VERBALE N° 5
VIOLA COLAZINGARI
22/10/2015
KANT e L'APPERCEZIONE TRASCENDENTALE
Kant afferma che i giudizi realmente scientifici, non possono essere
certamente i giudizi della logica in quanto sono veri ma dal punto di
vista del progresso conoscitivo sono poco fruttuosi e chiamati dallo
stesso giudizi analitici a priori, in quanto analizzano il soggetto con
caratteristiche che sono già implicite.
Per quanto riguarda l'empirismo invece il problema è opposto, gli
empiristi infatti emettono giudizi a posteriori, fondati sul semplice
accumulo di esperienze senza intervenire con la teoria, l'intelletto
perciò si limita a subire passivamente le percezioni dopo aver
vissuto l'esperienza, quindi anziché plasmare le esperienze con la
teoria, l'intelletto interviene successivamente. Questi giudizi
sebbene abbiano la capacità di sintetizzare, non sono certamente
universali poiché si fondano su una passiva abitudine.
Dunque i giudizi della scienza devono essere sintetici poiché
devono aggiungere materiale informativo sulla realtà, ma allo stesso
tempo anche universali (spazio e tempo).
Kant afferma quindi che spazio e tempo sono validi solo se c'è un
fondamento che li accompagna e devono essere ricondotti a quello
che è un grande principio unificatore poiché le categorie sono
schemi mentali soggettivi talvolta anche frutto della fantasia. Perciò
Kant vuole affermare che le categorie benchè siano soggettive,
debbano essere capaci inoltre, di fondare una conoscenza oggettiva
trovando un principio costante che accompagni ogni esperienza.
Kant ha bisogno di legittimare la validità delle categorie cercando di
trovare un punto stabile che presiede a tutto il lavoro dell'intelletto.
La risposta a questo problema è che le categorie sono legittimate
poichè c'è l'individuo che le pensa ed è l' ''io'' che accompagna
dunque ogni singola esperienza facendo da perno.
Cartesio non parte invece dall'esistenza, ma la deduce dal pensiero
che dipende da se stesso ed è autodedotto.
Per Kant ''l'io penso'' (appercezione trascendentale) è un'attività
unificatrice e sintetizzatrice che dipende dall'esistenza.
Per Cartesio è contrariamente una sostanza. Spinoza contestò questo
termine, poiché dire sostanza significa dire totalità, qualcosa che
basta a se stesso, in realtà l'uomo secondo quest'ultimo è solamente
una parte del tutto.
Cartesio inoltre, afferma che grazie all'esistenza del cogito, questo
può cogliere qualsiasi conoscenza, e quando afferma che l'io è una
res cogitans (una cosa pensante) rafforza il concetto del suo
assolutismo. Arriva a pensare che se l'individuo è cogito, fonda
Dio (giacché lo pensa) e questo viene quindi assorbito dal cogito
come sinonimo di perfezione.
L'equazione io-Dio è uno dei punti più dogmatici di Cartesio, fare
dell'io un assoluto significa identificarlo a Dio.
Per tale motivo Kant insiste sul fatto che l'io è valido come una
funzione sintetizzatrice che si lega ai fenomeni e che si fonda sul
tempo.
Tutto sommato la conoscenza non è altro che una grande processo
di memorizzazione e lui stesso dice che se non avesse coscienza di
sè avrebbe un ''appercezione'' di se stesso variopinto, ci sarebbe
quindi una frantumazione della conoscenza che diventerebbe
casuale perciò l'io diverrebbe sfaccettato e sarebbero presenti tanti io
quante sono le esperienze.
La forza dell'io sta nella sua dipendenza dal tempo e dallo spazio, le
categorie sono dunque assicurate dalla presenza di un io che grazie
al tempo accompagna ogni esperienza.
Per Kant la conoscenza dell'oggetto dipende dalle strutture del
soggetto, ossia una funzione operativa.
Nella critica della ragion pratica, Kant si riscatterà diventando quasi
un romantico, poichè l'intelletto è freddamente inchiodato ai
fenomeni, ma l'individuo in se e per se non si fonda solo sulla
conoscenza, bensì anche sul talento, sulla personalità, sui sentimenti,
non può essere perciò ridotto solo a puro soggetto conoscitivo. Lui
stesso afferma che la ragione dal punto di
vista conoscitivo è limitata a ciò che deve conoscere, ma nell'ambito
della morale si può autofondare e non deve dipendere dalle
passioni, dai vizi e dalle mode.
Kant celebra quindi la dignità dell'individuo nella sua piena
autonomia sebbene sia un'ideale quasi irraggiungibile, lo stesso
afferma che se siamo in grado di sognare la libertà abbiamo il
dovere morale di provare a raggiungerla.
L'uomo ha il dovere di farlo con la ragione che deve essere in grado
di svincolarsi da tutto ciò che la rende schiava come: le mode, le
ideologie, i dogmi, i vizi, che lo riducono ad un puro oggetto.
Nell'ambito della morale quindi l'uomo non solo può, ma deve
autofondarsi.
La morale assume quindi un primato rispetto alla conoscenza, non
che questa non nobiliti l'uomo, ma allo stesso tempo quest'ultimo
deve essere felice.