DIBATTITI 8-14 luglio 2008 offerta dall’accesso paritario alle cure BIILANCIO A SEI MESI DALLA NASCITA dal razzismo Carta della qualità in chirurgia: check list di trasparenza radici culturali dello stigma Fino a oggi la “salvezza” è arrivata dai baluardi, presenti in uno Stato democratico come il nostro nella cornice di garanzia europea, della tutela del diritto alla parità d’accesso alle cure. «Non a caso l’Italia e la Toscana in particolare, grazie alle garanzie di salute offerte a tutti, continuano ad avere servizi sanitari tra i migliori al mondo». «La nuova legge toscana sull’immigrazione - spiega a esempio il governatore Claudio Martini - prevede l’istituzione di una tessera sanitaria che estenderà il diritto alle prestazioni sanitarie non soltanto agli immigrati regolarmente residenti, come previsto dal Ssn, ma anche agli stranieri privi di un regolare permesso di soggiorno, anticipando alcune norme che hanno carattere nazionale. È una scelta che cerca di garantire concretamente il diritto universale alla salute». Eppure la guardia va tenuta alta, ribadiscono gli scienziati. Le novità ventilate nella manovra finanziaria (ridurre le prestazioni garantite ai cittadini neo-comunitari sulla base del diritto di reciprocità), la “schedatura” dei nomadi, gli incombenti tagli alle Regioni, sono elementi che potenzialmente potrebbero mettere in discussione il criterio della parità d’accesso ai servizi per tutti, italiani e immigrati senza distinzione. DI GIANLUIGI MELOTTI * a Carta della qualità in chirurgia ha compiuto sei mesi. Un tempo sufficiente per leggere alcune indicazioni di un cammino ci auguriamo lungo e ricco di soddisfazioni per pazienti e operatori sanitari. Questo documento, presentato a ottobre 2007, è maturato in un contesto socio-culturale in cui i pazienti sono sempre più “attori” dei percorsi terapeutici e meno “spettatori”, come accadeva nel passato. Negli anni della grande affermazione dei mezzi di comunicazioni di massa, in particolare di Internet, anche i pazienti meno acculturati possono accedere a informazioni che permettono loro di accostarsi al medico con maggiore consapevolezza rispetto a dieci o venti anni fa. Questo fenomeno, positivo, è speculare a un altro con aspetti negativi: l’aumento del contenzioso medico-legale. È una prassi d’importazione anglosassone, che negli ultimi anni ha conosciuto una massiccia diffusione e deve essere letta come il segno del clima di sfiducia avvertito dal cittadino verso il Ssn. La Sanità pubblica italiana registra, in questi anni, i riflessi di scelte politiche che l’hanno vista dirigersi sempre di più verso una marcata aziendalizzazione, postulata da modelli di produzione manifatturiera, in un contesto dirigenziale legato più a logiche di spoil system che alle competenze espresse sul campo. A offuscarne ulteriormente l’immagine hanno contribuito le proposte di modelli iperliberisti, ormai messi in discussione anche negli Stati Uniti, dove l’universalità delle cure mediche è al centro del dibattito per la corsa alla Casa Bianca del prossimo novembre. In questo scenario d’incertezza, i cittadini italiani hanno bisogno di essere rassicurati, tornare a credere nella vocazione solidaristica e universalistica del nostro sistema sanitario. E nella qualità della classe medica. Le recenti drammatiche notizie provenienti dall’area sanitaria lombarda contribuiscono a incrementare la diffidenza se non la paura dell’utente del Ssn. I giovani che si avvicinano alla professione medica sentono il peso della sfiducia e abbandonano le scuole di specializzazione in chirurgia, una delle branche a maggior rischio di contenzioso. Soprattutto gli uomini sembrano risentire di questa temperie negativa. Oggi, infatti, il 65% degli iscritti alle Scuole di specializzazione in Chirurgia L 13 generale è rappresentato da donne. Una piccola rivoluzione culturale da accogliere con grande favore, ma che non fa passare in secondo piano il problema di fondo. Non possiamo permetterci un vuoto generazionale in chirurgia e non dobbiamo permettere che si disperda il suo enorme capitale professionale e culturale. Occorre una risposta che vada nella direzione dei cittadini e degli operatori sanitari. Per questo l’Associazione dei chirurghi ospedalieri italiani (Acoi), Cittadinanzattiva-Tribunale dei diritti del malato, la Federazione italiana aziende sanitarie ospedaliere (Fiaso), in partnership con Johnson&Johnson Medical, hanno redatto la Carta della qualità in chirurgia. Il documento declina in 54 articoli i sette diritti fondamentali del paziente ricoverato in un reparto chirurgico; accoglienza, informazione, organizzazione, consenso informato, sicurezza e igiene, innovazione e dimissioni. Cinquantaquattro articoli che vincolano le strutture che adottano la Carta della qualità - a oggi sono ufficialmente 43, ma già altri 27 reparti chirurgici hanno chiesto di aderire - a garantire un pieno consenso informato circa le procedure da mettere in atto, l’accesso all’innovazione e al follow up dopo le dimissioni, in un contesto organizzato e accogliente. È intenzione dei proponenti adoprarsi perché la Carta venga posta come obiettivo di qualità da tutti gli assessorati regionali alla Sanità. Vale la pena porre l’accento sul concetto di innovazione. Tutti i cittadini hanno diritto a ricevere la prestazione tecnologicamente più avanzata in ogni parte d’Italia. Non è pensabile che un paziente debba ricevere cure qualitativamente inferiori, che ne possono pregiudicare il pieno recupero, solo perché vive in una Regione che non investe nell’innovazione per limitazioni di bilancio. Crediamo molto nella Carta della qualità in chirurgia, strumento che rafforza, rinnovandolo, il dialogo chirurgo-paziente e rappresenta la dimostrazione concreta della possibile alleanza tra tutti gli attori del sistema sanitario nell’ottica della valorizzazione della vera eccellenza. Se la utilizziamo e la condividiamo tutti, potrà diventare la check-list della trasparenza. In 54 articoli i sette diritti del paziente * Past president Acoi (Associazione chirurghi ospedalieri italiani)