Editoriale N.2 Diagnosi clinica e di laboratorio dell’infezione da Clostridium Difficile Dr. Sergio Brunati Specialista in Medicina Interna Specialista in Gastroenterologia L’infezione da Clostridium difficile (CDI) è tipicamente acquisita durante il ricovero in una struttura sanitaria, ma sono in rapido aumento epidemiologico anche manifestazioni endogene o acquisite in comunità. E’ necessario considerare la CDI in ogni paziente che durante il ricovero presenta diarrea da più di 3 giorni, febbre o dolore addominale. Una diagnosi tempestiva e accurata delle CDI è di primaria importanza, non solo per una pronta guarigione del paziente, ma anche per un miglioramento nella prevenzione di eventuali fenomeni recidivanti e/o di contaminazione. Il Laboratorio di Microbiologia offre un panel di test che hanno oramai raggiunto elevati livelli di affidabilità e costituiscono indispensabile supporto al sospetto clinico. Diagnosi clinica L’infezione da Clostridium difficile presenta uno spettro di manifestazioni cliniche molto differenziato che va dalla Colonizzazione asintomatica, alla Diarrea semplice post-antibiotica, sino alla Colite pseudo membranosa. La Colonizzazione asintomatica è la condizione più frequente e colpisce circa i 2/3 dei pazienti che acquisiscono il batterio. E’ riportata nel 3% degli adulti sani (Svezia 2% - Giappone 15%) e nel 15-70% dei bambini con età inferiore ai 2 anni. Il tasso di portatori aumenta con l’età ed è del 16-35% tra i pazienti ospedalizzati. Nell’adulto tale stato dura sino a 2-3 anni, con ceppi tossinogeni < 1%. Dopo questo periodo la malattia persiste nelle feci nel 10-40% dei pazienti. Nel bambino i ceppi tossinogeni sono il 5-63% (assenza di recettori per le tossine?) e scendono al 3% dopo il 2° anno: i portatori asintomatici possono divenire clinicamente sintomatici dopo esposizione a specifici fattori di rischio che portano all’eccessiva crescita del germe. La Diarrea semplice postantibiotica compare solitamente dopo 4-8 settimane dalla terapia antibiotica e si presenta con una diarrea variabile, da moderata a profusa, accompagnata sovente da muco e raramente da sangue, in assenza di segni generali. Essa rappresenta il 10-25% delle infezioni e si risolve nel 25% dei casi con la sospensione della terapia antibiotica. Alla colonscopia la mucosa si presenta normale o con erosioni, ma senza pseudomembrane. La Colite Pseudomembranosa ha un esordio brutale ed è una patologia importante e grave. Si presenta con una diarrea profusa, superiore alle 7 scariche /giorno, con febbre nel 75% dei casi e dolore addominale nel 70%. Essa provoca rapidamente una forte disidratazione. Gli esami di laboratorio si presentano nel 40% dei casi con: iperleucocitosi (>15.000 definisce una forma severa, > 25.000 si associa ad aumentata mortalità), ipoalbuminemia (< 2,5 gr/dl), creatininemia leucociti nelle feci nel 50% dei casi. All’endoscopia si rileva la presenza di pseudomembrane (forme severe 85%) che sono diagnostiche. Ove non visualizzate all’esame endoscopico, tali formazioni possono essere evidenziate all’esame istologico. La Rx addome diretto può risultare negativa (36%), mentre la CT è spesso indicativa (78% nelle severe) ma non deve essere utilizzata per formulare o escludere una diagnosi, vista la scarsa specificità e sensibilità. Spesso le immagini non sono peraltro necessariamente correlate alla gravità della malattia. Da qualche tempo si è iniziato ad utilizzare l’ecografia delle anse intestinali, ma il risultato è strettamente correlato all’abilità dell’operatore che esegue il test. Indicatori di severità dell’infezione in questi pazienti sono: 1. distensione addominale 2. dolore 3. ascite 4. instabilità emodinamica 5. alterato stato di coscienza. Da sottolineare come le forme morbose manifestate in una gravidanza si siano dimostrate molto severe; i casi si sono per lo più verificati in periodo postpartum e in pazienti che si erano esposte a trattamento antibiotico durante il parto o comunque nel mese precedente le manifestazioni cliniche. In rapporto alla sintomatologia clinica possiamo suddividere le CDI in forma: Lieve: diarrea (< 10 scariche die), febbre Moderata: febbre, nausea, disidratazione, anoressia, diarrea importante, dolore e distensione addominale, leucocitosi (< 15.000), ipoalbuminemia, colite pseudomembranosa Grave: T > 38,5OC, diarrea grave (possibile ileo paralitico), torpore, dolore addominale, leucocitosi grave (>15.000), irritazione peritoneale, ipoalbuminemia, colite pseudomembranosa. Fra le complicanze dell’infezione da Clostridium difficile possiamo ricordare: megacolon tossico, perforazione/peritonite , shock settico. Si deve ricordare peraltro che, per quanto il battere sia elettivo per patologie intestinali, occasionalmente è stato implicato in patologie extra-intestinali: infezioni superficiali di ferite, gangrena gassosa, ascessi, pleuriti, peritoniti, empiemi, setticemie. Dal 2002 sono state segnalate alcune epidemie di malattia da CD con maggiori livelli di gravità e mortalità. È stato identificato, sia in America che in Europa, un nuovo ceppo (ceppo BI/NAP1/027), con una variante nel gene della tossina, che provoca una maggiore produzione della stessa (16 volte > rispetto agli altri ceppi per quanto riguarda la tossina A, 23 volte > per quanto riguarda la tossina B, con produzione di una terza tossina detta “binaria” il cui ruolo non è sicuramente determinato) e aumentata sporulazione. La sintomatologia iniziale si presenta più frequentemente in pazienti in comunità o ospedalizzati (a domicilio: 21% NAP vs 78% non-NAP; in altre strutture: 46% NAP vs 54% non-NAP). E’ inoltre fondamentale, nell’inquadramento del malato, identificare l’eventuale presenza di fattori di rischio correlati allo sviluppo della malattia e della sua prognosi: 1. terapia antibiotica (rischio maggiore clindamicina, cefalosporine di 2° e 3° gen., fluorochinolonici) 2. età avanzata (in uno studio sulla frequenza della mortalità a 30 giorni, su 1430 pazienti si è evidenziato che l’ 85% dei casi aveva una età > 65 anni) 3. degenza prolungata in ambiente ospedaliero o in comunità 4. severe comorbilità 5. immunodepressione 6. trapianto d’organi 7. chirurgia digestiva 8. malattia infiammatoria cronica intestinale (IBD). 9. Una concomitante diagnosi di IBD e CDI associata a diarrea risulta predittiva di un aumentato rischio di ospedalizzazione e di una aumentata mortalità. I pazienti con IBD, specialmente quelli con rettocolite ulcerosa, hanno maggior rischio di acquisire la CDI. In questi pazienti l’infezione da CD risulta addirittura raddoppiata tra il 1998 ed il 2004, mentre la mortalità intraospedaliera risulta triplicata. Inoltre, vi è un aumento importante della durata della degenza fino al 40-60%. 10. nutrizione per sondino naso gastrico o gastrostomia 11. farmaci antisecretori gastrici (il rischio di recidiva aumenta di oltre 4 volte nei pazienti trattati con farmaci inibitori della pompa protonica) 12. precedente episodio di CDI. Nei malati ospedalizzati bisogna considerare, in caso di CDI, un probabile aumento della durata della degenza (da 5 a 21 giorni, fino a 36 giorni nei malati con età > 75 anni). L’impatto economico delle CDI è pertanto significativo: secondo dati dell’European CDC, in Inghilterra le infezioni da CD comportano una spesa indotta di € 5.000-15.000 per caso; se si riporta tale dato sull’intera popolazione europea, si arriva a stimare che la CDI provochi ai sistemi sanitari europei un potenziale costo aggiuntivo di 3 miliardi di € per anno, dato da ritenere in crescita per i prossimi decenni. Negli USA il costo attribuibile per un paziente con CDI è stato stimato intorno ai $ 2.470- 3.669 per episodio; il costo attribuibile per paziente nei sei mesi dopo la diagnosi varia da $ 5.042 a 7.179. La spesa degli ospedali USA per il trattamento di CDI è stata così stimata intorno ai 3,2 miliardi di dollari/anno. Le recidive / ricadute avvengono in media entro un mese dal termine della terapia antibiotica (è possibile anche più tardi), con frequenza del 15-30%. Sono più frequenti (fino al 65%) in soggetti con precedenti episodi (descritte fino a 10 recidive). Le recidive si registrano per il 20% dopo il primo episodio, per il 40% dopo il secondo e per il 60% dopo più di due episodi. Diagnosi di laboratorio Il Clostridium difficile è un batterio sporigeno Grampositivo, anaerobico, che si diffonde per via oro-fecale. I ceppi patogeni producono due tossine, A (enterotossica) e B (enterotossica e citotossica), che sono responsabili della malattia. Il test che comunemente viene richiesto in un paziente con diarrea è l’esame colturale delle feci, che in questo caso risulta però non indicato (eventualmente una seconda scelta per un laboratorio che volesse approfondire una eventuale diagnosi). Questo perché l’esame colturale standard ricerca i più comuni patogeni che si acquisiscono per via alimentare, quindi la salmonella, la shigella e il campylobacter, oltre ad altri patogeni, di meno frequente riscontro, tutti legati a tossinfezioni alimentari o a infezioni acquisite per via orofaringea. La coltura è un test che richiede un tempo di risposta che va da 48 a 72 ore. Inoltre l’isolamento in coltura del batterio con specifico test non è sufficiente per la diagnosi, in quanto solo i ceppi in grado di produrre le tossine sono in grado di causare la malattia. Per tale motivo sarebbe necessario verificare la natura tossinogenica del ceppo isolato, e il test di Riferimento (test di citotossicità su feci) richiede fino a cinque giorni per la refertazione. La diarrea, specie in un paziente anziano e/o che presenta i fattori di rischio specifici, può essere dovuta con discreta probabilità all’infezione da CD. In tali casi il test indicato è quello per la ricerca diretta della tossina o dei germi che sintetizzano la tossina. Si tratta di un test molto più rapido rispetto alla coltura. La richiesta tempestiva di tale test (riservandosi eventualmente di chiedere poi quelli legati a patogeni più comuni), permette di risparmiare tempo prezioso, in quanto in grado di fornire una risposta nel giro di poche ore. Riassumendo: Quando richiedere i test per CDI 1. Diarrea come sintomo principale insorta 2-3 giorni da ospedalizzazione insorta a casa da oltre 3 giorni, senza identificazione di un patogeno 2. Diarrea e precedente terapia antibiotica 3. Diarrea e appartenenza ad un gruppo a rischio (vedi diagnosi clinica) 4. Diarrea e frequente esposizione a C. difficile Ospedalizzato o in comunità (possibile contagio da altri malati o ospiti, personale sanitario, arredo) Personale sanitario. Come prelevare i campioni di feci e conservare i reperti biologici Esistono alcune prescrizioni per la corretta raccolta e invio del campione (diarrea e non feci formate): raccolta con palettino in dotazione o attraverso un tampone floccato, in questo caso sia perirettale che rettale (importante che il tampone presenti tracce di materiale fecale) contenitori di sicurezza (con tappo a vite, non sterili) invio entro due ore dalla raccolta, conservazione in frigorifero a 4oC per un massimo di 3 giorni. Quali sono i test diagnostici per CD Test Coltura per CD Sensibilità Specificità Disponibilità Costo Bassa Moderata Limitata Utilizzo Non ha uso diagnostico; solo i microorganismi tossinogenici provocano malattia $ 5-10 Metodo di riferimento Toxigenic culture Alta Alta Limitata $ 10-30 Valore epidemiologico Limitato uso diagnostico Metodo di riferimento CCNA Alta Alta Limitata $ 15-25 Limitato uso diagnostico GDH Alta Bassa Ampia $ 5-15 Test diagnostico di screening; da confermare Toxin EIA test Bassa Alta Ampia $ 5-15 Deve individuare tossine A + B; bassa sensibilità NAATs Alta Alta Ampia $ 20-50 Da utilizzare solo in fase acuta di malattia; da considerare rischio di possibili falsi positivi Tabella 1. Modificata da CM Surawicz et al. Am J Gastroenterol 2013; 108: 478-498 Stool culture Terreno selettivo CCFA (cicloserina, cefoxitina,,fruttosio, agar), il più sensibile. Non specifico; non sa distinguere tra ceppi tossigeni e ceppi non tossigeni e richiede sia tempo per la risposta (48-72 ore) sia personale esperto nelle colture anaerobiche Cell Culture Neutralization Assay (CCNA) rileva la presenza di citotossina B+ del CD. E’ metodo colturale innovativo basato sull’effetto citopatico provocato dalla tossina su colture di cellule umane / di mammifero, invertito dall’aggiunta di antitossina. Sensibile e specifico, presenta alcuni svantaggi: incubazione lenta (di solito 48 ore), variabilità dovuta alle linee cellulari selezionate per il test, parametri procedurali critici che richiedono notevole esperienza e grande cura, variabilità procedurale significativa da laboratorio a laboratorio Toxigenic Culture (Culture and CCNA) viene effettuata la coltura di CD su cui viene poi testata la presenza di tossina con una procedura simile al test precedente, di cui ha le stesse limitazioni, pur avendo uguale elevata sensibilità e specificità. Pur essendo test gold standard, molti laboratori non eseguono CCNA o Toxigenic culture a causa del tempo di incubazione, delle competenze tecniche e del tempo necessario alla effettuazione del test, e per la necessità di mantenere linee cellulari per questi test Toxin EIA test (Enzyme Immunoassay ) Utilizza una reazione immunoenzimatica per rilevare le tossine prodotte dai batteri. E’ un test semplice, economico, che non richiede apparecchiature costose e offre un tempo di risposta rapido (1 ora). La Letteratura ha però evidenziato limiti nella diagnostica basata su questo test: i test EIA, quando utilizzati come stand-alone per la diagnosi di CDI, hanno effettivamente dimostrato una alta specificità (92100%), ma hanno un valore predittivo positivo molto variabile (49-100), un alto valore predittivo negativo (94-100), una sensibilità diversificata a seconda dei diversi lavori pubblicati (3298,7%). E’ pertanto un test con una elevata variabilità di risultati in letteratura e con opinioni conflittuali sul suo impiego come unico test Glutamate dehydrogenase enzyme immunoassay (GDH) Rilevano la presenza dell’enzima glutammato deidrogenasi prodotto da CD. GDH è però prodotta anche da altri batteri. Ha buona sensibilità (92%), migliore che negli EIA test indirizzati alla tossina, ma bassa specificità (89%), basso valore predittivo positivo (57,7%), alto valore predittivo negativo. Utilizzabile come test di screening. I risultati positivi devono essere testati con un toxin test per confermare la presenza della tossina del CD. Vi sono anche EIA tests che testano contemporaneamente sia GDH che le tossine in un singolo campione . Hanno il vantaggio di un basso costo, elevata rapidità, buona sensibilità, ma sono limitati da una ugualmente bassa specificità alle tossine. L’uso di algoritmi diagnostici che utilizzano il GDH come primo gradino del processo diagnostico non ha avuto grande diffusione. Nucleic acid amplification tests (NAAT) / Real-time polymerase chain reaction molecular based (PCR Or LAMP) Test molecolare per la ricerca del genoma del CD. I test in commercio rilevano la presenza di forme tossinogene di CD. E’ sensibile e specifico, ma nella forma classica richiede attrezzature speciali che devono essere acquistate per eseguire estrazioni e / o amplificazioni. E’attualmente disponibile una nuova tecnologia molecolare (LAMP) che utilizza un sistema di amplificazione genica (Loop Mediated Isothermal Amplification), che rileva e amplifica una regione di DNA patogeno comune a tutti i ceppi che producono tossine di CD. Questa tecnologia elimina la necessità di costose apparecchiature. Il test è molto rapido e viene effettuato in 1-3 ore. Le più recenti Linee Guida, come quelle rilasciate dall’ASM (American Society for Microbiology) nel 2009 e quelle del 2013 pubblicate dalla Association for Professionals in Infection Control and Epidemiology, USA, indicano la biologia molecolare (NAAT) come valida alternativa alla diagnostica tradizionale: la rilevazione di un ceppo tossinogenico (presenza del gene per le tossine), in combinazione con le indicazioni cliniche di infezione da C.difficile, consente di avere una diagnosi di laboratorio in tempi molto rapidi e con sensibilità e specificità che superano il 95%. Bibliografia essenziale: 1) Carroll KC. Anaerobe 2011; 17: 170-174. 2) Clinical practice guidelines for Clostridium difficile infection in adults: 2010 update by the Society for Healthcare Epidemiology of America (SHEA) and the infectious diseases society of America (IDSA). Infect Control Hosp Epidemiol 2010; 31: 431-455. 3) Guide to Preventing Clostridium difficile Infections; 2013 update by Association for Professionals in Infection Control and Epidemiology, Inc. (APIC) 4) Eastwood K et al. J Clin Microbiol 2009; 47: 3211-3217 5) Sloan LM et al. J Clin Microbiol 2008; 46: 1996-2001