Gioco d`azzardo e disagio sociale: “Qual` è il prezzo del rischio

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SEZIONE ARTICOLI DI SERVIZIO SOCIALE
Servizio Sociale e Post-modernità:
Una riflessione laica e Cristiana*
Il Mondo è cambiato
Lo sento nell’acqua
Lo sento nella terra
Lo avverto nell’aria
Molto di ciò che era si è perduto
Perché ora non vive nessuno che lo ricorda
J.R.R. Tolkien – Il Signore degli anelli
Il quadro di riferimento.
Quando negli anni 70 il grande sociologo polacco di origini ebraiche Zygmut Bauman e i suoi
collaboratori si trovarono a compiere i propri studi sulla post-modernità, a partire dal NordAmerica, si presentò loro un quadro abbastanza desolante1:
Aumento dei disturbi mentali (ansie, depressioni, suicidi ecc), delle dipendenze, delle devianze, del
disagio e della fragilità sociale (aumento dei divorzi, dei figli nati fuori dal matrimonio o cresciuti
dalla sola madre ecc). In sintesi gli studiosi appurarono come la società post-moderna (chiamata
così per distinguerla dalla moderna ormai lasciata alle spalle) fosse connotata da una certa
debolezza che, attraverso “una nuova visione del vivere”, aveva riversato sull’uomo le proprie
incertezze (liquidità). Altro elemento che è subito balzato in evidenza è che il benessere economico,
gradualmente cresciuto dal dopo guerra, si mostrava come un elemento addirittura influente a
favorire tale incertezza sociale. Bauman, infatti, stigmatizza il consumismo che ha di fatto
trasformato i protagonisti sociali da produttori a consumatori, finendo per creare dei veri “rifiuti
umani” costretti ad adeguarsi alle attitudini del gruppo per non sentirsi esclusi, in una vera e propria
“globalizzazione della miseria”. Questo concetto si mostra parecchio in sintonia con la coniazione
di “mentalità dello scarto” utilizzata da Papa Francesco per indicare quella filosofia dell’esclusione
e dell’emarginazione di tutte quelle vite umane ritenute inutili.
Bauman parla, quindi, di una società “liquida” dove nulla è più certo (solido) dove tutto viene
ritenuto relativo, opinabile e provvisorio, e pertanto non può che proporre un “pensiero debole” e
“un’educazione liquida” destinata a creare incertezze e malesseri.
1
Cfr Le sorgenti del male, introduzione e traduzione di Riccardo Mazzeo, Edizioni Erickson, Trento 2013; Futuro Liquido. Società,
uomo, politica e filosofia, a cura di Emma Palese, AlboVersorio, Milano 2014.
Quali le cause di questo cambiamento?
Bauman evidenzia che alla base della fragilità post-moderna è posta, in particolar modo, la fine
delle “grandi narrazioni” cioè in primo luogo “Dio” (che in occidente significa l’accantonamento
del Cristianesimo) e dei grandi ideali (politici) che avevano ispirato intere generazioni. Bauman
conclude, quindi, che il quadro attuale ha reso impossibile la pretesa di verità assolute e quindi la
mancanza di una morale post-moderna.
D’altro canto, dai pericoli derivanti “dall’eclissi di Dio” ne avevano già messo in guardia diversi
Papi (Paolo VI, Giovanni Paolo II) nonché del “relativismo” ne ha parlato un altro fine interprete
delle contemporaneità: Benedetto XVI, il quale, a più riprese, ha stigmatizzato i pericoli della
società di oggi: “cioè il lasciarsi portare “qua e là da qualsiasi vento di dottrina”, appare come
l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo
che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue
voglie.2”
Questa lettura sociale giunge alla conclusione che questo stile di vita non ha reso l’uomo più felice,
tutt’altro.
Quale è la situazione del servizio sociale nella post-modernità?
La nostra professione vive immersa nella società che la circonda e se da una parte si riconosce
l’apporto sociale al cambiamento che essa dà, dall’altro è indubbio che ne è anche influenzata e
vive, sia nel singolo professionista che nell’insieme professionale, tutte le difficoltà, incertezze e
fragilità che connotano la post-modernità. Inoltre, va osservato che la visione contemporanea e il
pensiero dominante in un dato momento storico, ha delle influenze sul modo d’intendere l’agire
professionale rispetto all’uomo a cui è appunto finalizzato (cfr principi del codice deontologico).
Papa Francesco utilizza una metafora per indicare la missione di cura d’anime della Chiesa in
questo preciso frangente storico: un ospedale da campo.
Questa metafora è in qualche modo utilizzabile anche per il servizio sociale che seppur con una
missione diversa, ma affine, è chiamato a farsi carico delle conseguenze che la post-modernità ha
impresso “nel volto dell’uomo” in termini di emarginazione, sofferenza, solitudine e disagio la cui
complessità è sempre più la conseguenza dello sfaldamento dei legami affettivi primari.
Il servizio sociale come reparto di pronto soccorso (sociale):
Se guardiamo alla realtà dei servizi, specie quelli a più diretto contatto con la gente (uff. servizi
sociali comunali, consultori, Ser.T, ecc), ci rendiamo conto di quante richieste d’aiuto giungono che
si distinguono per complessità, urgenza ed essenzialità (indigenza, disoccupazione, abitazione,
conflitti familiari, trascuratezza di ogni genere, ecc) la cui radice è sempre in qualche modo
riconducibile al fallimento del soccorso familiare o addirittura alla trasformazione della famiglia da
“riparatrice sociale” a “produttrice di disagio”.
Rimanendo nella metafora, il reparto di “pronto soccorso” a cui la gente affluisce è sempre più
sprovvisto di medicine (contributi economici, borse lavoro, ecc..) di apparecchiature di diagnosi e
cura (servizi quali assistenza domiciliare, alloggi di emergenza, progetti mirati, centri diurni, ecc..)
nonché del personale sanitario atto alla cura del paziente (carenza di assistenti sociali nei comuni e
nei servizi territoriali), queste mancanze diventano croniche nei territori più isolati, lontano dalle
aree più densamente abitate. Ciò detto, è chiaro che un “pronto soccorso” ben attrezzato e
funzionante non sarebbe la soluzione alla causa che ha generato la malattia (la filosofia postmoderna), ma comunque rappresenterebbe il modo con il quale la società si fa carico della cura
della stessa, il che non è irrilevante.
2
http://www.vatican.va/gpII/documents/homily-pro-eligendo-pontifice_20050418_it.html
Quali sfide per il futuro del servizio sociale?
1) Sottrarsi al relativismo e al “pensiero professionale liquido”:
Questo significa preservare la professione dalle ideologie (che significa l’interpretazione della realtà
non legata a fattori oggettivi) e dal pensiero dominante in un dato momento storico. Guardando al
900: quante ideologie abbiamo conosciuto che pretendevano di detenere la verità sull’uomo? Non
meno insidiose ve ne sono oggi. Un nodo centrale è probabilmente il rapporto che lega
l’autodeterminazione dell’utente e la capacità del servizio sociale di indicare, come una bussola, la
giusta direzione da percorrere, ovvero il bene e il male, ciò che è, oltre le apparenze,
esistenzialmente positivo per l’utente e per le controparti interessate (figli, familiari, società, ecc..) e
ciò che non lo è. In un tempo in cui vige una certa “dittatura dell’autoderminazione”, supportata da
una concezione del diritto che si spinge a riconoscere come valido ogni intenzionalità umana, anche
quando questa confligge con il diritto di terzi. L’esempio più eclatante è il diritto superiore dei
bambini ad avere una mamma e un papà, che tante volte deve piegarsi alle volontà e ai desideri, non
di rado egoistici, degli adulti.
Il servizio sociale rischia, pertanto, di ridursi ad un “ratificatore” dell’autodeterminazione
dell’utenza, ad un “notaio” della volontà altrui, mentre è necessario custodire quella prerogativa di
tutela dei soggetti più deboli, anche attraverso la puntuale e coraggiosa indicazione, come farebbe
una bussola, delle vie che possono essere percosse, avvertendo dell’esito ultimo di ogni
comportamento, lasciando infine che l’ultima parola sia quella dell’utente. Tutto ciò va fatto anche
se potrebbe significare “proteggere l’utente da se stesso”.
2) Essere fedeli alla realtà antropologica dell’uomo:
L’intervento sociale che riguarda l’uomo non può limitarsi, come vorrebbe un certa visione
materialistica e utilitaristica, alla dimensione corporale e psicologica, escludendo o ignorando
quella spirituale dell’essere umano. Questa impostazione, che per dirla con Bauman ha portato alla
fine delle “grandi narrazioni”, cioè “all’eclisse di Dio”, dimostrando, una volta di più, che la
trascendenza dell’uomo e la ricerca di Dio è una componente non meno determinante delle altre,
anzi forse la principale poiché risponde alle più importanti domande esistenziali che l’uomo si pone.
La verità sull’uomo va coniugata alla sua armoniosa realtà antropologica, diffidando da tutte quelle
ideologie e teorie che pretendono di escludere una o più dimensioni dell’essere umano (corporeità,
psiche o anima). In tale direzione un esempio è stata l’ideologia atea-materialista del comunismo, a
scapito della spiritualità o l’attuale c.d. teoria del “Gender3” che pretende di escludere la dimensione
corporale dell’uomo a vantaggio di una rappresentazione “liquida” e “fluida” dell’identità umana
fondata esclusivamente su componenti pisco-culturali. Su questo piano si giocano le più importanti
sfide etiche e morali del XXI secolo.
3) Abitare le “periferie esistenziali”:
3
Tra i padri della teoria del Gender va ricordato in particolar modo il contributo dell’americana Margaret Sanger (1879-1966),
mentre il suo più compiuto sviluppo si deve alla filosofa francese Simone de Beauvoir (1908-1986) i cui testi saranno ripresi dalla
filosofa contemporanea Judith Butler che li pubblicherà nell’articolo Sesso e genere nel “Secondo sesso” sul numero speciale
dell’inverno 1986 dei prestigiosi “Yale French Studies”, dedicato appunto a Simone de Beauvoir. Si deve invece allo psicologo e
sessuologo neozelandese John William Money (1921-2006) l’estensione della teoria Gender alla comunità scientifica. Lo psicologo è
tristemente noto per l’esperimento effettuato sui piccoli gemelli Reimer tragicamente conclusosi e raccontato nel libro “Bruce,
Brenda e David. Il ragazzo che fu cresciuto come ragazza”, San Paolo 2014, nonché in un film documentario andato in onda sulla
BBC con le interviste agli stessi Reimers https://www.youtube.com/watch?v=MUTcwqR4Q4Y. Un’interessante documentario sulla
teoria
del
gender
è
stato
girato
dalla
TV
nazionale
Norvegese
e
sottotitolato
in
italiano:
https://www.youtube.com/watch?v=2qx6geFpCmA
A fronte della diffusione di una “mentalità dello scarto”, oggi urge un lavoro di inclusione che
riparta dalla dignità di ogni essere umano in qualsiasi momento della sua vita con priorità verso
coloro che vivono situazioni di emarginazione e fragilità (immigrati, poveri, disabili, malati, ecc..).
Se guardiamo la storia del servizio sociale possiamo affermare che esso ha nel proprio “DNA”
quegli anticorpi che lo mettono al riparo da una certa visione utilitaristica dell’uomo, infatti, come
ricordava la presidente dell’Ordine Nazionale nel messaggio inviato a Papa Francesco in occasione
dell’udienza dell’11 Novembre scorso: “è nei territori della marginalità che lavoriamo: territori
materiali e fisici ma anche spirituali e morali. Luoghi dove la dignità umana – tanto
frequentemente – è messa da parte, schiacciata dal degrado e dall’emarginazione”4. Tuttavia
bisogna vigilare e ricordare, come diceva Primo Levi (1963): “Ma quante sono le menti umane
capaci di resistere alla lenta, feroce, incessante forza di penetrazione dei luoghi comuni?”, questo
vale anche per noi. Di fronte al dilagare della “cultura della morte5” e “dell’esclusione” è pertanto
necessario ribadire nella prassi professionale che è inaccettabile, per dirla con Bernad Nathanson6,
l’idea che si possano risolvere i problemi sociali escludendo, o peggio ancora, eliminando le
persone.
Conclusioni
Il nostro tempo ha bisogno, pertanto, di ritornare alle “grandi narrazioni” a quei valori “solidi” che
contrastino “la liquidità” del relativismo. Abbiamo richiamato, in questa breve e parziale disamina,
il contributo del grande interprete post-moderno Zygmut Bauman, nonché di alcuni pontefici quali
Papa Francesco, segno che la vera laicità non sta nell’esilio della religione dal proprio ambito, ma
dalla capacità di ascolto, dialogo e integrazione che con essa si deve avere, poiché unico è il fine: il
benessere dell’uomo7. La cultura occidentale, confluita nella dichiarazione dei diritti umani
universali del 1948, si è costruita nei secoli proprio da questo scambio.
Concludendo, ricordiamo che il Natale ci riporta a vivere il mistero dell’accoglienza di un Bambino
che ha cambiato il corso dei secoli e che ancora oggi chiede di essere accolto nel volto del non
ancora nato, del povero, del rifugiato, del senza tetto, del carcerato e di ogni persona che “alza al
cielo” il proprio grido di dolore soffocato dall’indifferenza. Il volto di ogni uomo, da quella lontana
notte di Natale di oltre duemila anni fa, rivive nel volto del piccolo Gesù e per questo è divenuto
intoccabile8.
4
http://www.cnoas.it/Press_and_Media/News/2015_333.html
5
cfr Giovanni Paolo II, Evangilium Vitae.
6
Bernard N. Nathanson, ginecologo, direttore della più grande clinica abortista negli Stati Uniti e grande fautore e promotore della
legalizzazione dell’aborto, scrive nel 1979 la sua biografia “Aborting America” tradotta ed edita in Italia da Amici per la vita Milano
2010, dove ripercorre le fasi del quel sogno seducente e velenoso, come lui stesso dirà, che fu la legalizzazione dell’aborto. I nuovi
strumenti di indagine intrauterina lo convertirono all’evidenza che “quella” era una vita umana. Finirà gli ultimi anni della sua vita
difendendo strenuamente la vita fin dal suo concepimento.
7
Significativo, in tal senso, è quanto dichiarato dallo stesso Bauman in un intervista concessa in occasione dei suoi 90 anni.
All’intervistatore che gli chiedeva cosa avrebbe voluto chiedere al Papa, così risponde: “Papa Francesco non ha bisogno delle mie
domande. Ogni giorno egli se ne esce con risposte a domande che io sto ancora cercando, e con successo a metà, di articolare.”
http://www.avvenire.it/Cultura/Pagine/BAUMAN-.aspx
8
Il noto filosofo tedesco Friedrich Nietzsche, nemico giurato del cristianesimo, riconoscendo ciò affermava furente di rabbia che
“l’individuo fu tenuto dal Cristianesimo così importante, posto in modo così assoluto, che non lo si poté più sacrificare, ma la specie
sussiste solo grazie a sacrifici umani […] la vera filantropia vuole il sacrificio per il bene della specie perché abbisogna del
F. Paolo Gandolfo
Assistente Sociale Specialista**
* L’articolo è pubblicato sulla rivista “Dimensione Professionale del Servizio Sociale” - Dicembre
2015 – edita dall’ordine Regionale degli Assistenti Sociali della Sicilia.
** F.sco Paolo Gandolfo è assistente sociale C/o il Comune di Trapani.
sacrificio dell’uomo. È questo psudoumanesimo che si chiama cristianesimo, vuole giungere appunto a far sì che nessuno venga
sacrificato”. Cit in A. Socci, “Il Genocidio censurato”, Ed Piemme 2006, pag 165