Giudizi di Cicerone sugli spettacoli di massa: saggi brevi degli studenti. Argomento da trattare: Verso la metà del I sec. a.C. la società romana sta evolvendo verso forme autoritarie. Chi aspira al potere scavalca la tradizionale costituzione repubblicana con accordi segreti di vertice, ma anche cerca l’appoggio popolare come sostegno di massa alle proprie mire personalistiche. A tali scopi non vengono trascurati neppure gli spettacoli di massa delle venationes, del circo e dei ludi gladiatorii. Non sfugge tutto ciò alle persone attente come Cicerone, che risultano anche vittime di quel clima che a volte esprimono il proprio giudizio su questi aspetti della vita sociale. Come si manifestano questi cambiamenti? Quali sono i giudizi di Cicerone, soprattutto in merito al mondo dello sport-spettacolo a servizio del potere? Ci possono essere dei raffronti nel mondo che tu conosci? Documentazione: Roma, Musei Capitolini: Busto di M.T.Cicerone 1) Cicerone: giudizio negativo sugli spettacoli delle venationes e gladiatori voluti da Pompeo. Ad Familiares, VII,1 A Marco Mario, nell’anno 699 ab Urbe condita. Si sono svolti alcuni giorni di spettacoli del circo voluti da Pompeo, Cicerone ne scrive in modo critico, non per la quantità di spettacoli offerti, ma per la qualità: sia di quelli teatrali, sia per i ludi atletici e gladiatorii, che per le venationes. Pompeo aveva speso un sacco di soldi, ma solo il volgo era restato affascinato, non il ceto sociale a cui apparteneva Cicerone. Cicerone si rivolge a M.Mario che non si è presentato a Roma per assistere agli spettacoli, ma è restato in Campania. Se l’assenza è dovuta ad una scelta, -egli dice-, e non alla sua salute, ha fatto bene (“sin haec, quae ceteri mirantur, contemnenda duxisti et, cum per valetudinem posses, venire tamen noluisti, utrumque laetor”). Mentre l’amico passava il suo tempo nella sua villa al mare, Cicerone e gli altri come lui erano costretti a dover passare il tempo svogliati davanti a spettacoli costosissimi senza valore, promossi da Sp. Mecio, spettacoli molto fastosi ma di pessimo gusto (“nobis autem erant ea perpetienda, quae Sp. Maecius probavisset. Omnino, si quaeris, ludi apparatissimi, sed non tui stomachi”). Gli spettacoli, che avevano avuto il consenso popolare, erano stati di un fasto senza gusto, inferiori a quelli mediocri che già se ne erano visti anche in passato. Pure osservare la pompa, lo sfarzo li rendeva scadenti. Se ne poteva fare a meno (“Quid tibi ego alia narrem? nosti enim reliquos ludos, qui ne id quidem leporis habuerunt, quod solent mediocres ludi; apparatus enim spectatio tollebat omnem hilaritatem, quo quidem apparatu non dubito quin animo aequissimo carueris; quid enim delectationis habent sexcenti muli in Clytaemnestra aut in Equo Troiano creterrarum1 tria milia aut armatura varia peditatus et equitatus in aliqua pugna? quae popularem admirationem habuerunt, delectationem tibi nullam attulissent.”). All’amico non piacevano, come a Cicerone, le lotte dei gladiatori, che qui vengono messe sullo stesso piano delle gare degli atleti, di cui entrambi non sentivano affatto la mancanza, mentre erano costate tempo e denaro a Pompeo. Quindi, prima di ragguagliare l’amico sul lavoro svolto in una causa a favore dell’amico Caninio Gallo, Cicerone dà il suo giudizio anche sulle venationes che Pompeo aveva voluto organizzare: addirittura due al giorno per cinque giorni, una cosa che può piacere il volgo, ma non le persone di cultura, che non godono nel vedere gli animali massacrati: “Nam quid ego te athletas putem desiderare, qui gladiatores contempseris? in quibus ipse Pompeius confitetur se et operam et oleum perdidisse. Reliquae sunt venationes binae per dies quinque, magnificae —nemo negat—, sed quae potest homini esse polito delectatio, cum aut homo imbecillus a valentissima bestia laniatur aut praeclara bestia venabulo transverberatur? quae tamen, si videnda sunt, saepe vidisti, neque nos, qui haec spectavimus, quidquam novi vidimus. Extremus elephantorum dies fuit: in quo admiratio magna vulgi atque turbae, delectatio nulla exstitit; quin etiam misericordia quaedam consecuta est atque opinio eiusmodi, esse quandam illi beluae cum genere humano societatem”. 1 Creterra = cretera = cratera: crater, -eris, vaso in cui mescolare il vino, cratere. 2) Cicerone: Gli spettacoli sono, come i comizi, luoghi dove si manifesta il volere popolare. Pro Sestio 106 [50] (106) Nunc, nisi me fallit, in eo statu civitas est ut, si operas conductorum removeris, omnes idem de re publica sensuri esse videantur. Etenim tribus locis significari maxime de (re publica) populi Romani iudicium ac voluntas potest, contione, comitiis, ludorum gladiatorumque consessu. Quae contio fuit per hos annos, quae quidem esset non conducta sed vera, in qua populi Romani consensus non perspici posset? Habitae sunt multae de me a gladiatore sceleratissimo, ad quas nemo adibat incorruptus, nemo integer; nemo illum foedum vultum aspicere, nemo furialem vocem bonus audire poterat. Erant illae contiones perditorum hominum necessario turbulentae. 3) Cicerone: il gladiatore sa sopportare. (Tusculanae disputationes, II, 41) Cicerone si dedica allo studio della filosofia soltanto negli ultimi due anni della sua vita. Non era né voleva essere considerato un pensatore originale. Egli fu un eclettico con capacità di sintesi, condividendo posizioni neoaccademiche e scettiche, con aperture allo stoicismo. Nelle Tusculanae disputationes presenta i rimedi che la riflessione filosofica può fornire ai vari mali dell’esistere: l’argomento generale è il raggiungimento della felicità e la rimozione degli ostacoli che vi si frappongono: la paura della morte, il dolore fisico, le afflizioni, le passioni. In particolare, nel II° libro la trattazione dell’argomento è “sopportare il dolore”. La trattazione risulta piuttosto soffocata: 13 paragrafi iniziali (proemio) sono dedicati a un preambolo sulla filosofia, poi il discorso volge sul dolore, ma l’argomento viene interrotto da lunghe citazioni poetiche e da digressioni, poi la trattazione non è molto ampia. Considerato il dolore come un qualcosa che ripugna alla natura dell’uomo, a cui l’uomo deve opporre una sopportazione, Cicerone affronta l’esame dei metodi di preparazione psicologica e fisica per farvi fronte: esercizio fisico alla sopportazione del dolore e esercizio della volontà alla sopportazione, così come avviene per i soldati. Una recluta, -afferma-, ancora non sa sopportare il dolore e la fatica. Di fronte alle ferite si impaurisce. Non così il vecchio soldato che ha allenamento alle ferite e cerca soltanto un medico per farsi fasciare e poi ritornare sul campo. Ugualmente – continua Cicerone-, avviene per il gladiatore, che è un uomo rovinato dai debiti o un barbaro, ma che è esercitato a ricevere colpi e sa mostrarsi resistente e impavido di fronte al pericolo estremo: Gladiatores, aut perditi homines aut barbari, quas plagas perferunt! quo modo illi, qui bene instituti sunt, accipere plagam malunt quam turpiter vitare! quam saepe apparet nihil eos malle quam vel domino satis facere vel populo! mittunt etiam vulneribus confecti ad dominos qui quaerant quid velint; si satis eis factum sit, se velle decumbere. Quis mediocris gladiator ingemuit, quis vultum mutavit umquam? quis non modo stetit, verum etiam decubuit turpiter? quis, cum decubuisset, ferrum recipere iussus collum contraxit? Tantum exercitatio, meditatio, consuetudo valet. Ergo hoc poterit Samnis, spurcus homo, vita illa dignus locoque,2 vir natus ad gloriam ullam partem animi tam mollem habebit, quam non meditatione et ratione conroboret? Crudele gladiatorum spectaculum et inhumanum non nullis videri solet, et haud scio an ita sit, ut nunc fit. Cum vero sontes ferro depugnabant, auribus fortasse multae, oculis quidem nulla poterat esse fortior contra dolorem et mortem disciplina. 2 Citazione dalle Satire di Lucilio. Particolare della Carta geografica d’Italia: l’area dei Latini e dei “Populi finitimi” 7 elaborati: 1) Gli spettacoli ludici durante la crisi della repubblica di Roma e le riflessioni sull’oggi. Di Prosperi Martina IV F Nell’ultimo secolo della repubblica , Roma è costretta a dover affrontare uno dei periodi più bui della sua storia, caratterizzato da una profonda crisi conseguente alla degenerazione delle istituzioni repubblicane . Questo sconvolgimento si manifestò nei vari aspetti della vita dei cittadini romani : sul piano culturale, sociale e soprattutto politico. Dopo la sconfitta definitiva dei populares nella guerra civile, nell’82 a.C. Lucio Silla fu nominato dittatore con il compito di scrivere le leggi e di dare nuovo assetto alla repubblica romana. Tra le molte iniziative di questo periodo ricordiamo: • le liste di proscrizione, ossia lunghi elenchi di persone che potevano essere uccise da chiunque e i cui beni finivano all’asta, oppure venivano distribuiti ai veterani; • l’ aumento del numero dei senatori, che passò da trecento a seicento; • l’accesso alla carica di console solo dopo aver ricoperto quelle di questore e di pretore; • il forte ridimensionamento del potere dei tribuni della plebe. Ovviamente Silla agì in questo modo con lo scopo di favorire la classe senatoria e di controllare le magistrature, in particolare quella dei tribuni della plebe, ma permise anche a molti dei suoi seguaci di potersi arricchire accusando ingiustamente ricchi possidenti romani. Tra quelli Crasso, exluogotenente di Silla, che si distinse poi nella battaglia del 73 a.C. contro i rivoltosi guidati da Spartaco, che venne sedata con l’aiuto di Gneo Pompeo. Entrambi ricoprirono la carica di console nel 70 a.C., dopo aver ottenuto l’appoggio dei populares con la promessa di modificare la costituzione sillana e la resa del senato con la forza militare. Nel 60 a.C., dieci anni dopo, si unirà a loro una terza figura, Giulio Cesare, con il quale formeranno il primo triumvirato che gli permetterà di continuare la loro scalata nella vita politica di Roma: Cesare, appoggiato da Pompeo, sarebbe diventato console nel 59 a.C. e in cambio avrebbe approvato i provvedimenti del “socio”, mentre Crasso, data la sua influenza sulla classe finanziaria, avrebbe sostenuto la distribuzione delle terre ai veterani di Pompeo ricevendo avanzamenti nella carriera militare. Come loro, anche un altro nobile avrebbe voluto fare carriera politica e in particolare ricoprire la carica di console per l’anno 64 a.C. poi vinta da Cicerone. Stiamo parlando di Catilina, pronto ad usare qualsiasi mezzo pur di ottenere il potere, ed infatti organizzerà una congiura ai danni dell’avversario Cicerone, che, scoperto l’inganno, lo accuserà in senato pronunciando l’orazione che diverrà famosa come la “Prima Catilinaria”. Questo mostra quanto fosse cambiata la società romana dai tempi della guerra civile, in cui le cariche istituzionali della repubblica come le magistrature del consolato, della pretura, della questura, o persino il senato e i tribuni della plebe, venivano soppiantate da accordi personali privati come quello fra Pompeo, Cesare e Crasso o, ancor più sconcertante, messe a rischio dalle ambizioni di figure pericolose come quella di Catilina . La plebe, la gran parte della popolazione, era ovviamente a conoscenza di tutto quello che stava accadendo a Roma, ma già dalla seconda metà del II secolo a.C., dopo la conclusione della terza e ultima guerra punica, il senato per evitare che la grande massa di contadini, trasferitisi in città dai campi ormai inariditi, potesse sollevarsi contro chi aveva il potere, organizzava pubbliche distribuzioni di grano e ludi negli anfiteatri per catturarne il consenso. Era un’abitudine per il governo romano quindi servirsi di questi mezzi d’intrattenimento per distogliere l’attenzione della popolazione dalle questioni politiche e sociali. In seguito però la “classe dirigente” si rese conto che gli organizzatori di queste manifestazioni avevano un grande ascendente sulla popolazione, così da iniziare ad introdurle durante le campagne elettorali politiche. Fu questa attitudine che spinse Cicerone, durante il suo anno di consolato, a far varare la “ Lex Tullia de ambitu ”, con la quale intendeva vietare ai candidati alle elezioni di allestire spettacoli d’intrattenimento come mezzo per accattivarsi la benevolenza della popolazione romana nei due anni precedenti le votazioni. Nonostante ciò personaggi illustri della politica romana dell’epoca continuarono ad organizzare nell’ Urbe manifestazioni ludiche e spettacoli di massa. Pompeo non è estraneo nel seguire questa linea di comportamento e diventa l’oggetto della critica dell’ex console e oratore Cicerone, come scrive nella sua lettera della raccolta “Ad Familiares”. Proprio nella missiva scritta a Marco Mario nell’anno 669 ab Urbe condita ( 54 a.C.), egli dà un giudizio negativo circa gli spettacoli delle venationes e dei gladiatori voluti dal triumviro: “ In quibus ipse Pompeius confitetur se et operam et oleum perdidiss. Reliquae sunt venationes binae per dies quinque, magnificae, nemo negat, sed quae potest homini esse polito delectatio, cum aut homo imbecillus a valentissima bestia laniatur aut praeclara bestia venabulo transverberatur? Quae tamen, si vivenda sunt, saepe vidisti, neque nos, qui haec spectavimus quidquam novi vidimus. Extremus elephantorum dies fuit: in quo admiratio magna vulgi atque turbae, delectatio nulla exstitit ” . Egli riporta all’amico, che non era stato presente, lo svolgimento dei giochi in cui vennero allestite in totale dieci cacce tra venationes e lotte gladiatorie. Per cinque giorni, e in particolar modo nell’ultimo, Pompeo era riuscito ad attirarsi la benevolenza e l’ammirazione della massa popolare, ma non la sua, così che non riusciva a capire in che modo degli uomini raffinati come lui potessero essere divertiti da spettacoli in cui belve ferocissime e bellissime sbranavano uomini deboli o venivano uccise dai gladiatori e, nonostante vi avesse partecipato varie volte come spettatore, non era riuscito ad intravedere nulla di innovativo ed originale. Insomma, si era rivelato un inutile spreco di tempo e di denaro come aveva confessato lo stesso Pompeo. E’ chiaro, dunque, dopo aver letto il brano, quale sia il giudizio di Cicerone sul “mondo dello spettacolo” romano: esso era sì un aspetto importante della vita sociale di un popolano, che aveva ben poche altre occasioni per potersi divertire e dimenticare per un attimo le amarezze dell’esistenza, ma non di un aristocratico o esponente della politica cittadina che invece avrebbe dovuto preoccuparsi di questioni di gran lunga più importanti o comunque di un altro spessore culturale . Cicerone era inoltre totalmente cosciente del fatto che queste manifestazioni ludiche parareligiose così fatte non rientravano nella tradizione della storia romana, ma erano comunque diventate una delle poche occasioni in cui si poteva ritrovare il giudizio del popolo sullo Stato e sui governanti, dopo i comizi e le assemblee. Cicerone infatti dice in un passo della “Pro Sestio“: “ Etenim tribus locis significari maxime de (re publica) populi Romani iudicium ac voluntas potest , contione , comitiis ludorum gladiatorumque consessu. Quae contio fuit per hos annos , quae quidam esset non conducta sed vera , in qua populi Romani consensus non perspici posset ? Negli ultimi anni erano state organizzati degli incontri, in cui era impossibile non percepire il consenso del popolo romano; fra questi egli annovera proprio anche i ludi e lo spettacolo gradiatorio. Ritorna quindi anche in questo brano il pensiero sviluppato da Cicerone circa il rapporto tra l’ambiente politico e lo spettacolo a Roma ai suoi tempi. Nati come due aspetti diversi della vita pubblica e privata, con la crisi della repubblica più volte le loro strade si erano incrociate dando come risultato lo svilupparsi della corruzione in un ambiente concepito originariamente solo per commemorare dei familiari e per intrattenere la popolazione. Per quanto riguarda il mondo moderno, il nostro mondo, non sono in grado di dare dei giudizi circa l’intervento della politica nell’ambiente dello sport se non limitati, perché nella mentalità comune oggi parlare di sport equivale sostanzialmente a parlare di calcio e non sono molto informata sull’argomento. Però l’unico esempio che posso portare all’attenzione riguarda la presidenza di una squadra italiana molto conosciuta anche all’estero: il Milan, il cui “proprietario” è il neopresidente del consiglio Silvio Berlusconi, che “formalmente” ha dovuto lasciare la direzione del team al signor Galliani, per fronteggiare, almeno in apparenza, il problema del “conflitto di interessi”. Si potrebbe inoltre parlare del mondo della televisione o più in generale del mondo dello spettacolo, che proprio negli ultimi anni ha fatto parlare di sé, qui in Italia, nell’inchiesta ribattezzata “Vallettopoli ”. In particolare si devono mettere sotto esame anche tutti quei programmi definiti “trash”, il cui livello culturale necessita la creazione di una nuova scala di valutazione per essere giudicato: stiamo parlando di talk show , reality e alcuni programmi, soprattutto domenicali, che non possono che essere definiti: i moderni spettacoli ludici o moderne manifestazioni d’intrattenimento della “plebe”. Personaggi dalla dubbia reputazione che si scannano a suon di parolacce, neanche fossero delle bestie che combattono per la loro sopravvivenza in case costruite come gabbie, creando un richiamo con il mondo delle venationes degli anfiteatri romani; oppure naufraghi o nullafacenti la cui sorte sull’isola di turno viene sancita dagli spettatori che, come moderni imperatori, decidono con un dito che ne sarà della loro “vita”. Sembrerà strano, ma ci siamo mai domandati chi ha introdotto in Italia questa programmazione estranea ai nostri costumi e al nostro modo di concepire la televisione? E perché mai dopo tutti questi anni siamo ancora costretti ad essere inondati da “spazzatura” telematica ? La risposta può essere trovata parlando in particolare delle televisioni commerciali private, non perché nella RAI non siano stati inseriti nel palinsesto programmi da ricondurre alla categoria trash, -solo per citarne alcuni: “l’isola dei famosi” e “music farm”-, ma proprio perché la televisione pubblica si pensa che dovrebbero essere i contribuenti, i cittadini ad influenzarla, non i politici in cerca di consensi. Al contrario il proprietario di una rete di televisioni private molto importante, la Mediaset, è proprio il già citato presidente del Milan. Qui televisioni e sport si intrecciano. Il nodo della questione è proprio questo: come Silvio Berlusconi, egli potrebbe avere tutte le televisioni del mondo, ma come presidente del consiglio crea un problema chiamato “conflitto d’interesse”, perché, con l’aggravante della proprietà di alcuni giornali nazionali, potrebbe facilmente arrivare al controllo della diffusione delle informazioni (come già è avvenuto in passato). Abbiamo già vissuto e viviamo anche oggi le conseguenze dell’influenza della politica nel mondo dello spettacolo: ricordiamo infatti che, come si sono potuti vedere in televisione personaggi del calibro di Elisabetta Gregoracci (ricollegandoci all’inchiesta sopra citata), nota per il suo talento di ballerina a “Buona domenica” proprio per l’intervento del nostro premier , allo stesso modo, ma con finalità diverse, uno dei giornalisti e scrittori italiani più amati dal pubblico: Enzo Biagi ha dovuto passare gli ultimi anni della carriera e della sua vita lontano dai riflettori, solo perché colpevole di avere sempre avuto il coraggio di dire la realtà dei fatti. Se questo poi non è sufficiente a dimostrare l’influenza della politica nel mondo dello spettacolo, e viceversa, basti indicare come i modelli comportamentali proposti soprattutto da programmi targati Mediaset incidano anche nel modo di pensare della popolazione. E allora mi domando: non è anche questa la strada per soggiogare la volontà dei cittadini ? Castra Albana: La Porta praetoria ad Albano. A sinistra qualche decennio fa; a destra oggi. 2) Spettacoli di massa antichi. Historia magistra vitae. di Piket Elisa Marijke, Classe IV F La storia è “magistra vitae”, infatti ci mostra come con il passar dei secoli le problematiche di fondo siano quasi sempre le stesse, anche se si presentano solo “modificate” dall’impatto tecnologico, religioso e sociale sull’uomo. L’esperienza dei secoli e delle generazioni passate non ci forniscono un binario su cui camminare comodamente, né la memoria del passato ci può indurre a credere di avere sempre la risoluzione degli eventi a portata di mano. Effettivamente alcuni problemi ci accomunano agli uomini del passato e forse anche a quelli del futuro, perché è proprio dell’indole umana portarci a “ripercorrere” alcune tappe, senza farne tesoro. La storia ci dà il senso della lotta continua che l’umanità ha combattuto contro gli elementi e le forze che la opprimevano, ci insegna a capire gli avvenimenti e gli uomini che li hanno vissuti, con le loro debolezze ed i loro difetti, le loro qualità e capacità, il coraggio con il quale hanno affrontato i disagi, il dolore e la morte, e ci mostra come il “potere” fine a se stesso, purtroppo, è stato il principale protagonista e obbiettivo degli uomini di tutti i tempi. Tutto ciò è particolarmente visibile analizzando la storia romana della seconda parte del I sec a.C. con il suo susseguirsi di uomini, accordi, tradimenti e morti. Effettivamente a partire dagli anni ‘70 di questo secolo, iniziarono a comparire sentimenti di rivolta ancor più vigorosi rispetto a quelli già presenti, dei quali il caso più eclatante fu quello di Spartaco, uno schiavo proveniente dalla Tracia, che era stato condotto a Capua in una delle scuole più importanti di gladiatori e che capeggiò una rivolta combattuta da ben otto legioni romane. Benché questa non ottenne alcun successo particolarmente visibile è importante citarla poiché mostra che anche i ceti inferiori della società erano stanchi della politica romana, incentrata da diverso tempo solo sulla corruzione, sul guadagno personale e nient’altro. A tal proposito si può parlare del “primo triumvirato”, che al di là di quello che la parola stessa può far pensare, non era una magistratura, ma un puro e semplice accordo personale istituito tra Cesare, Crasso e Pompeo nel 60 a.C., che faceva in modo che ognuno dei partecipanti ottenesse qualcosa dagli altri. Infatti Pompeo avrebbe dato il suo appoggio a Cesare per la candidatura al consolato per l’anno 59 a.C.; Cesare avrebbe fatto approvare i provvedimenti di Pompeo, e Crasso avrebbe sostenuto presso gli esponenti della classe finanziaria la distribuzione della terre ai veterani di Pompeo. I loro accordi personali, dunque, garantivano gli interessi di una classe privilegiata, ma per mantenere la tranquillità e l’appoggio del popolo venivano accordati dei ludi gladiatorii, svolti per qualsiasi occasione, sia questa fosse un funerale, che un trionfo bellico o una liberalità di un patrizio o di un alto magistrato. Questi ludi non erano tutti uguali: alcuni erano costituiti da combattimenti tra gladiatori, altri tra gladiatori e bestie feroci, ed altri ancora solo tra animali (in questo caso prendevano il nome di venationes); ma qualunque fossero, il loro scopo era lo stesso: distrarre le masse, facendo in modo che non si rendessero conto che i valori repubblicani stavano ormai venendo meno e che al governo erano presenti delle persone che non volevano fare gli interessi del popolo. Questo fenomeno è posto all’interno dei libri di storia con un’espressiione nota a tutti coloro che si sono interessati almeno in parte al mondo romano: “panem et circenses”, in quanto non era costituito solo da ludi, ma anche da distribuzioni gratuite di cibo, che non avrebbero fatto altro che migliorare l’opinione pubblica dei promotori dell’elargizione. Ciò dovrebbe far riflettere qualsiasi persona sulle condizioni di vita presenti nella Roma di questo secolo, nella quale la popolazione, anche se teoricamente era il centro di tutto, in questi anni non aveva alcuna importanza se non per costituire un numero che appoggiasse questo o quel magistrato, senatore, console o tribuno. Sembrerà strano, ma fu proprio un politico del tempo, ovvero Cicerone, che per primo si accorse di questo sistema. E’ dunque necessario ripercorrere brevemente i momenti più importanti della sua vita, per comprendere meglio la sua figura e la sua opinione riguardante questo tentativo di corruzione del costume. Marco Tullio Cicerone, era nato nel 106 a.C. ad Arpino, un piccolo paese del Lazio, da una famiglia ricca che apparteneva all’ordine dei cavalieri (questo spiega la naturale propensione che ebbe sempre verso il ceto equestre ed il suo orientamento politico che fu sempre in direzione “aristocratica” e conservatrice). Nel corso della sua vita aveva ricoperto diverse cariche pubbliche, tra le quali possiamo ricordare la questura in Sicilia nel 75 a.C., nel 69 l’edilità, nel 66 la pretura e finalmente nel 63 a.C. il suo consolato. E proprio dopo essere diventato console, avendo ormai una larga esperienza su come funzionava la politica, egli emanò una legge (la lex Tullia) che prevedeva il divieto di allestire dei ludi gladiatorii sovvenzionati dai candidati nei due anni che precedono le elezioni, garantendo, per la prima volta nel corso della storia, una specie di “par condicio”. Proprio perché era dunque un uomo di grande intelletto, era d’incomodo a molti personaggi politici del tempo, che non solo non erano d’accordo sui provvedimenti da lui intrapresi, ma cercarono anche di rendergli la vita assai più difficile. L’occasione giusta ci fu quando Cicerone, essendo riuscto a sventare la congiura di Catilina, cacciando quest’ultimo da Roma e avendo fatto arrestare altre importanti persone romane partecipanti al complotto, le aveva fatte condannare all’esecuzione capitale senza il diritto di appello. Questa fu l’azione che lo mise nettamente contro i futuri triumviri, dei quali si è già parlato, e contro Clodio, il tribuno della plebe in carica pochi anni dopo e strumento di rivalsa di questi ultimi, che riuscirono ad esiliare Cicerone, facendo pronunciare al tribuno della plebe un discorso nel quale si condannavano all’esilio tutti coloro che avevano autorizzato delle condanne a morte senza un diritto d’appello. Cicerone non era nominato nella legge di Clodio, ma tutti capirono che era stata fatta principalmente contro di lui. Dunque, come si evince da queste poche informazioni riguardanti Cicerone, possiamo capire benissimo le motivazioni dei giudizi negativi da lui espressi contro i politici dell’epoca e soprattutto il motivo per cui egli era contrario ai ludi ed alle elargizioni di cibo (essendo nettamente contro qualsiasi forma di privilegi e corruzione nel mondo politico), che oltre a limitare la “libertà di pensiero” delle masse, gravava anche sulle casse dello Stato, poiché come lui stesso ci dice, i politici spendevano molti soldi nell’organizzazione dei giochi. Un qualcosa di mirabile è anche il fatto che lui non ha il minimo timore a criticare Pompeo o Sp.Mecio per i soldi spesi, ma soprattutto per il risultato delle venationes e dei ludi da loro sovvenzionati, che, come ci dice chiaramente in una delle sue lettere indirizzata a Marco Mario: “nobis autem erant ea perpetienda, quae Sp. Maecius probavisset. Omnino, si quaeris, ludi apparatissimi, sed non tui stomachi”, ovvero che: “queste cose, che Sp. Mecio aveva approvato, devono essere da noi sopportate, se lo domandi, giochi molto fastosi, ma non di tuo gusto”. O ancora, riguardo agli spettacoli e alle venationes organizzate da Pompeo (che diverrà di lì a poco consul sine collega): “extremus elephantorum dies fuit: in quo admiratio magna vulgi atque turbae, delectatio nulla exstitit; quin etiam misericordia quaedam consecuta est atque opinio eiusmodi, esse quondam illi belvae cum genere humano societatem”, ovvero che “ alla fine l’ultimo giorno fu dedicato agli elefanti: per questo c’è stata una grande ammirazione della massa popolare, ma non c’è stato nessun piacere. Anzi, ne è scaturita una certa compassione e una certa convinzione di tal genere: che tra quegli animali feroci ed il genere umano ci sia come un legame naturale”. Da quest’ultima citazione riusciamo a renderci effettivamente conto della grandiosità di questi spettacoli e dell’organizzazione che prevedevano, poiché non è certo una cosa semplice portare a Roma elefanti, animali che non sono presenti in questo territorio, ma anche del senso critico di chi, scrivendo così, disapprova. Certo, se allora tutto ciò era condannato da Cicerone e da poche altre persone, cosa dire dell’oggi? Beh, una cosa è certa, la maggior parte della popolazione crede che non siano presenti cose simili, ma questa opinione non è corretta, infatti esistono ancora adesso questi usi distorti degli “spettacoli”, sia collegati apertamente al mondo della politica, sia in modo nascosto o meno evidenti, ma ci sono, ad altri settori. Come fare a non pensare a personaggi politici talmente influenti e ricchi, che riescono ad accattivarsi gli elettori mediante programmi elettorali subdoli, mediante promesse che non verranno mai rispettate e soprattutto mediante i mezzi di comunicazione, che sono nelle loro mani? Come non porci anche il quesito su quelle cronache dei giornali che riportano di uomini di governo indagati, condonati o magari assolti per … mancanza di indizi? Ci viene allora spontaneo il pensare: “Ma con quali capi di imputazione sono stati indagati?” Non ci ricorda nulla il caso di Cicerone, anche lui indagato e condannato per aver agito per lo Stato? Se poi guardiamo il settore sportivo, le cose sono realmente cambiate da allora? Anche qui c’è un uso distorto dello spettacolo. Basti pensare a tutte le vittime che si sono avute in seguito agli scontri avvenuti fuori dagli stadi dopo partite di calcio, di basket o di qualsiasi altro sport in cui la competizione e l’odio per gli avversari sono serviti per altri scopi. Questa purtroppo è la realtà in cui viviamo e a noi non resta che cercare di essere ancora ottimisti e sperare in un cambiamento che, però, a distanza di oltre venti secoli non è ancora avvenuto in maniera radicale. Tusculum: i resti del “Teatro di Cicerone”: a sinistra negli anni ’50; a destra oggi. 3) LA CULTURA LATINA DELLO SPETTACOLO E QUELLA MODERNA di Lorenzo Federici, IV F 18/5/2008 La “ciclicità” del cambiamento sociologico. Perché è opportuno esaminare la civiltà latina (più di quella greca) per capire la nostra. È interessante notare come i processi di trasformazione della società e delle sue forme di cultura abbiano avuto momenti di analogia costante nell’evolversi della storia occidentale. Gli archetipi di questi cambiamenti si possono rintracciare nel periodo di trasformazione dello stato romano da repubblica ad impero ed in alcuni episodi precedenti della storia greca (come nell’epoca della tirannide di Pisistrato ad Atene). I meccanismi sociologici che causarono il cambiamento nella società greca sono stati i primi ed hanno delimitato la base, il terreno di partenza, per ogni cambiamento in ogni società occidentale, ma la civiltà ellenica era mossa da processi limitati che si sono poi evoluti diversamente in ogni società. Parlando in termini matematici, potremmo definire questa società come il Massimo Comune Divisore di ogni civiltà improntata sul modello europeo. Se però si vogliono fare raffronti più specifici tra la civiltà classica e la nostra, si potrebbe senza dubbio prendere in considerazione sì quella greca, ma sarebbe senz’altro più vicina a noi quella latina, in quanto quella greca è la matrice di tutte quelle europee, -aspetti della civiltà greca sono reperibili nella cultura di ogni stato europeo -, ma la civiltà latina ha influito senza dubbio su quella europea sia per le complessità degli sviluppi sociali, sia per la vastità dell’organizzazione statale. Quanto a noi italiani: siamo eredi diretti di questa civiltà, che è rimasta immutata sotto moltissimi aspetti in noi, in quanto lo stato romano è stato l’ultimo potere forte e duraturo che abbiamo avuto in Italia prima del Medio Evo, così che il nostro MCD potrebbe essere considerato nella cultura latina, che è la più antica e comune a tutta l’Italia. Se dunque dobbiamo scegliere di analizzare le analogie tra le nostre culture-matrici e quella odierna nostra, emergeranno sicuramente somiglianze più specifiche nell’esame del rapporto tra noi e la società latina. Volendo poi scegliere un settore di indagine dei meccanismi intercorrenti tra l’evoluzione della società e le forme di cultura di massa: uno degli aspetti che sembra essere particolarmente adatto è proprio quello della cultura dello spettacolo. In ciò ci sarà d’aiuto anche qualche passo tratto dalle opere di Cicerone. Lo spettacolo allora e lo spettacolo oggi Oggi come allora, lo spettacolo è stato spesso un modo per tenere sopite le masse, per far approvare al popolo la politica di un singolo che celava (e cela) spesso aspetti illegali e anticostituzionali, un diversivo per sviare le attenzioni, che allora si esprimeva attraverso i ludi gladiatorii e i circenses, ed oggi attraverso la televisione. Lo spettacolo come maschera di un mutamento politico Questi giochi, che agli albori della civiltà latina avevano aspetti rituali, hanno assunto tutt’altra funzione nel primo secolo a.C., quando si stava concretizzando il processo, avviato da Silla ed attuato da Cesare e Pompeo, che vedeva la trasformazione dello stato romano da repubblica a impero. Augusto ed i suoi predecessori Questo passaggio è stato messo in atto da Augusto con un’astuzia formidabile: egli mantenne infatti l’aspetto di uno stato repubblicano, ma effettivamente era lui l’unico detentore del potere. Ovviamente ciò non poteva avvenire legalmente. Per quanto subdolo, questo processo aveva comunque alla base ciò che oggi potremmo definire un “conflitto d’interessi”, e quindi Augusto attuò una propaganda culturale impressionante, avvalendosi di letterati del calibro di Virgilio, Tito Livio, Orazio e molti altri, senza trascurare di procurarsi l’appoggio delle masse, attraverso l’organizzazione di ludi e dei circenses. La poesia ed i ludi come propaganda politica La poesia dei letterati del circolo da lui favorito era il suo mezzo per accattivarsi le persone di cultura elevata, i ludi quello di avvicinarsi alle masse. Con Augusto prima, e con i suoi successori poi, si assisterà a giochi sempre più sfarzosi e grandi, volti a catturare la simpatia del popolo. Una voce che, prima dell’ascesa al potere di Augusto, si era accorta del cambiamento, di cui i giochi erano sintomo, fu Cicerone. La posizione di Cicerone Possiamo dedurre dalle sue opere che egli non aveva nulla a priori contro i ludi o contro i gladiatori, anzi, in Tuscolanae disputationes, II, 41, egli cita il gladiatore come esempio di chi sa sopportare il dolore e mostra coraggio di fronte alla morte. Le Tuscolanae disputationes sono, come tutte le opere filosofiche, risalenti agli ultimi anni della sua vita (46-45 a.C., Cicerone morirà nel 43), si possono dunque considerare queste posizioni come quelle definitive della sua vita. Il nostro si scaglia soprattutto contro l’uso politico sfrenato che ne facevano gli uomini politici del suo tempo, togliendo ai giochi ogni piacevolezza, rendendoli pomposi e sfrenati oltre ogni limite, come afferma nella lettera a Marco Mario del 54 a.C. Cicerone si scaglia anche contro l’aspetto violento dei giochi, che si accentuava sempre di più per catturare sempre di più le masse, aspetto che si esprimeva sia contro le bestie che contro gli uomini. Nell’orazione Pro Sestio, l’autore si scaglia ancora contro questi eventi, definendoli come un assembramento di gentaglia ed affermando che ormai, quella è diventata l’occasione nella quale si manifesta il volere popolare. Analisi della posizione di Cicerone Questi cambiamenti non potevano non dispiacere al senatore conservatore M.T. Cicerone, che aveva tutto l’interesse a non stravolgere il sistema costituzionale, mantenendo così saldo il suo potere che derivava dalla forma repubblicana dello stato romano. Si può certamente affermare che Cicerone fu un osservatore acuto e sagace nel cogliere quei cambiamenti in atto, anticipando di molto le osservazioni che si fanno ancora oggi sull’uso a fini privati degli spettacoli, osservazioni che si rivelano di una modernità sorprendente (cosa che dimostra l’esistenza di un filo diretto tra la civiltà latina e la nostra). Occorre però aggiungere che la critica ai suddetti fenomeni dello spettacolo non sarebbe mai stata fatta dall’autore, se proprio in quegli anni egli non fosse impegnato nell’analisi delle basi su cui si fondava lo Stato romano e non fosse preoccupato di indicare le soluzioni che riteneva positive per la sua salvezza. Tusculum, area del Foro: sono visibili i recenti scavi della Scuola Archeologica Spagnola 4) Cicerone e il crudele mondo degli spettacoli. di Chiara Crociata, IV F Introduzione: Cicerone critica Pompeo. Il diametro della cavea raggiungeva i 150 metri; le ampie gradinate potevano ospitare fino a 40.000 spettatori; dietro il palcoscenico si estendeva un portico, arricchito da uno sconfinato colonnato e da quattordici enormi statue rappresentanti le nazioni da lui sottomesse; seguivano fontane, ninfei e due folti boschi di platani; al centro della cavea si elevava l’altissimo tempio a Venere Vincitrice. Stiamo parlando dell’imponente opera mai realizzata a Roma prima d’allora, il primo teatro in muratura, che il console Pompeo fece realizzare nel 55 a.C. in occasione del suo anniversario. E’ comprensibile, dunque, quanto il popolo fosse rimasto abbagliato da siffatta costruzione, tale che Ovidio consiglierà gli incontri amorosi “sotto l’ombra di Pompeo”, cioè riparati dalle fronde dei platani dietro l’edificio, e sarà addirittura motivo di vanto da parte di Nerone nei confronti degli ospiti barbari. Ma se la folla veniva conquistata dall’esagerazione architettonica, essa cadeva letteralmente ai piedi di chi le offriva lo spettacolo più eccitante, pomposo, imprevedibile (e crudele), in grado di tener sempre accesi la sua curiosità e i suoi entusiasmi. E gli uomini al potere lo sapevano. Ecco che, ancora una volta, non stupisce l’immenso apparato di giochi donati ai romani dal suddetto console al momento dell’inaugurazione: una festa di cinque giorni con rappresentazioni di commedie campane e tragedie greche, e con l’utilizzo di ben 600 muli, 3000 recipienti per il vino e soldati con le più svariate uniformi. Inoltre, fu accompagnata da ludi atletici e gladiatori, e da due venationes al giorno, i cui elefanti furono ricordati anche da Plinio il Vecchio nel suo Naturalis Historia. Ma, in mezzo al frastuono del visibilio popolare, si fece udire una nota stonata (o forse, l’unica intonata secondo l’armonia della ragione): era la voce di Cicerone, anch’egli presente a questa prima manifestazione, che criticò tutto quel fasto, inferiore anche a quello dei più mediocri spettacoli passati ( “nosti enim reliquos ludos, qui ne id quidam leporis haberunt, quod solent mediocres ludi”, Ad Familiares,VII,1 ), a cui era costretto ad assistere. Ritrovava un certo cattivo gusto nelle crudeli cacce, che di certo non compiacevano l’ uomo raffinato, ed osservava che nemmeno le masse esprimevano il loro piacere (ma solo l’ ammirazione) nel giorno dedicato ai pachidermi, per i quali si era mossi a compassione ( “in quo admiratio magna vulgi atquae turbae, delectatio nulla exstitit; quin etiam misericordiam…”). Quello di Pompeo fu, però, solo uno dei casi presi in esame da Cicerone, vittima-accusatore di una società in cambiamento, che stava per affacciarsi verso il suo periodo più buio e tormentato: quello delle guerre civili. Quadro storico: il I secolo tra vecchie istituzioni e nuovi volti. Se questo fu un periodo di transizione, in cui la vecchia città-stato si andò dissolvendo e degenerando in un nuovo sistema di monarchia, lo si deve a come i fatti e le persone si mossero fino a quel momento, creando i presupposti necessari all’avvento di forme autoritarie. Innanzitutto, le istituzioni repubblicane erano divenute inadeguate per governare uno stato cresciuto a dismisura in breve tempo, dato che nel secolo precedente aveva continuato la sua espansione nella Gallia Cisalpina e nella Gallia Meridionale, e si era poi volto all’Oriente contro i regni di Macedonia e Siria; coincisero, inoltre, gravi difficoltà interne, dominate, in primis, dal conflitto, tutto d’interessi, tra ceto senatorio, che governava le province con poteri quasi illimitati e che talvolta si macchiava di una condotta scandalosa (come il governatore della Sicilia Verre, protagonista delle omonime orazioni ciceroniane), e ceto equestre, cui attività principale era la riscossione delle imposte nelle terre conquistate, dove spremevano fino all’ultima risorsa le popolazioni. Inoltre, la crisi economico-produttiva si aggravò a causa di campagne militari sempre più estese nel tempo, e migliaia di contadini furono scacciati dalle loro proprietà per soddisfare i bisogni dei veterani. La milizia cittadina fu messa in crisi dalle conquiste in terre sempre più lontane da Roma, determinando la nascita di eserciti di professione, premessa alle guerre civili: i capi democratici e i loro oppositori ne dipendevano allo stesso modo completamente, ed erano costretti ad appagare le loro richieste di denaro e terra con una politica imperialistica. Inoltre, l’enorme sviluppo dello stato aumentò ulteriormente l’importanza dei militari, in quanto, senza di essi, lo stato si sarebbe disgregato; ma essi non obbedivano che a quei capi che promettevano di saziare la loro avidità di possesso. Ecco perchè la politica romana finì nelle mani di generali senza scrupoli, pronti a tutto pur di ottenere il potere: prima il popolare Mario (157 - 86 a.C.), soverchiato poi dall’aristocratico Silla (138 – 78 a.C.), cui seguì il senatorio Pompeo (106 – 48 a.C.), che si accordò in gran segreto nel primo triumvirato (60 a.C. ) con Crasso e Cesare (100 – 44 a.C.), quest’ ultimo poi l’acerrimo nemico che lo sostituì al potere. E questi personaggi, come ebbero bisogno dell’appoggio militare per la conquista di un “posto d’eccellenza” nel governo, escogitarono un altro sistema per mantenerlo: si trattava proprio dei ludi, mezzi per acquistare il consenso popolare, per autocelebrare la propria grandiosità e autorevolezza, per tenere le masse occupate, in quanto “un popolo che sbadiglia è maturo alla rivolta” (J.Carcopino). Le masse risposero con tale passione e avidità che il Senato, per reprimere una pratica così onerosa e così diffusa tra i candidati, patrocinò nel 63 a.C., l’anno del consolato di Cicerone, un legge per cassare in anticipo dei magistrati che avessero finanziato uno di questi spettacoli nei due anni anteriori allo scrutinio. Divennero, così, il sicuro strumento per tutti gli aspiranti alla monarchia, fino addirittura agli imperatori. Cicerone: le ideologie alla base delle sue critiche. In questo oscuro ritratto si inserisce la figura dell’autore, homo novus nella politica romana, che avrebbe iniziato la sua carriera politica nell’81 a.C., sotto la dittatura di Silla, portavoce della classe dominante degli optimates, che a loro volta l’appoggiarono sin dall’adolescenza, in quanto “in presenza di gravissime tensioni politiche e sociali, la nobiltà individuò in lui un candidato capace di sottrarre ai populares una parte dell’elettorato, e fece pertanto confluire su di lui tutti i voti che era in grado di mobilitare” (E. Narducci). Difatti, divenne console nel 63 a.C. Egli fu un conservatore “moderato”: nel corso della sua carriera cercò sempre di difendere la classe senatoria e l’antica istituzione che essi rappresentavano, anche quando si trovò a collaborare con i triumviri; ma egli fu soprattutto uno dei pochi che ancora credeva nelle tradizioni, nei valori che esse insegnavano, nella fedeltà e nella dedizione alla res publica; del resto egli ripugnava l’epicureismo, in quanto mostrava la felicità incompatibile con la partecipazione alla vita pubblica. Il suo insuccesso politico si deve dunque ad una visione anacronistica della realtà, per cui aveva sottovalutato il peso degli eserciti personali e non aveva capito che il ceto dei possidenti si sarebbe schierato dalla parte di Cesare, che poteva meglio garantire i loro interessi. La giustizia, l’umanità, il coraggio civico, la devozione alla patria: virtù sociali, da lui declamate, che nulla avevano a che fare con gli atteggiamenti delle autocrazie al potere, motivate solo da avidità e bramosie; la sfiducia che gli derivò nei confronti delle nuove istituzioni, un mondo che ormai non considerava più la cosa pubblica il valore supremo, lo portò a guardare con disprezzo ciò che era l’emblema del decadimento generale: gli spettacoli. I cambiamenti e la corruzione nello spettacolo. Derivati dalle feste religiose, ormai mantenevano solo in apparenza quel carattere di “tradizione”, essendo state secolarizzate unicamente per il divertimento pubblico. Ma la degenerazione che imperversava sulla società si rispecchiava del tutto in questi ludi, che si erano fatti ancora più infimi, per la disonestà e corruzione che giravano attorno tale macchina. Basti pensare che i gladiatori erano ormai divenuti veri e propri burattini in mano ai loro lanisti e padroni, i quali impartivano loro la parte che dovevano recitare per “fare dello spettacolo”. Non si trattava però di ruoli da commedia: si dovevano sottoporre a ferite, colpi, se non addirittura alla morte. La vita gladiatoria non era più soltanto allenamento, sopportazione del dolore e delle fatiche, sconfitte e vittorie ottenute onestamente (se di “onestà” si può parlare in questi giochi-carneficine), ma era divenuta una vera e propria altra forma di schiavitù, di annullamento della propria persona e del proprio volere, dove non bastava solamente rimettersi ai voleri del singolo lanista, ma del padrone più importante, avido e crudele, cui le stesse autorità si rimettevano: il pubblico. E per Cicerone, solo l’esercizio, la convinzione e la consuetudine potevano portarli a rischiare così tanto (“Tantum exercitatio, meditatio, consuetudo valet”, Tusculanae disputationes, II, 41). Con un certo trasporto emotivo alla loro causa, e per sottolineare sicuramente quanto questa mattanza servisse ad uno scopo completamente diverso rispetto alla tradizione, egli descrive realisticamente il combattente, che non si lamenta, che si getta a terra, in balia di un destino guidato da altri (“Quis mediocris gladiator ingemuit, quis vultum mutavit umquam? quis non modo stetit, verum etiam decubuit turpiter?”) Soprattutto la critica ciceroniana denotava un fatto molto importante, per un uomo che tanto teneva ai valori della tradizione: che gli spettacoli stessero perdendo il loro ruolo di luoghi di incontri, dibattiti, di comizi, in cui si manifestava il volere popolare. Cicerone afferma che esistevano tre momenti fondamentali che rendevano il cittadino consapevole della sua identità politica: l’assemblea, i comizi e i raduni dei giochi gladiatorii (“Etenim tribus locis significari maxime de re publica populi romani iudicium ac voluntas potest, contione, comitiis, ludorum gladiatorumque consessu”, Pro Sestio, 106). Gli spettacoli erano dunque fondamentali nell’affermazione politica e sociale del romano ed offrivano maggior libertà di dibattito e di discussione rispetto ai comizi e alle assemblee. Ma ormai l’autore vi trovava solo del marcio, in quanto esse erano snaturate, visto che ormai vi partecipavano solo uomini turpi, e artefatte dai dirigenti. Non trova più alcuna possibilità per la voce romana di uscire fuori e farsi sentire e così gli uomini onesti come lui si allontanavano da queste riunioni di ladri (“ad quas nemo adibat incorruptus, nemo integer; nemo illum foedum vultum aspicere, nemo furialem vocem bonus audire poterat”, Pro Sestio, 106). Bibliografia consultata: V. Lavore, “Latinità”, ed.Principato, Milano J. Carcopino, “La vita quotidiana a Roma”, Economica Laterza http://www.portalidiroma.net/storia/teatrodipompeo/index.htm http://www.silab.it/storia/?pageurl=11-roma-repubblicana http://ospitiweb.indire.it/~copc0001/spettacoli/gli%20spettacoli%20a%20Roma.htm Veduta panoramica dalla spianata del Foro di Tusculum sull’area dei Colli Albani. Sulla sinistra i Campi d’Annibale e il Mons Albanus; al centro l’area compresa tra Grottaferrata e Castelgandolfo; sullo sfondo a destra la zona di Marino-Bovillae. 5) Cicerone: l'occhio critico di Roma di Beatrice Donati É incredibile pensare a quanto i mezzi di comunicazione abbiamo influenzato in passato, come oggi, l'opinione pubblica causando spesso delle vere e proprie mutazioni nel modo di pensare della popolazione. Facendo riferimento ai fatti passati, un posto di grande rilievo è occupato senza dubbio da Marco Tullio Cicerone, grande pensatore del I secolo a. C. che può essere definito come uno dei personaggi più importanti che la storia di Roma abbia mai avuto non solo per la bellezza e per le innovazioni delle sue opere letterarie ma anche per il coraggio che egli ebbe, fatto piuttosto singolare per l'epoca, nell'esporre le sue idee spesso in netto contrasto con coloro che ricoprivano le cariche più alte dello Stato. Fu uno dei pochi che riuscì a guardare la politica con grande occhio critico, giudicandola in base alla sua vera natura: una politica fatta di ingiustizie, corruzione ed indifferenza verso i veri problemi dello Stato, ma volta soltanto alla cura degli interessi di coloro che lo governavano, perché cos'è in fondo la politica (ad esclusione di quella Vera) se non ''...l' arte di evitare che la gente si interessi di ciò che la riguarda''? (Paul Valéry) Cicerone viveva in un clima politico che vedeva l'utilizzo degli spettacoli che si tenevano negli anfiteatri come ''strumento di distrazione di massa'' volto a dare piacere ai membri dei ceti più bassi che venivano distolti da quelli che erano le problematiche reali, così da renderli “partecipi” di uno Stato in cui tutto sembrasse andare bene e procedere nel migliore dei modi. Se il popolo, volutamente cresciuto nell'ignoranza, era vittima di tali prese in giro, tutto questo non sfuggiva di certo agli sguardi di coloro che invece avevano avuto la fortuna di farsi una cultura e dunque non essere assoggettati dal Potere. Essi avevano ben intuito la strategia attuata dai governanti che ormai ritenevano come sistema più semplice per eliminare i fatti, quello di non parlarne e rimpiazzarli con altri di genere molto più banale, usandoli dunque come diversivo. Era in questo modo che si erano ampiamente sviluppati i ludi dei gladiatori e le venationes grazie all'azione di Pompeo console, che aveva speso un'ingente somma di denaro per il loro allestimento nonostante se ne potesse fare benissimo a meno. Tale argomento è trattato da Cicerone nell'epistola ''Ad Familiares, VII, 1'' nella quale espone a un suo amico non presente a Roma proprio la sua disapprovazione per tali eventi che vedono gli intellettuali del tutto disgustati, e tra di loro lo stesso Cicerone, che paragona la società umana alle belve: ''Nam quid ego te athletas putem desiderare, qui gladiatores contempseris? In quibus ipse Pompeius confitetur se et operam et oleum perdidisse.'' ''E posso credere che tu senta la mancanza delle gare di atletica se disprezzi quelle dei gladiatori? Nell'organizzare questi giochi Pompeo stesso confessa di aver sprecato tempo e denaro.'' ''[...]sed quae potest homini esse polito delectatio, cum aut homo imbellicus a valentissima bestia laniatiur aut praeclara bestia venabulo transverberatur?'' ''[...]ma per un uomo raffinato che gusto c'è a vedere dilaniato un uomo debole da una belva ferocissima o una belva stupenda venire trafitta da uno spiedo?'' ''[...]in quo admiratio magna vulgi atque turbae, delectatio nulla exstitit; quin etiam misericordia quaedam consecuta est atque opimio eiusmodi, esse quandam illi belvae cum genere humano societatem.'' ''[...] per questo c'è stata una grande ammirazione della massa popolare, ma non c'è stato nessun piacere. Anzi, ne è scaturita una certa compassione e una certa convinzione di tal genere: che tra quegli animali feroci e il genere umano ci sia come un legame naturale.'' Vediamo come tutto si vada svolgendo al contrario e in modo del tutto “anticostituzionale”. Invece che alle assemblee ed ai comizi (che teoricamente dovrebbero essere presieduti da veri rappresentanti del popolo) il giudizio e la volontà del volgo si esprimono durante i ludi che non sono altro che maschere della realtà (argomento trattato nella ''Pro Sestio''). Si va quindi creando una società in cui la libertà è schiavitù e l'ignoranza è forza, dove il popolo è del tutto ignaro di essere preso in giro. Credo sia doveroso a questo punto citare una frase di un altro grande autore latino che riassume in poche parole tale concetto: ''Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero. Infine, dove hanno fatto il deserto, lo chiamano pace.'' (Tacito) Adesso ci si può domandare cosa sarebbe successo se in quell'epoca fosse esistita una prima forma di giornalismo che avesse potuto avvisare la società della grande farsa di cui faceva parte, perché come disse Mark Twain: ''Quando ti trovi d'accordo con la maggioranza, è il momento di fermarti e riflettere.'' Se questi grandi intellettuali, primo tra tutti Cicerone, avessero avuto a disposizione dei mezzi accessibili alla popolazione i quali avessero fatto luce sull'ignobile gioco attuato dal potente, forse tale situazione non sarebbe persistita e lo Stato si sarebbe avviato ad una politica molto più giusta ed onesta. Però dato che tutto ciò non è accaduto, la sete di potere ha vinto sui più deboli che sono inconsciamente divenuti carnefici nel loro stesso male: ''Non esiste delitto, inganno, trucco imbroglio e vizio che non vivano della loro segretezza. Portate alla luce del giorno questi segreti, descriveteli, rendeteli ridicoli agli occhi di tutti e prima o poi la pubblica opinione li getterà via. La sola divulgazione di per sé non è forse sufficiente, ma è l'unico mezzo senza il quale falliscono tutti gli altri.'' (Joseph Pulitzer) Esemplare è la citazione delle ''Tuscolanae disputationes, II, 41'' che ancora una volta mostra quanto la gente sia ormai convinta di ciò che gli viene fatto credere, al contrario di qualche intellettuale che invece riesce a capire che c'è un inganno: ''Crudele gladiatorum spectaculum et inhumanum non nullis videri solet, et haud scio an ita sit, ut nunc fit.'' '' Uno spettacolo di gladiatori a qualcuno di solito sembra disumano, e non so se non lo sia così, come avviene ora.'' Questa antica forma di spettacolo-''media'' aveva creato un pubblico ignobile e fu proprio il silenzio di fronte a cose di tale importanza che decretò la vittoria finale di quella politica sporca e morta che aveva ormai assunto caratteri molto simili alla dittatura. Cicerone tuttavia non si limitò soltanto a condannare questi fatti nei suoi scritti bensì passò ad un'attuazione pratica delle sue idee vietando, durante il suo consolato del 63 a.C., che nel biennio precedente alle elezioni i candidati potessero allestire spettacoli di gladiatori per fare propaganda elettorale; si tratta della ''lex Tullia de ambitu'' più volte menzionata nelle sue orazioni. A questo punto un parallelo con l'attuale situazione italiana risulta del tutto obbligatorio e forse, proprio per questo, parzialmente amaro. È assurdo pensare che a secoli di distanza tutto si ripresenti allo stesso modo, se non peggiore, vedendo i personaggi mutati ma non i fatti. Credo sia necessario sottolineare che ho parlato di ''situazione italiana'' e non ho generalizzato, dato che purtroppo questo è un triste particolare che caratterizza in modo così forte solo l'Italia nel mondo Occidentale, mentre fortunatamente gli altri Paesi vivono in un clima democratico e veritiero, almeno nel campo dell'informazione. Forse il ''caso italiano'' vedrebbe stupito lo stesso Giambattista Vico che sosteneva la riproposta dei fatti passati e non il loro peggioramento. Tuttavia se fossimo vissuti nel I secolo a. C. molti eventi che caratterizzano invece la cronaca di questi giorni sarebbero accettabili, ma dato che così non è, molti fatti che avvengono nel nostro Paese dovrebbero farci riflettere. Ci troviamo in uno Stato falsamente libero caratterizzato dal monopolio dei mezzi d'informazione da parte dei partiti politici (chi più, chi meno) che non fanno altro che filtrare le notizie, se non cancellarle, e presentare ai cittadini solo ciò che interessa a loro senza farsi troppi problemi morali. Un' attenzione particolare va dedicata a quella che può definirsi la vera erede dei ludi: la televisione. Essa non si fa soltanto portavoce di false notizie, bensì, proprio come accadeva con gli spettacoli a Roma, ha come scopo quello di accaparrarsi i favori del pubblico che si vede conteso da un programma e dall'altro trasformando ciò che dovrebbe essere un mezzo educativo, o comunque piacevole, in un' “asta”. È così che nascono i programmi di Maria De Filippi, o il ''Grande Fratello'', o ''L'Isola dei Famosi'' e simili. Cosa fanno? Tentano di presentarsi come quel genere di televisione vicina alla gente, accessibile a tutti ed addirittura come ritratto della società italiana. Si creano così i miti, i giovani hanno come aspirazione quella di fare della televisione ''facile'' oppure prendono come modello direttamente colui che la possiede (oltre a: una squadra di calcio, un'editoria, giornali etc.). Vediamo quindi come, anche ciò che potrebbe sembrarci del tutto distaccato dalla politica si rivela invece essere strettamente legato ad essa. Ma che ruolo avrebbe Cicerone oggi? La mia mente ama immaginarlo come un giornalista che esce dal coro, che si occupa di riportare i fatti per quello che sono e che prova a dar loro una spiegazione ed una soluzione, anche se forse nel clima politico attuale si vedrebbe attaccato da tutta la classe politica (come accadde realmente). Così immagino la straordinaria figura di Cicerone: come rappresentante dei veri valori di Roma, amante della sua patria e difensore della libertà. Tratto del basolato della Via Sacra che conduceva al Tempio di Iuppiter Latialis sul Mons Albanus. A destra: tracciato della Via Appia, che attraversa tutto il territorio dei Colli Albani sul versante tirrenico. (da Archeo, Le antiche strade romane, De Agostini – Rizzoli Periodici) 6) Una storia che parla di noi di Giulia Perin IV F Sullo sfondo della Roma del I sec. a.C. si sono susseguiti una serie di avvenimenti che ne hanno causato un radicale cambiamento sia dal punto di vista politico che da quello culturale e sociale. È in questo secolo che inizia la crisi della Repubblica che avviene nel periodo che noi chiamiamo “età di Cesare”, per il fatto che la scena politica fu appunto dominata da questo personaggio. In questi anni si passò velocemente dalla crisi del potere repubblicano ad una breve dittatura di Giulio Cesare e, attraverso rivolgimenti, conflitti e trasformazioni, si giunse alla conquista del potere da parte del nipote del dittatore: Ottaviano Augusto, che instaurò un nuovo regime, un principato monarchico non di nome ma di fatto. Nel 78 a.C. era morto Silla e i conflitti civili e le rivolte erano proseguiti espandendosi dal centro alla periferia del territorio romano. Nel 70 a.C. vennero eletti consoli Pompeo e Crasso, entrambi ex militanti delle schiere di Silla. Sebbene essi avessero delle idee prettamente conservatrici, ben presto compresero che la situazione era cambiata e che era necessario ricrearsi una solida base politica, cercando il consenso di nuovi gruppi sociali e stringendo nuove alleanze. Fu così che molte delle riforme di Silla furono abolite, perché troppo favorevoli esclusivamente alla classe senatoria. Nel 67 a.C. Pompeo ottenne il conferimento di ampi poteri proconsolari, con durata triennale, per combattere i pirati che minacciavano la sicurezza del Mediterraneo. Egli guidò poi molte altre spedizioni e nel 60 a.C. stipulò, insieme a Crasso e Giulio Cesare, il primo triumvirato: un accordo privato che assicurò a ciascuno dei tre contraenti il raggiungimento dei propri fini, grazie all’appoggio degli altri, e i mezzi per sostenere l’opposizione delle fazioni avverse. Dopo aver stipulato tale accordo Cesare chiese e ottenne il consolato per l’anno 59. Il patto tra i triumviri fu rinnovato a Lucca nel 56 a.C. e i poteri furono nuovamente spartiti tra questi tre personaggi mentre a Roma continuavano gli scontri tra optimates e populares, che portarono all’insorgere dell’anarchia. Nel 58 si era infatti fatto eleggere tribuno della plebe Publio Clodio Pulcro, popularis radicale che usò in modo improprio ed eccessivo i suoi poteri, anche per vendicarsi di persone nei confronti delle quali provava astio personale, come Cicerone che costrinse all’esilio, con il pretesto che aveva fatto condannare a morte i seguaci di Catilina, e che avevano partecipato alla congiura, senza dar loro la possibilità di difendersi in tribunale. Crasso e Pompeo, quando si resero conto che Publio Clodio era ormai ingestibile fecero eleggere un nuovo tribuno della plebe a lui ostile e richiamarono Cicerone dall’esilio. Crasso morì nel 53 combattendo contro i Parti, mentre Pompeo rimase attivo nella vita politica di Roma, arrivando addirittura ad egemonizzare il senato, schierandosi contro Cesare. Pompeo fu una personalità politica di rilievo nella Roma giunta ormai alla tappa finale della sua storia repubblicana e, come gli altri politici, fu continuamente interessato e attirato dal potere. In quegli anni ci si rese conto che un modo per accattivarsi le simpatie del popolo e, conseguentemente, aumentare la propria popolarità e il proprio potere politico, era quello di organizzare giochi e feste in città. Iniziò così una vera e propria competizione tra i potenti che investivano ingenti quantità di denaro per far divertire le masse e quindi ricevere più consensi. Ma non era stato sempre così. In questo periodo ad esempio non esisteva ancora a Roma un teatro permanente e in occasione delle varie cerimonie si ergeva una scena provvisoria e delle gradinate in legno, ma esse venivano criticate in quanto si credeva che il pubblico dovesse restare in piedi, poiché sedendosi avrebbe dato segno di mollezza, qualità che, si diceva da parte di alcuni, aveva rovinato le città Greche e poteva portare al disfacimento dello stesso stato romano. Solo nel 55 a.C. fu così costruito il primo teatro in pietra per volere di Pompeo. Questo teatro fu identificato come un segno della decadenza della città da parte degli anziani Romani, tanto che fu aspramente criticato e Pompeo riuscì a farlo accettare soltanto facendolo passare come una dépendance di un tempio elevato alla sua protettrice: Venere. Quanto agli spettacoli, già dal secolo precedente a Roma erano stati allestiti i giochi gladiatori accompagnati da altre forme di spettacolo come le Venationes o le corse con i carri. Allo stesso modo di quest’ultime, anche le lotte gladiatorie, che avevano avuto probabilmente origine come giochi funebri privati, in quest’epoca divennero parte integrante dei ludi nelle festività. C’è da dire infatti che il primo combattimento gladiatorio a Roma, di cui si ha testimonianza, ebbe luogo quando tre coppie di gladiatori lottarono fino alla morte durante il funerale di Giunio Bruto nel 264 a.C., anche se forse episodi simili si erano avuti già in precedenza. Nel corso del tempo però essi avevano perso la loro connessione esclusiva con i funerali dei singoli cittadini, divenendo una parte importante degli spettacoli pubblici finanziati dai politici e dai magistrati. Ma c’era dell’altro: un’altra forma di intrattenimento popolare già dal secolo precedente erano le Venationes: spettacoli nei quali erano utilizzati animali in genere esotici, che nella maggior parte dei casi perdevano la vita in modo molto violento. Essi venivano presi da ogni parte dell’impero e, naturalmente, quelli provenienti dai paesi più lontani riscuotevano un successo maggiore, poiché stimolavano ancor di più la curiosità popolare. Attorno ad essi c’erano sicuramente interessi commerciali e i luoghi che accoglievano le attività dello spettacolo erano soprattutto i circhi, come il Circo Massimo o gli anfiteatri come l’anfiteatro Flavio; le gare potevano anche essere accompagnate da banchetti. Tute queste non erano attività marginali, così che i personaggi potenti erano soliti indire spettacoli e la massa partecipava numerosa, tanto che Roma divenne a mano a mano il fulcro dei divertimenti e della spensieratezza a buon mercato. Ma se il popolo era così impegnato a divertirsi, solo i pochi si occupavano degli affari generali della massa. Il potere spinge gli uomini a fare qualunque cosa. Chi ha i mezzi li usa per i propri scopi. Per il potere si arriva anche a uccidere. Per il potere si gioca con la vita umana, con la vita in generale. Cicerone, grande uomo di cultura, si era accorto di tutto ciò. Egli pur notando l’incredibile sfarzo impiegato per queste manifestazioni di massa e la cura con la quale venivano realizzate, non poteva non disprezzarne i modi barbari e spietati che si trovava di fronte. Al termine di ogni tipo di “gioco” vi era la morte di uomini o animali se non di entrambi e la cosa ancora più sconvolgente è che tutto ciò veniva acclamato dalla folla, eccitata davanti a tanto spargimento di sangue. I giochi, le gare, le venationes, tutto era utilizzato per distrarre i Romani, per intrattenerli, per tenerli a debita distanza dai veri problemi. Un popolo felice, o che per lo meno crede di esserlo, è sicuramente più facile da gestire. Ma non bisogna certo pensare che i Romani fossero stolti perché, felici e divertiti da tali spettacoli, essi erano semplicemente stanchi di guerre e conflitti ed erano soprattutto poco informati o mal informati. Essi già da tempo venivano tenuti fuori dalle questione politiche e il fatto stesso che molto spesso venissero indetti dei ludi creava un clima caotico e frenetico che non favoriva certo il ragionamento e la comprensione reale dei fatti e dello stato delle cose. Cicerone in una sua lettera all’amico Marco Mario scrive che i giochi indetti da Pompeo intorno all’anno 55 a.C. erano stati sicuramente allestiti con l’impiego di un ingente capitale ma che essi avevano comunque riscosso successo soltanto in mezzo al popolo che ne era rimasto affascinato, a differenza sua e degli altri membri della classe sociale cui apparteneva: “Reliquae sunt venationes binae per dies quinque, magnificae -nemo negat- , sed quae potest homini esse polito delectatio, cum aut homo imbecillus a valentissima bestia laniatur aut preclara bestia venabulo transverberatur? (Ci sono state due cacce al giorno per cinque giorni: magnifiche, -non lo si può negare-, ma per un uomo raffinato che gusto c’è a vedere dilaniato un uomo debole da una belva ferocissima o una belva stupenda venire trafitta da uno spiedo? Ad Familiares, VII, 1). In questa lettera comunica all’amico, che non si era presentato a Roma restando nella sua villa al mare, come la sua scelta fosse stata ottima e sicuramente migliore della propria che, stando in città, aveva dovuto assistere a tali giochi. Secondo Cicerone gli spettacoli organizzati da Pompeo erano stati di cattivo gusto, decisamente peggiori di altri precedentemente allestiti e solamente il volgo poteva assistere ad essi divertendosi, in quanto la crudeltà e la violenza che vi regnava era davvero eccessiva. Lo scrittore latino ammette inoltre che la sua sensibilità e soprattutto il suo livello culturale non gli consentono di gioire di fronte ad animali massacrati o a persone uccise senza pietà. Guardare uomini fare scempio di altri o combattere fino al limite con animali feroci non si addice ad uomini come lui. Così alla fine della sua analisi, più che far emergere nuovamente sdegno e dissenso, è come colto da una profonda amarezza, scaturita dall’insinuarsi in lui della consapevolezza che in fondo gli uomini non sono poi tanto diversi da quelle belve feroci con le quali si scontrano: “quin etiam misericordia quaedam consecuta est atque opinio eiusmodi, esse quandam illi beluae cum genere humano societatem” (anzi ne è scaturita una certa compassione e una certa convinzione di tal genere: che tra quegli animali feroci e il genere umano ci sia come un legame naturale). Con queste premesse demagogiche gli spettacoli di massa di questa natura continuarono ad essere organizzati anche nel periodo Imperiale, fase della storia di Roma durante la quale il potere politico divenne sempre più autoritario. Solo la crisi economica e il cambiamento ideologico pose fine a quelle forme di spettacolo. Ma in seguito? Purtroppo nel corso dei secoli è cambiata la forma, ma i problemi della società e i “rimedi” che i potenti cercano di utilizzare per dirimerli sono cambiati solo in apparenza. Oggi, agli albori del terzo millennio, in un periodo della storia dell’umanità in cui il progresso ha raggiunto livelli impensabili fino a pochi anni fa, ancora ci sono persone che cercano di manipolarne altre per raggiungere i propri obiettivi. Come i potenti dell’Antica Roma utilizzavano gli spettacoli e i giochi per ottenere le simpatie del popolo e portarlo ad estraniarsi da qualunque problema della città, la quale poteva così essere gestita senza interferenze, allo stesso modo i potenti di oggi usano ogni mezzo di comunicazione per gestire le masse. Con la televisione, le pubblicità, alcuni giornali, con i programmi di bassissimo livello culturale essi cercano di indirizzare le nostre menti e le nostre vite verso dei percorsi che loro stessi hanno tracciato per noi: delle strade senza uscita all’interno delle quali non si può far altro che subire le loro idee e le loro decisioni, volendo renderci passivi e malleabili, facili da gestire e soprattutto incapaci di pensare. Anche oggi come allora ci sono persone che, al pari di Cicerone, hanno compreso il problema ma purtroppo, così come allora, anche oggi non è sufficiente che il problema sia compreso da pochi, perché quando il popolo è sottomesso, limitato, gestito e condizionato, uno Stato non può che soffrire e avviarsi indiscutibilmente verso la sua fine. Ariccia e Nemi: sulla sinistra un tratto di muro poligonale di sostegno della Via Appia; a destra: i resti del Santuario di Diana Nemorense nel bosco dell’antica Aricia (da Guida archeologica del Parco Regionale dei Castelli Romani) 7) Politica, spettacoli e cambiamenti all’epoca di Cesare e di Cicerone di Chiara Nardi Nella Roma del I Secolo a.C., iniziarono a mostrarsi i segni di un cambiamento che avrebbe poi portato ad un decadimento della Repubblica in favore di poche figure autoritarie. Uno dei momenti più significativi di questo passaggio fu la comparsa sulla scena politica di Caio Giulio Cesare, un patrizio che assieme a due delle figure più influenti di quell’epoca, Pompeo e Crasso, costituì un accordo privato di collaborazione politica: il Primo Triumvirato. Grazie al potere acquisito con questo gesto e anche grazie all’appoggio del popolo, fu eletto console nel 59 a.C. e iniziò un processo che avrà il suo compimento nel Principato di Augusto prima e nell’Impero poi. La potenza dei Triumviri fu chiara già dal 57 a.C. anche ai loro avversari di cui uno dei più famosi fu Marco Tullio Cicerone, sostenitore della Repubblica, che in una lettera all’amico Lèntulo, accetta la sconfitta e scrive che bisogna“…o chinare la testa senza nessuna dignità davanti a pochi oppure opporsi inutilmente.” Nello stesso brano è analizzata dal celebre oratore latino anche la decadenza della Repubblica: “COMMUTATA TOTA RATIO EST SENATUS, IUDICIORUM, REI TOTIUS PUBLICAE” (…è completamente mutata l’essenza delle istituzioni maggiori: del Senato, dei tribunali e dello Stato nel suo insieme); di ciò egli rileva la colpa in coloro che hanno provocato la rottura di quell’Ordine che secondo lui doveva essere le fondamenta della Res Publica e su cui si sarebbe dovuto poter basare lo Stato. Esaminando poi il modo in cui il Primo Triumvirato ha conquistato così tanto potere nella Repubblica, senza che il Senato riuscisse ad opporglisi, si può dire che gli autori vi sono riusciti sia grazie all’unione del loro potere politico, sia grazie all’appoggio del popolo, che veniva cercato soprattutto con gli spettacoli di massa, come i Ludi Gladiatori e le Venationes, a cui si faceva assistere per divertirlo e averne il consenso, come scrive Cicerone nella Pro Sestio, in cui mette sullo stesso piano le assemblee popolari, i comizi e l’accorrere del popolo degli spettacoli: [50] 106 “ETENIM TRIBUS LOCIS SIGNIFICARI MAXIME DE RE PUBLICA POPULI ROMANI IUDICIUM AC VOLUNTAS POTEST, CONTIONE, COMITIIS, LUDORUM GLADIATORUMQUE CONSESSU” (In tre occasioni può esprimersi e in special modo a proposito dello Stato la volontà e il giudizio del popolo Romano, con l’assemblea, i comizi e il consenso nei giochi gladiatorii). Sebbene però la maggior parte del volgo fosse soggetta alla meraviglia di questi intrattenimenti, molte persone di un elevato livello di cultura non le apprezzavano e anzi ne capivano perfettamente lo scopo puramente politico. Tra questi uomini il più importante fu proprio Cicerone che, in una delle sue epistole, si domanda perché dovrebbero piacergli spettacoli di quel genere. Scrive infatti così a Marco Mario riguardo le Venationes volute da Pompeo, nelle sue Ad Familiares,VII,1: “…SED QUAE POTEST HOMINI ESSE POLITO DELECTATIO, CUM AUT HOMO IMBECILLUS A VALENTISSIMA BESTIA LANIATUR AUT PRECLARA BESTIA VENABULO TRANSVERBEATUR?” (…ma per un uomo raffinato che gusto c’è a vedere dilaniato un uomo debole da una belva ferocissima o una belva stupenda venire trafitta da uno spiedo?). Dunque Cicerone disdegnava quel genere di attività di intrattenimento, le sue ragioni sono sia di carattere filosofico che politico. Per quanto riguarda la prima egli riteneva che le lotte tra i gladiatori fossero brutali e non si capacitava del fatto che la gente del popolo non se ne accorgesse: “CRUDELE GLADIATORUM SPECTACULUM ET INHUMANUM NON NULLIS VIDERIT SOLET.” (…Uno spettacolo di gladiatori non è mai solito sembrare inumano e crudele a nessuno”. Inoltre era risaputo che i gladiatori fossero o uomini corrotti o barbari, ma tutto questo al volgo non interessava, anzi desideravano vedere la bestialità degli spettacoli. Cicerone però attribuiva ai gladiatori, come particolarità da imitare, il saper resistere e rimanere impavidi anche di fronte ad un pericolo estremo grazie al loro duro addestramento. L’altro motivo per cui non apprezza gli spettacoli di massa riguarda appunto il modo in cui coinvolgevano corrompendolo il popolo Romano, per il potere che davano indirettamente a coloro che volevano emergere come personaggi potenti e pericolosi, persone che Cicerone, come dimostra sin dalla congiura di Catilina, disdegnava. Anche Catilina aveva tentato infatti, qualche anno prima dei Triumviri, di conquistare il potere a Roma grazie al sostegno demagogico del popolo e, quando il suo tentativo era fallito, aveva fatto ricorso alla forza delle armi. La questione di Catilina e del Triumvirato sono però cose diverse fra loro ed ebbero differenti approcci da parte dell’oratore latino. Infatti nella prima Cicerone sventò il colpo di stato chiedendo anche la pena capitale per alcuni congiurati, mentre nella seconda il potere cui si trovava di fronte era così forte che dovette soccombere ed arrivò anche ad accontentarsi di difendere in varie cause personaggi legati a Cesare o a Pompeo. Tutto questo avveniva circa 2000 anni fa, all’epoca della Repubblica e del Senato Romano, ma ancora oggi, in una Repubblica democratica come l’Italia, i politici tentano spesso di assicurarsi il favore del popolo, e quindi i loro voti, con mezzi che non si limitano a presentare il proprio programma di governo. Mentre nell’antichità, come precedentemente esposto, i politici si servivano soprattutto dello spettacolo di massa e della concessione di elargizioni di alimenti, adesso si basano soprattutto sui mezzi di comunicazione di massa e di informazione come i quotidiani o le reti televisive regionali e nazionali. Si cerca infatti di mostrare solo fatti positivi per la propria “parte” politica e non la realtà oggettiva, facendoci capire che è cambiato il modo di rivolgersi agli elettori, ma non il fine. Dato che la situazione è rimasta più o meno la stessa in tutti questi secoli passati nonostante rivoluzioni, guerre e grandi innovazioni di carattere scientifico e culturale, viene spontaneo domandarsi se non ci sarà mai un cambiamento, almeno nell’intelligenza del singolo individuo e nella sua possibilità di pensare, di parlare e di agire liberamente, senza lasciarsi condizionare da chi possiede mezzi e poteri maggiori dei suoi. Alcuni degli studenti italiani autori del progetto. Foto in alto: Aprile 2007 in Sicilia: a sinistra, nel teatro di Taormina. A destra, sul litorale di Noto. Nella foto più in basso: Aprile 2008 – Firenze, piazzale di Santa Maria Novella.