1 L'OGGETTO DI STUDIO DELL'ATTO COGNITIVO. 1.3 LA RAPPRESENTAZIONE NEL TRASCENDENTALISMO DI IMMANUEL KANT. Con la sintesi operata da Immanuel Kant (1724-1804), che coniuga in qualche modo la tradizione empirista (maggiormente i filosofi inglesi) con la tradizione razionalista (autori francesi), abbiamo la filosofia del tipo “trascendentalista” che cerca di esplorare la costruzione dell'oggetto della conoscenza. Se dal punto di vista classico, l’oggetto della conoscenza viene considerato come qualcosa “fuori” dell’intelletto umano, con la filosofia trascendentale l’oggetto della conoscenza viene costruito principalmente dallo stesso intelletto. Sebbene l’approccio Kantiano è tipicamente “moderno”, per il filosofo tedesco trova invece le sue origini nell'antica Grecia. Usando l’esempio della geometria, Kant suggerisce che la svolta rivoluzionaria accadde quando i matematici impararono che le forme geometriche vengono apprese in base alla loro costruzione intellettuale. «Innanzi a colui che dimostrò i primi teoremi sul triangolo isoscele (fosse Talete o chiunque altro) si accese una gran luce, poiché comprese che non doveva seguire ciò che via via vedeva nella figura, né attenersi al semplice concetto della figura stessa, quasi dovesse apprenderne le proprietà; ma doveva produrre la figura (costruendola) secondo ciò che con i suoi concetti pensava e rappresentava in essa a priori; comprese cioè che per sapere qualcosa con sicurezza a priori, non doveva attribuire alla cosa se non ciò che risultava necessariamente da quanto, conformemente al suo concetto, egli stesso vi aveva posto»1. Così, in sintesi, Kant ci presenta il suo famoso “apriorismo”, in cui la conoscenza degli oggetti viene resa possibile grazie alla struttura “a priori” (cioè, indipendentemente dall’esperienza empirica) dell’intelletto. Questa struttura mentale dell’essere umano, invece di essere informata dall’esperienza sensibile, informa la realtà empirica che ci presenta dei dati che vengono ordinati dall’intelletto. Nella stessa filosofia kantiana, tale svolta aprioristica viene nominata “la rivoluzione copernicana”. Il motivo di questo nome è semplice: come nella visione cosmologica dell’essere umano, Copernico ha invertito il centro dell’universo (dal geocentrismo si passa al eliocentrismo), così Kant nella visione filosofica 1 Immanuel KANT, Critica della ragion pura, P. Chiodi (ed.), UTET, Torino, 1967, 41. 1 dell’essere umano, pone al centro il soggetto (con le sue strutture mentali) anziché l’oggetto. Se per la filosofia classica la conoscenza partiva dall’influsso dell’oggetto sull’intelletto umano, per la filosofia trascendentale la conoscenza parte dalla mente. Il termine è ancora più interessante dal momento che si ricorda che la visione eliocentrica del universo è la vera visione dei fatti e che la visione geocentrica risulta sbagliata: il sole è veramente al centro del sistema solare, e la terra gira in torna. Con la “rivoluzione copernicana”, in filosofia, si pretende un autentico progresso per quanto riguarda l’analisi della conoscenza: se vogliamo sapere veramente come stanno le cose, allora dobbiamo iniziare dalla struttura dell’intelletto nella sua costruzione dell’oggetto (e non il contrario). Oltre la rivoluzione copernicana, Kant cerca di persuaderci dell’importanza dell’apriorismo prendendo spunto dal progresso scientifico scaturito dalle scoperte della scienza moderna. «[Galilei, Torricelli e Stahl] si resero allora conto che la ragione scorge soltanto ciò che essa stessa produce secondo il proprio disegno, e compresero che essa deve procedere innanzi coi principi dei suoi giudizi secondo leggi stabili, costringendo la natura a rispondere alle proprie domande, senza lasciarsi guidare da essa, per così dire, con le dande» 2. Kant è certo che gli scienziati che utilizzarono il moderno metodo scientifico abbiano compiuto le loro grandi opere grazie all’importanza data alla mente rispetto agli oggetti di natura. È la mente che deve organizzare la natura, e non viceversa. Lo stesso Kant si considera come l’interprete filosofico dei successi (indiscutibili) della nuova scienza: egli vuole identificare il fondamento epistemologico ancora non formulato esplicitamente dal nuovo metodo scientifico, esplicandolo teoricamente attraverso la sua teoria dell’apriori. Anche se tale approccio potrebbe sembrare attraente, in realtà significherà una debolezza del sistema kantiano, dal momento in cui buona parte del sistema stesso verrà a dipendere dal determinismo meccanicista della fisica newtoniana e dal carattere esclusivo della geometria euclidea. Ma coll'avvento del relatività einsteiniana e delle geometrie non euclidee, il carattere apodittico delle categorie kantiane risulterà insufficiente per spiegare il rapporto fra la natura e l’intelletto. Un esempio dell’intento kantiano di arrivare alle regole “necessarie e universali” con cui la mente organizza i dati empirici viene offerto dalla sua concezione dello spazio. «Lo spazio non è un concetto empirico, proveniente da esperienze esterne […] Conseguentemente, la rappresentazione dello spazio non può derivare, mediante l’esperienza, dai rapporti del fenomeno esterno; al contrario, l’esperienza esterna è possibile solo in virtù di detta rappresentazione. […] Lo spazio è una rappresentazione a priori, necessaria, che sta a fondamento di tutte le rappresentazioni esterne» 3. La nozione di “spazio”, quindi, è qualcosa inerente l’intelletto, una forma a 2 Ivi, 42. 3 Ivi, 99. 2 priori della sensibilità, la quale, insieme alla nozione di tempo, danno una prima strutturazione dei dati percepiti dai sensi esterni. «Lo spazio va pertanto considerato come la condizione della possibilità dei fenomeni e non come una determinazione da essi dipendente» 4. È del tutto chiaro che la fattualità degli oggetti reali non dipende dall’intelletto in quanto realtà ontologicamente sussistente (magari col solo pensiero riuscissimo a creare degli oggetti reali, come un milione di Euro), ma in quanto alla considerazione della loro spazialità, sempre secondo Kant, ciò è possibile. Quando pensiamo che “questo corpo occupa uno spazio”, lo possiamo pensare grazie alla forma a priori della sensibilità che costituisce la spazialità dell’oggetto in questione (la lavagna, la finestra, il tavolo). Se nell'universo non ci fosse nessun intelletto umano, lo spazio non esisterebbe. La stessa analisi s’applica poi alla nozione di tempo, che secondo Aristotele, era il numero [la misura] del movimento secondo il prima e il poi 5. In Kant, vediamo come l’intuizione aristotelica viene radicalizzata per concludere che la nozione di tempo dipende dalla mente: l’altra forma a priori della sensibilità che organizza i dati empirici. Lo stesso Aristotele si era chiesto se il tempo sarebbe anche laddove se esistesse nessun “anima”; Kant a riguardo risponderà negativamente6. Dopo le forme a priori della sensibilità dello spazio e del tempo, Kant afferma che l’intelletto continua a costituire l’oggetto della conoscenza attraverso le categorie. Tali categorie sono simili a quelle aristoteliche (la sostanza e i nove accidenti, come ad esempio, il luogo, la relazione, la qualità, la quantità), con l’eccezione che in Kant sono a priori ed appartengono alla natura dell’intelletto, mentre in Aristotele appartengono agli oggetti reali. Per la costituzione dell’oggetto sono necessarie sia le forme della sensibilità, sia le categorie. «La nostra conoscenza trae origine da due sorgenti fondamentali dell’animo, di cui la prima consiste nel ricevere le rappresentazioni (la recettività delle impressioni), e la seconda è la facoltà di conoscere un oggetto per mezzo di queste rappresentazioni (spontaneità dei concetti). […] Nessuna di queste due facoltà è da anteporsi all’altra. Senza sensibilità, nessun oggetto ci verrebbe dato e senza intelletto nessun oggetto verrebbe pensato. I pensieri senza contenuto sono vuoti, le intuizioni senza concetto sono cieche»7. “Ricevere le rappresentazioni” può dare luogo a qualche ambiguità dal momento che ricordiamo che è la mente che produce la rappresentazione, e non la “riceve” semplicemente. Allo stesso tempo, molti pensatori hanno criticato la rappresentazione kantiana ingiustamente. Anche se Kant privilegia l’opera a priori 4 Ibidem. 5 ARISTOTELE, Fisica, IV, 11, 219b. 6 Ivi, 223a. Anche li Aristotele asserisce che se non ci fosse nessuna anima, non ci sarebbe il tempo. Il movimento sì, ma richiederebbe un'anima che cogliesse il “movimento” delle cose: appunto questo significa il tempo. 7 Immanuel KANT, cit., 125. 3 della mente nella costruzione dell’oggetto della conoscenza, riconosce la necessità dei dati sensibili provenienti dall’esterno. Insomma, la rappresentazione delle cose reali viene prodotta dalla mente, ma soltanto in base all’esperienza. La vera conoscenza avviene con l’applicazione delle categorie. «Sorgono in tal modo tanti concetti puri dell’intelletto, volti a priori agli oggetti dell’intuizione in generale, quante funzioni logiche in tutti i possibili giudizi risultavano dalla tavola precedente; infatti le suddette funzioni esauriscono integralmente l’intelletto, misurandone pertanto l’intera capacità. Seguendo Aristotele, chiamiamo questi concetti categorie, poiché il nostro scopo, nella sua origine prima, fa tutt’uno col suo, benché ne diverga assai nella esecuzione» 8. La rappresentazione in se stessa è insufficiente perché sia realizzato l’atto di conoscenza. Questa deve essere ordinata secondo una delle categorie a priori della ragione che impone la sua struttura mentale alla rappresentazione. Qui abbiamo il meccanismo di perno principale per l’epistemologia kantiana: l’esito dell’applicazione delle diverse categorie sarà l’autentica costituzione dell’oggetto della conoscenza. A questo punto si può domandare: come vengono applicate le categorie a priori della ragione al prodotto della sensibilità, cioè, alla rappresentazione mentale? La risposta che ne dà Kant è chiamata “schematismo”. «Ora è chiaro che ci deve essere qualcosa di intermedio, che risulti omogeneo da un lato con la categoria e dall’altro col fenomeno, affinché si renda possibile l’applicazione della prima al secondo. Questa rappresentazione intermedia deve essere pura (senza elementi empirici) e, tuttavia, per un verso intellettuale e per l’altro sensibile: essa è lo schema trascendentale»9. Lo schematismo agisce come meccanismo intermedio fra il dato parzialmente organizzato dalle forme a priori dello spazio e tempo, e le categorie superiori della ragione. Questi schemi si possono descrivere come “canali” che indirizzano le rappresentazioni alle categorie giuste per poter così terminare di strutturare il dato sensibile. Un esempio di questo meccanismo può essere la nozione di “sostanza”. Come già sappiamo, la nozione di sostanza è la prima categoria aristotelica e significa ciò che ha l’essere in sé (e non in altro). Da lì, nel parlare comune, la parola “sostanza” porta la connotazione di qualcosa di fondato, il punto nevralgico del discorso, quell'elemento decisivo senza il quale non c’è nient’altro. Quando chiediamo alle persone di andare “alla sostanza” vogliamo dire di prescindere degli elementi decorativi o aggiuntivi, rivelando il nocciolo della questione. Il senso della parola “sostanza” nei linguaggi naturali evoca la nozione aristotelica della stessa, come d’altronde i sensi di tante parole naturali possono essere ricondotti alla filosofia della antica Grecia. Per Kant “sostanza” significa “ciò che perdura nel tempo”. In altre parole, 8 Ivi, 138. 9 Ivi, 191. 4 vediamo una certa modifica della nozione che chiaramente viene situata all’interno del sistema trascendentale. In ogni caso, ciò che perdura nel tempo vuole indicare qualcosa di molto simile al senso aristotelico, ed è questo: ciò che perdura nel tempo è «ciò che è sostanziale», mentre «ciò che non è sostanziale» cambia, s’altera, smette di esistere. L’esempio dell’essere umano può essere illustrativo: l’essere umano cambia durante il tempo, ma sostanzialmente è la stessa persona. Quando vedo una fotografia di me stesso a 10 anni, riconosco sostanzialmente la stessa persona, soltanto molto più giovane e ancora da crescere. Miliardi di cose cambieranno, ma resta la sostanza senza varianti. Perché il nostro sistema giudiziario può incarcerare una persona per dieci anni, e sostenere che l’autore del delitto impunito è lo stesso oggi che dieci anni fa? Perché la sostanza non cambia. Anche se si suol dire “sono cambiato da come ero dieci anni fa”, “sono una persona completamente diversa” (presumendo una “conversione” o autentica trasformazione), in realtà si sta parlando di caratteristiche non sostanziali della persona, i quali appunto possono essere modificate con il tempo. Ciò che non può venire modificato è la sostanza. Tornando al problema di Kant, si è dovuto introdurre lo schematismo trascendentale per unire la sensibilità alla ragione, cioè, le forme a priori della sensibilità e il loro prodotto con le categorie superiori dell’intelletto. Nell'esempio della sostanza, è precisamente lo schema “quello rappresentato da ciò che perdura nel tempo” che indirizza il dato parzialmente strutturato alla categoria “sostanza” dove riceve l’ulteriore organizzazione categoriale. Un altro schema conduce, per esempio, alla categoria “causa” o alla categoria di “modo” (“possibile-impossibile”) dove i concetti puri ordinano i dati sensibili ancora non unificati. «In ogni sussunzione di un oggetto sotto un concetto, la rappresentazione dell’oggetto deve essere omogenea a quella del concetto, ossia quest’ultimo deve contenere ciò che viene rappresentato nell’oggetto da sussumere sotto di esso; è proprio questo, infatti, il significato dell’espressione: un oggetto è compreso sotto un concetto. Così il concetto empirico di un piatto è in relazione di omogeneità con quello geometrico di un circolo, perché la rotondità che viene pensata nel primo, è intuibile nel secondo» 10. Critica del rappresentazionismo La critica dell’approccio kantiano inizia con la determinazione dell’oggetto di conoscenza. Pur semplificando molto, si può chiedere quale sia il vero oggetto di conoscenza nella teoria epistemologica kantiana. Spesso s’afferma che, secondo Kant, l’oggetto di conoscenza non è la cosa (empiricamente) reale, ma la stessa rappresentazione mentale della cosa. Se le cose sono così, allora è facile vedere l’insufficienza della teoria. Se la rappresentazione è il vero oggetto della conoscenza (e non la cosa esistente), allora ci immettiamo in un processo infinito, perché per conoscere la rappresentazione, dovrei avere una rappresentazione di essa, e per conoscere quella, dovrei avere una rappresentazione ulteriore, e così 10 Ivi, 190. 5 all'infinito. Il P. Carlo Huber lo spiega così nel suo libro, Critica del sapere: «Il soggetto conoscente si riferisce all’oggetto per mezzo dell’immagine dell’oggetto. In che modo l’immagine stessa si riferisce all’oggetto? Se non per se stessa, allora per un quarto intermediario, il quarto per un quinto, e così di seguito. L’immagine deve corrispondere alla cosa. Questa corrispondenza deve essere conosciuta. In che modo questa immagine della corrispondenza conosciuta si riferisce alla corrispondenza reale tra la prima immagine e la cosa? In che modo si riferisce alla cosa stessa? Attraverso una quarta immagine, e così via… Devo paragonare l’immagine con la cosa stessa: devo dunque conoscere l’immagine e la cosa come distinte ma corrispondenti. Conosco forse la cosa per mezzo di un’altra, per mezzo cioè di un’immagine secondaria? Conosco l’immagine stessa attraverso una terza sua immagine, e così di seguito? Come si conosce l’immagine stessa? Attraverso un’altra sua immagine? E così di seguito. In tal modo la conoscenza dell’oggetto non avviene mai, qualunque sia l’oggetto»11. Ecco ciò che succede quando si dimentica che l’autentico oggetto dell’intelletto umano è la cosa esistente fuori della mente. Ma è anche vero che la conoscenza arriva all’oggetto esistente soltanto attraverso l’immagine mentale costruita dal processo intellettivo. L’immagine o la rappresentazione mentale è quello per cui si conosce l’oggetto, non è l’oggetto ultimo di conoscenza. Diceva bene Tommaso d’Aquino, “dunque è necessario concludere che il nostro intelletto conosce le cose materiali mediante l'astrazione dai fantasmi” 12. Ancora più specificamente, Tommaso critica quegli autori che affermano che conosciamo soltanto ciò che produciamo nell'intelletto, cioè, la impressioni sensibili (che corrisponderebbero alle rappresentazioni kantiane). Risponde così: «Se dunque noi conoscessimo soltanto le specie intenzionali presenti nell’anima nostra [la rappresentazione mentale formata dalle forme a priori della sensibilità e l’applicazione delle categorie (concetti puri), ndr], ne seguirebbe che tutte le scienze non avrebbero per oggetto le cose reali esistenti fuori dell'anima, ma soltanto le specie che si trovano in essa» 13. Conclude poi con la frase ormai celebre, «È perciò necessario affermare che le specie intelligibili sono il mezzo di cui l'intelletto si serve per conoscere»14. La rappresentazione mentale è necessaria per conoscere, ma non è quella che vogliamo conoscere, bensì la cosa esistente. «Ma poiché l'intelletto può riflettere su se stesso, allora, in forza di questa riflessione, può conoscere la propria intellezione e quindi l'idea di cui si serve. Perciò questa in un secondo tempo è anche oggetto d'intellezione. Ma oggetto primario d'intellezione è la realtà di cui l'idea è un'immagine o somiglianza»15. «[…] l'anima conosce le cose esistenti fuori 11 12 13 14 15 Carlo HUBER, Critica del sapere, PUG, Roma, 1995, 170-171. TOMMASO, ST, I, q. 84, a. 1. Ivi, q. 84, a.2. Ibidem. [Corsivo mio] Ibidem. 6 di essa mediante dati intelligibili»16. Philip Larrey 16 Ibidem. 7