membri. Le tipologie formulate si collocano su una linea le cui polarità corrispondono a forme specularmente patologiche di funzionamento, in particolare a famiglie in cui la coesione (appartenenza) va a scapito della differenziazione (autonomia personale), da una parte, e a famiglie in cui l’indipendenza dei membri va a scapito dell’unione del gruppo, dall’altra. Le famiglie con un funzionamento “adeguato” sono quelle che, collocate nel punto mediano del continuum tra i due poli, riescono nella realizzazione dell’integrazione fra autonomia individuale e coesione del gruppo. Wynne e colleghi hanno coniato i termini pseudomutualità e pseudostilità. Con il primo si descrive i rapporti patogeni che caratterizzerebbero quelle famiglie i cui membri sono particolarmente preoccupati di comporre un quadro formale di unione a scapito di ogni differenza individuale, ma anche di ogni interscambio effettivo. Nel secondo invene le famiglie i cui membri sono impegnati in comportamenti interattivi che sembrano portare sull’orlo della scissione, che rimane però sempre a un livello superficiale. Pseudomutalità e pseudostilità sono forme di rapporti riscontrabili in famiglie in cui si tende ad evitare ogni forma reale di divergenza o conflitto o di divergenza e intimità vissuti come pericolosi per il gruppo o per gli individui. La sequenza interattiva ripetitiva riguarda il modo in cui vengono strette e sciolte le alleanze nel gruppo familiare. Bowen parla di famiglia indifferenziata e famiglia differenziata. Il concetto di differenziazione rimanda ad una famiglia caratterizzata da sequenze interattive ridondanti che impediscono l’espressione delle divergenze. In una situazione interrattiva in cui emerge una tensione fra due persone (A e B), una di queste (A) allenterà la tensione coinvolgendo (“triangolando”) una terza persona (C). In questo modo la tensione si sposta alla nuova diade (B e C), allentando la tensione della coppia originale (A e B); ma il terzo coinvolto (C) risponde alla tensione accettando l’alleanza con uno dei due (B), aprendo co^ un conflitto con l’altro (A), conflitto che verrà ridotto con il coinvolgimento di B, facendo così ripartire il circuito. Il coinvolgimento in sequenze di questo tipo impedisce ai partecipanti di differenziarsi, dal momento che ognuno è sempre funzione della relazione che intercorre fra altri. Bowen associa questo tipo di dinamica con le famiglie patologiche e per contrasto, attribuisce la patente di normalità alla famiglia capace di favorire la differenziazione dei suoi membri. Minuchin contrappone la famiglia “invischiata” (enmeshed) a quella “disimpegnata” (disengaged). La famiglia invischiata è quella caratterizzata da un’inestricabile interconnessione fra i suoi componenti. La famiglia disimpegnata è quella in cui i singoli individui si comportano come se si muovessero in orbite isolate e i legami fra i componenti sono deboli, se non inesistenti. La famiglia con funzionamento adeguato è quella in cui il confine fra le generazioni è chiaramente tracciato, nel senso che i ruoli (padre, madre, figli) sono precisamente definiti e praticati. Il potere, insieme alla responsabilità, viene esercitato/riconosciuto nel rispetto dei livelli gerarchici. I membri hanno una chiara percezione di chi appartiene e di chi non appartiene ad essa, ovvero i confini fra la famiglia e l’ambiente non sono ambigui. La famiglia invischiata invece è caratterizzata dalla debolezza dei confini fra i vari sottosistemi, cioè fra la famiglia nucleare e quella di origine, fra genitori e figli. In essa i ruoli di moglie e madre o marito e padre sono confusi e i figli non sono trattati nel rispetto della differenza di età. La confusione fra i diversi livelli generazionali può dar luogo, secondo Haley (1977), a coalizioni perverse che sono alleanze fra membri appartenenti a due diversi sottosistemi gerarchici contro un terzo. La confusione dei confini impedisce inoltre che il potere venga espresso nel rispetto dei rapporti gerarchici. Nella famiglia disimpegnata, invece, i confini sono tracciati attorno ad ogni membro della famiglia e ciascuno opera in apparente isolamento dagli altri. Hoffman sottolinea che le famiglie disimpegnate hanno confini labili rispetto al contesto sociale ed è frequente che strutturino relazioni di invischiamento con istituzioni esterne. Queste ricerche sugli stili comunicativi e sui modelli interattivi delle famiglie rappresentano i primi tentativi di descrizione psicologica della famiglia in termini di modalità relazionali e costituiscono un efficace tentativo di traduzione dell’approccio sistemico in una teoria delle dinamiche familiari. Considerazioni sulle tipologie monodimensionali Quattro sono le maggiori obiezioni mosse alla formulazione di queste tipologie familiari e sono: • • Le tipologie sono costruite in base ad una sola dimensione. In questo senso esse appaiono strumenti rigidi e in quanto tali inadeguati a identificare le diverse sfaccettature del funzionamento familiare (rigidità). Questa tipologia familiare si caratterizza per la loro natura unidimensionale. Ognuna di esse è infatti costruita sulla base di un unico criterio e di un unico punto di osservazione. Proprio per il loro carattere monodimensionale queste tipologie mettono dunque a fuoco aspetti diversi del funzionamento familiare. In questo senso non sono in alternativa fra loro e possono anzi essere abbinate per analizzare una stessa famiglia. Ma nel momento in cui si procedesse in questo modo si comporrebbe un quadro rigido in cui la distinzione tra famiglia normale e famiglia patologica risulta drasticamente diatonica. Infatti la famiglia normale emergerebbe come una sommatoria di caratteristiche che si collocano soltanto sul polo positivo dei continua tracciati dalle tipologie e quelle patologiche si configurerebbero come una sommatoria di caratteristiche che si collocano solo su quello negativo. Queste tipologie risultano inadeguate a rilevare le possibili sfumature o collocazioni intermedie. Famiglia e ambiente sono dualisticamente concepiti come sistemi fra loro separati. I confini marcatamente tracciati intorno alla famiglia finiscono per offuscare la funzione vitale che l’ambiente ha per la famiglia stessa (autoconfinamento). L’assunto implicito delle tipologie monodimensionali è che la famiglia sia un gruppo tendenzialmente autoregolato e autocontenuto. La labilità dei confini familiari viene letta come sintomo di malfunzionamento. Il confine assume cioè il significato di barriera. Indagini socio-psicologiche sembrano anzi indicare che il buon funzionamento di una famiglia, cioè la capacità di organizzare, regolare e strutturare i rapporti in funzione del benessere dei singoli e del gruppo, è connesso con la possibilità di trovare aiuto e sostegno nella rete parentale e nella rete amicale. I confini che definiscono un nucleo familiare emergono, non tanto come barriere, ma come interfacce. Mentre l’idea di barriera pone l’accento • • sulla separazione, la nozione di interfaccia enfatizza l’interconnessione fra unità separate, ognuna delle quali risulta, pur nella sua autonomia, essenziale rispetto all’esistenza dell’altra. L’individuazione dei criteri di analisi risente dell’adozione di un modello normativo di famiglia. Questo fa delle tipologie formulate a partire da tali criteri uno strumento adeguato soltanto per certi tipi di famiglie (normatività). La concezione della famiglia come sistema autoregolato e autocontenuto è a sua volta legata all’assunzione di una definizione aprioristica di famiglia normale. Parsons e Bales (1955) definiscono la famiglia come composta da genitori e figli con ruoli diversificati, definiti da un preciso rapporto di potere gerarchico, con la moglie e il marito in una relazione complementare. Questo modello normativo posto alla base della formulazione delle tipologie familiari fa di esse uno strumento inadeguato allo studio dei modelli interattivi di forme di famiglia diverse. La più recente ricerca ha infatti evidenziato che la regolazione dei confini tra generazioni e tra livelli gerarchici non risponde a criteri universali, ma è connessa ad uno specifico contesto socio-culturale e varia anche in relazione a diverse forme familiari all’interno del medesimo contesto. Nelle famiglie ricomposte, confini e rapporti gerarchici sono, per definizione, articolati e per niente lineari, come potrebbero essere, invece, in una famiglia nucleare. La ‘’funzionalità’’ di queste famiglie è proprio legata alla capacità di essere flessibili rispetto alla gestione dei confini e delle gerarchie. Nelle famiglie monoparentali, ai figli maggiori può essere richiesto di assolvere a funzioni genitoriali nei confronti dei fratelli più giovani, o il genitore singolo può avvalersi dell’aiuto dei propri genitori per assolvere alla funzione parentale nei confronti dei bambini senza che questo implichi necessariamente alcun esito patologico, inoltre, la comunicazione fra genitore e figlio dello stesso sesso è comunemente simmetrica, mentre è tendenzialmente complementare tra genitore e figlio di sesso diverso; ciò che in una famiglia nucleare tradizionale è stata rilevata come una rigidità disfunzionale può risultare invece adeguata in un contesto relazionale mutato. Elevare a criteri generali d’analisi variabili che sono costitutive solo di alcune forme familiari rischia di introdurre, nella ricerca sulla famiglia, oltre che una distorsione di carattere metodologico, una valenza discriminatoria sul piano sociale, anche al di là delle interazioni del ricercatore. Le interazioni familiari sono indagate in un dato momento e le tipologie dei modelli relazionali elaborate sono per la maggior parte rinchiuse all’interno di una visione rigidamente statica delle dinamiche della famiglia: è stata cioè operata la scelta di un’analisi sincronica a scapito di quella diacronica (atemporalità). Le interazioni familiari sono indagate in un dato momento, dunque sono gli stati della famiglia ad essere messi a fuoco, mentre i processi sono lasciati nell’ombra. Le tipologie vengono infatti formulate in un contesto di ricerca che è tutto orientato a studiare i meccanismi omeostatici della famiglia, ad analizzare cioè come la famiglia mantiene il proprio equilibrio. Scarsa o nessuna attenzione viene prestata ai processi attraverso cui le dinamiche interattive e comunicative si sviluppano e si trasformano. Bronfenbrenner (1979) definisce relazioni evolutive quelle caratterizzate da reciprocità, dal progressivo incremento di complessità, dal sentimento positivo e reciproco e dallo spostamento graduale nell’equilibrio di potere. In questo caso, il tipo di gerarchia che organizza comportamenti e relazioni in una famiglia con i figli in età evolutiva non può essere lo stesso di una famiglia in cui i figli stanno per iniziare il proprio cammino di indipendenza. Una famiglia, nel corso della sua storia, passa attraverso numerose riorganizzazioni che comportano ristrutturazioni nelle modalità interattive e relazionali. Le tipologie fin qui descritte, favorendo l’analisi sincronica a scapito di quella diacronica, non considerano la possibilità, per una famiglia, di essere diversa in tempi diversi. Le tipologie familiari multidimensionali Nel momento in cui l’indagine sulla famiglia esce dallo stretto ambito clinico i ricercatori si dotano di nuove procedure di analisi e di nuovi criteri per la valutazione della funzionalità e disfunzionalità familiare. A fianco delle modalità comunicative, interattive e strutturali, vengono infatti considerati altri indicatori, quale, ad esempio, il modo in cui una famiglia affronta i problemi che emergono nel corso del suo sviluppo. L’attenzione è rivolta alle strategie che un gruppo familiare adotta nel far fronte agli eventi critici che costellano la sua storia. Vengono, inoltre, elaborati dei modelli di osservazione multidimensionali che non si limitano a rilevare come una famiglia assolve alle esigenze di coesione e individuazione o a quelle di stabilità e cambiamento; tali modelli permettono soprattutto di individuare le diverse configurazioni familiari che emergono dalla correlazione tra questi due tipi di processi. L’innovazione più significativa riguarda i criteri in base ai quali definire l’adeguatezza o meno di uno stile di funzionamento familiare. Uno stile di funzionamento familiare non può essere valutato soltanto sulla base del modo in cui i membri operano congiuntamente nel realizzare o meno l’autonomia dei singoli e la coesione del gruppo oppure sulla base di come essi reagiscono di fronte alle richieste di cambiamento: è infatti il valore simbolico attribuito dalle famiglie alla coesione e all’autonomia, o alla stabilità e al cambiamento, ciò che concorre a definire il grado di adeguatezza dello stile di funzionamento familiare. Esistono due punti di vista: • • Uno esterno del ricercatore che, guidato da ipotesi e procedure, analizza una famiglia Uno interno che riguarda la prospettiva dei membri della famiglia, che a loro volta hanno modi condivisi e personali di dare senso alla propria esperienza, così come hanno modelli di riferimento in base ai quali definiscono come vorrebbero essere Viene così introdotto l’utilizzo di scale di autovalutazione che permettono di conoscere la descrizione che una famiglia fa di se stessa e la sua immagine ideale. Quest’ultima, e non il modello ideale di famiglia del ricercatore, diventa il riferimento per valutare l’adeguatezza del funzionamento di uno specifico gruppo familiare. Tre sono i principali modelli elaborati a partire da questo impianto metodologico. Epstein propone di classificare le famiglie in base a “punteggi” ottenuti rispetto a sei diverse dimensioni: • • • • • Dimensione del problem-solving che fa riferimento alle capacità della famiglia di risolvere i problemi mantenendo un funzionamento globale efficace Dimensione della comunicazione che misura lo scambio di informazioni all’interno della famiglia lungo un continuum i cui poli opposti sono “chiara e diretta” e “confusa e indiretta” Dimensione dei ruoli familiari che valuta le strutture comportamentali ridondanti in base alle quali i singoli membri adempiono alle funzioni della famiglia Dimensioni della stabilità emotiva e del coinvolgimento emotivo mettono a fuoco la gamma familiare di risposte affettive e il grado in cui i componenti valorizzano le attività e gli interessi degli altri Dimensione del controllo comportamentale che definisce lo stile adottato dalla famiglia nello stabilire le norme e le regole, e il grado di scostamento da esse che è disposta a tollerarle Secondo il modello circonflesso di Olson e colleghi le famiglie sono classificabili in base a tre dimensioni: • • Coesione: si riferisce al legame emotivo che i singoli membri della famiglia hanno l’uno nei confronti dell’altro. Sono previsti quattro gradi di coesione: Disimpegno: queste famiglie mostrano la stimolazione per un alto grado di autonomia per i suoi membri, che esprimono a loro volta un basso attaccamento e impegno nei confronti del gruppo Invischiamento: è caratterizzata da una iperidentificazione dei membri col gruppo e nella quale la lealtà e il consenso all’interno della famiglia ostacolano i processi di individuazione dei suoi membri Separatezza: nelle famiglie separate l’autonomia degli individui è privilegiata, seppure in un contesto di coesione Coesione: l’unità familiare viene valorizzata, seppure nel rispetto dell’autonomia dei singoli membri Adattabilità: è la capacità da parte della famiglia di cambiare, attraverso processi di negoziazione fra i suoi membri, la sua struttura di potere, le sue relazioni fra i ruoli e le sue regole interattive in risposta agli eventi critici legati a situazioni specifiche o alle sue tappe di sviluppo. Le famiglie si • distinguono secondo il basso o l’alto grado di capacità di adattamento e possono essere classificate come: Rigide Strutturate Flessibili Caotiche Comunicazione: è una dimensione facilitante rispetto alle due precedenti. La presenza o meno di stili di comunicazione fondati sull’empatia, sull’ascolto reciproco, sul mutuo sostegno, possono cioè facilitare o meno il modo in cui gruppi familiari integrano coesione e adattabilità. L’intreccio di queste dimensioni dà luogo ad una serie di combinazioni che corrispondono a tipologie diverse di famiglia Il modello sistemico di Beavers classifica le famiglie sulla base dello stile e della competenza familiare. La dimensione stilistica è valutata secondo un continuum delimitato ai suoi poli da stili familiari rispettivamente centrifughi e centripeti. La competenza è rilevata attraverso scale che misurano la chiarezza della struttura di potere dentro la famiglia, la presenza o meno di confini, la capacità di negoziare i conflitti, la permeabilità della comunicazione, l’affettività espressa e l’autonomia individuale. Come nel modello precedente, le combinazioni che emergono dall’intreccio di queste dimensioni corrispondono a diverse tipologie familiari. Considerazioni sulle tipologie multidimensionali L’adozione di un metodo multidimensionale e basato sul doppio punto di vista, interno ed esterno, corregge la rigidità che un procedimento classificatorio comporta. Le tipologie familiari risultano molteplici almeno tante quante sono le possibili combinazioni derivanti dall’intreccio delle diverse dimensioni considerate. Ogni dimensione non ha valore predittivo del funzionamento familiare di per sé, ma soltanto in quanto correlata con altre dimensioni. Un elevato grado si coesione con la famiglia estesa può essere positivo se accompagnato da una comunicazione fra gli individui impostata al reciproco sostegno emotivo e ad una chiara espressione dei sentimenti e dei conflitti con un elevato grado di coesione associato ad una sistematica negazione delle differenze o divergenze può risultare problematico. Il loro valore predittivo nei confronti della qualità del funzionamento familiare emerge dal rapporto con l’immagine ideale che una famiglia ha di se stessa, cioè emerge dal grado di congruenza tra come la famiglia è percepita e come la famiglia è idealizzata. Un elevato grado di coesione e di chiusura rispetto alle sollecitazioni dell’ambiente non è necessariamente espressione di malfunzionamento. Non lo è, in particolare, quando esso si accompagna ad aspettative di coesione condivise dai membri della famiglia. Un elevato grado di chiusura può essere indice di disfunzionalità in una famiglia in cui le aspettative vanno nella direzione di valorizzare l’autonomia individuale. Olson e McCubbin affermano che l’ipotizzata relazione curvilineare fra un efficiente funzionamento familiare e le dimensioni di coesione e adattabilità può essere applicata a famiglie che condividono le norme culturali correnti, secondo cui sono valorizzati sia l’unità gruppale che lo sviluppo individuale. Questa ipotesi generale non potrebbe essere applicata a famiglie che hanno alte aspettative di coesione. La valutazione della stessa famiglia in momenti diversi del suo sviluppo o in situazioni differenti possa collocarla in tipologie diverse. La classificazione non riguarda dunque le famiglie, ma le relazioni familiari. Nel corso della sua storia, una famiglia assume forme molteplici di modelli di relazione. Una famiglia in formazione, i cui membri sono impegnati ad elaborare la separazione dalle proprie famiglie di origine, ad esempio, è molto probabilmente caratterizzata da un grado maggiore di connessione, o perfino di invischiamento e di rigidità, di quanto non lo sia la stessa famiglia nella fase in cui i figli elaborano la propria autonomizzazione. Il problema, dunque, è se essa sia più o meno flessibile di fronte ai cambiamenti che intervengono al proprio interno e nell’ambiente con cui intrattiene i rapporti. Infine, questi modelli si prestano a rilevare sia le specificità delle singole dinamiche, sia le analogie che emergono fra forme diverse di famiglia. Un ampliamento della prospettiva Il concetto di sistema costituisce un imprescindibile punto di riferimento per l’analisi dei gruppi familiari, e i modelli multidimensionali rappresentano un modo complesso di operazionalizzare l’approccio sistemico. I modelli sistemici qui descritti adottano soltanto una prospettiva di analisi: quella interpersonale, che si interessa soprattutto alle forme delle relazioni che i membri di una famiglia sviluppano attraverso processi interattivi. L’utilizzo del modello circonflesso di Oslon, così come quelli di Epstein e di Beavers, comporta l’adozione della doppia prospettiva esterna e interna. Tuttavia il punto di vista della famiglie viene considerato soltanto in funzione di esigenze descrittivo-classificatorie. Aspettative, credenze e valori familiari vengono infatti assunti o come elementi che, affiancati alle osservazioni condotte dal ricercatore, contribuiscono alla determinazione del punteggio in base al quale ascrivere le relazioni familiari ad una determinata tipologia, oppure come riferimento per la valutazione della funzionalità o disfunzionalità di quella tipologia relazionale. L’ulteriore prospettiva che si vuole qui introdurre focalizza invece l’attenzione sul ruolo da assegnare ai processi simbolici nella costruzione della famiglia. Parte dal presupposto che i valori e le aspettative familiari non si limitano a caratterizzare la qualità del funzionamento familiare, bensì concorrono a determinarlo: quello che i membri di una famiglia pensano che una famiglia debba essere, le attese relative al modo in cui i legami devono essere realizzati, il modo di descrivere i confini, i ruoli ecc., sono considerati espressione di rappresentazioni, credenze e valori che concorrono a strutturare e a specificare le relazioni che caratterizzano la famiglia stessa, concorrono cioè alla costruzione della realtà familiare e del mondo in cui essa è inserita. In qualsiasi momento della sua storia, una famiglia è il frutto di un intreccio di processi: interattivi e simbolici da una parte, individuali, interpersonali/familiari e sociali dall’altra. Ogni componente occupa un posto nell’organizzazione sistemica familiare che da una parte è riconducibile ai processi microsociali della famiglia stessa, e dall’altra è riconducibile ai processi microsociali della famiglia stessa, e dall’altra è riconducibile a processi macrosociali. Le posizioni dei singoli individui nella famiglia non sono, cioè, fungibili, e contribuiscono in modo idiosincratico all’organizzazione sistemica; al tempo stesso, la particolarità delle posizioni dei singoli ha una origine anche nelle dinamiche sociali più ampie di cui la famiglia è parte. Questa interconnessione è stata messa a fuoco nell’ambito di ricerche che hanno studiato la possibile correlazione tra variabili di tipo socio-economico-culturale (classe,etnia) e forme di relazioni familiari. Questo tipo di ricerche ci mette in guardia dal rischio di utilizzare, nell’analisi della famiglia: • • • Modelli olistici che, focalizzandosi sugli aspetti sovraindividuali, lasciano senza risposta gli interrogativi relativi al modo in cui i singoli componenti contribuiscono a costruire l’organizzazione sistemica Modelli che, limitandosi allo studio del livello interpersonale delle dinamiche familiari, le trattano come astrattamente avulse dal contesto sociale in cui la famiglia è inserita Modelli che, enfatizzando la dimensione comportamentale delle relazioni, non considerano la funzione costitutiva che i processi simbolici hanno per le famiglie Il livello di reddito è emerso come correlato alla forma delle relazioni familiari. Cpt.3) Processi simbolici e dinamiche familiari Dal sistema alla costruzione sistemica Negli anni recenti, la ricerca sulla famiglia si è arricchita di un particolare filone di studi, quello che analizza le storie familiari. Si tratta di narrazioni più o meno epiche, articolate, drammatiche, banali, edificanti che dicono della vita del gruppo e dei suoi componenti. Tali storie possono essere composte coralmente o individualmente. Le occasioni in cui vengono comunicate sono molteplici, così come diversi sono i contesti relazionali in cui sono evocate. Ad esempio una madre che spiega all’insegnante un ipotetico motivo delle difficoltà scolastiche del figlio; un padre che intrattiene la famiglia riunita per cena; una ragazza che si rivolge confidenzialmente a un’amica; una nonna che racconta alla nipote; ma anche un paziente che informa il proprio terapista. Tutte le storie sono un modo individuale e/o collettivo di dare forma e senso all’esperienza dei singoli nella famiglia. Assolvono alla funzione di differenziare la famiglia dal resto del mondo, costruendone l’identità, ma anche di favorire l’integrazione nel mondo, regolandone i rapporti con l’esterno. Attraverso un’analisi delle storie che i membri delle famiglie raccontano e si raccontano, è possibile individuare i valori e i principi a cui si sentono vincolati, i modi in cui essi definiscono se stessi, le modalità con cui caratterizzano l’identità del gruppo e le spiegazioni che danno dei loro rapporti. L’enfasi posta sulla regolarità, ripetitività e prevedibilità dei comportamenti interpersonali familiari ha spesso fatto pensare che esistessero delle entità (strutture, contesti, regole) distinte dagli individui, alle quali potevano essere attribuite proprietà causali. L’esclusiva attenzione agli aspetti sovraindividuali della famiglia ha cioè comportato che il rapporto fra individui e famiglia, ipotizzato teoricamente come circolare o embricato, venisse di fatto delineato come unidirezionale (l’individuo determinato dal gruppo), lasciando senza risposta agli interrogativi relativi a come i singoli individui contribuiscano a costruire l’organizzazione sistemica. Tali interrogativi sono stati affrontati nel momento in cui l’interdipendenza tra i comportamenti dei membri della famiglia, sottolineata dal concetto di sistema, è stata estesa anche ai processi simbolici che sono connessi alle dinamiche familiari; quando cioè è stata tracciata una relazione tra come le famiglie costruiscono la realtà, come funzionano e come sono organizzate. Gli autori che si interessano all’interdipendenza fra i processi simbolici e dinamiche familiari partono dal presupposto che i comportamenti interpersonali siano determinati dalle rappresentazioni che i soggetti hanno della situazione interattivi. Il comportamento interpersonale dei membri di una famiglia non è dunque una semplice risposta a ciò che gli altri fanno, ma una funzione dei significati che vengono autonomamente attribuiti a tali azioni. Gli interrogativi più rilevanti che guidano la ricerca sulle famiglie riguardano il come i modi di costruire la realtà da parte dei singoli componenti si interconnettono con i comportamenti interpersonali nella determinazione dei modelli interattivi familiari. Nell’affrontare questi interrogativi emergono tre diversi livelli di analisi, strettamente interconnessi tra loro e sono: • • • Livello personale: ogni componente dell’unità familiare dà senso alla propria esistenza e agisce nelle relazioni con gli altri a partire da un insieme di premesse e credenze personali che derivano dalla sua specifica posizione nel gruppo, dalle esperienze vissute precedentemente al formarsi della famiglia (per i membri adulti) o da quelle che vive nei propri rapporti con l’esterno Livello familiare: un sistema familiare, proprio per il gioco di influenze reciproche e di interdipendenze che lo costituisce, sviluppa, inoltre, un insieme di premesse o credenze condivise. Attraverso la comunicazione, i membri di una famiglia non si scambiano soltanto informazioni o messaggi, essi negoziano dei significati da attribuire a eventi e comportamenti, costruiscono identità individuali e collettive, definiscono ruoli e relazioni, sviluppano un modo specifico di organizzare la realtà. Le premesse o credenze condivise in una famiglia costituiscono un contesto simbolico abbastanza stabile che dà senso all’esperienza individuale e congiunta, e organizza i comportamenti dei membri della famiglia nelle loro relazioni e nei rapporti con l’esterno Livello sociale: una famiglia, infine, essendo parte di una comunità socio-culturale, condivide con questa sistemi di credenze che definiscono che cosa è accettabile e desiderabile in termini di comportamenti, ruoli e rapporti familiari. Tali credenze concorrono alla determinazione delle dinamiche familiari che, a loro volta, contribuiscono a sviluppare e mantenere stereotipi, ideologie, valori condivisi sul piano sociale Le credenze personali, familiari e sociali si originano, si mantengono e si trasformano attraverso le relazioni che i membri della famiglia intrattengono in diversi contesta intra ed extrafamiliari, intra e transgenerazionali, interpersonali, sociali e istituzionali. Tali credenze comportano dunque livelli diversi di condivisione, ma hanno tutte un’origine sociale. Esse sono inoltre profondamente interconnesse, in quanto concorrono sia alla determinazione dei processi di attribuzione di significato all’esperienza individuale e collettiva, sia all’organizzazione dei comportamenti interpersonali. La realizzazione delle funzioni materna e paterna costituisce un esempio particolarmente vivido di questa interconnessione di livelli. Significati, costrutti e rappresentazioni personali L’ecologia della mente di Bateson, la teoria dei costrutti personali di Kelly, la psicoanalisi junghiana, la fenomenologia essenziale di Laing costituiscono i diversi ma convergenti riferimenti teorici degli autori che hanno sottolineato l’importanza della cognizione nell’organizzazione dei comportamenti interpersonali nelle famiglie. Contesto, costrutto personale, prospettiva, archetipo (o mito personale) sono i termini utilizzati per indicare le strutture cognitive individuali che guidano l’azione dei membri di una famiglia nei loro rapporti. A questi diversi termini corrispondono differenze, ma anche analogie di impostazione teorica. Esiste infatti una convergenza, sull’ipotesi secondo la quale le persone attribuiscono un significato ai comportamenti e agli eventi in base a sistemi di credenze, dell’altro, della relazione fra gli interlocutori e della situazione entro cui agiscono. La retroazione di ogni soggetto ai comportamenti altrui o agli eventi dipende: • • • Dal suo sistema di rappresentazioni Dal significato che, in base al sistema di rappresentazioni, attribuisce al comportamento altrui Dal tipo di risposta che pensa di ottenere allo scopo di mantenere una coerenza all’interno del proprio sistema di rappresentazioni e fra questo e il proprio comportamento I modelli interattivi ripetitivi che caratterizzano un gruppo familiare sono costruiti e alimentati dalla continua coordinazione dei sistemi di credenze personali dei vari membri della famiglia, coordinazione che ha luogo attraverso i comportamenti interattivi di questi ultimi. La dinamica interattiva si configura come una continua coordinazione di azioni e significati, all’interno della quale le idee di ogni individuo lo portano a comportarsi in modo da confermare o sostenere le idee di ogni altro membro della famiglia secondo uno schema nel quale il comportamento di ognuno è cognitivamente coerente con il comportamento di tutti gli altri. Le differenze più significative sono nel modo in cui le rappresentazioni individuali si coordinano nelle relazioni familiari riguardano l’ordine di tali rappresentazioni e la loro dinamicità. Attraverso i concetti di costrutto personale e di archetipo si mette l’accento su quelle rappresentazioni che, come l’immagine di sé, hanno origine nelle interazioni che un oggetto intrattiene nei primi anni della sua vita all’interno della famiglia di origine e che si configurano come tendenzialmente stabili, il concetto di contesto di significato fa riferimento a quelle rappresentazioni che si originano nell’interazione attuale e che dunque risultano più dinamiche. L’idea che un individuo ha della propria relazione con l’altro, ad esempio, non è definita una volta per tutte, ma è sottoposta a costante rinegoziazione. I processi di costruzione, mantenimento e cambiamento dei sistemi di rappresentazione personale, inoltre, non sono limitati all’ambito familiare. Ogni persona è parte di molteplici contesti relazionali significativi nei quali si comporta a partire dal proprio sistema di rappresentazioni, ma anche attraverso i quali genera e trasforma parti importanti di tale sistema. Le azioni interpersonali dei componenti della famiglia sono guidate da rappresentazioni personali. Attraverso i processi interattivi quotidiani, i membri della famiglia negoziano infatti significati e producono modi per costruire la realtà che sono condivisi e che regolano, insieme a quelli individuali, le loro dinamiche. I sistemi di credenze familiari L’insieme delle premesse, rappresentazioni e credenze condivise da tutti i membri della famiglia è stato definito in modo diverso da diversi autori. Il merito di avere posto con efficacia l’accento sulla condivisione di sistemi di credenze da parte dei membri della famiglia e di avere richiamato l’attenzione sul ruolo che essi hanno nella determinazione delle dinamiche interattive è di Ferreira che parla del mito familiare: “Un certo numero di opinioni ben sistematizzate, condivise da tutti i componenti della famiglia, concernenti i reciproci ruoli familiari e la natura della loro relazione. Alcuni di questi miti sono così integrati nella vita di tutti i giorni da divenire parte ineliminabile del contesto percettivo all’interno del quale i membri della famiglia vivono. Sono opinioni condivise e sostenute da tutti i membri della famiglia quasi che fossero le ultime verità al di sopra di ogni conflitto e di indagine.” Il mito familiare è composto dalle credenze condivise da tutti i membri relative a che cosa la propria famiglia è o dovrebbe essere. Le azioni che i componenti della famiglia mettono in atto sia nel contesto delle relazioni reciproche, sia in quello dei rapporti con l’ambiente esterno, o anche nei processi di decisione e di risoluzione dei problemi, sono finalizzate a mantenere tale l’immagine. L’azione familiare è cioè subordinata alle credenze che i membri della famiglia hanno di se stessi e del gruppo; tali credenze assumono il carattere del mito proprio in quanto non vengono sottoposte a verifica né messe in discussione. Il mito si attua attraverso la comunicazione, ma non può essere esso stesso oggetto di comunicazione. Questo veto implicito a ‘’metacomunicare’’ è un suo vitale elemento costitutivo, che lo alimenta e lo perpetua. Nell’accezione di Ferreira, le concezioni che costituiscono il mito familiare non si modificano in rapporto all’esperienza, che viene anzi interpretata, ridefinita e ricostruita in modo da risultare coerente con esso. Il mito contiene in definitiva una descrizione dei rapporti, dei ruoli, delle caratteristiche e delle attitudini personali, che non corrisponde alle attitudini personali ”reali”. I miti familiari, afferma Ferreira sono per le famiglie ciò che i meccanismi di difesa, elaborati dalla psicoanalisi, rappresentano per gli individui. I miti, distorcendo la realtà, permettono alle famiglie di evitare tensioni, conflitti, eventi dolorosi percepiti come distruttivi per il gruppo stesso. Il mito ha soprattutto l’effetto di ridurre al minimo i cambiamenti del sistema familiare, di garantire il mantenimento degli equilibri raggiunti e di impedire l’innesco di processi morfogenetici. Esso ha funzione equilibratrice dal momento che esso fornisce spiegazioni plausibili per giustificare l’esistente. La teoria proposta da Ferreira prefigura un rapporto fra processi simbolici e interazioni familiari che esclude il cambiamento: mito e comportamenti interattivi si confermano reciprocamente in un gioco il cui fine ultimo è il mantenimento del mito stesso e in cui non esiste la possibilità che gli eventi e i rapporti dei membri della famiglia fra loro e con altri producano modificazioni nel modo di pensarsi e di definirsi reciprocamente. Da questo punto di vista, il mito familiare finisce col risultare sempre disfunzionale, in quanto impedisce l’evoluzione del gruppo. Sebbene lo stesso Ferreira abbia ipotizzato che un certo numero di miti sia necessario per un facile svolgimento delle relazioni anche nelle famiglie più sane, la concettualizzazione che egli ne ha fornito lo rende appropriato a spiegare i processi delle famiglie dove è presente una patologia, nelle quali la continuità, essendo preservata a scapito del cambiamento, si trasforma in una sofferente disfunzionalità. Il concetto di mito familiare come distorsione della realtà fa riferimento ad un impianto teorico costruttivista che è però collocato in una cornice epistemologica oggettivista. Esso infatti si regge sulla premessa implicite che ci sia per ogni famiglia una realtà oggettiva rilevabile dagli occhi di un qualsiasi osservatore esterno e una realtà ‘’familiare’’, costruita attraverso un intreccio di processi percettivi, simbolici e interattivi, che è tale soltanto per i componenti del gruppo. Non a caso, i miti di cui si riferisce in letteratura sono costituiti da credenze che nel loro assolutismo risultano, nella migliore delle ipotesi, utopie e, nella peggiore, deliri di onnipotenza e persecuzione. C’è un pericolo nel presumere che alcune famiglie vedano le cose in modo sbagliato. All’opposto, egli suggerisce, le famiglie percepiscono e interpretano l’esperienza nel modo in cui risulta loro funzionale. E tuttavia ciò che Ferreira ha identificato co0me mito familiare non può essere semplicemente ridotto a uno dei tanti ”punti di vista” che le diverse famiglie hanno sul mondo. Esso è un punto di vista che si distingue dagli altri non tanto perché falso o sbagliato rispetto ad una realtà oggettiva, quanto perché esso risulta inaccettabile sul piano della costruzione sociale della realtà. In questo senso il mito, piuttosto che una falsificazione della realtà, rappresenta un modo di costruirla che si contrappone ai modi consensualmente accettati sul piano sociale. È proprio nel rapporto della famiglia con l’ambiente sociale che emerge, infatti, la disfunzionalità di credenze rigidamente statiche. Quando la famiglia si confronta con richieste provenienti dall’ambiente che risultano incongruenti con la propria realtà, incomincia a provare disagio, confusione, sofferenza. È il momento in cui una famiglia può intraprendere la strada della trasformazione oppure reagire chiudendosi sempre più nel mito ed esporsi ad ulteriore sofferenza e confusione. Bagarozzi e Anderson pensano che il mito familiare è un insieme integrato e sistematizzato di credenze che, condivise da tutti i membri della famiglia, prescrivono ruoli e comportamenti nella vita quotidiana e guidano l’azione in determinati momenti critici. Questi due autori negano che i miti tendano solo ad autoconfermarsi, che rappresentino mistificazioni a servizio della stabilità e che siano dunque disfunzionali. Sulla base di dati di ricerca essi sottolineano il carattere dinamico e la funzione che esercitano tanto nella costruzione dell’identità del nucleo familiare quanto nei processi adattivo-evolutivo. Mentre per Ferreira il mito si costruisce e rimane congelato nel passato come una leggenda, per questi autori esso si costruisce e ricostruisce nel presente, nella negoziazione interpersonale tra i membri della famiglia, nella routines quotidiane, cosi come nei rituali familiari ed è sottoposto a periodiche revisioni e trasformazioni in risposta alla crescita e allo sviluppo dei membri della famiglia. Infine si ridefinisce in risposta alle richieste che provengono dall’esterno, alla mutevolezza dei contesti ambientali e delle realtà circostanti. Secondo questa impostazione, il mito familiare non è tanto un meccanismo omeostatico al servizio del non cambiamento, quanto un importante elemento nel processo di costruzione dell’identità del nucleo, che è la base imprescindibile per ogni processo evolutivo. Esso assolve, cioè, a una doppia funzione: da una parte garantisce la continuità e mantiene la stabilità, dall’altra promuove il cambiamento, la crescita e lo sviluppo. Il mito familiare dunque è un processo che identifica due fenomeni diversi. Per Ferreira, esso è una costruzione simbolica della famiglia che la protegge dalle minacce di cambiamento che vengono dai rapporti con l’esterno; nell’accezione di Bagarozzi e Andreson, esso è un’immagine ideale che si costruisce nei rapporti intrafamiliari e sociali, e che orienta la famiglia nel suo sviluppo. Il mito è considerato all’origine di una organizzazione familiare patologica, nell’altro accompagna i processi evolutivo-adattivi di qualunque nucleo familiare. Ferreira riserva la definizione di mito a quelle idee, credenze od opzioni sistematizzate che non mutano nel tempo; secondo Bagarozzi e Anderson il mito include tutte le idee, le credenze e le opinioni condivise che compongono l’immagine della famiglia, immagine che in generale si adatta alle trasformazioni operate da un gruppo nel corso della sua storia, e che soltanto in alcuni casi si fissa, si irrigidisce e crea così disfunzioni del nucleo familiare. Si preferisce qui riservare il termine mito per designare quelle credenze condivise da una famiglia che emergono come disfunzionali dal confronto con la realtà socialmente costruita, e utilizzare invece l’espressione narrazione familiare per indicare l’insieme di credenze, rappresentazioni e valori che attraverso l’esperienza della famiglia, spesso plurigenerazionale, si sedimentano nella sua storia e che per i suoi membri sono descrittivi dell’identità del gruppo. Il paradigma familiare è il modo in cui le famiglie costituiscono l’ambiente sociale e se stesse in rapporto ad esso. La prospettiva paradigmatica è un modo di organizzare la nostra comprensione teorica della variazione empirica nei modi di organizzarsi e di comprendersi da parte delle famiglie e di altri sistemi umani. Si parte del presupposto che le forme e le modalità con cui le famiglie si strutturano e funzionano siano molteplici e che non vi siano modelli predefiniti di funzionalità o disfunzionalità. La qualità degli stili di funzionamento emerge dal rapporto che si stabilisce in ogni famiglia tra: • • • La forma assunta dai comportamenti interattivi messi in atto dai membri della famiglia Il tipo di regole che informano l’azione familiare Il modo in cui le famiglie costruiscono la realtà L’approccio paradigmatico qui discusso indaga su come la visione del mondo condivisa nella famiglia determina il suo funzionamento. Il più significativo contributo per un’analisi della famiglia intesa come complesso sistema di interconnessione fra significati, comportamenti, percezioni e sentimenti è stato fornito da Reiss (1981) attraverso l’elaborazione del concetto di paradigma familiare. Inteso come proprietà emergente dall’esperienza di una famiglia contestualizzata nello spazio e nel tempo, il paradigma familiare riflette, secondo questo autore, le modalità tipiche del funzionamento della famiglia sia in termini di premesse, convinzioni e credenze, che in termini di modelli dell’azione familiare. I paradigmi familiari specificano le proprietà fondamentali del mondo percettivo, proprietà che sono date, non soggette a discussione, che non possono essere né verificate, né disapprovate attraverso l’esperienza, l’analisi e la discussione. Esse specificano come il mondo percettivo deve essere indagato, quali conclusioni possono essere tratte dall’indagine. I paradigmi strutturano le relazioni della famiglia con l’ambiente sociale, sincronizzano l’azione di ogni membro con quella degli altri, mantengono la continuità della famiglia col proprio passato. Il paradigma è una variabile ‘’sistemica’’ ed è espressione di caratteristiche della famiglia come insieme. Secondo ricerche condotte in laboratorio, i modi che definiscono i processi di costruzione della realtà da parte dell’intera famiglia non sembrano essere influenzati né dagli stili cognitivi personali né da altre variabili individuali quali la capacità di astrazione, intelligenza verbale, livello di educazione, età. Il modo in cui un gruppo familiare concepisce se stesso e la propria realtà è il risultato di un processo che si sviluppa nel tempo, sia attraverso le relazioni che esso intrattiene con il proprio contesto socio-culturale, sia attraverso la negoziazione condotta al suoi interno dai componenti. Proprio in quanto risultato di un processo sociale di negoziazione interpesronale, cioè di processi trasformativi, il paradigma costituisce un punto di vista condiviso da tutta la famiglia. Il paradigma familiare ha una doppia valenza, cognitiva e valoriale. Nella sua valenza cognitiva il paradigma familiare è inteso come l’insieme di premesse e credenze riguardanti la natura dell’ambiente sociale e la collocazione della famiglia in esso riguardano la percezione di persone o di eventi, “le connessioni, la strutturazione e l’origine degli stimoli animati ed inanimati. Dal punto di vista valoriale il paradigma familiare include gli ideali, le priorità e i significati condivisi a livello familiare; in altri termini, esso descrive l’approccio adottato da una famiglia nei confronti delle questioni fondamentali del vivere in comune. Sia nella sua connotazione cognitiva che in quella valoriale, il paradigma della famiglia assolve ad una doppia funzione: quella di orientare i componenti nelle interazioni della vita di tutti i giorni e quella di fornire loro un punto di riferimento per far fronte al nuovo, al diverso, a ciò che non è conosciuto. Il rapporto fra paradigma e comportamento interattivo è bidirezionale. Infatti, se da una parte il paradigma familiare struttura le dinamiche relazionali intra ed extrafamiliari, dall’altra si genera attraverso le stesse dinamiche. In questo senso di paradigma familiari sono concepiti in una prospettiva dinamica: si formano e si trasformano attraverso i processi interpersonali e sociali. Questo concetto si differenzia da quello di mito familiare. Quest’ultimo è composto da opinioni o da immagini relative alla famiglia, che guidano il comportamento dei membri in risposta a stimoli esterni, il paradigma definisce sia gli stimoli che la risposta da essi evocata. Il paradigma familiare guida all’azione: esso costruisce gli elementi dell’ambiente in cui l’azione ha luogo. La ricerca si è focalizzata sull’individuazione e descrizione delle dimensioni attraverso le quali è possibile distinguere le diverse forme che può assumere un paradigma familiare. Tali dimensioni risultano diverse a seconda che si ponga l’accento sulla sua valenza cognitiva o valoriale. Gli autori che studiano i paradigmi familiari soprattutto come stili di costruzione sociocognitiva della realtà indicano tre dimensioni: • • Configurazione: riguarda le credenze relative alle caratteristiche dell’ambiente sociale. Da questo punto di vista, le famiglie si differenziano a seconda che concepiscano il modo come ordinato e controllabile, cioè regolato da un sottostante e stabile insieme di principi che si possono conoscere (alta configurazione) oppure che lo concepiscano come caotico e incontrollabile, cioè organizzato da forze invisibili e capricciose che si muovono per proprio conto (bassa configurazione) Coordinazione: si riferisce alle possibili variazioni delle credenze familiari relative al modo in cui la famiglia è e a come viene percepita dall’ambiente sociale. Alcune famiglie pensano a se stesse come insieme unitari e in quanto tali trattate anche dall’ambiente sociale (alta coordinazione), altre si pensano come aggregati di individui che intrattengono separatamente rapporti con il contesto in cui sono inserite (bassa coordinazione) • Chiusura: è deputata per la chiusura e apertura all’informazione, distingue tra le fa famiglie che considerano gli eventi del mondo sociale come essenzialmente nuovi e interpretabili sulla base dell’esperienza attuale (aperte all’informazione), e le famiglie che considerano il mondo sociale come consueto, riconoscibile e interpretabile sulla base dell’esperienza passata (chiuse all’informazione) Il concetto di paradigma familiare presenta diverse analogia, per la sua definizione e per le funzioni a cui assolve, con quello di rappresentazione sociale elaborato da Moscovici. I diversi paradigmi familiari si compongono tramite le diverse possibili intersezioni di queste tre dimensioni, la cui misurazione viene effettuata nelle situazioni di problem-solving, cioè in circostanze in cui le famiglie devono assolvere ad un qualche compito ad esse assegnato. Dai comportamenti dei membri della famiglia in tali situazioni è possibile risalire al modo in cui la famiglia concepisce il mondo sociale, al modo in cui si pensa percepita da esso e a quanto essa è aperta o chiusa alla nuova informazione. Sono stati individuati diversi tipi di paradigmi familiari: • • • • La famiglia sensibile al contesto: l’ambiente è concepito come caotico e incomprensibile, la famiglia si pensa e pensa di essere percepita come un gruppo unitario e coeso, ed è chiusa alla nuova informazione. La dinamica predominante si caratterizza per la ricerca di vicinanza, unione e accordo tra i membri. Il consenso viene rapidamente raggiunto perché il dissenso, non tollerato, non viene permesso e perché scarsissima considerazione viene data all’informazione proveniente dai rapporti con l’ambiente sociale La famiglia sensibile alla distanza interpersonale: l’ambiente è concepito come caotico e incomprensibile, la famiglia si pensa e pensa di essere percepita come un aggregato di individui separati, e mentre l’informazione dall’ambiente è riconosciuta e accolta, essa non viene scambiata tra i membri della famiglia. I componenti appaiono disaggregati. Il consenso può essere raggiunto velocemente sulla base di scarse informazioni o procastinato a causa di un’accumulazione infinita di ulteriori informazioni che tuttavia non diventano mai patrimonio del gruppo nel suo insieme La famiglia sensibile all’ambiente: si considera e pensa di essere percepita come un gruppo unitario e concepisce l’ambiente come ordinato, comprensibile e controllabile; è inoltre aperta alla nuova informazione. È caratterizzata da un intenso scambio comunicativo tra i membri. Il consenso, ritenuto importante, non viene però rapidamente raggiunto perché i membri tendono a incorporare nuove informazioni e a valutare, in modo negoziale, diverse opzioni proposte La famiglia sensibile al risultato: l’ambiente è considerato ordinato, controllabile e comprensibile, la famiglia si concepisce e pensa di essere percepita come un aggregato di individui separati, è aperta alla nuova informazione. I membri sono sensibili all’informazione e agli stimoli sollecitati dall’ambiente e dagli altri componenti del gruppo, ma operano in modo totalmente indipendente l’uno dall’altro. Il consenso, non rapidamente raggiunto, consiste spesso in soluzioni originali e creative alle questioni affrontate. Questi paradigmi non tracciano differenze fra le famiglie funzionali e quelle disfunzionali, descrivono soltanto modi diversi di costruire la realtà da parte delle famiglie. Essi, inoltre, non sono da prendere come una classificazione esaustiva dei casi possibili, ma soltanto come delle esemplificazioni. Alcune famiglie risultavano caratterizzare da una concezione dell’ambiente come non ordinato e incomprensibile, da una percezione di se stesse come un gruppo coeso e della propensione ad aprirsi a nuove informazioni. Tale forma paradigmatica può apparire contraddittoria e questo tipo di paradigma permette tuttavia di precisare come le dimensioni che definiscono le variazioni familiari non siano da intendersi come l’una conseguente all’altra. È possibile cioè che una famiglia consideri il mondo sociale mutevole, che riconosca in esso la novità, che sia dunque aperta alle informazioni e che però contemporaneamente lo ritenga incontrollabile. È un paradigma che si accompagna ad un modo particolare di interagire con l’ambiente sociale, consistente in una scarsa propensione a integrare nella famiglia personaggi estranei (minacciosi per la coesione del gruppo) e, per converso, in una certa curiosità nei confronti di oggetti inanimati che, per quanto percepiti come non governati da alcun principio regolatore, non rappresentano alcuna minaccia alla coesione del gruppo. La ricerca sui modi di costruire la realtà da parte delle famiglie è significativa proprio perché fornisce indicazioni sulle relazioni sociali che una famiglia intrattiene. Si configura così un approccio allo studio delle famiglie che non ha una funzione diagnostica ma piuttosto una rilevanza sul piano terapeutico, perché mette a fuoco proprietà delle famiglie che possono influenzare il modo in cui esse rispondono al trattamento. Un approccio che individua le differenze tra i modi in cui le famiglie costruiscono gli ambienti sociali e reagiscono ad essi può fornire indicazioni su come esse rispondono a quei particolari contesti sociali. Un’altra diversa classificazione è quella proposta da Constantine: In questo caso i paradigmi si differenziano per il diverso significato che le famiglie attribuiscono ai principali processi sistemici, in particolare per il diverso valore attribuito alla stabilità e al cambiamento, alla coesione e all’autonomia, oltre che per il modo di concepire le interconnessioni tra i differenti processi in questione. A partire da tale premessa e rielaborando una precedente classificazione è stato costruito da Leher uno schema articolato in quattro forme paradigmatiche. Si tratta di paradigmi familiari di base che rappresentano un punto di riferimento per lo studio delle singolarità familiari, concepite come combinazione idiosincratiche degli elementi contenuti nelle quattro forme pure. I quattro paradigmi individuati sono: • • • • - Chiuso: le famiglie sono fondamentalmente omeostatiche, contrastano qualsiasi variazione del modello consolidato, fanno riferimento ai principi dell’autorità e della conformità alle norme e hanno un modello di organizzazione gerarchica dei rapporti. Danno priorità alla continuità e all’uniformità, in un eventuale conflitto la famiglia viene per primo e viene considerata più importante dell’individuo. I valori che lo compongono sono: Stabilità Sicurezza Appartenenza Casuale: si associa ad uno specifico modello interattivo e cioè quello del mutamento costante. Le famiglie guidate da questo paradigma optano per il cambiamento. Grande importanza viene attribuita all’individualità, la creatività individuale e l’autonomia egualitaria, sono considerate le fonti della vita familiare. Il nucleo centrale di questo paradigma è rappresentato da: Novità Creatività Individualità Aperto: i conflitti di interesse tra gruppo e individui sono superabili attraverso la negoziazione e la collaborazione, la stabilità è concepita come dimensione che si coniuga con il cambiamento, i bisogni e gli interessi degli individui sono pensati come integrabili con quelli del gruppo familiare. Le caratteristiche sono: Efficacia Adattabilità Partecipazione Sincrono: fa affidamento sulla coincidenza spontanea di obiettivi, scopi e modi di pensare, anziché sulla negoziazione e sulla comunicazione. Le caratteristiche sono: Immagine dell’armonia Della tranquillità Mutua identificazione Gli specifici paradigmi delle singole famiglie si configurano come forme miste, caratterizzate dalla presenza di gradi diversi di adesione alle credenze descritte in questi modelli e ipoteticamente equivalenti sul piano della funzionalità. Le forme paradigmatiche rappresentano due diverse griglie di osservazione per lo studio delle famiglie. La prima si configura soprattutto come una guida per l’analisi delle relazioni interne alla famiglia; la seconda è soprattutto di orientamento per l’indagine sulle relazioni che la famiglia intrattiene nel contesto sociale. Le due griglie non sono tra loro alternative ma le reazioni delle famiglie di fronte agli eventi e alle situazioni non sono guidate soltanto dai valori. Tali reazioni sono anche determinate dall’eventualità che: • • • • La famiglia prende atto della novità dell’evento o si concentra sui significati che esso assume rispetto al proprio passato Ogni componente percepisce i propri sforzi come parte degli sforzi del gruppo oppure come compito personale La famiglia percepisca se stessa o l’ambiente esterno come soggetto attivo della propria riorganizzazione La famiglia consideri l’ambiente sociale con cui è in rapporto come estraneo e minaccioso oppure come degno di fiducia La famiglia e l’ambiente sociale Una famiglia è, al tempo stesso, in rapporto con l’ambiente e parte dell’ambiente con cui intrattiene i rapporti; una considerazione, questa, che chiama in causa due diverse prospettive di analisi. La famiglia in rapporto all’ambiente. In questa ottica si analizza come la famiglia, in quanto gruppo, elabora credenze, valori e rappresentazioni attraverso la comunicazione e la negoziazione interpersonale fra i membri. Questo sistema di premesse condivise, o paradigma familiare, costituisce la base attraverso la quale la famiglia costruisce l’ambiente sociale con cui intrattiene rapporti. L’ambiente sociale, rappresenta, L’esterno per la famiglia, cioè il vincolo che la sollecita ad una costante riorganizzazione e ridefinizione. Quando si analizza la famiglia in rapporto all’ambiente, quest’ultimo viene soprattutto considerato come l’insieme di eventi e situazioni rispetto ai quali la famiglia attiva processi adattivi, cioè muta per rimanere se stessa. I rapporti fra famiglia e ambiente sono regolati dai modi in cui la famiglia stessa costruisce la realtà; essi ricorsivamente si adattano e mutano di fronte alle perturbazioni e alle variazioni dell’ambiente. La famiglia parte dell’ambiente. Da questo punto di vista, l’ambiente è l’insieme delle relazioni sociali e dei processi comunicativi di influenzamento reciproco a cui i membri della famiglia partecipano sia come singoli sia come appartenenti al gruppo. È il contesto in cui si generano, si mantengono e si trasformano credenze, stereotipi, ideologie, rappresentazioni e valori condivisi sul piano sociale e quindi anche dai componenti della famiglia in quanto membri della comunità allargata. Il modo in cui le persone ‘’fanno famiglia’’, sviluppano i legami, affrontano compiti e problemi, si rapportano con l’ambiente circostante è quindi la risultante di processi di costruzione della realtà e di azioni congiunte guidati anche da sistemi di premesse che i membri della famiglia condividono in quanto appartenenti ad una più vasta comunità socio-culturale. L’immagine che una famiglia ha di se stessa, del mondo sociale e della propria collocazione in esso non è indipendente dalle idee e dai valori socialmente condivisi rispetto a che cosa ‘’la famiglia’’ sia o debba essere e a quali principi ne debbano regolare i ruoli e i rapporti all’interno e con l’esterno. Attraverso la comunicazione, le pratiche sociali e quelle istituzionali, una comunità elabora rappresentazioni condivise di ‘’famiglia’’. Il rapporto fra ambiente sociale e gruppo familiare si configura come un rapporto circolare: mentre, da una parte, le famiglie si strutturano e funzionano anche a partire da tali rappresentazioni sociali, dall’altra esse partecipano, attraverso le proprie dinamiche e le proprie interazioni sociali, al loro sviluppo, al loro mantenimento, ma anche alla loro trasformazione. Le ricerche sull’immagine di famiglia nelle rappresentazioni condivise non sono molto numerose e si sono avvalse di metodologie e procedure abbastanza diversificate. I risultati convergono nel documentare come l’immagine di famiglia ancora prevalente nel mondo occidentale industrializzato si identifichi con la famiglia nucleare composta da due adulti di sesso diverso che abitano con i figli. I dati di ricerca testimoniano anche di trasformazioni in atto, ma i cambiamenti non riguardano tanto l’immagine strutturale della famiglia, quanto la concezione dei rapporti intrafamiliari. La relazione fra i coniugi e fra genitori e figli a cui i soggetti fanno riferimento è improntata soprattutto alla parità, anziché alla dominanza maschile, allo scambio affettivo (rapporto tra persone) anziché a quello istituzionale (rapporto tra ruoli: genitori-figli, marito-moglie). Sono dunque le rappresentazioni dell’identità di genere, dei rapporti fra essi, della maternità e della paternità a risultare profondamente trasformate. È stato inoltre osservato che un corollario di questa immagine è una concezione del conflitto come negativo e non integrabile nell’idea di buon funzionamento familiare. Da ciò deriverebbe la tendenza delle famiglie a negare i conflitti o a viverli soltanto come eventi che portano alla disgregazione. Altri autori sottolineano come nell’enfasi posta sulle relazioni affettive di questa rappresentazione di famiglia sia implicita una riduzione dell’asimmetria intergenerazione (genitori-figli), che si traduce nell’incapacità da parte delle figure parentali di porre regole e vincoli ai figli. Numerose sono le ricerche che hanno indagato su quanto l’emergente rappresentazione dei rapporti intrafamiliari impostati sulla parità corrisponda anche ad una nuova organizzazione dei rapporti e delle relazioni. I risultati documentano che nelle famiglie contemporanee, a fianco di una sempre più diffusa tendenza alla valorizzazione della simmetria fra maschi e femmine sul piano affettivo e relazionale, sia nel rapporto di coppia che in quello con i figli, si conferma l’asimmetria fra maschi e femmine nella divisione del lavoro familiare, che rimane prevalentemente a carico della donna-madre-moglie. Le donne mostrano di avere una percezione dell’asimmetria come meno marcata di quanto non risulti all’analisi dei fatti. Questo dato è riconducibile alla distinzione, socialmente condivisa, fra lavoro di cura, femminile, e lavoro extradomestico maschile. L’indagine mostra che la credenza nella parità fra marito e moglie anche nei casi in cui sono le donne a fare la maggior parte del lavoro, è attivamente mantenuta da entrambi i membri della coppia allo scopo di preservare l’armonia familiare e di evitare i conflitti. La percezione o meno dell’incongruenza fra divisione del lavoro domestico e concezione delle relazioni di coppia si associa infatti al grado di soddisfazione coniugale e di conflitto. In particolare, un’asimmetria nella distribuzione dei compiti familiari e dei tempi di cura a svantaggio delle donne non comporta l’insoddisfazione di queste ultime, se esse hanno una concezione tradizionale dei ruoli sessuali, mentre all’opposto si associa a un elevato grado di insoddisfazione e alla presenza di conflitti di coppia, nel caso in cui esse hanno aspettative di parità fra i coniugi. Viceversa, gli uomini denunciano insoddisfazione e conflitti quando, pur partecipando poco al lavoro familiare, hanno una rappresentazione dei ruoli familiari tradizionale, mentre esprimono minore insoddisfazione quando il loro aiuto alla moglie nelle faccende domestiche si accompagna ad una concezione paritaria dei rapporti coniugali. La parità dei rapporti intrafamiliari oggi è un valore ampiamente condiviso, un obiettivo la cui realizzazione implica però un radicale trasformazione delle credenze legate al genere. A sua volta tale trasformazione non può che passare attraverso la presa d’atto dell’asimmetria, la quale comporta una gestione del conflitto resa difficile da una rappresentazione sociale di famiglia fondata sull’assenza di conflitti. La famiglia nucleare non rappresenta soltanto l’immagine socialmente condivisa di ciò che si intende quando si parla di famiglia, essa costituisce anche lo standard in base al quale vengono valutate le altre forme di famiglia. Le famiglia monoparentali, quelli ricomposte, quelle appartenenti a diversi gruppi etnici e quelle costituite da gruppi omosessuali. In quest’ultima tipologia sono considerate e valutate dal punto di vista del ‘’senso comune’’ e come tale valutazione si riverbera nelle dinamiche intrafamiliari. I risultati a cui la ricerca scientifica è pervenuta sono: • L’appartenenza familiare costituisce un fattore saliente nella percezione della persona: un individuo ritenuto un membro di una famiglia nucleare è valutato più positivamente di un individuo ritenuto membro di una famiglia a forma diversa. Ciò di cui non esiste però evidenzia è se e quanto questo incida sulle interazioni. • Gli stereotipi familiari influenzano anche il modo in cui i membri di famiglie diverse da quella tradizionale percepiscono se stessi. Non è dunque necessario che i membri di una famiglia siano oggetto di aperta discriminazione, per soffrire delle conseguenze derivanti dai pregiudizi sociali, dal momento che gli stereotipi condivisi giocano un ruolo determinante nei processi di costruzione dell’immagine di sé da parte dei membri stessi. Negli stereotipi sociali più ricorrenti, le famiglie con coppia omosessuale sono considerate non-famiglie. Il mancato riconoscimento sociale rende infatti difficile l’affermazione della propria identità familiare. Nel disconoscimento è contenuta anche l’impossibilità di elaborare un linguaggio per parlare di se stessi; l’unico lessico familiare a disposizione è costruito sulla differenza sessuale: molte famiglie sviluppano così dei codici privati che tuttavia non risultano adeguati nella comunicazione con l’esterno. Interviste condotte con genitori omosessuali hanno infatti messo in evidenza come questi soffrano di forte ansietà rispetto al rischio che i figli siano oggetto di discriminazione o ancor più rispetto alla possibilità che i figli, introiettando il pregiudizio omofobico, sviluppino un rifiuto o un’ostilità nei confronti dei genitori stessi. Nel caso poi in cui tale pregiudizio sia interiorizzato dai genitori medesimi, questi possono provare un senso di disprezzo nei confronti di se stessi che può esprimersi in comportamenti violenti o autodistruttivi, come l’abuso di sostanze. Gli stereotipi relativi alle famiglie ricomposte sono bene espressi dal linguaggio denigratorio che viene usato per indicarne i componenti: matrigna, patrigno, figliastro; essi tendono a connotare il gruppo familiare come tendenzialmente inadeguato o come espressione di un contesto di sofferenza per i figli. Dainton (1993) sottolinea che le donne, sposandosi, entrano in una famiglia in cui ci sono già dei figli, si trovano a dover fare i conti con due credenze mitiche e contrapposte: quella della ‘’matrigna cattiva’’ e quella dell’amore ‘’a pima vista’’. Per quanto riguarda quest’ultimo sono stati Visher e Visher (1979) a descriverlo come un mito che emerge dalla credenza secondo cui la famiglia nucleare costituisce l’unico possibile modello di famiglia. Da questo deriva sia l’idea che un secondo matrimonio crei di per sé una famiglia sia l’attesa che una ‘’matrigna’’ o un ‘’patrigno’’ amino automaticamente i loro ‘’figliastri’’ e che questi altrettanto automaticamente li contraccambino. Entrambi questi miti hanno conseguenze sul piano delle relazioni familiari. Nel tentativo di prendere le distanze dall’immagine negativa, il genitore non biologico rischia di mettere in atto strategie inadeguate nei confronti dei minori, o perché interviene soltanto con accondiscendenza. Il mito della famiglia nucleare crea aspettative irrealistiche rispetto ai rapporti e può diventare un vero impedimento alla presa d’atto dei problemi che invece inevitabilmente si presentano in un gruppo familiare che deve negoziare confini, ruoli, lealtà, vicinanze e distanze. I membri delle famiglie monoparentali si confrontano infatti con due credenze che nonostante le controprove fornite al riguardo dalla ricerca scientifica, rimangono radicate: la separazione dei genitori reca danni irreversibili nei figli e un genitore da solo (soprattutto se è la madre) è per definizione in una posizione di debolezza. La famiglia monoparentale è effetti considerata deviante e debole, segnata dal fallimento del rapporto fra i coniugi oltre che dalla colpa di mettere i figli in una situazione di sofferenza, e priva della struttura necessaria per garantire il benessere ai suoi membri. L’interiorizzazione di questi giudizi sociali negativi da parte dei membri della famiglia monoparentale può comportare un ostacolo ad un efficace mobilitazione delle risorse personali ed emotive necessarie per far fronte alle difficoltà quotidiane. Ricerche empiriche hanno dimostrato che le famiglie diverse da quella nucleare, siano esse monoparentali, con coppia omosessuale o ricomposte, non rappresentano di per sé dei contesti di sviluppo disfunzionali. Le difficoltà che queste famiglie incontrano sono infatti le stesse delle famiglie nucleari tradizionali e riguardano la definizione dei ruoli e dei confini, l’identità sessuale, i confini di lealtà, l’esercizio e il riconoscimento del potere e delle responsabilità, la regolazione della vicinanza e della distanza interpersonale. Nelle famiglie diverse da quella nucleare, questi problemi diventano tuttavia salienti dal momento che esse devono fare i conti, di caso in caso, con la mancanza del confronto con ruoli sessuali diversificati, con la presenza di più figure genitoriali, con l’assenza della figura materna o paterna, con la mancanza della quotidianità relazionale garantita dalla coabitazione, con le separazioni e i cambiamenti negli assetti familiari. È stato anzi sottolineato come proprio la diversità che caratterizza queste famiglie possa presentare dei ‘’vantaggi’’ per i loro membri. Nelle famiglie ricomposte, ad esempio, gli individui sperimentano una molteplicità di relazioni affettive che, nl momento in cui non vengono vissute in alternativa fra loro, compongono un contesto articolato nel quale essi imparano a coniugare vicinanza e distanza, intimità e autonomia. Visher indica in particolare tre ‘’lezioni’’ che altri tipi di famiglie possono imparare da quelle ricomposte. • • • Far fronte con efficacia a perdite e cambiamenti Accettare e apprezzare le differenze Sviluppare le relazioni attraverso una moltiplicazione di rapporti diadici Nelle famiglie omosessuali i figli sono educati alla tolleranza e alla accettazione di ciò che è diverso, al riconoscimento dell’uguaglianza nei rapporti, al rispetto per l’individualità di ogni persona e all’indipendenza dalle pressioni sociali al conformismo. Se queste famiglie devono essere considerate più a rischio, non è tanto per la loro struttura, ma semmai per i pregiudizi sociali con cui devono fare i conti; sono cioè questi ultimi che possono costituire un ostacolo rispetto alla realizzazione di un’organizzazione familiare adeguata alla loro struttura. Il rapporto fra stereotipi e funzionamento familiare non si configura come unidirezionale e casuale. Tale rapporto dovrà essere: • • • Contestualizzato nella complessità dell’intreccio tra processi individuali, familiari e sociali. L’interrogativo riguarda il modo in cui ogni singola famiglia interpreta e implementa in modo specifico lo stereotipo. Da una parte si riconosce che le credenze e le rappresentazioni condivise sul piano sociale influenzano le dinamiche familiari, dall’altra non si può ignorare che il rapporto fra stereotipi e funzionamento familiare è a sua volta circolarmente connesso con le rappresentazioni personali dei membri e con quelle che essi negoziano attraverso le loro interazioni e le loro strategie Letto alla luce di una prospettiva dinamica. L’interrogativo riguarda i modi in cui ogni famiglia fa fronte ai problemi che gli stereotipi sociali comportano sul piano delle relazioni intrafamiliari e con l’ambiente sociale. Le caratteristiche personali, le risorse a cui è possibile accedere, il tipo di sostegno sociale disponibile, la storia che caratterizza il formarsi di un gruppo familiare sono tutti fattori concomitanti che incidono sui processi attraverso cui le famiglie superano le situazioni di difficoltà, ivi incluse quelle determinate dalla presenza di stereotipi Proiettato nella circolarità del più generale rapporto fra ambiente sociale e famiglia. L’interrogativo riguarda il modo in cui le famiglie contribuiscono ai processi di trasformazione degli stereotipi familiari. Nei Paesi anglosassoni e in quelli nord-europei le famiglia che hanno forme diverse da quella tradizionale si costituiscono sempre più come minoranze attive, diventano cioè socialmente visibili nell’affermazione della loro differenza e sono in molti a pensare che questo può rappresentare l’inizio di un processo di trasformazione della famiglia non solo sul piano strutturale, ma anche su quello simbolico. La necessità di adottare modelli di analisi che considerino in modo interrelato i diversi livelli implicati nelle dinamiche familiari: individuale, interpersonale/familiare, sociale, da una parte, simbolico e interattivo dall’altra. Individui, famiglie e rapporti sociali: verso un’analisi multiprocessuale delle dinamiche familiare Recentemente la ricerca si è interessata alle differenze che caratterizzano gli uomini e le donne per quanto riguarda le modalità comunicative, la gestione dei conflitti, i modi di relazionarsi, i fattori percepiti come determinanti nella realizzazione della soddisfazione coniugale o nel mantenimento di uno stato di benessere, i significati attribuiti al lavoro domestico ed extradomestico, oltre che i fattori intorno a cui si compone un’identità di genere maschile o femminile. I risultati di questi studi delineano un quadro composto da caratteristiche tendenzialmente polarizzate. La tendenza delle donne ad agire secondo i principi dell’attenzione per l’altro, dell’empatia, della cooperazione e dell’accoglimento; mentre gli uomini risultano invece guidati dai principi dell’indipendenza, dell’autorealizzazione, della ricerca di soluzione dei problemi. Lo studio delle modalità femminili e maschili di superamento del superamento del conflitto ha inoltre messo in evidenza che mentre gli uomini tendono a distanziarsi, le donne danno priorità al mantenimento della comunicazione; mentre queste ultime tendono, cioè, alla coesione, i primi vanno verso il disimpegno nelle coppie, l’evitamento sia dei conflitti sia dei temi legati all’intimità ha più conseguenze negative per la salute delle donne che per quella degli uomini. Il modo in cui le donne si curano degli altri, inoltre, risulta connesso al calore emotivi, all’espressività, al sacrificio, alla sensibilità. Gli uomini invece sono legati al fare, al provvedere ai bisogni concreti dell’altra/o e al passare del tempo insieme. Mentre gli uomini si sentono minacciati dall’intimità, le donne si sentono minacciate dalla separazione; le donne tendono a fare riferimento all’etica della responsabilità, gli uomini sono orientati dall’etica dei diritti. In generale, nei rapporto di coppia, le donne sollecitano un costante scambio comunicativo e la discussione dei problemi, gli uomini tendono invece a ritirarsi e a chiudersi, secondo un circuito di amplificazione delle differenze per cui più la partner femminile sollecita lo scambio comunicativo, più il partner maschile si sente minacciato e si ritira, più la donna richiede di affrontare il problema, altre critiche rilevano che le donne sono infelici per l’insensibilità e la non comunicazione del partner e gli uomini sono infelici per il mancato riconoscimento delle mogli/compagne dei loro sforzi per connettersi ad esse. L’interpretazione di questi dati non è unanime. Innanzitutto si tratta di tendenze socialmente prevalenti e, in quanto tali, prescindono dal contesto della relazione interpersonale fra uno specifico uomo e una specifica donna; e proprio in quanto tendenze, esse non vanno in alcun modo generalizzate ad ogni uomo e ad ogni donna e ad ogni dinamica di coppia. Il periodo in cui sono state condotte le ricerche è comunque limitato a qualche anno addietro, mentre il quadro, simbolico e non, relativo alla condizione della donna nella società e nella famiglia, è in costante trasformazione. Le ipotesi esplicative delle differenze connesse al genere femminile e maschile sono due e sostanzialmente diverse fra loro. Una è quella che fa risalire le specificità del genere ai processi di socializzazione dai quali deriverebbe la formazione dei ruoli sessuali e della differenza sessuale; l’altra è quella che considera il genere una costruzione sociale che si produce e riproduce nelle interazioni quotidiane. Secondo la prima ipotesi, le differenze che si riscontrano fra uomini e donne sono riconducibili alla relazione con le figure materna e paterna o a processi di apprendimento sociale riguardanti la dimensione simbolica e comportamentale dei ruoli sessuali. Senza sottovalutare il ruolo svolto dai processi di socializzazione familiare nella costruzione delle differenze di genere, è tuttavia possibile riconoscere alcuni limiti insiti in questa impostazione. Un primo limite deriva dal fatto che la famiglia viene separata dal contesto socio-economico-politico. Inoltre, le differenze di genere vengono concepite come tratti individuali che, una volta acquisiti, permangono nel corso della vita: l’enfasi sulla stabilità di tali tratti impedisce ogni spiegazione del cambiamento. L’ipotesi in questione si presta, infine, ad essere utilizzata in senso giustificatorio e quindi conservativo degli aspetti sociali connessi alle differenze di genere rilevate. In questo modo si accresce soprattutto il rischio di giustificare il diseguale valore (simbolico e strutturale) attribuito socialmente al lavoro di cura e al lavoro produttivo come pure alla sfera privata e alla sfera pubblica. Per quanto riguarda la prospettiva che considera il genere una costruzione sociale che si produce e riproduce nelle interazioni quotidiane va precisato che ci si interroga sulle condizioni in cui le une e gli altri riproducono le differenze che li caratterizzano rispetto alla espressione degli affetti e alle cure reciproche, rispetto alle autonomie e alle realizzazioni personali, e rispetto ai rapporti di dominanza/sottomissione. Proponendosi come approccio multiprocessuale, questa prospettiva si fonda sull’ipotesi della interconnessione tra i diversi livelli implicati, tale per cui ogni livello determina l’altro e allo stesso tempo ne è determinato. Purtuttavia, una descrizione di tali interconnessioni comporta di necessità la scelta di un punto di avvio che, sottolineiamo, resta comunque e sempre arbitrario. In questa sede, si sceglie di partire da quelle differenze individuali che caratterizzano i comportamenti, gli atteggiamenti e le elaborazioni simboliche di uomini e donne, messe a fuoco dalle ricerche di cui si è riferito sopra. Ci si propone di illustrare in che modo tali differenze possano essere considerate l’esito di processi di costruzione e ricostruzione sociale ed impersonale a cui sia gli uomini che le donne partecipano attraverso le loro interazioni quotidiane. Molteplici sono i motivi che permettono di ricondurre al livello sociale le differenze individuali. Uno di questi è costituito dalla coerenza che tali differenze mostrano con le immagini contenute nelle rappresentazioni condivise dei caratteri maschili e femminili. È vero che le ricerche documentano il rifiuto da parte degli uomini ad essere identificati soltanto con le funzioni legate all’esercizio dell’autorità o alla produzione del reddito, e la loro aspirazione a essere invece riconosciuti come protagonisti attivi nelle relazioni affettive ed emotive. Come è vero che la storia degli ultimi anni testimonia dell’affermazione da parte delle donne della loro autonomia e libertà da vincoli di dominanza e sottomissione e del loro accesso ad ogni tipo di attività e professione extradomestica. Questi cambiamenti rimangono tuttavia iscritti all’interno di un quadro simbolico che associa l’espressività alle donne e la strumentalità agli uomini. È solo per le donne e non per gli uomini che si pone il problema di come conciliare le attività di cura familiare e quelle professionali. Le ricerche mettono in evidenza come la donna sia considerata e si consideri soltanto un aiuto rispetto al lavoro extradomestico, fonte del reddito familiare, e come l’uomo sia considerato e si consideri soltanto un aiuto in quello domestico legato alla cura. Queste elaborazioni simbolica sono a loro volta interconnesse con fattori strutturali. La ricerca sociologica documenta, infatti, come la divisione del lavoro, non solo dentro casa, sia ancora fortemente improntata alla differenza di genere. Le rappresentazioni, gli atteggiamenti e i comportamenti individuali sono dunque riconducibili a fattori sociali, sia simbolici che strutturali. Le differenze di genere sono evocate, create, mantenute e trasformate giorno per giorno nelle interazioni fra i membri della famiglia. Attraverso la comunicazione, le negoziazioni e i conflitti quotidiani, i membri della famiglia costruiscono, mantengono e cambiano significati e relazioni. Le ricerche condotte sulle interazioni fra genitori e figli documentano che il sesso del bambino attivi nei genitori delle aspettative legate alle credenze socialmente condivise circa l’essere maschio o femmina e innesca un processo circolare che trasforma le caratteristiche di base del bambino in quelle di genere che il sistema genitori-figlio di una determinata cultura si aspetta che siano. È nella compresenza di antiche e nuove rappresentazioni sociali dell’essere uomo e donna che si aprono gli innumerevoli spazi in cui i membri di una famiglia mettono in atto personali e specifiche strategie interattivi, ivi inclusa anche quella conflittuale; attraverso tali strategie, essi contribuiscono a confermare, sfidare, giustificare, mutare le aspettative e le credenze legate alla differenza di genere. La prospettiva di analisi qui sinteticamente illustrata sulla posizione della donna nella famiglia può essere considerata paradigmatica per un’analisi multiprocessuale delle dinamiche familiari; per un’analisi cioè di tipo circolare che considera: • • • • • Le relazioni all’interno della famiglia tra famiglia e ambiente (1) Come l’esito di processi interpersonali, a valenza sia simbolica che interattiva (2) Alimentati da differenze individuali (3) Che sono riconducibili a processi macrosociali, a valenza sia simbolica e sia strutturale (4) Che sono a loro volta mantenuti e trasformati anche attraverso l’interazione fra i membri della famiglia e fra questa e l’ambiente (1) Cpt.4) I processi evolutivi nelle famiglia Le famiglie come unità dinamiche Un gruppo familiare, in ogni momento della sua storia, è l’esito di due processi intrecciati: quello morfostatico, che ne garantisce la continuità e la stabilità nei confronti delle costanti variazioni dell’ambiente circostante, e quello morfogenetico, che regola la sua trasformazione. L’idea di morfostasi fa riferimento ai processi di ricostruzione della propria identità che ogni famiglia opera, attraverso le interazioni e le pratiche quotidiane; identità che ha il suo fondamento nel sistema di credenza condivise che i membri hanno su se stessi, come individui e come gruppi, sui propri ruoli, sulle proprie relazioni (i miti, i paradigmi, le rappresentazioni familiari e gli stereotipi). I processi di costruzione e ricostruzione dell’identità familiare garantiscono la continuità di un contesto relazionale di appartenenza all’interno del quale gli individui sviluppano la propria autonomia personale, seguendo così percorsi di differenziazione. Processi morfogenetici e processi morfostatici sono profondamente interrelati: la possibilità, per una famiglia, di rimanere se stessa è legata alle sue capacità di mutare in relazione ai cambiamenti dei suoi componenti e a quelli che intervengono nell’ambiente in cui è inserita e con cui intrattiene i rapporti. I processi morfostatici hanno a che fare con la continuità familiare, cioè fanno riferimento alla possibilità, per la famiglia, di riconoscersi/identificarsi anche nelle trasformazioni. Dalla ricerca clinica emerge infatti che i gruppi familiari rigidi, che mantengono la propria omeostasi a scapito di ogni trasformazione sperimentando la paralisi, il disorientamento, la perdita di senso e altre disfunzionalità patologiche. Le famiglie sono unità dinamiche soggette a cambiamenti continui a diversi livelli: individuale, interpersonale, gruppale e sociale. • • • • Individuale: ogni gruppo familiare è sollecitato dalle trasformazioni connesse con lo sviluppo emotivo, cognitivo e fisico dei singoli componenti. I bisogni personali e i modi di relazionarsi agli altri familiari mutano col mutare delle condizioni in cui ogni singolo componente si trova in tempi diversi del suo processo di crescita. Le modalità con cui una famiglia nel suo insieme realizza la coesione del gruppo favorisce l’autonomia dei singoli e cambiano necessariamente in rapporto ai cambiamenti intervenienti nei percorsi di crescita individuali. Interpersonale: le relazioni fra i membri si costituiscono, si trasformano, si affievoliscono, si arricchiscono, si sciolgono. I mutamenti che intervengono nei rapporti fra i membri relativamente al grado di intimità, scambio comunicativo, condivisione di valori o scopi, conflittualità che caratterizzano i vari rapporti familiari comportano ristrutturazioni a livelli dell’intero sistema di relazioni. Gruppale: la riorganizzazione delle relazioni e delle pratiche familiari è sollecitata dai mutamenti che avvengono nella composizione del gruppo. L’atto di inizio di un sistema familiare coincide solitamente con l’unione di fatto o matrimoniale di una coppia, ma la formazione di una famiglia si ha anche con la nascita di un figlio nel caso in cui la donna decida o subisca la non coabitazione con il partner. Analogamente, l’estensione del gruppo familiare avviene con la nascita dei figli, ma può avvenire anche in seguito ad un matrimonio o ad un’unione di fatto contratti dal genitore di una famiglia monoparentale, oppure anche in seguito alla necessità di accogliere un membro della famiglia allargata bisognoso di assistenza e cure. La famiglia infine si contrae per la morte di uno dei membri, per separazione, per abbandono o per la ‘’fisiologica’’ uscita dei figli. Le entrate e le uscite delle persone comportano una riorganizzazione delle relazioni a livello sia interattivo-comunicativo, sia simbolico, sia strutturale. Sociale: una famiglia si trova a dover fare i conti con gli innumerevoli mutamenti che intervengono nell’ambiente con cui è in relazione e di cui fa parte. Le condizioni economiche e quelle sociopolitiche-culturali si riverberano nelle famiglia in infiniti modi. I ‘’fatti’’ sociali che stimolano i processi adattivi familiari sono innumerevoli: la disoccupazione, l’avanzamento di carriera, la possibilità o meno di usufruire di servizi sociali, la necessità di emigrare per ragioni economiche o politiche, i cambiamenti culturali relativi alla condizione femminile, il razzismo. I pregiudizi ecc. si ripercuotono sulle famiglia sia al livello delle loro pratiche quotidiane che al livello delle dinamiche relazionali ad esse connesse. Un gruppo familiare, dunque, costruisce e ricostruisce equilibri in rapporto a mutate condizioni interne o esterne, ma anche in rapporto a cambiamenti che possono essere prevedibili o imprevedibili. I mutamenti attesi riguardano gli eventi legati ai processi di sviluppo individuale e familiare, quelli inattesi annoverano eventi quali un incidente, una malattia, una morte precoce, un disastro naturale, una improvvisa acquisizione di denaro, uno sfratto, una promozione di carriera. La prevedibilità dei cambiamenti, tuttavia, non è intrinseca agli eventi trasformativi. La prevedibilità di un evento non prescinde dalle aspettative e proiezioni che i membri della famiglia, come singoli e come gruppo, hanno circa il proprio futuro. Lo sviluppo dei membri e delle loro relazioni reciproche, i mutamenti strutturali del gruppo, le trasformazioni nel contesto sociale di appartenenza e gli accadimenti con i quali la famiglia di fronte alla necessità di modificarsi, aprono cioè delle fasi di transizione fra vecchie e nuove modalità interattive e relazionali, nel corso delle quali la famiglia può sperimentare un certo grado di stress, sofferenza e confusione. Le più recenti impostazioni di analisi dei processi di persistenza e/o cambiamento delle famiglie si basano sui seguenti presupposti: 1. I momenti di crisi familiare ricoprono una funzione positiva nella vita di ogni famiglia. Anche se momenti carichi di difficoltà e potenzialmente a rischio di conseguenze distruttive, essi costituiscono la condizione per l’innesco di processi evolutivi. Conflitti, confusione, sofferenza non siano necessariamente fattori negativi, ma ineliminabili condizioni dei processi trasformativi. 2. L’evoluzione di un gruppo familiare è legata alle modalità con cui fa fronte al disequilibrio che in esso si produce in seguito ai mutamenti dei suoi componenti e/o a quelli che intervengono nel contesto in cui è inserito e con cui intrattiene rapporti. L’interesse della ricerca è rivolto alle fasi di transizione tra un ‘’momento’’ e l’altro. 3. Una famiglia non reagisce ‘’a posteriori’’ agli stimoli interni o esterni e attesi o inattesi, ma è ‘’competente’’ e attiva nella determinazione dei suoi processi di adattamento. L’enfasi sulle risorse familiari e in particolare sul coping, ovvero sulle capacità di un gruppo familiare di far fronte (to cope) alle difficoltà o comunque agli eventi che comportano la ricostruzione di un diverso equilibrio. Con il concetto di coping si fa riferimento alle abilità di una famiglia nel saper individuare ‘’ le risorse disponibili nei singoli individui, nel sistema familiare e nel contesto sociale, saperle organizzare e utilizzare per gli scopi desiderati’’. Ciclo di vita familiare, microtransizioni ed eventi critici Ci sono delle differenze nel modo in cui i vari autori intendono lo sviluppo familiare: • • • Per alcuni esso è una successione di fasi, distinte l’una dall’altra da transizioni che comportano cambiamenti discontinui Per altri è invece un processo continui segnato da microtransizioni, a loro volta caratterizzate da oscillazioni fra vecchie e nuove modalità interattive e relazionali che sfociano nell’assestamento di un nuovo stile di funzionamento Altri ancora lo concepiscono come un percorso punteggiato da eventi critici che stimolano la famiglia a innescare processi trasformativi Ad ognuna di queste concezioni dello sviluppo corrisponde un modello ‘’tipico’’ di analisi. L’idea che le famiglie attraversino fasi è alla base della nozione di ‘’ciclo di vita familiare’’. Con questa espressione si fa riferimento alla successione dei momenti che scandiscono la vita dell’unità familiare dalla formazione alla dissoluzione. Il ciclo di vita familiare è ipotizzato come un percorso per tappe all’interno delle quali la famiglia è chiamata ad affrontare compiti specifici, definiti ‘’compiti di sviluppo’’, la cui soluzione permette l’avanzamento ad una tappa successiva. L’entrata e l’uscita di componenti e l’età dei figli sono i parametri che, incrociati fra loro, vengono privilegiati da numerosi autori. Da questo punto di vista, la formazione della coppia, la famiglia con bambini, quella con adolescenti, la famiglia che si confronta con l’uscita dei figli adulti e la famiglia con anziani, sono delle diverse tappe che tracciano il ciclo di vita familiare. Questa suddivisione rappresenta uno schema di base, una specie di minimo comun denominatore rispetto al quale alcuni autori operano ulteriori articolazioni o aggiunte. Hill (1986) propone un modello a otto fasi che distingue ulteriormente la famiglia con bambini in tre tipologie: famiglia con bambini molto piccoli, in età prescolare e in età scolare. Indica inoltre come significativo il periodo successivo all’uscita dei figli e precedente alla vecchiaia dei genitori, cioè la fase che egli definisce del ‘’nido vuoto’’ in cui la coppia ricostruisce un equilibrio a due. Carter e McGoldrick (1989) ritengono che l’inizio del ciclo di vita di una famiglia coincida con la separazione del/della giovane adulto/a dalla propria famiglia di origine. Queste autrici considerano tale momento distinto dalla formazione della coppia, che anzi ha come presupposto necessario il completamento della separazione psicologica dei soggetti della propria famiglia di origine. Si pone l’accento sull’importanza dei processi di differenziazione personale rispetto alla futura evoluzione delle relazioni familiari è anche riconducibile alle caratteristiche del contesto sociale in cui le autrici svolgono la loro analisi della famiglia, cioè il contesto nord-americano. Analogamente, la suddivisione adottata da Scabini deriva dall’analisi specifica delle attuali famiglie italiane per sottolineare che avviene una dilatazione dei tempi che caratterizza oggi, nel contesto Nazionale, il processo di autonomizzazione dei giovani. I processi trasformativi della famiglia consistono in una negoziazione fra i membri che si traduce nella ridefinizione di ruoli e regole e nella ‘’espansione, contrazione, riorganizzazione del sistema relazionale, allo scopo di sostenere l’entrata, l’uscita e lo sviluppo dei componenti in modo funzionale’’. Ad ogni transizione di fase del ciclo di vita familiare corrispondono uno o più compiti di sviluppo che comportano una ristrutturazione dei rapporti a livello di coppia, della relazione genitori-figli e di quella con le famiglie di origine; ristrutturazione che, se realizzata, si configura come un cambiamento discontinuo o di secondo ordine, riguardante cioè il livello dell’organizzazione del sistema familiare. Secondo lo schema classico del ciclo di vita familiare, quelli che sono i sintesi, i compiti connessi alle diverse fasi. Due persone, all’inizio della propria storia comune, sono impegnate sul doppio versante di costruire la propria identità di coppia e di riequilibrare i rapporti con le famiglie di origine, i quali devono poter includere il rispetto e l’accettazione della lealtà, della complicità e dell’impegno che legano la nuova diade e dunque devono poter aprire uno spazio all’autonomia del sistema coniugale in formazione. La nascita dei figli e la relativa assunzione delle responsabilità parentali implica un’inclusione nella coppia degli aspetti genitoriali e una rinegoziazione dei rapporti con la famiglia di origine rispetto all’espletamento dei ruoli materno, paterno e dei nonni. L’adolescenza dei figli richiede ad una famiglia la flessibilità necessaria a favorire l’indipendenza dei ragazzi, senza far loro mancare la protezione; sull’altro versante, l’inizio dell’invecchiamento della generazione precedente la mette di fronte alla necessità di garantire cura e sostegno ai nonni. La graduale realizzazione dell’autonomia dei figli costituisce quella fase in cui i rapporti fra i genitori e figli si ristrutturano sempre più come rapporti fra adulti, la coppia riorganizza la propria relazione sempre più svincolata dalle necessità di cura per i figli, la famiglia si apre all’eventuale ingresso di nuore, generi e nipoti e contemporaneamente affronta le problematiche legate al declino della generazione precedente. L’ultima fase del ciclo di vita trova la coppia a fare i conti con la propria vecchiaia e con la morte. Il ciclo di vita familiare è concepito come l’intreccio dei processi di sviluppo di tre generazioni e ogni fase è segnata dal compito della famiglia di provvedere a contemporanee e diversificate esigenze: affermazioni di indipendenza, assicurazione di cura e sostegno, realizzazione di legami. Molte delle ricerche sui processi evolutivi nelle famiglie hanno il ciclo di vita come punto di riferimento. Nonostante le innumerevoli ridefinizioni, il concetto di ciclo di vita familiare non si sottrae ai rischi di normatività e di riduttività. Il modello del ciclo di vita familiare presenta alcuni problemi. È un modello elaborato avendo a riferimento un tipo particolare di sviluppo familiare, quello cioè che si regge sul presupposto che le generazioni si seguano a intervalli regolari e che le fasi si succedano un ordine prestabilito. La descrizione di un ciclo di vita familiare che viene proposta comporta infatti che, mentre la nuova coppia si sta formando, la generazione precedente sia autosufficiente e proiettata a ricostruire i propri legami coniugali dopo aver portato a compimento l’autonomizzazione dei figli. Quando poi nascono i bambini, si suppone che la generazione precedente, non ancora bisognosa di assistenza, possa fornire il sostegno necessario alla generazione di mezzo nei compiti di cura ai nuovi nati. È solo quando la terza generazione si avvia verso la propria autonomizzazione che si suppone che i nonni incomincino a presentare bisogni di cura, che può infatti essere prestata dalla generazione di mezzo, nel frattempo liberata dalle cure dei figli. Questo quadro è sempre meno verosimile nella società odierna. La nascita del primo figlio avviene sempre più tardi ed è sempre più probabile l’evenienza in cui una coppia si trovi contemporaneamente a farsi carico dei propri figli e dell’assistenza ai genitori anziani. Una famiglia può essere allo stesso tempo famiglia con bambini piccoli e con adolescenti e dunque dover assolvere contemporaneamente alle necessità di flessibilità, di profondo sostegno reciproco e coesione. La formazione di una famiglia può avvenire in corrispondenza dell’unione di coppia, ma anche della nascita di un figlio, così come l’estensione del gruppo può avvenire per la nascita dei figli, ma anche, essendoci già dei figli, a seguito dell’unione di coppia. Inoltre, non sono soltanto i fattori anagrafici a differenziare i cicli di vita delle famiglie, il cui andamento è infatti profondamente influenzato anche dalle condizioni socio-economiche. Nelle famiglie a basso reddito l’assunzione dei ruoli adulti è precoce, a causa di altrettanto precoci gravidanze, e, per le scarse risorse economiche, le persone tendono a rimanere nella famiglia di origine anche dopo la nascita dei primi figli. A confronto con l’ampia variabilità che caratterizza oggi le famiglie, sia per condizioni socio-economicoculturali, sia per struttura e composizione, il concetto di ciclo di vita familiare, con la sua impostazione stadiale, rischia di emergere come un concetto normativo e dunque di insinuare l’idea che le famiglie che non seguono le fasi nel modo prefigurato siano necessariamente disfunzionali. Gli autori distinguono oggi tra ciclo di vita della famiglia nucleare di classe media, ciclo di vita della famiglia monoparentale, della famiglia povera, della famiglia ricomposta, della famiglia con coppia omosessuale ecc. tuttavia, come ogni classificazione, anche questa evoca rischi di riduzione della complessità dei processi familiari. I risultati della ricerca hanno mostrato come ogni famiglia abbia una propria specifica rappresentazione del proprio ciclo di vita, che è il risultato di un intreccio fra cronologie individuali, relazionali e sociali. Bisogna avere una cautela nell’assumere il modello del ciclo di vita familiare in modo esclusivo o prevalente, perché se da una parte esso ha il merito di mettere l’accento sull’interconnessione fra sviluppo individuale e familiare, dall’altra rischia di ignorare che i modi di realizzazione di questa interconnessione sono a loro volta collegati con fattori contingenti e contestuali. D’altra parte, gli autori che, per superare il rischio di normatività, distinguono i cicli di vita delle diverse forme familiari, si sono anch’essi trovati nella necessità di moltiplicare le classificazioni. Hill (1986), ad esempio, individua le differenze nel ciclo di vita di otto tipi di famiglie monoparentali; quanto alle famiglie ricomposte, diventa necessario distinguere i gruppi familiari a seconda che uno soltanto o entrambi i coniugi abbiano figli da precedenti uomini, che i figli abitino o meno con la coppia formata dal secondo matrimonio, che i figli siano nell’una o nell’altra fase dello sviluppo. I principali limito teorico-metodologici che il modello del ciclo di vita presenta rimangono, dunque, quelli connessi con la difficoltà di coniugare la prefigurazione delle fasi di sviluppo con il rospetto delle singolarità familiari. Tale prospettiva non considera: • • Le microtransizioni che si verificano all’interno di una fase Gli accomodamenti che la famiglia deve operare, a livello di dinamiche interpersonali, in relazione a eventi imprevedibili o straordinari non connessi alle fasi di sviluppo individuale o alle trasformazioni strutturali del gruppo Breunlin (1988) sottolinea i limiti di un modello, come quello del ciclo di vita, che riduca la complessità dello sviluppo familiare ad alcuni, per quanto significativi, momenti di cambiamento. Nel corso della sua storia, una famiglia si trova quotidianamente coinvolta in innumerevoli situazioni che comportano una ristrutturazione dei modelli interattivi. Sono le situazioni connesse al processo di acquisizione di ulteriori competenze da parte dei singoli individui. Si pensi a quando un bambino passa dal muoversi a carponi al camminare in modo eretto, a quando impara a lavarsi da solo o a versarsi l’acqua nel proprio bicchiere, a quando incomincia ad usare i mezzi pubblici senza accompagnamento o a quando un giovane prende la patente. La gestione di questi piccoli e quotidiani momenti evolutivi comporta, per una famiglia, l’abbandono di abituali e sedimentati comportamenti interattivi e l’elaborazione di nuovi. La famiglia attraversa microtransizioni durante le quali coesistono in modo oscillatorio vecchie modalità comportamentali connesse con livelli di competenza precedenti e nuove modalità comportamentali connesse con livelli di competenza superiore. Secondo Breunlin, una microtransizione può avere tre diversi esiti: 1. Le sequenze interattive messe in atto possono continuare a regolare i comportamenti ad un livello di competenza precedente alla transizione, cosicchè ciò che era appropriato diventa, nel tempo, inappropriato e ad esempio un genitore che continua a versare l’acqua nel bicchiere del figlio perché altrimenti egli la versa sul tavolo 2. Le sequenze possono regolare comportamenti ad un livello di competenza che eccede ciò che è appropriato, come ad esempio un bambino viene data responsabilità maggiori di quanto non possa affrontare 3. Le sequenze interattive possono regolare i comportamenti ad un livello appropriato di competenza, secondo un processo graduale che alterna il sostegno e autonomia fino al prevalere di quest’ultima Il modello proposto da questo autore non disconosce quello del ciclo di vita familiare, lo reinterpreta e lo approfondisce. Sposta l’attenzione dai cambiamenti discontinui che caratterizzano i passaggi tra le fasi della storia familiare ai cambiamenti continui che la famiglia intraprende nel corso della propria storia. In questa rielaborazione le macrotransizioni, messe a fuoco dal modello del ciclo di vita, vengono ridefinite come periodi segnati da una particolare concentrazione di microtransizioni. È una prospettiva, questa, che risulta più coerente con le recenti impostazioni di studio dei processi di sviluppo individuale. Una famiglia, di fronte all’adolescenza di un componente (ma lo stesso discorso vale anche per l’infanzia o la preadolescenza o l’età adulta o la vecchiaia), non si confronta tanto con un evento globale; essa si trova piuttosto coinvolta in un percorso costellato da svariati momenti di trasformazione riguardanti diversi ambiti comportamentali e relazionali, sia a livello individuale che familiare. Il modello proposto da Breunlin sottolinea che i genitori non cambiano in risposta ai cambiamenti che intervengono nei figli nel corso del loro sviluppo. Nell’interazione, genitori e figli negoziano i rispettivi cambiamenti in un processo di adattamenti reciproco che può essere di segno morfogenetico e morfostatico. Mentre dunque la prospettiva del ciclo di vita enfatizza gli eventi che, nelle famiglie, sollecitano i processi trasformativi e i compiti a cui le famiglie devono assolvere per portare a compimento la trasformazione, l’impostazione suggerita da Breunlin sposta l’attenzione ai processi interattivi attraverso cui il cambiamento può realizzarsi. Il modello delle microtransizioni, da una parte, ha il merito di richiamare l’attenzione sull’importanza che i processi interattivi quotidiani hanno nella determinazione della dirazione che l’evoluzione familiare e individuale va prendendo, dall’altra risulta carente per l’analisi di quei momenti di crisi in cui le capacità di adattamento di una famiglia sono radicalmente sfidate. È la teoria dello stress familiare che ha posto l’accento sull’evoluzione familiare connessa anche con accadimenti improvvisi, inattesi o dirompenti. La nozione di evento critico risulta centrale in questa impostazione. Ci si riferisce a quegli avvenimenti di fronte ai quali le consolidate e abituali modalità di funzionamento familiare risultano inadeguate e che dunque richiedono l’attivazione di processi di adattamento. Gli eventi critici innescano processi che si articolano attraverso vari momenti: una prima fase di crisi è seguita è seguita da una di transizione che può sfociare in una riorganizzazione o, nel caso in cui la famiglia fallisca nell’attivare i necessari processi adattivi, in una disorganizzazione. Ogni evento critico pone la famiglia di fronte alla necessità di riallocare le risorse, ridistribuire compiti e responsabilità, riformulare ruoli e funzioni; e con ciò comporta una riorganizzazione delle modalità relazionali al proprio interno, in rapporto alle famiglie di origine e in rapporto alla comunità sociale in cui è inserita, in modo che esse risultino adeguate alla nuova situazione determinatasi in compresenza dell’evento critico. I problemi più rilevanti di cui la ricerca si è occupata riguardano: • • Individuazione degli eventi critici Le configurazioni dei processi che essi innescano Si distingue tra gli eventi normativi e quelli non normativi. I primi riguardano le situazioni che si vengono a determinare in seguito all’entrata o all’uscita della famiglia dei suoi componenti (matrimonio, nascita dei figli, uscita di questi dalla casa dei genitori, morte), oppure in connessione con lo sviluppo individuale dei singoli membri (adolescenza, maturità, pensionamento, vecchiaia). Gli eventi non normativi si identificano con avvenimenti imprevedibili legati alla vita della coppia (divorzio o secondo matrimonio) o a quella professionale di uno o più membri della famiglia (cambio lavoro, licenziamento), con fatti casuali (incidente, cambio di residenza, malattia cronica), con fenomeni sociali complessi quali l’emigrazione o anche con eventi esogeni come una guerra o una rivoluzione. Un evento è critico soprattutto nella misura in cui è percepito tale dalla famiglia stessa. L’intensità e la portata della crisi che si connetta ad un evento critico sono infatti funzioni non delle caratteristiche oggettive dell’evento, ma del significato che ad esso viene attribuito dalla famiglia, che è a sua volta legato ai valori condivisi e alla storia familiare, intesa come storia multigenerazionale. Le famiglie nel corso della loro vita possono doversi confrontare con più di un evento critico contemporaneamente. Cosi come quella della oscillazione, la teoria dello stress familiare non è alternativa a quella del ciclo di vita. La teoria dello stress familiare introduce tuttavia un punto di vista diverso: scandire, infatti, il ciclo di vita della famiglia sulla base degli eventi normativi con cui essa si trova a fare i conti significa innanzitutto spostare l’attenzione dalle fasi in quanto tali al processo attraverso cui la transizione da una fase all’altra di realizza. La transizione innescata da un evento critico si configura come un processo di negoziazione fra i componenti della famiglia e fra questi e il contesto sociale con cui intrattiene scambi reciproci, relativamente a ruoli, rapporti, differenze, abitudini, tempi, significati. In questo senso la teoria dello stress familiare presenta una significativa analogia con la teoria dell’oscillazione: entrambe si interessano ai processi di negoziazione ponendo però l’enfasi su tipi di eventi diversi. Mentre infatti la prima sottolinea i processi di adattamento rispetto ad accadimenti improvvisi e inattesi, la seconda sottolinea l’importanza anche delle microtransizioni quotidiane. Fasi di transizione e strategie adattive Gli elementi che concorrono alla determinazione dell’esito della transizione è l’interrogativo che maggiormente affiora agli studiosi. L’esito dei processi adattivi familiari dipende soprattutto dai seguenti fattori: 1. Il significato che viene attribuito all’evento che sollecita la trasformazione 2. Le capacità della famiglia di riconoscere, organizzare e utilizzare le risorse disponibili nei singoli comportamenti, nel sistema familiare e nel contesto sociale 3. I rapporti con l’ambiente Non sono tanto le elaborazioni che i singoli componenti della famiglia fanno di un evento che a questo proposito diventano rilevanti, quanto il significato attribuito e le rappresentazioni condivise da tutta la famiglia. Alcuni eventi possono risultare critici nelle vite dei singoli individui, altri invece lo sono per il gruppo familiare nel suo insieme. È a questi ultimi che si farà qui riferimento. Possiamo distinguere fra ‘’definizione culturale’’ di un accadimento, quella cioè che la famiglia condivide con la comunità sociale in quanto parte di essa, e ‘’definizione familiare’’, quella che, invece, riflette le credenze e i valori condivisi nella famiglia o le esperienze già vissute magari in generazioni precedenti e trasmesse attraverso le storie familiari. Gli eventi che culturalmente non sono valutati come particolarmente problematici lo possono essere per alcune specifiche famiglie. Ad esempio, la prima sbornia di un adolescente che, sul piano sociale, è guardata benevolmente, come una specie di rito di iniziazione avente un carattere di unicità spaziotemporale, può essere vissuta come l’inizio di una china distruttiva se ha luogo in una famiglia che ha sperimentato l’alcolismo di un suo membro nelle generazioni precedenti. La definizione di un evento, sia essa culturale o familiare, è un importante fattore di determinazione delle modalità con cui la famiglia fa fronte all’evento. Essa è già parte della risposta familiare all’evento stesso. I processi di definizione, infatti, stabiliscono l’ampiezza e l’intensità della crisi connessa ad un accadimento e, contemporaneamente, regolano le strategie adattive o di coping. Le microtransizioni che una famiglia attraversa durante la prima infanzia dei figli, ad esempio, sono percepite come più o meno stressanti a seconda della concezione che i genitori hanno dello sviluppo infantile. È opportuno sottolineare che, così come non ci sono paradigmi adeguati di altri, ma soltanto paradigmi diversi, non ci sono neanche definizione dell’evento e conseguenti strategie adattive più efficaci di altre. Le modalità con cui viene affrontata una transizione familiare, sia essa micro o macro, sono connesse con le risorse che una famiglia riesce ad attivare nel far fronte alle difficoltà e ai problemi emergenti nel corso della transizione stessa. Classicamente la letteratura distingue fra tre tipi di risorse; rispettivamente: • • Personali: includono le caratteristiche e le capacità dei membri di una famiglia che possono essere utilizzate per affrontare i bisogni emergenti in determinati momenti critici della vita familiare. La disponibilità di mezzi finanziari, la salute, l’istruzione e le caratteristiche di personalità delle persone componenti il gruppo familiare costituiscono importanti fonti a cui attingere in situazioni di difficoltà. La vecchiaia, ad esempio, è un evento che assume connotati e ha conseguenze completamente differenti in funzione di queste risorse. Va considerato un tipo di risorse personali che in quanto disconosciute dalla letteratura scientifica e sottovalutate dal giudizio sociale potremmo definire occulte. Ad esempio la cura degli anziani o dei deboli (malatiche o portatori di Handicap), alla gestione dell’economia domestica in presenza di scarse disponibilità finanziarie, ma anche all’allevamento dei figli o ai mille problemi quotidiani che si presentano in una famiglia. Sono tutte funzioni, queste, a cui una famiglia assolve grazie al tempo e al lavoro che le donne mettono a disposizione, a volte rinunciando ad un proprio tempo e a un proprio lavoro, a volte sovraccaricando il proprio tempo e lavoro. Ciò che costituisce una risorsa per la famiglia può diventare fonte di stress per la donna. Le risorse occulte sono dunque quei ‘’beni’’ che, messi a disposizione dai singoli individui, appaiono, in virtù del processo di costruzione sociale, ovvi e scontati al punto di non venire neanche riconosciuti come risorse personali e che nel momento in cui vengono utilizzati riproducono delle ineguaglianze fra i componenti. La transizione connessa con situazioni critiche si configura in modo diverso sia in relazione alla definizione che la famiglia ne dà, sia in relazione alle risorse personali a cui essa può fare ricorso. Il tipo di evoluzione di un gruppo familiare che segue alla separazione della coppia sia correlato, oltre che con variabili di tipo familiare e sociale, anche con le risorse individuali delle persone coinvolte nel processo. In particolare, la disponibilità di mezzi economici e le caratteristiche di personalità dei genitori incidono su (risorse personali considerate visibili): L’adattamento dei figli allaspetto monoparentale Il grado di soddisfazione dei membri della famiglia rispetto ai propri ruoli Lo sviluppo di sentimenti di competenza nell’assolvere le proprie funzioni Familiari: intesa come unità sistemica, costituiscono altri importanti elementi che facilitano la fluidità dei processi adattivi nelle situazioni di crisi. Esse fanno riferimento allo stile di funzionamento che è proprio di una famiglia e in particolare alle modalità con cui il gruppo coniuga il mantenimento dell’unità con la promozione dell’autonomia individuale e la stabilità con la trasformazione. Tra le risorse familiari, la ‘’coesione’’ e ‘’l’adattabilità’’, oltre allo ‘’stile comunicativo’’ aperto, chiaro e flessibile, sono indicate in letteratura come le principali caratteristiche che favoriscono l’attivazione di strategie familiari di coping. La coesione, quando non assume il carattere dell’invischiamento, favorisce la messa in comune delle abilità di tutti e il coordinamento degli sforzi di ognuno verso la ricerca delle soluzioni più appropriate ai problemi che si presentano; l’adattabilità, se non va a scapito della continuità, predispone il gruppo a riconoscere la necessità di cambiare di fronte alle mutate condizioni e a ricercare attivamente soluzioni ai problemi emergenti. Lo stile comunicativo aperto, chiaro e flessibile consente alla famiglia di gestire meglio le fratture e i conflitti che possono accompagnarsi ai momenti critici, di mantenere il sostegno emotivo reciproco e di negoziare, nel rispetto delle differenze, soluzioni consensuali. Un buon livello di comunicazione fra genitori separati e figli e una discreta capacità di negoziazione fra gli ex coniugi sono due fattori correlati con il positivo adattamento dei gli nella fase postseparazione. L’adattamento al divorzio documentano che risorse individuali e risorse familiari non agiscono separatamente, ma in modo interconnesso. Un elevato grado di istruzione e una consistente disponibilità economica, ad esempio, non garantiscono di per sé l’attivazione di • - - modi soddisfacenti di far fronte alla transizione che la separazione innesca. D’altra parte, una buona comunicazione fra ex coniugi e fra genitori e figli e un buon grado di adattabilità dell’intero sistema familiare possono essere insufficienti a far fronte alla transizione nel caso in cui manchino le risorse economiche necessarie a garantire i bisogni essenziali dei membri. Nonostante la presenza di modalità relazionali improntate alla coesione e al sostegno reciproco e nonostante la comune percezione dell’evento come critico, possono innescarsi processi di disgregazione nella coppia coniugale nei casi in cui l’emigrazione sia determinata dal fallimento dell’attività professionale del marito. In questa particolare contingenza, infatti, il marito sviluppa un senso di incompetenza che lo porta ad affrontare l’emigrazione come sentimenti di totale disarmo, cioè privo di risorse personali a cui attingere, mentre la moglie si trova nella posizione personale di vedere nello spostamento ad altro luogo e ad altro contesto socio-economico un’occasione di nuove possibilità per sé e per la propria famiglia. Questo diverso modo di investire sul futuro crea una divaricazione fra coniugi che, nonostante le intenzioni di sostenersi vicendevolmente, può portare alla separazione. Sociali: risorse individuali e risorse familiari sono entrambi fattori interni alla famiglia, che sono tuttavia a loro volta interconnessi con fattori esterni di cui la famiglia può avvalersi: le risorse sociali. Costituiscono un importante patrimonio a cui un gruppo familiare attinge in particolare momenti critici e in tutto il corso della sua evoluzione. Con risorse sociali si fa riferimento al sostegno di cui le famiglie possono usufruire nell’ambito della loro comunità di appartenenza. Le fonti del sostegno sociale sono prevalentemente di due tipi: reti formali e reti informali. Le prime sono servizi presenti in un determinato contesto e con politiche sociali ed economiche attuate dalle istituzioni deputate al governo della comunità. Il poter o meno usufruire di asili nido, scuole materne, assistenza sanitaria gratuita, assistenza domiciliare agli anziani, ma anche di una rete capillare di trasporti o di un’organizzazione dei tempi di apertura e chiusura dei negozi funzionali ai turni di lavoro, così come di facilitazioni di accesso al credito finanziario costituisce una discriminante rispetto al modo in cui le famiglie fanno fronte ai problemi quotidiani e/o eccezionali. Le reti informali di sostegno sociale includono l’insieme dei rapporti parentali, amicali, professionali, di vicinato odi mutuo aiuto in cui una famiglia è inserita. Il sostegno è di due tipi: strumentale ed emotivo. Quello strutturale è il sostegno che viene dato per la soluzione di problemi concreti e annovera una considerevole quantità di azioni quali prendersi cura dei bambini, aiutare nelle faccende domestiche, fare commissioni, prendersi cura dei bambini, aiutare nelle faccende domestiche, fare commissioni, prestare o dare denaro. Il sostegno emotivo permette invece ai membri della famiglia di affrontare problemi inerenti la qualità delle relazioni di cui sono parte, ovvero di sentirsi: Amati. Apprezzati e considerati. Appartenenti ad una rete sociale su cui contare. Sia il sostegno proveniente dalle reti formali che quello fornito dalle reti informali (strumentale ed emotivo) amplificano risorse che la famiglia ha o compensano eventuali mancanza. Le risorse sociali hanno un’incidenza nei processi adattivi familiari che ne deriva: Dalla loro interconnessione con le risorse familiari e individuali. Dalle rappresentazioni che le famiglie hanno dell’ambiente e di se stesse (paradigmi). È un’opinione molto diffusa che il sostegno sociale tamponi gli effetti negativi degli eventi stressanti nelle famiglie. Una ricerca condotta sugli effetti del sostegno sociale in famiglie con difficoltà economiche ha trovato invece differenze significative legate alla specifica condizione lavorativa del capofamiglia. Nelle famiglie in cui il marito godeva di una posizione lavorativa stabile, il sostegno offerto da amici e parenti alla moglie accresceva la qualità del rapporto di coppia, mentre all’opposto, nelle famiglie in cui il marito si trovava in parecchie condizioni lavorative, il sostegno esterno si correlava con una negatività dei rapporti coniugali. In quest’ultimo caso, infatti la relazione di aiuto di cui la moglie usufruiva era vissuta dal marito come una mancanza di lealtà o come una sottolineatura delle proprie colpe o inefficienze. Il sostegno sociale agisce sul funzionamento familiare in ragione del significato che esso viene ad assumere in una determinata famiglia; significato che è a sua volta riconducibile alla storia familiare, alle relazioni fra i membri e alle posizioni che ognuno di essi occupa nel sistema. Una famiglia non utilizzerà tanto le risorse disponibili, quanto quelle che esse riconosce come tali. Il dato sociologico suggerisce che in connessione con la condizione socio-economico-culturale delle famiglie esiste un diverso patrimonio di conoscenze che modula in maniera differenziata l’utilizzo delle risorse socioistituzionali a disposizione. La ricerca psico-sociale evidenzia come il problema dell’utilizzo delle risorse sociali si iscriva anche nell’interconnessione fra processi simbolici e comportamenti interattivi che caratterizza ogni famiglia. Una famiglia, ad esempio, che percepisce l’ambiente in cui è inserita come ostile, molto difficilmente sarà in grado di individuare in esso risorse, e quindi di potersene avvalere in momenti di crisi. D’altra parte, una famiglia aperta all’informazione e orientata all’esplorazione dell’ambiente, sarà attiva nel cercare in tutto ciò che è a disposizione qualcosa che possa diventare per lei risorsa nel far fronte alle difficoltà che incontra. L’utilizzo delle risorse ambientali è inoltre legato alla concezione che una famiglia ha di se stessa. Le indagini condotte sul modo in cui le famiglie rurali americane fanno fronte alle crisi finanziarie ed economiche forniscono a questo proposito esempi illuminanti. Nelle aree rurali le famiglie si avvalgono del sostegno fornito da amici e vicini. Ciononostante, quando una famiglia si trova nell’evenienza di chiudere l’azienda agricola quello che in altri momenti critici è stata una fonte di sostegno non lo è più o non viene utilizzato come risorsa dalla famiglia. La percezione che le famiglie hanno di se stesse risulta in quella circostante determinante nel processo di coping. La possibilità per queste famiglie di avvalersi del sostegno sociale fornito dalla comunità di appartenenza deriva proprio dal sentirsi parte della comunità stessa. Il senso di appartenenza è legato all’idea della reciprocità. Nel momento in cui una famiglia si trova coinvolta nel fallimento della propria azienda, essa perde il senso di sé come gruppo capace e con ciò perde anche il senso dell’appartenenza comunitaria, condizione necessaria per ricorrere all’aiuto di amici e vicini per affrontare lo stress derivante dalla difficile condizione economiche. Così molte famiglie che si trovano nella contingenza di dover chiudere l’azienda agricola si sentono sole e isolate, anche quando precedentemente erano perfettamente integrate nel tessuto sociale. Le altre famiglie interpretano la mancata richieste di aiuto da parte di chi è in difficoltà come un desiderio di riservatezza e temendo che ogni loro offerta di aiuto possa essere vissuta come irrispettosa e intrusiva, quando non come una vera e propria ostentazione di migliori condizioni economiche, si astengono dall’offrire aiuto e sostegno. La possibilità di utilizzare le risorse sociali non è unilateralmente determinata dalla percezione che la famiglia ha di se stessa e dell’ambiente sociale, ma emerge dai processi interattivi fra famiglie e contesto. Ogni strategia di coping è ‘’messa in scena’’ in un contesto di relazioni formali e informali. Nell’assolvere, ad esempio, ai compiti evolutivi connessi con l’evento adolescenza, una famiglia è immersa in un processo di riorganizzazione, ristrutturazione e ridefinizione dei rapporti interpersonale interni ed esterni, ma entra anche in contatto con diverse istituzioni e organizzazioni sociali. Una gravidanza implica una serie di rapporti tra i membri della coppia, fra questa e la famiglia e gli amici e con le strutture socio-sanitarie che diventano parte costitutiva dei processi attraverso cui la famiglia affronta l’evento. Ognuna di queste istanze sociali con cui le famiglie sono in rapporto non assolve passivamente al ruolo di ‘’risorsa’’, non è cioè a disposizione per essere impiegata o meno dalle famiglie. Tali istanze costituiscono sistemi sociali pensanti, come direbbe Mary Douglas (1986), che attivamente partecipano alla costruzione dei processi adattivi familiari. È a partire dalle proprie premesse che operatori, amici, parenti, vicini entrano nel ruolo di potenziali risorse. L’influenza dei sistemi sociali sui processi adattivi familiari è connessa al modo in cui le rispettive rappresentazioni della famiglia e degli operatori dell’istituzione o dei personaggi della rete informale si coordinano nel processo interattivo che li vede protagonisti. Lo sbocco di una transizione familiare non è legato soltanto alla famiglia, a come agisce, alle sue rappresentazioni, alle risorse interne ed esterne che riesce a utilizzare, ma è l’esito di processi interattivi tra le famiglie e le istanze contestuali con cui esse sono in rapporto. Famiglie e ambiente sociale: ulteriori considerazioni Alcune famiglie sono impegnate quotidianamente e in modo permanente nel far fronte a difficoltà e a problematiche che hanno origine nel contesto sociale. Famiglie che vivono in precarie condizioni economiche, pregiudizi sociali, discriminazione razziale o in zone degradate in cui c’è la criminalità organizzata. Le situazioni di stress permanente o di stress ambientale, come lo definisce Melson (1983), costituiscono stimolazioni di diverso tipo rispetto agli eventi critici normativi e non normativi o alle microtransizioni. Mentre infatti questi ultimi potenzialmente innescano processi di adattamento di tipo morfogenetico, che sfociano cioè in una riorganizzazione dell’intero sistema, le situazioni di stress ambientale innescano processi adattivi di tipo morfostatico, orientati a prevenire la disorganizzazione della famiglia e a mantenere dei livelli minimi di funzionamento. Famiglie esposte a situazioni permanentemente stressanti non evolvano verso diverse strutture e organizzazioni relazionali e interattive. Si intende che queste famiglie procedono nei loro percorsi di sviluppo (affrontano cioè fasi, eventi critici e microtransizioni) essendo contemporaneamente e costantemente impegnate su un altro versante. Le indagini sulle strategie di coping che le famiglie mettono in atto di fronte alle condizioni stressanti permanenti sono numerose. Le difficoltà derivanti dall’esposizione al pregiudizio omofobico delle famiglie con coppia omosessuale vengono contrastate grazie al sostegno sociale fornito dalla rete informale in cui queste famiglie sono inserite. Gli effetti devastanti che potrebbero derivare dalla discriminazione razziale e dalle condizioni di deprivazione socio-economico-culturale a cui sono quotidianamente esposte le famiglie nere americane trovano un argine nel sostegno sociale offerto concretamente dalla comunità e dalla rete parentale, oltre che dal tipo di organizzazione interna delle famiglie nere, caratterizzate da un’alta flessibilità di ruoli che favorisce l’adattamento. Queste ricerche si iscrivono in una prospettiva che analizza le strategie di coping di fronte allo stress ambientale permanente dal punto di vista delle famiglie. Un altro punto di vista è quello del contesto sociale, prospettiva dalla quale ci si interroga sulle responsabilità collettive nei confronti dei processi evolutive delle famiglie. • • Tale prospettiva è indissolubilmente complementare a quella più specificatamente incentrata sulle famiglie che, in quanto istanze non isolate e non autocontenute, non possono essere ritenute le sole responsabili dei propri processi evolutivi Attraverso tale prospettiva si evidenziano con chiarezza le responsabilità dei ricercatori e degli studiosi, i quali contribuiscono allo sviluppo di un discorso socialmente rilevante in ordine alla famiglia, e dunque allo sviluppo delle relative rappresentazioni e credenze, concorrendo attivamente a mantenere, alimentare o modificare le premesse culturali implicite nelle condizioni che sono all’origine di alcune forme di stress ambientali PARTE SECONDA Cpt.5) Le famiglie in rapporto con le agenzie sociali Una proposta di classificazione degli interventi in favore delle famiglie Nel corso del loro sviluppo, le famiglie impiegano risorse interne ed esterne; fra le risorse esterne di cui esse si possono avvalere per far fronte a compiti evolutivi, eventi critici e situazioni problematiche, vi sono le prestazioni fornite dalle agenzie sociali istituzionalmente e professionalmente investite di una funzione di aiuto alle famiglie e/o ai loro componenti. Tali agenzie si identificano con i servizi sociali, sanitari ed educativi presenti nella comunità. In ogni fase del suo ciclo di vita, un gruppo familiare fa fronte ai suoi compiti evolutivi avvalendosi anche di risorse istituzionali. In alcune famiglie i processi e le dinamiche relaziona sono fortemente segnati dal disagio, dalla disorganizzazione e dalla disfunzionalità. Queste famiglie si rivolgono ai servizi per essere aiutate a interrompere la spirale di disfunzionalità-sofferenzaimpotenza in cui sono precipitate. Gli interventi attuati dalle agenzie sociali possono essere definiti come interventi di facilitazione, di sostegno, di mediazione, di controllo e di terapia. Questo tipo di classificazione è trasversale a quello più tradizionalmente adottato che, avendo come riferimento il contenuto delle prestazioni fornite o il mandato istituzionale, distingue fra interventi sanitari, educativi, socio-assistenziali. Ogni intervento di facilitazione, sostegno, mediazione, controllo e terapia può infatti comportare prestazioni sanitarie, assistenziali, riabilitative, pedagogiche, psicologiche e combinazioni diverse da queste. Anche i Centri per le famiglie, recentemente istituiti nella Regione Emilia Romagna, si collocano tra i servizi che assolvono ad una funzione di facilitazione. Il loro scopo è infatti quello di promuovere l’attivazione di reti sociali informali e di gruppi di mutuo aiuto, che siano di supporto alle famiglie nel corso del loro sviluppo. Interventi ‘’di facilitazione’’ vengono utilizzati per integrare o amplificare le risorse interne attivate nei processi di adattamento sollecitati dagli eventi normativi che scandiscono il loro ciclo di vita. Gli interventi di facilitazione hanno come presupposto l’esistenza di risorse nella famiglia, che, nel corso dell’intervento, vengono sia impiegate sia rafforzate. Gli interventi di sostegno fanno riferimento a tutte quelle prestazioni di cui le famiglie usufruiscono nelle fasi di transizione connesse ad eventi critici inattesi. Alcuni esempi di progetti attivati dai Centri per le famiglie: • • • • • La banca del tempo: è un’area di intervento che si propone di favorire lo scambio di favori reciproci tra famiglie Il mestiere del genitore: è un progetto che si propone di aiutare i genitori ad incontrarsi, per discutere e approfondire problemi e per aiutarsi reciprocamente nell’affrontare taluni passaggi problematici del loro impegno educativo in corrispondenza di alcune fasi critiche quali la nascita del primo figlio, l’educazione dei ragazzi in età scolare, l’essere persona separate Genitori ancora: è un’area di intervento che ha lo scopo di aiutare madri e padri in un iter di separazione che sia il più attento possibile ai diritti dei figli e sappia esprimere una condivisione ‘’separata’’ della genitorialità Famiglie aiutano famiglie: è un progetto che si propone di stimolare l’attivazione di reti di mutualità, solidarietà e appoggi familiari a favore di famiglie prive di reti di sostegno amicale o parentale Famiglie insieme: è un’area di intervento che si propone di creare situazioni, modi, luoghi dove si instaurano rapporti di conoscenza reciproca tra famiglie di immigrati e famiglie di residenti La definizione ‘’interventi di sostegno’’ viene proposta in quanto si tratta di prestazioni che sono utilizzate dalle famiglie per compensare la mancanza di risorse necessarie per far fronte alla transizione innescata dall’evento critico. Gli interventi di sostegno hanno come presupposto una carenza parziale di risorse nella famiglia, una carenza cioè limitata da alcuni specifici ambiti, che si accompagna tuttavia alla presenza di risorse in altri diversi settori, le quali possono essere utilizzate allo scopo di realizzare l’intervento che fornisce le risorse mancanti. Con interventi di mediazione si fa riferimento a tutte quelle prestazioni di cui le famiglie usufruiscono nei casi in cui non riescano autonomamente a gestire conflitti. I servizi di mediazione familiare sono, in Italia, di recente istituzione e offrono interventi alternativi a quelli giudiziari per la risoluzione dei problemi connessi alla separazione e al divorzio o ad altri tipi di dispute familiari. Si definiscono ‘’interventi di mediazione’’ in quanto sono finalizzati a liberare le risorse che sono in sospeso dalla famiglia e che sono momentaneamente congelate dalla dinamica conflittuale. Essi hanno come presupposto l’esistenza di risorse nella famiglia e lo scopo dell’intervento è quello di farle emergere. Con interventi di controllo e tutela si fa riferimento a quegli interventi, richiesti o non richiesti, che vengono attuati quando una famiglia presenta dei problemi di violenza, abuso o incapacità grave ad assolvere ai compiti di cura dei suoi membri. Si definiscono di controllo e tutela perché implicano la restrizione della libertà dei soggetti che perpetrano l’abuso e la protezione di chi ne è vittima. Si tratta di interventi complessi che non si limitano tuttavia a interrompere il circuito violento, ma si propongono anche intenti terapeutici, cioè finalizzati alla riattivazione di processi evolutivi per le persone coinvolte. Gli interventi di controllo e tutele hanno come presupposto una sanzione giudiziaria della incapacità di alcune famiglie e sono finalizzati a costruire le risorse perché esse possano intraprendere nuovi percorsi. Gli interventi terapeutici vengono attuati nei casi in cui sia manifesto un disagio psico-patologico sia in bambini che in adulti. Possono essere condotti con gli individui o con l’intero nucleo familiare. Gli interventi terapeutici si propongono di modificare le dinamiche relazionali e interattive che sono alla base del disagio. Essi hanno come presupposto l’incapacità della famiglia di trovare soluzioni adattivo-evolutive in presenza di un deficit sancito attraverso un processo diagnostico. Lo scopo dell’intervento terapeutico è quello di creare nuove condizioni relazionali all’interno delle quali le famiglie possano generare proprie risorse. Dai contenuti ai processi Gli interventi attuali in favore delle famiglie vengono qui considerati secondo una prospettiva psico-sociale che si interessa alle dinamiche relazionali che prendono forma dal momento in cui i servizi entrano nella vita delle famiglie. Gli interventi delle agenzie sociali sono: • • Si configurano come ‘’eventi’’ che sono parte integrante della storia di una famiglia Prendono corpo dall’interazione fra operatori e utenti, e sono dunque l’espressione di un processo di negoziazione intersoggettivo la cui forma determina l’esito dell’intervento stesso Cpt.6) Gli interventi delle agenzie sociali come eventi per le famiglie Famiglie e servizi: un sistema di relazioni interconnesse La fruizione da parte di una famiglia delle risorse fornite dalla rete istituzionale delle agenzie sociali si configura come un evento che diviene parte della sua storia e che in quanto tale è influente nella determinazione del percorso che essa segue. Ogni prestazione sanitaria, socio-assistenziale o pedagogica presenta due livelli: quello ‘’tecnico’’ che riguarda il contenuto della prestazione e quello ‘’relazionale’’ che riguarda le modalità interattive attraverso le quali viene espletato il livello tecnico. Il primo fa dunque riferimento alle procedure e agli strumenti che vengono adottati nel fornire una prestazione; il secondo fa riferimento alla forma del processo comunicativo che ha luogo fra chi fornisce la prestazione e chi ne usufruisce. I due livelli sono compresenti e interconnessi. Mentre sul piano del contenuto di una prestazione, alcune procedure e alcuni strumenti sono più efficaci di altri, sul piano relazionale non esistono modalità che siano in assoluto da considerarsi più adeguate di altre, poiché l’adeguatezza delle modalità relazionali emerge dal senso che l’esperienza interattiva connessa con la fruizione della prestazione assume di volta in volta nel contesto delle dinamiche e dei processi familiari. Le valutazioni inerenti le modalità relazionali più adeguate nei singoli casi non possono essere effettuate aprioristicamente, ma soltanto nel corso dei processi interattivi, attraverso un’attenta analisi del significato che vengono ad assumere questi particolari processi per la famiglia come gruppo e per i suoi componenti. La fruizione di servizi da parte delle famiglie ha sempre il carattere di evento costitutivo interattivamente. In esso le due parti in gioco sono il gruppo familiare, con la sua storia, le sue dinamiche, i suoi sistemi di credenze, le sue modalità relazionali, e l’agenzia sociale che fornisce la prestazione, anch’essa con la storia, le sue dinamiche, i suoi sistemi di credenze e i suoi modi di rapportarsi agli utenti. I fruitori dei servizi: famiglie o individui? Il contesto relazionale della prestazione è diadico: da una parte l’operatore, dall’altra un utente che può essere individuo o gruppo. La differenza che si intende qui discutere non è tanto quella che intercorre tra il fornire prestazioni a singoli individui e il fornire prestazioni a interi nuclei familiari, quanto piuttosto tra l’operatore presupponendo individui isolati e autocontenuti e l’operatore presupponendo invece individui inseriti in sistemi relazionali significativi. ‘’Idee implicite’’ sulle famiglie negli interventi dei servizi Non esistono ricerche empiriche che abbiano sistematicamente indagato su come la famiglia sia presente nelle rappresentazioni degli operatori quando questi allacciano rapporti con gli utenti e procedono alla progettazione e alla realizzazione dei loro interventi. Alcune ricerche qualitative condotte su piccoli campioni di operatori segnalano la presenza di diverse ‘’teorie implicite’’ in base alle quali gli operatori si rapportano alle famiglie. Il rapporto che l’utente intrattiene con la sua famiglia è ignorato o comunque considerato irrilevante rispetto all’intervento attuato. L’individuo è concepito come avulso da ogni contesto relazionale. Il modello della ‘’famiglia assente’’ è presente in modo trasversale in tutta la rete dei servizi. Siamo in presenza del modella della ‘’famiglia assente’’ ogni volta che un operatore affronta un problema di qualunque natura come se esso nascesse e si esaurisse nell’individuo e senza tener conto delle molteplici implicazioni che l’intervento attuato ha rispetto al contesto relazionale dell’individuo. Il modello della ‘’contiguità separata’’ può essere cosi descritto: l’operatore concepisce se stesso e la famiglia come due soggetti separati ognuno dei quali intrattiene relazioni significative con l’utente in ambiti diversi e paralleli. La famiglia viene considerata come contesto di relazioni significativo per l’utente, ma il rapporto fra l’utente e la sua famiglia è tenuto separato da quello che intercorre fra l’utente e la sua famiglia è tenuto separato da quello che intercorre fra l’utente e l’operatore. Quest’ultimo concepisce il proprio intervento come aggiuntivo o giustappunto rispetto a quello della famiglia. In questa prospettiva è assenti l’idea di interdipendenza fra i vari contesti interattivi e dunque non ci si interroga su come la relazione tra la famiglia e l’utente si interconnetta con la relazione tra quest’ultimo e l’operatore nella determinazione dei processi che riguardano sia la famiglia sia l’intervento. La differenza tra il modello della ‘’famiglia assente’’ e quello della ‘’contiguità separata’’ è che il secondo, a differenza del primo, comporta comunque un rapporto fra l’operatore e la famiglia dell’utente. Un rapporto che si configura come uno scambio dal quale l’operatore può trarre risorse per rendere più efficace la propria azione rivolta all’utente e attraverso il quale è l’operatore a fornire quelle risorse che dovrebbero a loro volta rendere più efficace l’azione della famiglia. In tale scambio è implicita l’idea della separatezza dei contesti di azione, nel senso che esso è pensato come un’occasione che arricchisce l’intervento sia dell’operatore sia della famiglia nei rispettivi contesti relazionali, i quali rimangono comunque concepiti come indipendenti l’uno dall’altro. È una variante del modello della ‘’contiguità separata’’. Si considera la famiglia come un mezzo per potenziare l’intervento dell’operatore sull’utente. L’operatore promuove interventi rivolti alla famiglia affinché essa assuma nei confronti dell’utente i comportamenti e gli atteggiamenti necessari a sostenere l’intervento che l’operatore stesso rivolge all’utente. La famiglia è dunque considerata come una possibile risorsa per l’intervento dell’operatore, il quale tuttavia non si considera risorsa per la famiglia, ma soltanto per il singolo individuo con cui opera. In questo caso il rapporto che collega i diversi contesti tra loro è concepito come una connessione lineare: le azioni familiari sono considerate come influenti sull’intervento che l’operatore conduce con l’utente, ma non viceversa. Può essere considerato l’altra faccia del modello della ‘’collaborazione unilaterale’’. Nel modello della ‘’sostituzione’’, la famiglia diventa un soggetto da contrastare: l’operatore concepisce infatti il proprio intervento come alternativo o correttivo rispetto a ogni possibile influenza esercitata dalla famiglia sull’utente. Il presupposto di partenza è che la famiglia non disponga di risorse spendibili nel campo di intervento dell’operatore che dunque non possa che esercitare un’influenza negativa sull’utente. Tale influenza viene contrastata tramite l’inserimento dell’utente stesso in un ambiente, quello dell’operatore, che invece è ritenuto adeguato a fornirgli le risorse di cui ha bisogno; la richiesta più o meno esplicita che viene fatta alla famiglia è quella di astenersi dal prendere iniziative, permettendo così all’operatore di condurre in porto l’intervento progettato. Questo modello comporta spesso una colpevolizzazione della famiglia. L’ambiente familiare non viene cioè considerato soltanto carente o inadeguato a fornire le giuste risposte ai bisogni dell’individuo, e pertanto l’operatore interviene per neutralizzare la famiglia, proponendosi come interlocutore alternativo ad essa per affrontare e risolvere i problemi dell’utente. Nel modello della ‘’sostituzione’’, la valutazione di inadeguatezza della famiglia costituisce una sanzione senza possibilità di appello e fra i problemi presentati dalla famiglia e quelli presentati dall’utente si opera la scelta di risolvere i problemi dell’utente a scapito di quelli della famiglia, senza interrogarsi su che cosa implichi e per l’uno e per l’altra introdurre questa frattura nella relazione che li lega. Le differenze dei modelli fin qui descritti possono essere ricondotte ai diversi modi in cui la famiglia viene rappresentata in ciascuno di essi: in un caso essa è considerata inesistente, nel secondo ininfluente, nel terzo risorsa da utilizzare e nell’ultimo agente inadeguato (o perfino dannoso) da contrastare. Nessuno di essi prevede l’ipotesi che l’operatore sia una ‘’parte’’ costitutiva del più ampio sistema di relazioni entro il quale interviene, e che l’intervento da lui condotto possa avere effetti che vanno oltre l’individuo. Ma nei rapporti interpersonali e sociali, ogni persona porta se stessa con tutti i suoi legami significativi. Conseguentemente, qualsiasi intervento dei servizi produrrà degli effetti sulla persona e avrà implicazione sui suoi legami. Un operatore è in grado di cogliere il senso di evento che il proprio agire acquista nella transizione familiare nel momento in cui adotta un modello che abbia nella interdipendenza dei contesti interattivi il suo principio organizzativo. Un modello cioè che metta in evidenza la natura triadica e circolare dei processi che si originano con l’attuazione dell’intervento da parte di un servizio. Il modello co-evolutivo non riguarda tanto il livello tecnico dell’intervento, quanto quello relazionale. La consapevolezza che una prestazione fornita ad un individuo si configura come un evento nella storia della famiglia implica che l’operatore assuma un punto di vista che gli permette di cogliere il ruolo attivo svolto dalle famiglie nella determinazione dei processi di intervento e di vedere se stesso mentre partecipa alla costruzione della relazione con gli altri. Implica che da una concezione istruttiva dell’intervento si passi a una concezione socio-costruzionista. Cpt. 7) Dall’intervento sulle famiglie all’intervento con le famiglie: un percorso epistemologico. Modelli di azione degli operatori dei servizi La riflessione sulla validità dei modelli teorico-tecnici di riferimento ha da sempre occupato uno spazio rilevante in ogni ambito operativo. Recentemente, però, tale riflessione è venuta assumendo una caratterizzazione più propriamente epistemologica: oggetto di analisi e discussione non sono più soltanto l’efficacia o la coerenza teorica dei modelli di riferimento, ma le premesse stesse in base alle quali i modelli vengono formulati. La prospettiva che considera l’utente un meccanismo da aggiustare, un vuoto da colmare o un bisognoso da assistere è stata tendenzialmente superata in favore di modelli fondati sulla persona e sulle sue risorse. Ma c’è un’ulteriore e più specifica distinzione che permette di analizzare i modelli operativi dal punto di vista delle premesse epistemologiche in base alle quali viene concettualizzata, non tanto la figura dell’utente, quanto l’azione dell’operatore in rapporto all’utente. In questa ottica si possono distinguere due prospettive: quella istruttiva e quella socio-costruzionista. La prospettiva istruttiva si fonda su un’idea di controllo unilaterale dell’intervento e comporta un approccio ‘’strategico’’. L’operatore ricorre al contenitore delle proprie teorie di riferimento o sistema di conoscenze per l’analisi dell’utente o della situazione su cui è chiamato ad intervenire, e opera utilizzando la strumentazione tecnica che tale contenitore gli mette a disposizione. Questa concezione dell’azione dell’operatore è trasversale ai vari ambiti operativi e ai vari approcci teorici. Il modello istruttivo dell’intervento, nelle sue versioni, sociale, medica e pedagogica, è caratterizzato dalle seguenti idee implicite: • • • L’utente, sia esso un singolo individui o un gruppo familiare, è, in ultima analisi, oggetto dell’intervento, che è concepito come unilateralmente pilotato e controllato dall’operatore L’azione dell’operatore è identificata con l’applicazione di teorie, l’attuazione di protocolli e l’utilizzazione di strumenti L’esito e l’efficacia di un intervento è funzione della correttezza con cui un operatore mette in atto i modelli tecnico-scientifici di riferimento Partendo da questi presupposti, la conduzione degli interventi si configura come un percorso unidirezionale che prevede: • • • La rilevazione della richiesta dell’utente L’analisi della situazione o la ‘’diagnosi’’ del bisogno L’attuazione di una prestazione attraverso l’utilizzazione di strumenti tecnici, di cui è stata precedentemente verificata la validità scientifica e l’efficacia La possibilità che un modello tecnico correttamente applicato produca sia effetti benefici sia effetti dannosi suggerisce che le variabili incidenti sulla determinazione del risultato di un intervento sono da ricercarsi anche al di fuori della validità di un modello e della sua corretta applicazione. Le relazioni interpersonali e i rapporti fra individui o gruppi di individui e ambiente sono mediati dall’attività simbolica dei soggetti coinvolti, la quale è a sua volta influenzata dalle interazioni a cui i soggetti stessi partecipano e dalle appartenenze sociali che li caratterizzano, ciò aiuta ad instaurare un ruolo attivo che le famiglie svolgono nella strutturazione delle loro relazione interne ed esterne. Affermare che le famiglie sono attive nella strutturazione dei loro rapporti nell’ambiente e con l’ambiente significa riconoscere che esse sono costantemente impegnate in un’attività di attribuzione di senso a ciò che le circonda, incluso l’operato di ricercatori, educatori, terapisti, assistenti sociali e tecnici di vario genere con cui entrano in contatto. Se per gli operatori il significato dei propri comportamenti è da ricercarsi nei modelli esplicativi di riferimento, per gli utenti il significato dei comportamenti dell’operatore sarò funzione dei propri sistemi di rappresentazione, della propria storia e delle dinamiche relazionali a cui partecipano. Questo implica che il modo in cui gli utenti risponderanno agli interventi degli operatori sarà a sua volta funzione dei significati autonomamente attribuiti a tali interventi. I risultati della ricerca psico-sociale ci inducono a considerare famiglie e operatori come co-attori nel processo di intervento. Se, dunque, ogni interlocutore agisce a partire dai propri sistemi di rappresentazione, l’esito finale del processo non è tanto funzione dei singoli sistemi di rappresentazione o dei comportamenti dei singoli individui, ma dei modi in cui questi si coordinano nello svolgersi della dinamica interattiva. Gli ‘’effetti non voluti00 dell’interazione non si identificano con gli ‘’effetti negativi o patologici’’. I processi interattivi producono esiti (positivi o negativi) al di là di ogni controllo unilaterale da parte dei singoli partecipanti. Parlare di effetti non voluti implica riconoscere la presenza di un doppio livello in ogni situazione relazionale. In un’interazione è cioè possibile distinguere una dimensione strategica, connessa alle intenzioni e agli scopi a partire dai quali ogni partecipante inizia un rapporto e agisce in esso, e una dimensione costruttiva, che riguarda invece la costruzione di realtà sociali derivante dall’interazione attivata e alimentata dai partecipanti nel perseguimento degli scopi che si sono prefissati. L’analisi che conduciamo non si deve limitare a prendere in considerazione un solo punto di vista: solo quello dell’utente, solo quello dell’operatore, solo quello della famiglia, o soltanto quello ‘’tecnico’’ dell’intervento, come se esso fosse oggettivo. È un pattern che diventa visibile se riconosciamo sia l’autonomia dei punti di vista dei soggetti coinvolti sia il loro concorrere nella costruzione di quella realtà interpersonale e sociale da cui emerge l’esito dell’intervento. La dedizione, le tecniche e l’impegno degli operatori, osservati nel contesto della relazione operatore-utente, appaiono come modalità attraverso le quali si realizza un intervento finalizzato a risolvere il problema presentato; ma le stesse modalità, osservate nel contesto della relazione fra operatore e famiglia dell’utente, diventano invece sanzione, convalida o amplificazione della ‘’incapacità’’, ‘’inadeguatezza’’, ‘’cattiveria’’ della famiglia, creando difficoltà allo stesso utente. Sarebbe tuttavia riduttivo considerare il senso di inadeguatezza espresso dai familiari degli utenti come un effetto dell’intervento degli operatori. Questa spiegazione lineare e deterministica potrebbe portare a semplificazione e a indebite generalizzazioni. Gli interventi delle agenzie sociali, volti a facilitare, sostenere, curare, controllare o mediare, attivano processi attraversi i quali i soggetti coinvolti (ognuno con la propria storia, le proprie appartenenze, i propri sistemi di credenze e rappresentazioni) negoziano il senso delle relazioni reciproche e della propria identità (di genitore, di uomo, di donna, di operatore, di figlio, di membro della comunità) in esse. È da questa costruzione intersoggettiva che emerge processualmente l’esito dell’intervento. Forme di interazione fra operatori e famiglie L’operatore conduce il proprio intervento prescindendo dalla considerazione del processo di costruzione di realtà sociali che è implicato in esso, non ‘’vede’’ come le strategie di aiuto o di cura messe in atto possono contribuire a creare delle condizioni che impediscono la realizzazione dell’aiuto o della cura. Dalla letteratura è possibile estrarre alcune forme di dinamiche interattive che gli operatori contribuiscono a strutturare e che tendono a verificare gli effetti che vorrebbero produrre con il loro comportamento. Ogniqualvolta un operatore si fa carico del bisogno del singolo utente senza considerare il contesto relazionale all’interno del quale tale bisogno di esprime, corre il rischio di mettere in atto comportamenti che per l’utente potrebbero costituire una soluzione dei problemi, a scapito però di alcuni legami significativi che esso vive nel contesto di appartenenza. Si attiva così una situazione relazionale all’interno della quale nessuno può stabilire ‘’un’alleanza’’ (un legame) con un altro significativo senza che questa comporti contemporaneamente una ‘’controalleanza’’ (un legame ‘’negativo’’) con altre persone altrettanto significative. Si struttura cioè una dinamica conflittuale tra due diverse ‘’lealtà’’ che le ricerche condotte sulle interazioni familiari ci descrivono come disfunzionale rispetto alla evoluzione sia dei singoli che del gruppo. Si viene a creare, insomma, un contesto di aiuto in cui l’aiuto non può realizzarsi. L’analisi del sistema di appartenenza dell’utente è tanto più importante se si considera la possibilità che tale sistema sia caratterizzato da dinamiche disfunzionali preesistenti all’incontro dell’utente con le agenzie sociali. In questi casi un operatore può diventare, attraverso il proprio intervento, un inconsapevole elemento di stabilizzazione o perfino di amplificazione di quelle dinamiche. Anche quando il motivo per cui un utente entra in contatto con un operatore delle agenzie sociale non risiede in particolari dinamiche relazionali, l’utente è ugualmente immerso in qualche dinamica relazionale, rispetto alla quale l’intervento dell’operatore assume un certo significato. Se tali dinamiche hanno carattere disfunzionale, l’operatore attraverso il proprio intervento può contribuire ad amplificarle. Di fronte all’evocazione di dinamiche disfunzionali o di sintomi psicosomatici, vengono solitamente alzati scudi protettivi: si invocano interventi specialistici che non possono essere condotti se non da esperti di psicoterapia. È indubbio che le famiglie paralizzate da dinamiche disfunzionali hanno bisogno di interventi specialistici e mirati che le aiutino a superare l’impasse in cui si trovano. Questa constatazione non esclude però che un operatore chiamato in causa per interventi di facilitazione o di sostegno debba prestare attenzione affinché la propria azione, pur non essendo formalmente finalizzata a modificare le dinamiche disfunzionali, non contribuisca quanto meno ad amplificarle o mantenerle. Alcune persone si rivolgono alle agenzie sociali con un senso di totale inadeguatezza rispetto alla possibilità di far fronte ai problemi che presentano. Sono solitamente persone che mancano di ‘’modelli di utilizzo delle risorse’’ per non avere avuto la possibilità di acquisire strategie sociali adatte ai contesti in cui le vicende della vita li hanno condotti. Per questi soggetti, la stessa formulazione della richiesta di aiuto può costituire un problema, dal momento che essa rappresenta di per sé una strategia dipendente dal contesto. Oppure, ancora, sono persone che per la storia personale e familiare in cui sono coinvolte hanno sviluppato un’immagine di sé come di persone incompetenti a far fronte ai propri bisogni. Questi casi pongono gli operatori al bivio fra un percorso che costruisce dipendenze e uno che costruisce autonomie. Rispetto a questi casi diventa importante, per gli operatori, chiedersi quanto l’aiuto a risolvere un problema contribuisca a mantenere le condizioni all’interno delle quali il problema emerge. Una relazione di aiuto che e ricostruisce l’utente come ‘’incompetente’’, ‘’incapace’’, ‘’inadeguato’’, finisce col creare una situazione paradossale tale per cui, proprio nel momento in cui l’utente è aiutato, si conferma lo stato di bisogno in cui l’utente stesso versa, costruendo così una interazione non emancipativa e non evolutiva. La via di uscita fra il rispondere alle esigenze continenti, mantenendo così le condizioni all’interno delle quali le esigenze si originano, e la negazione dell’aiuto, venendo meno così a un preciso mandato istituzionale, sta nel condurre l’intervento di aiuto in modo che esso costituisca contemporaneamente anche la competenza della persona che viene aiutata. Bateson (1972) definisce ‘’errore epistemologico un errore che ha a che vedere con il modo in cui l’operatore traccia i confini del proprio campo di osservazione e di competenza pragmatica. Le forme della dinamica relazione che sono state sopra illustrate e i risultati che esse producono non sono la conseguenza di una cattiva applicazione tecnica, ma della mancata considerazione da parte dell’operatore/osservatore del contesto nel quale e attraverso il quale il proprio intervento assume un significato per l’utente. Si tratta di risultati o di conseguenze che un operatore può evitare o correggere, adottando la prospettiva della doppia descrizione. Cpt.8) L’operatore nel sistema famiglie-servizi Il modello della doppia descrizione Quando gli operatori delle agenzie sociali sono consapevoli che la propria azione, nel gioco interattivo, contribuisce a costruire relazioni, realtà o identità, al di là di ogni interazione individuale e al di là di ogni previsione contenuta nel modello teorico-tecnico di riferimento? Assumere una prospettiva costruzionista implica che l’operatore non si limiti ad osservare gli utenti ma apprenda anche ad osservare se stesso mentre partecipa alla relazione con l’utente. È un metodo che suggerisce di assumere, nell’analisi del processo di intervento, un punto di vista ‘’binoculare’’ che combini: • • L’osservazione sull’utente e sulle sue relazioni significative L’osservazione sulla relazione che si stabilisce fra l’operatore e l’utente, da un lato, e il suo sistema di appartenenza, dall’altro La combinazione di informazioni alla quale Bateson ha dato il nome di doppia descrizione, o anche metodo del confronto del doppio o multiplo, è un metodo che si attua combinando le informazioni di genere diverso o provenienti da sorgenti diverse. Adottando il metodo della doppia descrizione l’operatore riflette: • • • Sulle dinamiche relazionali in cui gli utenti sono coinvolti nel momento in cui entrano in contatto con i servizi Sulle proprie premesse, sulle proprie azioni e su come queste tendono a costruire la relazione con l’altro Sui significati che il proprio intervento assume nel contesto delle relazioni dell’utente Il metodo della doppia descrizione comporta dunque una ridefinizione della competenza stessa degli operatori delle agenzie sociali. Una competenza di secondo livello, che non consiste soltanto nell’applicare tecniche o conoscenze, ma che viene esercitata nel momento in cui si riflette su quale tipo di connessioni e di effetti vengono prodotti dall’uso di strumenti e dall’applicazione di tecniche e di conoscenze. Tale competenza presuppone un operatore che: • • • Non dà soltanto risposte, ma contribuisce a costruire contesti interattivi all’interno dei quali gli utenti possano trovare le risposte più adeguate alle proprie esigenze Non afferma la sola propria competenza, ma partecipa alla costruzione di relazioni complesse all’interno delle quali tutti i soggetti possano essere competenti Non interviene sulle famiglie, ma opera con le famiglie, affinché esse possano trovare nel rapporto coi servizi facilitazioni, sostegni, aiuti nell’assolvimento delle loro funzioni La prospettiva della doppia descrizione non è una strategia più raffinata per prevedere, prefigurare, controllare. Essa riconosce e assume come criterio metodologico quell’imprevedibilità che è riconducibile alla natura costruttiva e sociale di ogni processo interattivo e anche di quello che emerge dall’incontro fra un operatore dei servizi e un utente, sia esso individuo o gruppo familiare. La doppia descrizione è un metodo che implica una concezione processuale dell’intervento. Una concezione in virtù della quale un operatore, di fronte all’imprevisto, si interroga sul processo interattivo che egli stesso ha contribuito a costruire e sull’opportunità di modificare i propri comportamenti. La natura intersoggettiva e costruttiva dei processi implicati in ogni intervento messo in atto in favore delle famiglie dà vita ad un contesto caratterizzato dall’imprevedibilità. In un’ottica istruttiva, gli effetti imprevisti sono considerati come ostacolo alla realizzazione degli scopi e degli obiettivi prefissati. L’operatore che adotti questa prospettiva agirà quindi per ridurli o per eliminarli. In un’ottica costruzionista-processuale, gli effetti imprevisti sono invece considerati ineliminabili portati dell’interazione stessa. Da questo punto di vista, un operatore li analizza e si confronta con essi. L’operatore di fronte all’imprevisto La conduzione lineare di un intervento derivante dall’adozione di una prospettiva istruttiva dell’azione, consegue dei risultati positivi in molti casi. Il conseguimento di risultati positivi da parte di tali interventi non implica affatto che il processo interattivo che si origina nel corso della conduzione dell’intervento non abbia alcuna influenza nella determinazione dei risultati. I risultati degli interventi istruttivi sono soddisfacenti quando tra operatori e utenti esistono dei presupposti spontaneamente condivisi di competenza di entrambi e quando il significato attribuito all’intervento è altrettanto condiviso. Nella maggior parte dei casi, cioè, la relazione che si stabilisce fra l’operatore e l’utente è percepita da entrambi come un rapporto tra un fruitore e un fornitore di servizi. Ed è percepita come tale poiché entrambi condividono più ampie e diffuse rappresentazioni sociali di quel che si intende per ‘’intervento’’. Tali rappresentazioni sociali descrivono il rapporto fra utenti e operatori dei servizi come una relazione complementare tra due parti che si adoperano per risolvere il problema di una di esse. L’interazione si configura allora come un circuito armonioso in cui l’azione dell’uno conferma le attese dell’altro. Il mettere a disposizione le proprie tecniche e i propri strumenti da parte dell’operatore si coniuga spontaneamente con i presupposti dell’utente che ricerca un aspetto in grado di aiutarlo a far fronte alle proprie esigenze. Il fatto che un intervento sia condotto all’interno di un contesto di significati condivisi favorisce un processo di oggettivazione. Si tende cioè ad attribuire alle tecniche un’efficacia in sé e ad ignorare l’influenza che proprio la condivisione dei significati, rimasta sullo sfondo di quanto comunemente percepita come ovvia, ha sulla determinazione dell’esito dell’intervento. Non si deve cadere nell’equivoco di confondere la consensualità con l’inesistenza del contesto intersoggettivo dell’intervento. Il metodo della doppia descrizione si fa indispensabile ma ci dobbiamo attingere come risorsa a cui ricorrere: • • • Per riconoscere se il contesto di relazione attivato dall’intervento consente o meno di dare per scontata la consensualità delle premesse di operatori, famiglie e utenti Per affrontare consapevolmente i contesti nei quali tale consensualità appare problematica Per riflettere, in generale, sull’intervento nel caso in cui questo denunci difficoltà di realizzazione