I dispositivi medici nei principali Paesi Europei - Introduzione Questo libro si occupa di una questione apparentemente marginale, almeno dal punto di vista del pubblico generale dei lettori: analizza, con gli strumenti dell'economista, una nicchia particolare e poco conosciuta del grande mercato della sanità, quella dei cosiddetti “dispositivi medici”. Ai non addetti ai lavori, fra i quali chi scrive va annoverato, occorre subito spiegare che si tratta di un coacervo di prodotti, di natura e tecnologia disparate, accomunati dalla finalità di essere d'ausilio permanente a pazienti affetti da patologie di lunga durata, che debbono potersene avvalere anche al proprio domicilio oltre che nelle strutture ospedaliere. Nel linguaggio corrente degli ammalati, forse impreciso ma di immediata comprensibilità, questi dispositivi si chiamano: bombole d'ossigeno, sacchetti per le feci e l'urina, pannoloni per gli incontinenti, sonde e cateteri per l'alimentazione forzata, e così via. Prodotti che possono fare la differenza fra una vita impossibile e una vita possibile per una moltitudine di ammalati, prevalentemente appartenenti alle fasce più deboli ed esposte della popolazione (anziani, malati cronici, malati terminali), ma che, in un'ottica freddamente macroeconomica, ammontano a una frazione piccola delle risorse produttive rivolte alla sanità, pubblica o privata che sia. Questo libro non è, tuttavia, nato da una curiosità bizzarra. Ha una lunga storia dietro di sé. La storia è quella del “Centro di Economia Sanitaria Angelo e Angela Valenti” (CESAV) dell'Istituto Mario Negri, un gruppo di agguerriti ricercatori che hanno scelto di dedicarsi a investigare sistematicamente un campo, la sanità, pochissimo esplorato in Italia da chi si occupa professionalmente di economia e di politica economica, ma su cui si gioca una parte importante dell'azione di governo dell'economia: per la rilevanza degli importi in gioco e per il forte impatto sulla psicologia collettiva di ogni questione che coinvolga la salute. L'impegno di ricerca del CESAV, la capacità dei suoi economisti di formulare proposte politiche concrete, di pronto utilizzo da parte degli amministratori pubblici, ha già lasciato il segno nel dibattito sulle politiche per la sanità in Italia. Le ricerche del CESAV pubblicate negli scorsi anni sui sistemi di determinazione del prezzo dei farmaci, sulla sanità privata, sul mercato della distribuzione dei farmaci, sulla diffusione dei farmaci generici, hanno stabilito, e via via affinato, un metodo d'analisi fondato su alcuni principi basilari: l'indagine sul campo, il confronto con le realtà degli altri paesi europei, lo screening degli incentivi e dei disincentivi che di volta in volta influenzano il comportamento degli agenti privati e pubblici coinvolti. Quest'ultimo criterio si rivela fondamentale in lavori di questo tipo. È facile gridare allo scandalo tutte le volte che ci si imbatte in degenerazioni della macchina amministrativa pubblica, o addirittura in situazioni apertamente criminali, come quelle che di tanto in tanto rimbalzano sulle prime pagine dei giornali italiani e alimentano la saga della “malasanità”. Ma l'indignazione, la condanna morale, l'invocazione di una giustizia più severa, per quanto sacrosante, non bastano. Passata l'onda di piena del raccapriccio mediatico, occorre capire. Capire, appunto, quale perverso schema di incentivi/disincentivi abbia prodotto il guasto, e porvi riparo, modificando norme di legge, regolamenti, statuti, prassi amministrative. È tipicamente italiano il vezzo di ritenere che un sistema regolatorio e un assetto organizzativo/burocratico possano essere, a piacimento, confusionari, ridondanti, noncuranti dell'efficienza economica e delle leggi di mercato, perché, comunque, tutto il problema starebbe nella morale pubblica, quindi nel tasso di onestà personale dei funzionari. Ma per questa via non si va da nessuna parte. Si fa solo della retorica. Il metodo, vorrei dire lo stile, d'analisi dei ricercatori del CESAV consiste invece nell'indicare, con certosina sistematicità, quali vizi logici, quali storture organizzative sussistano nell'economia sanitaria italiana, additando soluzioni che consentano di prevenire i guasti, piuttosto che lasciarli avvenire per poi invocare la mannaia del giustiziere sui colpevoli di turno. Quel metodo, quello stile, hanno modo di dare i loro frutti anche in questo lavoro sui dispositivi medici. Per chi (come il sottoscritto) guarda ai risultati della ricerca non con un'ottica da insider, ma avendo in mente il più vasto ambito di problemi della struttura produttiva e delle politiche pubbliche nel nostro paese, balza subito all'attenzione un fatto: anche nello specifico microcosmo di questa nicchia di mercato si ritrovano alcuni dei vizi antichi del sistema-Italia. La frammentazione dell'offerta produttiva in un pulviscolo di piccole aziende, ad esempio, nel caso dei servizi di ossigeno-terapia a domicilio. Questa situazione di mercato è anomala nel panorama europeo; vi ha certamente concorso la regolamentazione delle modalità distributive del farmaco (l'ossigeno), incentrato sulle farmacie territoriali, in assenza di linee-guida che ne regolamentassero il servizio e/o di controlli efficaci sulle aziende fornitrici. Un altro esempio viene dal sistema distributivo dei dispositivi per l'incontinenza, che in Italia, caso unico fra i paesi considerati nella ricerca, prevede anche la distribuzione diretta da parte delle ASL: un tipico caso di dirigismo inefficiente, in cui si crede di poter risparmiare sui costi della distribuzione privata ignorando l'insorgenza di più onerosi costi di stoccaggio e di trattamento di questi prodotti presso i presidi pubblici, che sono impreparati e non vocati a questo tipo di attività. Un esempio, invece, di come il regolatore pubblico possa disinnescare il rischio di abusi modificando alla radice l'assetto degli incentivi proviene dall'esperienza inglese in fatto di dispositivi per stomia. I pazienti che usano questi sacchetti, resi psicologicamente vulnerabili dalla loro menomazione, tendono a usarne sempre dello stesso tipo, consegnando di fatto nelle mani dell'infermiere ospedaliero che glieli applica per la prima volta la scelta “economica” della marca, scelta che verrà automaticamente confermata dal paziente anche dopo il ritorno a casa. Gli infermieri diventano così bersagli potenziali di strategie “aggressive” di marketing da parte delle aziende produttrici. Nel sistema inglese il livello decisionale è stato allora spostato di un grado, affidando la stessa assistenza infermieristica alle aziende produttrici. Queste offrono pertanto un pacchetto completo “merceservizio”, che viene acquistato in regime d'appalto dall'operatore pubblico (ospedale o distretto sanitario). Alla fine, quindi, questo libro si rivela tutt'altro che marginale. Fa compiere un altro passo avanti nella comprensione del funzionamento del mercato nel sistema sanitario italiano e negli altri paesi europei, confermando la validità di un metodo d'analisi che andrebbe imitato in altri campi d'indagine dell'azione pubblica. Roma, agosto 1999 Salvatore Rossi* *Direttore Principale, Servizio Studi della Banca d'Italia