SANITÀ Fiorella Farinelli S i arriverà di sicuro a un accordo coi camici bianchi, dichiara con la solita sicumera il presidente del consiglio. Ma intanto il decreto che dovrebbe impedire le prestazioni «inappropriate» è nella bufera. Non solo dei sindacati e delle associazioni dei medici che, pur con diverse sfumature, minacciano lo sciopero, ma della vasta platea dei più diretti interessati. Gli utenti del sistema sanitario pubblico, cioè tutti noi che prima o poi dobbiamo ricorrere ad esami diagnostici per prevenire e curare le malattie, e tutte le associazioni che si occupano della salute. Il Tribunale dei diritti del malato in testa, Cittadinanzattiva e molte altre. risparmio a scapito della salute Basta sintonizzarsi con i programmi radiotelevisivi che danno la parola agli ascoltatori, in questi giorni è un torrente tumultuoso di discussioni, inquietudini, proteste. E anche di interrogativi sull’effettiva priorità, tra i non pochi mali del nostro sistema sanitario, di un provvedimento di questo tipo. È proprio questo il problema principale, vale a dire il risparmio per l’anno 2015, peraltro già in via di conclusione, e poi per l’anno 2016 di 106 milioni (nella specialistica) e di 89 milioni (nella riabilitazione), o non sono piuttosto le file estenuanti – mesi e mesi nei sistemi regionali meno efficienti – per ottenere l’esame prescritto? O la crescente rinuncia alle cure, censita da Istat, della parte di popolazione che non può permettersi di pagare ticket farmaceutici e diagnostici diventati troppo costosi? O l’insostenibilità dei costi dell’odontoiatria privata, così importante per i bambini e per gli anziani, visto che quella pubblica è ridotta al lumicino? O il ricorso eccessivo ai pronti soccorso per saltare le file e per ottenere visite ed esami gratuiti per cui si dovrebbe aspettare troppo tempo? L’abbiamo imparato tutti, in questi decenni, che la prevenzione è decisiva, anche per evitare guai e costi maggiori sia per i singoli che per la collettività, e ora ci vengono a dire che gli esami per il colesterolo 27 ROCCA 15 OTTOBRE 2015 se anche i medici hanno la camicia di forza SANITÀ bisogna farli solo ogni cinque anni, che Tac e risonanze magnetiche bisognerà d’ora in poi razionarle, che test allergologici e genetici si possono prevedere solo in determinate e minuziose casistiche. Che quindi bisognerà pagarle per intero, magari ricorrendo al privato (che non mancherà, se ne vedono già i segni, di sviluppare questa nuova fetta di mercato), nel caso i medici di base e specialistici, per paura delle previste sanzioni, non vogliano prescrivercele? in crisi il rapporto fiduciario medico/paziente Già, le sanzioni. Sindacati e associazioni dei medici battono molto su questo tasto, sarà anche un riflesso difensivo – c’è chi dice corporativo – ma non c’è dubbio che l’averle introdotte per i medici che dovessero non essere in grado di motivarne puntualmente la necessità, compromette sicuramente il rapporto fiduciario tra medico e paziente. Se il tuo medico oggi non ti prescrive un’analisi cui vorresti ricorrere per toglierti dei dubbi, ti tranquillizzi perché capisci che forse le tue ansie sono esagerate. Domani, invece, potresti pensare che non lo fa solo per non incorrere nelle multe, e dove va a finire allora l’idea che il medico debba agire sempre e comunque, come dice la Costituzione, in «scienza e coscienza»? Se poi è il ministro competente che, per ingraziarsi i medici, si lascia scappare che con i risparmi sulle prestazioni improprie – e su altre restrizioni della spesa pubblica per la sanità previste dal disegno di legge sugli Enti Locali – si potranno finanziare meglio i rinnovi contrattuali della categoria e i suoi percorsi di carriera, il pasticcio è fatto. i tagli alla sanità ROCCA 15 OTTOBRE 2015 Così mentre i medici contestano anche, e con ragione, che le sanzioni possano essere decise in forme ed entità diverse nei venti sistemi regionali e sostengono, con altrettante ragioni, che dev’essere il medico che conosce il paziente e il suo stato complessivo a giudicare che cosa sia appropriato o no, l’opinione pubblica si ribella all’idea che il programma restrittivo nasca essenzialmente dal fatto che sulla sanità bisogna risparmiare quasi 3 miliardi l’anno. Perché l’abolizione delle tasse sulla prima casa dovrebbe essere una priorità indiscutibile per questo governo e il reintegro immediato del Fondo per la sanità invece no? Quanto ai battibecchi di questi giorni 28 tra la ministra competente, che afferma che lei le sanzioni non le avrebbe volute ma è stata costretta dagli orientamenti delle Regioni a ridurre il bilancio della sanità (l’80% circa dei bilanci regionali) pur di non ridurre i loro bilanci complessivi, e la presidenza delle Regioni che ribatte che la decisione è stata invece concordata tra Stato e Regioni, è altro aceto che scorre sulle ferite. C’è poi il sindacato dei giovani medici, il più interessato al superamento del precariato e all’allargamento delle maglie per nuove assunzioni e nuove opportunità di carriera che, alzando la voce sulla riduzione del numero programmato dei medici – anch’essa in cantiere – ricorda le cifre scandalose del Libro Bianco «Corruption» in sanità: 23 miliardi l’anno per effetto di corruzione, sprechi negli acquisti delle forniture, ricoveri inutili, attrezzature sofisticate e costosissime lasciate inutilizzate per metà del tempo a causa di organici ridotti, carriere lottizzate dalle appartenenze politiche, sindacali, accademiche. Un tormentone, insomma, che riproponendo in tutta la sua entità i guai di un sistema sanitario tra i migliori del mondo per capacità scientifica e per fisionomia universalistica (almeno in punta di diritto), e tuttavia appesantito da problemi organizzativi – di gestione e di controllo – da anni irrisolti, toglie argomenti alla validità del decreto, e del più complessivo programma di riduzione dei costi della sanità. i medici tra multe e denunce di pazienti Ma qualcosa di vero c’è, nella denuncia della inappropriatezza di tante prescrizioni diagnostiche e terapeutiche. In Italia – dati Eurostat – si ricorre ad esami sofisticati e a richieste di visite specialistiche più che in altri paesi Ue, così come si ricorre troppo spesso ai parti cesarei. Radiografie troppo frequenti, ecografie e risonanze prescritte troppo presto, ricorsi agli specialisti senza aspettare l’esito delle terapie più comuni, richieste di ricoveri per problemi che potrebbero essere risolti ambulatorialmente. Si chiama «medicina difensiva», una sorta di scarico di responsabilità dei medici, per timore delle denunce, sempre più frequenti, nel caso di esiti infausti. Il suo costo è stimato in 10 miliardi di Euro l’anno, lo 0,75% del Pil, il 10% della spesa sanitaria. Ci sono intere categorie professionali – i chirurghi, per esempio, ma anche i ginecologi – che pagano di tasca propria costose assicurazio- l’insicurezza delle prestazioni standard I medici più onesti la ammettono, questa deriva, sanno che talora esagerano con i farmaci e con le prescrizioni diagnostiche. Il problema è se un decreto che ricorre a sanzioni e che, senza il supporto delle evidenze scientifiche, stabilisce limiti-standard alle prestazioni in odontoiatria, radiologia diagnostica, dermatologia allergologica, medicina nucleare, test genetici, esami di laboratorio, sia la strada giusta. Si direbbe di no. Intanto perché è, per l’appunto, un «decreto», quindi un atto d’imperio che è stato adottato senza una preliminare condivisione con la società scientifica e con le associazioni dei medici (anche se alcune ammettono che la casistica contenuta nel decreto è stata già in parte migliorata, dopo i primi incontri). E poi perché più della definizione di standard che non tengono conto della necessaria «personalizzazione» dell’intervento della medicina, c’è bisogno di percorsi di ottimizzazione dei protocolli diagnostici e terapeutici nella medicina di base e spe- cialistica. Di nuove Linee guida, insomma. Di informazione e formazione accurata e ricorrente del personale medico. Di reti professionali che consentano ai medici di base la consultazione rapida dei medici specialisti per i casi dubbi e controversi, senza bisogno che sia sempre il paziente a dovervi accedere di persona. Persino di software che, come nella sanità di Trento, consentono di leggere lo stato di salute del paziente attraverso la lettura on line di tutte le prescrizioni e i risultati diagnostici, di tutti gli interventi terapeutici e chirurgici che ha avuto. In un mondo, quello sanitario, in cui è invece il paziente a doversi procurare dagli ospedali in cui ha subito un intervento le cartelle cliniche,a tenere insieme gli esiti degli esami, a portarseli appresso da una visita all’altra, da una diagnosi all’altra. Si chiama «anamnesi», un’operazione conoscitiva che oggi le tecnologie dovrebbero rendere più agevole. il rischio della medicina astensiva Non sembra in verità intelligente, e neppure efficace, una regolamentazione dall’alto condita di possibili sanzioni. Non è un rimedio efficace alla medicina «difensiva» perché l’inappropriatezza è, come molti sostengono, difficilissima da verificare in quanto il medico sa sempre, se vuole, come motivare la sua decisione. E rischia, anzi, di trasformarla da «difensiva» in «astensiva», cioè nella rinuncia a prescrizioni magari opportune o necessarie per paura delle sanzioni o, più semplicemente, per non doversi sottoporre ad adempimenti e a controlli burocratici. I medici non dovrebbero trasformarsi in funzionari, la medicina è troppo importante per ridurla ad adempimento. La riduzione degli sprechi è, prima di tutto, questione di professionalità e di responsabilità, la via della decretazione è una via «inappropriata». Ancora più inappropriata, anzi pericolosa e inaccettabile, è la logica secondo cui, per alleviare gli effetti economici della medicina difensiva, si riducono i livelli essenziali dell’assistenza gratuita, quindi il diritto costituzionalmente protetto alla salute, e si ingabbia l’autonomia professionale dei medici. Che vive ed opera, bisogna saperlo, proprio nello scarto inevitabile tra i «modelli» di malattia (e relativi protocolli di diagnosi e di cura) e la singolarità irrinunciabile della complessità del malato. ROCCA 15 OTTOBRE 2015 ni per far fronte ai rischi di costosissime cause civili o penali. Ma anche tanti medici di base, nell’esperienza diretta dei pazienti, sembrano essere diventati sempre più frettolosi nelle visite, auscultano e palpano di meno, non sviluppano un approccio olistico alla diagnosi, come se ritenessero che la loro esperienza e competenza professionale non possa più bastare. Così, anche in casi non particolarmente complessi, sembrano volersi mettere al riparo spedendo i pazienti dagli specialisti e prescrivendo una montagna di analisi. Difficile dire quanto in questi comportamenti diffusi ci sia di «difensivo», quanto derivi da professionalità pigre e non aggiornate, quanto da un «mercato» della sanità che cresce sull’offerta più che sulla domanda, quanto dall’interesse a non deludere i pazienti ipocondriaci e i colleghi affamati di pazienti paganti. Un po’ come quando, complici gli stessi pazienti più impazienti, si sparano cure antibiotiche per malanni che si potrebbero curare con qualche giorno di riposo, dieta giusta e «rimedi della nonna». O quando, per due settimane di bronchite o tre di mal di schiena, ci si deve mettere in fila negli ospedali, o accorciare i tempi ricorrendo agli specialisti in «intra moenia» che ti visitano più rapidamente, ovviamente utilizzando privatisticamente i macchinari del pubblico, e con costi maggiori per i pazienti. Fiorella Farinelli 29 .