UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI “FEDERICO II” Dipartimento di Sociologia Dottorato in “Sociologia e Ricerca Sociale” XXI ciclo POLITICHE PUBBLICHE PER LA DEMOCRAZIA E LA CITTADINANZA ELETTRONICA una policy senza politics Tutor Prof.ssa Rosanna De Rosa Candidato Dott. Tommaso Ederoclite Coordinatrice Prof.ssa Enrica Morlicchio Napoli 2008 Indice Introduzione 4 PARTE PRIMA TEORIA SOCIALE, TEORIA DEMOCRATICA E SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE Capitolo 1 Dalla teoria sociale alle pratiche istituzionali Premessa 1. Dalla crisi del sistema industriale alla società dell’informazione 2. Pensare la società dell’informazione: oltre le discipline 3. L’approccio economico: economia informazionale, lavoro immateriale ed economia emergente 4. L’approccio culturale: connettività, collettività e convergenza culturale 5. L’approccio sociale: comunitarismo, identità e disuguaglianze digitali 12 13 21 24 30 36 Capitolo 2 L’approccio politico: società dell’informazione, sfera pubblica e democrazia elettronica Premessa 1. Sul concetto di sfera pubblica: dalla polis, attraverso i media, fino al ciberspazio 2. Spazi politici e scenari tecnologici: l’orizzonte e-democratico 3. Democrazia, democrazie e democratizzazione elettronica: tra partecipazione e deliberazione 4. La costruzione dei diritti nella società dell’informazione: la cittadinanza elettronica 43 46 56 61 70 PARTE SECONDA POLICY Capitolo 3 Percorsi di policy per la società dell’informazione, l’e-government e la democrazia elettronica in Europa Premessa 78 1. La commissione Delors e il Rapporto Bangemann: il mercato come volano per le politiche della società dell’informazione 2. Sul ruolo della ricerca nella definizione delle politiche per la società dell’informazione: i Programmi Quadro 2.1 Il 5° Programma Quadro 1998/2002 2.2 Il 6° Programma Quadro 2002-2006 2.3 Il 7° Programma Quadro 2007-2013 3. La strategia di Lisbona e la nascita dei piani eEurope 3.1 eEurope 2005 3.2 i2010: la società dell’informazione e i media al servizio della crescita e dell’occupazione 4. I piani di azione nazionali per la società dell’informazione: alcune esperienze 4.1 Grecia: OPIS e Digital Strategy 4.2 La Francia: Le autoroutes de l’information 4.3 Inghilterra: The Victorian Information Society 4.4 Spagna: dal Plan de Acciòn XXI al Moderniza 4.5 La Turchia verso il modello europeo 4.6 L’Estonia: una best-practice all’insegna del citizen-centric 2 78 82 83 86 88 91 95 98 101 101 106 111 115 119 122 Capitolo 4 L’Italia nella società democrazia elettronica dell’informazione. E-government e Premessa 1. Dalle linee guida alle fasi per l’e-government in Italia 2. La quarta Linea di Azione: “lo sviluppo della cittadinanza digitale: l'edemocracy” 3. I progetti co-finanziati: gli attori, le regole e i contenuti 126 126 136 144 PARTE TERZA POLITICS Capitolo 5 La politica europea per la democrazia e la cittadinanza elettronica Premessa 1. 2. 3. 4. Policy determines Politics Le arene di potere: il parlamento europeo e le commissioni parlamentari Gli attori: i gruppi politici, i partiti e i gruppi di interesse Il processo decisionale: le sedute plenarie della V e VI legislatura 4.1 Le sessioni plenarie della V Legislatura (1999/2004): verso una strategia di sviluppo inclusiva e condivisa 4.2 Le sessioni plenarie della VI Legislatura: dal government alla governance. Verso le politiche pubbliche per la democrazia e la cittadinanza elettronica 151 151 155 158 161 163 173 Conclusioni 181 Bibliografia 184 Appendice: Elenco dei progetti co-finanziati dal CNIPA per la quarta Linea di Azione della II fase per l’e-government “lo sviluppo della cittadinanza digitale: l'e-democracy” 3 191 Introduzione Il presente lavoro di dottorato ha come oggetto di analisi i processi di formazione delle politiche pubbliche per la democrazia e la cittadinanza elettronica. Quando si parla di politiche pubbliche per la democrazia e la cittadinanza elettronica si fa riferimento allo sviluppo di tutte quelle politiche e quelle pratiche messe in atto dai diversi governi per la partecipazione, il coinvolgimento e l’inclusione dei cittadini alla società dell’informazione in tutte le sue dimensioni. Più precisamente, lo studio riguarda i processi di costruzione e strutturazione di politiche per lo sviluppo della partecipazione dei cittadini attraverso l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICTs): un’area di ricerca che si è solo recentemente andata consolidando, attestandosi come uno dei profili di ricerca più dibattuti dal punto di vista teorico. La scelta dell’oggetto di ricerca è stata definita sulla base di tre brevi considerazioni: 1) La crescente pervasività delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nella vita quotidiana ha inevitabilmente trasformato i luoghi dell’agire sociale, politico ed economico. Tale trasformazione ha indotto molti studiosi a ritenere che la sfera pubblica intesa come il luogo dove sedimentano e circolano idee, opinioni, punti di vista, emozioni e dove avviene l’attività di interscambio fra stato e società - sia ormai irrimediabilmente mutata e che i tradizionali paradigmi di interpretazione delle attività pubbliche vadano rivisti alla luce delle trasformazione prodotte dalle ICTs (Levy 1996, Maldonado 1995, Sassen 1999, Dahlgren 2001). Una buona parte della letteratura afferma che l’uso massiccio delle nuove tecnologie ha prodotto una rivitalizzazione della sfera pubblica, sviluppando nello stesso tempo opportunità alternative a quelle tradizionali di partecipazione sociale e politica, di discussione, confronto e dibattito (Levy 1998, Rodotà 2004, De Rosa 2000). In accordo con questo scenario, le nuove tecnologie avrebbero così accresciuto enormemente le opportunità di partecipazione e di intervento, ed il ricorso alla comunicazione telematica per la ricerca di informazioni di pubblica utilità, per la condivisione e scambio delle informazioni ha ridefinito ruoli e funzioni, diritti e doveri di gran parte degli attori politici e sociali. Come ha ben rilevato Mancini (2005), Internet offre grandi opportunità nelle istanze istituzionali della vita pubblica: grazie all’interattività della rete i cittadini possono partecipare al processo decisionale, possono far sentire il proprio parere, possono essere interpellati, possono, occasione più avanzata, votare ed esprimere il proprio parere sulle opzioni in gioco. Una democrazia continua (Rodotà 2004) che offre a tutti i cittadini la possibilità di poter partecipare alla decisione pubblica. 2) Nell’ultimo decennio, in Italia come in Europa, sono state avviate una serie di politiche governative tese a implementare e sviluppare pratiche di partecipazione e coinvolgimento della cittadinanza alle attività amministrative attraverso l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Lo sviluppo di queste pratiche ha fatto sì che il concetto stesso di cittadinanza fosse messo in discussione e che venisse avviata una riflessione in merito. Grazie alle nuove tecnologie la cittadinanza si allontana dal suo significato tradizionale, essa si è dotata di nuovi strumenti, agisce in più spazi, fino ad arrivare alla infinita dimensione della rete (Rodotà 2004). 4 Al ricorso delle nuove tecnologie per la gestione e l’amministrazione delle attività di carattere pubblico si aggiungono i processi di globalizzazione e localizzazione delle attività istituzionali ed economiche, elementi che contribuiscono al graduale indebolimento del «paradigma bipolare» (Cassese 2001) che aveva caratterizzato l’interpretazione e l’implementazione delle attività amministrative ed istituzionali nel corso di tutto il XX secolo (Bobbio 1996, Cassese 2001, Arena 2006). È andato così delineandosi un nuovo scenario, un lento processo di espansione/diffusione degli apparati pubblici che si muove in due direzioni: in verticale attraverso il rafforzamento sia di organismi sovra-nazionali che sub-nazionali e in orizzontale attraverso la crescita delle funzioni pubbliche e con l'apertura delle stesse attività a soggetti esterni alle istituzioni (Bobbio 1996), tra i quali anche i cittadini. Il cittadino esce dunque dal suo ruolo passivo di semplice utente di servizi pubblici e diventa soggetto attivo che, insieme alle amministrazioni, si prende cura del territorio. Siamo oggi davanti ad una fase in cui il cittadino è considerato come un attore sociale attivo, dotato di competenze e saperi, e dove si mette in discussione il tradizionale processo decisionale di tipo tecnico-amministrativo. Si pongono così le premesse per una nuova articolazione delle relazioni tra le istituzioni e i cittadini. 3) L’avvio di pratiche per lo sviluppo della democrazia e la cittadinanza elettronica ha fatto sì che emergesse l’esigenza di comprendere il ruolo effettivo delle tecnologie per l’informazione e la comunicazione nei processi democratici. In tal senso l’OCSE nell’ottobre del 2003 ha pubblicato Policy Brief: Engaging Citizens Online for Better Policy-making un documento specifico dedicato all'’uso delle nuove tecnologie per la partecipazione dei cittadini. Nel documento viene chiarito il ruolo della tecnologia, definita come un “elemento abilitante” e non come la soluzione del problema della partecipazione. Non è sufficiente aumentare la quantità e migliorare la qualità dell'informazione per favorire la partecipazione, ma bisogna puntare con politiche attive al coinvolgimento dei cittadini nel policy making. Le barriere contro una più ampia partecipazione online dei cittadini nei processi decisionali sono culturali, organizzative e istituzionali-normative, non tecnologiche (OCSE 2003). Abbiamo quindi, da un lato, le profonde trasformazioni politiche e sociali che hanno caratterizzato l’ultimo ventennio del secolo scorso, capaci di indurre molti autori a rivedere i paradigmi di analisi ed interpretazione dei processi partecipativi e decisionali, dall’altro, la massiccia espansione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione capaci di spingere verso la strutturazione di nuove culture politiche, sociali ed organizzative. La spinta ad una maggiore partecipazione dei cittadini alla vita pubblica è ormai divenuto uno degli obiettivi primari delle politiche di gran parte dei paesi occidentali. È emersa quindi la necessità e l’esigenza di costruire modelli di riavvicinamento dei cittadini alle istituzioni, capaci di contenere le profonde trasformazioni che hanno caratterizzato gli anni a cavallo tra i due secoli. La letteratura di settore si è preoccupata per lo più di definire uno schema teorico interpretativo ed un quadro di regole il più delle volte orientati alla costruzione di scenari e immaginari, mettendo in secondo piano il bisogno di policy orientate allo sviluppo delle opportunità prodotte dalle ICTs. Negli ultimi anni però sono stati avviati dai governi europei, nazionali e locali, esperienze orientate ad inquadrare il fenomeno nella sua dimensione 5 progettuale e di proporre percorsi capaci di sfruttare al massimo le potenzialità democratiche delle nuove tecnologie applicate alla pubblica amministrazione. È a partire da queste considerazioni di carattere generale che questo lavoro prende le mosse. Il percorso di studio si è articolato su due diverse questioni. 1) Innanzitutto, in che area di ricerca e riflessione vanno collocate teoricamente le politiche pubbliche per la democrazia e la cittadinanza elettronica? Per rispondere a questa domanda, nel corso dello studio si è convenuto richiamare i passi teorici fondamentali che maggiormente hanno contribuito alla strutturazione della nozione di società dell’informazione. Anche se la riflessione teorica tecnologia vs democrazia ha origini ben più datate, i primi interventi in termini di sviluppo e implementazione di pratiche di partecipazione e coinvolgimento della cittadinanza attraverso le ICTs fanno parte di quell’area riconducibile agli studi e alla ricerca sulla società dell’informazione cominciati sugli inizi degli anni ’70 (Beniger 1996, Matterlat 2002). Un processo teorico che con il crescere della tecnologica, della loro complessità e dellala graduale intrusività delle stesse nella vita quotidiana, ha finito con il diventare uno dei temi di maggiore dibattito e confronto scientifico. Nello specifico questa prima parte del lavoro si è mossa a partire dalle osservazioni fatte da Alain Touraine (1969) e Daniel Bell (1971) sulla società post-industriale e, più in generale, sui lavori che in quegli anni si preoccupavano di ridefinire i contorni di un sistema sociale ed economico che cominciava a dimostrarsi in crisi, per poi proseguire riprendendo parte del dibattito che fino ai primi anni ’90 ha contribuito alla definizione di quella che oggi conosciamo come società dell’informazione. La nozione di società dell’informazione nasce dunque sulla scorta dei primi contributi che focalizzavano la loro attenzione sulla crisi del sistema produttivo industriale e del relativo apparato burocratico ed amministrativo (Lyon 1991, Matterlat 1995, Webster 1995). Ed è da lì che bisogna dunque partire per comprendere a pieno il ruolo che le tecnologie, e più in generale dell’informazione e della conoscenza, hanno gradualmente raggiunto all’interno del sistema sociale contemporaneo. Negli anni successivi, con l’intensificarsi dell’uso delle tecnologie anche nel settore pubblico, il dibattito ha orientato la propria riflessione sulle ricadute sociali, politiche ed economiche che una società altamente informatizzata avrebbe inevitabilmente portato con sé (Carlini 1996, Rodotà 1997, Norris 2000, Lyon 2001). Uno spostamento paradigmatico che ha gradualmente portato il dibattito da una prospettiva iniziale di tipo gerarchico e orientata allo sviluppo economico, basata sulla ridefinizione delle categorie economiche e sulla ricerca di soluzioni per uscire dalla crisi, ad una prospettiva di tipo inclusivo e diretta al coinvolgimento, dove venivano ridisegnate e riformulate le categorie sociali attraverso la rappresentazione dei limiti e delle opportunità offerte dalla società dell’informazione. L’interesse per gli aspetti democratici legati alle tecnologie per l’informazione e la comunicazione si intensifica in questa seconda fase. Le domande che intellettuali, accademici ed esperti del settore cominciano a porsi sono dirette a chiarire il potenziale democratico, il grado di inclusività e l’effettivo impatto che le ICTs 6 portavano con sé in termini di miglioramento della partecipazione dei cittadini ai tradizionali processi deliberativi, burocratici ed amministrativi. Un periodo che, come ha dichiarato Maldonado, ha fatto sì che nascesse una speranza. Si confida che queste tecnologie siano in grado, in sé e per sé, di aprire la strada a una versione diretta, ossia partecipativa di democrazia. In questo modo, si argomenta, sarà possibile superare le debolezze e le incoerenze e le finzioni, tante volte denunciate, dall’attuale impianto parlamentare e rappresentativo della democrazia (Maldonado 1995, p.15). In questo dibattito rientrano anche gli studi pioneristici di Barber sulla strong democracy e le affermazioni di Grossmann sulla nascita di una repubblica elettronica e, come sarà osservato nel lavoro di ricerca, esiste una consistente ed ampia letteratura al riguardo1. Un confronto che è durato per decenni e che ha sviluppato diverse visioni, concezioni - e in alcuni casi di versi miti - di democrazia elettronica e di pratiche della stessa. Nel lavoro di ricerca sono state riprese le linee teoriche generali di tale dibattito, in modo da fornire una rappresentazione quanto più esaustiva possibile dei diversi modelli forniti in questi anni. Sul finire degli anni ’90 però la letteratura che si è occupata degli sviluppi democratici della rete ha cominciato a riconsiderare parte del dibattito che fino a quel periodo era andato consolidandosi. Le riflessioni sulle opportunità e i limiti delle ICTs tendono a svilupparsi in conformità con la formazione e lo sviluppo di nuove tendenze economiche, sociali e politiche. Ad aprire questo nuovo capitolo sono gli studi di Manuel Castells, a partire dalla sua nota trilogia La nascita della società delle reti. Castells è dunque giustamente considerato come uno dei teorici di ultima generazione, la sua opera apre ad una nuova prospettiva di studi orientata a comprendere le nuove identità politiche ed economiche emerse durante gli anni ’90, in linea con la massificazione della rete, sia come tecnologia che come metafora. Castells apre la strada ad uno schema relazionale tra società e tecnologia che sfugge dai determinismi sociali o tecnologici, indicando uno schema molto più complesso di quello che per decenni aveva dominato la scena teorica. Appartengono a quest’ultima generazione di studiosi autori come Lawrence Lessig, o i recenti studi fatti da Benkler sulla possibilità offerte da una economia di tipo informazionale. Attraverso la rassegna della letteratura di settore più rappresentativa è stato possibile collocare e connotare dunque le policies in tema di sviluppo della democrazia e la cittadinanza elettronica in un preciso arco teorico e concettuale. 2) Il secondo livello della ricerca, relativo all’analisi empirica, si è concentrato su un altro quesito: quali pratiche istituzionali possono essere definite come politiche pubbliche per la democrazia e la cittadinanza elettronica? Le politiche per la democrazia e la cittadinanza elettronica non hanno una definizione rigida alla quale far riferimento, tantomeno esse costituiscono una linea di 1 Si veda Roszack (1986), I. de Sola Pool (1983), Arteton (1987), Abramson (1988), Ellul (1988) J. Rifkin (1989), Virilio (1996); Rheingold (1994), Negroponte (1995), De Kerchouve (2004), Bennet (2001), Berardi (1996), Bozzi (1994), Dutton (1999), Chadwick (2006). 7 intervento con caratteristiche precise, come avviene ad esempio per le politiche ambientali. Esse rientrano in quel bacino d’interventi e di strategie che si rifanno allo sviluppo della società dell’informazione avviate intorno alla metà degli anni ’90 e che miravano essenzialmente a creare un orientamento delle politiche per l’informatizzazione di tipo inclusivo e tese al coinvolgimento dei cittadini. Per comprendere a quale famiglia di policies appartengono gli interventi per la democrazia e la cittadinanza elettronica bisogna dunque far riferimento a quel vasto movimento per l’informatizzazione della società creatosi durante gli anni ’90 e che ha portato alla costituzione, presso la Commissione Europea, della Direzione generale della Società dell’informazione e dei mezzi di comunicazione. L’analisi empirica si è svolta a partire dalla della documentazione programmatica, strategica e legislativa della Commissione e della direzione generale europea per la Società dell’informazione e la comunicazione. L’intento è stato quello di ricostruire il percorso attraverso il quale l’Europa ha strutturato le linee di intervento per la partecipazione e il coinvolgimento dei cittadini e, per agevolare l’analisi, si è preferito muoversi prima sul piano internazionale, attraverso la lettura dei principali documenti programmatici e strategici europei. Sotto questo profilo, possiamo cominciare a parlare di primi interventi rivolti allo sviluppo della società dell’informazione solo nella prima metà degli anni ’90, quando fu dato alle stampe Crescita, competitività ed occupazione – Le sfide e le vie da percorrere per entrare nel XXI secolo, meglio conosciuto come il Libro Bianco di Delors2 (1993). Nel rapporto furono descritte - per linee generali - le cause della crisi economica e occupazionale che, all’inizio degli anni ’90, aveva coinvolto tutti gli Stati membri della comunità europea, effetto del radicale cambiamento geo-politico avvenuto dopo la caduta del muro di Berlino e della crisi che già da qualche anno aveva colpito l’intero sistema produttivo industriale dell’occidente. Il Libro Bianco di Delors, oltre all’analisi dei fattori che avevano scatenato l’instabilità nei paesi comunitari, forniva una serie di obiettivi e strategie da perseguire, con il fine di dare nuova consapevolezza economica e politica agli Stati membri e con lo scopo di affrontare le sfide che il nuovo secolo poneva ai diversi esecutivi nazionali. Tra i temi affrontati dal Libro Bianco di Delors lo sviluppo delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione figurava come una priorità. In esso vi erano tracciate le caratteristiche fondamentali della nascente società dell’informazione, le opportunità occupazionali, organizzative e gestionali offerte dallo sviluppo di un’economia di tipo informazionale e le enormi potenzialità alle quali poteva assurgere un settore pubblico altamente informatizzato. Il Libro Bianco di Delors rappresenta dunque la prima apertura delle istituzioni ad una prospettiva economica e sociale di tipo informazionale (Capano 2000, Zuccarini 2007, De Rosa 2000), la sua pubblicazione è ampiamente riconosciuta come l’avvio ufficiale alle politiche per lo sviluppo e l’implementazione della società dell’informazione in Europa. Dopo la pubblicazione del Libro Bianco, in tutta Europa furono avviati piani strategici, piani di azione e linee di intervento tesi a trasformare l’intero sistema sociale ed economico, sia pubblico che privato. 2 Il libro bianco prende il nome da Jacques Delors, presidente della Commissione europea dal 6 Gennaio 1985 al 6 Gennaio 1995. 8 Le fasi successive al Libro Bianco sono state scandite da una serie frenetica e incessante di pubblicazioni. La stessa Commissione Delors ha più volte precisato le sue strategie di intervento attraverso una mole ampia di “libri colorati” e di rapporti dove venivano dettate le linee e le azioni più importanti da seguire e nei quali vi erano riportati dati, monitoraggi e valutazioni a favore delle tesi sostenute. Su tutti si pensi al report Europe and Global Information Society, meglio noto come Rapporto Bangemann (1995). Oltre ai documenti espressi dalla prolifica Commissione Delors sul tema, sono stati indagati e osservati i documenti e i rapporti più rappresentativi della transizione avviata in quegli anni. Una particolare attenzione è stata data ai Programmi Quadro europei, in quanto, da un punto di vista finanziario hanno rivestito un ruolo fondamentale ai fini dello sviluppo e dell’attuazione delle strategie di intervento per la società dell’informazione. Si è preferito partire dal V Programma Quadro 1998/2000 per una questione legata alla natura stessa degli interventi. Infatti, solo nel V PQ possiamo trovare le prime reali iniziative finanziarie in materia di sviluppo e implementazione della società dell’informazione. I Programmi Quadro presi in esame contribuiscono a definire la dimensione finanziaria delle policies sul tema. Si è dunque ritenuto opportuno prendere in considerazione il problema della organizzazione degli interventi. In questo contesto si è convenuto partire dal Consiglio di Lisbona tenutosi nel Marzo del 2000. Durante l’incontro la Commissione Europea deliberò: Il passaggio a un’economia digitale, basata sulla informazione e la conoscenza, indotta da nuovi beni e servizi, metterà a disposizione un potente motore per la crescita, la competitività e l'occupazione. Inoltre sarà in grado di migliorare la qualità della vita dei cittadini e l’ambiente. Affinché si tragga il massimo vantaggio da questa opportunità, il Consiglio e la Commissione sono invitati ad elaborare un piano d'azione globale eEurope. La sensazione che cominciò a delinearsi fu che in Europa non esisteva ancora una policy comune a tutti gli stati membri per lo sviluppo e la crescita della società dell’informazione e che bisognava, attraverso strategie di lunga durata, dare un orientamento agli interventi. Nascono così i piani eEurope, che negli anni successivi hanno fatto da cornice e schema di riferimento per una crescita omogenea della società dell’informazione in tutti gli Stati membri. I piani eEurope, a differenza dei PQ, oltre che a dettare gli orientamenti e le linee strategiche e finanziarie degli interventi, ricoprono anche la sfera concettuale e teorica al quale ogni stato membro doveva e deve attenersi. Una stella polare per l’implementazione della società dell’informazione Ai fini dell’analisi sono stati dunque osservati e indagati anche i diversi piani eEurope che dal 2000 in poi si sono succeduti. Sul piano degli interventi nazionali la ricerca si è preoccupata di ridisegnare, attraverso l’analisi della documentazione e degli interventi prodotti, le diverse vie alla società dell’informazione che alcuni degli Stati membri negli anni hanno strutturato e perseguito. Sono state riprese, su un piano puramente descrittivo ed esemplificativo, alcune esperienze europee come la Francia, la Spagna, l’Inghilterra e la Grecia con uno sguardo particolare alle politiche tese al coinvolgimento e alla partecipazione della cittadinanza ai processi democratici. Dai primi piani di azione, per lo più rivolti 9 allo sviluppo di infrastrutture informatiche e all’e-government, fino ai recenti sviluppi in tema di democrazie e cittadinanza elettronica. Per l’analisi dell’esperienza italiana sono stati selezionati per l’attività di ricerca i progetti co-finanziati dall’allora Ministero per l’Innovazione Tecnologica3 e orientati all’attuazione della quarta Linea d'azione della II fase per l’e-government, quella relativa “allo sviluppo della cittadinanza digitale: l'e-democracy”. Per lo studio e l’analisi dell’esperienza italiana si è convenuto procedere attraverso precise fasi, ognuna capace di compensare e rispettare i livelli metodologici tradizionali per lo studio del policy making4. Le linee di ricerca seguite per l’analisi degli interventi nazionali si sono preoccupate di identificare: il bacino normativo e legislativo nel quale gli interventi e i progetti si inseriscono; gli attori, le istituzioni, le partnership e la società civile (associazioni, cooperative etc) coinvolti nella diversi fasi del policy cicle; la dinamica attraverso la quale si sono succedute sia le fasi del processo di costruzione dell’intervento che quelle relative all’implementazione a all’attuazione delle stesse. 3 Il Ministero per l’Innovazione Tecnologica fu istituito nella XIV Legislatura (2001/2006). La carica di ministro fu rivestita da Lucio Stanca, vi restò per tutta la durata della legislatura. 4 Si veda Regonini (2001); Howlett, Ramesh (2003); Wildavsky (1992). 10 PARTE PRIMA TEORIA SOCIALE, TEORIA DEMOCRATICA E SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE 11 CAPITOLO 1 Dalla teoria sociale alle pratiche istituzionali Premessa La nozione di società dell’informazione è ormai d’uso comune. Sempre più spesso è usata per far riferimento al sistema sociale ed economico che risulta dalla crescente introduzione delle tecnologie per l’informazione e la comunicazione. Nella letteratura di settore, quando si fa riferimento alla società dell’informazione si rimanda quindi ad un determinato assetto sociale la cui economia è basata sulla produzione dei servizi, dove informazione e conoscenza diventano le risorse strategiche. Cominciata come una riflessione sulla crisi del sistema industriale, il concetto ha negli anni lentamente investito le diverse sfere del vivere associato fino a diventare principio guida ed obiettivo finale di ogni politica di sviluppo. Sin dalle prime elaborazioni, avvenute sugli inizi degli anni ’70, intorno al concetto si sono organizzati differenti piani interpretativi e tutt’oggi la nozione continua ad includere nuove accezioni. E’ stata, in effetti, oggetto di confronto e dibattito economico (Bell 1971, Toffler 1980, Naisbitt 1980) fino ad arrivare a mettere in discussione la natura stessa del lavoro ponendosi dunque come variabile indipendente dei cambiamenti del mercato (Benkler 2006, Gorz 2003). Sul fronte sociale e culturale è stata letta come portatrice di stravolgimenti, soprattutto per quanto riguarda i tradizionali modelli relazionali, fino ad incidere, per alcuni anche pesantemente, sulla sfera privata di formazione ed espressione dell’identità (Turkle 1985, Lévy 2000, Castells 2002). Le nuove tecnologie della comunicazione avrebbero cioè influito sul nostro modo di pensare e percepire la realtà e la disuguaglianza, comportando trasformazioni importanti anche nei metodi di appartenenza e partecipazione politica (Rheingold 1995, De Kerckhove 2000, Sassen 2001). Proprio sul piano politico, la società dell’informazione ha imposto un nuovo corso alla riflessione teorica: si è tornato a parlare di partecipazione politica, cittadinanza, governo, di una nuova idea di democrazia che andava sviluppandosi attraverso inedite pratiche di partecipazione (Barber 1980, Grossmann 1980, Abramson, Arterton, Orren 1998, De Rosa 2000, Rodotà 2004). In sintesi, la società dell’informazione è per sua natura un fenomeno multidimensionale, polisemico, capace di attrarre l’interesse di differenti settori della ricerca scientifica. Per comprendere pienamente cosa s’intende per società dell’informazione - e per poter avanzare riflessioni su aspetti ad essa relativi - bisogna dunque riprendere e ripercorrere i passaggi più importanti della letteratura sul tema con il fine ultimo di ricostruire il percorso concettuale che, a partire dalla metà degli anni ’90, è diventato 12 il punto di riferimento di buona parte delle policy in materia di sviluppo e implementazione della società dell’informazione. Nella prima parte di questo capitolo si forniranno gli elementi teorici e concettuali che caratterizzano il dibattito sulla società dell’informazione. Nello specifico, si farà riferimento all’affermazione del paradigma post-industriale, nato dalla crisi del sistema produttivo industriale. Buona parte della letteratura corrente è infatti concorde nell’identificare le radici del dibattito nel periodo in cui il sistema industriale vedeva alcuni dei settori produttivi arrancare di fronte al cambiamento della struttura socio-economica. Il paradigma post-industriale - che vede tra i suoi maggiori esponenti autori come Alain Touraine e Daniel Bell - è uno dei passaggi teorici imprescindibili se si vuole comprendere lo iato fra società industriale e società dell’informazione. Verranno in seguito discussi i maggiori orientamenti analitici al fenomeno, con lo scopo di fornire un primo quadro interpretativo sul quale si porranno le basi per il proseguimento del lavoro. In particolare, si procederà con un’analisi della letteratura di settore e con l’esposizione degli approcci analitici più rappresentativi. Lungo il nostro percorso di ricerca, teso alla comprensione del sistema informazionale, sono andati delineandosi diversi scenari in ragione degli approcci di studi ma, sempre, all’ombra del dibattito, l’emergere della società informazionale è sembrata una fase storica importante, soprattutto se si vogliono comprendere a fondo certe scelte economiche e politiche attuate dai governi a partire dalla metà degli anni ’90. E’ alla luce di questo dibattito che si può ricostruire il processo di costruzione delle policies in materia di sviluppo ed implementazione della società dell’informazione. 1. Dalla crisi del sistema industriale alla società dell’informazione Sul finire degli anni ’60 il concetto di società industriale divenne oggetto di un acceso dibattito intellettuale ed accademico. Il confronto, per molti versi osteggiato fino alla metà del decennio successivo, nasceva dalla consapevolezza che il sistema industriale fosse entrato in una crisi oramai irreversibile dalla quale bisognava uscire ricostruendo un nuovo percorso economico e sociale che tenesse conto delle trasformazioni tecnologiche e culturali in corso. La carica evocativa e semantica che accompagnava la nozione di società industriale, che per più di un secolo aveva fatto da cornice interpretativa, cominciava a perdere consistenza, facendo sorgere dubbi sull’effettiva efficacia e sulla capacità di riuscire a contenere i processi di innovazione che investivano il tradizionale sistema produttivo industriale. Una situazione nella quale, inevitabilmente, cominciò a farsi strada l’idea che l’etichetta società industriale venisse riletta attraverso una nuova lente, frutto e prodotto delle profonde trasformazioni che stavano investendo l’intero sistema economico occidentale. L’esigenza di comprendere e spiegare le ragioni di un tale cambiamento spinse molti intellettuali e ricercatori a chiedersi per quanto tempo ancora si potesse realmente parlare di sistema industriale e, cosa non meno importante, quali erano gli elementi che in questo processo potessero rivestire un ruolo riorganizzatore dell’intero sistema sociale ed economico. La società industriale, la madre di tutti i concetti moderni 13 (Paci 2006), perdeva dunque il suo significato storico e concettuale, cedendo il passo a nuove forme di organizzazione sociale, economica e politica. Sul finire degli anni ’60 nasce quindi una consapevolezza: il modello di comprensione, spiegazione ed interpretazione del sistema sociale andava rivisto con lo scopo di attivare un processo che tenesse conto tanto del superamento delle rappresentazioni della società industriale, quanto delle pratiche poste in essere per lo sviluppo e l’implementazione del sistema burocratico e amministrativo che faceva da sfondo. Una consapevolezza che però poneva non pochi problemi. Non era facile abbandonare più di cento anni di studi e ricerche tese all’analisi e alla comprensione del sistema produttivo industriale e, allo stesso modo, non era semplice riformare una cultura politica, istituzionale e amministrativa, oramai radicata, orientandola a rivedere gran parte dei principi che per più di un secolo l’avevano caratterizzata. Ciò nonostante, il dibattito intellettuale sulla crisi del sistema industriale andò avanti, producendo un’ampia mole di studi e ricerche che tuttora oggi contribuiscono in maniera incisiva a definire molti aspetti dell’attuale sistema economico e sociale. Ne è un esempio il saggio La société post-industrielle di Alain Touraine pubblicato nel 1969, dove vengono messi in risalto alcuni aspetti relativi alla crisi del sistema industriale e dove emergono punti sui quali cominciare a riflettere per comprendere le ragioni di una rivoluzione, per certi versi molto simile a quella che aveva investito l’Europa intorno alla metà del 1800. Touraine era convinto - e a ragion veduta - che in occidente stavano «formandosi società di tipo nuovo […] potremmo chiamarle società post-industriali, se vogliamo porre in risalto la distanza che le separa dalle società industrializzate che le hanno precedute e che si mescolano ancora a loro5» (Touraine 1969, p. 5). Il suo sguardo, per lo più diretto al conflitto sociale e alla formazione dei movimenti sociali e collettivi che in quel periodo occupavano prepotentemente la scena politica, ha inevitabilmente accolto le problematiche relative al settore economico, alla sua ri-organizzazione e alle ricadute politiche che investivano la società. Alla base del suo pensiero vi era innanzitutto la ristrutturazione e la riorganizzazione delle classi e dei relativi conflitti che, più o meno esplicitamente, facevano da sfondo al nuovo apparato produttivo che lentamente emergeva nel panorama internazionale. Touraine fece un lavoro di ricognizione concettuale, sollecitando la sociologia e l’economia a riflettere sui processi di trasformazione in atto. Nel mirino dell’autore francese vi erano la trasformazione dell’azione economica e burocratica, evidentemente in crisi e soggetta a profondi cambiamenti, e i modi di riproduzione del conflitto sociale e delle disuguaglianze in un sistema che perdeva lentamente le caratteristiche tipiche della società industriale. Le società, per Touraine, stavano gradualmente spostandosi verso nuove risorse di proprietà, inediti modi di 5 Per quanto Touraine usasse il concetto di società post-industriale, fu lui stesso successivamente a chiarire di preferire l’etichetta società programmata. «Le chiameremo società programmate se cerchiamo d definirle innanzitutto attraverso la natura del loro sistema di produzione e di organizzazione economica. Quest’ultimo termine, poiché individua più direttamente la natura del lavoro e dell’azione economica, mi sembra il più utile» (Touraine 1969, pp. 5). 14 produzione, verso nuovi assetti politici e sociali dove informazione e conoscenza diventavano gli elementi essenziali per definire il campo di azione nel quale la trasformazione stava agendo. A partire dalla concettualizzazione della stratificazione sociale che lentamente andava affermandosi, Touraine soffermò la sua analisi sul concetto tradizionale di classe, sostenendo che nella nuova morfologia amministrativa e burocratica stavano emergendo delle nuove classi dominanti 6. Le nuove classi dominanti non erano legate alla ricchezza o alla proprietà ma al fatto che erano coloro che gestivano la conoscenza e che detenevano le informazioni. L’informazione, in questo scenario, diviene l’elemento essenziale per la partecipazione alla vita sociale ed economica. Di conseguenza «in una società sempre più terziaria, vale a dire in cui il trattamento dell’informazione gioca lo stesso ruolo centrale che il trattamento delle risorse naturali ha giocato agli inizi dell’industrializzazione, la forma più grave di spreco è l’assenza di partecipazione alla decisione» (Touraine 1969, p. 71). L’elemento della partecipazione alle decisioni diviene cruciale sia per definire le nuove classi dominanti sia per spiegare e comprendere il conflitto sociale, in quanto l’informazione è un modo di accedere alla decisione. Essere informato dunque non significa più soltanto «sapere ciò che accade» e dove accade, ma «conoscere il retroscena, le ragioni e i metodi della decisione, e non soltanto i fatti allegati per giustificare una decisione» (Touraine 1969). Dove c’è assenza di informazione di conseguenza vi è assenza di partecipazione ai sistemi di decisione e di organizzazione, ed è a partire da questo sistema di esclusione che Touraine definisce il concetto di alienazione7. Solitamente, nelle ricostruzioni storiche sulla nascita e l’evoluzione del paradigma post-industriale, all’autore francese viene associata la produzione scientifica di Daniel Bell. Nel noto saggio The Coming of Post-Industrial Society8 (1971), Bell sostiene però solo in parte le elaborazioni teoriche del suo collega francese. Per Bell, l’informazione e la conoscenza sono certamente risorse di potere, legate ai meccanismi di selezione e riproduzione sociale, ma essi nel divenire tecnologico della società assumono un 6 Touraine definisce le nuove classi a partire dai diversi livelli del sistema economico. Per Touraine con l’avvento della società post-industriale i sistemi di investimento e di produzione acquistano una relativa opacità. Questa opacità può apparire sia al livello della decisione politica come a quello dell’organizzazione burocratica e amministrativa o a quello dell’esecuzione tecnica. Al livello della decisione politica troviamo i tecnocrati, dirigenti che appartengono sia allo Stato che alle grandi industrie legate alle decisioni politiche; al livello dell’organizzazione economica l’opacità è dettata dalla burocrazia e dai burocrati, sistemi complessi di mezzi tecnici e umani; infine a livello dell’esecuzione tecnica troviamo i tecnicisti, che Touraine tendeva a non definirli ancora come una nuova classe sociale in quanto potevano essere contemporaneamente annessi sia alla classe dei burocratici che a quella dei tecnocrati. 7 Touraine definisce l’alienazione come l’individuo o il gruppo che perde la sua identità, che non è più definita se non in base al suo ruolo in un sistema di scambi e di organizzazioni. 8 Sono in molti a sostenere che The Coming of Post-Industrial Society (1971) sia la naturale prosecuzione di un precedente lavoro di Bell The End of Ideology (1960). In Particolare Matterlat (2001) correla la precedente opera di Bell al concetto società post-industriale sostenendo che fosse, appunto, un sistema privo di ideologie. 15 valore economico al pari della materia e l’energia nelle società industriali. Mentre Touraine leggeva il cambiamento come una parte di una trasformazione più ampia della società, che coinvolgeva anche i rapporti tra le classi, i movimenti sociali e la relativa riproduzione sociale, Daniel Bell credeva e sosteneva che la trasformazione fosse indissolubilmente legata all’economia e che l’informazione e la conoscenza fossero le variabili che avevano lentamente portato l’economia da produzione dei beni a produzione di servizi. Le analisi di Bell vanno dunque ben oltre le annotazioni di carattere sociologico di Touraine, esse si soffermano sulle ragioni economiche che stavano contribuendo alla riorganizzazione del sistema. Bell negli anni acquisirà sempre maggiore vigore teorico fino a diventare un punto di riferimento di gran parte degli studi sulla società dell’informazione. Nelle riflessioni di Bell un passaggio rilevante riguarda l’analisi della crisi del settore manifatturiero. Egli sosteneva che tra le cause di crisi del settore un ruolo di primordine era rivestito dall’introduzione delle tecnologie nel modello di produzione tipicamente industriale. Uno spostamento tecnologico che avrebbe inevitabilmente portato con sé delle trasformazioni sul piano della qualità del lavoro che Bell racchiude nella famosa formula che il lavoro stava diventando lentamente un "gioco tra persone”9. Per Bell - e su questo punto riprende in parte le idee di Touraine – il mercato del lavoro nel processo di trasformazione industriale assume un ruolo fondamentale. Le configurazioni lavorative tradizionali, sia negli ambiti pubblici sia in quelli privati, avevano ceduto il passo a nuovi tipi di lavori e professioni. Le società industriali erano sostanzialmente composte da manager capitalisti, che occupavano il settore privato e da burocrati tecnocratici nel settore pubblico; entrambi i gruppi garantivano l’equilibrio del sistema capitalistico che reggeva l’intero industrialismo. Questo stato di cose era destinato ad andare in declino, facendo così entrare in crisi l’intero sistema sociale ed economico industriale (cf. Bell 1971 ). Il paradigma post-industriale si afferma dunque, almeno nelle sue prime declinazioni, come un approccio sostanzialmente economicistico. Un connotato che caratterizzerà e avvolgerà il paradigma fino a diventare, paradossalmente, il suo principale limite analitico. La dimensione economica resterà comunque il terreno più battuto dai teorici del post-industriale. Bisogna in ogni caso sottolineare che negli anni successivi molti lavori si sono mossi contro l’eccessivo economicismo che caratterizzava il paradigma postindustriale. Ne è un esempio, Inglehart che nel celebre saggio La Rivoluzione Silenziosa (1977) sostenne che Bell ha avuto, senza ombra di dubbio, il merito incontestabile di aver sottolineato, meglio di chiunque altro autore, l’importante trasformazione avvenuta nella sfera economica e sociale tra gli anni ‘60 e ’70. La sua produzione intellettuale aveva chiarito alcuni nodi problematici relativi al sistema economico, fino ad individuare e proporre il modello di sviluppo sul quale i sistemi 9 Secondo Daniel Bell lo spostamento delle risorse dalla produzione dei beni a quella dei servizi avrebbe modificato profondamente il lavoro, che sarebbe divenuto così, anziché un "gioco con la macchina", un "gioco tra persone". Questa formula racchiude in sé parte delle considerazioni fatte da Touraine circa la forma del lavoro nelle società post-industriali, visto non più come apporto personale ma “come immerso in un sistema di comunicazione” (Touraine 1969). 16 occidentali avevano cominciato a sorreggersi e a difendersi dalla crisi del sistema industriale. Il punto però è che nei lavori del noto sociologo americano esiste e vive una miopia sulla trasformazione degli orientamenti valoriali, culturali e politici, sottesi al cambiamento. I valori delle popolazioni occidentali si erano cioè lentamente spostati da un’enfasi sul benessere materiale e sulla sicurezza fisica verso una maggiore enfasi sulla qualità della vita. A partire da questo presupposto Inglehart avanzò l’ipotesi che nelle società occidentali si era riprodotta una rivoluzione pari a quella industriale avvenuta nella metà del XIX secolo, ma con caratteristiche meno dirompenti, appunto una rivoluzione silenziosa. Una trasformazione che Inglehart definì come post-materialista e che aveva assunto toni e connotati precisi. Uno dei primi punti sui quali Inglehart invitava a ragionare per comprendere a pieno lo spostamento valoriale che stava caratterizzando le popolazioni occidentali in quel periodo era l’innovazione tecnologica e, in particolare, lo sviluppo delle tecnologie per l’informazione e la comunicazione. La tecnologia ha, in effetti, reso possibile quella produttività senza precedenti su cui si fondano le società avanzate. Essa permette, e rende necessarie, più ampie opportunità di istruzione, ha creato i mass media e coinvolge uomini e donne in drastici cambiamenti del proprio ambiente che li sradicano dai loro precedenti modelli di vita. L’innovazione tecnologica è, per Inglehart, la variabile chiave per comprendere i cambiamenti avvenuti nel sistema industriale. Un secondo punto di riflessione è dato dal risultato della trasformazione e dal cambiamento della struttura occupazionale. Su questo punto Inglehart riprende alcune conclusioni di Daniel Bell. Il fatto che il terziario caratterizzasse oramai l’intero assetto strutturale occupazionale era un dato incontrovertibile e a ciò va dunque associata l’emersione di una nuova élite, dotata di conoscenze teoriche, di tecnici e manager che lavorano nelle industrie del sapere, producendo così una distanza rispetto alla precedente struttura occupazionale sia negli interessi che nella condotta delle stesse élite. Un terzo punto sul quale ragionare era da identificare nella crescita economica. Secondo Inglehart, pur se alcuni settori - come ad esempio quello della manifattura industriale - stavano attraversando una crisi che avrebbe portato poi alla recessione del 1973, i redditi reali erano comunque rimasti ad un livello senza precedenti. Un dato che rimarcava con forza la tesi secondo la quale ormai la produzione di beni e i relativi redditi avevano lentamente spostato le loro concentrazioni su altre forme di produzione, come ad esempio quella dei servizi. A questa crescita economica Inglehart associa la diffusione dell’istruzione superiore. Se un sistema gode di buona salute economicamente esso avrà sicuramente un effetto propulsivo sotto il profilo dell’istruzione e dell’educazione. Una maggiore espansione dei livelli di’istruzione comporta non pochi cambiamenti dal punto di vista dell’orientamento valoriale10. 10 Inglehart introduce una distinzione sostanziale quando fa riferimento alla variabile livello di istruzione. Bisogna distinguere tra istruzione quale indice di benessere, istruzione quale indice di sviluppo conoscitivo e istruzione quale indice di integrazione in un sistema di comunicazione specifico. Le differenze nei valori e nei comportamenti potrebbero semplicemente riflettere esposizioni differenziate a questi sistemi di comunicazione (Inglehart 1977). 17 Un ultimo punto che ha contributo al processo di trasformazione del sistema industriale è dovuto allo sviluppo e alla diffusione delle comunicazioni di massa. La diffusione dei sistemi di comunicazione nelle società avanzate è stata resa possibile dalle innovazioni tecnologiche e il risultato è stato quello di portare una maggiore varietà nei sistemi di comunicazione di massa. Il ruolo dei mass media è per Inglehart eterogeneo: da una parte introducono un numero sempre maggiore di persone in sistemi di comunicazione più ampi, e senza dubbio hanno aumentato le conoscenze della gente e le hanno rese più sofisticate. Dall’altra essi hanno però anche l’effetto di rendere più stereotipati e convenzionali diversi aspetti della vita, e allo stesso tempo comunicano una forte opposizione ai valori convenzionali e ciò avviene quando sono indirizzati ad un pubblico specializzato (Inglehart 1977). Le conclusioni di Inglehart – divergenti rispetto a quelle di Bell - vertono sulle conseguenze che questi fattori hanno avuto sulla sfera politica e sociale delle popolazioni occidentali. Secondo Inglehart, il cambiamento di valori influenza l’orientamento di una persona per quanto riguarda la sfera politica, sia essa individuale o collettiva. Se le questioni materiali perdono importanza, si avrà un declino delle ideologie, dell’appartenenza etnica, dello stile di vita e così via. «La politica di classe può tramontare a favore di una politica basata sullo status, sulla cultura o sugli ideali. Anche i partiti si sono ritrovati a confrontarsi con il cambiamento valoriale. La comparsa di tali questioni porterà dunque i partiti politici a riflettere sulla loro organizzazione, rivedendo e rileggendo le loro norme e i loro valori, troppo radicati a forme e valori tradizionali. Infine la partecipazione politica ha assunto sempre di più una dimensione spontaneista e individualista, effetto e prodotto dei valori culturali emergenti, sempre meno orientati al benessere materiale» (Inglehart 1977, p. 35). Lo studio di Inglehart va dunque ad indagare sulla dimensione simbolica e valoriale che era stata ampiamente trascurata dai primi studi sul post-industrialismo. Qualche anno dopo il lavoro di Inglehart, Alvin Toeffler pubblicò La Terza Ondata (1980), un testo anch’esso destinato a diventare tra i più rappresentativi sul tema. Secondo Toeffler: «L’umanità è alla vigilia di un grande balzo in avanti, della più profonda trasformazione sociale e ristrutturazione creativa di tutti i tempi. Senza rendercene chiaramente conto, siamo impegnati a costruire una nuova civiltà fin dalle fondamenta. Questo è il significato della Terza ondata» (Toeffler 1980, p. 26). Per Toffler, ogni volta che un’ondata di cambiamento predomina in una determinata società è relativamente facile intravedere il modello di sviluppo futuro. Così, come nell’Europa del diciannovesimo secolo molti pensatori, uomini d’affari, politici e persone comuni si resero conto che la storia stava andando verso il trionfo finale dell’industrialismo sull’agricoltura non ancora meccanizzata, e predissero con notevole accuratezza molti dei cambiamenti della Seconda Ondata11 (tecnologie più 11 Questa chiarezza di visione ebbe effetti politici. I partiti e i movimenti furono in grado di effettuare valutazioni rispetto al futuro. Gli interessi agricoli preindustriali organizzarono una retroguardia contro l’industrialismo usurpatore. I lavoratori e il managment lottarono per il controllo delle leve principali dell’emergente società industriale. Le minoranze etniche definirono i propri diritti in termini di migliore valorizzazione del loro ruolo nel mondo industriale 18 avanzate, città più grandi, trasporti più rapidi, istruzione di massa ecc) allo stesso modo anche noi siamo di fronte ad una nuova civiltà, che porterà con sé nuovi stili familiari, modi diversi di lavorare, di amare e di vivere, una nuova economia, nuovi conflitti politici. Questa nuova civiltà farà crollare le burocrazie, ridurrà il ruolo dello Stato nazionale e darà origine a economie semiautonome in un mondo postmaterialistico (Toffler 1980). Toffler non parla mai direttamente di società dell’informazione ma vede nell’etichetta società post-industriale una sostanziale inadeguatezza, poiché rende evidente solo un singolo fattore, restringendo la nostra comprensione, anziché ampliarla. E’ un’etichetta che non riesce ad esprimere la forza, l’ampiezza e il dinamismo del cambiamento (Toffler 1980). Toffler è stato dunque uno dei primi autori appartenenti al filone post-industriale che ha saputo rilevare - meglio di chiunque altro - che l’etichetta società postindustriale racchiudeva in sé un senso di inadeguatezza rispetto alla generale trasformazione che i sistemi sociali stavano attraversando. Lo scenario tecnologico che andava affermandosi aveva bisogno di essere ridefinito nella sua totalità. Una trasformazione così profonda non poteva e non doveva essere legata concettualmente al sistema industriale. Fu così che sugli inizi degli anni ’80, e dunque con ritardo rispetto alla portata dei cambiamenti, cominciò a circolare in pochi e ristretti circuiti accademici il termine società dell’informazione. Per via di questa parziale miopia, dovuta soprattutto alla proliferazione di molteplici altre etichette12, l’origine del termine società dell’informazione non ha una sua etimologia chiara e definibile e i tentativi di storicizzare il termine sono Il termine società dell’informazione è comparso per la prima volta verso la fine degli anni ’50 nelle opere dell’economista Fritz Machlup13. Solitamente però in letteratura, il termine società dell’informazione lo si collega ad una pubblicazione del 1974 dal titolo Verso una società dell’informazione: il caso giapponese, cha a sua volta era la traduzione di una ricerca realizzata nel 1972 dalla Computer and Development Institute. Gli anni ’70 sono dunque il periodo storico dove la società dell’informazione nasce e si sviluppa. Secondo Beniger, è stata la costante proliferazione dei microprocessori a fare da propulsore, e la più eclatante tra le conseguenze sociali di questa fase è stata la graduale convergenza di tutte le tecnologie dell’informazione in 12 Società post-capitalistica ((Dahrendorf 1959); nuovo stato industriale (Galbraith 1967); era tecnotronica (Brzezinski 1970); economia dell’informazione (Porat 1977); micromillennio (1979) solo per citarne alcune. 13 Nella sua oper Machlup però non accetta subito la separazione informazione/conoscenza. L’autore fa osservare che la differenza linguistica fa tra conoscenza e informazione è legata al verbo informare, un attività attraverso la quale si trasmette la conoscenza. Conoscere è dunque il risultato dell’essere informato. Abbiamo dunque Informazione, intesa come atto di informare e produrre nell’animo di qualcuno uno stato di conoscenza, e Informazione intesa come ciò che si comunica diventa identica a conoscenza intesa come ciò che è conosciuto. Dunque, i due termini differiscono solo quando fanno riferimento rispettivamente all’atto di informare e allo stato di conoscenza. Per approfondimenti si veda Macluph F., The Production and Distribution of Knowledge in the United States, Princeton University Press, Princeton, 1962. 19 unica infrastruttura. È da questa interconnessione che nasce la telematica che a sua volta indica una delle fasi più recenti di sviluppi della società dell’informazione. L’elemento centrale della telematica è la digitalizzazione, ovvero la trasformazione in codici discontinui di quelli che fino a pochi anni prima sarebbero stati segnali analogici variabili nel tempo (Beniger 1986). La digitalizzazione ha trasformato le diverse forme di informazione in un medium generale, in grado di soddisfare le esigenze di elaborazione e scambio all’interno del sistema sociale: [«…] allo stesso modo, secoli addietro, l’introduzione delle monete nazionali e dei tassi di cambio aveva dato il via alla trasformazione dei mercati locali in un sistema economico globale. È quindi assai probabile che la digitalizzazione abbia, sul piano della macrosociologia, effetti tanto profondi quanto quelli esercitati in ambito macroeconomico dall’introduzione delle monete» (Beniger 1986). Sulla nozione di società dell’informazione vi è dunque una contesa concettuale sulla quale vale la pena soffermarsi. Matterlat nel suo saggio Storia della società dell’informazione (2002) sin dall’introduzione sostiene che se bisogna avanzare delle ipotesi sulla nozione società dell’informazione bisogna stare attenti al suo contenuto ideologico. La società dell’informazione ci è stata presentata come una nuova società più solidale, più aperta più democratica, essa però non è altro che il frutto di una costruzione geo-politica velata dalla irrefrenabile innovazione tecnologia. «Si è materializzata una nuova ideologia che non dice il proprio nome e che è stata assunta a paradigma indiscusso di cambiamento. Le certezze di cui la nozione di società dell’informazione è portatrice sprigionano forze simboliche che dettano l’azione e al tempo stesso ne determinano lo svolgimento in un senso o nell’altro. Esse orientano la formulazione di programmi d’azione e di ricerca da parte di Stati ed enti sovranazionali» (Matterlat 2002, pp. 3-4) Comprendere la sovrastruttura della società dell’informazione è dunque importante quanto la coniugazione concettuale della stessa. Infatti, è opinione di Matterlat che la nozione di società dell’informazione è una conseguenza diretta del progetto teso a progettare macchine intelligenti cominciato subito dopo la seconda guerra mondiale. Essa è stata codificata a livello accademico, economico e politico solo dopo gli anni ’60. Nei prossimi paragrafi vedremo come la letteratura sulla società dell’informazione abbia negli anni spostato la propria analisi, per lo più rivolta al riconoscimento degli elementi che la connotavano come sistema, verso orientamenti specifici che, oltre a descrivere e spiegarne il funzionamento e l’evoluzione, hanno raccontato e rappresentato la società dell’informazione nelle sue configurazioni economiche, sociali, culturali e politiche. 20 2. Pensare la società dell’informazione: oltre le discipline La graduale affermazione della società dell’informazione è dunque uno dei momenti cruciali della storia sociale e politica dell’umanità. Come aveva sottolineato John Naisbitt nel testo Megatrends (1982), il graduale passaggio dalla società industriale alla società dell’informazione è senza ombra di dubbio la trasformazione più importante avvenuta nella seconda metà del secolo scorso. Nelle ipotesi di base di Nasibitt vi era l’idea che il connubio tra tecnologie e scienza avrebbe portato con sé delle enormi conseguenze su più di dimensioni del vivere associato. Per Naisbitt, il lavoro, la politica, l’economia e infine l’individuo prima o poi avrebbero dovuto affrontare, cercare di gestire e rendere proficue queste tendenze. Tra i megatrends, si possono elencare la questione energetica, quella nucleare o gli enormi passi in avanti fatti dalla ingegneria aerospaziale ma – come già sottolineato - tra le dieci tendenze descritte, per Naisbitt, la più importante di tutte resta la costituzione della società dell’informazione14 (Naisbitt 1980). La società dell’informazione è per Naisbitt una realtà economica, non un’astrazione intellettuale. La società dell’informazione non è solo un termine prettamente accademico, utile alla comprensione e alla spiegazione delle trasformazioni della società in senso tecnologico, essa agisce nell’economia, ne definisce i tempi e i modi di produzione. La società dell’informazione deve uscire dalla mera descrizione e diventare strumento d’intervento sociale ed economico (Naisbitt 1980). La crisi del sistema industriale e la trasformazione sociale ed economica avvenuta intorno agli anni ‘70 fanno dunque da sfondo strutturale e teorico all’affermazione di un sistema prevalentemente fondato su due variabili fondamentali, l’informazione e la conoscenza. Intorno a questa consapevolezza le scienze sociali, in particolare la sociologia e l’economia, hanno riorganizzato parte delle piattaforme paradigmatiche ed interpretative che per anni avevano caratterizzato le diverse discipline e dalle quali, a partire dai teorici del post-industrialismo, si sono poi inevitabilmente avvicendate nuove visioni prospettiche, ipotesi di ricerca e approcci che hanno avuto come obiettivo fondamentale la comprensione del ruolo e delle funzioni che gradualmente l’informazione e la conoscenza avevano assunto nel nuovo assetto sociale. Uno dei passaggi più importanti nella evoluzione della teoria sociale sulla società dell’informazione si è avuta nel momento in cui la letteratura sul tema ha traboccato fino coinvolgere anche la dimensione politica. Infatti, sugli inizi degli anni ’90, i diversi governi nazionali e sovranazionali cominciano a sviluppare un interesse per l’economia della conoscenza e per lo sviluppo di pratiche politiche tese all’implementazione di un sistema di tipo informazionale. La società 14 Naisbitt sostiene che gli inizi della società dell’informazione sono da ricercare nel biennio 1956 e 1957. Per gli americani, e non solo, il 1956 fu un anno di sviluppo, produttività e prosperità. Eisenhower fu rieletto presidente; il Giappone venne ammesso alle Nazioni Unite; venne inaugurato il servizio telefonico transatlantico e William Whyte pubblicò The Organization Man, un testo dove veniva descritto in maniera minuziosa il sistema del managment aziendale dell’industria americana e che tutt’oggi è considerato come uno dei classici nel campo dell’organizzazione aziendale postindustriale. Il 1957 invece segnò l’inizio della globalizzazione e della rivoluzione informatica. I russi lanciarono lo sputnik, primo vero incipit che diede l’avvio alla comunicazione planetaria via satellite. 21 dell’informazione, come aveva sostenuto Naisbitt (1982), comincia dunque ad uscire dai circuiti culturali ed accademici per assumere i toni di un fenomeno politicamente rilevante, nascono così esigenze di comprensione dei meccanismi legati al sistema informazionale con il fine ultimo di definire e strutturare policy di intervento in materia. Le tecnologie per l’informazione e la comunicazione - e le relative ricadute sociali, economiche e politiche – con il crescere dell’interesse politico diventano in questo modo un terreno sempre più fertile di confronto disciplinare e accademico, con il rinnovato ruolo strategico di strutturare e programmare interventi adeguati e più attenti al cambiamento. La società dell’informazione e i suoi limiti, le opportunità poste in essere, i suoi rischi di esclusione e le promesse di inclusione, la sua eccessiva pervasività e intrusività, la sua espressione giuridica e costituzionale cominciano così a far parte dell’agenda politica alimentando in questo modo la ricerca sul tema soprattutto sotto il profilo finanziario - fino ad individuare le linee guida di buona parte delle politiche e degli interventi per l’informatizzazione espresse dai diversi governi nazionali e sovranazionali15. La ricerca ha quindi assunto lentamente un ruolo strategico nella formazione di politiche pubbliche per la società dell’informazione. Un campo che negli anni è diventato sempre più vasto, capace di contemplare discipline e settori diversi e che ha espresso una mole ampia di studi e ricerche. Dall’economia agli studi antropologici, dalla sociologia alla filosofia del diritto, la ricerca sulla società dell’informazione ha finito con il coinvolgere quasi tutti i settori disciplinari, fino ad arrivare a produrre moduli di analisi e ricerca nuovi e del tutto inediti nelle scienze sociali. Con il fine di dare un ordine alle molteplici pubblicazioni sul tema e con l’intento di dare una maggiore sistematicità al complesso mosaico teorico costruitosi intorno alla società dell’informazione nelle ultime due decadi del secolo scorso, il lavoro procederà attraversando i maggiori orientamenti teorici sul tema. La distinzione di seguito proposta si pone dunque soprattutto come excursus storico della letteratura sul tema, ovviamente tenendo presente la complessità delle analisi, e inoltre si colloca come un primo momento di organizzazione del materiale utile ai fini del lavoro di ricerca che segue. Tenendo ben distinti i piani di sviluppo e di analisi e partendo dal presupposto che la categorizzazione proposta ha uno scopo prettamente euristico, possiamo suddividere la letteratura in quattro distinti approcci analitici: un approccio economico, dove l’attenzione è rivolta verso le trasformazioni dei sistemi di produzione dovute all’evoluzione tecnologica; un approccio culturale, attraverso il quale è possibile risalire tanto alle rappresentazioni quanto alle ricadute sui modi di produzione culturali nella società dell’informazioni; un approccio sociale, sviluppatosi sugli inizi degli anni ’90 e che oggi occupa un ruolo di primordine nella costruzione delle politiche pubbliche per lo sviluppo della società dell’informazione; e infine un approccio politico che tratteremo con maggiore cura nel capitolo seguente. Tutti gli approcci proposti partono da una matrice comune, già presentata nel precedente paragrafo, e che fa riferimento alla massiccia trasformazione sociale 15 Sul ruolo della ricerca nel campo della strutturazione delle politiche pubbliche per la società dell’informazione si rimanda al par. 2 Cap. 3. 22 avvenuta a cavallo tra gli anni ’60 e ’7016. Inoltre, essi sono approcci comunque multidisciplinari, nel senso che non sono mutualmente esclusivi e che ogni approccio si avvale comunque di ipotesi e congetture effettuate seguendo delle diverse linee di lettura ed interpretazione dei fenomeni. 3. L’approccio economico: informazionalismo, lavoro immateriale ed economia emergente Per molti anni la società dell’informazione è stata letta e interpretata soprattutto come un fenomeno con caratteristiche e peculiarità prettamente economiche. Le ragioni di una posizione interpretativa di questo tipo coprono un arco di motivazioni ampie e legate a questioni di diversa natura. Innanzitutto, perché una buona parte degli studi che ne hanno svelato le caratteristiche provenivano da riflessioni che poggiavano le proprie ipotesi a partire da valutazioni economicistiche (Bell 1971, Porat 1977, Cohen 1986, Castells 1986). Inoltre, la società dell’informazione si è manifestata, in primis, attraverso risvolti di natura economica, si pensi alla enorme crescita della produttività di settori come quello dell’informazione e della conoscenza. Sin dagli anni ’50, a partire dai lavori di Solow17, l’attenzione verso le trasformazioni dei sistemi di produzione dovute all’evoluzione tecnologica è stata molto alta. Nei decenni successivi il ricorso all’analisi economica, per spiegare e comprendere il ruolo dell’informazione, è stato fondamentale affinché si ponessero le basi teoriche e concettuali della nascente società dell’informazione. Ma, come afferma Manuel Castells, è solo sul finire del secolo scorso che possiamo parlare di un nuovo paradigma tecnologico: «[…] alla fine del XX secolo i sistemi economici e produttivi occidentali hanno vissuto un eccezionale intervallo nel procedere della storia, un intervallo caratterizzato dalla trasformazione della nostra cultura materiale grazie all’agire di un nuovo paradigma tecnologico incentrato sulle tecnologie dell’informazione» (Castells 1996, p. 29). Con una trilogia pubblicata sul finire degli anni ’90, Castells ha segnato profondamente gli studi e le ricerche nel campo della teoria e della riflessione sulla società dell’informazione. La sua idea di nuovo paradigma tecnologico poggia le basi interpretative a partire dal sistema produttivo senza però mai perdere di vista il risvolto sociale e politico alla base della trasformazione economica. Per Castells, il nuovo paradigma tecnologico ha caratteristiche e funzioni attraverso le quali è possibile osservare il delicato processo di trasformazione in atto. La prima caratteristica è che l’informazione rappresenta la sua materia prima: queste tecnologie servono per agire sull’informazione, non solo per far sì che le informazioni agiscano sulla tecnologia (Castells 1996). Castells vede tra tecnologie e informazione un rapporto circolare che non si esaurisce alla semplice produzione dell’informazione, ma che agisce sulla tecnologia e sui suoi processi di trasformazione e cambiamento. 16 Per specifiche si veda il paragrafo 1.1 di questo capitolo. Solow R., Technical Change and the Aggregate Production Function, Review of Economics and Statistics, n° 39, 1957, pp. 312-20. 17 23 Questa visione relazionale è importante in tutta l’opera dell’autore spagnolo, fino ad avvolgere le sue idee circa la relazione tra tecnologia e società. Infatti, Castells sostiene che «la tecnologia non determina la società, né la società definisce il corso della trasformazione tecnologica, poiché molti fattori intervengono nel processo di scoperta scientifica così che il risultato finale dipende da un complesso schema di interazione. In effetti, quello del determinismo è un falso problema, in quanto la tecnologia è la società, e non è possibile comprendere o rappresentare la società senza i suoi strumenti tecnologici» (Castells 1996). Un secondo elemento tipico del nuovo paradigma tecnologico fa riferimento alla diffusione pervasiva degli effetti delle nuove tecnologie. Poiché l’informazione è parte integrante dell’intera attività umana, il nuovo medium tecnologico incide profondamente su tutti i processi della nostra esistenza collettiva e individuale. Questa affermazione di Castells rimanda in parte ad osservazione di carattere sociologico, ma le implicazioni alle quali fa riferimento l’autore sono comunque relative all’azione economica che produce un paradigma basato sulle tecnologie dell’informazione e la comunicazione. La terza proprietà riguarda la logica a rete di qualsiasi sistema o insieme di relazioni che fanno uso delle tecnologie dell’informazione. La morfologia della rete appare adatta alla complessità dell’interazione e agli imprevedibili modelli di sviluppo derivanti dalla forza creativa di tale interazione, essa pervade la totalità dei sistemi sociali fino alla riorganizzazione dei metodi e dei modi di produzione capitalistica. Le funzioni e i processi dominanti nell’Età dell’informazione sono quindi sempre di più organizzati intorno a reti18. Le reti costituiscono la nuova morfologia sociale delle nostre società e la diffusione della logica di rete modifica in modo sostanziale l’operare e i risultati dei processi di produzione, esperienza, potere e cultura. Benché la forma di organizzazione sociale a rete sia esistita in altri tempi e in altri spazi, il nuovo della tecnologia dell’informazione fornisce la base materiale per la sua espansione pervasiva attraverso l’intera struttura sociale. Le reti sono strutture aperte, capaci di espandersi senza limiti, integrando nuovi modi fintanto che questi sono in grado di comunicare fra loro all’interno della rete, vale a dire finché condividono i medesimi codici di informazione (Castells 1996, pp. 13-19). Il quarto punto, maggiormente legato all’interconnessione - ma chiaramente distinto - fa riferimento alla flessibilità del paradigma delle tecnologie per l’informazione e la comunicazione. Nel nuovo paradigma i processi non sono solo reversibili, ma, mediante il riassetto delle loro componenti, è possibile modificare, e persino trasformare radicalmente, anche organizzazioni e istituzioni. Su questo punto ruota gran parte della riflessione di Castells, sul quale ci ritorneremo nei paragrafi 18 Castells definisce la rete come «un insieme di nodi interconnessi. Un nodo è il punto in cui una curva interseca se stessa. Che cosa sia concretamente un nodo, dipende dal tipo di reti reali cui si fa riferimento. Sono nodi le piazze finanziarie, con i loro centri ausiliari di servizi avanzati, immersi nella rete dei flussi finanziari globali. Sono nodi i commissari europei e i consigli dei ministri nazionali, della rete politica che governa l’Unione Europea […] Sono nodi i sistemi televisivi, gli studi per la produzione dell’intrattenimento, i milieu della computer grafica, le redazioni televisive e i dispositivi mobili che generano, trasmettono e ricevono segnali nella rete globale dei nuovi media alla base dell’espressione culturale e dell’opinione pubblica nell’Età dell’informazione» (Castells 1996, pp. 3033). 24 successivi, soprattutto in tema di trasformazione e riorganizzazione in rete della sfera pubblica. La quinta caratteristica di questa rivoluzione tecnologica è infine rappresentata dalla crescente convergenza di tecnologie specifiche in un sistema altamente integrato, entro cui traiettorie anteriori e distinte diventano letteralmente indistinguibili. Questa convergenza si estende sempre più alla crescente interdipendenza tra le rivoluzioni della microelettronica e della biologia, dal punto di vista sia materiale sia metodologico (Castells 1996). A partire dagli anni ’80, la rivoluzione nella tecnologia dell’informazione è stata dunque cruciale per l’implementazione di un fondamentale processo di ristrutturazione del sistema sociale, soprattutto nelle sue espressioni economiche. Per meglio comprendere questo processo, secondo Castells, è opportuno situare su coordinate distinte la differenziazione tra pre-industrialismo, industrialismo e postindustrialismo (o informazionalismo) e quella tra capitalismo e statalismo. Benché sia possibile definire la società lungo entrambe le dimensioni «è essenziale per la comprensione della dinamica sociale mantenere la distanza analitica e l’interdipendenza empirica tra modi di produzione (capitalismo, statalismo) e modi di sviluppo (industrialismo, informazionalismo)» (Castells 1996). Ogni modo di sviluppo possiede un principio operativo strutturalmente determinato, intorno al quale sono organizzati i processi tecnologici: l’industrialismo è orientato alla crescita economica, ovvero alla massimizzazione della produzione; l’informazionalismo è orientato allo sviluppo tecnologico, ovvero all’accumulazione di conoscenza e a sempre più alti livelli di complessità nell’elaborazione dell’informazione. Anche se livelli superiori di conoscenza possono determinare un maggiore output per unità di input, «è il perseguimento continuo di conoscenza e informazione che caratterizza la funzione di produzione tecnologica dell’informazionalismo» (Castells 1996). I modi di sviluppo incidono profondamente sul complesso dei comportamenti sociali, compresa naturalmente la comunicazione simbolica. Poiché l’informazionalismo è fondato sulla tecnologia della conoscenza e dell’informazione ne consegue che dovremmo aspettarci la nascita di forme storicamente nuove di interazione sociale, controllo sociale e mutamento sociale. Le nuove tecnologie dell’informazione, trasformando i processi di trattamento delle informazioni, intervengono in tutte le sfere dell’attività umana e consentono la creazione di infinite connessioni tra campi diversi. Sorge così un’economia interconnessa in rete, profondamente interdipendente, che sempre più acquisisce la capacità di applicare il proprio progresso in tecnologia, conoscenza e gestione della tecnologia. L’economia è informazionale perché la produttività e la competitività di unità o agenti all’interno di questa economia dipendono in modo sostanziale dalla propria capacità di generare, elaborare e applicare con efficienza informazione basata sulla conoscenza. Certamente, informazione e comunicazione sono sempre state componenti fondamentali della crescita economica e tuttavia oggi il nuovo paradigma permette all’informazione stessa di divenire il prodotto del processo di produzione (Castells 1996). 25 A partire dai lavori Castells, molte altre sono state le pubblicazioni che né hanno specificato i contorni economici e sociali. In particolare André Gorz, nel 2003, riprendendo in parte le considerazioni fatte da Jeremy Rifkin19 sulla trasformazione del mercato del lavoro e alcune delle annotazioni fatte in suo precedente lavoro del 199220, specifica quali elementi stavano incidendo sul mercato del lavoro in seguito all’affermazione dell’economia informazionale basata sulla conoscenza. Con un testo dal titolo quantomeno esemplificativo, L’immateriale, Gorz è tra coloro che sostiene che la crisi del lavoro, e la relativa trasformazione delle forme lavorative, non derivano da una crisi dell’intera modernità, essi sono piuttosto il frutto della crisi stessa del concetto di valore del lavoro. Noi non abbiamo crisi della modernità e non abbiamo a che fare con la necessità di modernizzare i presupposti su cui si fonda la modernità, la crisi attuale deriva dalla crisi della razionalizzazione del lavoro e della razionalità economica (Gorz 2003). Il capitalismo moderno, centrato sulla valorizzazione di grandi masse di capitale fisso materiale, è sostituito sempre più rapidamente da un capitalismo postmoderno centrato sulla valorizzazione di capitale detto immateriale. L’informatizzazione dell’industria tende a trasformare il lavoro in gestione di un flusso continuo di informazioni, l’operatore deve dedicarsi in continuazione a questa gestione dei flussi, a prodursi come soggetto per assumerla. La comunicazione e la cooperazione tra operatori sono parte integrante della natura del lavoro. Il cuore della creazione del valore diventa il lavoro immateriale21. Il valore di una merce non è dunque più indicato o determinato, come vuole la tradizione marxista, dalla quantità di lavoro sociale generale che contengono ma, principalmente, dal contenuto di conoscenze, d’informazioni, d’intelligenza generali. La conoscenza, l’informazione diventano la principale sostanza sociale comune a tutte le merci che, a differenza del lavoro sociale generale, non può essere tradotta e misurata in unità astratte semplici. Non è quindi riducibile a una quantità di lavoro astratto di cui sarebbe l’equivalente, il risultato o il prodotto (Gorz 2003). Essa copre e designa una grande varietà di capacità eterogenee, vale a dire senza comune misura, tra le quali il giudizio, l’intuizione, il senso estetico, il livelli di formazione e di informazione e via discorrendo. Questa eterogeneità delle attività di lavoro, definite da Gorz come attività cognitive, rendono non misurabile tanto il valore delle forzelavoro quanto quella dei loro prodotti (Gorz 2003). Il punto è l’impossibilità di misurare e standardizzare tutti i parametri, così da far saltare tutti gli schemi di valutazione del lavoro, di conseguenza, la crisi della misura del lavoro comporta inevitabilmente la crisi della misura del valore. Come misurare dunque un valore immateriale come la conoscenza o l’informazione? Per rispondere a questo quesito Gorz riprende un concetto di 19 Rifkin J., La fine del lavoro. Il declino della forza lavoro globale e l'avvento del post-mercato, Baldini&Castoldi, 1995. 20 Gorz A., Metamorfosi del lavoro. Critica della ragione economica, Bollati Boringhieri, Torino, 1992. 21 Gorz sottolinea che il lavoro immateriale non si basa principalmente sulle conoscenze dei suoi prestatari, esso si basa innanzitutto su capacità espressive e cooperative […] E’ questa una delle grandi differenze tra i lavoratori delle manifatture e delle industrie taylorizzate e quelli del postfordismo (Gorz 2003, pp. 13-14). 26 Rullani, molto noto tra gli studiosi di sociologia economica e che negli ultimi anni ha incominciato a fare da sfondo interpretativo anche tra coloro sono maggiormente legati alla tradizionale lettura economica del mercato del lavoro. Per Rullani (2000), come per Gorz, il valore di scambio della conoscenza è interamente legato alla capacità pratica di limitare la libera diffusione, cioè di limitare con mezzi giuridici (o monopolistici) la possibilità di copiare, di imitare, di reinventare, e di apprendere le conoscenza altrui. In altre parole il valore della conoscenza non deriva dalla sua scarsità naturale ma soltanto dai limiti imposti, istituzionalmente e giuridicamente, all’accesso alla conoscenza, quindi il valore discende e deriva dalla capacità di un potere di limitare temporaneamente la diffusione e di regolamentare l’accesso22. Allo stesso modo anche Dahlgren si interroga sugli effetti di una commistione tra mercato e informazione ma, a differenza di Gorz e Castells, la sua analisi mette in allerta su una eccessiva intrusione del capitale nei processi di informatizzazione della società. In particolare, Dahlgren punta il dito sui diversi tentativi, espliciti e non, di privatizzazione del sistema informazionale e sulla retorica che vuole intrecciare i destini del mercato libero con la naturale evoluzione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Dahlgren è convinto che un processo graduale di privatizzazione del sistema informazionale, ed in particolare delle rete, ci porterebbe sulla soglia di due possibili sviluppi: il primo è la mercificazione (commodification) delle informazioni, con l’effetto di renderlo sempre più prezioso e meno accessibile come bene e, in secondo luogo, la commercializzazione delle stesse, portando con sé effetti non dissimili da quelli creati con i media precedenti, si pensi alle corporazioni e alle tendenze monopolistiche e oligopolistiche che la storia dei media ha già impartito come insegnamento. La privatizzazione di un sistema informazionale - come ad esempio la rete avrebbe effetti catastrofici sotto il profilo democratico. Innanzitutto essa alimenta e sostiene forme massicce di controllo e censura da parte delle corporazioni. Infatti, Dahlgren sostiene che i promotori del mercato libero attraverso la retorica della liberalizzazione fanno percepire tale privatizzazione come una delle migliori pratiche per lo sviluppo della partecipazione democratica attraverso le ICTs. Vedono la privatizzazione e l'attività del mercato come una attività neutrale ed indicano in essa un meccanismo di regolazione capace di limitare il controllo dello stato. Questa retorica vede la democrazia e la sfera pubblica come qualcosa di compatibile con il consumo capitalistico, fortemente criticato e contestato dagli economisti della politica. Egli sostiene che il mercato non può essere compatibile con uno sviluppo democratico della rete. Il mercato non può far altro che creare meccanismi di controllo e censura di tutte le sfere dell'agire sociale. La privatizzazione di un sistema come la rete non può supportare una crescita del potenziale democratico, sarebbe controproducente, ma interverrà solo sul potenziale profitto che le diverse corporazioni possono avere (Dahlgren 1998). 22 Il tema del diritto all’accesso e della limitazione istituzionale e giuridica dell’informazione e della conoscenza sarà trattato nel prossimo capitolo. Per approfondimenti si veda Lessig L., Cultura Libera: un equilibrio fra anarchia e controllo, contro l’estremismo della proprietà intellettuale, Editore Apogeo, 2005. 27 Oltre a questa tendenza dai confini totalitari, Dahlgren sottolinea un ulteriore effetto se nel caso dovesse affermarsi il privato sugli sviluppi futuri della tecnologie dell’informazione e della comunicazione. La commercializzazione e la mercificazione portano alla formazione di una nuova classe basata sulla redistribuzione ineguale delle risorse informative e comunicazionali, rafforzando in questo modo la struttura ineguale del capitalismo globale e creando le premesse per una nuova élite tecnocratica ed economica. Una nuova classe dunque che oscilla tra il marketing ed il sapere tecnologico esperto. L’affermazione di una nuova élite porterebbe delle pericolose ricadute sulla libera circolazione delle informazioni e sui relativi diritti tutelati da gran parte delle costituzioni occidentali ma, soprattutto, avrebbe delle conseguenze dirette sull’accesso e la redistribuzione delle risorse informative rafforzando quel fenomeno meglio conosciuto come Digital Divide. Un ultimo punto sul quale Dahlgren pone l'accento riguarda la privatizzazione delle interazioni che avvengono online. Le interazioni online si stanno strutturando sempre di più attraverso imperativi commerciali. La privatizzazione dell'interazione segue meccanismi del tutto diversi dall'ideale di sfera pubblica, infatti il cittadino attiva delle forme di bene pubblico del tutto individuali, la partecipazione alla sfera pubblica è costruita come consumo e orientata alla massimizzazione del piacere individuale. Questo tipo di sviluppo rafforza l'apatia ed il cinismo politico alimentando modelli consumistici della politica. Per Dahlgren ci troviamo davanti ad una colonizzazione del cyberspazio da parte del capitale. Una tesi che trova negli ultimi mesi ha trovato dei rilevanti riscontri empirici23. Più vicino alla visione interpretativa di Castells appare invece Yochai Benkler, professore della Yale Law School e autore de La ricchezza della rete (2006). Entrambi si muovono su un piano interpretativo economico, prediligendo la rete come metafora e morfologia del nuovo assetto di tipo informazionale, e ancora entrambi vedono nella economia informazionale una rottura storica insanabile con il precedente modello di sviluppo di tipo industriale. Benkler però, fin dalla prefazione, prende comunque le distanze dai lavori di Castells, sostenendo che la sua analisi si differenzia su un aspetto cruciale: mentre Castells fa sì che Internet rientri in un’analisi di più ampio spettro, che vanno dalle reti di trasporto all’industrializzazione, Benkler sostiene che il suo lavoro mette maggiormente l’accento sulla coppia oppositiva di mercato e non-mercato. Riprendendo un suo passo: 23 In una recente pubblicazione dal titolo Il controllo delle reti telematiche il CENSIS non esita a definire e a valutare ad esempio la situazione italiana come un sistema d'innovazione estremamente polarizzato su due realtà diverse e completamente opposte. Pur considerando il moltiplicarsi e l’emergere di molteplici individualità, secondo il CENSIS in Italia esiste una moltitudine estremamente attiva nei diversi campi della società della conoscenza e in tutte le sue articolazioni che stenta a diventare minoranza creativa, imprenditoriale o professionale, a diventare energia vitale di un’economia che si confronta con le sfide mondiali. A fare da limite e da contrappeso vi è un oligopolio costituito da poche aziende e istituzioni che hanno l'interesse a rafforzare le loro posizioni dominanti occupando quegli spazi che le nuove tecnologie offrono: dalla comunicazione, alle reti, all'industria di contenuti creando verticalizzazioni e sinergie industriali (CENSIS 2007). 28 «Al cuore del cambiamento colloco le caratteristiche tecniche ed economiche dell’informazione e delle reti di computer. Esse costituiscono l’asse attorno cui ruota il radicale decentramento della produzione. Sottintendendo il passaggio da un ambiente informazionale dominato dall’agire proprietario e di mercato a un mondo nel quale le transazioni non proprietarie e non commerciali rivestono un ruolo sempre più importante accanto alla produzione commerciale. Questo settore non proprietario emergente influenza l’intero ambiente informazionale nel quale gli individui e la società vivono» (Benkler 2006 p. 23). Benkler dunque riprende in parte le idee di Castells ma preferisce muoversi su un segmento preciso dove il mercato deve fare i conti con un’economia emergente legata a logiche non proprietarie, che lentamente hanno cominciato ad esercitare una pressione sulle forme sociali esistenti. La peculiarità dell’economia della computazione e della comunicazione, e il ruolo dell’informazione nelle economie avanzate, hanno fatto dell’azione individuale e sociale non di mercato una vera e propria prassi capace di far progredire i valori liberali (Benkler 2006). Benkler muove le sue ipotesi a partire da tre osservazioni. Anzitutto le strategie non proprietarie sono sempre state più rilevanti per la produzione di informazioni che non nella produzione di acciaio o automobili. L’istruzione, l’arte e la scienza, il dibattito politico e le dispute tecnologiche sono sempre state molto più legate a motivazioni non commerciali o personali di quanto non fosse il caso, per esempio, dell’industria dell’automobile. Man mano che vengono rimosse le barriere materiali che incanalavano il ruolo delle motivazioni o delle forme organizzative le strategie non proprietarie e non di mercato diventerà sempre più importante nel sistema di produzione dell’informazione. In secondo luogo, singoli individui sono in grado di raggiungere, informare, educare milioni di persone in tutto il mondo. Prima questo era praticamente impossibile per un individuo e il fatto che oggi questo sia alla portata di chiunque ha permesso alla somma delle azioni individuali di produrre un nuovo ricco ambiente informazionale. La terza novità è l’affermarsi di grandi progetti cooperativi su larga scala dediti alla produzione orizzontale di informazioni, conoscenza e cultura. Un esempio è dato dall’emergere del free software e del software open source. Questo modello non vale più solo per le piattaforme software, ma si sta espandendo in tutti i settori dell’informazione e della produzione culturale (Benkler 2006). Per molti anni, con il termine economia dell’informazione si è indicata l’importanza assunta dall’informazione come mezzo di controllo dei processi produttivi, quindi strettamente connessa al controllo dei processi dell’economia industriale. L’aspetto più importante dell’economia dell’informazione in rete è, per contrappasso, la possibilità di rovesciare il suddetto centro di controllo dell’economia industriale. In questa nuova fase è possibile trasmettere cultura sfruttando molte più strade e meccanismo differenti, temporaneamente eclissati dalle economie di scala che hanno favorito la crescita di mass media concentrati e controllati, sia privati sia statali (Benkler 2006). Due sono stati i cambiamenti fondamentali che hanno mutato profondamente l’economia industriale e hanno sviluppato forme emergenti di agire economico. Innanzitutto, nelle economie più avanzate il significato e la comunicazione umani 29 sono diventati l’output dominante. Nell’economia industriale l’informazione aveva un ruolo legato alla produzione e contribuiva al funzionamento del sistema, nell’economia informazionale essa diventa merce e valore della merce e assume un ruolo di primordine nell’intero sistema economico. Il secondo punto riguarda la trasformazione del capitale. Nell’economia dell’informazione il capitale fisico necessario per esprimere e comunicare un messaggio è il personal computer connesso alla rete, e, quindi, le funzioni di calcolo, immagazzinamento dati e comunicazione sono ampiamente distribuite tra la popolazione degli utenti. Nel loro insieme, questi cambiamenti destabilizzano la fase industriale dell’economia dell’informazione rimuovendo i vincoli fisici che caratterizzavano il sistema industriale. La rimozione dei vincoli fisici alla produzione effettiva di informazione ha fatto della creatività umana e dell’economia dell’informazione i pilastri della struttura dell’economia in rete producendo forme di agire economico del tutto nuove rispetto ai precedenti sistemi economici. Una delle più importanti conseguenze avute con l’affermazione dell’economia dell’informazione è stata il potenziamento delle capacità individuali nell’azione economica. Ciò è avvenuto per almeno tre diverse ragioni. In primo luogo, l’economia dell’informazione potenzia la capacità di fare da soli e per se stessi. Secondo, l’economia basata sull’informazione, supportata dalle tecnologie e in particolare dal web, ha enormemente aumentato le possibilità di associarsi liberamente con gli altri, senza essere costretti a organizzare le relazioni fra persone in base al sistema di prezzi o ai tradizionali modelli gerarchici vigenti nelle organizzazioni sociali ed economiche. Infine, nella struttura economica di tipo informazionale vi è stato un potenziamento delle capacità e delle possibilità degli individui di impegnarsi in organizzazioni formali che operano al di fuori della sfera del mercato. L’approccio economico si pone dunque come un processo a ventaglio, in quanto, pur partendo da valutazioni e analisi di tipo economicistico non si sottrae nel proporre interpretazioni sulle trasformazioni sociali e politiche che hanno attraversato l’ultimo ventennio del secolo scorso. Come vedremo, questo modo di sviluppare le analisi sulla società dell’informazione ha comunque caratterizzato anche gli altri approcci che passeremo in seguito passeremo in rassegna. 4. L’approccio culturale: connettività, collettività e convergenza culturale Pensare la società dell’informazione significa anche soffermarsi sugli aspetti legati alla dimensione culturale. L’orientamento culturale all’analisi della società dell’informazione ha tra le sue peculiarità quella di aver costruito un impianto interpretativo a partire da molteplici e differenti settori disciplinari. A differenza degli altri orientamenti, quello culturale non ha una tipica matrice teorica e concettuale alla quale fare riferimento, esso segue piuttosto le peculiarità di diversi filoni culturali, che possono provenire tanto dagli studi sulle comunicazioni di massa quanto dalla sociologia della conoscenza. Come orientamento interpretativo, esso non esita ad attingere termini e scenari provenienti dalla science fiction di Philip K. Dick o di 30 William Gibson, e non esclude nemmeno le ipotesi futurologiche poste da film come Blade Runner di Ridley Scott o il più recente Matrix dei fratelli Wachowsky. Sotto il profilo della saggistica, tra i precursori più rappresentativi di questo orientamento analitico, Marshall McLuhan - e le sue intuizioni intorno al concetto di Villaggio Globale - è sicuramente colui che ha notevolmente influenzato buona parte delle letture culturali fatte intorno al tema della società dell’informazione. Il famoso studioso canadese, con le sue teorie ai limiti della preveggenza, meglio e prima di molti altri ha saputo raccontare e rappresentare le ricadute culturali dovute all’affermazione dell’allora nascente società dell’informazione. L’etichetta Villaggio Globale ha espresso con grande efficacia le profonde trasformazioni dovute alla massificazione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione e, nello stesso tempo, è riuscita a bypassare i circuiti accademici diventando un termine di riferimento usato comunemente anche dall’uomo della strada. Matterlat sostiene che McLuhan è stato il primo ad attualizzare per l’era elettronica il vecchio sogno di un’umanità prebabelica. La sua etichetta di Villagio Globale promuove definitivamente la nomenclatura globale – riservata per lo più alla strategia militare – all’ambito civile24. Derrick De Kerckhove - direttore del McLuhan Programm di Toronto e allievo diretto del professore canadese - è colui che ne ha raccolto l’eredità intellettuale e che, attraverso una attenta rilettura delle sue opere, è riuscito a dare nuova linfa alle idee del noto studioso. I lavori di De Kerckhove prendono spunto da quel filone interpretativo che fa capo al testo The Gutenberg Galaxy: The Making of Typographic Man (1962) ma, come sottolinea lo stesso De Kerckhove, bisogna rielaborare e approfondire alcune questioni teoriche lasciate in sospeso, effetto dell’evoluzione delle tecnologie per l’informazione e la comunicazione sulle quali vale la pena riprendere il dibattito. McLuhan affermava che con la televisione, come con la radio, si aveva a che fare con la seconda oralità di cui parlava Ong (1986) e che, sul piano politico, dava luogo alla creazione dei grandi capi tribali che persuadevano attraverso la loro immagine e il loro carisma più che attraverso i loro programmi di azione (McLuhan 1962). Oggi, il regno della televisione, secondo De Kerckhove, è in esaurimento. Noi non siamo più nel villaggio globale, esso dipendeva dalla dimostrazione permanente e continua di uno stesso spazio fisico che ci veniva mostrato in televisione e che la televisione comunicava in tutti gli angoli del pianeta. Con la possibilità di collegarsi on-line, non abbiamo neanche più bisogno di vedere il luogo nel quale abbiamo un potere di azione. È il fatto di avere simile potere di azione che ci globalizza25. A partire da queste osservazioni, De Kerckhove sostiene che con la massificazione delle nuove tecnologie per l’informazione e la comunicazione, e in particolare con Internet, siamo di fronte a un doppio fenomeno: la connettività e la convergenza. 24 In particolare Matterlat sostiene che è attraverso un’autentica autopsia mediologica della guerra del Vietnam che McLuhan riuscì a perfezionare la sua etichetta di Villaggio Globale. Primo conflitto trasmesso in diretta, la guerra del Vietnam riuscì a dimostrare come l’immagine elettronica possa fare la guerra e fare la pace. 25 De Kerckhove D., Vita V., I nodi della rete, in La Rivista, n. 10, Ottobre 2000. 31 Per connettività s’intende una sorta di seconda alfabetizzazione, dove la posta in gioco è molto alta. È il testo a tornare in auge ed è il pensiero si divide fra la testa e lo schermo con l'aiuto del testo. Ormai, il luogo privilegiato di trattamento dell'informazione non sta più soltanto nella testa ma ugualmente su uno schermo, il che ha per effetto di moltiplicare le risorse del pensiero mediante quelle della macchina (De Kerckhove 2000). Per la prima volta nella storia dei media e nella storia della cultura abbiamo un sistema che permette di gestire nello stesso luogo l'informazione, senza tener conto delle distanze. È la ragione per la quale, invece di limitarsi a una opposizione fra individualizzazione e collettivizzazione della società, va aggiunto il nuovo termine connettività, perché sulle tecnologie basate sulle reti, al contrario della televisione che è davvero collettiva, c’è una pertinenza particolare fra i diversi soggetti che intervengono nel trattamento dell'informazione online. Abbiamo a che fare con una nuova configurazione psicologica, con una nuova possibilità sociale, con inedite opportunità democratiche (De Kerckhove 2000). La logica della tecnica numerica porta invece con sé quella della convergenza. Le barriere e le frontiere tra i differenti mezzi di comunicazione audiovisivi e tra i loro supporti e i loro principi ergonomici ed energetici sfumano. La convergenza dei supporti facilita i processi d’integrazione (De Kerckhove 2000). Essa si verifica su tre distinti livelli: 1) la convergenza dei contenuti, ovvero la numerazione che elimina le differenze fra la natura delle sostanze; 2) la convergenza dei supporti, ovvero l'integrazione che riunisce i differenti mezzi di comunicazione sotto regimi operativi (diffusione, comunicazione, informatica) simili e contigui; 3) la convergenza degli utilizzatori, meglio conosciuta con il nome di globalizzazione, che trasgredisce o ignora le frontiere nazionali, linguistiche e culturali delle nazioni26. Tecnica numerica, integrazione e globalizzazione, e non soltanto l'unione tecnica dei contenuti, dei supporti e dei terminali, sono dunque la vera natura della convergenza. «La convergenza non è un unicum, né un universo prestabilito in cui si sovrappongono radio, televisione, telefono, computer in un linguaggio omologato. La convergenza è, piuttosto, il nuovo appassionante territorio del conflitto delle e nelle tecnologie dell'informazione e della conoscenza, dei e nei saperi» (De Kerckhove 2000, p. 3). Per De Kerckhove, nell’arcipelago delle nuove tecnologie per l’informazione e la comunicazione, è la rete il regno della convergenza, essa non è quantificabile, non è rigida, è complessità e può diventare caos se portata agli eccessi, ma è altrettanto vero che se prendiamo oggetti, anche se di qualità mediocri, e li connettiamo tra di loro c’è un inevitabile incremento della produttività che va al di là della semplice addizione (De Kerckhove 1999). Quando sono collegati migliaia di computer tra di loro in una rete, questi semplici nodi generano inevitabilmente un nuovo valore aggiunto, una dinamica osservabile in tutti i campi del vivere umano e tecnologico. «Per questo la frontiera dell'uomo è quella dell'intelligenza connettiva. Lo spazio di Internet viene visto come vivo, vivo di una presenza collettiva, brillante, attiva e umana. Ogni singolo utente diventa 26 Ibidem 2000 32 una singola parte di un pensiero collettivo, non esiste un driver al pensiero ma il pensiero "emerge" e si autorganizza sui contributi di ogni singolo utente» (De Kerckhove 1999). Solitamente, al concetto di intelligenza connettiva formulato da De Kerckhove, nella letteratura che predilige un’interpretazione culturale della società dell’informazione, viene associato quello di intelligenza collettiva, elaborato qualche anno prima da Pierre Lévy (1998). Secondo il filosofo francese: «[…] le gerarchie burocratiche, fondate sulla scrittura statica, le monarchie mediatiche, che si reggono sulla televisione e il sistema dei media, e le reti dell’economia internazionale, che impiegano il telefono e le tecnologie del tempo reale, mobilitano e coordinano solo parzialmente le intelligenze, le esperienze, le tecniche, i saperi e l’immaginazione degli esseri umani. Ecco perché chi si pone con particolare urgenza la questione dell’invenzione dei nuovi meccanismi di pensiero e di negoziazione, che possano far emergere vere e proprie intelligenze collettive» (Lévy 1998). L’intelligenza collettiva punta non tanto al dominio di sé da parte della comunità umane quanto piuttosto ad una rinuncia essenziale riguardo all’idea stessa di identità, ai meccanismi di dominio e controllo dei conflitti, alla liberazione di una comunicazione confiscata, al reciproco rilancio di pensieri isolati (Lévy 1998) . Pierre Lévy, al pari di De Kerckhove, mette dunque in stretta relazione scrittura e nuove tecnologie. Grazie alla scrittura si è raggiunta - soprattutto nella cultura occidentale - una maggiore efficacia comunicativa e un’organizzazione più estesa dei gruppi umani rispetto a quella permessa dalla parola pura e semplice. Il problema dell’intelligenza collettiva consiste dunque nello scoprire o nell’inventare un al di là della scrittura: «[…] qualcosa che si collochi oltre il linguaggio in modo tale che il trattamento dell’informazione sia distribuito ovunque e ovunque coordinato e non sia più prerogativa di organi sociali separati, ma si integri in maniera naturale nella totalità delle attività umane, in modo da tornare nelle mani di ognuno» (Lévy 1998, p. 20). In questa nuova dimensione comunicazionale dove la convergenza e la possibilità di scambiarsi reciprocamente un numero sempre maggiore di informazioni diventano i presupposti minimi, anche per Lévy, la rete è l’ambiente e il contesto di riferimento nel quale l’intelligenza collettiva può svilupparsi. La cultura di rete però non è ancora consolidata, «le sue potenzialità tecniche sono ancora allo stadio iniziale, la sua crescita non è ancora terminata. Siamo ancora in tempo per riflettere collettivamente e tentare di dare forma al corso degli eventi» (Lévy 1999, p. 37). La visione di Lévy è rivolta a comprendere i processi che caratterizzano l’evoluzione della società dell’informazione con l’obiettivo di far confluire l’interpretazione culturale su punti di analisi e lettura capaci di orientarne l’evoluzione. Oltre alle ripercussioni di tipo economico, per il filosofo francese è prioritario mettere in luce le grandi possibilità di civilizzazione legate all’emergere del multimedia: nuove strutture di comunicazione, di regolazione e cooperazione, linguaggi e tecniche intellettuali inedite, il cambiamento dei rapporti con il tempo e lo spazio ecc. Non si tratta, dunque, di ragionare esclusivamente in termini di impatto (quale sarà l’impatto delle autostrade dell’informazione sulla vita politica economica o 33 culturale) ma anche di progetto (per quali fini sviluppare le reti digitali di comunicazione interattiva?). Di fatto le decisioni tecniche, l’adozione di norme e di regolamenti, le politiche tariffarie, contribuiranno, lo si voglia o no, a dar forma all’impianto collettivo della sensibilità, dell’intelligenza e del coordinamento che andranno a costituire domani l’infrastruttura su scala mondiale (Lévy 1999). La forma e il contenuto delle tecnologie dell’informazione e la comunicazione basate su sistemi di rete sono per Lévy ancora parzialmente indeterminati e, stando al corso degli eventi, lo saranno ancora per molto tempo ancora. In materia non esiste e non può esistere alcun determinismo tecnologico o economico semplice e a partire da ciò si prospettano ai governi, ai grandi operatori economici, ai cittadini delle scelte politiche e culturali fondamentali. «Come i progressi della biologia e della medicina ci costringono a un ripensamento del nostro rapporto con il corpo, la riproduzione, la malattia, la morte. Nello stesso tempo anche lo sviluppo delle nanotecnologie capaci di produrre materiali complessivamente intelligenti potrebbero da cima a fondo cambiare il nostro rapporto con il fabbisogno naturale e con il lavoro. Allo stesso modo le nuove tecniche di comunicazione, attraverso mondi virtuali, ripropongono in modo diverso i problemi del legame sociale» (Lévy 1999, p. 99). L’approccio culturale si pone dunque su una dimensione analitica che contempla più livelli di analisi e interpretazione. Esso tiene conto tanto il rapporto che le tecnologie hanno con la produzione culturale in senso stretto - si pensi alla convergenza e alla connettività – quanto l’effetto prodotto sul piano della produzione sociale della cultura. La produzione culturale, sia quella testuale che quella audio-visuale, con l’avvento della società dell’informazione si è trovata davanti ad una riformulazione delle tecniche portando con sé delle trasformazioni anche sul piano della percezione e della valutazione stessa della cultura, fino a rinnovare – se non addirittura stravolgere – il senso estetico che aveva fatto da sfondo alla modernità. Sulla base di queste considerazioni, Lev Manovich nel saggio Il linguaggio dei nuovi media (2002) dimostra quanto le nuove tecniche audio-visuali possano avere delle ricadute sotto il profilo della produzione culturale e della rappresentazione della stessa. Nel fare ciò Manovich pone in relazione le tecnologie per l’informazione e la comunicazione a diverse altre aree della cultura, passate e presenti: • alle arti e ai media tradizionali e quindi al linguaggio e le loro strategie per organizzare le informazioni e strutturare l’esperienza dello spettatore; • alla tecnologia informatica, alle proprietà materiali del computer, alle modalità con cui viene utilizzato nella società moderna, la struttura della sua interfaccia e le principali applicazioni; • alla cultura visiva contemporanea, l’iconografia, l’iconologia e l’esperienza vissuta dall’utente dei diversi ambiti visuali della nostra cultura (moda pubblicità, supermercati e oggetti artistici, programmi televisivi e banner pubblicitari, uffici e tecno club); • alla cultura dell’informazione contemporanea. Secondo Manovich, la computerizzazione della cultura svolge due funzioni importanti: contribuisce alla nascita di nuove forme culturali, come i videogiochi e i mondi virtuali, e ridefinisce quelle preesistenti, come la fotografia e il cinema, 34 bisogna quindi analizzare anche gli effetti della rivoluzione informatica sulla cultura visuale in generale. Il concetto di cultura dell’informazione è parallelo al concetto di cultura visiva, include le modalità con cui vengono presentate le informazioni nei diversi oggetti culturali e nei diversi ambiti: cartelli stradali, display ubicati negli aeroporti e nelle stazioni, menu televisivi, layout grafici dei telegiornali. Se si vogliono comprendere appieno le trasformazioni culturali che attraversano il sistema informazionale è dunque fondamentale tenere presente la dimensione visuale e artistica, oltre che linguistica, della cultura informatica. L’orientamento analitico espresso da Manovich appartiene a quel filone sociologico che poggia le sue radici sulle riflessioni dello studioso tedesco Walter Benjamin. Infatti, nel testo L’opera d’arte nella sua riproducibilità tecnica (1936) Benjamin aveva già evidenziato la stretta relazione che sussiste tra tecnica, tecnologia e arte visuale. Per Benjamin, l’opera d’arte è sempre stata riproducibile, una cosa fatta dagli uomini ha sempre potuto essere rifatta dagli uomini. La riproduzione tecnica dell’opera d’arte è invece qualcosa di nuovo, che si afferma nella storia ad intermittenza, a ondate spesso lontane l’una dalle altre, e con crescente intensità. In questi periodi storici, insieme con i modi di esistenza delle collettività umane, si modificano anche i modi e i generi della loro percezione. La percezione umana è dunque organizzata sia in modo storico, intorno ai modi culturali, ma anche nel medium in cui essa ha luogo (Benjamin 1936). Questo passaggio evidenza quanto l’arte e la percezione dell’arte - e non solo debbano essere valutate in rapporto alle tecnologie e, più specificamente, al medium vigente. Le tecnologie per l’informazione e la comunicazione, con a capo la rete, sono oggi gli strumenti al quale fare riferimento se si vogliono comprendere le trasformazioni tecniche e procedurali che attraversano tanto l’arte quanto la sua interpretazione estetica27. L’approccio culturale si pone dunque come punto di incontro di molteplici letture disciplinari del sistema informazionale. Esso vuole collocarsi come un nuovo filone interpretativo legato allo sviluppo delle tecnologie e alla relativa crescente complessità, ma in realtà, l’approccio culturale, affonda le sue radici in quei settori della teoria sociale che, sin dal positivismo di Comte, hanno da sempre caratterizzato l’epistemologia della ricerca sociale. 27 A partire dalle intuizioni di Benjamin, Susca propone un’originale ed interessante lettura culturale del sistema politico nella società dell’informazione. Il curatore del testo Immaginari postdemocratici (2006), si chiede se è possibile servirci dell’idea della riproducibilità - tanto cara a Benjamin - dislocandola ed applicandola alla politica. Ovvero, che succede alla politica nell’epoca della sua riproducibilità digitale? Già la televisione aveva contribuito ad operare un importante slittamento dal leader idealtipico come figura sacra ed eroica al politico come uomo comune, e allo stesso modo dobbiamo aspettarci una trasformazione del politico con l’avvento di tecnologie come la rete. Così come il corollario dell’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica è il progressivo divenire arte del pubblico, quello della politica nella sua riproducibilità digitale è la dissolvenza del politico nel corpo sociale, il divenire (mondo) politico (del mondo) dell’intrattenimento dello spettacolo e del consumo (Susca 2003, p. 111). Ogni medium porta con sé una nuovo paradigma relazionale e di potere. Le tecnologie dell’informazione e la comunicazione basate su un sistema di reti sostengono, secondo Susca, una riconfigurazione debole, orizzontale e decentrata del potere, in cui il cybernauta e la comunità nelle quali è immerso divengono le figure protagoniste di questo nuovo scenario sociale. 35 Come vedremo nei prossimi capitoli, l’uso dell’approccio culturale, per comprendere le profonde trasformazioni legate all’affermazione della società dell’informazione, è stato spesso utilizzato tanto da intellettuali quanto da tecnici e politici per spiegare – e molte volte motivare - la natura e la ratio di determinati interventi e, come nel caso delle Information SuperHighways di Al Gore, addirittura facendone un vero e proprio orientamento politico28. 5. L’approccio sociale: comunitarismo, identità e disuguaglianze digitali L’approccio sociale è una delle piattaforme analitiche che più di tutte hanno contribuito alla strutturazione dei diversi piani di azione e sviluppo della Information Society. Sviluppatosi sugli inizi degli anni ’90, oggi occupa un ruolo di primordine nella costruzione delle politiche pubbliche per lo sviluppo della società dell’informazione, fino a diventare una delle linee di azione più perseguite dagli esecutivi e dalle diverse istituzioni nazionali ed internazionali. L’approccio sociale alla società dell’informazione ha comunque radici ben più remote. Lo stesso Touraine rilevava che l’affermazione di un sistema basato sull’informazione, oltre ai cambiamenti nella struttura produttiva, portava con sé trasformazioni prevalentemente sociali, relative alle classi, alla stratificazione, ai conflitti fino a coinvolgere il ruolo dell’individuo nella società. Allo stesso modo Daniel Bell esprimeva le proprie perplessità concernenti l’informazione come risorsa di potere29. Successivamente, molti altri autori si sono preoccupati di comprendere e spiegare le problematiche sociali connesse alla crescente complessità tecnologica e all’emergere di una economia informazionale (Porat 1977, Kranzberg 1985, Giddens 1984). L’affermazione di una piattaforma concettuale comune e un ventaglio di lemmi sui quali ragionare e procedere all’analisi è però andata configurandosi solo nell’ultimo decennio del secolo scorso. È dunque solo dai primi anni ’90 che possiamo cominciare a parlare di un approccio sociale alla società dell’informazione. In realtà, è stato lo sviluppo sociale delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione a scandire i tempi e dettarne i presupposti minimi. In quegli anni, l’allora vice presidente degli Stati Uniti Al Gore tenne il famoso discorso sulle Information Superhighway nel quale presentò il programma di azione e di riforma dell’amministrazione americana in senso tecnologico (Donati, Cubello 1999, Calise, De Rosa 2003). Nello stesso periodo, esperienze pioneristiche come le community network e le nostrane reti civiche stavano lentamente alterando le ICTs, in particolare la rete, trasformandole in uno spazio dove anche semplici cittadini, dotati di piccole competenze tecniche e pochi strumenti, potevano condividere e scambiare 28 Neologismo introdotto con il programma National Information Infrastructure dell'amministrazione Clinton/Gore, (NII) di liberalizzazione dei servizi di comunicazione per poter integrare tutti gli aspetti di Internet, CATV, telefonia, commercio, intrattenimento, sistemi di informazione, insegnamento, etc. Per approfondimenti si veda Calise M., De Rosa R., Il governo elettronico: visioni, primi risultati e un'agenda di ricerca, Rivista Italiana di Scienza Politica, n.2, 2003, pp. 257- 284. 29 Si veda il paragrafo 1 di questo capitolo. 36 informazioni su temi specifici. Abbiamo quindi, da un lato, le prime risposte politiche ai problemi sociali sollevati dalla società dell’informazione, si pensi al Digital Divide e alle problematiche relative all’accesso, dall’altro, le prime e timide esperienze comunitarie di partecipazione sociale, politica e civile attraverso le tecnologie per l’informazione e la comunicazione. In altre parole, la società dell’informazione cominciava a mostrare i primi segni di una trasformazione che, oltre a coinvolgere la dimensione economica e culturale, tendeva a incidere su alcuni dei concetti chiave cari alla tradizione sociologica. A partire da queste considerazioni, è possibile suddividere l’approccio sociale in due distinti orientamenti analitici. Un primo orientamento è per lo più legato alle questioni concernenti la sfera relazionale delle tecnologie dell’informazione e la comunicazione, dove le esigenze di comprensione e spiegazione erano rivolte a chiarire le dinamiche sociali e politiche sottese a fenomeni quali la convergenza e la connettività delle tecnologie (Rheingold 1994, Turkle 1996, Castells 1997). Un secondo orientamento e invece maggiormente legato al problema dell’accesso e della redistribuzione delle risorse informative, nel quale la definizione e la spiegazione delle disuguaglianze, dovute alla crescente pervasività delle tecnologie per l’informazione e la comunicazione, erano e sono le tematiche centrali da affrontare (Norris 1999, Wilson 2000, Di Maggio, Hargittai 2003). Lungo questo continuum, l’approccio sociale ha negli anni strutturato le proprie considerazioni sul tema della società dell’informazione. Concetti come comunità, identità, stratificazione, disuguaglianza sono stati al centro di molti studi e ricerche e, tuttora, il dibattito teorico è ancora pienamente in corso. Uno dei precursori più significativi dell’approccio sociale è senza dubbio Howard Rheingold che, con il suo celebre Comunità Virtuali (1994), ha fornito gli elementi essenziali per la comprensione e la spiegazione delle comunità formatesi e cresciute con l’ausilio di uno strumento come quello della rete. Anche Sherry Turkle con La vita sullo schermo (1996) ha inserito un importante tassello negli studi sulle comunità virtuali e sui processi di formazione delle identità. Il suo testo ha infatti offerto un primo studio sul rapporto identità/comunità, una dicotomia fondamentale negli studi sociologici tradizionali. «Lo schermo del computer è la nuova dimora delle nostre fantasie, erotiche e intellettuali. Stiamo utilizzando la vita sullo schermo del computer per metterci a nostro agio con i nuovi modi di considerare l’evoluzione, le relazioni, la sessualità, la politica, l'identità» (Turkle 1996, p. 22). Prima dell’avvento della rete queste relazioni di trasformazione dell’identità rapportate ad un computer avvenivano quasi sempre singolarmente, da uno a uno, una persona sola con una sola macchina. Con la rete, Internet, questo rapporto cambia. Il computer è diventato qualcosa di più di uno strumento: siamo in grado di penetrare nello schermo riflettente. Possiamo comunque continuare a navigare da soli, scoprire e progettare nuovi sistemi virtuali ma quando penetriamo nello schermo riflettente sempre più spesso vi troviamo altra gente (Turkle 1996). 37 Castells nel testo Il potere delle identità30 (1997) riprende il dibattito rilanciando alcuni passaggi circa lo stretto rapporto venutosi a creare tra identità e comunità nel divenire tecnologico della società. Come chiarisce lo stesso autore sin dalla prefazione, l’identità è un processo di costruzione di significato fondato su un attributo culturale, o una serie di attributi culturali in relazione tra loro. Ogni individuo può assumere molteplici identità, ma tale pluralità è causa di stress e contraddizioni perché essa va distinta dai ruoli. I ruoli (madre, lavoratrice, vicino di casa ecc) sono definiti da norme stabilite mentre le identità sono fonte di senso nelle azioni degli attori. In breve, le identità si differenziano dai ruoli in quanto le prime organizzano il significato mentre i secondi organizzano le funzioni. A partire da queste brevi considerazioni, Castells concentra la sua analisi su quelle che egli stesso definisce come identità collettive. L’ipotesi di base dell’autore è che coloro che costruiscono l’identità insieme alle ragioni che li muovono, determinano ampiamente il contenuto simbolico dell’identità stessa e il senso che essa ha per coloro che vi si identificano o che se ne pongono al di fuori (Castells 1997). Le identità collettive in una società di tipo informazionale si fondano, per la maggioranze degli individui e dei gruppi sociali, su una disgiunzione tra locale e globale e su una separazione fra potere ed esperienza collocati in diverse cornici spazio-temporali. In queste condizioni la società civile si restringe e si disarticola perché, afferma Castells, viene a mancare la continuità tra logica di produzione del potere e logica dell’associazione e della rappresentanza in dati contesti sociali e culturali. Di conseguenza, la ricerca di senso ha luogo nella costruzione di identità difensive intorno a principi comunitari31. E’ dunque nell’analisi dei processi, delle condizioni e dei risultati derivanti dalla trasformazione della resistenza comunitaria il campo di una teoria del cambiamento sociale nell’età dell’informazione (Castells 1997). Il processo di costruzione dell’identità si nutre ancora dei presupposti che la teoria sociale tradizionale aveva già ampiamente discusso, essi però vanno riconsiderati alla luce dei nuovi rapporti emersi da un sistema di informazione e comunicazione con caratteristiche del tutto diverse rispetto a quelli conosciuti nella modernità. Identità, gruppo sociale, ruolo, comunità sono quindi messi in relazione allo sviluppo tecnologico della società. Caratteristiche come la convergenza, la reticolarità o la connettività incidono profondamente nei processi di costruzione dell’identità, del Sé o nei meccanismi relazionali, di inclusività e di appartenenza tipici delle comunità. In questo contesto culturale, l’approccio sociale si è posto dunque il problema di spiegare quali sono i rapporti che intercorrono tra individuo e ambiente sociale 30 Il testo citato è il secondo tomo della trilogia già precedentemente discussa. Per meglio argomentare la sua ipotesi di costruzione sociale delle identità collettive, Castells introduce una distinzione tra diverse forme e genealogie della costruzione delle identità. Vi sono innanzitutto le identità legittimate, introdotte dalle istituzioni dominanti nella società per estendere e razionalizzare il dominio degli attori sociali; identità resistenziali, generate da quegli attori che sono in posizioni/condizioni svalutate e/o stigmatizzate da parte della logica di dominio e che quindi costruiscono trincee per la resistenza e la sopravvivenza sulla base di principi diversi, se non addirittura opposti, a quelli che formano le istituzioni della società; infine abbiamo le identità progettuali, si hanno quando gli attori sociali costruiscono una nuova identità che ridefinisce la loro posizione nella società e cercando di trasformare la struttura sociale nel suo complesso (cfr. Castells 1997). 31 38 ponendo le tecnologie di rete come lente fondamentale attraverso la quale leggere il cambiamento. Un ulteriore punto di riflessione che ha caratterizzato l’approccio sociale riguarda l’accesso alle risorse informative. Come già evidenziato precedentemente, il tema delle risorse informative è stato più volte sollevato dalla ricerca sociale e politica (Touraine 1969, Giddens 1984), ma la stretta connessione venutasi a creare sugli inizi degli anni ’90 tra accesso e tecnologie ha fatto si che gradualmente si creasse un preciso filone intellettuale sul tema delle disuguaglianze digitali. In verità, il tema dell’accesso nella ricerca sociale non è stato sempre al centro dell’attenzione degli studiosi, esso si è alimentato a partire dal già citato discorso di Al Gore che, oltre a dettare le linee guida dei provvedimenti infrastrutturali da attuare, evidenziò anche le difficoltà sociali relative all’accesso imposte da un sistema basato sull’informazione e la comunicazione. Il problema dell’accesso e delle disuguaglianze digitali comincia così ad occupare un ruolo primario nelle linee di sviluppo, il Digital divide fa così il suo ingresso ufficiale nelle agende politiche dei diversi esecutivi e dei molteplici organi istituzionali internazionali. Sotto il profilo terminologico il Digital divide è solitamente associato al rapporto della Ntia (National Telecommunications and Information Administration) Falling Through the Net: A Survey of the Have –nots in rural and Urban America32 (1994) ma, come fa notare Sartori, a quel tempo si parlava di have-nots pensando ad altre tecnologie – come il telefono o la televisione satellitare – considerate parte integrante dell’infrastruttura di base di un paese rispetto alle quali non poteva mancare l’accesso. Il merito del rapporto è stato dunque quello di aprire un vero e proprio filone di studi legato all’analisi delle disuguaglianze nella società dell’informazione e, cosa ancor più importante, ha avuto la funzione di orientare parte delle riflessioni verso la rete, Internet, e le diverse applicazioni tecnologiche che andavano affermandosi in quel periodo. L’approccio sociale verso le disuguaglianze allarga dunque i suoi orizzonti teorici. Internet diviene meta preferita di gran parte della analisi che accompagnavano la teoria sociale sulle disuguaglianze digitali mentre l’accesso alla rete diviene il metro attraverso il quale misurare, leggere e spiegare teoricamente ed empiricamente il fenomeno del Digital divide. Secondo Norris, il termine Digital divide ha circolato rapidamente all’interno della comunità scientifica - e non solo - perché viene usato in maniera impropria per qualsiasi forma di disparità all’interno delle comunità che vivono in rete. Esso è invece un concetto multidimensionale che comprende tre distinti aspetti o fratture che stesso la Norris definisce rispettivamente come globale, sociale e democratico. Abbiamo dunque una frattura mondiale, ovvero la divergenza di accesso a Internet tra paesi industrializzati e paesi in via di sviluppo; una frattura sociale, che riguarda la distribuzione delle informazioni all’interno di ogni nazione; infine esiste una frattura all’interno della rete tra quelli che mobilitano, coinvolgono e partecipano alla vita pubblica e chi invece ne fa solo un uso passivo, spesso ludico e troppe volte legato solo al semplice consumo (Norris 2001). 32 Il testo intero del rapporto http://www.ntia.doc.gov/ntiahome/fallingthru.html 39 è reperibile al sito Di Maggio e Hargittai (2001) fanno notare che la scoperta di diversi divari digitali è strettamente connessa alla domanda su che cosa fa la gente una volta che è entrata in rete. In effetti, legare la ricerca sul Digital divide al semplice accesso è sempre meno produttivo dal punto di vista analitico man mano che la quota di persone che navigano cresce. Questo modo di leggere il fenomeno rende il Digital divide un concetto intimamente legato allo sviluppo e all’uso che facciamo delle tecnologie per l’informazione e la comunicazione. Con l’aumento della penetrazione delle nuove tecnologie il divario in termini di accesso va inevitabilmente riducendosi e le dimensioni relative alla qualità dell’uso diventano la base dalla quale partire per comprendere il fenomeno. Su questo punto la Norris sostiene che qualsiasi analisi rivolta all’accesso e alle disuguaglianze digitali ha per sua natura una durata limitata che non può superare i dieci anni. La tecnologia continua ad evolversi rapidamente, insieme con i suoi usi sociali, e qualsiasi stima o proiezione e inevitabilmente superata dagli eventi. Tuttavia, nonostante la necessità di una considerevole cautela, se siamo in grado di stabilire il motore principale della diffusione di Internet, e capaci di dimostrare le ragioni che stanno dietro all'adozione di teorie ed interventi tesi alla diminuzione delle disuguaglianze ci troveremo in una posizione migliore per comprendere e prevedere il probabile modello di sviluppi futuri, le potenziali conseguenze e anche le iniziative politiche più probabili per superare le suddette fratture. Hargittai propone quindi di andare oltre la semplice concezione dell’accesso e sostiene che per comprendere e analizzare le disparità digitali bisogna attraversare almeno quattro fasi: 1. Individuare le dimensioni della disuguaglianza33; 2. Documentare le differenze tra i gruppi che si vogliono analizzare; 3. Spiegare se vi sono precedenti di disuguaglianza nelle dimensioni prese in analisi; 4. Modellare il rapporto sulle diverse forme di disuguaglianza individuate e fare un lavoro di critica dei risultati ai quali si è pervenuti; Sia Hargittai che Norris propongono dunque una visione che va oltre la definizione dicotomica del fenomeno e maggiormente concentrata all’uso più che all’accesso. Il dibattito sull’uso della rete e le relative disuguaglianze ha comunque una domanda di fondo alla quale la letteratura non ha ancora risposto in maniera esauriente: in che modo quantificare, qualificare e interpretare le differenze nell’uso? 33 In un paper presentato alla Princeton University dal titolo From the 'Digital Divide' to 'Digital Inequality': Studying Internet Use as Penetration Increases (2001), Hargittai espone e spiega come procedere nella prima delle fasi da lui individuate. Nell’identificazione delle dimensioni si devono richiamare almeno cinque punti. Il primo punto è la variazione di mezzi tecnici – hardware, software, connessioni etc – che le persone possiedono per accedere. Il secondo punto è identificare la variazione dell’autonomia dell’uso del Web. Per esempio se l'accesso è dal lavoro o da casa, se il loro utilizzo è controllato o non monitorato, o se deve competere con altri utenti per usufruire della linea. La terza è l'ineguaglianza nell’abilità nell’uso dello strumento. La quarta è l'ineguaglianza nel sostegno sociale (social support) dal quale l’utente di Internet può attingere. Il quinto è la variazione della finalità per cui le persone utilizzano la tecnologia. 40 Prova a dare una soluzione a questa domanda Sartori (2006), proponendo di rileggere tali differenze con i già noti differenziali di conoscenza (knowledge gaps). Questa prospettiva di analisi sociale ipotizza che gli individui in posizione privilegiata saranno comunque i primi ad accorgersi dei vantaggi offerti dalle tecnologie e ne possono sostenere anche i costi. Inoltre, siccome sono anche maggiormente equipaggiati sotto il profilo educativo e culturale, sono proprio questi ultimi ad elaborare in maniera efficiente le informazioni acquisite. Si tratta dunque di un circuito virtuoso che interessa e privilegia chi già occupa posizioni elevate nella struttura sociale, favorendo così un aumento delle differenze nelle dotazioni individuali di capitale culturale (Sartori 2006). Sartori fa notare che il meccanismo dei differenziali di conoscenza fu sottolineato da Merton con il nome di «Effetto S. Matteo34». Con l’affermazione della rete questo effetto è ancora più visibile. Chi ha acquisito esperienza nell’uso di Internet o, più in generale, con l’uso delle tecnologie per l’informazione e la comunicazione riuscirà a sfruttare e capitalizzare le opportunità offerte in misura superiore, grazie ad un uso più sofisticato e ad una capacità di ricerca di informazione più articolata (Sartori 2006). Questo spostamento graduale dall’accesso all’uso delle nuove tecnologie ha fatto si che si ponessero problemi relativi all’accessibilità e alle problematiche di coinvolgimento di determinati strati della società – come ad esempio i diversamente abili - che potrebbero restare esclusi dall’evoluzione tecnologica. Secondo Maretti, i concetti che regolano l'accessibilità alle risorse informatiche – a differenza dell’accesso - si basano sul principio della progettazione universale35. Esso ha origine nell'architettura, e ha come obiettivo la costruzione di edifici che soddisfino le esigenze di tutti gli utenti, compresi quelli con disabilità. La costruzione di edifici di questo tipo permette di evitare di dover effettuare interventi migliorativi a posteriori, con soluzioni tecniche spesso inadeguate e con conseguenze estetiche disastrose (Maretti 2003). Il tema dell’accessibilità da issues con forti connotati sociali negli ultimi anni è gradualmente diventato un argomento di tensioni teoriche anche nella sfera del diritto, basta pensare ai diversi tentativi forniti da organi di diversa natura nel progettare punti di riferimento giuridici e normativi che potessero garantire il diritto all’informazione a tutti gli strati della società, a partire dai disabili36. 34 «[…] a chi ha verrà dato, in modo che abbia ancor più in abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che sembra avere», dal Vangelo secondo Matteo, XXV pp. 25-29. 35 Solitamente accessibilità è associato e talora confuso con usabilità. Va chiarito che accessibilità e usabilità non sono sinonimi. Per accessibilità s’intende progettare un sistema, una tecnologia, un software che possa essere utilizzato da tutti. Nel caso dei siti Internet anche da coloro che sono costretti a usare periferiche specifiche, browser particolari o specifici software di supporto. Per usabilità s’intende invece mettere l'utente al centro del processo di analisi e sviluppo del sistema, della tecnologia o del software e tenere quindi conto della diversità delle sue esigenze specifiche, dalle diverse modalità d'uso. In generale possiamo dire che l’accessibilità è un requisito della usabilità e può essere letta come condizione necessaria ma non sufficiente. 36 In materia di accessibilità al Web esistono diverse proposte programmatiche e normative. In questo contesto, vale la pena sottolineare le linee guida emesse dal Consorzio W3C reperibili al sito http://www.w3.org/wai. Esse prendono il nome di WAI (Web Accessibility Initiative), e propongono alcune regole universali, in base alle quali è possibile allestire siti Web consultabili da persone con 41 L’approccio sociale si è dunque dotato negl’anni di un vasto ventaglio teorico che copre molteplici problematiche relative tanto all’uso quanto alle trasformazione sociali dovute allo sviluppo del sistema informazionale. Sotto il profilo paradigmatico, l’approccio sociale si pone sia come portatore di una certa tradizione analitica, si pensi al rapporto individuo/comunità, sia come propulsore per la formulazione di teorie che si preoccupano dei processi di innovazione sociale in atto. Come dimostreremo nei successivi capitoli, l’approccio sociale sarà una delle vision che ha maggiormente caratterizzato la definizione e la costruzione delle policies per la società dell’informazion. disabilità, o da utenti che non utilizzino. 42 CAPITOLO 2 Società dell’informazione, sfera pubblica e democrazia elettronica Premessa Nel descrivere i diversi orientamenti interpretativi abbiamo costatato che tutte le dimensioni del vivere civile e sociale sono inevitabilmente connesse allo sviluppo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, e che il crescente grado di pervasività delle stesse ha influito radicalmente sul nostro modo di concepire e rappresentare l’intero sistema sociale ed economico. Con il termine società dell’informazione noi tendiamo quindi ad indicare quel particolare sistema dove l’informazione e la conoscenza diventano gli elementi sui quali ruotano gran parte dalle attività umane e che, vista la dinamica evoluzione dello sviluppo tecnologico, sono destinati a rivestire nella società un ruolo sempre più importante. Anche nella scienza politica, il ruolo dell’informazione e della comunicazione è una delle dimensioni di analisi focale per comprendere i cambiamenti e gli orientamenti di un fenomeno politico, sia nelle sue caratteristiche strutturali e istituzionali che nelle sue componenti valoriali e ideologiche (Bobbio 1994, Sartori 1997, Held 1987, 1995, Lowi 1999). In effetti, affermare che la relazione tra la politica, l’informazione e la comunicazione è parte fondante dell’analisi politologica non è affatto un’eresia, essa è piuttosto uno dei punti di dibattito sul quale la disciplina si è maggiormente confrontata e che - soprattutto negli ultimi anni caratterizza buona parte delle analisi e delle ricerche. L’interesse politologico per la società dell’informazione ha invece origini recenti. Più precisamente, la società dell’informazione è entrata a far parte delle analisi politiche quando la letteratura ha cominciato a relazionare i concetti chiave della ricerca tanto alle opportunità quanto ai limiti che venivano offerti dalle ICTs (Barber 1985, Grossmann 1980, Rodotà 1997, Abramson, Arterton, Orren 1998, Dutton 2001). Sul piano teorico, la società dell’informazione ha dunque prodotto un nuovo percorso di ricerca politologica, capace di rimettere in discussione concetti come governo, opinione pubblica, partecipazione politica, fino a ridiscutere la democrazia e le tradizionali pratiche di partecipazione e di decisione ad essa connessa. Ed è proprio sul complesso legame tra le ICTs e la democrazia che negli ultimi anni si è sviluppato uno dei dibattiti più intensi. Un tema che in realtà rappresenta solo in parte una novità, in quanto l’idea che gli strumenti e le tecnologie dell’informazione e della comunicazione ricoprano un ruolo rilevante nella promozione della partecipazione politica nei sistemi democratici è comunque ben più radicata (Dahl 1985, Sartori 1987, Rokkan 1982, Verba 1987, Rodotà 1997). 43 Tra le tecnologie e la democrazia esiste infatti uno dei legami più articolati che la modernità abbia mai conosciuto. Un rapporto difficile da inquadrare storicamente ma che sin dal XIX secolo ha caratterizzato la struttura dei rapporti tra le diverse istituzioni (Matterlat 2003). Dall’introduzione del telegrafo elettrico che aprì un primo spazio di flussi, passando per la prima linea ferroviaria apparsa in Inghilterra nel 1830, attraverso l’avvio trasmissioni radiofoniche sugli inizi del XX secolo, fino alla TV via cavo statunitensi degli anni ‘80 l’idea che le tecnologie abbiano un carattere implicitamente democratico, universalistico e addirittura ecumenico non ha mai abbandonato il pensiero sociale e politico moderno (Flichy 1996, Matterlat 2003). Ne è convinto anche Benjamin Barber sostenendo che la modernità può essere definita politicamente attraverso l'affermazione delle istituzioni democratiche, e socialmente - oltre che culturalmente - attraverso la civilizzazione e la diffusione della tecnologia. Sul ruolo futuro della democrazia noi non possiamo avere certezze, viceversa possiamo con certezza affermare che in futuro vivremo in una società dominata dalla tecnologia. Dalla scoperta del fuoco alla creazione dell'energia atomica, tutte le tecnologie sono delle scoperte che non possono essere più nascoste, regali degli dei che non possono essere restituite o cambiate (Barber 1999). A noi rimane il difficile compito di tradurre il tutto in reali opportunità, in strumenti capaci di garantirne l’uso efficacemente, creando e supportando meccanismi di promozione e sedimentazione delle buone pratiche nel vivere civile e sociale37. La massiccia e rapida diffusione delle ICTs sul finire del secolo scorso, in una inverosimile continuità con molte delle innovazioni che l’hanno preceduta, si è dunque affermata anch’essa come un’era di promesse, speranze ed opportunità38. Sin dalle prime formulazioni di carattere teorico, le tecnologie per l’informazione e la comunicazione hanno evidenziato tratti e caratteri capaci di cambiare radicalmente il nostro modo di intendere e concepire la democrazia. Attraverso la graduale tecnologizzazione della società nuove forme di partecipazione politica e sociale si sono gradualmente e lentamente affacciate e man mano istituzionalizzate come modalità democratiche specifiche. Abruzzese sostiene che questo processo si è affermato soprattutto come un mutamento radicale delle forme della vita pubblica e privata, un mutamento che nella sostanza non lascia inalterati i rapporti di potere esistenti. Le profonde trasformazioni imputabili alla relazione tra l’espansione tecnologica e i processi democratici non hanno i toni di una rivoluzione sulla quale riflettere, definire e magari esorcizzare gli effetti sulla traduzione dei rapporti tra politica e new media (Abruzzese 2001). Questo mutamento è invece il risultato più creativo del processo di rapida destrutturazione che caratterizza il transito dalla società industriale alla società postindustriale ed è dunque il prodotto della crisi di ogni dispositivo e valore della tradizione tardo-moderna, comprese le forme storiche della politica, i modi di 37 Sul rapporto tecnologia, modernità e democrazia si veda Flichy P., L'innovazione tecnologica Le teorie dell'innovazione di fronte alla rivoluzione digitale, Feltrinelli, 1996. 38 Per approfondimenti si rimanda a Matterlat A., La comunicazione globale, Editori Riuniti, Roma, 1998. 44 produzione e di consumo dei regimi democratici, i linguaggi espressivi e le forme di comunicazione39. Democrazia e tecnologie dell’informazione e della comunicazione vivono dunque un legame complesso e tuttora in via di definizione. Alla luce di questo dibattito, negli ultimi anni - in Italia come in tutta Europa – nell’arco delle politiche per la società dell’informazione sono state attivati una serie di interventi tesi a sviluppare pratiche di partecipazione democratica attraverso l’uso delle ICTs. In questo capitolo, discuteremo del contributo teorico che anche le discipline politologiche hanno apportato sia alla riflessione che alla strutturazione delle suddette pratiche. In particolare, si forniranno gli elementi minimi per comprendere le motivazioni e la ratio di determinati interventi per la democrazia e la cittadinanza elettronica nella società dell’informazione. Nella prima parte, riprenderemo il dibattito sul concetto di sfera pubblica. Come già evidenziato, le tecnologie dell’informazione e della comunicazione hanno rimesso in discussione la distinzione pubblico/privato, è dunque essenziale rileggere la sfera pubblica nelle sue caratteristiche essenziali, per poterne poi tracciare un quadro esaustivo utile alla comprensione delle pratiche democratiche attraverso l’uso delle ICTs. Nella seconda parte del capitolo, osserveremo i possibili scenari politici delineati dalla letteratura e che possono mostrarsi come strumenti utili per l’analisi delle pratiche democratiche nella società dell’informazione. Un esercizio che ci permetterà di ripercorrere la letteratura e di toccare i punti più salienti del dibattito che si è soffermato sulla definizione e la comprensione del complesso legame tra le ICTs e la democrazia. Attraverso l’analisi della letteratura di settore verranno poi discussi diversi modelli interpretativi della democrazia elettronica. Negli ultimi anni molti autori si sono soffermati sulle possibili configurazioni della democrazia nella sua estensione elettronica, proponendo diverse tipologie di lettura del fenomeno. Appare dunque opportuno riprendere i modelli più rappresentativi in modo da fornire una cornice interpretativa che contempli le diverse dimensioni analitiche del fenomeno. Il capitolo si concluderà con una riflessione teorica e concettuale sull’affermazione dei diritti di cittadinanza elettronica. La creazione di nuovi istituti volti alla garanzia e alla tutela dei diritti di cittadinanza nella società dell’informazione si è affermata come una delle prospettive teoriche e politiche più controverse e dibattute. Un contesto nel quale la nozione di cittadinanza e i relativi diritti sono stati riletti in rapporto alla crescente complessità delle tecnologie dell’informazione e la comunicazione. 39 Abruzzese riconosce comunque che il grado di interattività e di multimedialità, acquisito con la diffusione dell’informatica e della telematica, possa avere degli importanti risvolti sotto il profilo democratico. Essa costituisce un salto tecnologico straordinario rispetto ad ogni altro stadio del sistema industriale […] può quindi servire per distruggere o rafforzare i vecchi soggetti e le vecchie forme della società industriale. 45 1. Sul concetto di sfera pubblica: dalla polis, attraverso i media, fino al ciberspazio La crescente pervasività delle nuove tecnologie ha indotto molti studiosi a ritenere che la sfera pubblica – intesa come il luogo dove sedimentano e circolano idee, opinioni, punti di vista, emozioni e dove avviene l'attività di interscambio fra stato e società - sia ormai irrimediabilmente mutata e che i tradizionali paradigmi di interpretazione delle attività pubbliche vadano rivisti alla luce delle trasformazioni prodotte dalle tecnologie per l’informazione e la comunicazione. Come la stampa ha preparato il terreno per la creazione degli Stati nazionali e per lo sviluppo dell'opinione pubblica nazionale, così la rete telefonica globale, la televisione satellitare e in seguito la diffusione di Internet su scala mondiale stanno creando un nuovo spazio pubblico che sta profondamente trasformando le condizioni di governo (Matterlat 1998, Flichy 1996, Lévy 2006). Il concetto di sfera pubblica è dunque strettamente connesso alle trasformazioni prodotte dall’evoluzione delle tecnologie per l’informazione e la comunicazione, inoltre, in quasi tutte le sue formulazioni teoriche, la stretta relazione con la dimensione comunicazionale è un elemento imprescindibile. A questo punto appare inevitabile ripercorrere i passaggi teorici più importanti sul concetto se si vuole comprendere a pieno la stretta relazione che intercorre tra sfera pubblica e tecnologie per l’informazione e la comunicazione. Dal punto di vista concettuale, sfera pubblica è indissolubilmente legato al nome di Jürgen Habermas. Sono in molti a sostenere che l’autore tedesco sia stato l’unico a formulare e ad elaborare una teoria compiuta su tale concetto e che i suoi lavori, a partire dal celebre Storia e Critica dell'opinione pubblica (1977), abbiano enormemente influenzato ed orientato gran parte delle riflessioni che si sono occupate dell’argomento. Senza mai pervenire ad una visione condivisa, la ricerca ha comunque negli anni mostrato un certo interesse sui criteri attraverso i quali siamo arrivati a definire di sfera pubblica così come oggi la conosciamo. Infatti, a partire dallo stesso Habermas, uno dei punti più dibattuti sul concetto di sfera pubblica riguarda la sua genesi, e la domanda che i teorici si sono posti maggiormente è se la sfera pubblica sia un concetto essenzialmente legato alla modernità e se le sue origini sono da ricercare o meno in altri contesti e in altri periodi storici. Su questo punto molte sono state le visioni e diversi i tentativi di spiegazione. In letteratura non abbiamo dunque una teoria altrettanto elaborata, e la presenza di altri modelli appaiono come dei semplici surrogati, ricavati da congetture teoriche e strutturali ripresi indirettamente da approcci che, in generale, hanno dimostrato uno scarso interesse per la nozione (Privitera 2001). Ad una prima approssimazione possiamo affermare che la sfera pubblica, così come la concepiamo oggi, è un prodotto essenzialmente moderno e l’idea di base è che la sfera pubblica nasce e si sviluppa con il rafforzarsi delle istituzioni democratiche rappresentative e con l'evoluzione del concetto di pubblico. Vi è su questi punti un generale accordo. L'esperienza della polis greca è stata certamente una delle esperienze partecipative storicamente più significative, capace di influenzare il pensiero di autori come lo stesso Tocqueville, ma essa era priva di qualsiasi 46 dimensione che possa dirsi realmente normativa (Arendt 1962, Dahl 1977, Sartori 1957). In realtà la polis era strutturata in modo che le disuguaglianze strutturali non fossero evidenti sul piano della partecipazione politica, essa si basava su una netta separazione tra la sfera politica e quella domestica e mentre la libertà risiedeva esclusivamente nella sfera politica, la sfera domestica era il luogo dove vivevano e sedimentavano le disuguaglianze. Nella sfera domestica non vi era dunque libertà, essa non esisteva. Il capofamiglia era l'unico depositario delle libertà ed era l'unico che poteva partecipare alle attività politiche. La libertà del cittadino era legata ai legami di parentela, di vicinato o di amicizia. Vi era una quasi totale assenza di diritti individuali, infatti, il cittadino poteva si partecipare e discutere dei problemi comuni, ma solo nella misura in cui non si problematizzava la polis come unico modello di comunità e non si metteva in discussione la supremazia della stessa. Per fare ciò c’era bisogno di un istituto democratico sopraggiunto solo con l'avvento della modernità, il diritto di libertà individuale (Arendt 1962). I teorici della democrazia moderna hanno subìto il fascino della polis per via delle sue caratteristiche, come l'uguaglianza nella partecipazione e nell'accesso al discorso pubblico e alle sue decisioni, la distinzione netta tra oratori e ascoltatori e la limitata sproporzione di risorse tra i cittadini. È in questo senso che la polis ha certamente esercitato una discreta influenza sulle concezioni moderne di democrazia, soprattutto per via del nucleo normativo che la caratterizza, ovvero l'uguaglianza come reciprocità (Arendt 1962, Dahl 1977, Habermas 1971). A partire da queste considerazioni potremmo dunque azzardare un’ipotesi meno rigida, e cioè che la sfera pubblica non è un prodotto moderno, essa è piuttosto il frutto di un lento processo cominciato nelle città-stato greche e che nella modernità ha avuto la sua massima espressione. La sfera pubblica quindi nasce nell’antichità ma si sviluppa solo con l’affermazione della modernità. Infatti, Privitera ad esempio ritiene che la sfera pubblica moderna è il risultato di almeno tre grandi trasformazioni che nel corso della storia hanno contribuito a strutturare la sfera pubblica. La prima grande trasformazione riguarda la rivoluzione giuridica avvenuta con l’affermazione del diritto canonico. Attraverso l’affermazione del diritto canonico il diritto cessa di essere soltanto strumento di regolazione di concreti rapporti sociali di potere, e diventa anche un corpus dottrinario sistemico che trae la propria coerenza da principi generali. È attraverso Rousseau e Kant che il diritto acquisisce una funzione sovraordinata al dominio politico creando le premesse per attribuire alla sfera pubblica quella funzione di sovrano e di giudice morale che oggi le assegniamo (Privitera 2001). La seconda trasformazione fa riferimento al graduale processo di individualizzazione, attraverso il quale la sfera pubblica è andata lentamente frammentandosi. In questo contesto, la sfera politica è divenuta autonoma differenziandosi così da quella economica indicando in questo modo una graduale emancipazione del singolo dall'autorità politica. L'identità del cittadino non si forma più in esclusiva e indiscutibile indipendenza dal contesto fattuale delle leggi e delle tradizioni della propria città, ma nell'ambito più astratto, di una identità orientata a principi generali di orientamento all'agire (Privitera 2001). Infine la terza trasformazione riguarda i media che rappresentano una spinta dal concreto 47 all'astratto, trasformando lo spazio pubblico da un contesto assembleare di tipo dialogico in un nesso di comunicazione mediato senza limiti di tempo o spazio. A partire da queste riflessioni Privitera traccia due modelli di sfera pubblica che, anche senza una vera e propria stesura, sono emersi nell'arco della modernità. Abbiamo innanzitutto un modello liberale di sfera pubblica dove l’individuo è l’espressione di una razionalità economica e di mercato e quindi inevitabilmente il soggetto è inteso come un puro agente economico in opposizione alla sfera politica. L’individuo liberale viene concettualizzato come titolare dei diritti di una sfera privata insondabile e insindacabile che non può essere fatta oggetto di discussione pubblica. Un approccio che inevitabilmente comporta un rafforzamento sul ruolo e le funzioni di quelli che sono concepiti come attori sociali collettivi, percepiti come i soli capaci di difendere gli interessi contesi. La sfera pubblica risulta così come un campo di aggregazione e di scontro di interessi di gruppo che si rappresentano pubblicamente con l’obiettivo di ottenere consensi da tradurre in voti e quindi, in proporzione al loro numero, in controllo delle istituzioni della sfera politicoamministrativa (Privitera 2001). Nel modello liberale la sfera pubblica ha in particolare la funzione di osservazione, controllo e limitazione del potere statale. Il pubblico è da questo punto di vista l'istanza principale di controllo del potere. Il modello liberale incontra però dei limiti nel momento in cui cerca di spiegare la funzione e l'utilità dei discorsi pubblici e l'impatto che hanno sulle vedute dei singoli. La sfera pubblica finisce con il rientrare nel più ampio quadro concettuale relativo all'ordine e alla coesistenza in comune. Come sottolinea lo stesso Privitera, essa sembra ignorare il valore della discussione pubblica. Il modello repubblicano invece propone una nozione profondamente politica di individuo, incentrata sulla sua capacità di costruire socialmente la propria identità nel corso dei processi pubblici di autodefinizione. Infatti, nel modello repubblicano i diritti politici di maggiore peso sono i diritti positivi di partecipazione che si esercitano in un quadro di democrazia deliberativa. L’obiettivo principale del processo politico nel modello repubblicano non è quello di pervenire al controllo delle leve amministrative del potere statale quanto quello di acquisire e tenere vivo un potere comunicativo e delle virtù civiche che si pongono come tendenzialmente antagonistici nei confronti del potere politico amministrativo dello stato. Il dialogo è concepito come un elemento attraverso cui i cittadini formano la propria identità e la propria volontà politica. In sintesi, si può affermare che il modello repubblicano si caratterizza soprattutto per la sottolineatura della centralità di tutti i problemi di tipo identitario e per la forte connotazione etica, morale e civile dei cittadini. Il tema delle virtù civiche rappresenta la forza ma nello stesso tempo anche l’aspetto più problematico del modello repubblicano40. Inoltre nell’approccio repubblicano è evidente l’impossibilità 40 Sul tema delle virtù civiche nella modernità ed i relativi problemi nell'affermazione e nella determinazione delle stesse vi è una vasta letteratura che se ne è occupata. Solo per citarne alcuni: Baumann Z., Modernità Liquida, Laterza, Roma-Bari, 2002; Bell D., La società post-industriale, Comunità, Milano, 1991; Lyotard J.F., La condizione postmoderna, Feltrinelli, Milano, 1981; Touraine A., Critica della modernità, Il Saggiatore, Torino, 1993. 48 di controllare l'autonomia dei diversi ambiti sistemici della società, primo fra tutti il mercato. In più risulta difficile riuscire a rivitalizzare la partecipazione democratica nel quadro di una prospettiva che tenga conto dell’autonomia del pubblico senza limitare le libertà individuali. Compiti difficili da risolvere. Il concetto di sfera pubblica è dunque complesso. Come sottolinea Hannah Arendt, la sfera pubblica si fonda nella presenza simultanea di innumerevoli prospettive e aspetti in cui il mondo comune si offre, e per cui non può essere trovata né una misura comune né un comun denominatore (Arendt 1962). A questo punto possiamo però affermare che la sfera pubblica moderna è certo legata indissolubilmente all’affermazione delle istituzioni democratiche rappresentative, ma essa riprende direttamente dall'antichità il principio normativo dell'uguaglianza e ne aggiunge un altro che, insieme alla rappresentanza, caratterizza la concezione moderna di sfera pubblica, ovvero quello di pubblicità41. Infatti, come sostiene Habermas in Storia e critica dell'opinione pubblica (1971), il linguaggio accademico, supportato dal gergo delle burocrazie e dei mezzi di informazione di massa, per molto tempo è stato incapace di cercare e trovare determinazioni più precise. Linguisticamente pubblico e sfera pubblica sono stati usati alla stessa maniera, però essi inversamente confluiscono su piani diversi e fanno riferimento a differenti fasi storiche e a una molteplicità di significati concorrenti42. Si definiscono pubbliche anche tutte quelle istituzioni che sono accessibili a tutti e nello stesso modo in cui parliamo di piazze pubbliche o di case pubbliche. «Lo Stato è il potere pubblico e deve l'attributo di pubblico al suo compito di provvedere al bene pubblico. Il pubblico si contrappone alla persona privata come potere pubblico. I servitori dello Stato sono persone pubbliche; essi occupano un ufficio pubblico, i loro affari d'ufficio sono pubblici e pubblici sono detti gli edifici e gli istituti del governo» (Habermas 1971, p. 11). Il concetto di pubblico nella modernità trova dunque la sua forma politica nello stato nazionale43. Su queste basi che Habermas elabora la sua teoria sulla genesi della 41 Privitera sostiene che con il passaggio dalla democrazia diretta a quella rappresentativa il concetto di pubblico debba essere riletto come aperto a tutti e quindi controllabile in quanto un organismo di rappresentanti eletti difficilmente potrebbe essere concepito come un organismo che opera in totale segretezza (Privitera 2001). 42 Appare utile ai fini concettuali sottolineare come il concetto di pubblico in sociologia si sia sviluppato in origine parallelamente allo studio delle folle. La folla seguendo Le Bon è stato uno dei primi meccanismi attraverso il quale i gruppi, le comunità, le classi potevano imporre la propria volontà e le proprie rivendicazioni politiche. Secondo Park, la folla e il pubblico erano simili per almeno due aspetti: innanzitutto entrambi rappresentavano meccanismi per l'adattamento e il cambiamento sociale, inoltre entrambi possono costituire vie iniziali verso la creazione di entità sociali del tutto nuove. Per approfondimenti sui concetti di folla e pubblico si rimanda alle considerazioni di Park R.E., La folla e il pubblico, Armando, Roma 1996. 43 Il termine pubblico, secondo Arendt, denota due fenomeni correlati ma non del tutto identici. In primo luogo, esso rimanda a ogni cosa che appare in pubblico e che può essere vista e udita da tutti e che ha la più ampia pubblicità possibile. Per noi ciò che appare – che è visto e sentito da altri come da noi stessi – costituisce la realtà. In secondo luogo, il termine pubblico significa il mondo stesso, in quanto è comune a tutti e distinto dallo spazio che ognuno di noi vi occupa privatamente. Questo mondo non si identifica con la terra o con la natura, come spazio limitato che da sfondo al movimento 49 sfera pubblica. Secondo Habermas è dall'incontro tra l’emergente classe di intellettuali borghesi con i rappresentanti di quella «società aristocratico-umanistica», membri di una sfera pubblica ormai in disfacimento, che attraverso la socializzazione delle loro conversazioni, si costruiscono le basi di una nuova ed inedita sfera pubblica, quella appunto borghese. La genesi della sfera pubblica è dunque da far risalire agli inizi del capitalismo finanziario e commerciale che si diffonde a cominciare dal XII secolo creò quello che noi conosciamo come libera circolazione delle merci e delle notizie. La sfera pubblica appartiene specificamente alla “società borghese” ed essa si costituisce intorno al XVIII secolo mentre già molto tempo prima si parla di ciò che è pubblico e di ciò che non lo è (Habermas 1977.). L’intuizione che si trova alla base del lavoro di Habermas - condivisa da gran parte della letteratura corrente - è l’aver distinto e caratterizzato la sfera pubblica borghese per il suo «peculiare e storicamente senza precedenti tramite del confronto: la pubblica argomentazione razionale» (Habermas 1971, p. 41). Quindi, la sfera pubblica è - come già evidenziato - il prodotto dell’emergere della modernità. Un graduale passaggio da ciò che era concreto, uno spazio domestico, una piazza, un mercato, un foro e che aveva caratterizzato gli spazi pubblici nell'antichità, a ciò che è astratto, e che trova la sua maggiore caratterizzazione e legittimazione attraverso il discorso e l'argomentare razionale44. Ripercorrendo brevemente le idee di Habermas, noi possiamo trovare la sfera pubblica ovunque, nei caffè, nei pub, nelle piazze, all'università, ma solo nel momento in cui vi è un'attività discorsiva essa diventa sfera pubblica. L'università di domenica non è una sfera pubblica, non lo è nemmeno quando un autobus che è fermo al capolinea e nel quale non vi sono passeggeri, tanto meno quando si è in chiesa ed ognuno è assorto nelle sue preghiere. Diventa sfera pubblica quando s’innesca quell’attività di confronto e discussione45. Seguendo un esempio semplice ma altamente esplicativo di Privitera un soggetto socialmente debole sia esso un immigrato o un diversamente abile, viene schernito o degli uomini, esso è connesso all'elemento artificiale, il prodotto delle mani dell'uomo, come pure i rapporti tra coloro che abitano insieme il mondo fatto dall'uomo (Arendt 1962). 44 Privitera ritiene che una delle tesi più originali di Habermas, oltre all'intuizione del primato discorsivo nella sfera pubblica, sta nella preoccupazione relativa all'esigenza di fornire dei criteri di distinzione tra una sfera pubblica autonoma, capace di un potere di critica delle istituzioni del centro, e una sfera pubblica manipolata, che può stabilizzare il potere sociale (Privitera 2001). La qualità di entrambe le sfere dipende dagli attori presenti in esse. Esistono attori tipicamente istituzionali, che appartengono ad organizzazioni consolidate e facilmente riconoscibili nelle arene della comunicazione pubblica ed esistono attori che si collocano nell'ambito fluido della comunicazione periferica. Entrambi i gruppi lottano per ottenere influenza. Una sfera pubblica con una forte presenza di attori provenienti dal basso (bottom up) come movimenti, organizzazioni non governative, associazioni è una sfera pubblica autonoma, mentre una sfera pubblica nel quale è forte la presenza di attori provenienti da istituzioni e organizzazioni strutturate (top down) sarà una sfera pubblica tendenzialmente manipolata. 45 Vale la pena sottolineare che è comunque nella polis che azione e discorso si separano diventando attività sempre più indipendenti, separazione che poi ritornerà come uno degli elementi principali nella concettualizzazione di sfera pubblica di Habermas. Attività che già Aristotele aveva chiamato bios politikos, azione (praxis) e discorso (lexis). Il discorso divenne quindi più importante dell'azione e venne inteso come mezzo di persuasione: «essere politici, vivere nella polis, voleva dire che tutto si decideva con le parole e la persuasione e non con la forza e la violenza» (Arendt 1962). 50 molestato e i passeggeri di un autobus ignorano la scena e quanto sta accadendo, abbiamo un fatto che si svolge in pubblico, ma è come se avesse luogo in privato, in questo caso la sfera pubblica è solo una debole cornice di un fatto. Mettiamo invece che qualche passeggero abbia il coraggio civile di dire qualcosa in difesa della vittima, e che il suo esempio venga considerato da altri, e che insieme trovino anche i modi e le parole giuste per capovolgere la situazione, in quel momento si genera Öffentlichkeit, sfera pubblica. La teoria discorsiva di Habermas è ancora oggi il punto di partenza per molti autori che intendono elaborare una riflessione circa il ruolo e le funzioni della sfera pubblica nella società moderna. Come già osservato, essa può essere definita come una delle poche teorie compiute, e ampiamente corroborate, per l'analisi, l'interpretazione e la valutazione del concetto ma orientata per lo più alla genesi e alla archeologia del suo divenire moderno. Più tardi sarà lo stesso Habermas ad elencarne i limiti teorici sostenendo l'esigenza di una revisione della teoria che tenesse conto dell'ampio e complesso processo di mediatizzazione che sul finire del secolo scorso ha avvolto i processi e le pratiche democratiche occidentali. Uno dei più vivaci dibattiti sul rapporto tra mass media e sfera pubblica risale alle teorizzazioni dei teorici critici della Scuola di Francoforte. Horkheimer e Adorno furono i primi studiosi a sostenere che i media potevano essere interpretate come uno strumento di sostituzione delle arene pubbliche di ateniese memoria. Secondo i due autori tedeschi, i flussi di comunicazione guidati attraverso i mass media sono subentrati al posto di quelle strutture di comunicazione che avevano reso possibili un tempo la discussione pubblica. All'agorà ateniese, al foro romano, sono sopraggiunte nuove strutture di dialogo ed interazione ma, a differenza delle piazze antiche, i media elettronici si configurano come un apparato che compenetra e domina completamente il linguaggio quotidiano comunicativo. Per i teorici critici di Francoforte, i media trasformano i contenuti autentici della cultura moderna in stereotipi, asettici e ideologicamente operanti, di una cultura massificata che si limita a raddoppiare l'esistente. Essi depurano la cultura da tutti i movimenti sovversivi e trascendenti a favore di un più ampio sistema di controllo sociale. Il particolare contesto storico e politico nel quale è maturata tale concezione ha inevitabilmente fatto da cornice interpretativa, e le congetture sul ruolo e la funzione dei media di Horkheimer e Adorno, come affermerà in seguito lo stesso Habermas, «procedono in modo astorico e non sono abbastanza complesse tale da prendere in considerazione le differenziazioni nazionali» (Habermas 1981), a cominciare dalle diversità delle strutture organizzative fino a comprendere quelle di tipo culturale e politico, che in quel periodo caratterizzavano i diversi sistemi statali occidentali. Per ovviare a questa imprecisione teorica, nella Teoria dell'agire comunicativo (1986) Habermas si dilunga spesso sul ruolo dei media nella società moderna, descrivendo e strutturando una dualità implicita del sistema dei media. E' vero, afferma l'autore, che una centralizzazione eccessiva dei media comporterebbe delle gravi ricadute sulle libertà e sulla cultura politica dei cittadini, ma è anche vero che non è l'unico scenario possibile. Seguendo il ragionamento di Habermas, da un lato abbiamo i cosiddetti media di controllo con i quali i sottosistemi si differenziano dal 51 mondo vitale46, dall'altro lato abbiamo invece forme generalizzate della comunicazione che non sostituiscono, ma semplicemente condensano la comprensione linguistica. I media di controllo sganciano in generale il coordinamento delle azioni dalla formazione linguistica del consenso e la neutralizzano. Nell'altro caso si tratta invece di una specializzazione di processi di formazione linguistica del consenso. Secondo Habermas, i media apparterebbero a queste forme generalizzate di comunicazione. «Essi staccano i processi di comunicazione dal provincialismo di contesti limitati in senso spazio temporale e fanno sorgere sfere pubbliche, in quanto istituiscono una contemporaneità astratta» (Habermas 1981). Queste sfere pubbliche dei media gerarchizzarono e al tempo stesso dischiudono l'orizzonte di comunicazioni possibili. Un potenziale ambivalente che contempla diversi aspetti che non possono essere separati l'uno dall'altro. I mass media nella misura in cui canalizzano unilateralmente flussi di comunicazione in una rete centralizzata possono rafforzare notevolmente l'efficacia dei controlli sociali ma «lo sfruttamento di questo potenziale autoritario resta però sempre precario, poiché nelle strutture comunicative è incorporato il contrappeso di un potenziale emancipativo47» (Habermas 1981). Habermas quindi dispone un principio teorico ed interpretativo duale, basato sulla contrapposizione presunta tra funzioni di controllo e funzioni proiettate all'emancipazione e alla trasformazione sociale. Tale assioma ha avuto un’enorme ricaduta sulla riflessione ed il dibattito accademico, tale da caratterizzare gran parte degli studi e delle ricerche che si sono preoccupate di definire il ruolo e le funzioni dei media nella contemporaneità. Recentemente (2006) Habermas ha affermato che ormai i media possono essere concepiti come un sistema che negli anni, soprattutto attraverso la diffusione delle ICTs nell'ambito delle attività pubbliche, ha gradualmente acquistato una sua indipendenza da altri sistemi, differenziandosi enormemente dai meccanismi di regolazione politici ed economici fino a creare dei meccanismi propri di autoregolazione48. I processi di mediatizzazione sociale e politica hanno dunque comportato una nuova e più energica spinta ad una più generale ridefinizione e rivisitazione della sfera pubblica e del suo ruolo nella modernità. Ma quali sono le caratteristiche di questo nuovo tipo di sfera pubblica? Esistono davvero i presupposti per poter reinventare la sfera pubblica? Vi è una continuità o una completa rottura con i modelli tradizionali? A questi quesiti Thompson (1998) risponde che è possibile guardare ad un nuovo tipo di sfera pubblica, ma per fare ciò bisogna partire distinguendo tra due importanti significati della dicotomia pubblico/privato. Il primo significato riguarda la relazione tra lo stato da un parte, e le attività o sfere di vita escluse o separate da esso dall'altra in quanto la sfera pubblica implica e presuppone la creazione di nuove forme di vita 46 Il concetto di mondo vitale è molto più complesso di come viene presentato in questo lavoro. Per approfondimenti si rimanda ai testi di Arendt H., Vita Activa. La condizione umana, Bompiani, Milano, 1964; Habermas J., Teoria dell'agire comunicativo, Il Mulino, Bologna, 1986; Hegel G., Enciclopedia delle scienze filosofiche, La Nuova Italia, Firenze, 1967. 47 Corsivi dell’autore. 48 Habermas J., Political communication in media society: does democracy still enjoy an episistemic dimension? The impact of normative theory on empirical research, in «Communication Theory», 16, 411426. 52 pubblica che si collochino al di «fuori dello stato». Secondo Thompson la dicotomia pubblico/privato nella modernità ha inciso sui modi di intendere sia la vita pubblica che quella politica e spiega come il termine pubblico sia finito con l'indicare le attività dello stato. «Si è preso ad intenderle come coincidenti con le attività dello stato e - almeno nei regimi democratici occidentali – con la competizione dei partiti per il potere entro regole del gioco stabilite» (Thompson 1998, p. 143). Distinguere dunque le attività dello stato da quelle politiche è, per Thompson, una premessa imprescindibile per reinventare la sfera pubblica. La storia della modernità presenta molteplici casi nei quali questa distinzione era presente ed ha avuto non pochi effetti sul vivere civile e associato. Basta pensare alle culture politiche alimentate - oltre che dai caffè e dai salotti di Habermas - dalle molteplici organizzazioni popolari ed operaie nate a cavallo tra il XIX ed il XX secolo. In questo contesto è facile capire quanto sia stato incisivo il ruolo dei mezzi di comunicazione, e soprattutto della stampa libera, nei processi di formazione di una cultura politica che tenesse conto dello stato ma che nello stesso tempo aveva attivato meccanismi di differenziazione dallo stesso. Oggi il sistema dei media è però un attore economico oltre che politico e come gli altri settori dell'economia anche l'industria mediale e culturale si basa essenzialmente sulla logica del profitto e nessuna connessione necessaria lega tale logica alla coltivazione della diversità (Thompson 1998). In seguito alla trasformazione delle società mediali in imprese commerciali la libertà di espressione si è imbattuta sempre più spesso in un nuovo tipo di minaccia, in quanto un approccio economico volto al laissez-faire non è necessariamente la garanzia migliore della libertà di espressione49. Inoltre i principali attori dell'industria culturale e mediale sono grandi corporazioni transnazionali i cui prodotti circolano al di là dei confini degli stati-nazione. E' difficile concepire un’azienda di produzioni o di distribuzione mediale su base nazionale, sarebbe poco competitiva ed intuire quale sarebbe la sua sorte non richiede un particolare sforzo creativo. I media secondo Thompson hanno creato uno spazio sempre più transfrontaliero e qualsiasi tentativo di regolamentazione che tuteli la libertà di espressione e la produzione di nuove culture e diversità politiche deve collocarsi in uno spazio che va al di là delle politiche interne dei singoli stati-nazione. Appare chiaro dunque quanto possa essere complesso strutturare una regolamentazione che tuteli diversità e pluralismo. La seconda distinzione di significato della dicotomia pubblico/privato alla quale Thompson fa riferimento ha a che fare con la relazione tra visibilità e invisibilità. Come già discusso precedentemente, i modi di intendere la sfera pubblica traggono origini dal mondo antico e, più in generale, dalle città-stato della Grecia antica. Un’idea che si basava sulla compresenza, dove gli individui si riunivano in un luogo condiviso e dove la partecipazione e la discussione su temi di interesse comuni era un elemento sostanziale. Lo sviluppo e la diffusione dei mezzi di comunicazione di massa 49 Su questo punto Thompson sostiene che per ovviare ad una tale minaccia bisogna attivare meccanismi che creino un genere di sfera pubblica che non faccia parte dello stato, né dipenda interamente da esso. Secondo Thompson il modo migliore per perseguire tale obiettivo consiste nel cercare di sostenere un principio del pluralismo regolato. Esso consiste nella creazione di una cornice istituzionale che faccia posto a una pluralità di società mediali indipendenti e ne assicuri l'esistenza. 53 ha creato nuovi tipi di sfera pubblica che condividono solo alcuni dei tratti distintivi del modello tradizionale. Tali nuove forme di sfera pubblica non sono più collocate nello spazio e nel tempo: esse separano la visibilità di azioni ed eventi dalla condivisione di un luogo comune. Né sono, in genere, di tipo dialogico (Thompson 1998). La nuova sfera pubblica mediata crea quello che Thompson definisce come lo spazio del visibile. Uno spazio che presenta delle precise caratteristiche e che, inevitabilmente, interverranno nella complessa relazione tra stato e società civile, incidendo profondamente sul nostro modo di concepire e praticare la democrazia. Lo spazio del visibile è innanzitutto non localizzato in quanto esso non trova posto né nel tempo e né nello spazio. «È uno spazio nel senso che consiste in un’apertura, in una sfera di possibilità aperta a qualunque forma simbolica mediata [...] ma non è un posto, ossia non è un ambiente particolare all'interno del quale gli individui agiscano e interagiscano» (Thompson 1998, p. 153). Inoltre è uno spazio non dialogico, nel senso che i produttori e i destinatari delle forme simboliche mediate non partecipano ad alcun dialogo. I produttori elaborano e strutturano messaggi per un insieme illimitato di destinatari, i ruoli tradizionali di produttore e ricevente sono distinti e dunque il rapporto, la relazione comunicazionale che li lega è di tipo asimmetrico. In terzo luogo Thompson definisce questa nuova sfera pubblica come aperta in quanto libera, creativa e non controllabile, uno spazio dove nuove forme simboliche e politiche possono formarsi ed alimentarsi come portatori di bisogni, saperi ed esigenze precise. L’analisi di Thompson porta dunque nuova linfa alla riflessioni circa il ruolo e le funzioni della sfera pubblica, sottolineando l'importanza cruciale che hanno i media in questo nuovo scenario. Il processo di mediatizzazione ha contribuito ad un graduale distacco dai modelli tradizionali, portando con sé elementi nuovi per reinventare e ripensare la sfera pubblica. La massificazione dei media nella seconda metà del secolo scorso ha rivitalizzato la sfera pubblica portando nuove congetture capaci di mettere in discussione il nostro modo ci concepire e praticare la democrazia. La famosa etichetta del Villaggio Globale formulata da McLuhan ormai oltre quarant'anni fa trova così la sua massima espressione proprio sul finire del secolo scorso, quando sfera pubblica e media diventano le due facce di una stessa medaglia. Con il sopraggiungere delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione avvenuta negli ultimi anni del secolo scorso, e che tutt’oggi si protrae con crescente complessità, la sfera pubblica ha mutato ex novo le sue caratteristiche trasformando per l’ennesima i luoghi dell'agire politico, economico e sociale. Lusoli (2007) sostiene che la fine della storia, ipotizzata da Fukuyama (1993), piuttosto che coincidere con la fine delle ideologie essa è in stretto rapporto con la fine della geografia, avvenuta per mano dei nuovi strumenti di comunicazione globale. Una nuova geografia dunque, dove si strutturano nuovi spazi pubblici e dove le regole sono dettate e scandite, se non del tutto imposte, dallo sviluppo e l'evoluzione delle tecnologie per l'informazione e la comunicazione. L’uso massiccio delle tecnologie per l’informazione e la comunicazione ha prodotto una rivitalizzazione della sfera pubblica, sviluppando nello stesso tempo alternative capaci di fornire nuove opportunità di partecipazione sociale e politica, di 54 discussione, confronto e dibattito. Le tecnologie hanno accresciuto enormemente le opportunità di partecipazione e di intervento, ed il ricorso a strumenti quali la rete per la ricerca di informazioni di pubblica utilità, di condivisione e scambio delle stesse informazioni ha ridefinito ruoli e funzioni, diritti e doveri di gran parte degli attori politici e sociali. La rete ha le caratteristiche per essere una sfera pubblica libera, senza pregiudizi, dove tutte le opinioni possono essere presentate, argomentate, contraddette. In questo senso non si presenta esclusivamente come una buona dilatazione della sfere pubbliche che già esistono, ma come un elemento di utile contraddizione e conflitto con gli altri attori pubblici. Attraverso l’uso di Internet si sono sviluppate forme spaziali capaci di produrre meccanismi del tutto diversi da quelle tradizionali50. Una mutazione che, secondo Castells, si organizza come opposizione tra globalità e localismo: «Nei settori dell’economia, della politica, della tecnologia le autorità istituzionali sono organizzati sotto forma di reti globali, nello stesso tempo lavoro, tempo libero, partecipazione politica e le identità culturali sono essenzialmente locali. In questo contesto sono le città, in quanto sistemi di comunicazione, fungono da collante tra globale e locale« (Castells 2004, p.37). Seguendo il ragionamento di Castells, nella società dell'informazione stiamo assistendo a una crescente tensione e articolazione tra spazio fisico e spazio dei flussi. Lo spazio dei flussi stabilisce un collegamento elettronico tra luoghi fisicamente separati, creando un network interattivo di relazioni tra attività e individui a prescindere dallo specifico contesto di riferimento. Lo spazio fisico, invece, organizza le esperienze nei limiti della collocazione geografica. Le città moderne vengono continuamente strutturate e destrutturate da queste due logiche contrapposte. La nostra esistenza cittadina diventa una: «[…] un’e-topia, una nuova realtà di incessante interazione, volontaria e non, con i sistemi di informazione online [...] Lo spazio dei flussi è radicato nello spazio fisico, ma le due logiche sono profondamente diverse: l'esperienza online e quella materiale hanno caratteristiche proprie [...] Il problema è dunque quello di arrivare a garantire un'adeguata articolazione fra i due sistemi» (Castells 2004, p. 37 ). Lo spazio fisico è dunque stato ridotto con l'avvento del treno e dell'automobile ed infine annullato con il sopraggiungere dei mezzi di comunicazione. Quella che molti autori, riprendendo il termine da un noto romanzo di Gibson, non hanno esitato a definire ciberspazio. Seguendo brevemente le idee di Lévy, il ciberspazio è dal punto di vista tecnico l'interconnessione fra tutti i computer del mondo mentre sul piano fisico, questa interconnessione passa principalmente per la 50 A tal riguardo Marc Augè attraverso la suggestiva formula del non-luogo ha ben spiegato questo graduale processo di deterritorializzazione cominciato con le reti di trasporto e continuata con le reti di comunicazione. Gli aeroporti, le stazioni ferroviarie e aerospaziali, le grandi catene alberghiere, le strutture per il tempo libero, i grandi spazi commerciali e la complessa matassa di reti cablate o senza fili che mobilitano lo spazio sono tutti non luoghi. Se un luogo, secondo le concettualizzazioni più comuni, può definirsi come identitario, relazionale, storico, di conseguenza uno spazio che non può definirsi né identitario né relazionale né storico, definirà dunque un non-luogo. 55 rete telefonica. L'interconnessione fisica fra le macchine implica, virtualmente, la messa in comune delle informazioni immagazzinate nelle loro memorie e il contatto fra tutti gli individui e i gruppi che si trovano davanti ai loro schermi. Per questo motivo il ciberspazio, lungi dall'essere soltanto una prodezza tecnica, è uno spazio di comunicazione dotato di caratteristiche radicalmente nuove51. Parafrasando Meyrowitz (1985), siamo per davvero oltre il senso del luogo, dove lontano e vicino, globale e locale, pubblico e privato si fondono preparando il terreno per quella che sarà una nuova sfera pubblica. 2. Spazi politici e scenari tecnologici: l’orizzonte e-democratico In questo processo di ridefinizione della sfera pubblica, dovuto all’affermazione delle tecnologie per l’informazione e la comunicazione, la letteratura ha vissuto momenti contrastanti, il più delle volte tesi a valutare la natura della trasformazione con atteggiamenti differenti, se non addirittura oppositivi. Se volessimo però cercare un elemento capace di accomunare i diversi percorsi interpretativi, potremmo trovarlo nella ormai storica formula che le tecnologie sono ambigue per loro natura, esse somigliano al mitologico Giano bifronte52. Una formula che spiega in maniera esaustiva la difficoltà che oggi la letteratura politologica trova nel cercare un percorso teorico condiviso e nello stesso tempo suggerisce di assumere una posizione cauta se si vuole affrontare il legame che la tecnologia ha lentamente intrecciato con la dimensione politica e istituzionale. Per far fronte a questa difficoltà, in questo paragrafo forniremo una breve rassegna della letteratura sul tema a partire da una pubblicazione di Benjamin Barber dal titolo Tree Scenarios for the Future of Tecnology and Strong Democracy (1998). Il lavoro di Barber risulta efficace ai fini esplicativi in quanto ruota intorno al ruolo dello Stato, uno degli attori maggiormente coinvolti nel processo di trasformazione della società dovuto all’incalzare del progresso tecnologico. Infatti, la dimensioni sulla quale la ricerca politologica ha posto maggiormente l’accento riguarda il ruolo e le funzioni che lo Stato tende ad assumere in un sistema informazionale altamente tecnologizzato (De Rosa 2000, Shane 2004, Chadwick 2003, Rodotà 2004, Lusoli 2003). Una questione che Barber prova ad affrontare ipotizzando tre possibili scenari da discutere, e sui quali la ricerca dovrà confrontarsi se vuole essere preparata a rispondere alle questioni politiche che la società dell’informazione porta con sé. Il primo degli scenari sul quale Barber pone la sua attenzione indaga sul difficile rapporto che andato configurandosi tra Stato e mercato nella società dell’informazione. Una visione che mette l’accento sui rischi relativi al predominio 51 «Nel ciberspazio l'umanità sta sperimentando forme originali e rivoluzionarie di comunicazione di dati, informazioni, passioni e interessi. Questo luogo virtuale, prodotto dall'interconnessione dei computer di tutto il mondo, contiene un’immensa memoria comune, continuamente aggiornata e arricchita, che consente l'espansione planetaria della mente e la nascita di una nuova cultura» (Lévy 1999). 52 Si veda Grossman, L.K., La Repubblica Elettronica, Roma, Editori Riuniti, 1997 56 del mercato in una società dove l’informazione diviene ricchezza e la proprietà dei mezzi di produzione dell’informazione diviene potere. Barber definisce questo scenario come Pangloss Scenario. Il termine Pangloss deriva dal greco Pan (tutto) e glossa (lingua, linguaggio). Preso a prestito da Voltaire nella novella “Candide ou l'optimisme". Da Pangloss deriva panglossismo, ovvero l'attitudine a credere di vivere nel miglior mondo possibile. Nel dibattito evoluzionista il panglossismo è stato utilizzato in un articolo di Gould e Lewontin dal titolo "I pennacchi di San Marco e il paradigma di Pangloss", nel quale l’adattamento estremo della teoria neodarwinista viene paragonato al panglossismo. Barber ritiene che in questo scenario si sostiene – in maniera erronea - che il potere e la corruzione siano una condizione propria di tutta la politica umana e che esista una sorta di mano invisibile del governo che, in combutta con il mercato, incentiva al consumo e quindi ai profitti rendendo così inutile l’uso sociale della tecnologia (de Sola Pool 1995, Dahlgren 1998). In verità questo scenario presenta tratti prevalentemente astorici, in quanto la paura di un pericoloso spostamento degli equilibri societari verso il mercato ha contraddistinto quasi tutta la storia sociale e politica del sistema industriale ed è, come afferma anche lo stesso Barber, un pericolo che penderà sulla società in eterno. Bisogna però evidenziare che nella società dell’informazione il mercato ha certamente un ruolo determinante nello sviluppo delle nuove tecnologie ed è vero che gioca a favore e in direzioni utili all’efficienza e alla crescita delle corporations del settore della comunicazione, influendo inevitabilmente sull'uso politico che se ne fa (Dahlgren 1998, Castells 1998). Esso però può ostacolare , ma in nessun modo può eliminare ciò che è evidente da più di un decennio, ovvero il crescente consumo civico e sociale della comunicazione. Inoltre il mercato non ha sufficienti poteri per censurare, limitare o orientare lo sviluppo di un diverso tipo di educazione politica (Barber 1998). Sulla base di questi presupposti, Lawrence Lessig ha strutturato parte delle sue teorizzazioni sul ruolo della proprietà nella società dell’informazione, soprattutto per quanto riguarda le opere dell’ingegno. Il noto giurista di Harward negli ultimi anni – a partire dal testo Free Culture (2004) - si è impegnato nel circoscrivere il rapporto venutosi a creare tra istituzioni e mercato, facendo particolare attenzione al tema del copyright e delle leggi che lo tutelano. Infatti, ad una prima lettura il testo di Lessig appare come una rassegna di tipo storico-giuridico sul ruolo del diritto intellettuale nella società dell’informazione, esso però ha implicazioni profonde che mettono in discussione la complessa relazione tra pubblico e privato nella società dell’informazione. Secondo Lessig, le istituzioni governative anziché comprendere i cambiamenti positivi che Internet - e in generale le tecnologie per l’informazione e la comunicazione - possono consentire permettono a coloro che si sentono più minacciati dai cambiamenti – come ad esempio le forze di mercato - di usare la forza per modificare la legge e, fatto più importante, di usare la forza per cambiare qualcosa di fondamentale che riguarda ciò che siamo sempre stati (Lessig 2004). In questo scenario lo Stato può dunque assumere una doppia funzione. Esso può svolgere sia il ruolo di Stato regolatore (Cassese 1996, La Spina, Majone 2000), teso a limitare le ingerenze del mercato, preferendo il cittadino come unità di riferimento per lo sviluppo di politiche pubbliche per la società dell’informazione, ma nello stesso 57 tempo può assumere anche un ruolo collaterale al mercato (Castells 1998, Dahlgren 1998), sostenendo una società dell’informazione a favore di un sistema tecnologico basato su un modello competitivo di sviluppo. Il secondo scenario evidenziato da Barber si concentra invece sul rapporto che lo Stato, attraverso le tecnologie per l’informazione e la comunicazione, può intrattenere con i propri cittadini. Questa relazione ha negli ultimi anni alimentato un enorme dibattito sui rischi di invadenza da parte delle istituzioni nella vita privata dei cittadini (Rodotà 1997, Lyon 1998). Sia lo Stato, che le diverse istituzioni, sono attori che partecipano attivamente alla gestione e alla amministrazione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, essi hanno dunque il potere di usarle per scopi di standardizzazione, controllo e repressione. Uno scenario che ridurrebbe inevitabilmente i cittadini a meri sudditi (Rodotà 1997). Una tendenza che Beniger (1995) descrive addirittura come secolare53, in quanto per tutto il XIX secolo e il XX secolo abbiamo assistito alla nascita di tecnologie per l’elaborazione delle informazioni54 che, associate ai processi di razionalizzazione e burocratizzazione, hanno prodotto un sistema di standardizzazione, controllo e monitoraggio dei cittadini da parte delle istituzioni. Per Beniger la trasformazione politica e sociale avviata negli anni ’80 del secolo scorso è dunque il prodotto di un lento processo di rivoluzione del controllo che, sin dagli anni trenta, era già compiuta nei suoi tratti essenziali. In questo scenario, Barber evidenzia dunque lo sbilanciamento che la società dell’informazione può avere a favore delle istituzioni, in modo particolare dello Stato. Uno scenario nel quale Rodotà paventa la nascita di uno Stato del sospetto dovuto al passaggio da una sorveglianza mirata ad una generalizzata55. Le raccolte di dati personali su scala di massa hanno già determinato la trasformazione di tutti i cittadini in potenziali sospetti, di fronte ai poteri pubblici, e l’oggettivazione della persona, di fronte al sistema delle imprese. Questo rende più difficile tracciare distinzioni nette tra area pubblica e area privata (Rodotà 2004). Secondo Rodotà si manifesta una nuova dimensione della sorveglianza che esalta in maniera forte il potere dello Stato di avere qualsiasi informazione personale, da chiunque raccolta e indipendentemente dalle finalità originarie della raccolta. 53 In effetti, già Max Weber in Economia e Società (1922) si era accorto ed aveva individuato nei tratti distintivi della burocrazia alcuni caratteri fondamentali dei moderni sistemi di controllo. 54 Le componenti intercambiabili (dopo il 1800), l’integrazione delle produzioni all’interno delle fabbriche (tra il 1820 e il 1840), lo sviluppo delle moderne tecniche di contabilità (tra il 1850 e il 1870), l’affermazione della professione manageriale (tra il 1860 e il 1880), l’introduzione dei processi produttivi a ciclo continuo (tra il 1870 e il 1885), lo scientific managment di Frederick Winslow Taylor (1911), la catena di montaggio di Henry Ford (dopo il 1913) e il controllo statistico della qualità, per nominarne soltanto alcune (Beniger 1995, p. 21) 55 Anche l’informatico Roger Clark nel 1988 davanti alle prime avvisaglie sui rischi tangibili di una raccolta e di un controllo generalizzato dei dati aveva coniato ed usato il termine dataveglianza per sottolineare l'enorme convergenza dei sistemi di sorveglianza verso le nuove tecnologie. Nello specifico Clarke distingueva tra una dataveglianza personale ed una di massa. Nella dataveglianza personale, l'infrastruttura, pubblica o privata, ha una relazione diretta ed esplicita con gli individui. La dataveglianza di massa, inversamente, è solo in parte coinvolta in ricerche mirate e specifiche. Si rientra in un ambito dove l'identificazione è operata per categorie, in virtù del fatto di appartenere ad un gruppo o possedere certe caratteristiche. 58 Barber dunque teme uno scenario che ricalca le preoccupazioni più volte sottolineate dalla letteratura circa i meccanismi di tecnologia politica affermatesi nella modernità. Si pensi ad esempio al panotticismo espresso e articolato da Foucault nel testo Sorvegliare e Punire (1977). Barber definisce questa visione come Pandora Scenario. Nella mitologia greca Pandora fu una donna mortale creata da Efesto (Vulcano) per ordine di Giove, che voleva punire l’umanità dopo che Prometeo le aveva donato il fuoco rubato agli dei. Con questa espressione si sottolinea l’impossibilità di celare o nascondere un problema, o una serie di problemi, che una volta manifesti non è più possibile tornare a nascondere. Entrambi gli scenari mettono dunque a fuoco il ruolo centrale che può assumere lo Stato in questo processo di articolazione della società dell’informazione, seguendo una metodologia di analisi tipicamente top-down. Se però proviamo a spostare la riflessione mettendo al centro del dibattito le opportunità di partecipazione sociale e politica offerte dalle nuove tecnologie gli scenari proposti da Barber assumono delle tinte meno fosche. Seguendo il ragionamento di Arena (2006), il ricorso delle tecnologie per l’informazione e la comunicazione nella gestione delle attività di carattere pubblico è uno degli elementi che avrebbe maggiormente contribuito al graduale indebolimento del «paradigma bipolare56» che aveva caratterizzato l'interpretazione e l'implementazione delle attività amministrative ed istituzionali nel corso di tutto il XX secolo. Una trasformazione che ha delineato un lento processo di espansione e diffusione degli apparati pubblici che nella fattispecie si muove in due diverse direzioni: in verticale attraverso il rafforzamento sia di organismi sovra-nazionali che sub-nazionali e in orizzontale attraverso la crescita delle funzioni pubbliche e con l'apertura della attività pubbliche a soggetti esterni alle istituzioni (Cassese 1998, Bobbio 1996, Arena 2006). La dilatazione delle attività politiche e amministrative in senso verticale ha fatto sì che lo Stato perdesse la sua specificità lineare e gerarchica – caratteristica squisitamente moderna - a favore di una ricostruzione che tenesse conto di aspetti di tipo policentrico, reticolare, plurale, creando così nuovi centri di governo che man mano, nel corso degli anni, si sono rafforzati. È cresciuta l’importanza dei governi sub-nazionali come le regioni, i comuni e soprattutto le grandi città. Il potere politico che una volta era concentrato su un unico punto – lo stato nazionale – si è dilatato sia verso l’alto che verso il basso, attraverso la moltiplicazione dei livelli territoriali. Gli Stati nazionali costituiscono ancora il punto di maggiore addensamento delle funzioni di governo, ma non hanno più il monopolio assoluto della politica e dell'amministrazione (Bobbio 1996). 56 Questo paradigma si è formato lentamente nel passaggio da ordini dominati da un potere in cui non c’è differenziazione tra Stato e società e civile, a ordini, quale quello in cui viviamo, fondati sulla separazione tra Stato e comunità. In questo paradigma l’amministrazione amministra nell’interesse pubblico ed i cittadini sono passivi destinatari dell’intervento pubblico. Per approfondimenti si veda Cassese S., L'arena pubblica. Nuovi paradigmi per lo Stato, in «Rivista trimestrale di diritto pubblico», 2001, p.602. 59 Il ruolo degli enti locali cambia, cambia il suo rapporto con i poteri centrali, cambiano i processi di decisione, gestione e amministrazione delle politiche pubbliche. Con il processo di dilatazione orizzontale degli apparati pubblici lo Stato invece è andato frantumandosi. Questo ha comportato una proliferazione di attività e apparati sempre più specializzati nella gestione e nella implementazione di politiche pubbliche, creando settori nuovi e sempre più specifici. Un processo che ha alimentato la domanda di competenze esterne ai tradizionali attori istituzionali, producendo un allargamento dei confini dell'agire pubblico. Sempre di più negli ultimi anni assistiamo ad una graduale inclusività nei processi decisionali da parte della pubblica amministrazione di associazioni, cooperative, movimenti, società civile, fino a coinvolgere l'unità minima di una comunità politica: la cittadinanza. Il cittadino esce dal suo ruolo passivo di semplice utente di servizi pubblici e diventa soggetto attivo che, insieme alle amministrazioni, si prendono cura del territorio. Un modo del tutto nuovo di essere cittadini in quanto l'ordinamento non consentiva ai cittadini comuni di occuparsi della cosa pubblica pur continuando ad essere semplici cittadini (Cassese 1998, Arena 2006). Nella società dell’informazione dunque lo Stato tende a rimodellare ruoli e funzioni, si aprono nuove opportunità di partecipazione ai processi decisionali e si pongono le basi per una riformulazione nella gestione delle attività burocratiche ed amministrative. In altre parole, siamo davanti ad uno scenario che mette in discussione la definizione stessa di democrazia57. Lo stesso Barber non è nuovo a questo tipo di riflessione. Nel 1984 nel suo celebre Strong Democracy: Participatory Politics for a New Age affermava: «Strong democracy is defined by politics in the participatory mode: literally it is self-government by citizens rather than representative government in the name of citizens. Active citizens governs themselves directly here, not necessarily at every level and in every instance, but frequently enough and in particular when basic policies are being decided and when significant power is deployed. Selfgovernment is carried on trough institutions designed to facilitate ongoing civic participatory in agenda setting, deliberation, legistlation, and policy implementation» (Barber 1984, p. 23). Come fa notare De Rosa (2000), la Strong Democracy di Barber è quella forma di democrazia in cui tutto il popolo governa se stesso per almeno alcune delle faccende pubbliche e per almeno parte del tempo. Essa sposta tutta l’enfasi sull’idea di libertà e sulla capacità educativa che il suo esercizio politico potrebbe e dovrebbe avere sulla cittadinanza. Un processo democratico in senso forte deve contemplare delle procedure fondamentali: innanzitutto la fase di discussione o strong democracy talk (deliberazione, agenda setting, ascolto, empatia), quella di decision making o strong democratic decision making (decisione pubblica, giudizio politico, comune formazione 57 A tal proposito Matterlat fa notare come sia inevitabile che a ogni ciclo tecnologico si rinnova il discorso redentore sulla promessa di concordia universale, di democrazia decentrata, di giustizia sociale e prosperità generale. E ogni volta si ripeterà il fenomeno dell'amnesia nei confronti della tecnologia precedente (Matterlat, 2002). 60 delle politiche) ed, infine, quella dell’azione politica o strong democracy action (lavoro comune, azione comunitaria, citizen service) (De Rosa 2000, p. 33). La Strong Democracy di Barber rafforza dunque l’idea che le ICTs propongono una forma di democrazia basata sulla deliberazione e l’argomentazione razionale. A partire da questa concezione, negli ultimi anni è andato sviluppandosi un ampio filone di studi che vede nella democrazia elettronica il perseguimento e il proseguimento del progetto Toquevilliano di democrazia58. Del resto in letteratura possiamo trovare anche posizioni diverse circa il ruolo e le funzioni delle ICTs sul vivere e praticare la democrazia. Abramson e Arteton nel celebre The Electronic Commonwealth (1998) analizzarono le diverse forme emergenti di democrazia partecipativa tanto care a Barber e a coloro che vedevano nelle tecnologie per l’informazione e la comunicazione la soluzione dei mali della democrazia rappresentativa. Le conclusioni dei due autori sono per certi versi impietose. L’uso delle tecnologie dell’informazione e la comunicazione, in particolare tecniche come il televoto, tenderebbero a danneggiare il processo democratico, portando l’intero sistema verso forme plebiscitarie di democrazia (Abramson, Arteton, 1988, p. 177). Nel prossimo paragrafo approfondiremo questo dibattito che, per oltre un ventennio, ha visto diversi autori e intellettuali confrontarsi sulle forme e i modelli della democrazia elettronica e le relative pratiche di partecipazione. 3. Democrazia, democrazie partecipazione e deliberazione e democratizzazione elettronica: tra «La democrazia elettronica somiglia ad un coro polifonico dove ogni corista deve cantare in modo diverso, trovare un rapporto armonico tra la propria voce e quella degli altri, ovvero migliorare l’effetto d’insieme. Bisogna resistere alle tre tentazioni che portano gli individui a coprire la voce del proprio vicino forte o a tacere o a cantare all’unisono. In questa etica della sinfonia, si riconosceranno le regole della conversazione civile, della cortesia e del saper vivere» (Lévy, 2001). Vi è dunque oggi l’aspettativa che le tecnologie per l’informazione e la comunicazione possono portare ad un cambiamento del nostro modo di intendere e praticare la democrazia. Come afferma Maldonado (1997), ancora una volta viene data alla tecnologia un ruolo taumaturgico nel risolvere le questioni di fondo della nostra società. Il concetto di democrazia elettronica non è però legato all’avvento e alla diffusione delle nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione, esso ha avuto un periodo di incubazione e gestazione compresi nell’arco di non meno di mezzo secolo. Vedel (2003) fa risalire le radici del concetto al secondo dopoguerra. È attraverso gli sviluppi tecnologici e le radicali trasformazioni politiche e sociali che hanno accompagnato il mondo in quel particolare periodo storico che possiamo cominciare a formulare le prime ipotesi relative alla democrazia elettronica. 58 Su questo punto la letteratura è piuttosto vasta: Abramson 1992; Graham 1987; Becker 1981; Budge 1996; Cronin 1989; Fiskin 1992; Grossman 1995 solo per citarne alcuni. 61 Nello specifico Vedel storicizza il fenomeno della democrazia elettronica e struttura una sua periodizzazione in tre distinte fasi. Una prima fase della democrazia elettronica coincide con l’emergere della scienza cibernetica con a capo Wiener, avviata con la pubblicazione del suo noto libro La Cibernetica: il Controllo e la comunicazione nell’animale e nella macchina (1948). Una fase in cui i processi di decision making erano caratterizzati dalla retroazione (feedback) cibernetica nel quale l’azione politica veniva definita attraverso la misurazione e la risposta dell’ambiente. I computer erano concepiti come dei potenziali mediatori, capaci di accumulare e calcolare una montagna di informazioni (problem solving) e ad arrivare ad una soluzione razionale del problema (Vedel 2003). L’approccio cibernetico, dilungatosi fino alla fine degli anni ‘60, è stato oggetto di molte critiche, sia per la sua visione semplicistica della politica incapace di contemplare l’emergente complessità che in quel periodo caratterizzava le democrazie occidentali, sia per un generale timore degli intellettuali verso una potenziale deriva tecnocratica del sistema politico. Dahl (1987) vedeva infatti nella tecnocrazia e nel mito dell’ingegneria sociale, ossia della applicabilità di un sapere tecnico scientificamente orientato, una sopravvalutazione delle possibilità applicative della scienza negli affari pubblici, nonché sull’idea collegata, di una completa manipolabilità del mondo sociale. La seconda fase si è sviluppata sul finire degli anni ‘70 quando l’emergere di movimenti sociali divenne l’espressione della volontà di nuove concezioni della politica secondo la quale la società doveva migliorare attraverso una trasformazione bottom-up e il coordinamento di azioni locali, piuttosto che la conquista degli apparati centrali dello stato. Una concezione ben evidenziata da Amitai Etzioni che, in quegli anni, dava alle stampe The Active Society: A Theory of Societal and Political Processes (1968), nel quale preconizzava l’avvento delle comunità locali come nuove arene politiche dove la partecipazione politica e sociale avrebbe assunto nuovi connotati portando con se nuove forme di democrazia e di cittadinanza. Una fase che coincise con l’avvento della TV via Cavo negli anni ‘70 e con la diffusione di computer privati durante tutti gli anni ‘80 e ‘90. È dunque con l’avvento della TV via cavo che la democrazia elettronica comincia ad essere compresa come una opportunità del privato cittadino di partecipare a processi comunicativi e di influire direttamente sulle decisioni politiche e amministrative dei loro leader e dei loro rappresentanti. Vedel definisce questo periodo come una seconda era della democrazia elettronica. Mentre i movimenti occupavano le piazze e chiedevano - in alcune fasi in maniera violenta - una profonda trasformazione del sistema politico, l’informatizzazione stava progressivamente diffondendosi nei laboratori, negli enti di ricerca, pubblici e privati, e nelle università. L’orientamento che caratterizzava le ricerche in quel periodo fu nella sostanza una sorta di riallocazione della tecnicizzazione rivolta a favore dei cittadini. Si posero così le basi sociali e civiche alla frenetica tecnologizzazione della società e della politica. Infine, la terza fase della democrazia elettronica coincide con l’espansione delle ICTs ed in particolare con il web. Il crescere e l’espandersi di strumenti istantanei di comunicazione e di circolazione dell’informazione, sempre più economici ed userfriendly segnano i passi più recenti della democrazia elettronica. A questa fase si sono 62 aggiunte le nuove ideologie della libertà dell'informazione emerse sugli inizi degli anni ‘90 che fanno capo a quella meglio conosciuta come Ideologia Californiana. In questa visione Internet diviene la risposta alla crisi e la soluzione ai problemi della democrazia rappresentativa (Carlini 1996, Formenti 2000). La riflessione sulla democrazia elettronica è dunque compresa in un arco temporale che parte dagli anni ‘50 e che per più di mezzo secolo ha fatto da cornice agli sviluppi tecnologici e alle profonde trasformazioni nei campi dell'agire politico e sociale. La democrazia elettronica nella lettura di Vedel appare fortemente connessa sia agli sviluppi e alle innovazioni tecnologiche, che negli anni hanno accompagnato i paradigmi di lettura ed interpretazione della società, sia alle trasformazioni che avvenivano nella ambito politico e sociale dei sistemi democratici. Un altro tentativo di storicizzare la democrazia elettronica è fornito Hagen (1997) che, in una sua nota tipologia, identifica la teledemocrazia come il concetto più antico di democrazia elettronica. Nata negli anni ‘70, prolunga la sua vita fino alla metà degli anni ‘80 quando le trasformazioni promesse non ebbero grossi risvolti sul piano empirico. Come Vedel, anche Hagen sostiene che l’elemento tecnologico che ha fatto da detonatore e che diede il via alle prime sperimentazioni fu la diffusione della TV via cavo. Il concetto di teledemocrazia considera che la principale causa dell’apatia dei cittadini avviene nella sfera politica propriamente detta. È lì che risiedono le frustrazioni e le alienazioni dell’elettorato ed è nella struttura della democrazia rappresentativa che si possono osservare (Hagen 1997). Bisognava dunque intervenire nei meccanismi rappresentativi attuando forme di democrazia partecipativa e, in generale, di empowerment della cittadinanza. Seguendo alcune riflessioni di Lusoli, i principi della teledemocrazia sono riassumibili nel motto power back to the people usato da Ted Becker nel 1981. Il modello teledemocratico diminuirebbe sia i costi della raccolta e dell'analisi dell'informazione politica sia i costi dell'accountability, incrementando sia la trasparenza dell'azione di governo che la capacità dei cittadini di monitorare e censurare le decisioni politiche. L’idea teledemocratica ha portato con sé effetti sul concetto di rappresentanza ponendo l'accento su una più diretta partecipazione dei cittadini alla politica attraverso i nuovi media. Appartengono a questa esperienza progetti giapponesi come il Tama New Town59 e l’antenato del VideoOn_Demand Hi-OVIS60 (Higly Interactive-Optical Visual Information System) ed ancora il più famoso QUBE sperimentato nell’OHIO nel 197761. Il concetto di teledemocrazia è dunque stato sviluppato in reazione alla 59 Coaxial Cable Information System (CCIS), sponsorizzato e finanziato dal Ministero Giapponese delle Poste e Telecomunicazioni. Fu avviato nel 1973 e si concentrò sulla programmazione della comunità locale. 60 Higly Interactive-Optical Visual Information System (Sistema d'Informazione Ottico Visivo Altamente Interattivo sostenuto dal Ministero Giapponese del Commercio e dell'industria e dell'Industria Internazionale dal 1978 al 1986. 61 Alla prospettiva teledemocratica solitamente sono accluse anche le esperienze delle Electronic Town Hall Meeting portate alla ribalta dal candidato indipendente alla presidenza degli Stati Uniti Ross Perot, in verità l'esperienza fatta durante la campagna elettorale del magnate dell'editoria americana e associabile all'esperienza comunitaria avvenuta sugli inizi degli anni ‘90. 63 diffusione delle TV via cavo e delle diverse esperienze partecipative elettroniche di quel periodo, considerando l’elemento tecnologico come fattore determinante. Sugli inizi degli anni ’90, il diffondersi della rete ed il formarsi delle prime comunità virtuali come The WELL62 fa sì che si espandesse un tipo di democrazia fondata su una visione di tipo comunitario. Hagen associa a questo periodo la ciberdemocrazia. Come la teledemocrazia è la risposta all'avvento delle TV via cavo così il concetto di ciberdemocrazia risponde direttamente alla evoluzione dei computer e del sistema delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Hagen 1997). Il concetto di ciberdemocrazia si è sviluppato e ha preso a maturare in quella mistura culturale che comprendeva gli hippies della costa est degli Stati Uniti63. In particolare il riferimento socio-culturale e le radici di questa concezione della democrazia elettronica è da rilevare negli ambienti tra Stanford University e la Silicon Valley (Barbrook 1996). Appartengono a questa tipologia le community network e le italianissime reti civiche sviluppatesi sugli inizi degli anni ‘90. In contrasto con la Teledemocrazia e la ciberdemocrazia Hagen pone il modello di democratizzazione elettronica. Attraverso questo modello pretende di migliorare e perfezionare attraverso le ICTs la democrazia rappresentativa sottolineando la necessità di incrementare canali e flussi di informazione per migliorare e rafforzare la cittadinanza e la partecipazione della stessa al processo decisionale (Hagen 1997). I maggiori sostenitori del modello di democratizzazione elettronica sono i membri dell’establishment e i diversi attori istituzionali addetti alla formulazione, alla progettazione e all'implementazione di politiche pubbliche per lo sviluppo della democrazia elettronica. Diversamente dalla tipologia di Hagen, che pone come variabile di riferimento la tecnologia, Bellamy (1998) propone una ricostruzione concettuale della democrazia elettronica che parte da dimensioni politiche e culturali fondamentali per comprendere, spiegare e storicizzare il fenomeno. Seguendo le ipotesi di base di Bellamy, la democrazia elettronica può essere descritta e compresa se si tiene conto di alcune questioni: a) il tipo di democrazia; b) la concezione che si ha della cittadinanza; c) il nesso politico; d) la forma centrale di partecipazione; e) l'intermediario politico principale; f) la norma procedurale dominante. Dall’incrocio di queste criteri, Bellamy disegna la sua tipologia che, a differenza di quella proposta da Hagen, non ha ambizioni di ricostruzioni teoriche e 62 The Well (Whole Earth ‘Lectronic Link) è stata fondata da Stewart Bren e Larry Brilliant nel 1985 resa celebre in tutto il mondo in seguito alla pubblicazione del libro di Howard Rheingold, The Virtual Community: Homesteading on the Electronic Frontier. 63 Per Levy (2000), le caratteristiche fondamentali della ciberdemocrazia sono innanzitutto la presenza di uno spazio pubblico dove esiste ed è garantita una libertà di espressione, di accesso e navigazione e dove la deliberazione politica si sviluppa a partire dalla piazze virtuali, più comunemente conosciute come agorà elettronici; le elezioni e i referendum devono essere mediati attraverso un voto elettronico de-territorializzato; le assemblee legislative debbono costituirsi e strutturarsi in parlamenti virtuali; le autorità amministrative devono rendere tutti i loro servizi disponibili in modalità online ai propri cittadini. Il tutto riassumibile nel motto: dimmi e lo dimenticherò, mostrami e lo ricorderò, coinvolgimi e capirò. 64 concettuali, essa è piuttosto orientata a fornire dei modelli utili all’analisi e alla interpretazione della democrazia elettronica. Per Bellamy abbiamo innanzitutto una democrazia dei consumatori. Questo modello si basa su due caratteristiche fondamentali: la valorizzazione del voto e delle elezioni come l’elemento più importante della vita politica ed il ruolo dominante della burocrazia nel funzionamento delle democrazia contemporanee, e da qui la necessità di dotare gli individui del massimo grado di informazione. In questo tipo ideale la funzione delle ICTs si limita all’uso e all’utilizzo dei servizi pubblici (Bellamy 1998). Il secondo modello di democrazia elettronica secondo Bellamy è la democrazia demo-elitista o neo-corporatista. Questo modello concentra la sua attenzione sulla composizione delle élite burocratiche e sulla relazione con la società civile. La principale funzione dell’opinione pubblica in questo tipo ideale è legittimare il governo, più che dirigere ed orientare la politica. La legittimazione dipende dalle politiche pubbliche che il sistema politico adotta per soddisfare la domanda della cittadinanza. Le ICTs in questo caso hanno un ruolo di rafforzamento della rappresentatività e dei meccanismi elettorali ed avviene attraverso la decentralizzazione e la delocalizzazione dei luoghi elettorali, attraverso l’uso di Internet nelle campagne elettorali, le conversazioni interattive on-line tra i rappresentanti ed i votanti, forum e dibattiti elettronici. Il terzo modello, la democrazia neo-repubblicana, propugna l’arricchimento ed il rafforzamento delle associazioni della società civile e pone l’accento sulla partecipazione ed il compromesso, soprattutto nei contesti locali. Questo modello concepisce la politica come un’attività che sprona le persone a superare l'individualismo del mercato e a pensare al benessere sociale (Bellamy 1998). Un modello che vede le ICTs utili per costruire una repubblica elettronica come preconizzata da Grossman (1997) dove l’esempio più significativo sono le Electronic Towns Meeting nordamericane. Infine vi è la ciberdemocrazia. Come sostiene Bellamy, si tratta di un modello in fase di formazione e pertanto soggetto a modificazioni. Questo modello rientra pienamente nel dibattito sopra la post-modernità: il punto di partenza è la costatazione dell'importanza fondamentale della categoria dell’identità come articolatore delle dinamiche politiche e sociali delle società avanzate (Bellamy 1998). I quattro modelli si pongono lungo un continuum dove la democrazia dei consumatori rappresenta il modello più rispettoso, con le regole, le norme e le istituzioni della attuale democrazia parlamentare rappresentativa, mentre la ciberdemocrazia rappresenta la volontà maggiore di riforma radicale del sistema politico attuale e di sostituzione con altri tipi di democrazia, le ICTs diventano elemento fondamentale per la costruzione di un nuovo modo di fare politica. La tipologia di Hagen e la modellistica proposta da Bellamy si pongono come idealtipi, capaci di fornire categorie interpretative della democrazia elettronica sia se si tiene conto della tecnologia sia se si tiene conto di dimensioni culturali e politiche. Più di recente, Subirats (2002) ha elaborato invece una tipologia del concetto di democrazia elettronica che tiene conto sia del grado di sviluppo della tecnologia sia della relazione che le ICTs intrattengono con le istituzioni e la cittadinanza. Il lavoro di Subirats parte da due criteri o opzioni specifiche: una prima grande opzione è 65 orientata ad applicare la gestione delle ICTs nel campo più specifico delle policies e nel campo delle polity la relazione che sussiste tra istituzioni e cittadinanza; un secondo grande criterio di distinzione lo troviamo, invece, se consideriamo i processi di miglioramento e di innovazione dentro un quadro costituzionale e politico caratteristico dei sistemi parlamentari europei, o anche se siamo disposti ad esplorare le vie alternative di presa di decisione politica, che incorpora più direttamente la cittadinanza. Facendo interagire i criteri, o, come dice l’autore, mescolandoli, noi possiamo avere un quadro delle strategie e dei discorsi politici che si fanno su come si relazionano le ICTs e i sistemi democratici ed i suoi processi di decisione e gestione. Tabella 1 - Processo di innovazione democratica e uso delle Tecnologie dell'informazione e della comunicazione Uso ICTs Policy Polity Bassa 2 Elitismo democratico Grado di innovazione democratica e di accettazione dei processi partecipativi plurali Alta 3 Processo di democrazia diretta 1 Meccanismi consumistici 4 Rete pluralista delle prestazione e dei servizi Fonte: Subirats 2002 Successivamente Subirats dispone la sua tipologia su quattro quadranti. Al primo quadrante (1) troviamo il consumo dei servizi. La base strategica di questo quadrante si situa nell’universo liberale, non vi è nessuna volontà di porre in discussione la forma di operare della democrazia costituzionale e parlamentare, i suoi meccanismi sono centrati essenzialmente sui partiti e le elezioni. Abbiamo quindi una strategia rivolta al rafforzamento della rappresentatività della democrazia. Nel secondo quadrante (2) si tratta di migliorare il funzionamento interno del parlamento, dell’esecutivo e dell’amministrazione, il miglioramento dell’informazione e dell’attività parlamentare e governativa verso la cittadinanza, l’ampliamento delle possibilità di interazione tra il parlamento e il governo con la cittadinanza. Si rileva in questo quadrante una strategia rivolta a riorganizzare elettronicamente le attività amministrative. In generale in questo quadrante rientrano tutte le pratiche volte a sviluppare i processi di governo elettronico (e-government). 66 Nel terzo quadrante (3) Subirats pone l’accento sulla profonda trasformazione che sta avvenendo nella relazione tra Stato e società civile. Grazie all'uso delle ICTs è possibile pensare e parlare di pluralismo reticolare e di promozione o potenziamento dell'autonomia sociale capace di di generare inclusione e coesione. Nell’ultimo quadrante (4) secondo Subirats esiste la possibilità che attraverso l’uso delle ICTs si possa recuperare l’ideale di democrazia diretta e questo significa canalizzare i meccanismi deliberativi, e quindi le opinioni e i dibattiti, verso forme decisionali di partecipazione. In altre parole, bisogna ripensare le nostre attuali istituzioni democratiche intorno al quale ruota il sistema politico e riarticolare la mediazione tra cittadinanza e governo. In questa strategia le ICTs svolgono un ruolo centrale nella definizione di un sistema democratico basato sulla votazione diretta e sulla partecipazione della cittadinanza ai processi decisionali. Ripensare la democrazia e canalizzarla verso forme di democrazia di tipo deliberativo è anche il punto centrale di un’originale interpretazione della democrazia elettronica fatta da Coleman e Gøtze (2001). Parafrasando il più noto saggio di Putnam, i due autori descrivono il passaggio da una situazione di Bowling Alone ad una situazione di Bowling Togheter. Lo studio dei due autori parte da alcuni presupposti fondamentali. Innanzitutto coinvolgere il pubblico nella definizione delle politiche non è un mezzo per diminuire il rapporto rappresentativo, bensì per rafforzarlo. Anche in un’epoca in cui enormi distanze separano i rappresentati dai centri decisionali, le ICTs possono fornire nuove opportunità di collegare i cittadini ai loro rappresentanti. Di conseguenza, l’alternativa a non sarà un pubblico disimpegnato, ma un pubblico con un proprio ordine del giorno e un comprensibile ostilità verso i processi decisionali che sembrano ignorarli. Inoltre per Coleman e Gøtze, la vecchia dicotomia tra esperti e pubblico è falsa e sterile. Una notevole esperienza risiede all'interno del pubblico (che è costituito, dopo tutto, di medici, infermieri, genitori, imprenditori, funzionari di polizia, operatori sociali, le vittime della criminalità, gli insegnanti, anziani) e il trucco è quello di trovare modi innovativi di articolare queste competenze e di integrarle ai tradizionali processi decisionali. Questo significa che bisogna fornire al pubblico informazioni adeguate circa le questioni di politica pubblica e utilizzando l'esperienza e la competenza dei cittadini nel processo di formazione delle politiche. L'obiettivo teorico di Coleman e Gøtze è dunque dimostrare che alcune vecchie dicotomie vanno riviste sotto la lente delle innovazioni tecnologiche ed in particolare delle ICTs. Essi si interrogano sulle reticenze più comuni nei classici della letteratura rispetto alla graduale inclusione della cittadinanza nei processi di policy making. Attraverso la rilettura di autori come Edmund Burke, in particolare sul dilemma della delega vs rappresentanza, di John Stuart Mill e il presupposto delle competenze nella partecipazione e il filtro razionale (rational filter) posto da John Dewey - ripreso più tardi da Robert Dahl ne La democrazia e i suoi critici - i due autori sottolineano l'inadeguatezza dei modelli nella contemporaneità e il loro relativo e graduale superamento64. 64 Il testo di Coleman e Gøtze è interamente consultabile al sito www.bowlingtogheter.net 67 Recentemente anche Amoretti (2006) ha proposto una griglia interpretativa sorta sulla base di una (ri)elaborazione della letteratura teorica e del materiale empirico disponibile. Tabella 2 - Modelli di e-democracy secondo Amoretti COSTITUTIONAL TRADITIONS - Consultative e-democracy Participative e-democracy Administrative e-democracy Deliberative e-democracy - + Interattività+trasparenza WEB PRESENCE + Fonte: Amoretti 2006 Nel primo modello Amoretti colloca le pratiche e le sperimentazioni che sono condotte in particolare da assemblee elettive per facilitare l’accesso e la consultazione dei cittadini e dei gruppi sociali in vista di determinati output decisionali65 (Consultative e-democracy). Un secondo modello è invece contraddistinto e segnato dalla cultura politica che fonda le democrazia costituzionali: centralità del cittadino elettore e centralità del circuito rappresentativo, da cui il corretto funzionamento dipende la legittimazione del sistema politico (Particpative e-democracy). Un terzo modello pone invece l'enfasi sui processi discorsivi che fondano normativamente le decisioni (Deliberative e-democracy). Rispetto ad altre logiche d’azione politica, quella deliberativa persegue l’obiettivo dell’integrazione attraverso la razionalità argomentativa. Amoretti prende le distanze dal modello di sfera pubblica omogenea ma assume come dato strutturale insopprimibile la molteplicità dei livelli e delle arene in cui i cittadini possono condividere esperienze, interagendo con le istituzioni e al di fuori di esse. Infine abbiamo il modello dove la democrazia elettronica è vista come una versione più avanzata del governo elettronico (Administrative e-democracy) l’efficienza, l’efficacia e la trasparenza dei servizi al cittadino divengono elementi fondamentali. Nel noto Tecnopolitica (2004) Rodotà fa notare che gran parte dei modelli sulla democrazia proposti in questi anni oscillano lungo un continuum che vede da un lato una logica rappresentativa della democrazia e dall’altro una visione diretta, ateniese, 65 Amoretti indica un esempio di Consultative e-democracy l’esperienza del parlamento scozzese, per approfondimenti si rimanda a AA.VV. A New Agenda for E-democracy. Position Papers for Oxford Internet Insitute (OII) Symposium, 2004. 68 di democrazia. Secondo Rodotà, se osserviamo attentamente questo asse è possibile trovare un nuovo tipo di democrazia: una democrazia che si distende nello spazio, dove le reti creano appunto le condizioni per la fine delle interruzioni determinate dalla distanza, aprendo la prospettiva di una face-to-face democracy senza più confini. Proprio questo continuum spazio/temporale individua la dimensione istituzionale dell’agire politico e della costruzione della cittadinanza. Ora bisogna fare i conti con una democrazia continua (Rodotà 2004). Quando si parla di democrazia continua si fa riferimento a strumenti che si differenziano da quelli di tipo rappresentativo perché vengono adoperati dai cittadini senza ricorrere a mediazione e che non si identificano con quelli della democrazia diretta, solitamente riferiti al solo momento finale di una decisione o alla presenza in uno specifico processo decisionale. Rodotà tiene comunque a precisare che una democrazia continua deve però dotarsi di strumenti utili al controllo e alla garanzia del processo democratico. Essi sono: • strumenti di conoscenza: tutti quelli che consentono l’accesso diretto dei cittadini alle informazioni a determinate categorie di informazioni in mano pubblica e a determinate categorie di informazioni in mano privata; • strumenti di intervento non formalizzato: possono essere quelli che rendono possibile la presenza dei cittadini all'interno di processi di consultazione e di decisione, pur restando affidata ad altri soggetti la scelta finale; • strumenti di valutazione critica: come la consensus conferences, che innestano la tecnica del campione su un lavoro di gruppo e su risposte non fondate sulla tecnica dell'alternativa sì/no o del questionario; • strumenti di controllo: che combinano elementi di conoscenza e di intervento e che, ad esempio, diffondono al legittimazione ad agire in giudizio per la tutela di interessi generali; • strumenti di proposta: con vincoli per quanto riguarda la presa in considerazione di tali proposte da parte di soggetti pubblici; • strumenti di consultazione: utilizzando eventualmente anche in questo caso tecniche del campione o della rotazione tra i cittadini consultati; • strumenti di gestione autonoma: ad esempio di determinate categorie di servizi, con effetti di determinate categorie di servizi, con effetti di decentramento e di destatalizzazione; • strumenti di vera e propria decisione: tuttavia con caratteristiche tali da innovare anche le tradizionali forme dei referendum; Tutti gli strumenti richiedono evidentemente la preventiva definizione di un adeguato quadro istituzionale (Rodotà 2004). In concreto sono proprio le opportunità offerte da queste tecnologie che possono consentire un ricorso all'insieme di questi strumenti, individuando una dimensione della democrazia che si proietta al di là delle contrapposizioni tra democrazia rappresentativa e democrazia diretta, tra libertà dei moderni e cittadinanza elettronica. 69 4. La costruzione dei diritti nella società dell’informazione: la cittadinanza elettronica Come abbiamo visto, le tecnologie dell’informazione e della comunicazione contribuiscono ad una ridefinizione delle tradizionali pratiche partecipative e decisionali e - come abbiamo costatato nel precedente paragrafo - a partire da questo presupposto negli ultimi anni si sono sviluppate diverse idee e modelli sulle implicazioni democratiche dovute all’affermazione delle ICTs. Sulla stregua delle diverse definizioni pervenute, parallelamente, è andato sviluppandosi un dibattito sui limiti della democrazia elettronica, mostrando una certa attenzione verso i meccanismi di tutela e garanzia dei diritti dei cittadini in un contesto altamente informatizzato. Qualche anno fa Rodotà (1994) aveva fatto notare che quando si parla di autostrade elettroniche, di civic networking, di reti telematiche, si può e si deve discutere di opportunità democratiche ma bisogna comunque ricordare che il problema centrale è quello di garantire a tutti i cittadini l’accesso alle tecnologie in condizioni di parità, in quanto le tecnologie somigliano al mitologico Giano bifronte, sono ambigue per natura. In questo contesto, la nozione di cittadinanza e i relativi diritti sono stati riletti in rapporto alla crescente complessità delle tecnologie dell’informazione e la comunicazione. Esse contribuiscono a quel processo di dilatazione della nozione di cittadinanza che, da qualche anno, è al centro del dibattito politologico e giuridico. Quando si parla di cittadinanza si fa spesso riferimento a quel complesso di garanzie, diritti e doveri che ogni individuo - che partecipa ad una stessa comunità indistintamente può far valere e goderne. L’espressione cittadinanza nel lessico comune e nel lessico giuridico tradizionale, designa l’appartenenza di un individuo a uno Stato ed evoca principalmente i problemi relativi alla perdita e all’acquisto dello status di cittadino. Per cittadinanza generalmente si intende dunque l'appartenenza di un individuo ad un territorio, ad una comunità, ad uno stato definendo così i criteri di una persona affinché essa possa godere pienamente dei diritti fondamentali, e di partecipare al funzionamento del sistema politico (Rodotà, 2004). Una visione che inevitabilmente richiama e rimanda ad una concezione della cittadinanza in chiave strettamente moderna, legata alle vicende dello Stato, all’affermazione dei diritti civili, politici e sociali. Ma, concettualmente, la cittadinanza - sin dal periodo ellenico - non ha mai smesso di arricchire il proprio percorso giuridico e di tutela, non mai smesso di estendere il proprio percorso semantico, non ha mai esaurito la portata astorica che caratterizza il concetto di cittadinanza come uno dei più importanti istituti democratici. Zolo sostiene che l’uso moderno del termine cittadinanza ha due significati distinti: un primo di natura teorico-politico ed un secondo di tipo propriamente giuridico. Nel primo caso la cittadinanza designa lo status sociale del cittadino e cioè il complesso delle condizioni politiche, economiche e culturali che sono garantite da un gruppo sociale organizzato. Nel secondo caso il termine cittadinanza designa uno status normativo, e cioè l’ascrizione di un soggetto all’ordinamento giuridico di territorio. 70 Per quanto riguarda il significato teorico-politico di cittadinanza possiamo ulteriormente distinguere tre concezioni interne: • innanzitutto una concezione classica della cittadinanza, dove Aristotele risulta essere il maggiore esponente e dove la tradizione romana ed ellenica sono gli esempi più significativi; • una concezione moderna della cittadinanza, che si può far risalire al Rinascimento e alle grandi rivoluzioni borghesi dello Stato nazionale europeo. • in ultimo troviamo una concezione democratico-sociale, connessa all'emergere dei partiti democratici e socialisti, dei sindacati e del Welfare State. Nella concezione classica, il cittadino, almeno nelle sue forme essenziali, fa la sua comparsa nella polis della Grecia antica. Già Aristotele nel Politica ne suggeriva il significato tracciandone i confini teorici. Per Aristotele è cittadino solo l’individuo maschio e adulto, collocato al vertice del microcosmo famigliare, e, per un altro verso, solo l’individuo che possa esercitare la virtù e occuparsi, in condizioni di eguaglianza con gli altri cittadini, della cosa pubblica, proprio perché libero da preoccupazioni economiche e da attività servili, affidate ad altri, schiavi o meteci che siano. Nell’antichità appartenere, essere membro di una comunità, di una città, di una polis, diveniva requisito minimo ed essenziale per essere cittadino, e nella Grecia antica la comunità politica di appartenenza prendeva forma esclusivamente nella città. Il cittadino faceva tutto nella polis e per la polis66. Anche nella civitas romana, attraverso la rappresentazione fornita da Cicerone nel De Repubblica, emerge lo stretto rapporto che l’individuo intrattiene con la comunità politica di appartenenza e l’ordine politico costituito. La civitas romana si fondava da un lato sul primato dell’utilità comune e sulla doverosa dedizione del cittadino alla repubblica e, dall’altro, sulla libertà che il popolo usufruisce in un ordinamento che possa dirsi autenticamente repubblicano. Appartenenza e dedizione alla comunità e all'ordine politico costituito sono quindi i pilastri della civitas. Nella concezione moderna la cittadinanza si distingue per il suo carattere non aristocratico e non elitiario: in linea di massima tutti i membri del gruppo sono, in quanto tali, sudditi o cittadini. I cittadini-sudditi sono vincolati dal principio del pacta sunt servanda e ciò impone loro essenzialmente doveri di lealtà e obbedienza. Ma essi sono anche titolari del diritto alla sicurezza della propria vita fisica, che il monarca deve essere in grado di garantire a tutti. Il cittadino non è ancora bourgeois; il cittadino è il suddito che obbedisce al sovrano e ottiene in cambio protezione nei confronti del nemico interno ed esterno (Zolo 2007). È però con le rivoluzioni borghesi del settecento che si afferma la concezione moderna della cittadinanza come prerogativa, nello stesso tempo, individuale e universalistica. Cittadinanza significa quindi eguaglianza giuridica e politica in quanto soggetti titolari di diritto e in quanto detentori della sovranità. Tutti i membri di una nazione hanno uguale diritto di voto per eleggere i propri rappresentanti nelle assemblee deliberative o per esservi eletti (Zolo 2007). La cittadinanza democratico-sociale si afferma dunque solo negli ultimi decenni dell’Ottocento. 66 Per Aristotele l'uomo realizzava se stesso nella collettività e nella appartenenza ad essa, «quando ciò non accade essi sono popolazioni da considerare come barbare o inferiori». 71 «In quel periodo era esplosa la questione sociale e la polemica dei socialisti e dei marxisti contro il modo di produzione capitalistico, accusato di produrre sfruttamento, miseria, disoccupazione e ricorrenti crisi economiche. Si erano andati poi affermando i partiti di massa, legati al mondo del lavoro o alle confessioni religiose, che tendevano a forzare le strettoie oligarchiche dello Stato liberale e spingevano per un allargamento del suffragio elettorale fino ad una sua completa generalizzazione» (Zolo 2007, p. 23). Nella concezione democratico-sociale di cittadinanza il lavoro di T. H. Marshall segna una svolta molto importante sotto il profilo concettuale. La sua opera è considerata come uno dei punti di partenza per ogni analisi del concetto e della definizione di cittadinanza nella società moderna. Marshall elabora una concezione evoluzionista della cittadinanza a partire da un analisi della storia politica dell’ottocento. La storia – secondo T. H. Marshall - rileva un lento processo in cui il concetto di cittadinanza assorbe progressivamente i principi civili nel XVII secolo, quelli politici nel XIX secolo e infine quelli sociali nel XX secolo arricchendosi dei corrispondenti tipi di diritti: «[...]L’elemento civile è composto dai diritti necessari alla libertà individuale: libertà personali, di parola, di pensiero e di fede, il diritto di possedere cose in proprietà e di stipulare contratti validi e il diritto a ottenere giustizia [...]» (Marshall 1950, p. 10) Seguendo la tipologia di Marshall, il secolo diciottesimo è stato il secolo dei diritti civili. Si pensi alla creazione dell’istituto Habeas Corpus67, al Tolerection Act68, oppure all’abolizione della censura sulla stampa. Con maggiore esatezza questo periodo è racchiuso tra la Rivoluzione del 1688 e il primo Reform Act del 1831. È alla fine di tale periodo che i diritti civili diventano proprietà dell'essere umano. La cittadinanza civile si afferma per prima e attribuisce agli individui una serie di diritti di libertà, da quella personale fino a quella di parola, da quella di pensiero a quella religiosa. La storia dei diritti politici è leggermente diversa. Un periodo formativo cominciato all'inizio del diciannovesimo secolo, quando i diritti civili avevano già acquistato abbastanza consistenza da permettersi di parlare di uno status generale di cittadinanza69. Un periodo che non deve essere concepito come la creazione di nuovi 67 Il diritto di Habeas Corpus nel corso della storia è stato un importante strumento per la salvaguardia della libertà individuale contro l'azione arbitraria dello stato. Tale sistema è stato inserito nell'importante documento della Magna Charta successivamente a rivendicazioni di baroni inglesi. 68 Il Tolerant Act è stato un atto del Parlamento inglese del 24 maggio 1689. Prima legge emanata per Inghilterra, Scozia e Irlanda da Guglielmo III d’Orange dopo la Glorious Revolution invertendo il rigido orientamento gallicano degli Stuart, e accogliendo le posizioni di J. Locke, concedeva libertà di culto a tutte le confessioni cristiane, esclusa la cattolica romana, ma condannava l’ateismo. L’emancipazione dei cattolici fu conseguita soltanto nel 1829. 69 Per Marshall la cittadinanza «è uno status che viene conferito a coloro che sono membri a pieno diritto di una comunità. Tutti quelli che posseggono questo status sono uguali rispetto ai diritti e ai doveri conferiti da tale status. Non c'è nessun principio universale che determini il contenuto di questi diritti e doveri, ma le società nella quali la cittadinanza è un'istituzione in via di sviluppo presentano l'immagine di una cittadinanza ideale rispetto a cui possono misurare le conquiste ottenute e verso cui le aspirazioni possono indirizzarsi. La spinta in avanti lungo il sentiero così tracciato è una spinta verso 72 diritti bensì come concessione di vecchi diritti a nuovi strati della popolazione. È comunque la cittadinanza politica che ha aperto la strada al riformismo delle politiche egualitarie del XX secolo e all’affermazione dei diritti sociali «[...] Per elemento politico intendo il diritto a partecipare all'esercizio del potere politico, come membro di un organo investito di autorità politica o come elettore dei componenti di un tale organo [...]» (Marshall 1950, p. 12). Entrambi i periodi ed i relativi diritti, secondo Marshall, hanno comunque avuto un impatto poco notevole sulla disuguaglianza sociale. I diritti civili offrivano poteri legali il cui uso era limitato drasticamente dal pregiudizio di classe mentre i diritti politici fornivano un potere potenziale e l’esercizio di tali diritti richiedeva esperienza. Alla fine del diciannovesimo secolo si aprì un periodo dove l'integrazione sociale si diffuse nelle varie sfere del vivere civile. Si ebbe quindi un primo progresso dei diritti sociali, ciò comporto mutamenti nel principio di uguaglianza espresso dalla cittadinanza. «[...] Per elemento sociale intendo tutta la gamma di diritti che va da un minimo di benessere e di sicurezza economici fino al diritto a partecipare pienamente al retaggio e a vivere la vita di persona civile, secondo i canoni vigenti nella società» (Marshall 1950, p. 13) Nell’antichità questi tre elementi erano fusi in unico elemento. I diritti erano uniti gli uni agli altri perché le istituzioni erano amalgamate. La cittadinanza si mostra dunque come un meta-concetto utile alla interpretazione e alla comprensione dei rapporti che intercorrono tra stato, sistema politico ed individuo quale detentore di diritti e doveri. Essa diviene nella modernità anche strumento di valutazione delle attività istituzionali ponendosi come parametro capace di monitorare la qualità della vita democratica di uno stato. Cittadinanza è quindi un’espressione utilizzabile per mettere a fuoco il rapporto politico fondamentale e le sue principali articolazioni: le aspettative e le pretese, i diritti e i doveri, le modalità di appartenenza e i criteri di differenziazione, le strategie di inclusione ed esclusione70 (Costa 2005). Con lo sviluppo delle ICTs si è fatta strada l'idea che la cittadinanza stia ridisegnando i suoi confini, dilatando ciò che fino ad oggi è stato il suo significato politico e giuridico. Infatti, come fa notare ancora Rodotà (2004), mentre si discuteva di citizen, di cittadino, si è avvertita l'esigenza di depurare il concetto dal un maggior grado di uguaglianza, un arricchimento del materiale di cui è fatto lo status e un aumento del numero delle persone cui è conferito questo status» (Marshall 1950, p. 24). 70 A partire dai criteri di inclusione ed esclusione, Donati (2000) propone di superare la tradizionale accezzione di cittadinanza cominciando con il superare il concetto stesso di integrazione politica. Per Donati nella società dell’informazione si è accentuato il distacco tra la società civile e lo Stato e il parallelo processo di costruzione di una comune identità civica si è bloccato. Il tutto è la casua di fattori endogeni e fattori esogeni. I fattori endogeni possono essere rilevati dalla crescente crisi delle democrazie rappresentative dovuti a diversi fattori ed in buona parte alla diffusa frustrazione a non riuscire risolvere i problemi attraverso i sistemi politici tradizionali. I fattori esogeni possono invece essere rilevati dal pluiricitato processo di globalizzaizone che tra i tanti effetti ha ridimensionato i rapporti tra le diverse istituzioni sovranazionali, nazionali e locali. 73 riferimento troppo immediato di appartenenza ad una comunità statale, salvandone però la forza evocativa e retorica tipica dell'antichità. È comparso così il denizen, il semplice residente, più legato all'essere in un luogo che non alla qualità formale dell'appartenenza, una figura che con l'avvento della società dell'informazione appare già inadeguata e sostituita dal netizen che lega l'individuo alla dimensione della rete. Siamo oramai spettatori di una quantità prima inimmaginabile di eventi politici e diventiamo sempre di più attori nelle vicende che si svolgono quotidianamente (Rodotà 1994) ed è impensabile che un tale flusso di informazioni politiche non agisca sul funzionamento dei sistemi politici. Cambiano dunque le modalità della cittadinanza o, parafrasando Rodotà, s'invera fino in fondo la promessa che quella parola ha sempre portato con sé, simboleggiando una permanente e irriducibile qualità d'ogni soggetto. Si ampliano le possibilità di intervento del cittadino e nello stesso tempo si mette in discussione l'idea che la democrazia sia confinata solo ed esclusivamente nel momento delle decisione. Pascuzzi (2006) sostiene una netta separazione tra quello che era e quello che è oggi il diritto connesso alle tecnologie di informazione e comunicazione. Siamo di fronte all'era digitale del diritto attraverso il quale bisogna rimettere in discussione il rapporto tradizionale tra diritto e nuove tecnologie. D'altro canto una lex informatica non deve contrapporre vecchi e nuovi diritti. Molte garanzie tradizionali comprendono già potenzialità tali da renderle utilizzabili in situazioni tecnologicamente modificate (Rodotà, 2000). La costruzione dei diritti è precondizione essenziale per definire la cittadinanza nella società dell’informazione. Attraverso l'affermazione dei diritti si regolano i rapporti, si pongono limiti e si ampliano le opportunità implicite. Ciò che in molti non hanno esitato a definire come cittadinanza elettronica può costruirsi solo con la creazione di un soggetto elettronico giuridico responsabile e cosciente dei propri diritti nei confronti dello sviluppo tecnologico. Nella misura in cui l’informazione e la comunicazione diventano i fattori primari dello sviluppo economico e sociale, cittadini e imprese potranno cogliere le opportunità della società dell’informazione solamente se l’accesso alle infrastrutture di rete e ai servizi di rete sarà immediato e generalizzato e solamente se le ICTs saranno utilizzate come strumenti per favorire la partecipazione alle comunità locali e ai processi decisionali (Serra 2004, p. 52). L'emergere dei diritti di cittadinanza elettronica sono l'espressione diretta dei bisogni, individuali e collettivi, emersi con l'avvento della società dell'informazione. Diritti definiti di quarta generazione71, dopo quelli civili, politici e sociali e che - come afferma Rodotà - bisogna collocare come diritti fondamentali affinché possa nascere 71 Solitamente nel pensiero giuridico si suddividono i diritti di cittadinanza per generazioni: 1) I diritti civili e politici. Vi appartengono il diritto alla vita e all’integrità fisica, e tutti quelli diritti legati alla libertà di pensiero, di religione, di espressione, di associazione, il diritto alla partecipazione politica, all’elettorato attivo e passivo; 2) I diritti economici, sociali e culturali. Vi sono inclusi tutti i diritti di natura economica, sociale e culturale (come per esempio il diritto all’istruzione, al lavoro, alla casa, alla salute ecc.). 3) I diritti di solidarietà. Si tratta di diritti relativamente recenti quali quello all’autodeterminazione dei popoli, alla pace, allo sviluppo, all’equilibrio ecologico, al controllo delle risorse nazionali, alla difesa ambientale. 4) I nuovi diritti, sono quelli relativi al campo delle manipolazioni genetiche, della bioetica e delle nuove tecnologie di informazione e comunicazione. 74 una Costituzione di Internet ed una piena espressione democratica della cittadinanza elettronica. In questo quadro i cittadini richiedono il riconoscimento e l’affermazione di nuovi tipi di diritti legati alla società dell’informazione. Un alveo che contempla sia le garanzie già esistenti negli ordinamenti nazionali e internazionali, che la creazione di istituti capaci di tutelare i nuovi bisogni legati alle tecnologie per l’informazione e la comunicazione. Un esempio è dato dal diritto all'informazione che in questi anni ha avuto molteplici revisioni dovute allo sviluppo delle tecnologie. In effetti, ricevere e diffondere informazioni è un prerequisito sostanziale dei diritti di cittadinanza tradizionali. Dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell'uomo72 alla Costituzione della Repubblica Italiana art. 2173 cercare, ricevere e diffondere informazioni sono parte di quei diritti di libertà riconosciuti e garantiti universalmente. Bisogna comunque sottolineare che il diritto all'informazione come diritto sociale è un conquista giuridica relativamente recente. Solo nel 1994 la Corte Costituzionale approva una definizione capace di raccogliere in maniera più articolata le esigenze nate con l'intensificarsi del sistema informativo74. Altri diritti invece hanno visto la loro definizione parallelamente al crescere della complessità tecnologica. Il diritto all'accesso e all’accessibilità ne è un esempio. Relativamente recente e strettamente connesso al diritto all'informazione esso si poggia sul meccanismo inclusione/esclusione del sistema informatico e – più in generale - del sistema di telecomunicazione. Vi appartengono i diritti di accesso sia alle risorse informative che a quelle comunicazionali e si espande fino allo sviluppo delle infrastrutture pubbliche. Altra cosa è il diritto all’accessibilità recentemente regolamentato in Italia con la legge 04/2004, meglio conosciuta come legge Stanca75. Essa è intesa proprio nel senso usato per le barriere architettoniche, ovvero il diritto di accesso per i disabili e per tutte le persone svantaggiate o in situazioni di difficoltà. La tutela delle informazioni e della loro circolazione si rivela dunque come un elemento determinante per la configurazione della cittadinanza elettronica. Si pensi alle informazioni personali, quelle legate al privato e all'intimità, vera e propria espressione dell'identità di un individuo. In questo contesto, il diritto alla privacy diviene quindi quella linea che delimita ciò che può circolare liberamente e ciò che invece deve essere garantito e tutelato per la sua natura puramente individuale, privata, intima. In alcune Costituzioni dell'America latina hanno istituito negli ultimi 72 Art. 19 della Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo: “Ogni individuo ha il diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere”. 73 Art. 21 della Costituzione della Repubblica Italiana: “Tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. 74 Vedi sent. n. 420/1994. 75 Legge 9 gennaio 2004, n. 4, “Disposizioni per favorire l’accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici” pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 13 del 17 gennaio 2004. 75 anni l’Habeas Data76 - erede del già citato Habeas Corpus - per proteggere l’intimità e la libertà del cittadino contro gli abusi dei registri informatizzati. La sfera dei diritti di cittadinanza elettronica spazia dunque dalla libertà d’informazione alla tutela delle stesse informazioni. Una gamma di diritti che negli ultimi anni è andata crescendo, coinvolgendo altre sfere del diritto, il più delle volte inedite alla riflessione giuridica. Per far fronte a ciò, nel 2004 a Barcellona durante il convegno Building Inclusive Intelligent Cities: Real Time Solutions for Real Time Needs77 fu lanciata la Charter of eRights che aveva come scopo la realizzazione di uno statuto dei diritti elettronici. Nella Charter of e-Rights oltre ai già citati diritti venivano riconosciuti anche: • il diritto alla formazione elettronica (e-learning); Il principio che ispira questo diritto è che tutti i cittadini hanno il diritto di aggiornare le proprie competenze e conoscenze per poter godere dei benefici e delle opportunità associate alla diffusione e all’utilizzo delle ICTs. Le tecnologie per l’informazione e la comunicazione consentono di separare l’educazione dalla scuola e dalle università e di erogare servizi avanzati di formazione anche a coloro che già lavorano, ai disoccupati, agli anziani e a tutti coloro che per diverse ragioni non frequentano istituzioni formative. • il diritto alla democrazia elettronica (e-democracy); Alla base di questo diritto vi è l’esigenza di favorire la partecipazione dei cittadini ai processi decisionali e di concentrarsi non tanto concentrarsi sullo sviluppo di tecnologie e servizi, quanto sulla riorganizzazione delle amministrazioni al fine di rendere più trasparenti tali processi e istituzionalizzare i momenti di interazione (Micelli 2004). Portali Web, sistemi elettronici di voto e consultazione, pubblicizzazione delle decisioni e delle deliberazioni sono gli strumenti prioritari per ridisegnare le relazioni tra amministrazioni e cittadini. 76 L’Habeas data è un diritto costituzionale concessi in diversi paesi dell’America Latina (Brasile 1988, Paraguay 1992, Perù 1993). Da paese a paese vi sono delle differenze ma in generale l’Habeas data è progettato per proteggere, l’immagine, la privacy, l'onore, l'informazione e la libertà di informazione di una persona. 77 Organizzato da Eurocities–TeleCities in collaborazione con il Manchester City Council. L’obiettivo del convegno era stabilire una connessione tra le nuove opportunità create dall’economia della conoscenza e i bisogni dei cittadini all’interno della più ampia società della conoscenza. 76 PARTE SECONDA POLICY 77 CAPITOLO 3 Percorsi di policy per la società dell’informazione, l’e-government e la democrazia elettronica in Europa Premessa In questo capitolo ci concentreremo sulla documentazione prodotta dalla Commissione Europea e da diversi Stati membri della UE con il fine di comprendere a quale famiglia di policies appartengono gli interventi per la democrazia e la cittadinanza elettronica. L’analisi si è svolta a partire dalla della documentazione programmatica, strategica e legislativa della Commissione e della direzione generale europea per la Società dell’informazione e la comunicazione. L’intento è stato quello di ricostruire il percorso attraverso il quale l’Europa ha strutturato le linee di intervento per la partecipazione e il coinvolgimento dei cittadini e, per agevolare l’analisi, si è preferito muoversi prima sul piano internazionale, attraverso la lettura dei principali documenti programmatici e strategici europei. 1. La commissione Delors e il rapporto Bangemann: il mercato come volano per le politiche per la società dell’informazione «Modern technologies are fundamentally changing the relationship between the State and the general public. The ordinary citizen can have access to "public services" on an individual basis, and these will be invoiced on the basis of the use made of them» (Libro Bianco 1993). Questo breve stralcio risale al dicembre del 1993 ed è tratto da Crescita, competitività ed occupazione – Le sfide e le vie da percorrere per entrare nel XXI secolo, meglio conosciuto come il Libro Bianco di Jaques Delors. Un rapporto che - nelle sue linee generali - analizzava le cause della crisi economica e occupazionale che, sul finire degli anni ‘80, aveva coinvolto tutti gli Stati membri della comunità europea e gran parte dei paesi occidentali. Dall’analisi del rapporto della Commissione Delors emergevano i punti chiave sui quali i governi dovevano ragionare per uscire dalla crisi economica. In generale, il rapporto sosteneva che la recessione dei primi anni ‘90 era stata causata dal radicale cambiamento geo-politico avvenuto negli anni che avevano fatto da sfondo alla caduta del muro di Berlino, si pensi alla riconfigurazione degli scambi commerciali relativi alle riforme dell’Unione Sovietica sotto la presidenza Gorbaciov, ma nello specifico dal rapporto emergeva che la crisi fu il risultato di politiche economiche errate, basate su previsioni di crescita completamente inesatte. Alla base della relazione del rapporto vi era l’idea che dopo il crack delle borse 78 avvenuto nel 1987 gran parte dei governi attuarono delle politiche monetarie espansive facendo schizzare il tasso di crescita effettivo oltre il 4% rispetto a quello potenziale (Libro Bianco 1993). Un errore che costo caro ai paesi comunitari, soprattutto dal punto di vista occupazionale. Nel Libro Bianco vi era dunque la consapevolezza degli errori commessi negli anni che avevano chiuso il decennio precedente e vi era l’obiettivo di impegnarsi in un percorso di crescita sostenuta e di maggiore intensità occupazionale. Secondo il Libro Bianco, per riprendere uno sviluppo coerente che tenesse conto delle problematiche relative alla crescente disoccupazione, era necessario che la politica economica dell’intera comunità europea si fondasse su tre elementi cardini: definire un quadro macroeconomico e normativo in grado di sostenere le forze di mercato e non di ostacolarle; creare interventi di carattere strutturale volti ad accrescere la competitività verso l’esterno della comunità e a sfruttare tutte le caratteristiche e le diverse potenzialità del mercato comunitario; attivare una riforma strutturale del mercato del lavoro che tenesse conto delle trasformazioni dovute all’uso crescente delle tecnologie per l’informazione e la comunicazione. Tutti e tre gli elementi fornivano una serie di orientamenti di carattere strutturale che investivano sia i processi legislativi che regolamentavano l’economia, sia i diversi aspetti legati alla trasformazione del mercato del lavoro. A partire da queste considerazioni, la politica economica europea doveva quindi favorire un processo di crescita fondato più sugli investimenti che sui consumi e, in particolare, un aumento degli investimenti, attraverso l'introduzione di nuove tecnologie, avrebbe avuto l’effetto di accrescere la competitività dell’intero sistema economico (Libro Bianco 1993). La commissione Delors, oltre all’analisi dei fattori che avevano scatenato l’instabilità nei paesi comunitari, forniva dunque una serie di obiettivi e strategie da perseguire, con il fine di dare nuova consapevolezza economica e politica agli Stati membri e con lo scopo di affrontare le sfide che il nuovo secolo poneva ai diversi esecutivi nazionali. Come abbiamo accennato, tra i temi affrontati nel Libro Bianco lo sviluppo delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione figurava quindi come una priorità. In esso vi erano tracciate le caratteristiche fondamentali della nascente società dell’informazione, le opportunità occupazionali, organizzative e gestionali offerte dallo sviluppo di un’economia di tipo informazionale e le enormi potenzialità alle quali poteva assurgere un settore pubblico altamente informatizzato. «Information and communication technologies (ICTs) are transforming dramatically many aspects of economic and social life […] A new "information society" is emerging, in which management, quality and speed of information are key factors for competitiveness: as an input to industry as a whole and as a service provided to ultimate consumers, information and communication technologies influence the economy at all stages» (Libro Bianco 1993). Il Libro Bianco di Delors diventa dunque un punto di riferimento per le policies per la società dell’informazione in Europa (Capano 2000), suggerendo allo stesso tempo di sostituirlo concettualmente al termine americano di Information SuperHighways, in quanto capace di rappresentare in maniera più incisiva il complesso di trasformazioni sociali, politiche ed economiche determinate dalla 79 diffusione delle nuove tecnologie dell’informazione (De Rosa 2000, Zuccarini 2007). In effetti, la metafora autostradale dell’informazione era, come affermava Carlini, riduttiva se si vogliono contenere tutti gli aspetti connessi alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, in particolare se si pensa alla rete. Essa ha la funzione essenziale di riuscire a rappresentare il grande progetto politico ed economico che, per il suo rilievo generale, assume un’importanza paragonabile a quella svolta dalle altre grandi reti infrastrutturali che hanno accompagnato le grandi espansioni economiche: via d’acqua, vie ferrate, maglia autostradale (Carlini 1996) ma nel complesso riduce di gran lunga il potenziale trasformativo sociale e culturale contenuti nelle tecnologie per l’informazione e la comunicazione. Il rapporto Delors si trasforma quindi in un primo passo per risollevare le sorti di una economia in crisi e, nello stesso tempo, le politiche per la società dell’informazione diventano di importanza strategica per i governi, ormai quasi tutti in difficoltà per le accuse di inefficienza e per la scarsa efficacia della propria azione (Capano 2000, Zuccarini 2007). Nel giugno del 1994, a circa un anno dalla pubblicazione del Libro Bianco di Delors, la Commissione Europea pubblicò il rapporto Europe and the Global Information Society: Recommendations to the European Council, oggi ricordato come Rapporto Bangemann, dal nome del suo relatore Martin Bangemann, allora commissario all’industria. Il rapporto, presentato ai membri della UE durante il Vertice di Corfù78, è la naturale prosecuzione delle strategie proposte dal Libro Bianco. Nello specifico il rapporto si preoccupava di definire con maggiore chiarezza gli aspetti dedicati allo sviluppo della società dell’informazione e alla implementazione di un’economia di tipo informazionale. In esso vi erano delineati gli obiettivi che ogni singolo stato della Comunità Europea, sia nella loro autonomia che in relazione con gli altri membri della comunità, dovevano perseguire negli anni successivi, affinché in Europa cominciasse a svilupparsi una piattaforma economica e sociale basata sull’informazione e la conoscenza come pilastri portanti dell’intera struttura economica ed organizzativa. «The widespread availability of new information tools and services will present fresh opportunities to build a more equal and balanced society and to foster individual accomplishment. The information society has the potential to improve the quality of life of Europe's citizens, the efficiency of our social and economic organisation and to reinforce cohesion» (Bangemann Report 1994). 78 Il vertice di Corfù si è tenuto il 24 Giugno del 1994 e vide per la prima volta la partecipazione al Consiglio Europeo di stati come l’Austria, la Finlandia e la Norvegia. Nel vertice furono discusse e deliberate le priorità della Comunità Europea in termini di sviluppo e riorganizzazione delle economie dei paesi membri. Nello specifico, durante il vertice di Corfù, il Consiglio Europeo elaborò sei punti fondamentali tesi al riordino e allo sviluppo dell’economia negli Stati membri: i. Incentivazione di riforme intese a migliorare l'efficienza dei regimi occupazionali; ii. Misure specifiche intese a massimizzare lo sfruttamento del potenziale occupazionale delle piccole e medie imprese; iii. Rafforzamento del coordinamento della politica in materia di ricerca; iv. Rapida attuazione di progetti transeuropei altamente prioritari nei settori dei trasporti e dell'energia; v. Pieno sfruttamento delle possibilità e delle opportunità offerte dalla società dell'informazione; vi. Incoraggiamento del nuovo modello di sviluppo sostenibile, compresa la dimensione ambientale. 80 Questo rapporto ha rappresentato un ulteriore percorso verso la creazione di una strategia europea per la società dell’informazione, poiché venne considerato come l’avvio ufficiale di un processo di attuazione concreta di interventi pubblici. Si invitava l’UE a procedere all’individuazione dei finanziamenti pubblici esistenti – primariamente i fondi strutturali – al fine di realizzare gli interventi necessari per rispondere ai bisogni emergenti della società dell’informazione. Nel Rapporto Bangemann la costruzione della società dell’informazione in Europa doveva passare attraverso degli obiettivi e delle priorità precise: innanzitutto la volontà di perseguire un’Europa dei cittadini e dei consumatori, dove l’obiettivo di base era quello di migliorare significativamente i margini di qualità della vita e fornire una scelta più ampia di servizi e intrattenimenti; dare valore ai creatori di contenuti, strutturando strategie e nuovi modi per esercitare la propria creatività e la progettazioni di nuovi prodotti e servizi; creare nuove opportunità per le regioni d'Europa di esprimere le loro tradizioni culturali e le loro identità e, per i paesi periferici, una riduzione della distanza e della lontananza; un governo e una PA più efficienti, trasparenti e servizi pubblici più vicini ai cittadini e ad un costo inferiore; per le imprese europee una gestione più efficace dell'organizzazione, l'accesso alla formazione e ad altri servizi, un miglioramento dei legami con clienti e fornitori che inevitabilmente genera una maggiore competitività; la capacità di fornire una più ampia gamma di nuove imprese ad alto valore aggiunto nel settore degli operatori delle telecomunicazione; una nuova e forte crescita dei mercati e dei prodotti come le attrezzature e le forniture software, computer e l’elettronica di consumo per le industrie. In entrambi i rapporti il minimo comun denominatore è il mercato. Sia nel Libro Bianco di Delors che nel Rapporto Bangemann non vi è dubbio: il volano delle politiche per la società dell’informazione deve essere il mercato. Nel rapporto Bangemann la condizione minima imprescindibile verso la quale l’Europa doveva orientarsi era liberalizzare. La Commissione era convita che il progresso tecnologico e l'evoluzione del mercato sarebbe avvenuta solo se l'Europa avrebbe “fatto una pausa” dalle politiche basate su principi che appartenevano a un tempo prima dell'avvento delle informazioni rivoluzione. In effetti, la questione chiave era che con l’emergere di nuovi mercati emergeva – come sosteneva lo stesso Rapporto Delors - la necessità di un nuovo quadro normativo che consentisse la piena concorrenza, una condizione indispensabile per mobilitare il capitale privato necessario per l'innovazione, la crescita e lo sviluppo. Per funzionare correttamente, il nuovo mercato richiedeva che tutti gli attori dovevano essere messi in condizione di partecipare con successo, senza svantaggi rilevanti. Tutti dovevano essere in grado di operare all'interno di un mercato unico, equo e competitivo (Rapporto Bangemann 1994). Il rapporto raccomanda agli Stati membri di accelerare il processo di liberalizzazione del settore delle telecomunicazioni attraverso: • l’apertura alla concorrenza e la disarticolazione di monopoli createsi nelle infrastrutture e nei servizi; • la rimozione degli oneri e dei vincoli di bilancio che gravavano sugli operatori delle telecomunicazioni; • la fissazione di calendari chiari; 81 L’inizio degli anni ’90 è dunque indicato come il momento principale per la nascita e lo sviluppo di politiche tese alla implementazione della società dell’informazione in Europa. Sia il Libro Bianco di Delors che il rapporto Bangemann sono oggi menzionati da una buona parte della letteratura come i primi passi, e le prime reali aperture politiche, verso la società dell’informazione (De Rosa 2003, Calenda 2007, Zuccarini 2007). A più di dieci anni dal Rapporto Bangemann il termine società dell’informazione è lentamente entrato a far parte del lessico politico e amministrativo, fino a diventare ormai d’uso comune. A partire dai POR (Piani Operativi Regionali), fino ai recenti documenti pubblicati dalla Commissione Europea in materia di strategie economiche e di sviluppo, il termine società dell’informazione è divenuto un riferimento categoriale e concettuale al quale le agende politiche e gli attori istituzionali fanno ormai quotidianamente e necessariamente riferimento. 2. Sul ruolo della ricerca nella definizione delle politiche per la società dell’informazione: i Programmi Quadro La società dell’informazione in Europa ha dunque conosciuto un primo momento di sviluppo nella prima metà degli anni ’90, un periodo nel quale gli interventi tesi all’implementazione delle policies sono cresciuti in maniera esponenziale. Con il crescere dell’interesse politico, la società dell’informazione diventa un terreno fertile di confronto disciplinare e accademico, con il rinnovato ruolo strategico di strutturare e programmare interventi adeguati e più attenti al cambiamento. Dal Rapporto Delors in poi la società dell’informazione comincia così a far parte dell’agenda politica dei diversi governi e delle diverse istituzioni nazionali e sovranazionali e, parallelamente, sono state alimentate e finanziate ricerche che potessero fornire elementi utili alla individuaz’’88ione e alla definizione di linee guida per la strutturazione di interventi e pratiche per la società dell’informazione. La ricerca – in tutti i suoi rami disciplinari - ha dunque negli anni assunto un ruolo strategico per quanto riguarda la costruzioni di policies e, lentamente, sono andati affermandosi in Europa una serie di investimenti relativi alla ricerca sul tema della società dell’informazione. Uno degli strumenti principali attraverso il quale l’Unione Europea finanzia la ricerca in tutte le sue strutture e articolazioni è il Programma Quadro (PQ). Essi sono stati istituiti nel 1984 sotto la commissione Thorn79 con l’intento di portare un coordinamento ed una maggiore cooperazione fra i diversi enti, pubblici e privati, predisposti alla ricerca. Il PQ è proposto dalla Commissione europea ed è adottato dal Consiglio e dal Parlamento europeo secondo la procedura di codecisione80. Una 79 Gaston Edmont Thorn, presidente della Commissione Europea dal 6 gennaio 1981 al 5 gennaio 1985 membro del Partito Democratico di Lussemburgo. 80 La procedura di codecisione (articolo 251 del trattato CE) è stata introdotta dal trattato di Maastricht e conferisce al Parlamento europeo il potere di adottare una serie di atti congiuntamente con il Consiglio dell'Unione europea. Prevede una, due o tre letture e si traduce in un maggior 82 volta che il Consiglio e il Parlamento europeo hanno adottato il PQ, la Commissione europea è responsabile della sua attuazione. I PQ coprono un periodo di cinque anni in cui l’ultimo anno di un PQ coincide col primo anno del PQ seguente. Essi non versano quote nazionali per la concessione degli stanziamenti, i finanziamenti sono erogati attraverso una serie di criteri precisi: innanzitutto l’UE finanzia unicamente i progetti che coinvolgono più partner di paesi diversi e gli stanziamenti sono assegnati in base a inviti a presentare proposte concorrenziali pubblicati dalla Commissione a scadenze regolari. I progetti possono beneficiare dei finanziamenti UE solo se il loro campo di applicazione e i loro obiettivi rispecchiano le priorità stabilite negli inviti a presentare proposte. La qualità e la pertinenza tecnologica dei progetti per i quali è richiesto un finanziamento sono valutate da esperti indipendenti e ogni proposta è valutata in media da cinque esperti. Infine i finanziamenti del PQ non costituiscono sussidi destinati alle organizzazioni di ricerca o alle imprese, e possono essere utilizzati solo per lavori o attività di ricerca ben precisi. I PQ rivestono dunque in Europa un ruolo sostanziale circa l’orientamento della ricerca nei diversi paesi comunitari, soprattutto nel campo delle tecnologie per l’informazione e la comunicazione. Sul tema società dell’informazione è però solo a partire dal 5° Programma Quadro che possiamo rintracciare i primi investimenti. In effetti, dalla documentazione ufficiale europea vi sono pochi e timidi interventi - strategie di investimenti o finanziamenti - rivolti alla crescita e alla implementazione di un quadro quantomeno rivolto alle linee programmatiche sottolineate dai libri “colorati” di Delors e dal più specifico Rapporto Bangemann. Dal 5° PQ in poi la società dell’informazione entra ufficialmente come tema di ricerca nei piani di azione europei. A questo punto bisogna passare in rassegna i diversi PQ che negli anni si sono succeduti con il fine di ripercorrere i passaggi più importanti che la ricerca in Europa ha affrontato sul tema della società dell’informazione. 2.1 Il 5° Programma Quadro 1998/2002. Il 5° PQ è stato valutato dalla Commissione Europea come un primo approccio economico strategico e pianificato della Comunità81. Adottato con procedura di codecisione dal Parlamento Europeo il 22 dicembre 1998 aveva come obiettivo quello di rafforzare le basi scientifiche e tecnologiche dell'industria comunitaria e favorire lo sviluppo della sua competitività a numero di contatti tra i due colegislatori, ovvero il Parlamento e il Consiglio, moltiplicando anche i contatti con la Commissione europea. In pratica la procedura di codecisione ha rafforzato il potere legislativo del Parlamento europeo nei seguenti settori: libera circolazione dei lavoratori, diritto di stabilimento, servizi, mercato interno, istruzione (azione di incentivazione), sanità (azioni di incentivazione), consumatori, reti transeuropee (orientamenti), ambiente (programmi generali d'azione), cultura (azione di incentivazione) e ricerca (programma quadro). Questa voce è ripresa direttamente dall’Europa Glossario. Il glossario contiene 233 voci, relative alla costruzione europea, alle istituzioni e alle attività dell'Unione europea e viene regolarmente aggiornato. Esso include tra le altre anche le modifiche apportate dal Trattato di Nizza e gli ultimi progetti di riforma dei trattati. È possibile consultare il glossario al sito: http://europa.eu/scadplus/glossary/index_it.htm 81 Commissione Europea, Commenti della Commissione sulla Valutazione quinquennale dei Programmi dell’Unione Europea per la ricerca e lo sviluppo tecnologico, 1995-1999; Bruxelles, 19 ottobre 2000. 83 livello internazionale. Per il periodo dal 1998-2002 erano stati stanziati dalla Comunità Europea un ammontare di 14.960 milioni di euro diretti a investimenti per la ricerca, di cui 13.700 milioni di Euro erano invece destinati alla messa in pratica della sezione comunitaria europea del 5° PQ. In generale, il 5° PQ definiva gli obiettivi e le priorità per il periodo 1998-2002 sulla base di tre criteri fondamentali: 1) valore aggiunto europeo e principio di sussidiarietà: necessità della costituzione di una massa critica in termini umani e finanziari grazie alla combinazione di risorse e competenze complementari presenti nei vari Stati Membri, volta alla risoluzione di problemi di dimensione europea. 2) obiettivi di carattere sociale: miglioramento della situazione occupazionale, qualità della vita e della salute, tutela dell'ambiente. 3) sviluppo economico e prospettive scientifiche e tecnologiche: contributo allo sviluppo armonioso e sostenibile della Comunità nel suo insieme (Commissione Europea 2008). Nello specifico esso era organizzato in maniera semplificata attraverso una struttura multi tematica. Diviso in sette diverse aree di intervento, anch’essi chiamati a loro volta programmi, divisi a loro volta in quattro programmi tematici e tre programmi orizzontali. I Programmi Orizzontali non avevano aree scientifiche predefinite e le azioni risultano trasversali e complementari ai programmi tematici. I Programmi tematici erano invece divisi in quattro macroaree: • Qualità della vita e gestione delle risorse biologiche (QUALITY OF LIFE) • Società dell'Informazione (IST) • Crescita competitiva e sostenibile (GROWTH) • Energia, ambiente e sviluppo sostenibile (EESD) Il secondo programma tematico era dunque interamente dedicato alla società dell’informazione (IST). Nel 5° PQ il numero dei progetti presentati e quelli finanziati sul tema Tecnologie della Società dell’Informazione è sensibilmente maggiore rispetto agli altri programmi tematici, Il contributo medio dei progetti nell’area tematica IST è stato di circa 1.777.000 euro (quasi 3,5 miliardi di lire) a progetto, superando al soglia del 31% dei finanziamenti messi a disposizione. Il programma tematico IST nel 5° PQ è stata dunque una priorità oltre che progettuale soprattutto finanziaria. Infatti, dal documento della Commissione Europea si può leggere: «Le potenzialità della società dell'informazione europea non potranno chiaramente essere realizzate nella loro interezza avvalendosi unicamente delle tecnologie e delle applicazioni odierne. Requisiti fondamentali quali l’usabilità, l’affidabilità, l’interoperabilità e soprattutto il costo accessibile non sono ancora soddisfatti in misura tale da consentire la diffusa applicazione delle tecnologie della società dell'informazione (per esempio: tecnologie, sistemi, applicazioni e servizi di informazione e comunicazione) in tutti i settori. A tal fine è necessario un impegno continuo a livello di ricerca, sviluppo tecnologico, dimostrazione e adozione delle tecnologie» (Commissione Europea 1999, p. 6). Il programma prevedeva quattro obiettivi specifici tra loro collegati, che da una parte si concentrano sugli sviluppi tecnologici, dall'altra garantiscono un valido collegamento tra ricerca e azione politica, necessario ai fini di una società dell'informazione coerente e accessibile a tutti. Esso non differisce nella sostanza dai 84 programmi precedenti. In effetti, il 5° PQ è stato definito con gli stessi scopi: aiutare a risolvere i problemi e rispondere alle sfide socio-economiche alle quali era confrontata l’Europa82. Una delle principali novità di questo programma risiede nel concetto di Azionichiave. Applicate ad ognuno dei quattro programmi tematici e dei tre programmi orizzontali, le Azioni-chiave avevano lo scopo di coprire un numero ampio di discipline scientifiche e tecnologiche e avrebbero avuto il compito di risolvere il problema della comunicazione tra le discipline e tra i programmi e le organizzazioni implicate. Tabella 3 - Ripartizione dell’importo finanziario per ogni Azione Chiave (in milioni di euro) Tipo di attività Importo a) Azioni chiave 646 547 564 1.363 i) Sistemi e servizi per il cittadino ii) Nuovi metodi di lavoro e commercio elettronico iii) Contenuti e strumenti multimediali iv) Tecnologie e infrastrutture di base 319 b) Attività di ricerca e sviluppo tecnologico di carattere generico: Tecnologie future ed emergenti 161 c) Sostegno alle infrastrutture di ricerca: Sistemi di reti di ricerca Totale 3600* (*) Di cui almeno il 10% per le tematiche orizzontali comuni a tutti i programmi, compreso il 2% per le piattaforme applicative integrate. Fonte: Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee (1999) Nel programma tematico per la società dell’informazione vi erano quattro Azionichiave. La prima Azione-chiave di IST concerneva sistemi e servizi per il cittadino e l’obiettivo è rendere più efficienti, tramite il digitale, determinati settori del servizio pubblico come salute, amministrazioni pubbliche, ambiente, trasporti e turismo. La seconda Azione-chiave è relativa ai nuovi metodi di lavoro e al commercio elettronico. Con ciò non si intendeva finanziare l’impresa che si vuole costruire il suo sito personale per vendere il suo prodotto, bensì la ricerca e l’applicazione di nuovi sistemi per il telelavoro e l’e-commerce. La terza Azione verteva sui contenuti e strumenti multimediali, ovvero sulla ricerca per sviluppare nuovi modelli, tecnologie e sistemi per la creazione, la gestione e l’accesso di contenuti multimediali compresi quelli audiovisivi. Uno dei temi che 82 Nel 2001 il 5° Programma Quadro è stata rifocalizzato a seguito dell’iniziativa e-Europe. Lanciata nel 1999, l’iniziativa e-Europe si prefiggeva di fare entrare a pieno titolo l’Europa nell’era digitale, in modo tale da costruire una nuova cultura imprenditoriale ed evitare l’esclusione sociale di chi non ha ancora confidenza con le nuove tecnologie di internet (Borghi 2001). Per un maggiore approfondimento sull’iniziativa e-Europe si rimanda al prossimo paragrafo. 85 sta maggiormente a cuore alla Commissione è proprio la ricerca di soluzioni tecnologiche per abbattere le barriere del multilinguismo e del multiculturalismo, valorizzando le singole culture europee. Infatti, ha lanciato anche un Programma comunitario e-Content per finanziare l’applicazione dei risultati della ricerca condotta nell’ambito del Programma IST. Infine, la quarta Azione chiave finanzia le tecnologie e le infrastrutture essenziali, cioè elettronica, informatica, sensoristica, microelettronica e optoelettronica, comunicazione mobile e satellitare, ecc (Borghi 2001). Il 5° Programma Quadro ebbe quindi l’effetto che i diversi libri “colorati” di Delors e il rapporto Bangemann non ebbero. La funzione fondamentale della Commissione Delors era stata quella di accrescere l’attenzione e le sensibilità dei diversi governi e degli Stati Membri verso il tema società dell’informazione, diversamente, il 5° PQ aveva come momento fondamentale quello di aumentare la cooperazione internazionale in termini di ICTs, con il fine di pervenire a delle linee di guida ampie e condivise da i diversi paesi comunitari. 2.2 Il 6° Programma Quadro 2002-2006. Dalla lettura dei documenti di valutazione dei PQ forniti dalla Commissione Europea83, si può dedurre che i PQ precedenti al 6° avevano contribuito allo sviluppo di una cultura di cooperazione scientifica e tecnologica tra i vari paesi dell’Unione europea e hanno svolto un ruolo nel conseguimento di ottimi risultati di ricerca. Tuttavia, non hanno esercitato un impatto duraturo sul rafforzamento della coerenza a livello europeo. A partire da questo presupposto, il 6° PQ è stato pertanto definito in vista di obiettivi tesi a ridurre le difficoltà attraversate con i precedenti programmi quadro. Innanzitutto, concentrazione di tutte le attività europee su un numero ridotto di priorità, soprattutto nei settori in cui la cooperazione a livello europeo apporta un evidente valore aggiunto; integrazione graduale delle attività di tutti i partecipanti che operano a livelli diversi; promozione delle attività di ricerca destinate ad avere un impatto “strutturante” duraturo; sostegno delle attività atte a rafforzare la base scientifica e tecnologica generale dell’Europa; utilizzazione del potenziale scientifico dei paesi candidati per preparare ed agevolare il loro accesso all’Unione europea a beneficio dell’insieme della scienza europea (Commissione Europea 2002). Il 6° PQ mirava a contribuire alla creazione di uno Spazio europeo della ricerca (SER)84. Dal testo del PQ, si legge che: 83 Sulla valutazione dei PQ la Commissione Europea fornisce una densa e ampia documentazione disponibile online al sito: http://ec.europa.eu/research/ 84 Dal glossario della Commissione Europea si legge: lo spazio europeo della ricerca riunisce i vari mezzi di cui dispone la Comunità per meglio coordinare le attività di ricerca e innovazione a livello degli Stati membri e dell'Unione europea. Questa idea è stata lanciata dalla Commissione nel 2000 onde sviluppare opportunità effettivamente interessanti per i ricercatori. Fino a quel momento la ricerca a livello europeo doveva affrontare varie difficoltà: frammentazione degli sforzi, isolamento dei sistemi nazionali di ricerca, disparità dei regimi di regolamentazione e amministrativi e scarsi investimenti nelle conoscenze. Grazie ai mezzi attuati lo Spazio europeo della ricerca permette lo scambio di dati, la comparazione dei risultati, la realizzazione di studi multidisciplinari, i trasferimenti e la tutela di nuove conoscenze scientifiche nonché l'accesso ai poli di eccellenza e alle apparecchiature più avanzate. Lo spazio europeo della ricerca mira anche a rispondere ad un’ambizione determinante dell'Unione europea, ossia realizzare un'effettiva politica comune della ricerca. 86 «il SER rappresenta una visione per il futuro della ricerca in Europa, un mercato interno della scienza e della tecnologia che incentiva l’eccellenza scientifica, la competitività e l’innovazione attraverso la promozione di una cooperazione e un coordinamento migliori tra gli operatori interessati a tutti i livelli. La crescita economica dipende sempre più dalla ricerca e molte delle sfide attuali e prevedibili per l’industria e la società non possono più essere affrontate unicamente a livello nazionale». E ancora: «Le tecnologie dell'informazione e della comunicazione generano nuovi modi di produzione, di scambio e di comunicazione. Questo settore, divenuto il secondo settore economico dell'Unione europea, occupa oltre 2 milioni di persone. In tale contesto, il Sesto programma quadro intende rispondere alle esigenze e alle domande dei mercati, delle politiche pubbliche e dei cittadini». Il PQ era suddiviso in sette priorità tematiche: 1) scienze della vita, genomica e biotecnologie per la salute; 2) tecnologie per la società dell'informazione; 3) nanotecnologie, materiali intelligenti e nuovi metodi di produzione; 4) aeronautica e spazio; 5) qualità e sicurezza alimentare; 6) sviluppo sostenibile, cambiamento globale e ecosistemi (compresa la ricerca nel settore dell'energia e dei trasporti); 7) cittadini e governance in una società della conoscenza. Tra le principali sfide di ricerca all’interno del 6° PQ vi era dunque la volontà di percorrere la strada della transizione dalla vecchia economia ad un sistema di Economia Digitale. Fondamentale, per il raggiungimento di questo obiettivo, erano ovviamente le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, ma il successo di questa transizione era fortemente legato alla capacità delle persone di beneficiare delle nuove opportunità tecnologiche (Borghi 2000). Si sono poste dunque le basi per la riduzione delle diverse dimensioni del Digital Divide che in quegli anni assumeva numeri preoccupanti. Costruire una Learning society, cioè una società in continuo apprendimento, era la chiave del successo. Lo stanziamento per il 6° Programma Quadro è stato pari a 17,5 miliardi di euro ripartiti per le diverse priorità tematiche. Tabella 4 - Ripartizione dell’importo finanziario per ogni priorità tematica (in milioni di euro) Priorità tematica Bilancio Scienza della vita, genomica e biotecnologie per la salute Tecnologie della società dell’informazione Nanotecnologie, materiali multifunzionali e nuovi processi di produzione Aeronautica e spazio Qualità e sicurezza dei prodotti alimentari Sviluppo sostenibile, cambiamento globale e ecosistemi (ivi compresa la ricerca in materia di energia e trasporti) Cittadini e governance nella società della conoscenza Totale 2255 3625 1075 685 2120 225 11285 Fonte: Commissione Europea, Direzione Generale della Ricerca (2002) 87 I finanziamenti del 6° Programma Quadro, relativi allo sviluppo di ricerche orientate alla crescita di pratiche legate allo sviluppo della società dell’informazione erano sostanzialmente due. Una prima linea tematica, di circa 3.625 milioni di euro, rivolta alle Tecnologie della Società dell’informazione ed una circa 2.25 milioni di euro orientata allo sviluppo di pratiche di governance e promozione della partecipazione della cittadinanza alla società della conoscenza. In particolare, il 6° PQ alla priorità tematica relativa alla società dell’informazione integra e riarticola le decisioni prese nel 2000 dal Consiglio Europeo di Lisbona che, in generale, ha riconosciuto lo sviluppo della società dell'informazione come essenziale per un rapido passaggio a una economia della conoscenza competitiva e dinamica, caratterizzata da una crescita sostenibile e accompagnata dal miglioramento quantitativo e qualitativo dell'occupazione e da una maggiore coesione sociale. Un orientamento che si è concretizzato nell’iniziativa eEurope 2002 varata dalla Commissione per promuovere l'avvento di una società dell'informazione per tutti. L'obiettivo ultimo era sviluppare tecnologie di uso più facile in tutti i settori: sicurezza e privacy, istruzione e formazione, disponibilità di accesso alle tecnologie per anziani o disabili, telelavoro, commercio elettronico, amministrazione online, sanità online (e-health)85. 2.3 Il 7° Programma Quadro 2007-2013. Il 7° PQ è stato lanciato nel 2007 ed è tuttora in corso di svolgimento. Esso da continuità ed incorpora numerosi degli elementi dei programmi precedenti, soprattutto quelli che hanno avuto un effetto positivo sulla ricerca europea. Il 7° PQ è inserito nello Spazio europeo della ricerca (SER), che raggruppa tutte le attività dell’Unione europea nel settore della ricerca scientifica. Leggendo il 7° PQ si apprende che la conoscenza e la tecnologia restano una delle risorse più importanti dell’Europa, e lentamente sono finite con il rappresentare la base della crescita e dell’occupazione. Il 7° PQ ricalca dunque la tendenza a favore delle ICTs e dell’economia della conoscenza incentivando ed incrementando sensibilmente sia i tempi che i fondi per la ricerca sulla società dell’informazione. Infatti, una delle caratteristiche del 7° PQ è la sua durata e la sua dimensione economica. La Commissione, in relazione ai risultati positivi conseguiti con i precedenti PQ, si è pronunciata sul 7°PQ a favore per un prolungamento della durata che da quattro è passato a sette anni. Inoltre, per il periodo 2007-2013 la Commissione Europea ha eseguito uno stanziamento di bilancio di 50.521 milioni di euro, ossia in media 7.217 milioni di euro l'anno che rappresenta oltre una volta e mezzo il bilancio annuale del 6° programma quadro. Stando al testo del 7° PQ, questo aumento rispecchia l’importanza della ricerca nel rilancio della strategia di Lisbona, che mira a rendere l'Europa l'economia della conoscenza più competitiva e più dinamica del mondo. Dall’analisi e dalla valutazione di alcuni degli obiettivi dei precedenti PQ è emerso che l’Europa per 85 Il Consiglio Europeo di Lisbona si è tenuto il 23 e 24 marzo 2000 per concordare un nuovo obiettivo strategico per l'Unione per il nuovo decennio al fine di sostenere l'occupazione, le riforme economiche e la coesione sociale nel contesto di un'economia basata sulla conoscenza. Per approfondimenti si rimanda al prossimo paragrafo. 88 mancanza di fondi disponibili ha perso alcune opportunità importanti in determinati settori fondamentali della ricerca. Il 7° programma è dunque teso a finanziare un maggior numero di progetti di qualità e rafforzare la capacità di innovazione dell'Unione europea. Il PQ è suddiviso in quattro grandi obiettivi che corrispondono a quattro programmi specifici principali, sulla cui base dovranno essere strutturati le attività europee nel settore della ricerca. Il programma Cooperazione che ha come scopo quello di incentivare la cooperazione e a rafforzare i legami tra l'industria e la ricerca in un quadro transnazionale. Il programma è articolato in temi, autonomi nella gestione, ma complementari per quanto riguarda l'attuazione86. Il programma Idee rivolto alla scoperta di nuove conoscenze che cambino la nostra visione del mondo e il nostro stile di vita. Per realizzare tale obiettivo il nuovo Consiglio europeo della ricerca sostiene i progetti di ricerca più ambiziosi e più innovatori. Lo scopo è rafforzare l'eccellenza della ricerca europea favorendo la concorrenza e l'assunzione di rischi. Il programma Persone che intende mobilitare risorse finanziarie importanti per migliorare le prospettive di carriera dei ricercatori in Europa ed attirare un maggior numero di giovani ricercatori di qualità. Infine, il programma Capacità dove l’intento è di investire di più nelle infrastrutture di ricerca delle regioni meno efficienti, nella creazione di poli regionali di ricerca e nella ricerca a vantaggio delle PMI. Il programma in questione deve inoltre rispecchiare l’importanza della cooperazione internazionale nella ricerca e il ruolo della scienza nella società. Nello specifico il programma Cooperazione contempla la voce Tecnologie per l’informazione e la comunicazione e l’obiettivo di base di questa priorità tematica consiste nel migliorare la competitività dell’industria europea e l’adattabilità delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, per far fronte all'evoluzione delle esigenze della società e dell’economia europee. La strategia adottata dalla Commissione su questo punto si incentra: sul rafforzamento della base scientifica e tecnologica europea nel settore delle ICTs; l'incentivazione dell'innovazione mediante l'uso di queste tecnologie; la trasformazione dei progressi realizzati in benefici concreti per i cittadini, le imprese, l'industria e le amministrazioni pubbliche europee. Il programma di lavoro ICTs nell’ambito del 7° PQ è suddiviso a sua volta in sette Challenges (Sfide) di interesse strategico per la società europea, ognuna di esse rivolta ad un determinato obiettivo. La prima sfida del 7° PQ è orientata rendere affidabile i servizi di rete e le infrastrutture (Pervasive and Trusted Network and Service Infrastructures). L’obiettivo generale di questa sfida è quello di consentire l’emergere di rete e dei servizi delle tecnologie che aprono nuovi scenari applicativi e innovativi modelli di business, creando così nuove opportunità di business e di crescita. Tuttavia, la complessità delle reti interconnesse su scala mondiale li espone ad una maggiore minaccia e vulnerabilità. Nel 7° PQ la ricerca intorno a temi quali 86 I nove temi del programma Cooperazione sono: salute; prodotti alimentari, agricoltura e biotecnologie; tecnologie dell’informazione e della comunicazione; nanoscienze, nanotecnologie, materiali e nuove tecnologie di produzione; energia; ambiente (ivi compresi i cambiamenti climatici); trasporti (ivi compresa l’aeronautica); scienze socioeconomiche e scienze umane; sicurezza; spazio; Per ulteriori approfondimenti si veda il sito ufficiale del 7° PQ: http://cordis.europa.eu/fp7/home_it.html 89 l’autenticazione, l’autorizzazione e argomenti correlati come l’etica, la privacy e il rischio sono pertanto ancora più centrali rispetto ai precedenti PQ. La seconda sfida è orientata alla ricerca su temi quali i sistemi cognitivi, l’interazione e la robotica (Cognitive Systems, Interaction, Robotics). In questa sfida vi è la convinzione che i sistemi ICTs dovrebbero essere in grado di reagire intelligentemente, essi dovrebbero essere in grado di dare risposte sensate a situazioni impreviste e di migliorare notevolmente l’interazione uomo-macchina. I sistemi artificiali devono essere messi in grado di capire e di controllare determinati processi come, ad esempio, quelli nella produzione industriale o dei servizi di pubblico dominio. La terza sfida è invece rivolta alla ricerca sui componenti e i sistemi ingegneristici (Components, systems and engineering). Alla base vi è la ricerca sulla miniaturizzazione dei chip, componenti multi-funzionali, nano-elettronica, componenti fotonici e sottosistemi per il laser, l'illuminazione e sensori di immagine. In breve vi era l’intento di sviluppare futuri software e sistemi informatici capaci di lavorare, distribuire e recuperare grandi quantità di dati e informazioni da molte fonti, in tempo reale, in stretta interazione con l’ambiente fisico. La quarta sfida vede nella costruzione di biblioteche digitali la sua massima aspirazione (Digital libraries and content)87. L’orientamento è quello di creare servizi di biblioteca digitale, infrastrutture di contenuti digitali capaci di archiviare personalizzare e utilizzare, nel corso del tempo, contenuti culturali e scientifici. A ciò vanno aggiunti la possibilità di accedere ai contenuti, l’uso e la comprensione del materiale digitale attraverso sistemi e strumenti per la conservazione delle informazioni. Secondo la Commissione Europea, l’Europa deve essere in grado di creare e gestire nuovi ambienti di apprendimento che siano, in modo intuitivo e personalizzato, capaci di adattarsi e soddisfare i bisogni dello studente e dell’insegnante che soprattutto siano capaci di motivare, coinvolgere e sostenere lo sviluppo delle capacità e delle competenze. L’obiettivo della quinta sfida (Sustainable and personalised healthcare) è invece quello di servire al meglio sia i pazienti che i professionisti della salute, rendendo la maggior parte delle tecnologie utili per migliorare la qualità, la disponibilità e l’efficacia della cura. La sesta sfida del 7°PQ orienterà la propria linee di ricerca verso la mobilità, la sostenibilità ambientale e l’efficienza energetica (Mobility, environmental sustainability and energy efficiency). L’obiettivo è quello di creare nuovi servizi di mobilità, fornire maggiori opzioni e accessibilità alle informazioni per le persone in movimento. Essi devono avere come obiettivi la sicurezza, l’efficienza, la competitività rispettando l'ambiente. Infine la settima sfida è orientata all'inclusione (Independent living and inclusion). Uno degli obiettivi è quello di integrare e migliorare radicalmente l'accessibilità e la fruibilità di nuove soluzioni ICTs per le persone con disabilità, limitazioni funzionali o mancanza di capacità digitali. Inoltre, le nuove opportunità offerte dalle ICTs saranno utilizzate per contribuire a compensare l’impatto dell’invecchiamento della 87 In particolare la terza sfida del 7°PQ è a sua volta suddivisa in due diverse linee di azione: 1)Digital libraries and technology-enhanced learning; 2) Intelligent content and semantics. 90 popolazione, in maniera significativa a prolungare la vita indipendente, e di aumentare la partecipazione attiva nella economia e nella società. Il 7° PQ agisce in linea con l'iniziativa i2010: la società dell'informazione e i media al servizio della crescita e dell'occupazione88. Lo scopo dell'iniziativa è coordinare le azioni degli Stati membri per facilitare la convergenza digitale e rispondere alle sfide legate alla società dell'informazione. Per elaborare questo quadro strategico ci si è basati su una consultazione dei soggetti attivi in questo campo circa le iniziative e gli strumenti precedenti, quali eEurope e la comunicazione sul futuro della politica europea in materia di regolamentazione audiovisiva (COM(2005) 229 def.) . 3. La strategia di Lisbona e la nascita dei piani eEurope Come precedentemente osservato, uno dei momenti più significativi per lo sviluppo della società dell’informazione in Europa è stata l’introduzione dei piani eEurope. La storia di queste iniziative s’intreccia con il rafforzarsi della ricerca e della relativa programmazione dei piani di azione nazionali che, sul finire degli anni ’90, sono andati intensificandosi notevolmente. Uno dei primi problemi avvertiti dalla Commissione Europea è stato quello di dominare un’eccessiva frammentazione che emergeva dalle diverse programmazioni e dagli interventi in materia di società dell’informazione. Nasce così l’esigenza di trovare una cornice di riferimento comune che potesse di fatto coordinare le diverse politiche nazionali per lo sviluppo della società dell’informazione in Europa. A partire da questi punti, l’8 dicembre del 1999 la Commissione Europea ha dato il via all’iniziativa eEurope con l’adozione della comunicazione intitolata eEurope – una società dell'informazione per tutti. Alla base della strutturazione dell’iniziativa vi era dunque il bisogno di rendere comuni le diverse vision che andavano maturando nei diversi Stati Membri e il primo passo che portò alla costituzione delle iniziative eEurope fu il consiglio di Lisbona tenutosi i giorni 23-24 marzo del 2000. In realtà, il consiglio di Lisbona aveva come scopo una prospettiva molto più ampia. Esso era scaturito dall’esigenza di rilanciare le politiche comunitarie che, grazie ad una situazione economica favorevole, potevano essere rimodulate con obiettivi e aspettative di risultati più ambiziosi. Tuttavia, come si legge dalle diverse relazioni pubblicate negli anni successivi, a causa del rallentamento dell’economia e delle difficoltà strutturali negli Stati membri, l’Unione europea è ora in ritardo sugli obiettivi prefissati durante il Consiglio. Dalle conclusioni del Consiglio di Lisbona si legge che l’Unione si era prefissata un obiettivo strategico che avrebbe dovuto caratterizzare tutto il nuovo decennio: diventare l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale. 88 L’iniziativa i2010 è il quadro strategico della Commissione europea che definisce gli orientamenti strategici di massima per la società dell'informazione e i media. Per approfondimenti si rimanda al prossimo paragrafo. 91 Il raggiungimento di questo obiettivo richiedeva una strategia globale volta a predisporre il passaggio verso un’economia e una società basate sulla conoscenza migliorando le politiche in materia di società dell'informazione nonché accelerando il processo di riforma strutturale ai fini della competitività e dell'innovazione. «Questa strategia potrà essere attuata migliorando i processi esistenti, introducendo un nuovo metodo di coordinamento aperto a tutti i livelli, associato al potenziamento del ruolo di guida e di coordinamento del Consiglio europeo ai fini di una direzione strategica più coerente e di un efficace monitoraggio dei progressi compiuti» (Commissione Europea 2000). In particolare il Consiglio Europeo invitava ad adottare la normativa in discussione riguardante il quadro giuridico per il commercio elettronico, il diritto d’autore e i diritti connessi, la moneta elettronica, la vendita a distanza di servizi finanziari, la competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle sentenze, il regime di controllo delle esportazioni di beni a duplice uso. Inoltre si invitava gli Stati membri a concludere il più celermente possibile i lavori sulle proposte legislative annunciate dalla Commissione in seguito alla revisione del quadro normativo per le telecomunicazioni. Un importante punto emerso dal Consiglio di Lisbona, e che in seguito ha caratterizzato gran parte dei piani eEurope, è stato quello di sollecitare ad incrementare politiche per l’inclusione dei cittadini alla società dell’informazione. Infatti, dal documento conclusivo si attesta che tutti gli Stati Membri dovevano garantire l’accesso generalizzato a tutti i servizi pubblici di base entro il 2003, obiettivo poi raggiunto parzialmente e rilanciato qualche anno dopo sempre dalla Commissione Europea. Inoltre, la Comunità e gli Stati membri dovevano impegnarsi a rendere accessibili le reti interconnesse, a basso costo e ad alta velocità di accesso a Internet. Inoltre dal Consiglio emergeva che: «Tenuto conto dell’apporto significativo della ricerca e dello sviluppo alla crescita economica, all’occupazione e alla coesione sociale, l'Unione europea deve imperniare i suoi lavori sugli obiettivi definiti nella comunicazione della Commissione "Verso uno spazio europeo della ricerca". Occorre integrare e coordinare meglio le attività di ricerca a livello nazionale e dell'Unione per renderle quanto più possibile efficaci ed innovative e per assicurare che l'Europa possa offrire prospettive allettanti ai suoi migliori ricercatori. Ci si dovrà avvalere pienamente degli strumenti previsti dal trattato e di tutti gli altri mezzi idonei, tra cui gli accordi volontari, per raggiungere questo obiettivo con flessibilità, in modo decentrato e senza burocrazia» (Commissione Europea 2000). Come costatato nel precedente paragrafo, si delinea così un piano cooperativo tra ricerca e politiche per la società dell’informazione con la creazione del SER (Spazio pubblico europeo della ricerca) che aveva come compito fondamentale quello di mettere in relazione e cooperazione i diversi obiettivi e scopi della ricerca in Europa. L’eEurope è una delle prime iniziativa politiche tese a garantire che l’Unione europea, attraverso una forma cooperativa e collaborativa tra gli Stati Membri, approfitti dei cambiamenti dovuti all’affermazione della società dell'informazione. Prima di tale iniziativa a livello europeo sono state adottate numerose misure intese a promuovere la società dell'informazione, come la liberalizzazione delle telecomunicazioni, l'istituzione di un quadro giuridico per il commercio elettronico e 92 il sostegno alle industrie e al settore della ricerca e sviluppo, ma la diversità degli approcci dei diversi paesi comunitari esigeva un coordinamento europeo. La rapidità dell’evoluzione delle tecnologie e dei mercati imposero dunque di avviare un’iniziativa per far progredire alcune delle politiche per la società dell’informazione troppo frammentate e poco inclini alla cooperazione. Sulla base delle valutazioni della Commissione il 13 Marzo del 2001, attraverso una comunicazione della Commissione, fu dunque approvato il primo documento ufficiale della Commissione europea dove venivano dettati gli obiettivi che i diversi Stati Membri dovevano perseguire. Il documento prendeva il nome di eEurope 2002: Impatto e priorità (COM (2001) 140 def.). In generale i principali obiettivi dell’iniziativa eEurope 2002 erano: fare in modo che ciascun cittadino, ciascuna abitazione, scuola, impresa e amministrazione entri nell’era digitale e disponga di un collegamento on-line; creare in Europa la padronanza degli strumenti dell’era digitale, con il sostegno di una cultura imprenditoriale pronta a finanziare e a sviluppare nuove idee; garantire che l’intero processo non crei emarginazione, ma rafforzi la fiducia dei consumatori e potenzi la coesione sociale Per conseguire tali obiettivi la Commissione aveva proposto dieci azioni prioritarie, da attuare grazie all'impegno congiunto della Commissione, degli Stati membri, dell'industria e dei cittadini europei. Innanzitutto, far entrare i giovani europei nell’era digitale. Dal testo della Commissione si legge che la cultura digitale doveva diventare una delle conoscenze di base di tutti i giovani europei. Gli Stati membri quindi avrebbero dovuto garantire che tutte le scuole dovevano avere un accesso a Internet e alle risorse multimediali. Un secondo punto riguarda un accesso a Internet più economico, per raggiungere questo obiettivo la Commissione si impegnava ad aumentare la concorrenza, per diminuire i prezzi e per consentire ai consumatori una più ampia scelta. Il terzo punto era rivolto ad accelerare il commercio elettronico, era dunque necessario adottare un quadro giuridico affidabile e condiviso. Il quarto punto esigeva un accesso ad Internet ad alta velocità per i ricercatori e per gli studenti, ciò avrebbe consentito di assicurare una più efficace cooperazione e interattività fra le varie università e i vari laboratori europei, con vantaggio della ricerca e della formazione. Il quinto punto era rivolto a fornire tessere intelligenti per un accesso elettronico sicuro89. Per permettere la loro diffusione era prioritario per la Commissione creasse una struttura in tutta l’Unione europea e a tal fine era necessario che le amministrazioni pubbliche, i fornitori e i prestatori di servizi europei attivassero una collaborazione per definire specifiche comuni in settori come la mobilità, la sicurezza, il rispetto della vita privata e il controllo dell'utilizzo. Un altro punto riguardava il Capitale di rischio90 per le PMI ad alta tecnologia91. Secondo la Commissione era necessario fornire condizioni che consentissero lo 89 Le tessere intelligenti sono tessere che danno accesso ai servizi sanitari, ai pagamenti elettronici, a Internet mobile, ai trasporti pubblici, alla pay TV, ecc.. 90 Con il termine di Capitale di rischio si fa riferimento a quel capitale immesso nella società dai fondatori a fronte dell’acquisizione di una partecipazione (azione o quota) nella stessa. 91 Le PMI sono le Piccole e Medie Imprese, aziende le cui dimensioni rientrano entro certi limiti occupazionali e finanziari prefissati. 93 sviluppo delle idee a fini commerciali e il finanziamento di esse in seno all’Unione, per portare al massimo il capitale di rischio disponibile per le PMI ad alta tecnologia. La settima azione prioritaria riguardava l’e-participation per i disabili. In base a questa priorità i paesi membri dovevano attuare azioni affinché lo sviluppo della società dell'informazione tenga pienamente conto delle esigenze dei disabili. Un’altra azione riguardava i servizi sanitari online e la creazione di rete e le tecniche intelligenti di monitoraggio sanitario, l’accesso all’informazione e all’assistenza sanitaria potrebbero migliorare nettamente l'efficacia dei servizi sanitari per tutti i cittadini. La penultima linea di azione osservava che grazie alle tecnologie digitali è possibile rendere più sicuri i trasporti e migliorare la qualità dei trasporti pubblici. L’Europa quindi doveva sostenere tutti i cittadini che viaggiano sul territorio europeo ad avere pieno accesso, ovunque, a servizi di assistenza plurilingui, a servizi di localizzazione delle chiamate e di emergenza e tutte le grandi rotte aeree dovevano disporre di un’infrastruttura di bordo, terrestre o aerea, in grado di contribuire a ridurre la congestione e migliorare la sicurezza. Infine, l’ultimo dei dieci punto prioritari dell’iniziativa eEurope 2002 guardava alle amministrazioni online e al più complesso processo di e-government. Tutti i cittadini e le imprese dovevano dunque avere la possibilità di accedere più agevolmente alle informazioni delle pubbliche amministrazioni. Esse pertanto avevano l’obbligo di agevolare l’accesso online alle informazioni, ai servizi e alle procedure decisionali dell'amministrazione per tutti i cittadini. A distanza di circa due anni dal lancio dell’iniziativa, la Commissione europea, attraverso la comunicazione eEurope Benchmarking Report92, rilevava dei gravi ritardi su quasi tutte le priorità poste in essere dall’iniziativa eEurope 2002. Dall’accesso al commercio elettronico, dall’amministrazione online alla partecipazione dei disabili alla società dell’informazione, non vi era priorità che non presentasse ritardi sulle linee da raggiungere entro il 2002 (COM(2002) 62 final.). L’analisi comparativa sottolineava comunque che l’iniziativa eEurope 2002 era stata messa in una prospettiva a lungo termine e che guardava con maggiore attenzione agli obiettivi fissati a Lisbona per il 2010. All’inizio, il piano d’azione eEurope era invece stato concepito come misura a breve termine in quanto un impatto diretto e immediato fu ritenuto necessario. Quando l'iniziativa è stata lanciata era infatti stato previsto come un intervento per mettere l’Europa online in modo rapido e veloce. L’attuazione del piano invece richiede più tempo. In estrema sintesi, secondo il rapporto la tecnologia evolve velocemente ma che la società rallenta questa evoluzione in quanto prende più tempo. Essa richiede cambiamenti organizzativi, un cambiamento di mentalità, modernizzazione del regolamento e un diverso comportamento dei consumatori. Queste sono una parte delle motivazioni che più di tutte hanno inciso negativamente sul raggiungimento degli obiettivi prioritari prefissati (COM(2002) 62 final.). 92 La comunicazione COM(2002) 62 e i relativi indicatori per l’analisi e la valutazione dell’iniziativa eEurope 2002 sono interamente reperibili al sito della Commissione europea http://ec.europa.eu/information_society/eeurope/2002/benchmarking/index_en.htm 94 Per far fronte a queste problematiche, la Commissione europea nel 2002 ha rilanciato il piano eEurope ponendo maggiormente l’accento su questioni relative allo sviluppo di una cultura rivolta all’informatizzazione. 3.1 eEurope 2005. Seguendo l’approccio inaugurato da eEurope 2002, la Commissione europea il 28 Maggio del 2002 rilancia l’iniziativa pubblicando il documento dal titolo eEurope 2005: una società dell'informazione per tutti. Alla base del rilancio del piano vi era l’obiettivo di definire criteri chiari ed effettuare una valutazione comparativa dei progressi compiuti, nonché accelerare l’adozione di nuovi strumenti legislativi e riorientare i programmi esistenti verso le nuove priorità identificate Dal piano eEurope 2005 si apprende: «La strategia di Lisbona non è fondata esclusivamente sulla produttività e la crescita, ma anche sull’occupazione e la coesione sociale: eEurope 2005 pone l’utente al centro dell’azione. Migliorerà la partecipazione sociale, offrirà nuove opportunità per tutti e aumenterà le competenze. Tutte le linee di azione di eEurope prevedono misure riguardanti la cosiddetta partecipazione o e-inclusion» (COM (2002) 263). Nel quadro dell’eEurope 2005, i principali obiettivi che l’Unione europea intendeva raggiungere entro il 2005 erano divisi in cinque diverse azioni: • servizi pubblici online moderni; • un ambiente dinamico per il commercio elettronico (e-business); • un’infrastruttura di informazione protetta; • la disponibilità massiccia di un accesso a banda larga a prezzi concorrenziali; • una valutazione comparativa e la diffusione delle buone pratiche. La prima azione riguarda dunque i servizi pubblici, quest’obiettivo si divide in tre diverse linee di intervento: - amministrazione elettronica (e-government); - servizi di apprendimento elettronico (e-learning); - servizi di telesalute (e-health). La prima linea di intervento (e-government) sosteneva che per realizzare servizi pubblici online moderni e in linea con l’esigenze dei cittadini bisognava innanzitutto fornire tutte le amministrazioni pubbliche di collegamenti a banda larga entro il 2005, data di chiusura dell’iniziativa; l’adozione da parte della Commissione di un quadro in materia di interoperabilità, per facilitare la fornitura di servizi amministrativi elettronici a livello paneuropeo ai cittadini e alle imprese; per la fine del 2004, tutte le amministrazioni dovevano dotarsi di servizi pubblici interattivi ed accessibili a tutti via reti a banda larga ed accessi multi-piattaforma (telefono, televisione, computer ecc.); un accesso agevolato per tutti i cittadini ai Punti di accesso pubblici ad Internet (PAPI). La seconda linea di intervento si concentrava sul tema dell’apprendimento elettronico (e-learning). In generale, il piano di azione eEurope 2005 incoraggiava a proseguire l’uso dell’elettronica nell’insegnamento, un contesto nel quale l’iniziativa si proponeva una serie di misure mirate, fra cui l’accesso a banda larga ad internet di tutti gli istituti di insegnamento e delle università; la messa a disposizione da parte 95 delle università entro il 2005, di un accesso in linea agli studenti e ai ricercatori; il lancio da parte della Commissione di azioni di ricerca sulla diffusione di reti e piattaforme automatizzate fondate su infrastrutture di calcolo ad alte prestazioni; il lancio da parte degli Stati membri, con il sostegno dei Fondi strutturali93, di azioni di formazione per impartire agli adulti le competenze necessarie per lavorare nella società della conoscenza (COM (2002) 263). La terza linea di intervento per i servizi online si concentra sull’uso e i vantaggi delle ICTs nella gestione della salute (e-health), linea contemplata sia dai Programmi quadro che dal precedente piano eEurope. In questo settore, il piano di azione eEurope 2005 prevedeva l’introduzione di una carta europea di assicurazione malattia che avrebbe dovuto sostituire i moduli necessari per usufruire dell’assistenza sanitaria in un altro Stato membro; la creazione da parte degli Stati membri di reti di informazione sulla salute tra i centri di assistenza sanitaria (ospedali, laboratori e cure a domicilio); la prestazione alla popolazione di servizi sanitari in linea (dossier medici, teleconsultazione, rimborso elettronico ecc.) (COM (2002) 263). Le linee di intervento della prima linea di azione erano dunque partizionate su tre temi diversi e specifici. E-goverment, e-learning e e-wealth hanno caratterizzato il rilancio dell’iniziativa eEurope più delle altre linee di azione. Infatti, come vedremo, oltre ad avere un ulteriore rilancio nelle successive iniziative europee per quando riguarda la società dell’informazione, esse hanno avuto una particolare eco anche nei diversi programmi nazionali. Le altre linee di azione del piano eEurope 2005 comprendevano l’e-business, ovvero il commercio elettronico (acquisto e vendita in linea) e la ristrutturazione dei processi aziendali. In questo settore secondo il piano le azioni previste dovevano includere un riesame della legislazione capace di eliminare i fattori che impedivano alle aziende e alle imprese di lanciarsi nel commercio elettronico; la creazione di una rete europea delle PMI nel settore del commercio elettronico e l’elaborazione da parte dei privati di soluzioni interoperabili per la sicurezza delle transizioni e i pagamenti elettronici. Poi, nell’iniziativa, era presente la volontà di realizzare una infrastruttura di informazione protetta. In particolare si mirava alla creazione di un’unità per la cibersicurezza e l’introduzione, sia nel settore pubblico che in quello privato, di una cultura della sicurezza nella progettazione e attuazione dei prodotti di informazione e comunicazione. Inoltre nel piano di azione eEurope 2005 si intendeva incoraggiare nuovamente l’innovazione e sviluppare l’uso e gli investimenti nelle comunicazioni a banda larga. Infine, il piano di azione prevedeva misure di analisi, censimento e diffusione delle buone pratiche in particolare attraverso conferenze e reti di sostegno. Nel quadro dell’esercizio di valutazione comparativa si prevedeva anche la realizzazione di un elenco di indicatori e di una metodologia rinnovati a livello dell’Unione europea (COM (2002) 263). 93 Sono risorse finanziarie messe a disposizione dall’Unione Europea con l’obiettivo di migliorare la coesione economica e sociale all'interno degli Stati membri, riducendo il divario tra le aree più avanzate e quelle in ritardo di sviluppo e promuovendo le pari opportunità dei diversi gruppi sociali. 96 I risultati del piano d’azione, diversamente dal precedente piano eEurope, hanno numeri positivi in numerosi settori, soprattutto per quanto riguarda l’offerta di connessioni a banda larga e l’amministrazione elettronica. Infatti, dal report Information Society Benchmarking Report (2004)94 si apprende che la percentuale dei servizi amministrativi di base totalmente accessibili online ebbe una forte flessione verso l’alto, infatti le connessioni a banda larga tra l’ottobre 2001 e l’ottobre del 2003 passarono dal 17% al 43%. Inoltre, il numero di connessioni a banda larga nell'UE è quasi raddoppiato tra il 2002 e il 2003 (COM(2004) 108 def).. La relazione illustra in dettaglio anche i progressi realizzati nei sette settori ed individuava le aree in cui si imponevano sforzi supplementari. Come ad esempio nell’area dell’amministrazione elettronica (e-governement). Dal report si legge che oltre ai progressi sostanziali registrati in materia, sussistevano ancor disparità considerevoli tra gli Stati membri per quanto riguarda la gamma di servizi proposti. Inoltre era necessario rafforzare la cooperazione per quanto riguarda l'orientamento delle politiche e il sostegno finanziario. Anche nell’area e-learning bisognava apportare delle modifiche. Dalla relazione emerge che quasi tutti gli istituti di insegnamento e di formazione alla fine del 2003 erano collegati ad Internet, il riesame del piano d’azione avrebbe però dovuto tenere conto dell’esigenza di valutare in modo sistematico gli insegnamenti tratti da tutte le iniziative e azioni pilota (COM(2004) 108 def). Grazie all’iniziativa eEurope 2005 anche la fornitura di servizi sanitari in e-wealth diventa un elemento centrale della politica sanitaria a livello regionale, nazionale ed europeo. L’analisi di benchmarking della Commissione europea sottolineava che tuttavia era necessario portare avanti i lavori in merito alle azioni, ossia le tessere sanitarie elettroniche, i servizi sanitari online e le reti di informazione medica. Occorre inoltre un forte impegno politico per garantire l’interoperabilità su scala europea in questo campo95. In particolare, la revisione dell’iniziativa eEurope doveva riorientarsi tenendo ben presente la questione relativa all’inclusione digitale (e-inclusion). Infatti, dal report si poteva leggere che: 94 L’analisi comparativa dell’iniziativa eEurope 2005 evidenziata in questo paragrafo ha come indicatori quelli proposti dalla Commissione europea nella comunicazione del 21 Novembre 2002 COM(2002) 772 def. Gli indicatori di analisi proposti dalla Commissione sono: accesso dei cittadini a Internet e uso di Internet; accesso delle imprese alle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC) e loro uso; costo dell'accesso a Internet; e-government; e-learning; e-health; commercio elettronico; preparazione all’e-business; infrastrutture informatiche sicure; esperienze e abitudini degli utenti di Internet in materia di sicurezza informatica; penetrazione della banda larga. 95 Il report Information Society Benchmarking Report sottolineava anche l’importanza di rilanciare le iniziative che riguardavano l’e-business. Dal report si legge che malgrado l’aumento costante delle transazioni di acquisito e vendita online, i risultati in materia dovevano andare oltre il commercio elettronico per giungere ad una completa integrazione delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione nel processo imprenditoriale. Inoltre, l’insufficiente interoperabilità delle applicazioni commerciali impedisce lo sviluppo di forme nuove di collaborazione. Secondo il report, occorreva inoltre proseguire le attività per la messa in opera del dominio di primo livello .eu e l’adozione di procedure efficaci e sicure per i sistemi di pagamento (COM(2004) 108 def). 97 […] reducing disparities related to education and employment in the information society would require stronger policy support. This would be based on a better understanding of the adoption of ICT, with more insight in national differences and the intensity of use or the benefits derived from the use of ICT (COM(2004) 108 def). Nel piano eEurope 2005 la partecipazione digitale era una delle problematiche orizzontali comuni a tutte le aree tematiche del piano d’azione eEurope 2005 ma il report consiglia di dare particolare attenzione alla definizione di norme comunitarie in materia di accessibilità alla rete, di orientamenti sull’iniziativa di accessibilità e di regole di etichettatura comune delle pagine web accessibili. Per il rilancio dell’iniziativa bisognava dunque incentivare un accesso multipiattaforma (computer, televisione digitale, telefoni mobili di 3G etc) per migliorare l’accessibilità dei gruppi emarginati e delle regioni sfavorite (COM(2004) 108 def.). i2010 : la società dell’informazione e i media al servizio della crescita e dell’occupazione. L’iniziativa i2010 si configura in un quadro più ampio rispetto agli interventi eEurope che l’hanno preceduta. Innanzitutto, essa va considerata a partire dalla cosiddetta revisione intermedia della Strategia di Lisbona96. La revisione intermedia, voluta dall’allora presidenza Prodi in vista della scadenza di metà percorso, aveva a capo del gruppo di esperti l’economista – ex Primo Ministro olandese - Wim Kok, il quale ebbe un compito preciso, quello di individuare a che punto erano la fasi di avanzamento delle politiche europee concordate al Consiglio di Lisbona del 2000. Dal lavoro del gruppo di esperti diretti da Kok fu pubblicato il rapporto Facing the challenge (2005), meglio noto come Kok Report, nel quale veniva rilevato un ampio ritardo nel raggiungimento degli obiettivi della Strategia di Lisbona. Dal rapporto, oltre alla valutazione, vi erano indicati una serie di punti sui quali bisognava riflettere per il rilancio della strategia97. In generale il Rapporto Kok promuoveva una profonda revisione della strategia di Lisbona, proponendo di ridefinire i diversi metodi per il raggiungimento degli obiettivi rivolti a superare le sfide della crescita e dell’occupazione lanciate nel 2000 durante il Consiglio di Lisbona. Il rilancio della strategia appariva dunque un percorso inevitabile visti i diversi ritardi accumulati ed 96 Il rilancio della Strategia di Lisbona fu deciso dal Consiglio europeo di Lussemburgo che si tenne il 22 e 23 Marzo del 2005. 97 Dal Rapporto Kok emergevano cinque priorità per il rilancio della strategia di Lisbona: 1) società della conoscenza, bisognava puntare all’incremento delle capacità di attrazione dell’Europa nei confronti di scienziati e ricercatori; 2) mercato interno, si sottolineava la necessità del completamento del mercato interno dei servizi e la rimozione di ostacoli che ancora impediscono la piena e libera circolazione delle merci; 3) ambiente economico - la riduzione dei costi amministrativi, il miglioramento della qualità della legislazione, lo snellimento delle procedure di sviluppo delle nuove imprese, la creazione di un ambiente favorevole allo sviluppo degli scambi commerciali; 4) mercato del lavoro, in vista del raggiungimento degli obiettivi di Lisbona è necessario migliorare la politica delle pari opportunità e incrementare la formazione continua; 5) sostenibilità ambientale, si evidenzia il ruolo delle nuove tecnologie e si sottolinea la necessità di implementare quelle che possono essere definite come rispettose dell’ambiente e dei sistemi eco-compatibili. 98 era opportuno riarticolare una strategia che tenesse conto degli obiettivi prefissati ma che tenesse conto delle difficoltà riscontrate. Il rilancio della strategia di Lisbona è stato imperniato su tre principi fondamentali. In primo luogo, tutte le iniziative europee - soprattutto quelle che fanno riferimento alla società dell’informazione - devono essere maggiormente mirate, bisognava quindi concentrare gli sforzi nell’effettiva attuazione di politiche capaci di avere la maggiore incidenza possibile sul territorio (COM(2005) 24 def.). Per la Commissione europea questo significava soprattutto mantenere gli impegni presi, elaborare iniziative a partire dalle riforme già in corso in ciascuno Stato membro e avviare nuove azioni necessarie per il conseguimento dell’obiettivo prefisso. In secondo luogo, per la Commissione bisognava suscitare il sostegno al cambiamento creando una vasta ed efficace partecipazione e condivisione degli obiettivi della strategia di Lisbona. Tutte le parti interessate, nazionali e locali, nel rilancio della strategia dovevano avere l’obbligo di compartecipare al successo, e le priorità, insieme agli obiettivi, dovevano diventare un argomento di discussione nel dibattito politico dei singoli Stati membri. In terzo luogo, occorreva semplificare e razionalizzare la strategia di Lisbona, ovvero definire con chiarezza i diversi livelli di responsabilità, semplificare le modalità di elaborazione e di presentazione delle relazioni e dare sostegno a un’attuazione efficiente della strategia mediante il programma d’azione dell’Unione e i programmi d’azione nazionali. L’azione di ciascuno Stato membro doveva essere dunque inquadrata da una serie integrata di orientamenti per la strategia di Lisbona. Dal rilancio della strategia emergeva quindi la profonda esigenza di un partenariato, sostenuto da un programma d’azione dell’Unione e da programmi d’azione nazionali (COM(2005) 24 def.). Per comprendere meglio l’iniziativa i2010, al rilancio della strategia di Lisbona va aggiunto il già discusso 7° Programma Quadro. Infatti, tra gli obiettivi dell’iniziativa vi è la volontà di dare massima priorità ai principali pilastri tecnologici del 7° Programma Quadro per la ricerca e lo sviluppo tecnologico, quali le tecnologie al servizio della conoscenza, dei contenuti e della creatività, le reti di comunicazione avanzate e aperte, i programmi software sicuri e affidabili, i sistemi integrati, la nano elettronica. Sia il rilancio della strategia di Lisbona che il 7° Programma Quadro – nella sua dimensione tecnologica – sono dunque decisivi per il successo dell’iniziativa i2010. È infatti basandosi sulle analisi fatte dal Kok Report sulle sfide della società dell’informazione, e traendo spunto dai precedenti piani eEurope e dai risultati delle ricerche dei PQ sul tema della società dell’informazione, che la Commissione europea ha strutturato le tre priorità per l’iniziativa i2010 e le politiche europee della società dell’informazione e dei media. Il primo punto prioritario dell’iniziativa i2010 per la Commissione era – ed è creare uno spazio unico europeo dell’informazione, capace di accogliere un mercato interno aperto e competitivo per la società dell’informazione e i media. Alla base di questa priorità vi era l’esigenza di rispondere a quattro importanti sfide poste dalla Commissione europea: 1) aumentare la velocità dei servizi in banda larga in Europa; 2) incoraggiare i nuovi servizi e i contenuti online; 3) migliorare le apparecchiature e 99 le piattaforme in grado di comunicare tra di loro; 4) infine, rendere internet più sicura nei confronti delle frodi, dei contenuti dannosi e dei problemi tecnologici (COM(2005) 229 def.). Il secondo punto intendeva rafforzare l’innovazione e gli investimenti nella ricerca sulle ICTs per promuovere la crescita e la creazione di posti di lavoro più numerosi e di migliore qualità. Per centrare quest’obiettivo bisognava innanzitutto aumentare dell’80% il sostegno alla ricerca comunitaria sulle ICTs entro il 2010 e invita gli Stati membri a fare altrettanto; inoltre bisognava dare priorità ai principali pilastri tecnologici del 7° Programma Quadro per la ricerca e lo sviluppo tecnologico cercando di evitare le principali difficoltà, quali l’interoperabilità, la sicurezza e l’affidabilità, la gestione dell’identità e dei diritti che richiedono soluzioni di natura allo stesso tempo tecnologica e strutturale. Il terzo punto dell’iniziativa i2010 era orientato a costruire una società europea dell’informazione basata sull’inclusione. Su questo punto l’iniziativa prevedeva in particolare di diffondere gli orientamenti politici sull’accessibilità e sulla copertura del territorio con la banda larga al fine di promuovere l’utilizzo dei sistemi ICTs presso un numero più ampio di persone proponendo un’iniziativa europea sull’inclusione elettronica (e-inclusion) in materia di pari opportunità, di competenze nel campo ICTs e dei divari tra le diverse nazioni e regioni. Inoltre bisognava adottare un piano d’azione per l’e-government e orientamenti strategici per incoraggiare i servizi pubblici a utilizzare le ICTs. L’iniziativa contemplava anche le diverse strategie nazionali da seguire, infatti, nell’ambito dei programmi nazionali di riforma, gli Stati membri dovevano impegnarsi ad adottare le priorità della società dell'informazione in linea con gli orientamenti integrati per la crescita e l’occupazione suggeriti dall’iniziativa eEurope. In particolare, i diversi Stati membri dovevano adoperarsi per recepire in modo rapido e completo i nuovi quadri normativi relativi alla convergenza digitale e accrescere la parte della spesa nazionale dedicata alla ricerca sulle ICTs per realizzare servizi pubblici moderni e interoperabili basati sulle ICTs, incoraggiare l’innovazione nel settore delle ICTs grazie agli investimenti (COM(2005) 229 def.). In linea con il rilancio della strategia di Lisbona, alla base dell’iniziativa i2010 vi era dunque il metodo di coordinamento, che in generale prevedeva lo scambio e la riproduzione di best practice e le relazioni annuali circa l’attuazione degli obiettivi di Lisbona. La prima relazione annuale sull’avanzamento dell’iniziativa i2010 è stata pubblicata il 19 Maggio del 2006 (COM(2006) 215 def.) nella quale vi era un resoconto del primo anno di attività. Dalla relazione vi è un sostanziale rilancio dell’iniziativa, soprattutto per quanto riguarda il pilastro relativo all’innovazione alla ricerca e l’attenzione è per lo più rivolta all’adozione di misure nel settore egovernment, della banda larga e dell’alfabetizzazione digitale. In particolare la prima relazione annuale si sofferma su tre punti: 1) urgenza: è necessario concretizzare la crescente consapevolezza del ruolo svolto dalle ICTs nella crescita e nell’occupazione, adottando, nei programmi nazionali di riforma, un approccio strategico nei riguardi delle opportunità fornite dalla convergenza digitale. È inoltre necessario che le proposte legislative avanzate nel quadro dell'iniziativa i2010 siano trattate in via prioritaria in modo che l'Europa possa trarre pieno 100 vantaggio dagli effetti dinamici della convergenza digitale sulla crescita e la competitività; 2) partenariato: azione e responsabilità congiunta tra la Commissione, gli Stati membri e i soggetti interessati nel quadro dell'agenda di Lisbona e dell’iniziativa i2010 per adottare misure concrete e per coordinare le politiche nell’intera Europa al fine di realizzare uno spazio unico dell'informazione composto dai 25 Stati membri dell'UE; 3) azione: l’Unione europea deve passare ad azioni concrete attuando in modo energico regolamenti e politiche a sostegno della competitività e utilizzando il peso economico delle amministrazioni pubbliche al fine di promuovere l’introduzione di servizi innovativi a vantaggio dei cittadini e per la crescita e l’occupazione (COM(2006) 215 def.). Nella seconda relazione annuale i2010, pubblicata il 30 Marzo 2007 (COM(2007) 146 def.) oltre alla formulazione di una strategia biennale (2007-2008) per ogni pilastro dell’iniziativa i2010, viene individuata una nuova ondata di innovazione nelle reti e in internet. «La società dell'informazione si sta trasformando in realtà […] Questa trasformazione deriva da tendenze tecnologiche emergenti come la migrazione verso reti ad altissima velocità, le tecnologie senza fili onnipresenti, il web 2.0, l’internet degli oggetti, le tecnologie Grid, le nuove architetture di rete, i servizi basati sul web, le interfacce utente, i contenuti creati dagli utilizzatori e le comunicazioni in rete» (COM(2007) 146 def.). Dalla relazione si apprende che se la realizzazione di molti aspetti delle reti e dell’Internet del futuro richiederà tempo, è già possibile individuare gli ostacoli che frenano lo sviluppo della società dell'informazione. Si tratta di problemi che vanno dagli investimenti per l’allargamento della banda, alla neutralità della rete, per arrivare alla disponibilità di spettro radio e alla sicurezza. È opportuno avviare quanto prima un dibattito con le parti interessati sull'evoluzione a lungo termine per stabilire se sia necessaria un’azione politica (COM(2007) 146 def.). 4. I piani di azione nazionali per la società dell’informazione: alcune esperienze 4.1 La Grecia: OPIS e Digital Strategy Il processo di informatizzazione della Grecia può essere distinto in due diverse fasi. La prima coincide e fa riferimento alla pubblicazione del Libro Bianco e al lancio dell’OPIS, Operational Programme for the Information Society e va dalla fine degli anni ’90 al 2006, mentre la seconda fase è cominciata con il lancio del programma Digital Strategy 2006-2013, tuttora in corso e ancora in via di implementazione. Fino alla pubblicazione del Libro Bianco Greece in the Information Society: strategy and action la Grecia non aveva avuto interventi tesi ad implementare le infrastrutture tecnologiche della pubblica amministrazione. Nel 1999, anno in cui è stato avviato il primo programma operativo in materia di informatizzazione della pubblica amministrazione, la Grecia poteva vantare solo una bozza di riforma dell’apparato amministrativo, meglio conosciuta come Politeia. In generale nelle intenzioni programmatiche della riforma Politeia vi era la volontà di snellire le procedure dell’apparato amministrativo e fornire maggiori servizi dedicati ai cittadini, ma vi era 101 una totale assenza del ricorso alle tecnologie nel settore amministrativo. Molto simile alle procedure di riforma Bassanini avviate in Italia, il programma di riforma Politeia ha comunque aperto la strada all’ammodernamento della pubblica amministrazione greca, fornendo così i primi strumenti utili per la progettazione dell’OPIS che caratterizzerà tutta la prima fase di riforma dell’apparato amministrativo in senso tecnologico. Ad oggi Politeia si pone ancora come cornice politica ed amministrativa al processo di informatizzazione in corso in Grecia, fornendo i principi e gli obiettivi da perseguire per ammodernare e rendere sempre più efficiente la pubblica amministrazione greca. La prima fase di ammodernamento e di informatizzazione della pubblica amministrazione in Grecia coincide dunque con il 1999, anno in cui è stato pubblicato il Libro Bianco Greece in the Information Society: strategy and action che definiva la nuova politica greca per lo sviluppo e l’implementazione della società dell'informazione. Il Libro Bianco si configurava come un primo schema di riferimento dal quale poi hanno preso avvio gran parte della programmazione successiva in materia di informatizzazione. Il testo infatti pone in essere le opportunità amministrative, politiche ed economiche che una società, un sistema, con un alto livello di informatizzazione può aspirare a raggiungere. Le priorità rispecchiavano in generale l’orientamento delle precedenti programmazioni europee in materia di information society98 con, ovviamente, uno sguardo attento alle caratteristiche politiche e sociali del paese. Esso tocca molti e diversi temi, dallo sviluppo economico alla regolamentazione delle telecomunicazione, dalle problematiche legate all’accesso fino alla trasparenza delle informazioni. Brevemente, il Libro Bianco ha avuto il ruolo significativo e fondamentale di ordinare l’agenda greca per le politiche pubbliche rivolte alla informatizzazione della società, di dettare i primi punti sui quali orientare le successive programmazioni e i seguenti interventi in materia di sviluppo e implementazione della società dell’informazione. L’anno in cui la Grecia ha formalizzato la sua programmazione in materia è stato comunque il 2001, precisamente quando venne lanciato l’OPIS, il programma operativo per la società dell'informazione99. L’OPIS copriva la programmazione in materia nel periodo 2000-2006 e aveva come priorità il perseguimento degli obiettivi 98 In particolare le priorità del Libro Bianco sono riassumibili in pochi punti: migliorare i servizi ai cittadini e alle imprese, attraverso la modernizzazione dello Stato e un maggiore accesso e trasparenza alle attività della pubblica amministrazione; raggiungere una migliore qualità della vita, attraverso l'applicazione di informazioni e di tecnologie di comunicazione; creare un sistema educativo adattato al digitale e la messa in rete delle scuole e delle università; realizzare una crescita economica più rapida, attraverso incentivi alla creazione di nuove imprese, facendo emergere nuovi settori soprattutto nel campo delle ICTs; aumentare l'occupazione, sostenendo la creazione di nuovi posti di lavoro; promuovere la cultura greca e la civiltà, attraverso la documentazione e la promozione del patrimonio culturale; incoraggiare l'uso delle nuove tecnologie nei mass media, creando un quadro normativo adeguato, e la salvaguardia del pluralismo e della libertà di espressione; il raggiungimento di pari partecipazione di tutte le regioni della Grecia nella società dell'informazione, attraverso il decentramento e l'incoraggiamento degli enti regionali e iniziative locali; la tutela dei diritti dei cittadini e dei consumatori e la difesa democratica istituzioni e la partecipazione nell'era digitale. 99 Si è calcolato che il bilancio di spesa conclusivo dell’intera programmazione OPIS è stato di oltre 2.839,1 milioni di euro. La maggiore programmazione di spesa era prevista sulla linea di azione Cittadini e Qualità della vita che contava circa 879,4 milioni di euro. 102 posti in essere dal Libro Bianco sulla società dell’informazione e l’attuazione delle linee di azione del piano eEurope 2002. Nel programma si dava forte peso all’attuazione dell’e-government che nelle sue linee essenziali aveva come obiettivo lo sviluppo di servizi online e l’uso delle ICTs per razionalizzare le procedure e la comunicazione all’interno e tra i vari organi di governo. Nello specifico l’OPIS era strutturato su quattro diverse linee di azione: istruzione e cultura, cittadini e qualità della vita, economia digitale e occupazione, infine le comunicazioni. Tutte e quattro le linee di azione seguivano pedissequamente i principi ispiratori dell’intera programmazione: • Innovazione e imprenditorialità: la società dell’informazione doveva svilupparsi sulla base dei meccanismi di mercato e il quadro normativo doveva agevolare nuove iniziative imprenditoriali e l'innovazione. • la democrazia e le libertà personali: la società dell’informazione doveva estendere il processo democratico e proteggere i cittadini e i relativi diritti civili, sociali e politici. • le pari opportunità e la coesione sociale: era necessario fornire a tutti i cittadini le opportunità per l'accesso alla conoscenza messa a disposizione dalle nuove tecnologie. L’OPIS aveva anche il compito di rendere pubbliche le programmazioni di spesa dell’intera riforma. Infatti, nel documento, oltre ai settori e le linee di azione, vengono rese note i finanziamenti elargiti dal governo nazionale e le redistribuzioni degli stessi finanziamenti sulle diverse linee di azione. L’anno del lancio del documento operativo di programmazione ha visto anche la nascita della prima rete nazionale per la pubblica amministrazione, sorta attraverso il progetto pilota SYZEFXIS, che è riuscito a coinvolgere 15 organizzazioni statali, un successo se pensiamo alle difficoltà tecnologiche e politiche che in quegli anni si potevano incontrare. Il progetto SYZEFXIS100 fu attivato dal ministero greco degli Interni, pubblica amministrazione e decentramento, esso mirava allo sviluppo e all’aggiornamento del settore pubblico di un’infrastruttura di telecomunicazione. In breve si tratta di un nucleo centrale e reti di accesso per il settore e le organizzazioni pubbliche al fine di soddisfare tutte le loro esigenze di comunicazione attraverso telefonia, dati e video. Ad oggi il progetto SYZEFXIS è in piena fase di attuazione e conta più di 1800 nodi. Il Libro Bianco e l’OPIS, il programma operativo nazionale, non hanno risultati esaltanti sul piano dei risultati, essi hanno comunque il merito di aver aperto e dato avvio al processo di informatizzazione della società greca, sia nella sua dimensione infrastrutturale, fatta di reti informatiche e informatizzazione della pratiche, sia nella organizzazione economica e sociale della Grecia che fino al lancio del programma operativo non aveva conosciuto interventi rivolti allo sviluppo della società dell’informazione. Nei primi due anni di attuazione furono infatti attivati centinaia di progetti, fino a creare un ciclo virtuoso fatto di interventi e riforme dell’intero apparato amministrativo. Un processo che ebbe tempi rapidi e che portò ad 100 Gli obiettivi del progetto erano sostanzialmente due: 1) il miglioramento dei servizi pubblici attraverso il miglioramento delle infrastrutture di telecomunicazione tra le diverse organizzazioni ed enti e attraverso l'offerta di tecnologie avanzate a basso costo; 2) la fornitura di servizi integrati ai cittadini mediante le moderne tecnologie. 103 inevitabile aggiornamento del Libro Bianco già nel 2002, nel quale vennero integrate le linee di azione contemplate nel programma operativo e furono menzionati i progetti avviati nei due anni trascorsi dalla pubblicazione della prima edizione. Negli anni successivi all’aggiornamento furono attivati molti servizi tra i quali anche i Citizen Service Centre, conosciuti in Grecia con il nome di KEP101. Nella fattispecie i KEP sono degli sportelli amministrativi unici, solitamente situati nei pressi di enti e organizzazioni istituzionali e che avevano lo scopo di integrare tutte le procedure amministrative attraverso l’uso delle tecnologie per l’informazione e la comunicazione. In questa prima fase, un altro momento molto importante è stato sicuramente la costituzione dell’Observatory for the Greek Information Society nel 2004. L’osservatorio è stato costituito dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e il Ministero degli interni, pubblica amministrazione e decentramento, si tratta di un organismo che – stando allo statuto – non ha scopi di lucro, il suo compito è misurare e valutare i progressi nazionali e locali degli interventi in materia e contribuire al raggiungimento e alla realizzazione degli obiettivi strategici posti in essere nel programma operativo nazionale. L’osservatorio, sin dalla sua costituzione, ha avuto un ruolo significativo nello sviluppo della società dell’informazione, esso ha fatto da regolatore e da bussola sia per il governo nazionale che per i diversi livelli locali. Ogni anno l’osservatorio pubblica una relazione dove sono organizzati tutti i dati e le valutazioni fatte, sia per i progetti ministeriali sia per i vari e molteplici progetti attuati sul territorio dai governi locali. L’osservatorio negli anni è diventato inoltre anche il riferimento ufficiale di gran parte della valutazione nel campo delle politiche pubbliche per l’informatizzazione ellenico. Gli anni che hanno chiuso la prima fase dello sviluppo della società dell’informazione in Grecia hanno visto l’avvio e il lancio ufficiale del programma triennale di riforma e ammodernamento della pubblica amministrazione Politeia 2005-2007. Come si legge dal testo della riforma: gli obiettivi del programma sono di servire meglio tutti i cittadini e di dare attenzione alle loro reali esigenze, aumentando la trasparenza nella pubblica amministrazione e attuando l’e-government in tutti i livelli amministrativi (amministrazioni centrali e regionali, comuni), il programma si propone anche la ristrutturazione delle agenzie e dei processi, la protezione della privacy dei cittadini e il consolidamento dello Stato di diritto. Da sottolineare che, rispetto alla bozza originaria, il progetto di riforma dell’apparato amministrativo, nel suo lancio ufficiale, integra tutti i progetti e gli interventi presenti anche nell’OPIS, configurandosi come punto di riferimento per tutti i progetti in attivazione e in fase di implementazione, compreso la rete pubblica nazionale SYZEFXIS. La prima fase si conclude dunque con la sinergia fra i progetti di riforma dell’apparato amministrativo e i programmi operativi per l’informatizzazione delle infrastrutture. Entrambi i processi di innovazione e ammodernamento diventano un unico percorso che contempla sia efficienza, efficacia e trasparenza delle attività e delle pratiche amministrative sia l’informatizzazione delle stesse. 101 I KEP, gli sportelli amministrativi unici, sono in effetti il corrispettivo greco dei nostri URP (Uffici rapporti col pubblico). 104 Come già anticipato, la seconda fase del percorso di informatizzazione della Grecia coincide con al pubblicazione delle Digital Strategy 2006-2013. Nel 2006 il Comitato per l’Information Tecnology, il più alto organo ellenico per quanto riguarda le strategie e lo sviluppo delle ICTs in Grecia, propose di rivedere le strategie messe in essere negli anni precedenti. Nessuna rivoluzione, ma una semplice recisione dei precedenti programmi ed interventi. Fu così pubblicata la Digital Strategy 2006-2013. Il documento si proponeva come punto di svolta e non di rottura con la precedente programmazione, i suoi punti di forza infatti prendevano forma sia dal Libro Bianco che dal programma operativo nazionale per la società dell’informazione. Esso comunque prendeva delle distanze dalla precedente programmazione. Mentre ad esempio nel precedente piano operativo vi era una strategie di media durata, nelle Digital Strategy si mirava a costruire un percorso di longue dureè, di lunga durata, capace di dare continuità ed unitarietà agli sforzi progettuali proposti. Inoltre nella nuova strategia si può notare uno spostamento della programmazione dalla fase di implementazione alla fase di valutazione degli interventi, percorrendo in questo modo le direttive europee in materia di società dell’informazione. Il documento pone ancora al centro della propria strategia l’aumento delle produttività e il miglioramento della qualità della vita dei cittadini ed nello specifico è suddiviso in quattro diverse fasi di sviluppo e attuazione: 1. Esame - identificazione della fonte dei problemi che ostacolano l’uso delle ICTs nel paese; 2. Analisi delle politiche internazionali sulla società dell'informazione e le nuove tecnologie. Identificazione dei buoni esempi e dei fallimenti degli altri paesi; 3. Studio internazionale sugli sviluppi europei nel campo della società dell'informazione (la politica i2010, WSIS, ecc.); 4. Impostare le indicazioni di base dell'economia digitale strategia per il periodo 2006-2013, sempre tenendo conto delle particolarità dell’economia e della società greca. Attraverso la lettura delle e fasi si può facilmente comprendere l’approccio europeista di questa nuova strategia, i modelli da seguire sono quelli internazionali e anche la valutazione dei progetti risponde ad indicatori europei. La differenza più importante rispetto alla precedente programmazione sta comunque nel fatto che la nuova strategia non è incentrata più su progetti specifici, ma a prescrizioni di servizi da offrire e da implementare. Bisogna comunque sottolineare che i risultati della prima fase in termini di informatizzazione non stati esaltanti per la Grecia. La volontà dunque, da parte della Commissione nazionale per l’informatizzazione, di rilanciare i piani strategici era il prodotto dei deludenti risultati raggiunti, nel documento strategico 2000-2013 non vi è comunque nessun esplicito riferimento al ritardo accumulato dalla Grecia in termini di servizi e infrastrutture rispetto ai partner europei. Nello specifico, il nuovo piano strategico ha come obiettivo prioritario quello di digitalizzare le regioni e i territori che mostravano un maggiore ritardo. Infatti, nel documento si fa più volte esplicito riferimento alla volontà di realizzare un Digital Leap, un salto digitale, dei territori che manifestavano un palese ritardo in termini di produttività dell’economia digitale e di miglioramento della qualità della vita dei cittadini attraverso l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Per 105 fare ciò il governo ellenico, insieme ai tanti attori che partecipavano al processo, a partire dalla Commissione per l’Information Society fino all’Osservatorio per la società dell’informazione, aveva come comune denominatore raggiungere la copertura nazionale di connessione ad internet a banda larga. Attraverso il documento si apprende che il piano di azione per il potenziamento della banda larga aveva un preventivo di spesa pari a € 450 milioni. Inoltre gli obiettivi prefissati dal Digital Leap prevedevano l’aumento della penetrazione della banda larga alla media europea entro il 2009 e l’aumento della copertura geografica della banda larga al 60% rispetto a meno del 10% nel 2004102. Al lancio delle linee strategiche 2006-2013 fu associata una campagna di sensibilizzazione meglio nota come Digital Greece. Lo scopo sostanziale della campagna era quello informare i cittadini dei vantaggi e delle opportunità offerte dalle nuove tecnologie per l’informazione e la comunicazione, pubblicizzare le diverse azioni e progetti in via di attivazione e in corso di implementazione, promuovere la partecipazione della cittadinanza ai processi di definizione e formulazione delle politiche tese all’informatizzazione. La campagna di sensibilizzazione Digital Greece è tuttora in corso e coinvolge decine di enti governativi, università, associazioni e organizzazioni non governative. Le Digital Strategy 2006-2013 aprono e - se si vuole considerare il fatto che parte dei progetti proposti sono ancor in start-up - chiudono dunque la seconda fase verso l’innovazione e l’ammodernamento in senso tecnologico della pubblica amministrazione greca. Recentemente però il Ministero per l’Economia e le Finanze ellenico, in una prospettiva più generale rispetto alle linee strategiche 2006-2013, ha presentato il National Strategic Reference Framework for 2007-2013 che ha come obiettivo quello di porsi come quadro di riferimento anche per la riforma delle pratiche e delle competenze della pubblica amministrazione. Nello specifico, per quanto riguarda lo sviluppo della società dell’informazione, il documento contempla sia una struttura centralizzata, in quanto il quadro di riferimento restano le linee strategiche, ma nello stesso tempo apre a forme decentrate di consultazione, in quanto agli enti chiamati in causa, a partire dai livelli locali, sono obbligati a progettare e strutturare dei singoli piani di azione che poi nel corso della nuova programmazione saranno socializzati con il fine di organizzare programmi operativi nazionali capaci di tenere conto delle esigenze dei singoli territori. 4.2 La Francia: e le “Autoroutes de l’information” La Francia ha avuto una storia singolare per quanto riguarda il processo di implementazione della società dell’informazione, in quanto presenta diverse esperienze pioneristiche circa l’uso e la consultazione delle informazioni di pubblica utilità attraverso le tecnologie per l’informazione e la comunicazione, Infatti in Francia, già sugli inizi degli anni ’80, nelle case degli abbonati France Telecom, fu introdotto un metodo di ricerca e informazioni attraverso linea telefonica, 102 Per maggiori approfondimenti si vedano i dati statistici ufficiali forniti dall’Observatory for the Greek Information Society: 106 il meglio noto Minitel103, che paragonato alle tecnologie contemporanee appare un mezzo primitivo, ma che ancora oggi, a oltre vent’anni dalle prime applicazioni, conta più di 18 milioni di abbonati e pare non perdere vigore anche dopo l’avvento della rete. Altro esempio è dato dal progetto Gallica104, datato 1995, che proponeva la digitalizzazione dei materiali testuali, audio e video della National Library of France, un antenato dei contemporanei progetti di digitalizzazione delle biblioteche e dei documenti di ricerca in atto in tutta Europa. Tra gli interventi pioneristici vi fu anche la distribuzione, la prima in Europa, di tessere sanitarie elettroniche, la Vitale Card, tuttora in funzione e che permette agli operatori sanitari di poter ricevere il compenso per una determinata prestazione o servizio reso al Ministero per la Sanità in maniera elettronica e direttamente sul proprio conto. Agli interventi appena menzionati vanno aggiunti anche la creazione di una serie di organi istituzionali, costituiti e istituiti proprio per supportare un processo di informatizzazione per molti versi tutto da definire. Infatti, i cugini d’oltralpe già a metà degli anni ’90, e quindi a pochi mesi dalla pubblicazione del Libro Bianco di Delors, avevano costituito la Délégation Interministérielle pour la Réforme de l'État (DIRE) che aveva il compito e le responsabilità di gestire e promuovere la riforma della pubblica amministrazione. Tra i principali settori di competenza del DIRE vi era anche l’e-government e i relativi processi di informatizzazione dell’apparato pubblico francese. Inoltre per aver maggiore expertise nel campo tecnologico venne affiancata alla delegazione un altro organo interministeriale, la Mission pour le développement des TIC dans l'administration publique (MTIC) che aveva il compito di fornire ai ministeri sia le competenze che il supporto tecnologico adeguato per l’ammodernamento e l’informatizzazione della pubblica amministrazione. La Francia è stata dunque, tra gli stati membri, una nazione particolarmente sensibile alle dinamiche di informatizzazione degli apparati pubblici, bisogna però sottolineare che l’avvio, per certi versi ufficiale, di pratiche per la crescita e lo sviluppo della società dell’informazione si è avuta solo nel 1998, a partire dal programma d’azione del governo per la Società dell’Informazione, meglio conosciuto con il nome di PAGSI. Negli anni precedenti al programma d’azione ciò che veniva effettuato in termini di informatizzazione delle strutture pubbliche non aveva nessun tipo di coordinamento nazionale, tantomeno erano orientate a seguire gli indicatori forniti dalla Commissione Europea. Gli interventi in materia risultavano così delle semplici eccellenze emerse in contesti virtuosi dove si dava semplicemente una particolare attenzione allo sviluppo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Solo con la pubblicazione del PAGSI la Francia si è dunque dotata di un programma d’azione capace di avere una direttiva nazionale che guardasse con interesse e 103 Sistema telematico francese, equivalente del Videotel italiano. Di buon successo negli anni '80, poiché l'apparecchio necessario veniva fornito gratuitamente e non c'erano canoni di abbonamento. Il Minitel consentiva agli utenti di accedere telefonicamente a servizi come la consultazione dell’elenco telefonico in linea, di una pagina dedicata alle news, la prenotazione di biglietti aerei e ferroviari e l’esame di una piccola enciclopedia. Il tutto sempre ricreato su un protocollo di comunicazione proprietario, senza la possibilità di uscire da quel minuscolo “portale”. 104 Ad oggi Gallica fornisce l’accesso a 90.000 opere digitalizzate (stampa inclusa), più di 80 000 foto e decine di ore di risorse audio. Gallica è una delle più grandi biblioteche digitali disponibili gratuitamente su Internet. 107 attenzione ai suggerimenti della Dirigenza per la società dell’informazione e la comunicazione della Commissione Europea. Nelle ambizioni dell’allora governo francese, presieduto da Lionel Jospin, vi era l’esplicita dichiarazione di voler diventare una società dell’informazione a tutti gli effetti nel giro di tre anni, investendo una somma pari a quattro miliardi di euro per ottenere i risultati e raggiungere gli obiettivi prefissati. Il programma d’azione prevedeva sei priorità che dovevano essere perseguite nell’arco di tre anni: 1) sfruttare al massimo le opportunità poste in essere dalle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione per quanto riguarda l’istruzione, con particolare attenzione alle università e agli enti di ricerca; 2) la strutturazione di una politica culturale rigorosa per quanto riguarda gli aspetti sociali e culturali legati alla società dell’informazione; 3) l’introduzione delle tecnologie per l’informazione e la comunicazione per l’ammodernamento dei servizi pubblici; 4) far diventare le tecnologie per l’informazione uno strumento primario per le imprese; 5) affrontare la sfida dell’innovazione industriale e della tecnologia; 6) promuovere la nascita di una regolamentazione efficace e un quadro di protezione per nuove reti di informazione. Il PAGSI, nel lungo processo di informatizzazione francese, rappresenta il primo manifesto programmatico dove, a partire dal noto Rapporto Bangemann, vengono riprese tutte le preoccupazioni espresse dall’Europa in materia di società dell’informazione. Durante gli anni di implementazione del programma d’azione sono stati avviati importanti e fondamentali progetti, come ad esempio la legge sulla firma elettronica e l’inaugurazione del primo e unico portale pubblico nazionale, Service-Public.fr. Inoltre in quegli anni fu istituita l’Agence pour les TIC dans l'administration publique (ATICA) che prelevò tutte le funzioni e le competenze del già menzionato MTIC. Anche se il PAGSI raggiunse ottimi risultati, il programma ebbe comunque vita breve. Infatti nel novembre 2001, il comitato interministeriale per la riforma dello Stato, aggiorno le linee di azione e lanciò la Deuxième phase de développement de l'administration en ligne che aveva in generale cinque obiettivi principali: generalizzare i servizi elettronici pubblici entro il 2005 e renderli accessibili ai cittadini attraverso una interfaccia personalizzata; rafforzare la tutela dei dati personali; rendere i servizi elettronici pubblici e accessibili a tutti e non solo per gli utenti di Internet; rendere Internet uno strumento di democrazia; rendere i dipendenti pubblici attori chiave dello sviluppo di questi nuovi servizi elettronici. La seconda fase riprende dunque i temi del programma d’azione ed intensifica il lavoro soprattutto su due temi chiave. Innanzitutto il miglioramento dell’interoperabilità fra gli enti e le organizzazioni istituzionali105, siano essi nazionali e locali, e il rafforzamento della leadership e del coordinamento per quanto riguarda 105 Su questo punto si ricorda che nel 2002 furono pubblicate due circolari amministrative The Common Interoperability Framework – v.1.0 pubblicato nel Gennaio e il successivo Version 2.0 of the Common Interoperability Framework pubblicate nel mese di Dicembre. Entrambi i documenti dettavano un quadro di regole comuni da rispettare per implementare l’interoperabilità fra i diversi enti e istituzioni nazionali e locali. 108 il processo di informatizzazione delle procedure amministrative106. Inoltre durante la seconda fase nacque l'Agence pour le développement de l'administration électronique (ADAE) incaricata di fornire supporto e coordinamento per le politiche di egovernment. L’ADAE sostituì la precedente Agence pour les TIC dans l'administration publique (ATICA) e prese a carico tutta le competenze precedentemente detenute dalla Délégation Interministérielle pour la Réforme de l'État (DIRE). La seconda fase per l’e-government francese ha avuto dunque un ruolo rilevante soprattutto sotto l’aspetto della gestione e il coordinamento delle pratiche e delle procedure - per molti anni troppo legate ad espressioni localistiche di riforma della pubblica amministrazione - e di dettare un quadro di regole comuni, sia normative che tecnologiche, per tutti gli enti e le istituzioni chiamate a partecipare al processo di informatizzazione. Sulla scorta del successo della seconda fase, il governo francese nel 2004 decise di lanciare un primo vero piano strategico per l’e-government che, a differenza dei programmi operativi che lo avevano preceduto, avesse nella sua progettazione una tempistica da perseguire, sia per le priorità che per gli obiettivi, e che definisse in maniera precisa una serie di progetti, e la loro relativa tabella di marcia, da portare al termine nel periodo 2004-2007. Fu così che il 9 Febbraio del 2004 venne lanciato il piano strategico nazionale per l’e-government ADELE (ADministration ELEctronique)107 che tra i suoi diversi meriti ha soprattutto quello di aver fornito un quadro coerente e coordinato di sviluppo e attuazione dei servizi elettronici ai cittadini, alle imprese e dipendenti pubblici. L’obiettivo principale di ADELE consisteva nell’attuazione di un’amministrazione elettronica accessibile a tutti incentrata non più sulla semplice offerta di informazioni dei servizi ma sulla fornitura degli stessi servizi in maniera interattiva, capaci di consentire agli utenti di eseguire la procedure amministrative in maniera elettronica attraverso l’uso della rete. Nel piano erano stati stabiliti tre obiettivi fondamentali: 1) rendere la vita più facile per i cittadini, le imprese e le autorità locali fornendo un gran numero di servizi user-friendly e di qualità a disposizione di tutti in ogni momento; 2) garantire la sicurezza dei dati e la riservatezza attraverso l’uso sicuro di sistemi di identificazione degli utenti e la possibilità per i cittadini di controllare l’uso dei loro dati personali da parte di enti pubblici; 3) contribuire alla modernizzazione della pubblica amministrazione, migliorando il lavoro dei dipendenti pubblici e l'organizzazione dei servizi e di contribuire a ripristinare il margine di manovra finanziaria dello Stato108. 106 Il documento di riferimento per quanto riguarda questo obiettivo fu pubblicato nel novembre del 2002 con il titolo di Pour une République numérique dans la société de l'information, meglio conosciuto con il nome di RE / SO 2007. 107 Il bilancio totale del programma ADELE si aggirava intorno ai € 1,8 miliardi di euro per i suoi quattro anni di applicazione. In particolare il programma era composto da un piano strategico, Plan Stratégique de l’Administration Electronique (PSAE) 2004-2007, e un piano d'azione, Plan d’Action de l’Administration Electronique (P2AE) 2004-2007 da sottoporre a controllo ogni anno e aggiornato di conseguenza. 108 Cfr. Ministero per il Servizio Civile e la Riforma dello Stato, Plan Stratégique de l’Administration Electronique (PSAE) 2004-2007, Febbraio 2004 109 In principio, il programma prevedeva oltre 270 progetti che nel corso delle applicazioni aumentarono sensibilmente. Tra i molti obiettivi raggiunti vale la pena menzionare, a titolo esemplificativo, l'’istituzione di un’autorità nazionale per la carta d’identità elettronica (CNIE) che doveva lentamente sostituire la tradizionale carta d'identità, il graduale passaggio ad una piena distribuzione elettronica della Gazzetta Ufficiale francese e infine la creazione de la Carte de Vie Quotidienne (CVQ) consegnate a livello locale e che rendevano possibile l'accesso ai servizi della pubblica amministrazione da chioschi interattivi messi a disposizione in luoghi pubblici109. Con l’attivazione dei progetti ADELE nacque parallelamente anche il bisogno di condivisione e ottimizzazione delle risorse finanziare messe in campo per l’implementazione del piano di azione. Il governo francese, in linea con le esigenze espresse in materia, decise così di fornire una cornice programmatica nuova al piano di azione che tenesse conto sia delle risorse sia dei metodi per ridurre al minimo lo spreco al quale, vista la portata economica del piano di azione, inevitabilmente si poteva andare incontro. A partire da queste preoccupazione nel 2004 venne pubblicato un documento dal titolo ADELE Master règlement de l'administration en ligne (2006 - 2010) nel quale si ponevano gli elementi minimi da seguire per evitare di ripetere gli errori nelle spese commessi dai precedenti interventi. Il 2005 è anche l’anno in cui venne creato il Directorate-General for State Modernisation (DGME) che tra le funzioni connesse alla riforma dello Stato, come organo aveva il ruolo di sostenere lo sviluppo dell’e-government e di coordinare le politiche messe in atto dalla precedente agenzia per lo sviluppo della amministrazione elettronica (ADAE). Verso la fine dell’attuazione del piano di azione ADELE, in vista anche della imminente presidenza europea, il governo francese decise di portare avanti un piano di revisione generale di tutte le politiche pubbliche lanciate negli anni precedenti, con lo scopo di riorganizzare e razionalizzare, mediante il controllo delle spese dei fondi pubblici, l’intero assetto delle policies entro il 2012. Il piano prende il nome di Révesion Général des politiques publiques (RGPP) ed è tuttora nelle sue fasi iniziali. Questo nuovo metodo di riforma è stato progettato per valutare e monitorare le spese, con il fine di rendere meritevoli coloro che hanno sfruttato bene i fondi erogati, ma nello stesso tempo l’RGPP assume anche il ruolo di raccoglitore di informazioni dettagliate per la definizione e la strutturazione del prossimo piano di azione francese, il Public Services 2012. Gli obiettivi della RGPP sono innanzitutto migliorare e adeguare la pubblica amministrazione e i servizi pubblici ai bisogni dei propri utenti; ridurre la spesa pubblica in modo da ripristinare un equilibrio finanziario entro il 2012; valorizzare il lavoro, e quindi anche le competenze e le funzioni, dei dipendenti pubblici. Un punto importante in questo processo di revisione generale delle politiche pubbliche è rivestito dalla Presidenza di turno dell’Unione europea che dal luglio 2008 fino alla fine del dicembre 2008 coincide proprio con l’RGPP. Nello stesso tempo però il turno di presidenza coincide anche con le trattative per il completamento delle linee guida per il piano di azione europeo110. Nelle intenzioni 109 Per approfondimenti Ibidem. Vale la pena notare che le priorità e le linee guida della strategia 2015 saranno comunque decise a Malmö conferenza del novembre 2009, durante la Presidenza svedese dell’Unione europea. 110 110 della Presidenza di turno francese vi è dunque una duplice volontà, quella di realizzare le decisioni prese dai ministri europei a Lisbona nel 2007, che implica la creazione di una strategia europea per l’interoperabilità e la cooperazione dei diversi piani nazionali, e quello di riordinare il sistema su direttive che abbiano come modello le priorità e gli obiettivi posti in essere dalla Commissione europea. 4.3 Inghilterra: The Victorian Information Society Nel quadro delle esperienze europee circa l’implementazione della società dell’informazione appare opportuno considerare anche l’Inghilterra per via della sua continua interazione con il modello europeo di sviluppo delle ICTs nel settore pubblico. Il percorso di informatizzazione del sistema britannico, a partire dagli sviluppi della normativa nel campo dei diritti fino ad arrivare alla programmazione in materia di e-government, ha infatti avuto numerosi momenti dedicati all’osservazione del cammino europeo verso la società dell’informazione. Il percorso inglese però comincia a svilupparsi qualche anno prima rispetto ai vicini Stati Membri, è infatti sugli inizi degli anni ’90 che possiamo individuare i primi timidi interventi tesi a relazionare la pubblica amministrazione alla cittadinanza attraverso le ICTs. Ne è un esempio l’istituzione del primo sito web del governo centrale111 messo online nel 1994 dalla Central Computer & Telecommunications Agency (CCTA), dove si potevano osservare e leggere l’organigramma e la struttura del sistema politico della Gran Bretagna. Il sito con il passare degli anni ha poi avuto una sua evoluzione, fino a diventare oggi uno dei siti web governativi più funzionali al mondo. Bisogna comunque sottolineare che gran parte degli interventi non avevano una chiara e delineata cornice politica e istituzionale, infatti solo nel 1996 il governo inglese, presieduto dal conservatore John Major, pubblicò Government Direct: A prospectus for the Electronic Delivery of Government Services dove per la prima volta vennero illustrate da una istituzione le linee generali attraverso le quali un governo poteva usare le ICTs migliorando i rapporti con i dipartimenti, con i cittadini e le imprese. Vista dal profilo organizzativo l’Inghilterra ha dunque sviluppato sin dal 1995 i primi piani di azione per lo sviluppo della società dell’informazione. Pare però che gran parte degli interventi non abbiano avuto un grosso successo. Infatti, i diversi progetti, locali e nazionali, hanno avuto difficoltà dovute al coordinamento, come ben evidenzia la relazione Electronic Government: Information Technologies and the Citizen pubblicata nel febbraio 1998 dal Parliamentary Office of Science and Technology (POST) nella quale si valutavano i diversi interventi messi in atto e si promuovevano i modi e le strategia attraverso le quali le ICTs potevano essere utilizzati dal governo per migliorare il lavoro interno e la fornitura dei servizi pubblici. Dalla relazione si apprende che uno dei problemi da affrontare per 111 La prima versione del sito web del governo inglese www.open.gov.uk è parzialmente consultabile su www.archive.org 111 migliorare il processo di implementazione della società dell’informazione in Inghilterra era innanzitutto la mancata condivisione di intenti e di obiettivi e l’assenza di una vision comune circa i processi di informatizzazione dei servizi pubblici. Ed è solo nel 1999, con la costituzione del Office of the e-Envoy, una struttura dedita al coordinamento nazionale, che si può parlare di un cambiamento di rotta per quanto riguarda le policies per la società dell’informazione in Inghilterra. Nello stesso anno l’Inghilterra attua anche il suo primo piano di modernizzazione della pubblica amministrazione il meglio noto Modernising Government Action Plan112. Il piano elencava 62 impegni per i primi due anni di governo nel quale venivano menzionate una serie di azioni tese a implementare la società dell’informazione in Inghilterra, come ad esempio lo sviluppo di uno sportello unico dei servizi interamente elettronico. Comincia così una nuova stagione per la società dell’informazione in Inghilterra. Un periodo che è stato caratterizzato da profondi interventi capaci di contemplare una pubblica amministrazione orientata ai criteri di efficienza, efficacia e trasparenza dettati dall’Unione europea nello stesso tempo di valorizzare le opportunità offerte dalle ICTs. Ne è un esempio l’iniziativa nazionale meglio nota come UK online iniziative (2000) dove si riunivano tutte le azioni e gli investimenti locali e dove i punti fondamentali dell’azione erano rivolti a fornire un accesso universale ad Internet e ad alfabetizzare in senso informatico tutta la Gran Bretagna entro il 2005. In generale l’iniziativa UK online iniziative faceva da cornice al documento EGovernment: a strategic framework for public services in the Information Age, un quadro strategico che invitava tutte le organizzazioni del settore pubblico ad innovare ed impegnava tutti i dipartimenti del governo centrale a sviluppare strategie di e-business. Dal documento si legge: «This document, e-government, is not a conventional IT strategy which proposes technical solutions to a set of business needs. The business of government is too varied and complex, and the range of its dealings and contacts too great for that to be a sensible approach. Instead, e-government sets a strategic direction for the way the public sector will transform itself by implementing business models which exploit the possibilities of new technology. It is informed by changes in the wider economy and in leading developments in the public sector in the UK and overseas. It identifies the respective roles of public sector bodies and the centre in achieving this» (E-Government 2000, p. 5). A circa due anni dalla pubblicazione del documento E-Government: a strategic framework for public services in the Information Age fu pubblicata una prima relazione tesa a valutare i progressi del governo centrale e delle amministrazioni locali in termini di e-government. La relazione fu fatta dal National Audit Office (NAO), un’agenzia dedita alla valutazione della pratiche e delle politiche di sviluppo e riforma della pubblica amministrazione inglese, e prendeva il nome di Government on the Web II (2002) e nella pratica funzionava sia come valutazione che come follow-up delle linee guida per l’e-government pubblicate nel 1999. 112 Il testo del piano di azione è ancora interamente http://archive.cabinetoffice.gov.uk/moderngov/action/intro.htm 112 consultabile al sito Sulla base della relazione fornita dal NAO sull’avanzamento e sui progressi dell’egovernment inglese, nel Novembre del 2002 il governo inglese, in collaborazione con l’Office of the e-Envoy, sviluppo uno dei primi piani di azione rivolto ai governi locali, il National Strategy for Local e-government. Una strategia tesa a fornire un quadro delle trasformazioni dei servizi locali, costruita sulla base di criteri come la convenienza, l’accessibilità per i clienti ed una maggiore efficacia rispetto ai costi. Tra le altre cose, la strategia era stata attuata attraverso una serie di progetti nazionali, portando diversi partner a collaborare per lo sviluppo e l’attuazione della strategia. Di particolare interesse nelle National Strategy for Local e-government (2002) è il capitolo dedicato alla democrazia elettronica. Infatti, dal documento emerge una spiccata sensibilità verso tematiche relative alle opportunità democratiche fornite dalle ICTs. Nello specifico, il terzo capitolo del documento, Renewing Local Democracy, è interamente dedicato allo sviluppo della democrazia elettronica locale. Dal documento si legge che il governo locale non è e non deve solo fornire servizi, ma è anche coinvolgere le persone, i cittadini, nel plasmare il futuro delle loro città, delle loro province e delle regioni. Il documento su questo tema è dunque fin troppo chiaro, Internet e le tecnologie per l’informazione e la comunicazione possono e devono aiutare i cittadini a partecipare ai dibattiti locali e alla pianificazione delle politiche pubbliche. Le consultazioni elettroniche, i sondaggi, i forum di discussione possono svolgere un ruolo chiave nei sistemi locali. Essi possono essere un ottimo supporto per i consiglieri, fornendo un accesso più facile e più strutturato alle informazioni sul loro territorio. Infine il voto elettronico è in grado di offrire ai cittadini una maggiore scelta di dove e quando dare il loro voto e velocizzando i tempi dello spoglio. Il documento si configura quindi come una prima declinazione della democrazia elettronica in senso locale. Il piano di informatizzazione inglese è dunque particolarmente incentrato sullo sviluppo informatico dei sistemi locali sia sotto il profilo della produzione dei servizi sia sotto quello dello sviluppo democratico attraverso l’uso delle ICTs. Infatti, molte altre sono state le iniziative per il rafforzamento della pubblica amministrazione locale. Come ad esempio il Priority Outcomes for Local e-Government (2004) che, con il fine di accelerare i progressi di e-government nei contesti locali, forniva indicazioni su priorità e risultati locali per l'e-government113. Altro esempio è dato dalla costituzione del Centre for Excellence for Local eDemocracy trasformato poi nel 2006 nell’International Centre for Excellence for Local eDemocracy, meglio conosciuto come ICELE, attestatosi negli anni come un centro all’avanguardia per quanto riguarda la costituzione di pratiche istituzionali per la democrazia elettronica nei contesti locali. Sotto il profilo della valutazione delle pratiche, una delle relazioni che meglio hanno esaminato la situazione inglese in termini di implementazione della società dell’informazione è la Digital Strategy pubblicata nel 2005 e che, oltre a valutare i progressi, tracciava i percorsi da seguire e le politiche sulle quali battere. In generale, la relazione esaminava i progressi fatti dal sistema inglese nella promozione dei servizi digitali definendo così una strategia nazionale incentrata su come colmare il divario 113 Il documento tendeva comunque a chiarire che l’orientamento del processo di governo elettronico locale in Inghilterra si basava sulla condivisione delle priorità concordate tra le autorità centrali e locali nella già citata strategia nazionale per l’e-government. 113 digitale e aumentare il tasso di assimilazione da parte degli utenti dei servizi di egovernment. Secondo la relazione, una strategia efficiente dovrebbe basarsi principalmente sulle dinamiche del mercato capaci di aumentare l’assorbimento delle ICTs da parte delle famiglie e delle imprese. Tuttavia, la relazione sosteneva una chiara logica di coinvolgimento del governo nella lotta contro il divario digitale e orientata a ridurre al minimo l’esclusione sociale. Il primo passo della relazione Digital Strategy è stato quello di mettere a punto un piano di azione che contemplasse i punti salienti emersi dal lavoro di analisi e valutazione delle politiche attivate negli anni precedenti. Il documento Transformational Government - Enabled by Technology (2005) è forse quello che meglio rappresenta i dettami della relazione. Alla base del documento vi erano tre punti chiave: 1) tutti i servizi abilitati dovevano essere progettati intorno al cittadino o all’impresa (Citizen and Business Centred Services). Ciò avrebbe permesso di migliorare l’esperienza dell’utente/cliente, di ridurre gli oneri burocratici e di migliorare l’efficienza, riducendo le routine e razionalizzando i processi; 2) il governo doveva procedere verso una cultura condivisa dei servizi e delle informazioni (Shared Services), sia nel front-office che nel back-office; 3) infine, doveva essere ampliato e approfondito il ruolo del governo (Leadership), la professionalità in termini di pianificazione, consegna, gestione, competenze (Professionalism) e la governance delle ICTs, con lo scopo di raggiungere successi nei risultati con un numero un numero minore di insuccessi. Negli ultimi anni l’Inghilterra ha continuato a lavorare seguendo le linee tracciate dalle Digital Strategy e dal Trasformational Government con delle opportune rimodulazioni dovute allo sviluppo delle tecnologie, soprattutto per quanto riguarda l’ambito della rete. Una recente relazione del National Audit Office (2002) ha però dimostrato che i siti web del governo, sia sotto il profilo dell’informazione che sotto l’aspetto relativo alla fruzione dei serizi sono migliorati solo leggermente rispetto al 2002. Come sottolinea la NAO, nell’arco di questi cinque anni il Governo inglese ha speso circa £ 208 milioni (circa € 310 milioni) sul miglioramento annuale dei siti web, della loro gestione e del loro aggiornamento in termini di servizi e infrastrutture, senza raggiungere i risultati attesi. A partire da questi dati, il governo è intenzionato a spostare le informazioni su due principali Supersites – il Directgov e businesslink.gov.uk - per dare al pubblico e alle imprese un semplice percorso di informazione e di servizi. La relazione indicava inoltre che le informazioni sui costi di fornitura dei dati online aveva bisogno di un miglioramento, in quanto solo un terzo dei dipartimenti e delle agenzie hanno conoscenze sui costi dei servizi online. L’Inghilterra si prepara quindi a vivere una nuova stagione del processo di implementazione della società dell’informazione e, a partire dall’occasione offerta dalla prossime olimpiadi che si terranno a Londra114, nelle intenzioni del governo di Gordon Brown vi è la volontà di riformare l’intero assetto. 114 Per approfondimenti si rimanda a due recenti progetti lanciati dal governo inglese, il London2012 ed il CompeteFor sviluppati dalla London Development Agency e dalla London Business Network. Lo scopo di entrambi i progetti è quello di migliorare l’accesso a Londra 2012 aumentando 114 4.4 Spagna: dal Plan de Acciòn XXI al Moderniza In linea con i tempi e le strategie dettate dal 5° Programma Quadro, la Spagna ha cominciato a sviluppare un proprio piano di azione sul finire degli anni ’90, in particolare quando fu lanciato il PISTA - Programme for the Promotion and Identification of Emergent Services in Advanced Technology - e, più precisamente, quando fu approvato, nel dicembre del 1999, il documento Info XXI – La Sociedad de la Inform@ción para todos – Primera fase 2000-2003, nei quali si faceva per la prima volta esplicito riferimento alla necessità di sviluppare una società che stesse al passo e tenesse conto delle trasformazioni tecnologiche e comunicazionali. In realtà la Spagna aveva già dimostrato una discreta sensibilità politica e organizzativa circa il tema dell’informatizzazione. Un esempio è dato dalla costituzione, nel 1998, di una commissione parlamentare, nata per volontà del senatore del Partito Popolare Esteban Gonzàles Ponz, che aveva lo scopo di portare avanti ricerche sul fenomeno Internet e che in quegli anni per le pubbliche amministrazioni europee era poco più che una novità. Già nel ’98 in Spagna si imponevano dunque esigenze di approfondimento e strutturazione di strategie economiche, politiche e amministrative che si preoccupassero di interpretare e tradurre le trasformazioni che stavano avvenendo nel settore tecnologico115. Il primo vero intervento spagnolo in materia di politiche pubbliche è stato però il Plan de Acciòn Info XXI116, pubblicato nel 2001. Ovviamente tale piano è la diretta successione di altre strategie già cercate e provate dai precedenti governi spagnoli, la letteratura però contempla e ritiene - con ampia ragione - che il Plan de Acciòn sia il primo vero passo spagnolo verso la società dell’informazione, esso disponeva di un budget di 3,6 miliardi di euro ed era aperto alla partecipazione delle Comunità autonome. Le azioni previste nel Plan de Acciòn erano raggruppate in tre assi: a) settore tecnologico; b) amministrazione elettronica; c) società. Il primo grande asse si concentrava dunque sul settore tecnologico e aveva un carattere prettamente normativo. Le iniziative di questo primo asse del Plan de Acciòn erano raggruppate in due aree di lavoro. La prima orientata a liberalizzare il settore delle le opportunità di business per le imprese e migliorando la trasparenza e la semplicità nelle procedure di appalto. Per i giochi di Londra 2012 si prevede di generare circa 7.000 contratti diretti, che rappresentano circa 75.000 opportunità diverse per le imprese e più di € 8 miliardi di euro di entrate potenziali. 115 Per avere un prima configurazione normativa e strategiche bisogna aspettare almeno quattro anni. Infatti, solo nel 2002 con Ley de Servicios sobre la Sociedad de la Información y el Comercio Electrónico, meglio conosciuta come LSSI, si può cominciare a parlare di una vera cornice politica ed istituzionale della società dell’informazione spagnola. 116 Il Plan de Acciòn Info XXI fu stato approvato dal Consiglio dei Ministri spagnolo il 19 Gennaio del 2001 ed aveva una programmazione di azioni e progetti da sviluppare nell’arco degli anni 20012003. Nello specifico il Plan de Acciòn ha fatto sue le iniziative e le priorità del piano eEurope 2002 adottate nel giugno 2000. Il Plan de Acciòn ha avuto un budget di 3.6 miliardi e aperti alla partecipazione delle Comunità Autonome 115 telecomunicazioni. Infatti, in Spagna, come nel resto dell’Europa, si imponevano le esigenza di fornire una cornice normativa alle spinte verso la liberalizzazione del mercato delle telecomunicazione, espresse qualche anno prima dal Rapporto Bangemann. La seconda area di lavoro intendeva invece elaborare una nuova regolamentazione capace di favorire l’implementazione dei servizi e della società dell’informazione. Il secondo asse del Plan de Acciòn aveva come scopo l’implementazione dell’amministrazione e del servizio pubblico spagnolo in senso elettronico. In quest’asse venivano incluse dal Plan de Acciòn tutta una serie di azioni per potenziare la pubblica amministrazione spagnola in Internet, offrendo maggiori informazioni e servizi per i cittadini. Dentro quest’asse erano a loro volta contemplati tre grandi gruppi di misure: a) l’informazione elettronica; b) la trasmissione via Internet; e infine, c) servizi pubblici in linea. Il terzo grande asse del Plan de Acciòn era interamente teso allo sviluppo della società dell’informazione e tutti gli ambiti politici, sociali ed economici coinvolti nel processo. Su quest’asse il Plan de Acciòn si preoccupava sostanzialmente di sostenere uno sviluppo armonico dei settori e degli attori coinvolti nel processo. Inoltre quest’asse, come vedremo, è risultato poi di importanza cruciale affinché la Spagna lentamente procedesse verso il modello europeo di società dell’informazione. Nello specifico l’asse relativo alla società era suddiviso in tre principali linee di azione. La prima dedicata all’accesso: l’oggetto di questa linea era garantire che tutti i cittadini avessero la possibilità di beneficiare dei vantaggi della società dell’informazione. In questa linea di azione erano coinvolti direttamente sia il Ministero de Educación, Cultura y Deportes che le varie Comunidades Autónomas, in quanto nelle intenzioni di base dell’azione vi era la possibilità di innestare lentamente nel sistema educativo spagnolo un progetto educativo di lunga durata capace di fornire gli strumenti fondamentali ed utili per poter partecipare e beneficiare delle opportunità prodotte dalle nuove tecnologie per l’informazione e la comunicazione117. La seconda linea di azione, quella dedicata ai servizi, dava particolare importanza al commercio elettronico ed era per lo più rivolta alle imprese e ai settori commerciali mirando a promuovere l’uso del telelavoro e lo sviluppo di applicazioni di interesse comune per i diversi settori del privato. La terza linea di azione era invece rivolta ai contenuti ed era mirata a garantire la presenza della lingua spagnola su Internet. Le azioni concrete in questo settore erano concentrate sul potenziamento dei contenuti in tre settori specifici: a) la cultura e il patrimonio linguistico spagnolo nella rete; b) il turismo, in particolare attivando servizi in rete 117 In particolare il Plan de Acciòn in questa linea di azione prevedeva tre diversi momenti: un primo rivolto alla integrazione nel circuito educativo, scolastico e formativo spagnolo di percorsi di alfabetizzazione informatica; il secondo momento era invece rivolto al cittadino/utente, in questo caso la preoccupazione del Plan de Acciòn era rivolta alla creazione di percorsi e metodi di alfabetizzazione e formazione estesi a tutta la cittadinanza spagnola. Il Plan de Acciòn si proponeva di alfabetizzare un milione di cittadini nell’arco del bienni 2001/2003; il terzo momento era invece rivolto alla possibilità di creare, attraverso strutture ad hoc, figure professionali esperte del settore ICTs. Su questo ultimo punto vennero coinvolti, anche economicamente, altri ministeri come Ministerio de Trabajo y Asuntos Sociales e Ministerio de Ciencia y Tecnología. 116 rivolte a promuovere la Spagna come meta turistica; c) la creazione di strumenti innovativi per la promozione dei contenuti. Nel piano di azione si formalizzava anche la costituzione di un organismo come la Comisión Interministerial de la Sociedad de la Información y de las Nuevas Tecnologías (CISI) che oltre ad avere poteri in termini di gestione, organizzazione e applicazione del piano di azione è stato poi anche il diretto ed unico responsabile del piano. Il Plan de Acciòn ha dunque avuto sullo sviluppo della società dell’informazione in Spagna un ruolo fondamentale sia per quanto riguarda l’introduzione di contenuti culturali sia per l’implementazione delle infrastrutture in senso digitale. Per circa due anni il piani di azione è stato il punto di riferimento per tutta la pubblica amministrazione spagnola, a partire dal governo centrale fino alle Comunità autonome118. In seguito al piano di azione, nel 2003 fu lanciato il Plan de Choque para el impulso de la Administración electrónica en España che comprendeva 19 misure da realizzarsi nell’arco di due anni. Il Plan de Choque era organizzato intorno a 4 assi strategici: 1) facilitare l’accesso ai servizi elettronici per tutti i cittadini (con l'introduzione della carta d’identità elettronica, e lo sviluppo di punti di accesso pubblico a Internet ); 2) sviluppare servizi interattivi capaci di soddisfare gli utenti e i requisiti di necessità, accessibilità e raffinatezza; 3) permettere una migliore condivisione dei dati e delle informazioni tra amministrazioni, sia livello centrale che con le amministrazioni regionali e locali; 4) sostenere il cambiamento interno e il reengineering delle amministrazioni pubbliche (coordinamento degli sviluppi, assistenza tecnica e risanamento delle strutture di supporto). Questo nuovo piano prevedeva anche una revisione del quadro giuridico e normativo per identificare le lacune e gli ostacoli, così come la necessità per la definizione di una chiara leadership di gestione e di quadro di riferimento per l’e-government. Nello stesso anno il governo spagnolo ha associato al Plan de Choque il programma d’azione España.es., oltre a riprende le linee strategiche dei precedenti piani, rilanciava le strategie della società dell’informazione in Spagna in maniera più articolata e introducendo anche la dimensione economica che sosteneva l’intera progettazione. In particolare il programma si componeva di sei linee, tre verticali – amministrazione elettronica, istruzione e PMI - e tre orizzontali - accessibilità, formazione, contenuti digitali e della comunicazione – divise in dieci diverse tappe di attuazione. Il programma aveva una durata di due anni (2004 - 2005) e un costo approssimativo di 1029 milioni di €, con la partecipazione di Amministrazione generale dello Stato (63%), regioni autonome (26%) e del settore privato (11%) (Ministero de Ciencia y Tecnologia 2003, p. 7). Rispetto ai precedenti piani di azione, il programma España.es era maggiormente orientato a fornire l’accesso alle attrezzature e alle infrastrutture ICTs. Infatti, nel programma si dava ampio spazio alle possibilità di riavvicinamento dei cittadini ai benefici della società dell’informazione e riteneva che fosse necessario per lo sviluppo 118 Uno dei prodotti del Plan de Acciòn, risultato poi molto importante nel processo di informatizzazione del sistema spagnolo, è stato il lancio nel Settembre del 2001 del Portal del Ciudadano118 un gateway addetto alle informazioni 117 dell’infrastruttura un’attività di formazione volte a digitale di tutti quei cittadini che lo richiedono. Attraverso questo processo di alfabetizzazione digitale e di formazione degli utenti vi era l’intento di far scoprire i punti di forza della rete e di integrare Internet nella quotidianità dei cittadini spagnoli. Tra gli obiettivi vi era lo sviluppo di attività di formazione per gruppi specifici e svantaggiati, come gli anziani o i diversamente abili, i possessori solo d’istruzione primaria, disoccupati, e così via. A distanza di oltre due anni, precisamente tra il novembre e dicembre 2005, il governo spagnolo lanciò due diversi piani strategici per l’avanzamento del sistema spagnolo verso la società dell’informazione. Essi sono rispettivamente il Plan Avanza e il piano Moderniza. L’attuale strategia di e-goverment e di e-democracy del governo spagnolo è tutta racchiusa in questi due documenti. Il Plan Avanza119, approvato dal Consiglio dei ministri il 4 novembre 2005, fa parte e ricalca le spinte strategiche del Plan de Acciòn . Il piano è organizzato in quattro aree di azione, che comprendono più di 600 azioni avviate in collaborazione con le agenzie del governo, le comunità autonome e le città, gli enti locali, le organizzazioni non-profit (ESFL). I fondi raccolti dal 2006 superiore a 6.325 milioni di euro. La prima linea di azione è rivolta alla cittadinanza e la sfida che si poneva il governo spagnolo era quella di coinvolgere i cittadini e di informarli sui vantaggi derivanti dall’utilizzo di Internet e delle ICTs nella loro vita quotidiana. Per effettuare questa operazione, sono stati spesi oltre i 654 milioni di euro. La seconda linea si concentrava sull’economia digitale. Da un rapporto Eurostat del 2006 emergeva in Spagna tra il 2004 e il 2006 fu registrato un aumento del livello di adozione delle ICTs da parte delle PMI che superava il 99%, in questa linea di azione si ribadiva dunque l’impegno del governo in questo senso. Per questa linea di azione stati mobilitati fondi per il periodo 2006-2008 che hanno superato 3,634 miliardi di euro. La terza linea di azione è rivolta ai servizi pubblici digitali e mira a raggiungere un pieno sviluppo dell’amministrazione elettronica, più efficiente e più vicina ai cittadini a livello locale e nei settori dell'istruzione, della salute e della giustizia. I fondi raccolti hanno superato i 625 milioni di euro. L’ultima linea di azione era rivolta ad un ammodernamento del contesto digitale dove si rilanciava la società dell'informazione e della conoscenza promuovendo il potenziamento della diffusione di infrastrutture a banda larga e il miglioramento della fiducia in una società con una identità marcatamente digitale. I fondi mobilitati per questa linea di azione il hanno superato i 1.432 milioni di euro. Il piano Moderniza è invece un piano di misure per il periodo 2006-2008 volte a migliorare e modernizzare l’amministrazione con il fine ultimo di tenere maggiormente in considerazione le esigenze dei cittadini. In generale, il piano Moderniza si basava su pochi e semplici punti sui quali il governo, soprattutto sotto il profilo legislativo, doveva intervenire per rendere più moderno ed efficace il rapporto venutosi a creare tra i cittadini e le istituzioni attraverso le ICTs. Come ad esempio il riconoscimento dei diritti e dei doveri dei cittadini nel loro rapporto con il governo 119 Il Plan Avanza fa parte del più ampio programma Ingenio 2010, volto a dare nuovo impulso e investimenti nel campo della ricerca e dell’innovazione. 118 attraverso le ICTs, la generalizzazione delle firme elettroniche a tutti i rapporti lavorativi e l’estensione delle procedure telematiche a tutte le pratiche e gli atti amministrativi. 4.5 La Turchia verso il modello europeo Com’è noto, la Turchia non è ancora un paese europeo e il processo di integrazione è tuttora ancora in fase di svolgimento ed attuazione. Appare comunque interessante osservare come la Turchia, come da semplice aspirante membro della comunità, guardi con molta attenzione al modello europeo di sviluppo delle proprie politiche, cosa che diventa ancora più evidente se si vanno ad osservare gli interventi e le pratiche nel campo delle policies per la società dell’informazione. La Turchia rappresenta un caso limite sotto il profilo dello sviluppo delle politiche in materia di informatizzazione delle infrastrutture per almeno due motivi. Innanzitutto perché è uno dei paesi candidati più controversi e dibattuti, in più è la nazione che, vista la sua posizione fortemente discussa, si affida in maniera rigida agli indicatori e alle direttive fornite dai diversi attori europei. In generale, sul piano delle politiche per l’informatizzazione, la Turchia ha sempre presentato forti ritardi in tema di informatizzazione delle proprie infrastrutture120. Anche se negli ultimi anni sotto il profilo della programmazione si è adeguata agli standards europei, sotto il profilo degli interventi non vi sono ancora risultati significativi. In materia di informatizzazione la Turchia ha sviluppato interventi con qualche anno di ritardo rispetto al resto d’Europa. Tra gli interventi sui quali vale la pena soffermarsi in materia di riforma in senso tecnologico dell’apparato amministrativo, si possono segnalare il MERNIS, cominciato nel 1998 e che mirava alla gestione dei dati di tutti i cittadini turchi attraverso l’assegnazione di un numero di identificazione (ID) e il VEDOP, un progetto avviato dal Ministero delle Finanze e che aveva come finalità l’automatizzazione degli uffici fiscali. La Turchia in generale non ha quindi indicative esperienze né di riforma del sistema burocratico, né relative all’informatizzazione dell’apparato stesso. Il primo vero piano di azione sviluppato dal governo turco fu dettato dalle esigenze di recupero rispetto all’Europa in tema di politiche per la società dell’informazione. Esso risale al 2002 e prende il nome di eTransformation Turkey Project. Le finalità del progetto erano sostanzialmente rivolte a rispettare i termini posti in essere dal piano eEurope 2000 precedentemente discusso e volto a recuperare l’enorme ritardo accumulato rispetto ai paesi membri. Il piano di azione eTransformation Turkey Project ha avuto anche un periodo di incubazione abbastanza lungo, infatti per aspettare l’approvazione governativa per il piano finanziario e per l’avvio del progetto bisogna aspettare altri tre anni121. Quindi ai ritardi tecnici ed organizzativi vanno sommati i ritardi politici che incidono 120 Si vedano i dati Eurostat sullo sviluppo tecnologico del sistema turo L’approvazione governativa del piano di azione eTransformation Turkey Project avvenne nel Gennaio del 2003. 121 119 fortemente in tema di riforme delle infrastrutture turche. Attualmente, il programma d’azione è ancora in via di implementazione122. Il coordinamento del progetto di trasformazione ha una doppia delega: da un lato vi è lo State Planning Organisation (SPO) orientato a predisporre una riforma della pubblica amministrazione orientata alla trasparenza e all’efficienza e che tenga conto dell’importanza delle tecnologie per l’informazione e la comunicazione nel miglioramento dell’efficienza delle pratiche, dall’altro vi è l’Information Society Department coordinatore dello sviluppo delle infrastrutture tecniche. Gli obiettivi strategici del piano erano stati dunque ufficialmente lanciati solo nel Febbraio del 2003. I punti più importanti dell’intero piano di azione erano: aggiornare l’intero assetto legislativo e normativo in materia di tecnologie per l’informazione e la comunicazione in modo da renderla maggiormente conforme alle direttive europee; adattare la Turchia e i relativi interventi in materia di informatizzazione avviati per i paesi candidati al piano eEurope; creazione di meccanismi che facilitino la partecipazione dei cittadini al processo decisionale attraverso le tecnologie per l’informazione e la comunicazione; miglioramento nella gestione e trasparenza negli apparati pubblici; coordinare, controllare e valutare i progetti avviati al fine di evitare duplicazioni o sovrapposizioni; fornire un orientamento al settore privato (aziende, imprese ecc.) nel rispetto dei principi validi anche per il settore pubblico. L’intero piano verteva comunque su un progetto maggiore, quello di potenziare i servizi pubblici attraverso la strutturazione di un portale nazionale. Inoltre il progetto aveva come priorità fondamentale quello di affrontare le esigenze dei cittadini per quanto riguarda i servizi di pubblica utilità, dando pertanto un rilievo inferiore alla dimensione organizzativa dell’intero apparato amministrativo. Il programma di azione turco, almeno nei suoi obiettivi, ha quindi una dimensione fortemente europeista. Tutta la fase di programmazione rivolta all’informatizzazione persegue pedissequamente l’obiettivo di raggiungere, almeno nelle sue caratteristiche essenziali, gli standards minimi individuati dai diversi piani eEurope. Dopo il lancio del programma di azione, il governo turco comincia dunque a muoversi sotto il profilo degli interventi, e lo fa soprattutto sotto l’aspetto legislativo e normativo. Infatti, uno dei primi atti presentati e votati dal governo subito dopo il lancio del programma fu la legge n° 4982, meglio conosciuta come Act, e che sanciva un diritto all’informazione che rispettasse la vision europea e che avesse in sé i principi ai quali buona parte della stampa e dell’informazione europea ormai da anni era ispirata. L’Act entra in vigore nel giugno del 2003, dopo che la Commissione europea pubblicò due rapporti che supportarono e fecero da norme integrative al progetto di legge del governo turco. Bisogna comunque sottolineare che dalla promulgazione alla entrata in vigore della legge passa ancora un anno, in quanto essa diventa legge dello stato turco solo il 26 aprile del 2004 e ancora oggi ci sono degli stralci della legge incompiuti e non ancora entrati in vigore. Nello stesso anno dell’entrata in vigore della legge sul diritto all’informazione vengono lanciati anche due importanti progetti, che nel processo di sviluppo della 122 L’ultimo aggiornamento risale al Maggio 2008. 120 società dell’informazione in Turchia ad oggi ricoprono un ruolo importante per via delle funzioni che essi svolgono. Il primo fu la costruzione di un portale, e-Bildirge123, che ha introdotto nel sistema lavorativo la possibilità ai datori di lavoro di inviare tramite la rete pagamenti, documenti o premi di assicurazione ai propri dipendenti. Il portale è oggi tuttora funzionante e rappresenta uno dei pochi fiori all’occhiello dell’apparato pubblico informatizzato turco. Il secondo, e in questo caso enormemente in ritardo rispetto ai paesi membri della Comunità europea, fu l’attivazione della raccolta delle dichiarazioni fiscali attraverso Internet, questo progetto ha comunque contribuito enormemente alla lotta all’evasione fiscale e all’economia informale. Il piano di azione eTransformation Turkey Project ha subito un primo aggiornamento nel 2005 e-Transformation Turkey 2005 Action Plan nel quale furono riportati i monitoraggi dei progetti partiti e ne furono avviati dei nuovi che avevano sia lo scopo di supportare quelli già in start-up che di integrare in parte quelli ancora da avviare. Anche in questo primo aggiornamento fu dato grosso spazio alla questione normativa e legislativa, in quanto il sistema giuridico turco appariva fortemente in ritardo sia rispetto alla normativa europea che rispetto alla dinamica e veloce evoluzione delle tecnologie dell’informazione in ambito amministrativo. Resta comunque da sottolineare che la Turchia, dopo l’avviamento del piano di azione e del relativo aggiornamento, ha fatto comunque grossi passi avanti rispetto alla situazione nella quale si trovava124. In seguito all’eTransformation Turkey Project nel luglio del 2006 fu lanciato il National Information Society Strategy. Secondo tale strategia, il processo di trasformazione della Turchia in una società altamente informatizzata doveva essere effettuato intorno a sette grandi priorità con 111 azioni da persguire: la trasformazione sociale; l’adozione di ICTs da parte delle imprese; trasformazione dei servizi vero un modello citizen-oriented; ammodernamento della pubblica amministrazione in senso digitale; un settore ICTs globalmente competitivo; ed una infrastruttura competitiva, diffusa e accessibile di comunicazione e servizi delle attività nel campo delle ricerca e l’innovazione. La strategia aveva lo scopo di diventare il documento di riferimento fondamentale per i cittadini, il settore pubblico, il mondo delle imprese e le ONG, in altre parole, per tutti i segmenti della società turca. Negli ultimi anni in Turchia non vi sono state altri piani di azione di livello nazionale ma solo interventi settoriali come ad esempio il progetto pilota Electronic Citizenship Cart dove si proponeva che gli elementi biometrici dovevano essere utilizzati per l’identificazione di verifica e dovevano essere integrati in un’unica carta elettronica. Infine vale la pena sottolineare che nel maggio del 2007 l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) ha pubblicato l’e-Government Studies Turkey. Secondo lo studio, la Turchia sta compiendo notevoli progressi nella realizzazione dell’e-government, migliorando l’accesso a Internet e la banda larga, ma 123 Il portale è attualmente consultabile al sito http://ebildirge.ssk.gov.tr/WPEB/amp/loginldap Le valutazioni Eurostat, alla fine del 2005, avevano annotato un aumento del numero di abbonati alla banda larga di oltre 1,5 milioni rispetto all’anno precedente. 124 121 dalla revisione si individuano anche alcune grandi sfide ancora in corso. Una prima sfida è colmare il divario digitale tra le popolazioni urbane e rurali, tra gli uomini e le donne, i giovani e vecchi. Ciò richiede approcci innovativi per aumentare i computer e l’alfabetizzazione e dimostrare ai cittadini e alle imprese il valore dell’utilizzo di Internet. Una seconda sfida è la modernizzazione del settore pubblico in termini di maggiore trasparenza e responsabilità. Questa sfida comprende lo sviluppo di egovernment a livello di amministrazioni locali e una maggiore interazione tra i livelli di governo, come pure tra le agenzie. Una terza sfida è fare in modo che gli investimenti in materia di e-government siano preziosi, vale a dire che i benefici sono più grandi di costi. In generale, dall’analisi dell’OCSE emerge chiaramente che la Turchia rispetta ampiamente i parametri europei in termini di sviluppo della società dell’informazione e di un’economia basata sulla conoscenza. 4.6 L’Estonia: una best-practice all’insegna del citizen-centric Uno dei primi interventi estoni, il Principles of the Estonian Information Policy, risale al 1998 e ha segnato in maniera profonda quasi tutto lo sviluppo delle politiche pubbliche per la società dell’informazione in Estonia. Il documento rifletteva i principi e le azioni dello Stato nella creazione di una società in un’epoca di rapidi cambiamenti tecnologici e nel quali vi erano fissati gli obiettivi che dovevano incidere nelle diverse sfere della vita sociale introducendo opportunità e presentando soluzioni innovative alla gestione e all’organizzazione dei servizi pubblici. Un documento ampiamente supportato da diverse forze politiche e che aveva come scopo fondamentale la divulgazione delle idee e dei principi sul tema della società dell’informazione. Inoltre, l’obiettivo finale del documento aveva come obiettivo finale che i principi circolassero in tutti gli ambiti e i settori della società, a partire dai cittadini. Ed è proprio intorno ai cittadini che ruotano gran parte degli interventi attuati dall’Estonia sin dalle sue prime battute.. Infatti, già nell’estate del 2001, il governo estone lanciò un innovativo portale TOM - Täna Otsustan Mina (Oggi Decido Io), l’obiettivo di questo sito era orientato a migliorare la partecipazione del pubblico nel processo decisionale. Nel sito ogni proposta presentata veniva discussa e commentata e al termine della discussione l’autore della proposta poteva modificarla e integrarla e, se approvata, veniva inviata all’agenzia governativa di competenza, firmata dal proponente e dai partecipanti al forum che l’avevano votata. L’agenzia aveva un mese di tempo per avviare l’implementazione della proposta o motivare il suo rifiuto. In questo modello, l’elaborazione redazionale vera e propria era dunque affidata al solo proponente, ma può comunque avvalersi di un processo di revisione e discussione collaborativa (Roncaglia 2008). L’esperienza del TOM ha successivamente influenzato tutto il processo di implementazione della società dell’informazione estone, migliorando di anno in anno fino a diventare una best-practice nel campo delle politiche pubbliche per la società dell’informazione in Europa. 122 Sulla scia degli studi avanzati dagli osservatori del TOM nel 2002 nasce in Estonia l’e-governance Academy (EGA), un’organizzazione non governativa, senza fini di lucro, fondata per la creazione e il trasferimento di conoscenze in materia di e-governance, edemocracy e lo sviluppo della società civile. L’EGA si impegnava attraverso la ricerca, la formazione e la consulenza ad attuare le priorità in materia di amministrazione e democrazia attraverso le ICTs. Sotto il profilo della ricerca, l’EGA promuoveva e agevolava i settori dove la pratica e il know-how che manca o erano ancora in fase embrionale. L’obiettivo fondamentale dell’accademia era quello di colmare il divario tra la teoria e la società, con una propensione maggiore agli studi comparati, piuttosto che accademiche o tecnologiche. L’EGA offriva la sua collaborazione in varie iniziative di ricerca su argomenti come open source software, e-democracy e diritti, e-security e applicazioni della tecnologia wireless nel settore pubblico. Una delle attività principali di EGA è stata quella di formare i funzionari, i dirigenti pubblici e delle ONG e anche leader in paesi in via di sviluppo. Attraverso la formazione, EGA intendeva sensibilizzare l’opinione pubblica per quanto riguarda le possibilità delle ICTs e per dimostrare l’importanza di una solida politica nazionale per lo sviluppo verso una società dell'informazione. I programmi di formazione e dei formatori coinvolti erano costantemente valutati e aggiornati. Sul versante della consulenza EGA poteva contare su una rete di specialisti, tutti con una lunga esperienza nel loro settore di competenza125. L'Academy riuniva le conoscenze e le esperienze necessarie per aiutare i responsabili politici a compiere scelte informate. Come un organismo indipendente, EGA aiutava a tradurre queste scelte in realtà attraverso una costante gestione delle esigenze tecniche, evitando così inefficienze e discrepanze tra ciò che era veramente necessario, e ciò che effettivamente veniva sviluppato. La maggior parte dei consulenti erano docenti, professionisti e operatori attivi nel loro settore. L’EGA ha continuato le sue attività fino al 2006, anno in cui furono ci si accingeva ad entrare in Europa e si imponevano per il governo estone scelte nuove nel campo delle politiche pubbliche per la società dell’informazione. Le attività e i risultati dei primi due anni dell’Academy sono risultate fondamentali per il lancio dei Principles of Estonian Information Policy 2004-2006. Attraverso un documento aggiuntivo dal titolo Towards a More Service-Centred and Citizen-Friendly State, l’Estonia manteneva la maggior parte dei principi definiti nella strategia del 1998 rafforzando però di gran lunga il coordinamento centrale delle azioni e degli interventi e aumentando la coerenza e la collaborazione nello sviluppo della società dell'informazione. Dopo l’adesione all’UE, la nuova politica mirava soprattutto ad allineare più strettamente le azioni nazionali con le priorità dell’UE, in particolare gli obiettivi fissati nel piano d’azione eEurope 2005. Infatti dal documento si legge: By the organisational structure of IT co-ordination, Estonia is a rather decentralised country. The 125 Per maggiori informazioni si veda il sito dell’accademia: http://www.ega.ee 123 development of information systems mostly falls under the responsibility of IT managers in ministries, county governments, boards and inspectorates. The central co-ordination deals with strategic planning, setting of priorities and ensuring financing for these. In addition, creation of co-operation networks and ensuring their functionality, drafting IT legislation as well as elaboration of IT standards are the responsibility of the central co-ordination. Proceeding from Estonia’s EU membership, the share of participation in the EU decision making in the field of information society has been constantly increasing as has the share of international co-operation in general. Vengono dunque accentrate sia le responsabilità che il coordinamento dei diversi interventi, un percorso che ha caratterizzato tutti gli sviluppi recenti in materia di politiche pubbliche per la società dell’informazione in Estonia. L’Estonia vanta dunque più aspetti che la rendono un modello virtuoso per i diversi paesi neo-comunitari, e non solo. La particolare sensibilità espressa circa l’edemocracy, l’approccio citizen-centric e il rispetto delle priorità e gli obiettivi prefissati dall’Europa anno per anno attraverso i diversi piani eEurope, la rendono un modello virtuoso tra i paesi neo-comunitari, e non solo. Molti dei traguardi raggiunti dall’Estonia in tema di informatizzazione sono ben riassunti nel rapporto IT in Public Administration of Estonia - Yearbook 2005 nel quale vennero presentati i principali traguardi raggiunti nel campo di e-government nel 2005 e una breve descrizione del governo sul documento Information Policy Action Plan 2006 lanciato qualche mese dopo. Nel report sono riportati traguardi che rendono particolarmente interessante il caso Estone, come ad esempio l’e-vote. Infatti, nel mese di ottobre del 2005 l’Estonia diventa il primo paese al mondo capace di consentire ai propri cittadini di votare su Internet per le elezioni politiche126. Per votare online, gli utenti dovevano inserire il loro numero ID in lettori elettronici collegati al proprio computer e accedere al sito Internet di voto. Sempre nel report si sottolinea l’istituzione del CERT (Computer Emergency Response Team) che aveva come compito principale quello di assistere gli utenti di Internet per l’attuazione di misure preventive al fine di aumentare le misure in materia sicurezza informatica. Una delle funzioni fondamentali era informare gli utenti circa gli attacchi virus o worm e cavalli di Troia che si verificano in rete ma anche coprire eventuali vulnerabilità del sistema di reti e comunicazioni estone. Nel documento vi erano riportati anche i risultati del rapporto europeo Benchmarking Report 2004 dove l’Estonia risultò quarta nella UE in termini di servizi pienamente interattivi. Riguarda all’uso di servizi elettronici pubblici, dall’YearBook 2005 emergeva anche una elevata soddisfazione degli estoni verso i servizi informatici pubblici. Infatti da un rilevamento effettuato nella primavera del 2005, il 66% degli utenti Internet trovava i servizi pubblici molto user-friendly, il 65% aveva affermato di aver potuto ottenere informazioni in maniera veloce e senza complicazioni e il 38% riteneva di aver risparmiato del denaro grazie attraverso all’uso dei servizi informatici pubblici. Anche sotto il profilo dell’e-learning, l’Estonia dimostra una elevata sensibilità. Nel 2005 il governo estone lancia un servizio che consentiva a chi avesse lasciato gli studi 126 Precisamente per le elezioni locali del 16 ottobre del 2005. 124 di iscriversi e studiare alle università del paese direttamente online. Questo servizio è ancora oggi disponibile sul portale dei cittadini127. Inoltre, sin dal 2004 tutti gli studenti possono iscriversi al portale dei cittadini e ricevere i risultati degli esami via e-mail o direttamente inviati sui loro telefoni cellulari tramite SMS. Un punto di svolta per le politiche pubbliche è stato il lancio dell’Estonian Information Society Strategy 2013. Il documento diede nuovo slancio alle policies estoni in quanto fu concepito come un piano di sviluppo settoriale che definiva un quadro generale, gli obiettivi e i rispettivi campi d’azione per lo sviluppo della società basata sulla conoscenza per il periodo 2007-2013. Il piano, tuttora in fase di implementazione, si concentra sull’uso di ICTs per migliorare la qualità della vita e aumentare il coinvolgimento dei cittadini nella vita pubblica. Sebbene la maggior parte degli obiettivi sono stati raggiunti e hanno mantenuto la loro attualità, il rapido sviluppo della tecnologia ha comunque reso necessario una revisione dei principi e alcuni cambiamenti di rilievo. La nuova strategia è attuata sulla base dei conti annuali e sui risultati dei piani di attuazione. All’inizio di ogni anno, le agenzie i cui campi di attività e di competenza rientrano nella strategia 2013 devono presentare al Ministero degli Affari economici informazioni circa lo sviluppo delle ICTs e ciò che intendono realizzare nel corso dell’anno successivo. Il Ministero degli Affari economici e delle comunicazioni elabora queste informazioni che servono come input per il bilancio dello Stato strategia e, in base alle valutazioni dello stesso ministero, sostiene i progetti che rientrano nel bilancio dello Stato e del governo. Le spese relative alle attività locali possono essere finanziate dal bilancio dello Stato e sono previste dalle rispettive agenzie esecutive, mentre la opere che provengono direttamente dal ministero sono finanziate attraverso i Fondi strutturali europei. La strategia è stata dunque realizzata in forma di progetto per lo sviluppo basato su opere in conformità con i principi enunciati. Con il fine di conseguire gli obiettivi sono stati istituiti gruppi di esperti settoriali per tutti i campi d’azione. I gruppi di esperti sono rappresentativi dei ministeri, del terzo settore e degli ambienti accademici. Il loro compito si basa sull’analisi continua della situazione e valutare l’attualità e la rilevanza degli obiettivi definiti nella strategia 2013 per società dell'informazione. Sulla base delle loro analisi, i gruppi di esperti fanno proposte motivate da prendere in considerazione per la elaborazione delle priorità e delle attività della Società piano di attuazione. Inoltre, i risultati delle loro analisi contribuiranno all’aggiornamento della stessa strategia. 127 L’intero servizio è consultabile al sito https://www.sais.ee/index_en.html 125 CAPITOLO 4 L’Italia nella società democrazia elettronica dell’informazione. E-government e Premessa Nel capitolo precedente abbiamo ripercorso i passaggi che più hanno caratterizzato lo sviluppo della società dell’informazione e dei piani di e-government europei. Abbiamo dato ampio spazio a nazioni che nelle loro caratteristiche strutturali – come la Francia e l’Inghilterra – o nelle loro caratteristiche politiche – come la Turchia e l’Estonia – presentano elementi di interesse per l’analisi e alla comprensione delle politiche pubbliche europee in materia. In questo capitolo l’attenzione sarà rivolta al caso italiano, di cui si vedrà sia il processo di informatizzazione infrastrutturale della pubblica amministrazione, sia più specificatamente i progetti di democrazia e cittadinanza elettronica che hanno contraddistinto la II fase per l’e-government in Italia. 1. Dalle linee guida alle fasi per l’e-government in Italia Il percorso italiano verso la società dell’informazione è strettamente legato a un più ampio progetto riformatore che ha investito tanto la pubblica amministrazione quanto l’assetto istituzionale dello Stato negli ultimi quindici anni. Esso si intreccia, in particolare, con altri due importanti processi di riforma, noti come le leggi Bassanini128 e la più generale riforma del Titolo V della Costituzione129. In Italia, il processo di informatizzazione è stato quindi associato, se non addirittura ritenuto propedeutico, a questo profondo cambiamento della configurazione amministrativa (Bevilacqua 2002). In questa sede non si discuterà dei rapporti che le due riforme intrattengono con il percorso della società dell’informazione. L’intento è quello di circoscrivere le policies per la società dell’informazione tenendo presente che parte degli interventi, sia sul 128 Legge n. 59 del 15 marzo 1997 – Delega al governo per il conferimento di funzioni e compiti alle Regioni ed enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa. Legge n. 127 del 15 maggio 1997 (Bassanini bis) sulle Misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e controllo. Legge n. 191 del 16 giugno 1998 (Bassanini ter) sulle Modifiche e integrazioni alle leggi n. 59 e n. 127 del 1997, nonché norme in materia di formazione del personale dipendente e di lavoro a distanza nelle pubbliche amministrazioni. Infine, la legge n. 50 dell’8 marzo 1999 (Bassanini quater) su Delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi. 129 La riforma fu approvata con legge costituzionale 3/2001. 126 piano progettuale che della programmazione, hanno inevitabilmente subito l’influenza di questi due importanti progetti riformatori. Tracceremo dunque il percorso italiano a partire della costituzione dell’Autorità per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione (AIPA), primo vero passo istituzionale verso la società dell’informazione, compiendo e fornendo una descrizione settoriale, sia dei progetti che degli interventi posti in essere negli ultimi quindici anni in Italia nel campo delle ICTs. L’AIPA è stata istituita nel 1993, in principio aveva una duplice funzione, essa era stata concepita sia come un’autorità indipendente che come un’agenzia operativa. Infatti, erano stati previsti compiti di vigilanza sul mercato dell'informatica pubblica, attraverso l’emissione dei pareri di congruità tecnica ed economica sui maggiori contratti stipulati dalle amministrazioni dello Stato, e momenti di promozione e realizzazione di grandi progetti infrastrutturali, si pensi alla Rete unitaria della pubblica amministrazione (RUPA) lanciata nel 1995 e passata in attuazione solo due anni dopo, precisamente con la prima legge Bassanini del 1997. Nella legge Bassanini la RUPA era descritta come l’insieme di strutture organizzative, infrastrutture tecnologiche e regole tecniche, per lo sviluppo, la condivisione, l’integrazione e la circolarità del patrimonio informativo della pubblica amministrazione, necessarie per assicurare l’interoperabilità e la cooperazione applicativa dei sistemi informatici e dei flussi informativi, garantendo la sicurezza e la riservatezza delle informazioni130. A partire dalla costituzione dell’AIPA, in Italia si è lentamente sviluppato un movimento istituzionale – che comprendeva anche intellettuali, accademici, tecnici ed esperti del settore - dedito alla comprensione e allo sviluppo della società dell’informazione. Ne è una prova Il Forum sulla società dell'informazione del 1996, dove vi erano tanto i rappresentanti dei diversi ministeri che i rappresentanti di associazioni, università e settore privato. L’obiettivo primario era quello di promuovere iniziative per lo sviluppo della società dell'informazione e per sostenere la creazione di un quadro normativo favorevole. Uno dei prodotti più significativi del Forum fu quello di produrre un documento dal titolo Promozione della società dell'informazione per lo sviluppo in Italia: uno schema di riferimento (1997) che identificava in particolare l’uso delle ICTs nei servizi pubblici come una priorità fondamentale. Uno dei primi documenti ufficiali del governo italiano fu però pubblicato nel 1995 e prendeva il titolo di Una agenda per il governo per lo sviluppo della società dell'informazione che nello specifico seguiva pedissequamente le linee guida e i principi concordati a livello internazionale, sia dall’Unione europea che dal G7. Nel documento vi erano dunque impresse le esigenze europee – già precedentemente discusse – espresse nei vari documenti della Commissione europea, a partire dal Rapporto Bangemann. A partire dall’esperienza del Forum sulla società dell’informazione, sugli inizi del 1999, il governo costituì una struttura organizzativa per la società dell’informazione composta da tre corpi: il Comitato dei Ministri per la Società dell'informazione, il Forum sulla società dell'informazione e infine una struttura inter-dipartimentale di studio e di lavoro di gruppo. Questa struttura aveva il compito di segnalare 130 Si veda la legge n. 59 del 15 marzo 1997. 127 direttamente al Primo Ministro le innovazioni nel campo delle ICTs e inoltre aveva il compito di elaborare un nuovo piano d’azione per lo sviluppo della società dell'informazione in Italia. Sulla scia delle osservazioni fatte dalla struttura, nel 2000 venne adottato l’Egovernment 2000-2002. Finanziato con oltre 400 milioni di euro, il piano d’azione Egovernment definiva le priorità fondamentali nella programmazione degli interventi in materia di società dell’informazione, compreso il collegamento di tutti gli organismi pubblici alla rete e lo sviluppo di una carta d’identità elettronica e l’uso della firma elettronica. L’allora secondo governo Amato, in collaborazione con l’OCSE, presentò i primi risultati dell’E-goverment 2000-2002 nel mese di marzo 2001 a Napoli durante il Global Forum sull’e-government, (passato alle cronache per gli scontri tra polizia e i manifestanti) nel quale vennero presentate molte delle innovazioni prodotte in quegli anni, come ad esempio l’introduzione della carta d’identità elettronica, poi effettivamente mai portata al termine131. Con le elezioni politiche, l’Italia cambiò il governo e il nuovo esecutivo con a capo Silvio Berlusconi istituì il Ministero per l’Innovazione e le Tecnologie. Una delle prime azioni dell’allora ministro Lucio Stanca, nel dicembre 2001, fu la pubblicazione delle Linee guida per la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione che fissava le priorità di e-government per l’anno 2002. Dalle linee guida si legge che gli interventi promossi sono coerenti con l’evoluzione dell’assetto istituzionale del Paese, in termini di orientamento al decentramento e di rispetto della autonomia delle amministrazioni. Gli indirizzi prioritari delle linee guida si riferivano a precise direttrici di intervento. Tra gli indirizzi prioritari vi erano: 1) migliorare il livello di servizio ai cittadini ed alle imprese, attraverso l’attivazione di punti unici di contatto con le Amministrazioni, l’abilitazione di strumenti di identificazione del cittadino e la realizzazione di interventi organizzativi (Uffici digitali, Portale nazionale del cittadino, ecc.); 2) favorire l’efficienza e l’economicità di gestione, attraverso la promozione di interventi integrati di cambiamento normativo, ridisegno dei processi, introduzione di nuove soluzioni tecnologiche e ricorso a strumenti di gestione del cambiamento (metodologie di gestione progetto; acquisti di beni e servizi; gestione della contabilità finanziaria ed economica; gestione del personale; flussi documentali); 3) potenziare l’infostruttura, avviando il lancio di iniziative progettuali e normative volte a favorire lo sviluppo di un efficiente contesto informativo interno alle amministrazioni dello Stato, orientato alla condivisione dei servizi e delle informazioni (sicurezza; postazione di lavoro informatizzata; carta multi-service del dipendente; valorizzazione del patrimonio informativo esistente); 4) sviluppare le competenze informatiche e tecnologiche dei dipendenti dello Stato, attraverso l’avvio di un ampio progetto di formazione e gestione del cambiamento che prevedeva un 131 Nello stesso anno l’Italia ospitò anche il Vertice del G8 a Genova dove tra i molteplici punti in agenda vi era anche l’intento di strutturare un piano d’azione per ridurre il divario digitale globale che incoraggiasse lo sviluppo di un’iniziativa per l'uso di e-government come strumento per rafforzare la democrazia e lo Stato di diritto nei paesi in via di sviluppo. 128 focus specifico sull’alfabetizzazione tecnologica, sull’apprendimento della lingua inglese e sull’utilizzo di internet mediante il ricorso a tecniche di formazione a distanza (e-learning); 5) promuovere la diffusione dell’innovazione nel Paese, attraverso alcune grandi iniziative di rilevanza nazionale capaci di avere un impatto significativo sul Paese e di prevedere l’aggregazione della domanda pubblica di innovazione favorendo lo sviluppo della Società dell’Informazione nel Paese (iniziativa larga banda; sviluppo di servizi digitali su larga banda; e-commerce); 6) introdurre strumenti innovativi di coordinamento e gestione delle iniziative, mediante l’avvio di gruppi di lavoro congiunti fra il Dipartimento per l’innovazione e le tecnologie e le Amministrazioni per la pianificazione, la realizzazione ed il monitoraggio degli interventi comuni. Sotto il profilo della programmazione e della progettazione degli interventi, anche se parte degli interventi programmati non sono mai stati portati al termine, il biennio 2001/2002 può essere considerato prolifico. Infatti, il Comitato inter-ministeriale per la società dell’informazione nello stesso anno oltre alle suddette linee guida approva anche i 10 obiettivi di legislatura per la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione dove il governo si impegnava – tra le altre cose – a mettere a disposizione di tutti i principali servizi pubblici, distribuire 30 milioni di carte di identità elettroniche, eprocurement del 50% dei beni e dei servizi acquistati e lo sviluppo dell’e-learning. In realtà, sia le linee guida che i 10 obiettivi di legislatura sono stati il preambolo al documento che nelle sue fasi strategiche è stato il più importante – oltre che il più conosciuto – nella prima fase dello sviluppo della società dell’informazione italiana, le Linee guida del Governo per lo sviluppo della Società dell’Informazione. Il documento fu pubblicato nel giugno del 2002 con lo scopo di informare quali policies il governo Berlusconi avrebbe attuato durante la legislatura. Nella introduzione del documento si legge: L’innovazione non si basa solo sull’attività di ricerca e sviluppo, ma spesso richiede investimenti complementari in altre aree riguardanti la formazione del capitale umano e la ristrutturazione dei processi produttivi. I sistemi più evoluti sono quelli che si adattano ai nuovi modelli di innovazione, che rafforzano le interazioni fra settore pubblico e settore privato, e che, in generale, creano le condizioni migliori per lo sviluppo di innovazioni (MIT 2002). Lo spirito del documento partiva dunque da una doppia consapevolezza: la prima legata alla questione degli investimenti, bisognava dunque riconoscere che oltre alla ricerca serviva attivare lo sviluppo di capitale umano e rinnovare l’economia attraverso una generale riorganizzazione della produzione; il secondo punto era in linea con le riforme della PA attivate in Italia e guardava con attenzione alla riformulazione del rapporto tra pubblico e privato nel campo delle ICTs e delle sviluppo dell’informatizzazione della pubblica amministrazione. Le linee strategiche del documento erano sostanzialmente tre: 1) la trasformazione della pubblica amministrazione tramite le tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Il modello al quale tendeva il governo era quello di una pubblica amministrazione orientata all’utente, al cittadino e all’impresa. La realizzazione di un tale modello di e-government doveva poggiare su infrastrutture abilitanti capaci di assicurare in modo efficiente e sicuro alcune funzionalità di base. Un sistema dunque che nei suoi sviluppi più avanzati doveva diventare un potente 129 strumento di coinvolgimento e partecipazione dei cittadini ai processi decisionali, evolvendo verso modelli innovativi di e-democracy; 2) la realizzazione di interventi nel sistema Paese per l’innovazione e lo sviluppo della Società dell’Informazione. Il modello al quale convergevano le linee guida doveva essere un sistema Paese in cui la Società dell’Informazione potesse affermarsi in tutte le sue grandi opportunità di sviluppo economico, ma anche di equilibrio ed equità sociali; 3) l’azione internazionale. Questa linea strategica era la naturale evoluzione degli accordi presi dal governo italiano durante il G8, assunti nel documento E-government per lo sviluppo: un programma di cooperazione internazionale per la digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni dei Paesi in via di sviluppo. Dal documento si apprende che un’efficiente pubblica amministrazione è considerata elemento fondamentale di sviluppo, di trasparenza e di democrazia per ogni Paese e costituisce condizione necessaria per attrarre investimenti stranieri pubblici e privati. L’azione internazionale era inoltre volta a fare in modo che le tematiche della società dell’informazione assumessero sempre maggiore centralità nell’agenda dell’Unione Europea, infatti l’Italia figura tra i principali promotori del piano eEurope 2005. Parallelamente al lancio delle linee guida, nell’ottobre 2001 partì in Italia la Prima fase di attuazione dell’e-government nelle Regioni e negli Enti locali. La prima fase si sviluppò secondo tre linee di azione tra loro fortemente interrelate: 1) la promozione di progetti di e-government presso le Regioni e gli Enti locali volti allo sviluppo di servizi infrastrutturali e di servizi finali per cittadini e imprese; 2) la definizione di un comune quadro di riferimento tecnico, organizzativo e metodologico per la realizzazione dei progetti di e-government; 3) la creazione, articolata su tutto il territorio nazionale, di Centri Regionali di Competenza132 (CRC) per l’e-government, costituiti in collaborazione con Regioni ed Enti locali, ed aventi come principale obiettivo il sostegno alle Regioni ed agli Enti locali alla preparazione ed alla realizzazione di progetti di e-government. La prima linea di azione fu realizzata mediante l’emissione di un Avviso per il 132 Il progetto CRC nasce nell’ambito del protocollo d’intesa stipulato il 21 marzo 2002 tra il MIT e i Presidenti delle Regioni, istitutivo del Comitato Strategico per l’innovazione e le tecnologie e del rispettivo Comitato Tecnico. Il progetto CRC ha visto una prima fase (marzo 2002 – luglio 2003) dedicata all’attivazione dei 21 centri regionali e del nodo centrale di servizi, e all’avvio sperimentale delle attività; una seconda fase (settembre 2003 – dicembre 2005) di sviluppo organizzativo, di attivazione del modello di governo condiviso della rete e di piena realizzazione delle attività. La terza fase del progetto CRC prevedeva la gestione diretta da parte del CNIPA e delle Regioni, e persegue i seguenti obiettivi: 1) contribuire all’estensione dell’innovazione nel mondo degli Enti locali, in particolare dei piccoli Comuni, promovendo e sostenendo approcci e iniziative improntati alla sostenibilità gestionale ed economica a medio-lungo termine; 2) contribuire alla promozione e comunicazione dei nuovi servizi di e-government verso i destinatari finali, attivando anche meccanismi di feedback che consentano di migliorarne continuativamente la qualità; 3) contribuire a migliorare la conoscenza e misurazione dell’innovazione, in particolare relativamente all’utilizzo dei nuovi servizi e al loro impatto sui beneficiari e sulle dinamiche di sviluppo locale, nonché promuovere e sostenere maggiori attenzione e capacità da parte di politici e decisori sull’utilizzo dei risultati della misurazione. Queste attività dovranno essere costantemente allineate con gli sviluppi e indirizzi che maturano a livello comunitario. Per maggiori informazioni si veda il sito: www.crcitalia.it 130 cofinanziamento di progetti di e-government presentati da Regioni ed Enti locali. All’avviso vennero presentati circa 400 progetti e ne furono finanziati 134, per una valore complessivo di circa 500 mila euro ed un cofinanziamento pari a circa 120 mila euro. Di tali progetti circa 40 avevano come obiettivo la realizzazione di servizi infrastrutturali nelle Regioni e nelle Province, e circa 94 avevano come obiettivo la realizzazione di servizi online per cittadini e imprese. I progetti inoltre avevano come oggetto la realizzazione di servizi capaci di coprire la totalità dei servizi indicati come prioritari nell’avviso in risposta al quale furono presentati. I servizi infrastrutturali, a loro volta, coprivano tutte le tipologie di servizi, da quelli relativi al trasporto, fino a quelli di interoperabilità, di cooperazione applicativa, di sicurezza ed autenticazione e di accesso ai servizi tramite carte digitali. Le linee guida rappresentano dunque un momento di svolta significativo nello sviluppo della società dell’informazione in Italia. Esso includeva sia i punti prioritari indicati dall’Unione Europea che, come già precedentemente sottolineato, quelli posti dal processo riformatore in senso federale in atto in Italia in quel periodo. Infatti, una delle caratteristiche del processo di sviluppo verso la società dell’informazione italiano è stato proprio il continuo confrontarsi con la trasformazione strutturale dello Stato in senso Federale. Le linee guida contemplavano questo processo di riorganizzazione dello Stato senza però porre priorità e obiettivi da perseguire per rendere entrambi i processi contigui e speculari. Fu così che nel mese di Aprile del 2003 fu istituita la Commissione permanente per l’Innovazione e le Tecnologie costituita dai Presidenti delle regioni, dal Ministro per l’Innovazione e le Tecnologie strutturarono un documento dal titolo L’e-government per un federalismo efficiente: una visione condivisa, una realizzazione cooperativa. Da documento si apprende: L’architettura istituzionale dello Stato italiano si sta modificando profondamente in senso federalista. L’attuazione del federalismo dipende dallo sviluppo di forme nuove e più efficienti di amministrazione che hanno come riferimento il livello di governo rappresentato dalle regioni e dal relativo sistema delle autonomie locali. Lo spostamento di poteri, competenze e risorse pubbliche verso gli Enti più vicini ai cittadini, alle imprese e al territorio valorizza e stimola le capacità di autogoverno e il rapporto tra cittadini e istituzioni. Obiettivo di questa documento era formulare una visione comune dello sviluppo dell’e-government che rappresentasse il riferimento complessivo delle future azioni di collaborazione tra comuni, province, regioni e amministrazioni centrali. Dal documento emergeva dunque che questo percorso di collaborazione doveva essere un elemento di sostegno per il più significativo ed impegnativo processo d’innovazione del nostro paese: la riorganizzazione dello Stato in senso federale. La XIV legislatura ha dunque ridisegnato una policy rivolta all’innovazione dei servizi per il pubblico, con l’idea di dare priorità alle esigenze del cittadino, soggetto intorno al quale si è pensato di costruire la nuova pubblica amministrazione. Le strategie del governo di centro-destra in materia di innovazione tecnologica hanno «guardato in particolare a quattro aspetti: un forte orientamento al servizio verso i cittadini e le imprese; l’erogazione decentrata dei servizi in rete; il coinvolgimento dei partner privati e la collaborazione delle parti sociali. Ma la novità di questa legislatura non ha riguardato solo una maggior attenzione al cittadino: si è rivolta anche agli 131 attori istituzionali che gestiscono le politiche di governo elettronico, mostrando l’influenza della politica sulle politiche133» (Zuccarini 2006, p. 18). In questo generale percorso di riorganizzazione amministrativa vanno aggiunti anche i processi di rafforzamento dell’esecutivo (Criscitiello 2003, Fabbrini e Vassallo 1999) che inevitabilmente investirono anche gli organi addetti alla definizione e all’organizzazione delle policy per la società dell’informazione. Infatti, l’AIPA, con l’art. 29 della Legge finanziaria 2001 viene soppresso è sostituita da una nuova struttura: il Centro Nazionale per l’informatizzazione della Pubblica Amministrazione134 (CNIPA). «La precedente AIPA operava presso la presidenza del Consiglio con autonomia tecnica e funzionale e con indipendenza di giudizio. Benché non avesse lo stesso statuto di un’autorità indipendente, svolgeva funzioni regolative con conseguente sottrazione al circuito politico di una questione di vitale interesse per il funzionamento e l’ammodernamento degli apparati pubblici e, soprattutto, per lo sviluppo armonico dei sistemi informativi su tutto il territorio nazionale» (De Rosa 2006, p. 99). Sotto il profilo organizzativo il CNIPA ha ereditato la stessa struttura dell’AIPA. Esso è retto da un organo collegiale di nomina governativa. Tocca, infatti, al presidente del Consiglio, su indicazione del ministro per l’Innovazione e le tecnologie, nominarne il presidente, che, a sua volta, nomina i quattro membri del collegio e il direttore. Le attività assegnate al CNIPA, tuttora in funzione, sono: a) il coordinamento, la razionalizzazione e la verifica dei costi e dei benefici dei sistemi informativi delle amministrazioni, di quelle centrali e degli enti non economici; b) la governance di progetti infrastrutturali e trasversali in campo informatico e telematico, funzione che comprende tutte le attività connesse alla costruzione delle infrastrutture e alla predisposizione e organizzazione dei contenuti; c) il supporto all’elaborazione e attuazione delle politiche di governo elettronico che comprende l’insieme di attività a sostegno diretto degli obiettivi di legislatura. Il CNIPA avrebbe inoltre assistito Regioni ed enti locali nell’elaborazione e realizzazione di progetti su fondi del Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) (De Rosa 2006, pp. 105-106). Appare dunque evidente che in Italia vi è stato un processo di digitalizzazione che ha tenuto conto sia del rafforzamento delle istituzioni centrali - ne è un esempio l’istituzione del CNIPA e l’accentramento di molte funzioni organizzative ed economiche, soprattutto in materia finanziaria - sia del rapporto con le Regioni e gli enti locali come la costituzione dei CRC e dei numerosi interventi locali. Ed è proprio sul rafforzamento degli interventi regionali e locali che si concentra 133 Corsivo dell’autrice. «In realtà prima della istituzione del CNIPA, l’allora ministro Lucio Stanca aveva istituito una fantomatica Agenzia nazionale per l’innovazione tecnologica. L’Agenzia nazionale, in realtà, non decollo mai e per un paio di anni la questione della potestà istituzionale sull’informatica pubblica sembrava essere ritornata al centro del dibattito politico». Per approfondimenti si veda De Rosa R., Il cuore del governo elettronico, Polis, pp. 95-118 134 132 l’intera II fase per l’e-government in Italia che è totalmente contenuta nel documento L’e-government nelle Regioni e negli Enti locali: II fase di attuazione. La II fase prevedeva la realizzazione di cinque linee di azione: 1. Lo sviluppo dei servizi infrastrutturali locali (SPC)135. Questa linea di azione ha avuto come obiettivo quello di conseguire, in tutti i territori regionali, la disponibilità di servizi infrastrutturali adeguati. Per servizi infrastrutturali si intendono, con una accezione ampia, tutti quei servizi che una amministrazione regionale o provinciale rende disponibili per gli Enti locali del suo territorio di riferimento, e la cui disponibilità è necessaria per la realizzazione dei progetti di e-government finalizzati alla erogazione di servizi finali. Sono tali ad esempio i servizi delle reti regionali e/o territoriali e le strutture per la loro gestione, i servizi di gestione delle carte di servizi a livello regionale, i servizi per l’interoperabilità dei protocolli e della gestione documentale. 2. Diffusione territoriale dei servizi per cittadini ed imprese136. Questa linea di azione aveva come obiettivo l’allargamento alla maggior parte delle amministrazioni locali dei servizi per cittadini e imprese in corso di realizzazione. Tutti i progetti avviati, ed in misura maggiore quelli più rilevanti economicamente, prevedevano la partecipazione di numerose amministrazioni, molte delle quali riutilizzavano soluzioni e applicazioni prodotte da altre amministrazioni. In questa linea di azione ci si proponeva dunque di valorizzare queste modalità di riuso delle soluzioni, estendendole ad altre amministrazioni, realizzando così significative economie di scala e promuovendo una standardizzazione delle soluzioni su tutto il territorio nazionale. L’allargamento dei progetti ad altre amministrazioni prevedeva anche il completamento dei progetti già avviati sia in termini di servizi erogati, sia in termini di soluzioni tecnologiche adottate. 3. L’inclusione dei comuni piccoli nell’attuazione dell’ e-government137. Essa prevedeva di favorire la cooperazione e l’associazione dei comuni piccoli e mediopiccoli, coerentemente con quanto sta avvenendo in altri settori, al fine di costituire Centri di Servizio Territoriali (CST)138. Tali strutture di servizio sovra-comunali dovevano avere il compito di avviare i processi di e-government, garantendone la gestione e fornendo alle amministrazioni partecipanti le risorse umane e tecnologiche necessarie. Particolarmente rilevante in questa linea di azione era il ruolo che le Regioni, le Province e le Comunità montane svolgeranno nella promozione e nella realizzazione dei CST tra gli Enti locali del loro territorio di riferimento. 135 Per questa linea di azione erano stati previsti 35 milioni di euro. Per la seconda linea di azione erano stati previsti 60 milioni di euro. 137 La terza linea di azione poteva godere di un finanziamento complessivo di 13,5 milioni di euro. 138 I Centri Servizi Territoriali sono strutture di aggregazione studiate per risolvere non solo i problemi dei piccoli Comuni, termine con cui di solito si intendono i Comuni con meno di 5000 abitanti (il 72% del totale dei Comuni Italiani, in cui risiede il 20% della popolazione), ma di tutte quelle realtà medio piccole che si trovano ogni giorno a dover affrontare esigenze di: a) Scarsità di risorse finanziarie, che non permettono il raggiungimento di economie di scala, e che sono pressate dal patto di stabilità interno; b) Carenza di personale, e quindi di conoscenze e competenze necessarie a compiere scelte di mercato adeguate; c) Mancanza di infrastrutture, con particolare riferimento alla connettività. 136 133 4. L’avviamento di progetti per lo sviluppo della cittadinanza digitale (edemocracy)139. La quarta linea di azione aveva come obiettivo quello di promuovere progetti di utilizzo delle tecnologie ICTs come strumento per promuovere la partecipazione dei cittadini alla vita delle amministrazioni pubbliche ed alle loro decisioni. In particolare l’azione aveva intenzione di concentrarsi sui processi di decisione pubblica, con l’obiettivo di migliorarne l’efficacia, l’efficienza, e la condivisione da parte degli attori coinvolti. La crescita di complessità dei sistemi amministrati aumenta infatti la complessità delle decisioni pubbliche e la necessità di coinvolgere le competenze e le esperienze diffuse nella società140. 5. La promozione dell’utilizzo dei nuovi servizi presso cittadini e imprese. L’ultima linea di azione ha avuto come obiettivo la promozione dell’uso dei nuovi servizi presso cittadini e imprese. La realizzazione di servizi online è condizione necessaria ma non sufficiente per l’utilizzo degli stessi. Era necessario dunque, secondo la quinta linea di azione, spostare fasce consistenti di utenza dalla fruizione tradizionale dei servizi alla fruizione dei servizi mediante le nuove modalità di erogazione. A tale scopo ogni amministrazione doveva prevedere sul proprio territorio una efficace azione di comunicazione verso la propria utenza. Tali attività di comunicazione facevano riferimento a formati, strumenti e risorse di comunicazione definite per l’insieme dei progetti di e-government, con l’obiettivo di comunicare non solo la disponibilità di un nuovo servizio, ma l’attuazione di un vasto programma di innovazione realizzato congiuntamente da tutte le amministrazioni. Ma la grande innovazione introdotta dalla XIV legislatura è stata la sistematizzazione della normativa in materia di innovazione della pubblica amministrazione (Zuccarini 2006). Revisione che ha portato all’approvazione, nel 2005, di un Codice dell’amministrazione digitale141. Il Codice, entrato in vigore nel gennaio 2006, aveva l’ambizione di diventare una vera e propria Costituzione del mondo digitale che tenesse conto di diritti e doveri dei cittadini e che contemporaneamente fornisse i principi operativi con cui tali diritti e doveri si possono concretizzare. Tale codice conteneva le disposizioni per garantire il diritto di ogni cittadino a usufruire dei servizi della pubblica amministrazione anche in rete e l’obbligo per le stesse amministrazioni di snellire le procedure e rendere tutti i servizi e le comunicazioni interne ed esterne disponibili per via telematica142. Contestualmente ai nuovi diritti e doveri non furono previste forme di sanzione a garanzia del rispetto degli stessi. Pertanto, poiché la Costituzione riconosce piena autonomia in materia di organizzazione a Regioni e autonomie locali, non è possibile imporre l’applicazione della norma, sebbene rappresenti per i cittadini uno strumento per esercitare una positiva pressione sulle loro amministrazioni territoriali in questa direzione. In più, il Codice, «non integrandosi con il Testo unico sulla 139 Sulla quarta linea di azione vi era un finanziamento di 10 milioni di euro. Questa linea di azione sarà approfondita nel prossimo paragrafo. 141 D.lgs. 82/200522 142 Tra i diritti garantiti: il diritto all’uso delle tecnologie (art. 3), all’accesso e all’invio di documenti digitali (art. 4), a effettuare qualsiasi pagamento in forma digitale (art. 5) e a ricevere qualsiasi comunicazione pubblica per e-mail (art. 6), il diritto alla qualità del servizio e alla misura della soddisfazione (art. 7), alla partecipazione (art. 8) e ad avere in rete tutti i moduli e i formulari validi e aggiornati (art. 58). Si veda Zuccarini 2006. 140 134 documentazione amministrativa, mancava di organicità e la gestione delle informazioni pubbliche restava dispersa» (Zuccarini 2006, p. 24-25). Con le elezioni politiche del 2006 vinte dal centro sinistra, vi furono delle ristrutturazioni sia sotto il profilo istituzionale che sotto che sotto l’aspetto programmatico. Innanzitutto, vi fu l’accorpamento di due ministeri, quello per l’Innovazione Tecnologica e la Riforma della Pubblica Amministrazione. L’allora ministro Luigi Nicolais preferì trasformarli in dipartimenti, Dipartimenti Innovazione Tecnologica (DIT) e della Funzione Pubblica, che facevano capo al Ministero per la pubblica amministrazione e l’innovazione. Il DIT, mantenuto anche dall’attuale ministro Renato Brunetta, è la struttura di cui si avvale il Ministero per la pubblica amministrazione e l’innovazione nella definizione e nella attuazione delle politiche per lo sviluppo della Società dell'informazione, nonché delle connesse innovazioni tecnologiche per le pubbliche amministrazioni, i cittadini e le imprese. Mentre il dipartimento per la Funzione Pubblica fu istituito per rispondere alle esigenze di modernizzazione della pubblica amministrazione italiana e aveva – ed ha - il compito di promuovere iniziative di riforma dell’amministrazione in direzione dell’efficienza, dell’efficacia e dell’economicità dell’azione amministrativa. Con il ministro Nicolais vi fu anche una generale revisione della II fase di azione per l’e-government esplicitati nel documento Verso il Sistema Nazionale di egovernment: linee strategiche (2007). In queste linee strategiche si affermava la volontà di proseguire l’azione programmata dal precedente governo ma con obiettivi e priorità diverse. In particolare, le linee di azione e di ri-progettazione degli interventi dovevano assurgere sette fondamentali priorità: 1) migliorare l’efficienza della pubblica amministrazione, ottenendo un forte cambiamento organizzativo e gestionale, favorendo il ciclo di convergenza digitale fra processi amministrativi, servizi pubblici e nuove tecnologie; 2) realizzare l’interoperabilità e la piena cooperazione fra le amministrazioni sfruttando le tecnologie di collaborazione ed integrazione di processi e la condivisione degli archivi e delle informazioni, per ridurre i tempi e semplificare le procedure; 3) migliorare la trasparenza, il controllo e l’efficacia della spesa pubblica attraverso strumenti capaci di consentire la tracciabilità dei processi, un maggior controllo di gestione e supporti decisionali alla programmazione e alla gestione della finanza pubblica; 4) costruire la cittadinanza digitale, promuovendo l’e-democracy e superando il digital divide, attraverso lo sviluppo della banda larga, la rimozione degli ostacoli all’accesso digitale, e una più qualificata, più ampia e rinnovata offerta di servizi in modalità digitale e remota; 5) adottare un approccio sistemico per la crescita e la misurazione della qualità e dell’efficienza dei processi nella PA, utilizzando le tecnologie di supporto all’organizzazione ed all’introduzione di modelli e processi di monitoraggio e miglioramento della qualità dei servizi, anche con l’introduzione di modelli e tecnologie per la divulgazione, misurazione dell’utilizzo dei servizi e il grado di soddisfazione dei cittadini in relazione a parametri internazionali; 6) creare un ambiente favorevole alla competitività delle imprese e dare impulso alla crescita dell’industria ICTs, promuovendo un ruolo di procurement strategico da parte della PA, un innalzamento della qualità della domanda di tecnologie e servizi innovativi, 135 incrementando la diffusione e la utilizzazione di soluzioni Open Source; 7) rendere l’Italia protagonista del processo di innovazione amministrativa in Europa attraverso una presenza più incisiva del nostro Paese in ambito UE e internazionale, promuovendo la piena presenza italiana nella European Information Society – i2010 ed un permanente flusso di interscambio di esperienze e di buone pratiche. I due anni della presidenza Prodi sono stati dunque scanditi da un generale riassetto della II fase di azione. Il tempo del governo però è stato troppo breve affinché potesse affermassi una vision capace di contemplare una programmazione con un carattere proprio e che si slegasse dalla precedente legislatura. Con il secondo governo Prodi sembra essere ritornata la stagione della politica dell’ammodernamento della macchina amministrativa. L’idea di affidare l’innovazione nelle mani di un ministro che segue anche la funzione pubblica metteva in risalto la volontà di porre al centro la questione della riforma dell’amministrazione, lavorando sull’organizzazione, sui processi e sulla semplificazione (Zuccarini 2006, pp. 26-27). Durante la breve XV legislatura sono stati raggiunti comunque importanti traguardi sotto il profilo infrastrutturale. Un esempio su tutti è il lancio operativo del Sistema Pubblico di Connettività (SPC), contemplato nella prima linea di azione della II fase per l’e-government che, come già precedentemente indicato, riunisce tutte la pubblica amministrazione centrale in una rete federale che la rende compatibile con reti regionali e locali. Il suo obiettivo è tuttora quello di aumentare l’interoperabilità tra i diversi livelli di pubbliche amministrazioni nazionali e locali, che hanno in comune le banche dati e procedure. Altro esempio è dato dal lancio del nuovo portale della Camera del Commercio Italiana che, nella sua nuova configurazione, aveva come obiettivo quello di rendere l’intero contenuto delle banche dati della Camera di Commercio disponibili online. Oggi, infatti, entrando nel sito è possibile consultare le informazioni di base su tutte le imprese attive in Italia. Il portale include anche una serie di prodotti gratuiti e servizi di informazione rivolte specificatamente alle piccole imprese. Nel prossimo paragrafo focalizzeremo l’attenzione sulla quarta linea di azione della II fase per l’e-government in Italia, con il fine di tracciare il percorso italiano circa la promozione della partecipazione della cittadinanza attraverso le ICTs. Nello specifico vedremo come si è articolata e strutturata la policy italiana in materia di democrazia e cittadinanza elettronica. 2. La quarta linea di azione: lo sviluppo della cittadinanza digitale: l'edemocracy Come già accennato nel precedente paragrafo, la seconda fase di attuazione per l’egovernment è stata ufficialmente lanciata nel Novembre del 2003 con il documento L’e-government nelle Regioni e negli Enti locali: II fase di attuazione. Esso assumeva come contesto di riferimento le linee guida redatte nel documento L’e-government per un federalismo efficiente: una visione condivisa, una realizzazione cooperativa e descriveva le modalità di realizzazione relative alla fase di attuazione dell’e-government 136 per le Regioni e gli enti locali, che segue l’avvio dei progetti selezionati in base all’avviso del 4 aprile 2002143. Nel documento furono tracciate le linee d’azione, gli obiettivi, la tempistica e gli impegni economici che il MIT144 in collaborazione con le Regioni e gli enti locali intendeva perseguire. L’intera seconda fase prevedeva un finanziamento di 207 milioni di euro che, oltre ad ampliare le azioni svolte nella prima fase,, intendeva avviare processi di innovazione che vanno oltre la realizzazione di servizi infrastrutturali. La seconda fase di attuazione dell’e-government aveva dunque come obiettivo principale l’allargamento alla maggior parte delle amministrazioni locali ai processi di innovazione già avviati, sia per quanto riguarda la realizzazione dei servizi per cittadini e imprese, sia per ciò che riguarda la realizzazione di servizi infrastrutturali in tutti i territori regionali. La definizione del quadro di riferimento tecnico, organizzativo e metodologico della II fase fu il risultato di una cooperazione tra i rappresentanti di Regioni, Province, Comuni e Comunità Montane. Una cooperazione che produsse una serie di documenti che furono forniti come allegati tecnici alla presentazione dei progetti, orientando gli stessi verso architetture e requisiti tecnici ed organizzativi comuni. Tale quadro di riferimento rispecchiò lo stato dell’arte delle tecnologie e dei processi di cooperazione definito alla fine del 2001 (MIT 2003). Come già sottolineato nel precedente paragrafo, la II fase per l’e-government era strutturata su cinque linee di intervento: 1) erogazione di servizi infrastrutturali, dove il fondo mobilitato era intorno ai 35 milioni; 2) diffusione territoriale dei servizi per cittadini ed imprese (riuso) che contava il finanziamento più alto: 60 milioni di euro; 3) inclusione dei comuni piccoli nell’attuazione dell’e-government, con un finanziamento di 13,5 milioni di euro; 4) avviamento di progetti per lo sviluppo della cittadinanza digitale (e-democracy), 10 milioni di euro; infine, 5) promozione dell’utilizzo dei nuovi servizi presso cittadini e imprese che contava su un finanziamento pari a 9 milioni di euro. Una disponibilità complessiva dunque di 127,5 milioni di euro. La II fase aveva pertanto un orientamento teso sia alla realizzazione dei servizi per cittadini e imprese, sia per ciò alla realizzazione di servizi infrastrutturali in tutti i territori regionali. Ciò che però ha caratterizzato la II fase rispetto ai precedenti interventi fu la realizzazione di servizi online per promuovere la cittadinanza digitale e specifiche misure relative alla promozione e l’ampliamento della partecipazione politica attraverso l’uso delle nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione. Questo orientamento era espresso nella quarta linea di azione nella quale si dava forma ad una doppia esigenza emersa sul finire degli anni ’90: da un lato, la necessità di un adattamento del modo di operare delle istituzioni democratiche nel nuovo contesto sociale, con un maggior coinvolgimento dei cittadini nei processi decisionali; dall’altro, le opportunità offerte dalle nuove tecnologie dell’informazione e della 143 Dipartimento per l’Innovazione e la Tecnologie (DIT), Avviso, GU 3 aprile 2002 n.78. Il MIT, Ministero per l'Innovazione Tecnologica, è stato ridimensionato dall'attuale esecutivo in Dipartimento per l'Innovazione tecnologica. 144 137 comunicazione per mantenere aperto un dialogo costante con i cittadini (MIT-CRC 2003). Il modello operativo della quarta linea d’azione prevedeva un “Avviso”, già sperimentato nella prima fase per l’e-government. L’Avviso nazionale per il cofinanziamento a progetti per lo sviluppo della cittadinanza digitale fu pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 13 Aprile del 2004 con scadenza il 12 Luglio dello stesso anno, data entro la quale tutti i progetti dovevano essere presentati pena l’esclusione. Esso prevedeva un co-finanziamento pari al 50% delle spese complessive di ogni singolo progetto per un ammontare complessivo di 9.500.000 di euro, della durata massima di 24 mesi. In generale l’avviso aveva come scopo quello di individuare progetti da cofinanziare e ne dettava i presupposti per la partecipazione. In esso vi erano indicati gli elementi e le regole essenziali sia per la stesura che per l’acceso al cofinanziamento. Per partecipare all’Avviso nazionale per il co-finanziamento di progetti per lo sviluppo della cittadinanza digitale il MIT, in collaborazione con i Centri Regionali di Competenza, fornì una serie di materiali, documenti e report di ricerca nei quali venivano indicate procedure standard da seguire nella stesura e nella progettazione degli interventi per la promozione della partecipazione attraverso le ICTs. I documenti ufficiali prodotti durante la fase di preparazione ed attuazione della quarta linea di azione furono: • il report di ricerca per la preparazione delle linee guida E-democracy: modelli e strumenti delle forme di partecipazione emergenti nel panorama italiano; • la pubblicazione delle Linee guida per la promozione della cittadinanza digitale: l'e-democracy; • e infine L’Avviso nazionale per il cofinanziamento a progetti per lo sviluppo della cittadinanza digitale; La fase preparatoria alla quarta linea di azione cominciò dunque con il report di ricerca pubblicato nel Febbraio del 2004 E-democracy: modelli e strumenti delle forme di partecipazione emergenti nel panorama italiano. Il report fu un’iniziativa editoriale realizzata nell’ambito del ProgettoCRC promosso e finanziato dal Dipartimento della Funzione Pubblica in intesa con il Ministero per l’Innovazione e le Tecnologie. La realizzazione del volume fu eseguita con la collaborazione del Dipartimento di Scienza della Politica e Sociologia (DISPO) dell’Università degli Studi di Firenze e del Dipartimento di Dipartimento di Informatica e Comunicazione dell’Università degli Studi di Milano (DICO). Nel documento l’attenzione era rivolta ai contributi che individuano le dimensioni principali di tali politiche in un’ottica globale, inquadrandole nel processo di costruzione di un modello di governance adeguata a gestire le sfide del processo di globalizzazione ai tradizionali modi operandi dei governi in contesti di democrazia rappresentativa (MIT-CRC 2003, p. 14) . Dal documento si apprende che la maggior parte dei contributi analizzati si collocavano sul tema della promozione della partecipazione dei cittadini ai processi democratici attraverso le ICTs nella più ampia cornice delle politiche per l’edemocracy in senso lato e che comprendevano principalmente tre categorie di interventi: a) una più mirata alla partecipazione elettorale (promozione del voto elettronico, pro mozione dell’uso dei nuovi media da parte del personale politico e delle organizzazioni di rappresentanza, promozione di arene di dibattito politico); b) 138 una seconda categoria che si concentrava sul rafforzamento della partecipazione dei cittadini attraverso le modalità tradizionali (rafforzamento di elementi/garanzie sostanziali tipici della democrazia rappresentativa); c) infine, un’ultima direzione orientata al rafforzamento di alcuni istituti di partecipazione (come per esempio le audizioni pubbliche o la rivitalizzazione delle strutture decentrate a livello submunicipale) e di promuovere nuove modalità di partecipazione dei cittadini e delle loro associazioni ai processi di definizione delle politiche pubbliche e alla loro valutazione (estensione degli ambiti della partecipazione dei cittadini ad integrazione del modello classico di democrazia rappresentativa) (MIT-CRC 2003, pp. 14-15). Inoltre, nel documento si evidenziano anche i principali elementi dello scarto fra la partecipazione dei cittadini e le istituzioni, causa di un deficit di consenso e di un indebolimento dell’azione politica delle istituzioni democratiche nei paesi a democrazia consolidata. Le principali cause evidenziate dal MIT-CRC sono: a) la scarsa fiducia nelle forme istituzionalizzate e negli attori che hanno tradizionalmente veicolato la partecipazione, intermediando la domanda politica; b) la difficoltà di adattamento della struttura della rappresentanza alla formazione sociale emergente, un problema quindi che tocca i fondamenti della relazione di rappresentanza; c) una domanda crescente e nuova da parte dei cittadini di poter valorizzare il proprio patrimonio di esperienze e competenze (MIT-CRC 2003, p. 16). Secondo il documento, in questo quadro si ampliavano il numero, la varietà e la tipologia dei soggetti coinvolti nei processi di governance, rendendo tali processi più trasparenti e rafforzandone le basi di consenso. In questo contesto, le ICTs potevano e possono dare un importante contributo, sia in termini di innovazione organizzativa e prestazioni amministrative (e-government), sia in termini di processi politici in senso proprio, quanto su processi di formazione della rappresentanza e delle decisioni politiche (e-democracy in senso lato) (MIT-CRC 2003, p. 18). L’e-democracy in senso specifico fu invece identificata dal MIT-CRC con la partecipazione diretta dei cittadini nel corso dei processi decisionali, partecipazione sostenuta dalle nuove tecnologie della comunicazione. Dall’analisi condotta dal MITCRC emergeva anche che la partecipazione ai processi decisionali doveva essere promossa e resa efficace se pensata come un processo che accompagnava il ciclo di vita delle politiche. Dal punto di vista della partecipazione dei cittadini e seguendo le direttive poste in essere dal MIT-CRC per partecipare al co-finanziamento, il ciclo di vita di una politica, inteso come processo di definizione e implementazione di una politica, comprendeva varie fasi: a) emersione e definizione dei problemi e dell’arena degli attori. In questa fase gli attori politici e sociali costruivano il primo frame concettuale di riferimento comune ed è anche la fase in cui si deve curare con particolare attenzione l’apertura della partecipazione a tutti i soggetti potenzialmente interessati e toccati dalla politica in discussione; b) individuazione delle soluzioni alternative. Questa fase presupponeva la disponibilità degli attori a dialogare senza preclusioni, facendo emergere i vincoli e le opportunità di ciascuna opzione alternativa; si tratta di una fase in cui sono messe alla prova fiducia e capacità di relazione fra gli attori; c) definizione delle soluzioni praticabili. In questa fase, attraverso il confronto fra 139 gli attori si riduceva la gamma delle opzioni a quelle operativamente praticabili, pur distinte secondo le diverse preferenze degli attori. Possono anche emergere soluzioni ibride, oppure radicalizzarsi scelte fra loro molto distanti. L’obiettivo di questa fase è arrivare a proposte solide, ben articolate e sviluppate; d) scelta dell’opzione preferita. La fase della decisione politica in senso stretto nel nostro ordinamento è prerogativa delle istituzioni rappresentative e degli organi esecutivi. I cittadini tuttavia, attraverso la loro partecipazione alle fasi precedenti, che può concludersi con la stesura di documenti, petizioni, e forme di consultazione, potevano comunque proporre i loro punti di vista alle assemblee deputate alle scelte finali (in sede deliberante); e) attuazione, implementazione, gestione, monitoraggio-valutazione. I cittadini potevano contribuire in modo significativo all’azione istituzionale anche nella fase dell’attuazione, implementazione, gestione, monitoraggio e valutazione delle politiche. Al di là del loro contributo in termini di collaborazione al miglioramento tecnico dei servizi i cittadini potevano esprimere il loro giudizio sull’efficacia delle politiche, prendendo parte alle attività di valutazione complessiva, formulando suggerimenti di tipo strategico sulla loro implementazione e gestione, ma anche essere parte attiva nella stessa gestione (MIT-CRC 2003, pp. 26-27). Il documento E-democracy: modelli e strumenti delle forme di partecipazione emergenti nel panorama italiano pone dunque un primo importante tassello di riferimento per tutti gli attori politici e sociali intenzionati a partecipare all’Avviso nazionale per il co-finanziamento di progetti per la quarta linea di azione. Il documento fu dunque uno strumento preliminare di tipo informativo che aveva come obiettivo la divulgazione di una cultura progettuale, da parte delle Regioni e degli enti locali, sul tema della democrazia e della cittadinanza elettronica. Come già precedentemente osservato, il primo passo ufficiale verso l’assegnazione di finanziamenti pubblici a progetti per l’e-democracy in Italia fu però la pubblicazione de L’Avviso nazionale per il co-finanziamento a progetti per lo sviluppo della cittadinanza digitale (e-democracy), il 13 Aprile 2004 con scadenza il 12 luglio 2004. I destinatari dell’azione erano Regioni, Province, Comuni, Unioni di Comuni, Comunità Montane e Isolane e altri enti locali e l’obiettivo era individuare - e cofinanziare - progetti che, attraverso l’utilizzo delle ICTs, avessero come fine la promozione della partecipazione dei cittadini alle attività delle pubbliche amministrazioni locali e ai loro processi decisionali, per migliorarne l’efficacia, l’efficienza e la condivisione. All’Avviso nazionale, con il fine di porre delle regole elementari di stesura dei progetti, il CNIPA, in collaborazione con i CRC e il Dipartimento della Funzione pubblica in intesa con il Ministero per l’innovazione e le Tecnologie145, allegò e pubblicò insieme all’Avviso le Linee guida per lo sviluppo della cittadinanza digitale: l'e-democracy. Il volume in generale si rivolgeva a tutti i decisori pubblici e agli amministratori locali che avevano intenzione di avviare progetti di sviluppo della cittadinanza digitale. 145 Anche nelle Linee guida hanno collaborato Dipartimento di Scienza della Politica e Sociologia (DISPO) dell’Università degli Studi di Firenze e del Dipartimento di Dipartimento di Informatica e Comunicazione dell’Università degli Studi di Milano (DICO). 140 Le linee guida, oltre a integrare una buona parte delle conclusioni concettuali già presentate nel documento E-democracy: modelli e strumenti delle forme di partecipazione emergenti nel panorama italiano, pose ulteriori importanti contenuti e orientamenti metodologici per la costruzione di progetti per l’e-democracy. Innanzitutto, le linee guida sottolineavano in modo chiaro che le ICTs non pretendevano di sostituire, ma servivano soprattutto a sostenere, rafforzare, estendere ed innovare gli ambiti e le modalità della partecipazione attivata attraverso i canali e le sedi tradizionali146. Di rovescio, attraverso la promozione della partecipazione dei cittadini attraverso le ICTs era invece possibile avvicinare e migliorare la relazione dei cittadini alla vita delle istituzioni, soprattutto per i soggetti tendenzialmente più distanti, per cultura o perché socialmente esclusi o a rischio di esclusione sociale. Infine, anche nel caso dell’e-democracy, come in quello dell’e-government, la sfida dell’adozione dell’ICTs riguardava soprattutto le culture organizzative147, amministrative e di governo (MIT-CRC 2004, pp. 16-17). Secondo le linee guida, per rispondere all’Avviso nazionale gli enti interessati al cofinanziamento progetti dovevano presentare: a) un’analisi del contesto di riferimento: essa doveva comprendere un quadro sulla diffusione delle ICTs nei territori interessati all’iniziativa (esempio postazione pubbliche ad accesso gratuito oppure postazioni presso strutture educative e culturali; un profilo socio-demografico dell’area interessata etc); b) definire e individuare una politica locale su cui intervenire: si dovevano rispettare tre requisiti formali di base come la centralità del tema per la comunità locale; la competenza decisionale e la responsabilità politica degli attori istituzionali coinvolti; la tempestività del coinvolgimento dei cittadini; c) i soggetti da coinvolgere: si dovevano aprire i processi decisionali fondando partnership istituzionali148 incentrate sui problemi concreti da affrontare, promuovendo la partecipazione di tutti i cittadini, valorizzando contributi, esperienze e saperi; d) esistenza e valorizzazione di esperienze pregresse: l’esistenza di una consuetudine 146 Anche l’OCSE nel documento Policy Brief: Engaging Citizens Online for Better Policy-making già precedentemente discusso chiarisce il ruolo della tecnologia, defininendola come un “elemento abilitante” e non come la soluzione del problema della partecipazione. Non è sufficiente aumentare la quantità e migliorare la qualità dell'informazione per favorire la partecipazione, ma bisogna puntare con politiche attive al coinvolgimento dei cittadini nel policy making. Le barriere contro una più ampia partecipazione on line dei cittadini nei processi decisionali sono culturali, organizzative e istituzionali-normative, non tecnologiche (OCSE 2003). 147 Su questi punti le linee guida riprendono i punti di Coleman e Gøtze specificati nel testo Bowling Together. Online Public Engagement in Policy Deliberation (Hansard Society 2001). Essi sono a) il coinvolgimento e la partecipazione dei cittadini non sono in contrasto con le istituzioni rappresentative, ma piuttosto indicano il percorso per la loro riqualificazione e il loro rafforzamento; b) l’alternativa al coinvolgimento del pubblico, non è un pubblico non coinvolto, ma un pubblico con una sua propria agenda e ostile verso un processo decisionale che appare ignorarla; il coinvolgimento dei cittadini costituisce un’occasione utile di apprendimento reciproco (mutual learning), in cui i rappresentanti possono calare le soluzioni politiche in contesti meno astratti e i cittadini possono acquisire una maggior consapevolezza della complessità e delle interdipendenze del policy-making; c) bisogna superare la dicotomia tra esperti e non-esperti, che individua il settore pubblico come sede dei primi e identifica i secondi con il pubblico generico, i cittadini. 148 Il partenariato pubblico nelle linee guida viene definito secondo criteri di prossimità territoriale (network territoriali), di scala di intervento (network dimensionale) di specificità nell’ambito di politica locale interessata (network tematici). 141 locale di dialogo e cooperazione fra associazioni dei cittadini e istituzioni rappresentava un elemento che poteva rafforzare la credibilità di proposte di intervento, si dovevano quindi indicare l’esistenza o meno di esperienze pregresse utili all’attuazione di un intervento di promozione della partecipazione in una determinata area; e) definizione di un percorso partecipativo: la partecipazione dei cittadini andava cercata oltre la semplice rilevazione delle opinione. Bisognava quindi indicare un percorso innovativo di partecipazione dei cittadini alle fasi del ciclo di vita di una politica pubblica che tenesse conto di specifiche dimensioni della partecipazione. Esse erano: la dimensione discorsiva, generativa e progettuale; la dimensione inclusiva; e infine la dimensione processuale; f) partecipazione online e offline: un progetto di sviluppo della cittadinanza digitale secondo le linee guida doveva riuscire a integrare sia i differenti settori coinvolti nel progetto, attivando processi cooperativi, sia la dimensione offline che quella online della partecipazione; g) preparare le organizzazioni coinvolte: nel progetto doveva essere incluso un piano di intervento per l’adattamento organizzativo, interno ed esterno, delle strutture degli Enti coinvolti; h) prevedere la promozione dell’iniziativa: bisognava includere uno sforzo costante e multicanale di promozione del progetto attuando un’ampia diffusione dell’informazione del progetto e rendendolo il più possibile visibile presso il sistema informativo locale (Uffici per le Relazioni con il Pubblico; Centri per l’impiego; Siti Web delle istituzioni e delle associazioni etc); i) predisporre modelli e metodologie di autovalutazione in itinere della partecipazione: si dovevano predisporre una serie di interventi di valutazione ed autoanalisi che tenessero conto di un numero cospicuo di variabili (MIT-CRC 2004, pp. 37-57). Inoltre bisognava specificare se l’ambito di intervento del progetto riguardasse un ciclo di vita completo di una specifica politica, oppure una o più fasi di un ciclo di vita di una o più politiche, l’individuazione dei partner e delle tecnologie più adeguate alla tipologia di ambito di intervento selezionato e di azione di governo prescelta I progetti dovevano garantire la più ampia partecipazione dei destinatari delle politiche implicate nel progetto. La scelta di partner poteva includere anche accordi con soggetti portatori di interessi collettivi, l’intento era quello di valorizzare i bacini di sapere ed esperienze significative rispetto all’ambito delle politiche locali oggetto del processo partecipativo149 e rafforzare la partecipazione dei soggetti tendenzialmente esclusi. In particolare, nelle linee guida venivano evidenziati anche i principali ostacoli alla realizzazione di progetti di e-democracy. Un primo ostacolo poteva essere rappresentato da una cultura di governo che tende a sottovalutare i vantaggi del coinvolgimento dei cittadini in quanto il personale politico è ancora poco consapevole delle opportunità offerte dalle nuove tecnologie per la partecipazione. Un ulteriore ostacolo invece si poteva trovare in una cultura organizzativa che tende a concentrare in uno specifico settore dell’amministrazione le funzioni di informazione e comunicazione con i cittadini, e di servizi tecnici-informatici e telematici e a ciò andavano aggiunti anche i deficit nella diffusione degli skills digitali. Anche una 149 L'Avviso nazionale per il co-finanziamento a progetti per lo sviluppo della cittadinanza digitale, Art. 5 (Partenariato), comma 3 142 debole responsabilizzazione degli attori pubblici poteva rappresentare un ostacolo, in quanto nelle esperienze di dialogo online gli attori pubblici sono assenti, o la loro presenza tende ad essere sporadica, in questo modo le opzioni dei cittadini non sono prese in considerazione, né sono fornite spiegazioni adeguate quando le proposte dei cittadini sono scartate. Le linee guida fornirono quindi una sorta di mappa degli ostacoli che andava dalla debole visibilità online delle iniziative all’insufficiente promozione sul territorio delle stesse iniziative le iniziative, fino a sottolineare che un debole intervento nell’ambito delle politiche per l’accesso (postazioni pubbliche, skills digitali, ecc.) potevano rendere vano l’intervento in materia di promozione della partecipazione attraverso le ICTs. Per ovviare a ciò, dal documento allegato all’Avviso nazionale si potevano apprendere anche delle indicazioni su come rimuovere determinati vincoli alla partecipazione dei cittadini online. Come ad esempio rendere disponibili strumenti sia di tipo low tech che high tech, oppure rendere necessariamente disponibili modalità d’uso di semplice comprensione, apprendimento e utilizzo. Inoltre, dalla linee guida si poteva apprendere che i processi partecipativi vanno attivati servendosi di un’ampia gamma di canali di comunicazione è quindi necessario fornire gratuitamente o a costi contenuti l’accesso ai servizi, garantendone l’assistenza all’utilizzo. Molto utile è anche l’incontro fra cittadini pionieri della partecipazione online e cittadini più scettici o distanti da questa modalità di partecipazione, indirizzando specifiche misure di promozione verso le persone più svantaggiate, con attenzione sia ai loro deficit individuali specifici (sensoriali, motori, cognitivi) e, quindi, alle risorse software e umane più adeguate per attenuarli, sia al contesto fisico in cui vivono e sviluppano le loro relazioni sociali. A partire da questi punti le linee guida fornivano un elenco di tecnologie150 per la partecipazione divise in tre differenti tipologie. Innanzitutto vi erano le Tecnologie per l’informazione. Dalle linee guida si legge: Essere (ben) informati è pre-condizione della partecipazione, ma una pura e semplice pubblicazione o distribuzione di informazioni tramite la rete non basta a qualificare un progetto di edemocracy […] è necessario stabilire come i cittadini possono, attraverso la rete, valorizzare l’informazione ricevuta […] abbiamo trovato stimolanti le esperienze che “invertono il senso” o “cambiano la direzione”, in cui i cittadini hanno la possibilità di fornire informazioni, invece che limitarsi a fruirne (MIT-CRC 2004, p. 65). Vi erano poi le Tecnologie per il dialogo che veinivano identificate in soluzioni capaci di sostenere il ruolo attivo-propositivo dei cittadini la rilevazione qualitativa di 150 Le tecnologie standard contemplate dalla linee guida erano: Newsletter, Forum, Mailing, Chat, Weblog, Domande in mailbox con risposte pubbliche, Cittadini come information e content provider, Consultazioni certificate su supporti e dispositivi elettronici. E' stato rilevato che gli Enti proponenti sono stati particolarmente creativi nel proporre nuove soluzione tecnologiche. Sono emerse, oltre a quelle standard proposte, altre soluzioni tecnologiche che in via generale contemplavano: Bacheche elettroniche, messaggistica telefonica, tv via cavo; Sistemi di voto elettronico, EVS e strumenti di navigazione vocale, Panel elettronico, Tavola rotonda virtuale, Knolwledge managment, TV digitale terrestre; Questionari e sondaggi via web e SMS. 143 opinioni ed esperienze. Si tratta di tecnologie in cui l’interazione tra cittadini e istituzioni avviene attraverso le applicazioni di rete basate sullo scambio di messaggi di testo, sia in modo asincrono (e-mail o partecipazione a forum on web) che sincrono (ad esempio, via chat), o attraverso applicazioni che combinano vari messaggi in thread di discussione (conversazioni) (MIT-CRC 2004, p. 66). Vi erano infine le Tecnologie per la consultazione ovvero soluzioni ed esperienze secondo cui, partendo da un insieme di opzioni pre-identificate si poteva “pesare” il consenso dei cittadini su tali opzioni. Tali soluzioni potevano variare e andare da software per il voto online, con cui è possibile per chiunque votare più volte, a “consultazioni certificate” che potevano dare garanzie, a diversi livelli, di autenticazione dei votanti e di unicità e segretezza del voto (MIT-CRC 2004). Con la pubblicazione dell’Avviso nazionale per il co-finanziamento a progetti per lo sviluppo della cittadinanza digitale si diede dunque l’avvio ufficiale alla quarta linea di Azione per l’e-government in Italia. Dopo la pubblicazione dell’Avviso nazionale furono 129 i progetti presentati, un risultato, a parere del CNIPA, insperato visto le modeste dimensioni economiche della IV linea di azione. Tra i mesi di Aprile e Luglio del 2004 furono selezionati 57 progetti sui 129 presentati. I progetti hanno avuto durata di 18 mesi e sono ufficialmente cominciati nel Gennaio del 2006. Vediamo ora quali sono le caratteristiche dei progetti co-finanziati. 3. I progetti co-finanziati: gli attori, le regole e i contenuti. I progetti co-finanziati dal CNIPA nel Luglio del 2004 avevano un valore complessivo di 27.000.000 milioni di euro e variavano da un costo minimo di 30.000 ad un costo massimo di 2.000.000 di euro. Tabella 5 - Dimensioni economiche dei progetti cofinanziati Valore complessivo dei progetti 27.000.000 Costo medio di progetto 480.000 Cofinanziamento medio 170.000 Co-finanziamento erogato dal CNIPA 9.500.000 Fonte: CNIPA 2006 Gli interventi della quarta linea di azione erano comunque interventi di scarsa e modesta entità, se si vanno a considerare le linee generali di azione della II fase151 e se si vanno a leggere le cifre spese per tutta la I fase il divario diventa ancora più evidente152. Un ulteriore apporto finanziario fu fornito da enti, organizzazioni e 151 Ci sono comuni che hanno usufruito di cofinanziamenti per una somma pari a 15.000,00 come il Comune di Rudiano, Progetto: Document@Rudiano, il centro di documentazione locale. 152 Furono selezionati 138 progetti per un valore complessivo dichiarato di € 425 milioni. 144 gruppi privati che avevano partecipato alla stesura del progetto e che nella quasi totalità dei casi riguardavano la gestione tecnica legata all’implementazione dei progetti. La distribuzione dei finanziamenti riuscì a coprire in maniera coerente quasi tutto il territorio nazionale, con un leggero accento sulle regioni del centro-nord. Le regioni con il maggior numero di progetti approvati furono il Lazio e la Lombardia alle quali andarono finanziamenti per sette progetti. Al Lazio andò anche il cofinanziamento totale più alto, circa 1.440.000 di euro, mentre alla Lombardia andarono sui sette progetti approvati 1.275.000 di euro. A seguire poi vi era il Piemonte con 5 progetti e 960.000 euro e la Sicilia con 5 progetti e 645.000 euro. Alla Toscana andarono 960.000 euro per 4 progetti, mentre il Veneto si aggiudicò in totale 555.000 di euro per 4 progetti153. Fu comunque il Centro Nord a ricevere la quota maggiore di co-finanziamento: 3.740.000 di euro, davanti al Nord Ovest con 2.650.000 di euro, al Sud e isole andarono 2.355.000 di euro mentre al Nord Est 775.000 di euro. Per quanto riguarda invece i progetti, il Centro Nord è davanti a tutti con 19 proposte approvate, più del Sud e isole 16 progetti, al Nord Ovest sono andati 15 progetti e al Nord Est 7 progetti. Tavola 3 – Distribuzione dei progetti per area geografica Fonte: CNIPA 2007 Ogni progetto cofinanziato è stato presentato da un Ente locale che ha assunto il ruolo di coordinatore; a questo Ente capofila si sono poi aggregati altri Enti locali, in qualità di partner, e soggetti portatori di interessi collettivi interessati alle diverse fasi del ciclo di vita delle politiche (stakeholders). 153 L’erogazione del cofinanziamento è stato diviso in tranche: il 30% del totale del cofinanziamento assegnato, successivamente al perfezionamento della convenzione con il CNIPA; il 50% ad avvenuta positiva valutazione dello stato di avanzamento dei lavori delle attività di progetto; il 20% al termine del progetto, ad avvenuta positiva valutazione e verifica dei risultati. 145 Grafico 1: Distribuzione dei cofinanziamenti per tipologia dell'Ente Fonte: CNIPA 2006 Dal grafico emerge chiaramente come più del 50% dei progetti co-finanziati sia andato ai Comuni, mentre Regioni e Province, messe insieme, si sono aggiudicati meno della metà delle risorse messe a disposizione dal Ministero. Il dato può essere ridimensionato se si tiene presente che nei progetti presentati per l’assegnazione del co-finanziamento era stata già rilevata un’elevata partecipazione dei Comuni. Un dato evidente è dunque la forte presenza dei Comuni tra gli enti coordinatori dei progetti, inoltre la metà dei Comuni coordinatori di progetti è rappresentata da piccoli Comuni. Un altro dato è quello relativo agli enti aggregati. Grafico 2: Enti aggregati Fonte: CNIPA 2006 Bisogna sottolineare che gli enti, anche quelli capofila, avevano la possibilità di partecipare a più progetti e che i comuni di piccole dimensioni (al di sotto dei 2000 abitanti) sono stati quelli con una maggiore percentuale di partecipazione ad altri progetti. Infatti, sui 400 enti che in diversa misura e con ruoli diversi hanno 146 partecipato all’assegnazione, solo 16 parteciparono a più progetti mentre gli enti che parteciparono a più progetti (al massimo a due) sono enti di grandi dimensioni: Regioni, Province, grandi Comuni. Come già costatato precedentemente, una delle finalità implicite al meccanismo del cofinanziamenti era quella di instaurare rapporti tra enti siano essi Comunità Montane, Comuni, Province o Regioni. Dalla lettura della Grafico 6 si può facilmente intuire come l’obiettivo di relazionare in maniera estesa territori, saperi, conoscenze informatiche etc. sia stato solo parzialmente raggiunto, in quanto la maggior parte dei progetti non è andata oltre la compartecipazione di 10 enti. A questo dato però fa da contrappeso l’elevata partecipazione di associazioni rappresentative della società civile, di associazioni di categoria, onlus, ong, circoli difficili da quantificare sia per l’elevato numero di attori coinvolti sia per la fase in progress della linea di azione che apre continuamente a nuove partecipazioni all’implementazione dei progetti. Infatti, secondo i dati CNIPA nei progetti furono coinvolte più di 450 fra associazioni di categoria, associazioni di cittadini e consumatori, onlus, ONG, CRI, sindacati, circoli, ACLI, ARCI, Unione Industriali, UIC, ordini professionali, pro loco, parrocchie, etc. Ci sono anche esempi di associazioni che parteciparono attivamente ai costi, sia in termini di risorse umane che di costi154. Inoltre, 30 progetti fecero ricorso a risorse economiche messe a disposizione da più di 70 sponsor privati155. Da notare come la prevalenza di questi sponsor fosse di natura strettamente tecnologica (fornitori di servizi ICTs). A differenza di quanto si poteva ipotizzare a priori, non solo i grandi progetti di importanti città o di primarie Amministrazioni regionali e/o provinciali hanno attirato attenzione degli sponsor ma anche alcune iniziative da realtà dimensionalmente medio-piccole hanno beneficiato dei contributi dei privati (CNIPA 2006). Un’altro dei punti di maggiore caratterizzazione nei progetti riguarda gli ambiti di intervento sui quali i progetti intendevano agire. In generale hanno riguardato l’ambiente e il territorio, l’urbanistica, i tributi, le tasse locali e la sanità ma le iniziative nel loro complesso presentavano gradi diversi di intervento e caratteristiche dissimili. Le diverse visioni, le differenti interpretazioni dovute alla genericità e alla natura stessa del cofinanziamento, l’elevata frammentarietà negli approcci al tema dell'e-democracy evidenziavano un mosaico di visioni e proposte di difficile ricomposizione. Infatti, i progetti co-finanziati ricoprivano molti ambiti delle politiche pubbliche locali, come i patti territoriali, l’urbanistica partecipata, la programmazione strategica dello sviluppo, le Agende 21 e i bilanci partecipativi. Essi restano comunque tutti nel campo della decisione pubblica con differenti distribuzioni nelle diverse fasi di vita di una politica pubblica locale. 154 Il CNIPA ha quantificato l’apporto economico delle diverse associazioni coinvolte in questo modo: Risorse umane: più di 45.000 gg/p di lavoro; Strumenti e infrastrutture: 11.000 €; Altri costi: 200.000 € (CNIPA 2006). 155 Il CNIPA ha quantificato l’apporto economico degli sponsor privati in questo modo: più di 3500 gg/p di lavoro; 380.000 € in strumenti ed infrastrutture; 230.000 € di altri contributi (sw, sviluppo etc) (CNIPA 2006). 147 Grafico 3 - La distribuzione dei progetti sulle politiche Fonte: CNIPA 2006 Abbiamo dunque un ventaglio molto ampio fatto di: • strumenti di programmazione settoriale specifica (es.: piano del traffico, piano dei tempi, piano dei rifiuti, contratti di fiume, programmi di riqualificazione urbana, ecc.); • strumenti di programmazione di valenza più generale e trasversale (es.: PSL piani di sviluppo locale, piani di sviluppo locale sostenibile, piani territoriale di coordinamento, piani strutturale, Agenda 21, piani sociali di zona; PILS - piani integrati di sviluppo locale, piani di sviluppo locale, patti territoriali, bilancio comunale, contratti di quartiere, ecc.); • interventi specifici inseriti in contesti più ampi di politica locale (es.: per la riqualificazione urbana e ambientale, per l'inclusione sociale dei soggetti svantaggiati, degli immigrati, per le pari opportunità, per la promozione culturale, consulte e osservatori sociali, città sostenibili delle bambine e dei bambini, etc.)156. Abbiamo quindi strumenti di programmazione che si differenziano nel campo di intervento e che caratterizzano la natura stessa del progetto. In generale possiamo dire che i progetti rispettavano due grandi linee di iniziative: interventi settoriali di promozione della partecipazione dei cittadini alle attività pubbliche e interventi intersettoriali che promuovo una partecipazione di più ampio respiro e che si muovono in maniera trasversale. 156 Cfr MIT-CRC E-democracy: modelli e strumenti delle forme di partecipazione emergenti nel panorama italiano, Roma 2003 148 Quasi il 40% dei 57 progetti co-finanziati ed esaminati funzionano da supporto a percorsi partecipativi già attuati sul campo. I progetti quindi hanno una elevata differenziazione dovuta alle diverse esperienze civiche. Abbiamo quindi contesti in cui percorsi partecipativi sono già stati avviati (Agenda 21 locali, Bilancio Partecipativo, Piano Regolatore Partecipato) e contesti dove mancano esperienze pregresse o che non entrano in rapporto con i progetti in questione 149 PARTE SECONDA POLICY 150 CAPITOLO 5 La politica europea per la democrazia e la cittadinanza elettronica Premessa Il lavoro finora svolto si è mosso dall’idea di voler analizzare le politiche pubbliche per la società dell’informazione a partire dai documenti ufficiali in cui sono state esposte esplicitamente le programmazioni e le linee di intervento europee in materia di ICTs. Un punto di partenza che ci ha permesso di riscrivere la breve storia delle policies per la società dell’informazione e delle relative politiche pubbliche per la democrazia e la cittadinanza elettronica, che in Europa – come nel resto del mondo hanno preso a svilupparsi a partire dalla metà degli anni ’90. L’idea di partire dai documenti ufficiali non è comunque una scelta metodologica fatta in relazione ad un approccio particolare o tipico dello studio delle politiche pubbliche, essa è piuttosto nata dall’esigenza di circoscrivere in un arco temporale e tematico preciso la varie policies relative alla società dell’informazione. A questo punto però è opportuno fare alcune considerazioni di carattere teorico con il fine di richiamare l’attenzione del lavoro su un elemento – o una serie di elementi - che nei policy studies rappresenta il codice genetico di ogni politica pubblica, quello relativo alla politics e alla sua definizione e formulazione. A partire dalla nota espressione Policy determines Politics, che negli ultimi anni ha caratterizzato gli studi sulle politiche pubbliche, in questo capitolo tracceremo le caratteristiche delle arene, degli attori e della dinamica relazionale nel quale si sono definite e costruite le policies per la democrazia e la cittadinanza elettronica e attraverso le quali è possibile ricavare la politics che negli ultimi anni ha fatto da sfondo agli interventi in materia di democrazia e cittadinanza elettronica. 1.Policy determines Politics Policy determines Politics è la famosa tesi di Theodor Lowi esposta nell’articolo Four Systems of Policy, Politics and Choice (1972). Inizialmente posta dallo stesso autore alla base dei meccanismi della politica, è oggi una delle intuizioni che più ha caratterizzato gli studi sulle politiche pubbliche. Prima di ripercorrere le implicazioni teoriche che caratterizzano la tipologia delle politiche pubbliche dello studioso americano è quantomeno opportuno riprendere le definizioni e chiarire cosa s’intende con i termini di policy e politics. Con il termine policy si fa riferimento alla capacità della politica di farsi governo, ovvero lo strumento per affrontare e risolvere concretamente problemi di rilevanza pubblica di una comunità. Le policies, ovvero le politiche pubbliche, costituiscono un insieme vasto e piuttosto eterogeneo di azioni, provvedimenti, decisioni: si va 151 dall’infinitamente piccolo, come ad esempio la volontà di un comune di organizzare al meglio la festa del santo patrono, all’infinitamente grande, come, ad esempio, l’intenzione da parte di un governo di riformare il sistema pensionistico o di modificare gli standard delle prestazioni sanitarie pubbliche (Capano 1996, Regonini 2001, Howlett e Ramesh 2003). Con il termine politics, invece, si fa riferimento a quello che tradizionalmente è stato lo studio della politica, vale a dire lo studio del potere, declinato in tutte le sue dimensioni (Lasswell e Kaplan 1950). A partire dall’antica Grecia, in ogni tempo ci si è interrogati sull’origine del potere politico, sulle basi della sua legittimità, su chi lo detiene e su chi lo debba esercitare. E non sorprende affatto che questa prima dimensione della politica abbia suscitato un vastissimo interesse nel corso dei secoli, in quanto ha riguardato un aspetto essenziale dell’esistenza di ciascun individuo: la possibilità di vivere con gli altri, in comunità, di essere animali compiutamente politici. Nelle ipotesi di Lowi vi è l’idea di base che ad ogni settore di policy corrisponda un diverso modo di policy making. Dietro ogni tipo di politica pubblica si sviluppano cioè specifiche relazioni politiche tra determinati attori e in determinate sedi istituzionali. Secondo Lowi abbiamo politiche di tipo distributivo, quando accordano autorizzazioni o allocazioni materiali a casi specifici e nominalmente designati; politiche di tipo redistributivo, quando accordano l’accesso a determinati vantaggi o risorse ad ampi gruppi sociali o categorie o classi di soggetti e, infine, politiche di regolamentazione, quando condizionano i comportamenti del soggetto destinatario mediante il ricorso a norme autoritative. Successivamente Lowi ha aggiunto un altro tipo di politiche, quelle costituenti (o costitutive), ovvero quando si stabilisce l’assetto normativo che disciplina le procedure per l’adozione delle decisioni pubbliche e codifica i rapporti tra i vari apparati del potere (Lowi 1972). Lowi partiva da un’assioma, poiché il contenuto di una politica - distributiva, di regolamentazione, redistributiva o costitutiva che sia - implica dei risultati particolari, ciò comporta inevitabilmente che le risposte delle persone colpite a loro volta hanno un impatto sul dibattito politico in termini di processo decisionale. Non sono dunque i risultati effettivi, ma la aspettative per quanto riguarda i risultati che possono diventare gli elementi di forma a determinare la politics. Questo comporta la costruzione di diversi tipi di arene che presentano particolari caratteristiche di conflitto o di consenso. Ad esempio, nelle arene distributive: […] vi sono un gran numero di gruppi di interessi, in un contesto relazionale di bassa conflittualità, dovuta non tanto al compromesso e alla negoziazione quanto, piuttosto, all’assoluta mancanza di confrontabilità tra gli interessi rappresentati. […] La sede privilegiata è quella di organismi ristretti come le commissioni parlamentari oppure le agenzie amministrative (Capano 1993, p. 554). In estrema sintesi, una politica che mira ad una redistribuzione ha ovviamente una disparità nella ripartizione dei costi e dei vantaggi e il tutto avverrà in uno scenario caratterizzato da conflitti. Per contro, una politica che cerca di offrire servizi o beni universalmente disponibili con poco chiare conseguenze sul piano della distribuzione 152 dei costi e dei benefici avverrà in uno scenario caratterizzato da conflitti non vincolati al processo di policy making e si relazionano sulla base della non interferenza reciproca (log-rolling157). Lo stesso vale per una regolamentazione politica che comprende un codice vincolante che non si traduca in benefici osservabili. Essa può comportare dei costi e dei benefici, ma sono difficili da calcolare o prevedere (Lowi 1972, Wilson 1980). Prima della classificazione proposta da Lowi, gran parte degli studi sulle politiche pubbliche erano fortemente influenzati dai lavori di Easton (1965). Il politologo canadese usava il modello cibernetico di autoregolazione per descrivere il funzionamento del sistema politico. La sua costruzione si basava su alcuni assunti fondamentali: sull’utilità, ai fini metodologici, di considerare la vita politica come un sistema di comportamento, sulla distinzione fra l’ambiente e il sistema politico, sulle risposte che le componenti di un sistema politico offrono per fronteggiare crisi esogene o endogene, sulla retroazione o feedback che permette al sistema di ricevere l’informazione dall’ambiente contenente gli esiti delle reazioni (Easton 1965). Il modello prevedeva un’interdipendenza tra sistemi diversi che convivono e interagiscono. Uno dei sistemi è quello politico. L’ambiente del sistema politico comprende tutti gli altri sistemi - sociale, economico, e così via - e da esso provengono gli stimoli - divisi in richieste e sostegni - definiti inputs, che devono essere elaborati e convertiti dal sistema politico in risposte (outputs), in provvedimenti che hanno l’obiettivo di soddisfare le richieste provenienti dall’ambiente e di mantenere dunque il sistema complessivo in relativo equilibrio. La performance degli outputs, ossia l’impatto, il rendimento è definita outcome, e il processo di retroazione che informa sugli errori e permette di correggerli è rappresentato dal feedback (Easton 1965). Nel trattare i criteri di identificazione di un sistema politico, Easton tracciò le premesse metodologiche per distinguere le interazioni del sistema politico da qualsiasi altro tipo di sistema (Easton 1965). Avvalendosi delle riflessioni semantiche sul sistema politico, Easton si spinse poi nelle classificazione dei sistemi politici e parapolitici, accentuandone le differenze e le similarità. Il lavoro di Lowi è andato oltre la categorizzazione e le assunzioni di Easton, e infatti, la rilevanza del policy determines politics nel campo dello studio delle politiche pubbliche è dunque dovuta proprio a questo tentativo di sviluppare un quadro di riferimento forte per la classificazione degli studi di caso (Benz 1997). L’interesse sul lavoro di Lowi si poggia però anche su un altro punto. Elaborando una tipologia che tenesse conto anche delle relazioni tra gli attori e le istituzioni, Lowi formulo una domanda precisa: da cosa dipende la Politics? Il dibattito accademico sulle tesi di Lowi ha comunque preso direzioni diverse. La tesi che sono le policy a determinare la politics è stata negli anni distinta dai tipi di politiche e vari tentativi di analisi e ricerca sono stati fatti per riferirsi ai settori delle politiche, come il mercato del lavoro, la pensione, l’ambiente, immigrazione. Un approccio che ha fornito diverse risposte alla domanda di come e perché siano le 157 Con il termine logrolling si fa riferimento allo scambio di favori, o quid pro quo, tra i membri per via legislativa con il fine di ottenere il passaggio a delle azioni di interesse per ogni singolo membro dell’assemblea legislativa. 153 politiche a determinare la politica ma che nella fattispecie non sembrano essere molto proficue sotto il profilo analitico, in quanto i diversi settori delle politiche hanno nelle diverse arene identici meccanismi conflittuali o consensuali a prescindere dai tipi di politica (Benz 1997). È lo stesso Lowi però sottolineare di non prendere in maniera eccessivamente schematica e rigida questa tipologia, in quanto una politica pubblica può avere caratteristiche trasversali rispetto alle categorie definite e, inoltre, sul lungo periodo tutte le politiche governative possono essere considerate redistributive o regolative. Quindi, ciò che Lowi ha offerto è stato uno strumento di microanalisi, vale a dire che cerca di spiegare e prevedere il motivo per cui un certo programma, caratterizzato da uno dei suddetti meccanismi della politica, sta portando a particolari processi politici (Windhoff Héritier 1983). A partire dalle considerazioni teoriche fatte in questo paragrafo, possiamo dunque affermare che tra le politiche contingenti (policies) e le strategie (politics) esiste e sussiste un rapporto deterministico, in quanto al crescere della complessità e della molteplicità degli attori organizzativi coinvolti diminuisce la capacità delle istituzioni democratiche di esercitare potere di indirizzo e controllo sugli infiniti sottosistemi che l’azione sociale genera (Lowi 1972, 1999). In questo senso, afferma Porro, la Grande Politica appare condannata a rincorrere le emergenze generando non solo gestione mirata al perseguimento di finalità circoscritte (goal oriented policies), bensì anche politiche consapevolmente orientate a valori (value oriented politics) (Porro 2005). Nel policy approach, e in particolare nei lavori di Lowi, uno dei concetti centrali è dunque quello di arena di potere. Esso assume una funzione fondamentale, in quanto, sono le regole, formali e informali, e le norme che determinano il corso di un processo decisionale pubblico di ogni singola arena. Sono le arene dunque a dover essere analizzati se si vuole rispondere alla domanda del perché sono consentiti processi politici con determinate caratteristiche. Riprendendo lo schema interpretativo di Lowi: Ci sono tre principali categorie di politiche pubbliche: distribuzione, regolazione e redistribuzione. Questi tre tipi sono storicamente e funzionalmente distinti […] Queste categorie non appartengono ad un mero proposito di semplificazione. Esse intendono corrispondere a fenomeni reali […] queste aree di politiche e/o di attività governativa costituiscono vere e proprie arene di potere. Ogni arena tende a sviluppare la propria caratteristica struttura politica, il suo processo politico, le sue élite e i suoi tipi di rapporti tra gruppi. Restano dunque da identificare queste arene, formulare ipotesi circa gli attributi di ognuna e verificare lo schema in base al numero di relazioni empiriche che è in grado di anticipare e spiegare (Lowi 1999, pp. 19-20). Come già accennato nel paragrafo precedente, Lowi ad ogni arena attribuisce un diverso sistema di relazione158, una diversa rete di attori, un diverso sfondo istituzionale verso il quale è possibile identificare e rapportare una diversa politics. 158 Su questo punto si rimanda alle conclusioni del presente lavoro di ricerca. 154 Tabella 7 - Arene e rapporti politici Arena Unità politica primaria Distribuzione Individuo, Impresa, Corporation Rapporti tra le unità Log-Rolling, reciproca non interferenza, assenza di interessi comuni Gruppo Coalizioni, concreti interessi condivisi, trattativa Pluralistica, policentrica, teoria dell'equilibrio Associazioni Incontri al vertice, classe, ideologia Elite conflittuale (élite e contro-élite) Regolazione Redistribuzione Struttra di potere Elite non conflittuale e gruppi di sostegno Stabilità della struttura Luogo decisionale primario Implementazione Stabile Commissioni del Congresso e/o agenzie Da agenzie centralizzate a uffici periferici Instabile Congresso nel suo ruolo classico Stabile Esecutivo e vertici associativi Agenzie decentralizzate, con poteri delegati al centro, controllo misto Agenzie centralizzate e vericalizzate, standard elaborati Fonte: Lowi 1999 Ai fini del lavoro di ricerca, abbiamo identificato nel Parlamento europeo (PE) e nelle commissioni parlamentari competenti in materia le arene verso il quale orientare le nostre ipotesi. A questo punto è quantomeno opportuno riprendere le regole di funzionamento di entrambe le arene. 2. Le arene e le regole: il parlamento europeo e le commissioni parlamentari Il PE è eletto dai cittadini dell’Unione europea, le sue origini risalgono agli anni ’50 ma è solo a partire dal 1979 che i suoi membri sono eletti direttamente dalla popolazione. Le elezioni si svolgono ogni cinque anni e tutti i cittadini hanno diritto di votare e di candidarsi. Il PE esprime pertanto la volontà democratica dei cittadini dell’Unione e ne rappresenta gli interessi interagendo con le altre istituzioni dell’Unione Europea. Insieme al Consiglio dell’Unione europea, il PE rappresenta una delle due camere che esercitano il potere legislativo nell’Unione159. Il Parlamento europeo e il Consiglio dei ministri approvano congiuntamente le leggi proposte dalla Commissione europea. Benché ufficialmente il potere di iniziativa legislativa spetti alla Commissione, il Parlamento europeo può però chiedere alla Commissione di presentare adeguate proposte legislative mediante raccomandazioni. In questo modo, il Parlamento può esercitare il suo potere politico di impulso legislativo. L’iniziativa legislativa, la discussione dei testi e l’approvazione 159 Attualmente Hans-Gert Pöttering è il presidente del Parlamento europeo, eletto nel 2007 manterrà questa carica fino alle elezioni del 2009. 155 di emendamenti spettano dunque al Consiglio. Il Parlamento si limita ad approvare il testo finale e chiedere di presentare una proposta di legge160. Le funzioni del PE sono sostanzialmente quattro: le funzioni legislative, relative alla preparazione e alla formazione della legislazione europea, incluse quelle relative al bilancio; le funzioni di controllo, relative all’esercizio del controllo politico del parlamento sulle altre istituzioni comunitarie; funzioni di nomina, relative al coinvolgimento del parlamento nell’insediamento delle altre istituzioni europee; funzioni di sviluppo istituzionale, relative alla partecipazione del PE allo sviluppo istituzionale della UE. L’attuale Parlamento è costituito da 785 membri provenienti dai 27 paesi dell’UE161. Tabella 6 - Numero di seggi per paese Austria Belgio Bulgaria Cipro Danimarca Estonia Finlandia Francia Germania Grecia Irlanda Italia Lettonia Lituania 18 24 18 6 14 6 14 78 99 24 13 78 9 13 Lussemburgo Malta Paesi Bassi Polonia Portogallo Regno Unito Repubblica ceca Romania Slovacchia Slovenia Spagna Svezia Ungheria Totale 6 5 27 54 24 78 24 35 14 7 54 19 24 785 Fonte: Parlamento Europeo 2007 I membri del Parlamento europeo non sono riuniti in base a schieramenti nazionali ma secondo sette gruppi politici paneuropei, che rappresentano, fra tutti, i diversi punti di vista sull’integrazione europea, da quello più fortemente federalista a quello apertamente euroscettico162. Il lavoro del PE si articola in due momenti istituzionali principali e sono la preparazione per la sessione plenaria, dove viene effettuata dai deputati nelle diverse commissioni parlamentari specializzate in particolari settori dell’attività dell’UE. I 160 In base al trattato di Maastricht il PE ha il potere di chiedere alla Commissione, sulla base di una relazione della commissione parlamentare competente, di preparare un testo legislativo su una determinata questione (art.192 Trattato CE) 161 A partire dalla prossima legislatura 2009/2014 il numero degli europarlamentari non dovrà essere superiore a 736. Attualmente i membri del parlamento sono 785 – superando il massimale di 736 - solo in considerazione del fatto che Bulgaria e Romania hanno aderito all’UE nel corso della legislatura 2004-2009. 162 Sulle caratteristiche e le differenze dei gruppi politici del Parlamento europeo si rimanda al prossimo paragrafo. 156 temi da dibattere vengono anche discussi dai gruppi politici e nelle sessioni plenarie, seguite da tutti i deputati dove il PE esamina la legislazione proposta e vota gli emendamenti prima di giungere a una decisione sul testo complessivo. Le commissioni parlamentari sono state in essere dal Parlamento europeo al fine di predisporre i lavori in seduta plenaria. I lavori legislativi più importanti del Parlamento sono svolti proprio nell’ambito delle commissioni parlamentari. All’inizio e poi a metà legislatura, i deputati europei, membri di ciascuna commissione, sono eletti in funzione della loro appartenenza politica ed esperienza. Il principale compito delle commissioni permanenti è di dibattere in merito alle proposte di nuove disposizioni legislative trasmesse dalla Commissione europea e di predisporre rapporti di iniziativa. Per ogni proposta legislativa o di iniziativa è designato un relatore sulla base di un accordo tra i gruppi politici che compongono il Parlamento. La sua relazione è discussa, emendata e votata in seno alla commissione parlamentare e, successivamente, è trasmessa all'assemblea plenaria, che si riunisce una volta al mese a Strasburgo per dibattere e votare sulla base della relazione. Le commissioni permanenti competenti in materia di ICTs sono: la commissione industria, ricerca e energia, la commissione per la cultura e l’istruzione e infine la commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni. La Commissione industria, ricerca e energia (ITRE) ha diverse competenze163, nel campo delle ICTs essa si occupa in particolare dell’applicazione delle nuove tecnologie nel campo della politica industriale ed ha una competenza specifica sulla società dell’informazione e sulle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, compresi la creazione e lo sviluppo di reti transeuropee nel settore delle infrastrutture delle telecomunicazioni164. La commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni (LIBE) è competente per diverse funzioni. In generale si occupa dei diritti dei cittadini, dei diritti dell’uomo e dei diritti fondamentali, nello specifico per quanto riguarda le ICTs la competenza è rivolta alla legislazione relativa alla trasparenza e alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali. Uno degli interlocutori fondamentali per il LIBE in materia di ICTs e protezioni dei dati è l’European Data Protection Supervisor che si occupa di segnalare alla commissione competente le problematiche legislative e i fenomeni legati alla circolazione dei dati e delle informazioni sulle persone. Infine, vi è la commissione per la cultura e l’istruzione (CULT). Le competenze di questa commissione vanno dagli aspetti culturali dell’Unione europea ed in particolare, al miglioramento della conoscenza e della diffusione della cultura e alla 163 Tra le aree di policy della commissione industria, energia e ricerca vi sono temi come la politica delle PMI e quella industriale; la promozione dell’imprenditorialità, dell’artigianato e dell’economia sociale; il turismo; la responsabilità sociale delle imprese; le politiche di regolamentazione del mercato unico; la libera circolazione delle merci; una migliore regolamentazione e riduzione della burocrazia; la politica industriale per lo sviluppo sostenibile; l’elaborazione e l’attuazione di una politica spaziale europea; e, infine, le ICTs per la competitività e l’innovazione. 164 Dagli obiettivi della Commissione si apprende che le ICTs sono uno degli elementi più importanti nel campo della produzione, del lavoro, dei metodi per le attività e per gli scambi commerciali e nei modelli di consumo tra le imprese e i consumatori. 157 protezione e alla promozione della diversità culturale e linguistica, fino alla politica nel campo dell’istruzione. Per quanto riguarda la società dell’informazione, le competenze della commissione cultura e istruzione sono rivolti agli aspetti educativi della società dell’informazione e dunque alla politica dell’informazione e dei media, vecchi e nuovi che siano. 3. Gli attori: i gruppi politici, i partiti e i gruppi di interesse Dopo aver identificato nel Parlamento europeo e nelle commissioni competenti le arene verso le quali orientare le nostre ipotesi di ricerca bisogna ora indicare quali sono gli attori e i soggetti politici che, all’interno delle arene, partecipano nella fattispecie al processo di policy making. L’individuazione e lo studio degli attori e dei soggetti politici che contribuiscono alla definizione di una politica pubblica, permettono il riconoscimento dei poteri, delle organizzazioni e degli interessi coinvolti nelle varie fasi di una politica (iniziativa, formulazione, implementazione, monitoraggio). Identificare le categorie di attori più rilevanti in un dato processo di policy significa dunque verificare chi davvero ha ricoperto ruoli significativi nella fitta trama di consultazioni, pressioni, negoziazioni, conflitti, boicottaggi che accompagnano la produzione di una politica pubblica. In questa fitta trama rientrano una serie di categorie che possono essere raggruppate in due grandi gruppi o classi: basate sulla prevalenza e quelle basate sulla relazione (Regonini 2001, pp. 316-317). I primo modelli, quello basato sulla prevalenza, si reggono sulla possibilità di indicare una categoria dominante di policy makers, sia essa costituita da politici, con le organizzazione degli interessi, o la burocrazia, nel secondo gruppo, l’obiettivo è invece quello di ricostruire il reticolo di rapporti che controlla lo sviluppo di una politica. I primi rappresentano l’anello di congiunzione con le classiche categorie dell’analisi politologica, le seconde hanno invece un’origine autoctona, essendo nate proprio per spiegare specifiche vicende di policy. Mentre i modelli basati sulla prevalenza ci danno rappresentazioni delle varie categorie di attori per quadri distinti – partiti, gruppi di interesse etc – quelli basati sulla relazione sottolineano invece le interazioni, la coevoluzione, la bi direzionalità di tutti i flussi di influenza (Ripley e Franklin 1984). I modelli basati sulla relazione partono da un semplice presupposto indicato da Scharpf circa la definizione e l’implementazione delle politiche pubbliche. Secondo Scharpf (1978), è impossibile che una politica pubblica possa essere il risultato di una singola categoria di attori, essa è per forza di cose il risultato di una serie di dibattiti, di incontri, di assemblee e quindi di interazioni tra una pluralità di soggetti, attori o gruppi politici dotati di precisi interessi, obiettivi o strategie. Nelle policies per la società dell’informazione il pulviscolo di relazioni alla base del policy making appare meno complesso di altri settori delle politiche pubbliche, come ad esempio le politiche per la tassazione o quelle relative al sistema pensionistico. Nella fattispecie però esse sono il risultato di un processo interattivo che ne rende complessa la classificazione e la tipologia. Quindi, prima di passare alla dinamica relazionale e interattiva del processo di policy making è quantomeno opportuno 158 indicare quali sono gli attori e soffermarsi sulla loro composizione. Il Parlamento europeo è diviso in gruppi politici e il numero minimo di deputati richiesto per costituire un gruppo politico è fissato in 20 deputati, provenienti da almeno 6 Stati membri. I membri non sono riuniti in base a schieramenti nazionali ma secondo sette gruppi politici paneuropei, che rappresentano, fra tutti, i diversi punti di vista sull’integrazione europea, da quello più fortemente federalista a quello apertamente euroscettico. Un deputato non può aderire a più gruppi politici e coloro che non appartengono a nessun gruppo politico vengono collocatoi tra i non iscritti. I gruppi politici provvedono alla loro organizzazione interna ed eleggono un presidente - o due co-presidenti nel caso di alcuni gruppi - e un ufficio di presidenza, dotandosi altresì di una segreteria. Attualmente al Parlamento europeo esistono sette gruppi politici. Nei vari gruppi confluiscono oltre cento partiti politici nazionali. Molti gruppi politici sono legati a partiti organizzati a livello europeo, riconosciuti dal Trattato in quanto fattori di integrazione che "contribuiscono a formare una coscienza europea e ad esprimere la volontà politica dei cittadini dell'Unione. Tabella 7 - Numero di seggi per gruppo politico, aggiornato al 1º settembre 2007 Gruppo politico Sigla Numero di seggi PPE-DE 278 Gruppo del Partito popolare europeo (Democraticicristiani) e dei Democratici europei Gruppo socialista Gruppo dell'Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l'Europa Unione per l'Europa delle nazioni Gruppo Verde/Alleanza libera europea Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica PSE ALDE 216 104 UEN Verdi/ALE GUE/NGL 44 42 41 Gruppo Indipendenza/Democrazia IND/DEM 24 ITS NI 23 13 Gruppo Identità, Tradizione, Sovranità Membri non iscritti e posti temporaneamente vacanti TOTALE 785 Fonte: Parlamento europeo 2008 Tra gli oltre cento partiti afferenti ai diversi gruppi vale la pena elencare quelli più rappresentativi. Vi è innanzitutto il Partito Popolare Europeo (PPE), il maggiore partito politico europeo, formato sostanzialmente da partiti nazionali di matrice democristiana165. Durante gli anni ‘90 il Partito Popolare Europeo si è aperto a partiti di ispirazione 165 Con 69 partiti membri di 37 nazioni diverse, 16 capi di governi nazionali (di cui 10 dell'UE e 6 extra-UE), 9 membri della Commissione Europea (incluso il Presidente) e il più grande gruppo (il PPE-DE che conta 264 membri) nel Parlamento Europeo, il PPE è il principale partito europeo. 159 liberale e conservatrice. Recentemente si è alleato con i Democratici Europei, raggruppamento conservatore animato dal Partito Conservatore britannico, dando vita al gruppo parlamentare del Partito Popolare Europeo - Democratici Europei (PPE-DE). Oggi il PPE si autodefinisce come un partito di centro-destra. Il Partito del Socialismo Europeo (PSE) è invece un partito politico formato da 33 partiti membri e da altri partiti associati appartenenti agli stati dell’Unione Europea e di altre nazioni europee di ispirazione socialdemocratica e laburista. Con circa 200 membri, il Gruppo Socialista del PSE è il secondo gruppo più consistente del Parlamento europeo. Abbiamo poi il Partito Europeo dei Liberali, Democratici e Riformatori (ELDR)166. L’ELDR è un partito politico europeo con ben 49 partiti nazionali che fanno riferimento a comuni ideali liberali, democratici e riformatori. Come partito l’ELDR nacque da una confederazione di partiti politici nazionali esso è oggi un partito politico riconosciuto e incluso come un’associazione no-profit sotto la legislazione belga. L'ELDR è il terzo più grande partito politico167 Di natura centrista è invece il Partito Democratico Europeo (PDE) che riunisce esponenti politici provenienti dall’area del cristianesimo sociale, della socialdemocrazia e del liberalismo sociale. I deputati del PDE fanno parte del gruppo dell’Alleanza dei Democratici e Liberali per l’Europa (ALDE/ADLE), insieme a quelli del Partito Europeo dei Liberali, Democratici e Riformatori (ELDR). Vi è inoltre, il Partito Verde Europeo (PVE), un partito politico di stampo ecologista. Vi aderiscono 32 esponenti politici verdi di tutta Europa con un programma che punta sulle politiche verdi, come le fonti di energia rinnovabili, la salvaguardia dell’ambiente e dei consumatori, e la tutela delle donne. I membri del PVE sono distinti dalla cosiddetta sinistra verde nordica, che include partiti rossoverdi dei Paesi del Nord Europa. I Verdi Europei hanno stretto un’intesa con i partiti regionalisti e nazionalisti dell’Alleanza Libera Europea, costituendo nel Parlamento europeo un unico gruppo parlamentare denominato Verdi Europei - Alleanza Libera Europea. L'Alleanza Libera Europea (ALE), noto anche come Partito Democratico dei Popoli Europei è invece un partito che raggruppa diversi movimenti che sostengono la politica dell’indipendentismo o simili forme di federalismo o di autogoverno per la propria regione. Il Partito della Sinistra Europea (SE), nata come un’associazione di partiti politici socialisti, verdi e comunisti dell’Europa intera, è stato costituito a gennaio del 2004 con l’obiettivo di presentarsi alle successive elezioni europee. Il Partito della Sinistra Europea non deve essere confuso la Sinistra Unitaria Europea - Sinistra Verde Nordica (GUE-NGL), che è il gruppo parlamentare al Parlamento europeo di cui fa parte essa stessa. 166 Il partito è rappresentato politicamente al Parlamento europeo nel gruppo dell'Alleanza dei Liberali e Democratici per l'Europa (ALDE), costituito insieme ai centristi del Partito Democratico Europeo, guidato dal liberaldemocratico britannico Graham Watson. Aderisce all'Internazionale Liberale. 167 L’ELDR è rappresentato con 62 europarlamentari e 8 membri della Commissione Europea. 160 Vi è poi infine il partito dell'Alleanza dei Democratici Indipendenti in Europa (ADIE) un partito politico europeo fondato nel 2005 per raggruppare eurodeputati e movimenti politici indipendentisti di 7 Stati membri168. Oltre ai gruppi parlamentari e ai partiti politici europei, seguendo la tipologia proposta da Truman (1951), al processo di policy making partecipano anche i gruppi di interesse privati, che nel nostro caso possono essere identificati in aziende, grandi imprese e corporation private. Infatti, le politiche per la società dell’informazione, come abbiamo visto nei capitoli precedenti, sono fortemente legate al mercato e all’industria tecnologica, e i gruppi di interesse privati possono dimostrarsi un attore chiave se si vogliono comprendere i processi di formazione di una determinata policy. Bisogna comunque sottolineare che un gruppo di interesse è per definizione un insieme di individui con interessi comuni, in grado di coordinarsi per costituire un’effettiva organizzazione se e quando le circostanze lo richiedono. Una categoria che, secondo Lowi (1971), è più utile quando rimane allo stato nascente che quando si traduce in solide organizzazioni. Sotto il profilo analitico, suggerisce Sartori (1971), prendere in considerazione i gruppi di interesse non fornisce comunque quella definizione empirica che ne permetterebbe la sua falsificazione, esso è più un orientamento che aiuta ad identificare quali proprietà dell’interazione andare a studiare169. Ai fini del lavoro di analisi è giusto quindi considerare i gruppi di interesse come degli attori inclusi nel processo di policy making delle politiche della società dell’informazione. Nel prossimo paragrafo ci soffermeremo sulla dinamica che fa da sfondo sia alle arene che agli attori finora presentati. In particolare ci soffermeremo sulle sessioni plenarie della V e della VI legislatura, periodo che coincide con la strutturazione dei primi interventi in materia di società dell’informazione e con le prima pratiche di partecipazione della cittadinanza ai processi decisionali attraverso le ICTs. 4. Il processo decisionale: le sedute plenarie della V e della VI Legislatura Ai fini della ricerca si è ritenuto opportuno concentrarsi sulle sessioni plenarie della V (1999/2004) e la VI (2004/2009) legislatura del Parlamento europeo. La procedura che ha portato alla scelta delle due legislature è stata fatta sulla base del periodo, in quanto – come abbiamo sottolineato nei capitoli precedenti – gran parte degli interventi e delle programmazioni nazionali e sovranazionali sono state avviate 168 In seguito al No espresso, tramite referendum, da Francia e Paesi Bassi all'’attuazione della Costituzione Europea, i membri fondatori dell'ADIE hanno deciso di dotarsi di una struttura di cooperazione di scambio autonoma. 169 È curioso notare come il Parlamento europeo, a causa dei numerosi contatti con i gruppi d’interesse, si sia dovuto dotare di un codice di condotta ad essi destinato. I Questori hanno infatti il compito di concedere pass nominativi della validità massima di un anno, a quanti desiderino avere frequentemente accesso ai locali del Parlamento allo scopo di fornire informazioni, nell'interesse proprio o di terzi, ai deputati nel quadro del loro mandato parlamentare. 161 intorno alla fine degli anni ’90170. Inoltre, si è preferito procedere su entrambe le legislature giacché entrambe sono state caratterizzate da processi di allargamento e da una progressiva inclusione di nuovi paesi all’interno dell’Unione171. Le sessioni plenarie vengono svolte tutti i mesi fatta eccezione per il mese agosto. I lavori della seduta plenaria si concentrano principalmente sulle discussioni e sulle votazioni dei testi presentati al Parlamento europeo. Prima di essere posti in votazione, una testo è dunque oggetto di una discussione durante la quale si esprimono la Commissione, i rappresentanti dei gruppi politici e i deputati. Gli unici testi che diventano ufficialmente atti del PE sono quelli obbligatoriamente discussi e votati dalla maggioranza. Il quorum per votare è raggiunto qualora un terzo dei deputati sia presente nell'emiciclo. Se il presidente, su domanda di almeno quaranta deputati, constata che il quorum non è stato raggiunto, la votazione è rinviata alla seduta successiva. I testi che vengono discussi si suddividono in diversi tipi a seconda dell’argomento trattato e della procedura legislativa scelta. Essi sono: le relazioni legislative ovvero i testi esaminati dal Parlamento nell’ambito delle diverse procedure legislative comunitarie, ovvero la codecisione, il parere conforme e la consultazione; la procedura di bilancio, in quanto il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione europea rappresentano l’autorità di bilancio dell’Unione europea, la quale fissa, per ciascun esercizio, le spese e le entrate dell'’Unione; infine abbiamo le relazioni non legislative, esse sono elaborate in seno alla commissione parlamentare competente e mediante l’approvazione di tali testi, il Parlamento interpella le altre istituzioni e organi europei, i governi nazionali, nonché i paesi terzi al fine di richiamare l’attenzione su un particolare argomento e suscitare una loro reazione. Sebbene non abbiano un valore legislativo, tali iniziative si basano comunque su una legittimità parlamentare volta a indurre la Commissione a formulare proposte172. Il lavoro di analisi che segue si concentra su questa ultima tipologia di relazioni, quelle non legislative, in quanto l’iter procedurale contempla tanto le commissioni competenti in materia di ICTs quanto i singoli deputati dei diversi gruppi politici europei. Le sessioni plenarie sono state selezionate sulla base dell’oggetto delle relazioni presentate e discusse dal PE. Più precisamente, ci si è concentrati sui testi delle relazioni che avevano come oggetto di discussione, o voto, temi quali la società dell’informazione o gli sviluppi di pratiche e interventi tesi a implementare policies per lo sviluppo delle ICTs in Europa. Bisogna comunque sottolineare che le procedure di una plenaria contemplano diversi ed altri momenti, come ad esempio le interrogazioni, le proposte di 170 In particolare si veda il par. 3 del Cap. 4. Il 1° maggio 2004 l'Unione europea ha accolto in un colpo solo dieci nuovi membri: Repubblica Ceca, Estonia, Cipro, Lettonia, Lituania, Ungheria, Malta, Polonia, Slovenia e Slovacchia. Questo evento storico é avvenuto appena un anno dopo il via libera all'ingresso di questi paesi concesso dal Parlamento europeo, permettendo così ai Parlamenti nazionali di tutti i 25 Stati membri di ratificare l'adesione. 172 Per approfondimenti si veda il Regolamento del Parlamento europeo reperibile al sito: www.europarl.europa.eu 171 162 risoluzione o i processi verbali ma il fine del lavoro che segue è identificare la struttura di relazione che vi è alla base del processo decisionale. 4.1 Le sessioni plenarie della V Legislatura (1999/2004): verso una strategia di sviluppo inclusiva e condivisa Una delle prime sessione plenarie sul tema della società dell’informazione effettuate nella V legislatura è datata 16 Maggio 2000. La relazione fu presentata dall’onorevole Read (PSE) a nome della Commissione per l’industria, la ricerca e l’energia, su una comunicazione concernente un’iniziativa della Commissione per il Consiglio europeo straordinario di Lisbona dei giorni 23 e 24 marzo 2000 - eEuropa - Una società dell’informazione per tutti (COM(1999) 687 – 2000/2034(COS)) già precedentemente discussa. Nella relazione si ponevano gli obiettivi e i tempi destinati a far avanzare al meglio la società dell'informazione in Europa seguendo in via prioritaria alcuni aspetti fondamentali, come ad esempio l’esigenza di un’infrastruttura moderna e multimediale ad alto rendimento, oppure la creazione di condizioni giuridiche per la certezza del diritto nel commercio elettronico. Inoltre, secondo la commissione industria, ricerca e energia, l’iniziativa eEurope173 doveva essere accompagnata da una campagna pubblicitaria ed informativa di ampio respiro e a livello europeo, destinata ad informare i cittadini europei, di entrambi i sessi, in merito all’utilizzo delle moderne tecnologie di informazione e comunicazione e, soprattutto, a mettere in evidenza le grandi possibilità connesse al commercio elettronico. Brevemente, occorreva promuovere lo sviluppo dell’Europa verso la società dell’informazione attraverso progetti concreti e a tal fine occorreva prevedere risorse adeguate nelle linee di bilancio. Dalla presentazione della relazione fatta dall’onorevole Read si posero alcuni punti sostanziali ma con esplicito riferimento alla questione sociale relativa allo sviluppo della società dell’informazione: Le proposte della Commissione e la risposta del Parlamento riconoscono chiaramente che il mercato può e deve essere il motore di questo mutamento, anche se non in tutti i casi. Si tratta di capire quando l’Unione europea deve permettere al mercato di assumere il ruolo guida e quando invece deve intervenire e regolamentare, specificando in quali casi agire, nell'interesse di chi e per quanto tempo (Read (PSE) 2000). In Europa, già da qualche anno, vi era una rilevante corsa alla liberalizzazione del mercato delle telecomunicazioni. Già nel Libro Bianco di Delors, il mercato era indicato come volano per le politiche orientate a costruire una società dell’informazione in Europa174. Le preoccupazioni in seno a gran parte dei governi nazionali circa il fenomeno del Digital Divide fece nascere il bisogno di una riorganizzazione delle politiche per la società dell’informazione e in vista del Consiglio di Lisbona il PE, attraverso la 173 174 Si veda il par. 3 del Cap. 3. Si veda il par. 1 del Cap. 3. 163 relazione presentata dall’onorevole Imelda Mary Read, mette dunque in discussione il ruolo strategico del mercato in seno alle policies per la società dell’informazione. Dalla relazione infatti si apprende che: La nostra relazione menziona questioni relative alla tutela sociale e alle implicazioni sociali del mutamento […] riguardano i diritti dei disabili; mi sono ripetutamente consultata sulla necessità di garantire che alcuni principi fondamentali dei diritti degli utenti disabili e dei disabili sul posto di lavoro vengano presto incorporati sia in questa relazione sia, spero, nella legislazione futura, nell'ambito della revisione del 1999 della legislazione sulle telecomunicazioni […] Particolare importanza avranno le conseguenze occupazionali già prese in considerazione: a questo proposito ho cercato di raggiungere, per quanto possibile, un equilibrio fra una posizione eccessivamente allarmistica perché è ovvio che alcuni di questi mutamenti produrranno disoccupazione e le nuove opportunità di lavoro che essi favoriranno. (Read (PSE) 2000). Il Partito Socialista Europeo, rappresentati in plenaria proprio dall’onorevole Read, sin dal principio della legislatura si dichiarò dunque apertamente favorevole ad una revisione della legislazione in materia di telecomunicazione, troppo rivolta ad un modello di tipo competitivo e poco incline a sviluppare una strategia inclusiva che tenesse conto degli strati più esclusi in un sistema di tipo informazionale. In vista del consiglio di Lisbona, per il PSE era dunque quantomeno opportuno adottare una visione che tenesse conto del grado di esclusività insito in una società altamente informatizzata. Tuttavia un altro membro del PSE, l’onorevole Cercas, sottolineò alcuni limiti della relazione: Non si capisce bene in che modo si dividano le responsabilità tra governi e Commissione, né quale ruolo svolgano i sindacati nella società civile. Vogliamo quindi che siano prese in considerazione analisi complementari e che si prendano impegni più concreti, che vi sia un punto specifico sul quale si rafforzi l’occupazione e la coesione sociale nella società dell’informazione - visto che non esiste niente al riguardo nella comunicazione della Commissione - e che vi sia una strategia con chiare direttrici, raccomandazioni ed indicatori (Cercas (PSE) 2000). Ci si interroga quindi sul ruolo dei sindacati e della società civile e sulle responsabilità che gli attori istituzionali dovevano assumersi nel processo di informatizzazione della società europea. Si richiedevano chiari linee programmatiche e interventi precisi capaci di accompagnare l’implementazione della società dell’informazione. Dalla discussione in plenaria emerse comunque un sostanziale accordo e una risposta favorevole alla relazione della commissione industria, ricerca e energia, anche se con qualche distinguo sui punti relativi alle direttive da seguire. Come ad esempio, il PPE-DE che, attraverso l’onorevole Niebler, espresse la propria posizione come gruppo politico sostenendo: È fuori discussione che le nuove tecnologie porteranno profondi cambiamenti, non solo nel mondo del lavoro, ma in tutti gli aspetti della vita della società. È anche vero che la transizione dalla società industriale alla società dell'informazione non può essere arrestata; politicamente è quindi giusto preparare l’Europa alla società dell’informazione (Niebler (PPE_DE) 2000). 164 Per il PPE-DE era fuori di ogni dubbio sostenere che la società dell’informazione dovesse fare il suo corso ma le preoccupazioni circa il ruolo inclusivo che l’Europa doveva assumere espresse dal PSE mancavano di una chiara strategia. L’onorevole Thors dell’ELDR espresse la posizione del proprio gruppo parlamentare sottolineando che: […] questa iniziativa è importante per rendere ogni autorità preposta a decidere più consapevole dell'evoluzione in atto, ma anche del fatto che essa ha raggiunto in Europa livelli molto diversi. Ce ne rendiamo conto anche in base al documento di monitoraggio approntato dalla Commissione. L'iniziativa è essenziale perché si smetta di dire che gli Stati Uniti sono al primo posto in questo ambito […] inoltre tenuto in considerazione che i paesi dell'Unione europea sono molto diversi fra loro e che l'evoluzione è molto rapida. Ciò deve trovare un riscontro nel programma d'azione. E' inoltre importante che i paesi più avanzati non si vedano intralciati nel loro sviluppo. E' essenziale chiarire che cosa venga fatto a livello di Unione europea e che cosa venga fatto con fondi comunitari, ma occorre anche essere pronti a modificare la politica regionale e a convogliare una parte dei fondi di ricerca verso l'eEurope. (Thors (ELDR) 2000). Appare evidente dunque che a ridosso del Consiglio di Lisbona tra i gruppi politici del Parlamento europeo vi era un sostanziale accordo sulle linee di policy dettate dai membri del consiglio e relazionate dalla commissione competente attraverso l’onorevole Read. In effetti, dalla discussione in plenaria furono esplicitate ulteriori preoccupazioni su temi relativi alla sviluppo della società dell’informazione. Come ad esempio i rischi dovuti alla sorveglianza elettronica: Quello di cui abbiamo davvero bisogno è un modello di tutela universale dei dati. Invece, la Commissione e parti del Parlamento europeo propongono una smart card, una carta nella quale sarebbero registrati tutti i dati. Il sistema sanitario sarebbe quindi a conoscenza delle vostre tendenze omosessuali, il vostro datore di lavoro sarebbe sempre informato sulle malattie avute da voi in passato, su quelle che probabilmente vi colpiranno in futuro ed anche sulla storia medica della vostra famiglia. Significherebbe fare un passo in più in direzione dell'uomo di vetro, cioè verso una sempre maggiore ingerenza dello Stato nella sfera privata. Con questa misura si pianifica deliberatamente un'ulteriore importante riduzione dei diritti fondamentali, e la si applica a livello europeo (Schröder, Ilka (Verts/ALE) 2000). Oppure alla mancata regolamentazione del commercio elettronico: Inoltre, alla luce del diverso grado di sviluppo dei vari Stati, avanzo riserve nei confronti dei programmi e delle campagne di informazione condotte a livello comunitario. eEurope è molto più che mero commercio elettronico (Thors (ELDR) 2000). E ancora: […] dobbiamo creare al più presto le condizioni giuridiche quadro per il commercio elettronico. Per questo devono essere adottati rapidamente i progetti legislativi in sospeso, come per esempio la direttiva sul commercio elettronico oppure quella sulla tutela del diritto d'autore. Nell'’attività legislativa è necessario procedere con cautela, per evitare l'eccesso di regolamentazione: in futuro, prima di elaborare un progetto di risoluzione ci si dovrà chiedere se esso sia veramente necessario (Niebler (PPE-DE) 2000). 165 Questa sessione plenaria di preparazione in vista del Consiglio di Lisbona del 2000 ha dunque un doppio valore analitico. Innanzitutto, perché apre ufficialmente il dibattito nella V Legislatura circa il ruolo e le funzioni della società dell’informazione e i suoi rivolgimenti sociali, politici ed economici, inoltre, ben si presta a rappresentare gran parte delle policies che per tutto il quinquennio sono state avviate e strutturate in Europa e nei vari contesti nazionali. I temi sollevati in plenaria infatti sono molteplici, si va diritti di cittadinanza elettronica, alla regolamentazione del commercio elettronico, dalle strategie di inclusività degli have-nots fino alla riaffermazione delle strategie di liberalizzazione del sistema del telecomunicazioni europeo175. Fina di suoi primi passi dunque la V Legislatura aveva già indicato il percorso che avrebbe seguito per tutto il quinquennio. Infatti, l’orientamento verso una strategia inclusiva da parte dell’Unione Europea è ben evidente in gran parte delle relazioni sulla società dell’informazione presentate e discusse dal PE. Infatti, nel giugno del 2001, e quindi un anno dopo il Consiglio di Lisbona, la commissione industria, energia e ricerca in cooperazione con la commissione per lo sviluppo (DEVE)176 presentò una relazione non legislativa al PE dal titolo Sulle tecnologie dell'informazione e delle comunicazioni (ICT) e i paesi in via di sviluppo. La relatrice, l’on. Dybkjær (ELDR), espresse così le esigenza e le motivazioni alla base della relazione: Lo sviluppo di tali tecnologie promuove una forte crescita economica nei paesi industrializzati, ma rischia anche di emarginare ulteriormente i paesi in via di sviluppo a causa del mancato accesso sia alle conoscenze favorite da tale sviluppo sia alle stesse tecnologie. Le possibilità che tali tecnologie offrono e il rischio di un’ulteriore emarginazione sono la base di questa relazione di iniziativa. Il punto portante, l’argomento che sottende la relazione è che le ICTs sono una chance per compiere un salto di qualità nei paesi in via di sviluppo (Dybkjær (ELDR) 2001). Dalla relazione emergeva dunque una forte continuità con le priorità espresse nelle precedenti sessioni plenarie dalla commissione industria, ricerca e energia, ma con un ottica globale di responsabilizzazione circa il ruolo e le funzioni delle ICTs e delle relative opportunità offerte dalla società dell’informazione. Del resto fu stesso la relatrice a sottolinearne la continuità: Credo che in questo senso il Parlamento sia in sintonia con il Consiglio, che già nel 1997 aveva chiesto alla Commissione di elaborare una relazione sull’esperienza in materia di ICTs nei paesi in via di sviluppo e nel novembre 2000 ha sollecitato la Commissione a presentare una comunicazione sul “digital divide”, il divario digitale (Dybkjær (ELDR) 2001). 175 I punti presentati dalla relazione, che nella fattispecie riguardavano «questioni relative alla tutela sociale e alle implicazioni sociali del mutamento» (Read (PSE) 2000), trovarono un sostanziale accordo da tutti i gruppi parlamentari. La votazione ebbe un esito quasi unanime, vi furono solo 3 voti contrari. 176 Nella seduta del 18 gennaio 2001 il PE annunciò che la commissione per lo sviluppo e la cooperazione, pur non essendo competente in materia, fu stata autorizzata a redigere una relazione sulle tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni (ICTs) e i paesi in via di sviluppo ed era stato chiesto alla commissione per l'industria, il commercio estero, la ricerca e l'energia di dare il suo parere. Il 21 marzo 2001 la commissione per l'industria, la ricerca e l'energia deliberò però di non esprimere un parere in merito alla relazione. 166 È interessante notare come su un punto di programmazione, come quello relativo al rilancio di una strategia globale di informatizzazione dei paesi in via di sviluppo, nelle prospettive del PE vi sia stata una sostanziale continuità con le politiche tese a sviluppare la società dell’informazione sul piano europeo. La strategia inclusiva ribadita dalla relazione della commissione sviluppo e cooperazione ha forti punti in comune con quelle lanciate dalla commissione industria, ricerca e energia e ribadite nell’ambito delle programmazioni nazionali di quel periodo177. Emerge dunque una consapevolezza sul piano delle strategie rivolte allo sviluppo di un modello inclusivo che superasse quello che aveva caratterizzato le politiche pubbliche per la società dell’informazione a partire dal Rapporto Bangemann in poi. Tale consapevolezza è ampiamente ribadita nella plenaria tenutasi l’11 febbraio del 2003 e che aveva come ordine del giorno la discussione di ben 4 relazioni178 tutte nate ancora in seno alla commissione per l’industria, la ricerca e l’energia. Il relatore, l’olandese van Velzen (PPE-DE), nella sua esposizione chiarì subito i punti fondamentali della discussione: Nella relazione si distingue fra informazioni di altro tipo e informazioni di base. Le informazioni di base sono le informazioni di cui ogni cittadino ha bisogno per operare in uno Stato costituzionale normale. Tali informazioni devono essere assolutamente accessibili al cittadino gratuitamente, così che possa esercitare i propri normali diritti di cittadino. […] dobbiamo avere un piano eEurope ben strutturato, che sia pronto per il prossimo Consiglio europeo. Sono a favore di un’attuazione rapida e armonizzata del nuovo quadro normativo e sono ben contento che la Commissione europea abbia oggi finalmente lanciato la task force per la sicurezza della rete d’informazione. I punti toccati dal relatore riprendono dunque in parte le osservazioni fatte in senso alla commissione industria, ricerca e energia già nelle plenarie precedenti. Il fatto di porre l’accento nuovamente sui diritti di cittadinanza, sulla sicurezza in rete e sulla attuazione di un piano di regole comuni, e ampiamente condivise dai diversi Stati membri, sottolinea la politics che si è voluta imprimere alla legislatura sul tema della società dell’informazione. A rincarare la dose infatti ci sono i diversi interventi fatti in discussione della plenaria dai diversi gruppi parlamentari. Come ad esempio l’intervento dell’onorevole Paasilinna del Partito Socialista Europeo, anch’esso relatore: 177 Si vedano in particolare i par. 4.2, 4.3 del Cap. 3. Le relazione all’ordine del giorno erano: sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al riutilizzo dei documenti del settore pubblico e al loro sfruttamento a fini commerciali (COM(2002) 207 – C50292/2002 – 2002/0123(COD)); - sulla completa introduzione delle comunicazioni mobili di terza generazione [2002/2240(INI)]; - sulla comunicazione della Commissione: eEurope 2005: una società dell’informazione per tutti (Piano d’azione da presentare per il Consiglio europeo di Siviglia del 21 e 22 giugno 2002) [2002/2242(INI)]; - sulla comunicazione della Commissione sugli effetti dell’e-economia sulle imprese europee: analisi economica e implicazioni politiche[COM(2001) 711 – C5-0285/2002 – 2002/2145(COS)].. 178 167 Benché la digitalizzazione e l’uso della rete offrano un’ampia gamma di opportunità di sviluppo, hanno anche portato a un divario a livello mondiale fra gli abitanti dei paesi ricchi e quelli dei paesi in via di sviluppo […] l’introduzione della tecnologia dell’informazione ha portato a una revisione delle mansioni: molti posti di lavoro sono stati tagliati e persone di mezza età hanno perso il loro impiego. Per di più, questa fascia di persone che si trova in una posizione più debole rischia di subire una doppia discriminazione, in quanto è stata emarginata dalla società dell’informazione. Non vedo alcuna facile alternativa: qui si trova la nostra sfida più grande. Il PSE dunque ribadisce la priorità di armonizzare lo sviluppo tecnologico alla questione sociale che in quegli anni si poneva con forza nel dibattito politico. Dall’intervento, e dalla relazione, dell’on. Paasilinna emergeva però una novità che nelle precedenti plenarie prese in esame non era state dibattuta come un punto di discussione fondamentale da mettere agli atti. Infatti, secondo l’on. del PSE: L’infrastruttura delle reti è anche diventata uno strumento politico. Accresce le opportunità di azione politica e, speriamo, di influenza. Sono soddisfatto del piano d’azione eEurope 2005 della Commissione, perché grazie ad esso si aumenteranno gli investimenti, allo scopo di creare posti di lavoro e dare a tutti l’opportunità di partecipare alla società dell’informazione. Porre l’accento sulle reti come strumento di azione politica diviene così un riconoscimento formale da parte del PE circa l’uso delle ICTs come strumenti per la partecipazione, la mobilitazione e la deliberazione politica. Il PSE dunque, attraverso la relazione dell’on. Paasilina, evidenziò le opportunità e il potenziale politico impresso nelle ICTs verso il quale il PE e i diversi governi nazionali dovevano cominciare a fare i conti e procedere ad attuare strategie di intervento. Nel dibattito politico europeo cominciò dunque ad emergere il ruolo delle ICTs come strumento utile per la partecipazione politica, argomento che poi negli anni successivi sarà ampiamente ripreso dalle linee di azione e dalla programmazione nazionale, come nel caso della quarta linea di azione della II fase per l’e-government in Italia179 o come il portale Estone per la partecipazione dei cittadini alla definizione delle politiche pubbliche nazionali180. La plenaria discussa però riflette un ulteriore punto di argomentazione che pone in questione il modello di sviluppo inclusivo. Infatti, all’ordine del giorno vi era anche la discussione in merito all’adozione di strumenti di comunicazione mobile di terza generazione (3G). Un punto che portò il piano del dibattito su un nodo cruciale alla base dello sviluppo della società dell’informazione in Europa: il ruolo dei gruppi di interesse. Le considerazioni fatte dai diversi gruppi parlamentari riflettono un diverso atteggiamento in merito alle priorità da adottare circa lo sviluppo delle tecnologie 3G. Nella fattispecie però gran parte delle osservazioni riguardavano il rapporto 179 Sulla quarta linea di azione della II fase per l’e-government in Italia si veda il paragrafo 2 del quarto capitolo. 180 Per approfondimenti sullo sviluppo delle pratiche partecipative in Estonia si veda il par. 4.5 del Cap. 3. 168 pubblico/privato e la regolamentazione che fa da sfondo alle forze di mercato nel campo delle politiche pubbliche per la società dell’informazione. A seguito delle consultazioni con le parti interessate dall’introduzione delle comunicazioni mobili 3G, è stato raggiunto un consenso su tre punti. In primo luogo, la fase di introduzione dei servizi 3G non esige un intervento a livello legislativo. Occorre lasciare che le forze di mercato operino liberamente. In secondo luogo, le comunicazioni 3G dovranno a lungo termine diventare una delle piattaforme dei servizi forniti da una società dell’informazione mondiale. Infine, le autorità pubbliche devono fornire un sostegno costante nel processo di introduzione. Sono stati quindi individuati tre fattori: un ambiente normativo stabile, armonizzato e trasparente, che tenga conto degli interessi dei consumatori; il ruolo proattivo di sostegno che l’Unione europea può apportare e, terzo, iniziative a lungo termine che tengano conto di quanto si è prodotto nel settore delle comunicazioni 3G, in particolare in una prospettiva di allargamento. E’ necessario dunque potenziare la coordinazione di tutte queste decisioni (Auroi (Verts/ALE) 2003). Tutto ciò però in linea con le linee di sviluppo che avevano fino a quel momento caratterizzato tutto l’arco della legislatura: In generale, l’accesso ai servizi 3G deve essere chiaro per tutti e si devono tutelare gli utenti che hanno difficoltà: ad esempio bambini e disabili hanno probabilmente bisogno di pacchetti specifici. Infine, occorre proteggere la sicurezza dei pagamenti, altrimenti mancherà la fiducia del consumatore nel sistema […] l’impianto di antenne ripetitrici 3G dovrà effettuarsi nel rispetto dell’ambiente e dell’urbanistica. Gli Stati membri garantiranno che le autorizzazioni urbanistiche siano oggetto di una procedura chiara, che preveda un’inchiesta pubblica. Per le comunicazioni di terza generazione occorrerà un numero di antenne da quattro a sedici volte superiore a quello necessario per la 2G. Pertanto, la ubicazione o la condivisione delle antenne, come raccomandato dalla Commissione, è estremamente importante (Auroi (Verts/ALE) 2003). Dall’intervento dell’on. Auroi si legge dunque la necessità della UE di badare, in generale, al ruolo che le forze di mercato hanno nello sviluppo di un sistema altamente informatizzato e, nello specifico, all’importanze che i gruppi di interesse privato – corporations, grandi aziende del settore informatico e delle telefonia, imprese etc – hanno nella definizione e la formazione delle politiche pubbliche in materia di ICTs. In particolare, l’esigenze di lasciare che il mercato non venga frenato da interventi legislativi evidenzia la necessità di non abbandonare le prospettive di liberalizzazione del mercato delle telecomunicazione che avevano caratterizzato tutta la prima fase di implementazione della società dell’informazione in Europa. Viceversa, se vi deve essere un intervento da parte dell’UE esso doveva essere effettuato in linea con le esigenze di riduzione del Digital Divide e coerente con le norme in materia di politiche ambientali e di ri-progettazione di un piano urbano che tenga conto delle esigenze dei cittadini/consumatori. Altro importante elemento nel dibattito sul rapporto pubblico/privato riguarda il ruolo delle nazioni e dei singoli interventi per regolamentare tale rapporto: E’ già stato detto che il trasferimento di miliardi dal settore privato a quello pubblico è stato disastroso per il settore delle telecomunicazioni mobili. Ciò significa che non occorre adesso imporre alcuna normativa non necessaria. Potrebbe comunque essere necessario un intervento per garantire la concorrenza. Anche in questo caso però occorre assicurare condizioni di parità. Nessuna misura unilaterale da parte degli Stati membri per alleggerire l’onere degli operatori del settore mobile. Non si può avere una situazione in cui la Francia concede sconti sulle licenze e altri Stati membri rinnovano le 169 licenze. Ritengo che la Commissione debba avanzare misure chiare per garantire tali condizioni di parità (Plooij-van Gorsel (ELDR) 2003). Le esigenze dei mercati nazionali dovevano dunque avere un ruolo secondario sul piano della discussione sul ruolo del mercato nelle policies per la società dlel’informazione. Questa prospettiva sovranazionale è perfettamente in linea con quanto esplicitato dalla Commissione Delors fino alla fine del suo mandato. Vale la pena di riflettere sul fatto che fra qualche settimana avremo i primi servizi commerciali di terza generazione in uno dei principali paesi. Saranno forniti da un nuovo investitore sul mercato, non legato in alcun modo alle aziende già presenti. Un nuovo investitore ha effettuato un investimento commerciale sul mercato. Ricordiamoci che l’economia della conoscenza sarà guidata da investimenti privati. E’ da qui che verrà la maggior parte del denaro. Da qui verranno anche l’innovazione e la tecnologia (Harbour (PPE-DE) 2003). Abbiamo quindi, in questa fase della legislatura, un doppio modello di sviluppo della società dell’informazione: un modello competitivo/liberale, orientato a seguire il percorso di liberalizzazione indicato sugli inizi degli anni ’90, e un modello di sviluppo inclusivo, frutto e risultato dei meccanismi di esclusione insiti in un sistema di tipo informazionale. Tale progresso offre anche opportunità di sviluppo. L’informazione e la conoscenza costituiscono in questa società la materia prima e la fonte di nuove ricchezze. Stabilire un nesso fra le due al fine di renderle accessibili significa aumentare il potenziale di innovazione esistente. E’ fondamentale, tuttavia, che la politica pubblica dell’Unione europea accompagni lo sviluppo di tali mercati controllando i benefici di tale evoluzione. Il primo imperativo è dunque assicurare che nessun cittadino sia escluso dalla società dell’informazione, poiché prendere misure per quanto riguarda i servizi pubblici e l’interesse pubblico significa, in un certo senso, usare le tecnologie dell’informazione nello sviluppo delle comunità e del territorio (Zrihen (PSE) 2003). A questo punto però è importante sottolineare un elemento. Gli interventi nelle sessione plenarie finora esaminate sono quasi tutte caratterizzate da una bassa conflittualità. I diversi gruppi parlamentari sul tema società dell’informazione rispondevano quasi tutti alle stesse preoccupazioni relative al ruolo del settore pubblico, al rapporto da strutturare con i gruppi di interesse privato –attraverso normative e regolamenti - e ai rischi di esclusione elettronica, di privacy e trasparenza degli atti governativi. Un punto che ci dimostra come l’arena delle commissioni competenti, che precede quella del Parlamento europeo in termini di deliberazione e voto, è quella che decide realmente i punti da discutere in parlamento sul tema in questione. È lì che vengono decise le posizioni dei diversi gruppi parlamentari sul tema, è lì che vengono espresse le perplessità e vengono ridotte le problematiche da mettere in sessione plenaria sul tavolo della discussione. Con questo però non vogliamo affermare che il PE è svuotato dalle sue funzioni, anzi, attraverso gli emendamenti e il voto finale il PE si assicura il potere di veto su una questione o su un tema. Questa sostanziale bassa conflittualità è evidente non solo a ridosso ma anche subito dopo eventi importanti come ad esempio il Primo Vertice mondiale sulla società dell’informazione tenutosi dal 10 al 12 dicembre del 2003 a Ginevra dove vi presero 170 parte circa 11.000 , considerato come un successo multilaterale, e dove fu prodotta una dichiarazione di intenti e un piano d’azione. A questo punto, sotto il profilo dell’analisi policy makig, è interessante notare l’atteggiamento della UE in relazione alla documentazione prodotto dal Vertice e l’orientamento della discussione era chiaro già dalla presentazione fatta dal Commissario al Bilancio Schreyer: Tali documenti rappresentano un’interpretazione comune del concetto di società dell’informazione, valido per tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite e che si ispira ampiamente alla politica comunitaria sulla società dell’informazione per tutti. I contributi forniti dall’Unione europea alle varie fasi dei lavori preparatori del Vertice si sono sempre basati su posizioni concertate dalla Commissione, d’intesa con gli Stati membri e la Presidenza e, nei negoziati, tali contributi sono sempre stati presentati dal Presidente del Consiglio competente a nome dell’UE dei 15 più 10. (Schreyer 2003). Anche i primi interventi dei diversi gruppi parlamentari esprimevano un parere favorevole a quanto intrapreso al Vertice di Ginevra: Il punto più importante su cui dobbiamo riflettere è che non abbiamo solamente una dichiarazione politica, ma disponiamo anche di un piano d’azione e nei prossimi due anni potremo compiere progressi reali e dimostrabili prima del prossimo Vertice a Tunisi. In vista delle complesse discussioni multilaterali che si dovranno svolgere, però, il tempo non è molto. Ci troviamo dinanzi alla grande sfida di dimostrare che l’Unione europea e gli Stati membri stanno affrontando seriamente la necessità di applicare ed estendere ai paesi in via di sviluppo i vantaggi delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Harbour (PPE-DE) 2003). L’on Zorba del PSE: […] insieme a tutte le tematiche discusse a Ginevra, ci aspettiamo che continuino altre iniziative importanti, come la promozione dell’Osservatorio mondiale sui mezzi di comunicazione e la nuova Agenzia europea per la sicurezza che dovrebbe essere attivata all’inizio del 2004. Si tratta di strumenti necessari per affrontare una situazione nuova. Tuttavia, vi è anche tutta una serie di interrogativi che richiedono una risposta, fra cui la democrazia elettronica è forse il tema principale […] Al contempo, però, siamo interessati anche ai temi dell’istruzione, della sanità, della proprietà intellettuale, della sicurezza, dei diritti umani e delle prassi economiche e sociali, ognuno dei quali richiede un proprio quadro operativo all’interno dell’ambiente digitale, e le risposte non sempre sono facili (Zorba (PSE) 2003). L’on. Thors del gruppo ELDR: E’ positivo che il documento finale contenga norme sulla libera concorrenza, sui valori, sui metodi e sulla neutralità della tecnologia, il che dimostra il successo dell’Europa nella creazione di una società dell’informazione. Come di solito accade nelle conferenze internazionali, il piano d’azione e il documento conclusivo contengono inoltre molte dichiarazioni solenni sulle modalità di sviluppo e di aiuto per i paesi in via di sviluppo (Thors (EDLR) 2003). Anche il gruppo parlamentare Verde/Allenaza libera Europea esprimeva la propria soddisfazione sul Vertice e sul piano d’azione: 171 il Vertice mondiale sulla società dell’informazione è un’iniziativa positiva. La società dell’informazione è sinonimo di libertà, libertà di informazione, libertà di diffusione delle informazioni, ed è proprio qui che sorge un problema: una libera società dell’informazione che si riunisce a Tunisi per discutere di libertà è come un bambino che viene mandato nella gabbia dei leoni per imparare a mangiare (Cohn-Bendit (Verdi/ALE) 2003). In generale dunque, sulla scia dell’euforia dovuta al successo del Vertice di Ginevra sulla società dell’informazione, il PE attraverso i gruppi parlamentari esprime una sostanziale soddisfazione sui temi discussi al vertice e un accordo sul piano d’azione sia nelle sue linee strategiche e programmatiche che sul piano della definizione dei ruoli e delle responsabilità. Qualche appunto è stato fatto sulla ripartizione degli investimenti che inevitabilmente avverrà in seguito al lancio del piano d’azione: Il problema attuale è che abbiamo un piano d’azione per i prossimi due anni in base al quale verranno convogliate decine di miliardi ai paesi in via di sviluppo per potenziare la società dell’informazione. Credo che la Commissione europea, signora Commissario, dovrebbe fare molta attenzione al modo in cui si utilizzeranno in fondi in questione, subordinandone cioè l’utilizzo ad aperture e a passi concreti dal punto di vista del libero mercato, della democrazia e dei diritti fondamentali (Cappato (NI) 2003). Emerge quindi nuovamente le problematiche inerenti al rapporto da intraprendere con i gruppi di pressione e i relativi processi di liberalizzazione del mercato delle telecomunicazioni. Come fa notare anche l’on. Rübig del PPE/DE: Sappiamo tutti che la commissione per l’industria, il commercio estero, la ricerca e l’energia ha promosso attivamente Internet e la liberalizzazione delle telecomunicazioni in Europa. In questo ambito l’Europa ha assunto un ruolo di primo piano a livello mondiale. Credo inoltre che dovremmo rendere un omaggio al processo di globalizzazione promuovendo anzitutto la libera concorrenza […]Credo che in futuro dovremo assolutamente partecipare a questi forum internazionali e garantire che siano istituite le infrastrutture necessarie per le piccole e medie imprese. E ancora sul ruolo del mercato l’on. Virrankoski: Una società dell’informazione equilibrata non può svilupparsi se è trainata solamente dal mercato. La società civile deve essere coinvolta nello sviluppo e nella costruzione delle infrastrutture. Dobbiamo garantire che le fasce meno abbienti, i giovani e coloro che sono a rischio di emarginazione siano in grado di utilizzare questi servizi. A livello regionale dobbiamo garantire che le reti raggiungano anche le regioni periferiche e scarsamente popolate. Deve essere fatto debito uso dei Fondi strutturali comunitari. L’intervento però più rappresentativo della seguente plenaria, e forse della intera legislatura, è stato formulato dall’on. Karamanou del PSE: Purtroppo il dibattito pubblico sullo sviluppo e sulle conseguenze delle nuove tecnologie finora si è concentrato principalmente sulle ripercussioni economiche, ignorando l’analisi che concerne i temi della democrazia e della dimensione di genere; pertanto le questioni della tecnologia vengono erroneamente considerate “neutrali” rispetto alla democrazia e al genere. La mancanza di accesso alle nuove tecnologie e l’analfabetismo digitale, però, si stanno sempre più traducendo in nuove forme di esclusione sociale in cui le donne sono soggetti direttamente a rischio (Karamanou (PSE) 2003). 172 In effetti, proprio a partire dalle considerazioni fatte in plenaria dall’on Karamanou si possono ricostruire, come accennato durante il paragrafo, le linee tracciate in materia di politiche pubbliche durante l’intera V Legislatura. L’inizio della V legislatura è conciso con momenti importanti sul piano dell’implementazione della società dell’informazione. Infatti l’inizio del nuovo secolo ha portato con sé importanti trasformazioni sul piano delle politiche per la società dell’informazione, sia sul versante nazionale che sul piano europeo. Si pensi al già citato Consiglio di Lisbona e all’attivazione tra il 2000 e il 2003 dei piani di azione nazionali su quasi tutto il territorio europeo. Come già costatato nei precedenti capitoli, e in particolare nel terzo, attraverso l’analisi comparata dei diversi piani di azione, l’approccio usato dai diversi paesi membri presi in esame era basato su un approccio programmatico di tipo citizencentric, almeno sul piano infrastrutturale, ma con un’attenzione particolare alle dinamiche connesse ai processi di liberalizzazione che governavano i processi economici. Nella V Legislatura si è dunque davanti ad una svolta sotto il profilo dei modelli di sviluppo delle politiche pubbliche. Il modello competitivo, affermatosi nei primi anni ’90, viene gradualmente connesso alle dinamiche relative alle proposte di maggiore inclusività del sistema informazionale e alla regolamentazione dei rapporti tra il pubblico e il privato. Temi come Digital Divide, diritto all’accesso, diritto alla privacy, sorveglianza elettronica, trasparenza degli atti governativi entrano nella discussione politica ai livelli più alti del sistema istituzionale europeo ma, parafrasando l’intervento dell’on. Karamanou, il dibattito della V legislatura era troppo sbilanciato a comprendere, spiegare e trovare soluzioni tenendo ancora il mercato come unità elementare di riferimento. 4.2 La VI Legislatura: dal government alla governance. Verso le politiche pubbliche per la democrazia e la cittadinanza elettronica La VI Legislatura del Parlamento europeo è cominciata a cavallo tra le procedure di valutazione della strategia di Lisbona, fatte a metà del 2004, e il rilancio della stessa per il quinquennio 2005/2010181. Un periodo nel quale gli attori politici e le istituzioni interessate ai processi di intervento e di strutturazione delle pratiche per la società dell’informazione vivevano una profonda revisione delle proposte fino a quel momento avanzate ed attuate. Inoltre, a questa riorganizzazione delle policies in materia di ICTs, vanno associate anche le procedure di allargamento dell’UE182, le quali inevitabilmente avrebbero inciso sulle posizioni nazionali nei confronti delle politiche pubbliche europee, e non solo quelle relative alla società dell’informazione. 181 Si veda il paragrafo 3 del terzo capitolo, in particolare si leggano le implicazioni riportate dal Kok Report. 182 Il 1° maggio 2004 l'Unione europea ha accolto in un colpo solo dieci nuovi membri: Repubblica Ceca, Estonia, Cipro, Lettonia, Lituania, Ungheria, Malta, Polonia, Slovenia e Slovacchia. Questo evento storico é avvenuto appena un anno dopo il via libera all'ingresso di questi paesi concesso dal Parlamento europeo, permettendo così ai Parlamenti nazionali di tutti i 25 Stati membri di ratificare l'adesione. 173 Riprendendo a questo punto le discussioni plenarie della VI Legislatura sul tema della società dell’informazione, queste preoccupazioni sono evidenti sin dalle prime sessioni. Infatti, il 22 giugno 2005 durante una plenaria che aveva all’ordine del giorno la discussione sulla relazione Società dell’informazione, presentata dall’onorevole Catherine Trautmann, a nome della commissione per l’industria, la ricerca e l’energia, emersero determinate questioni, apparentemente controverse, che dovevano essere chiarite per una buona ri-organizzazione delle pratiche in materia di ICTs per tutta la durata della VI Legislatura. La mia relazione riguarda il Vertice mondiale sulla società dell’informazione, un processo iniziato dalle Nazioni Unite. La prima fase si è tenuta a Ginevra nel 2003 e si è conclusa con l’adozione di una dichiarazione di principi e un piano d’azione. La seconda fase, che si svolgerà a Tunisi il prossimo novembre, si concentrerà sull’attuazione del piano e su due questioni rimaste insolute: il finanziamento del piano d’azione e la governance di Internet […] l’aspetto da sottolineare è il contributo delle ICTs alla democrazia. Si tratta di uno strumento essenziale per ridurre le disuguaglianze e promuovere la dignità della persona, oltre che per garantire la libertà d’espressione, di informazione, il pluralismo di opinioni e la partecipazione dei cittadini al processo decisionale (Trautmann (PSE) 2003). In questa Legislatura il PE si trova dunque davanti a temi che, nell’arco di un modello inclusivo di società dell’informazione, cominciavano a diventare centrali. Ci si pone davanti allo scenario, già ampiamente dipinto dalla ricerca accademica (Barber 1985, Grossmann 1980, Rodotà 1997, Abramson, Arterton, Orren 1998, Dutton 2001), circa le potenzialità democratiche e le opportunità di partecipazione offerte dalle ICTs. La riflessione politica, sempre nell’ottica di un modello inclusivo, comincia dunque a spostare il proprio interesse verso i processi di democratizzazione della società dell’informazione. Per questo le tecnologie dell’informazione rappresentano un elemento cardine per costruire una società più ricca culturalmente e più coesa. La società dell’informazione dev’essere aperta a tutti: un elemento di democrazia che tenga conto delle diversità culturali e che favorisca la partecipazione dei cittadini, attori e non soltanto consumatori (Guidoni (GUE/NGL) 2005). Anche da parte del PSE le priorità sono: […] la società dell’informazione deve essere aperta a tutti e che l’istruzione, la formazione e l’alfabetizzazione digitale sono settori prioritari per creare una società dell’informazione inclusiva che contribuisca al superamento del divario digitale e garantisca un accesso equo alle tecnologie di base, agevolando altresì la partecipazione dei cittadini al processo politico e decisionale allo scopo di rafforzare la democrazia, pur proseguendo nella direzione stabilita dalla strategia di Lisbona (Badía i Cutchet (PSE) 2005). È interessante notare come i paesi neo-comunitari appaiano particolarmente interessati alle tematiche della democrazia attraverso le ICTs: L’e-apatia rappresenta uno degli ostacoli. In Ungheria, ad esempio, solo un adulto su quattro usa regolarmente Internet, mentre la grande maggioranza di chi non lo utilizza insiste di non averne bisogno o, semplicemente, di non esserne interessata. Non si tratta di un esempio a sé stante, perché la percentuale è simile nella maggior parte dei nuovi Stati membri. […] Tutto ciò potrebbe ovviamente comportare uno squilibrio nel rapporto tra vecchi e nuovi Stati membri: è nell’interesse comune 174 evitarlo e rafforzare la coesione anche in questo settore. Occorre quindi fare il possibile per promuovere l’e-inclusion garantendo una comunicazione più chiara, solida e comprensibile di quanto fatto finora. A fare questa dichiarazione è l’on Gyürk del PPE-DE, ovviamente di nazionalità Ungherese, ma non è l’unico a premere per una maggiore attenzione da parte del PE, e delle commissione competenti, circa le prospettive di sviluppo della società dell’informazione nei paesi neocomunitari: Anche il governo bielorusso è ben cosciente del potenziale ruolo di Internet nello sviluppo della società civile e della democrazia, e usa ogni mezzo a sua disposizione per frenarne la crescente popolarità (Sonik (PPE-DE) 2005). Infatti, sugli inizi del 2005 i paesi neo-comunitari, tranne qualche eccezione183, accusavano un grave ritardo in quasi tutti i settori delle ICTs, fino al punto che alcuni governi non avevano ancora aziende sul territorio interessate a fornire privatamente servizi. Una situazione ben delineata dal deputato Sonik del PPE-DE: Il governo bielorusso è ben cosciente del potenziale ruolo di Internet nello sviluppo della società civile e della democrazia, e usa ogni mezzo a sua disposizione per frenarne la crescente popolarità. La situazione in Bielorussia, inoltre, è caratterizzata dal fatto che lo Stato è l’unico fornitore di servizi Internet, poiché nel paese non esistono altri operatori aventi accesso a servizi esterni di telecomunicazione. Il ministero delle Comunicazioni bielorusso richiede a tutti gli utenti Internet di dotarsi di un’autorizzazione per il modem al costo di 20 dollari, benché il reddito mensile medio pro capite sia pari a 60 dollari. Non si può non giungere alla conclusione che le nostre attività devono concentrarsi anche su questi aspetti (Sonik (PPE-DE) 2005). Come già detto precedentemente, tutto ciò avveniva nella cornice internazionale che contemplava tanto il rilancio della Strategia di Lisbona quanto il Vertice mondiale sulla società dell’informazione tenutosi a Tunisi a Novembre del 2005 a Tunisi. Bisogna sottolineare che il graduale spostamento della riflessione del PE e delle commissioni competenti verso il ruolo e la funzione democratica delle ICTs è comunque il frutto di una più ampia riflessione nata in seno alle istituzioni europee. Nel 2001 fu infatti pubblicato dalla Commissione delle Comunità Europee un Libro Bianco dal titolo La governance europea dove venivano indicati i cinque principi alla base di buona governance: apertura, partecipazione, responsabilità, efficacia e coerenza. Secondo il Libro Bianco, ciascuno di questi principi è essenziale al fine d’instaurare una governance più democratica. Tali principi dovevano costituire il fondamento della democrazia e del principio di legalità negli Stati membri e dovevano essere applicati a tutti i livelli di governo: globale, europeo, nazionale, regionale e locale. Parte dei principi appena esposti nel Libro Bianco hanno caratterizzato gran parte dei lavori del Parlamento per tutta la V e la VI Legislatura, ma sul tema della società dell’informazione vi è qualche ritardo all’applicazione dei suddetti184. Infatti, uno dei 183 Si veda il par. 4.5 del Capitolo 3. In effetti nel Libro Bianco si contemplava la necessità di usare le reti ma la finalità era per lo più orientata alla comunicazione e alla circolazione delle informazioni. Infatti dal dal Libro Bianco si 184 175 richiami che maggiormente ha caratterizzato le discussioni in plenaria di tutta la prima fase della VI Legislatura era orientata a ridefinire i principi di governance in chiave tecnologica secondo modalità di apertura, partecipazione e responsabilità delle istituzioni. […] per quanto attiene alla governance […] si deve creare un nuovo modello basato su un’organizzazione internazionale in cui le decisioni politiche siano lasciate ai governi e le mansioni tecniche all’industria e al settore privato, ovviamente con un funzionamento flessibile che possa conciliare il processo decisionale e la partecipazione di tutti gli Stati. […] Questo modello, onorevoli colleghi, deve anche assicurare la partecipazione della società civile attraverso la creazione di un forum di discussione che risponda alle sfide e ai problemi legati allo sviluppo di Internet. Solo così il nostro concreto appoggio alla società dell’informazione risulterà credibile (Aguilar (PSE) 2005). E ancora Guidoni per il gruppo GUE/NGL: C’è inoltre la questione della governance, che l’Europa deve affrontare per istituire un meccanismo di controllo a livello internazionale […] Si tratta di garantire la rappresentatività e la legittimità del nuovo organismo di gestione di Internet, definendo una governance con diversi attori: i governi, le ONG, il settore privato e la società civile, ciascuno con il proprio ruolo e con chiari obblighi (Guidoni (GUE/NGL) 2005). Il tema della governance è stato ampiamente dibattuto in quasi tutte le plenarie che hanno avuto come oggetto di discussione delle relazioni non legislative orientate a definire i principi della società dell’informazione. Ne è un esempio la sessione plenaria tenutasi il 14 marzo del 2006 su una relazione presentata dalla commissione industria, energia e ricerca – con parere della commissione per la cultura e l’istruzione - dal titolo: Una società dell’informazione per la crescita e l’occupazione. I temi più importanti della relazione si soffermavano su: 1) uno spazio europeo unico dell'’informazione; 2) investire nella ricerca e nell'innovazione; 3) una società europea comune dell'informazione. Dalla relazione presentata dall’on. Paasilina si apprende. L’industria si sta sviluppando ad un ritmo tale da rendere necessaria una nuova legislazione per garantire la redditività e lo sviluppo del mercato e il suo potenziale in termini occupazionali. Per tale ragione è positivo che la Commissione abbia deciso di proporre la strategia i2010, che mira a creare uno spazio comune praticabile basato sulla conoscenza. Occorre salvaguardare gli investimenti e gli stanziamenti a favore della ricerca, e tutti gli Europei devono avere accesso a tale sistema, inclusi i meno abbienti (Paasilina (PSE) 2006). Come si può leggere dalla relazione, e come è ben evidenziato dalla presentazione dell’on. Paasilina, i punti più importanti sul tavolo delle politiche per la società dell’informazione erano lo sviluppo di una economica di tipo informazionale basata apprende che: «L'integrazione europea, le nuove tecnologie, i mutamenti culturali e l'interdipendenza globale hanno portato al costituirsi di un'enorme varietà di reti europee e internazionali, incentrate su obiettivi specifici. Per alcune di esse la Comunità haapportato un sostegno finanziario. Queste reti, che collegano imprese, comunità, centri di ricerca e autorità regionali e locali, forniscono un nuovo punto di partenza per la costruzione dell'Europa e gettano un ponte verso i paesi interessati all'adesione e verso il mondo intero. Le reti fungono anche da fattori moltiplicatori, diffondendo la conoscenza dell'UE e mostrando le politiche in azione» (Libro Bianco 2001, p. 18). 176 sulla conoscenza, dando spazio agli investimenti nel campo della ricerca, e la creazione di uno spazio europeo della società dell’informazione. Occorreva dunque ridefinire l’economia europea attraverso il settore delle ICTs, rilanciando un programma che tenesse conto dell’emergere di un’economia basata sulla conoscenza e sull’informazione: Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione sono il settore industriale che registra il tasso di crescita più veloce, sono il settore che crea il maggior numero di posti di lavoro nell’industria. Se non ci diamo da fare il disastro sarà inevitabile. Gli investitori del settore cercheranno i propri partner in paesi come la Cina e l’India e le vecchie economie in declino, cioè noi qui in Europa, rimarremo indietro (Paasilina (PSE) 2006). Si riprende dunque in parte il tema già ampiamente trattato in tutta la legislatura precedente, ovvero il ruolo e le funzioni del mercato nella società dell’informazione e nello stesso tempo si riprendono e si ricompongono le posizioni già descritte nel precedente paragrafo: Giusto è stato mostrare gli effetti che la società dell’informazione crea su crescita e occupazione e prospettare vantaggi, problemi e anche rimedi. Ma le implicazioni sono molto più vaste: i media sono già divenuti decisivi per condizionare le idee e i comportamenti di miliardi di individui. Il loro ruolo è dunque socialmente rilevante, spesso decisivo. La loro proprietà non può essere distinta dalla responsabilità verso la società, i loro effetti non possono essere visti solo in termini di mercato (Chiesa (ALDE) 2006). E ancora l’on. Guidoni a nome del gruppo GUE/NGL: Bisogna affrontare il tema dell’eliminazione del digital divide, un problema di sviluppo equilibrato, ma soprattutto di giustizia sociale. Va considerato fondamentale il ruolo dell’investimento pubblico teso a salvaguardare il carattere aperto del TLC, onde garantire lo sviluppo di mezzi tecnici e di strumenti culturali che consentano a tutti i cittadini di fruire di un volume sempre maggiore di servizi di comunicazione e di informazione. Per realizzare la good governance e garantire a tutti gli europei la cittadinanza a pieno titolo, bisogna approvare una Carta europea dei diritti dei consumatori del mondo digitale, i cosiddetti e-right, con principi e orientamenti condivisi, che definiscano il quadro dei diritti dei cittadini (Guidoni (GUE/NGL) 2006). In tema di politiche per la società dell’informazione le forze di mercato e la loro regolazione restano ancora un tema cardine, come ben evidenzia il PSE: Come legislatori abbiamo il dovere democratico e culturale di impedire la centralizzazione del settore. E’ un problema da tutti noi condiviso. Le stesse grandi aziende ora non hanno solo il controllo su televisione, radio e stampa, ma anche sulle tecnologie di comunicazione mobile. Questa sorta di omogeneità ci pone di fronte a una grande sfida, perché una comunicazione diversificata è assolutamente fondamentale per sviluppare un’economia fondata sulla conoscenza. La Commissione deve quindi esaminare molto attentamente la redditività dei mercati e l’accesso a diverse forme di cultura e di informazione in paesi diversi, con mezzi di comunicazione diversi che propongono (Paasilinna (PSE) 2006). Anche da parte del PPE-DE nella VI Legislatura persiste l’esigenza di comprendere il ruolo e le funzioni del mercato nella società dell’informazione: 177 Se esiste un ambito decisivo per l’attuazione dell’agenda di Lisbona è proprio quello delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, che è un tema prioritario per questo Parlamento e per le Istituzioni europee. […] Vorrei cogliere l’occasione per parlare delle questioni finanziarie che non sono ancora state definite. (Pilar del Castillo (PPE-DE) 2006). A questo si possono fare due osservazioni relative al modello di sviluppo intrapreso nella VI Legislatura dal Parlamento europeo in materia di ICTs e società dell’informazione. La prima riguarda la riproposizione di un modello di società dell’informazione di tipo inclusivo anche nella VI legislatura, con particolare attenzione al tema della cittadinanza elettronica e alla strutturazione di una carta europea dei diritti. Mentre la seconda è rivolta al legame che viene strutturato in plenaria fra i diritti di cittadinanze elettronica e il tema della governance185. In materia di governance, una delle questioni era dunque l’apertura delle istituzioni e la partecipazione dei cittadini al processo di policy making. Un tema che inevitabilmente richiamava la questione relativi ai diritti di cittadinanza elettronica186, come il diritto a ricevere e diffondere informazioni o i tanto dibattuti diritti alla privacy e alla protezione dei dati personali. Temi che durante la VI Legislatura sono stati oggetto di intere plenarie, come ad esempio è capitato il 6 luglio 2006 quando all’ordine del giorno furono messe in discussione in plenaria sei proposte di risoluzione concernenti la libertà di espressione su Internet187. In generale le sei richieste di risoluzione vertevano sul concetto di diritto a ricevere e diffondere informazioni: Vogliamo rivolgerci a Consiglio e Stati membri affinché rendano pubblico, attraverso un comunicato comune, l’impegno assunto in difesa dei diritti degli utenti di Internet e della libertà di espressione su Internet (Rueda (Verts/ALE) 2006). Come pure il gruppo parlamentare GUE/NGL: La censura di Internet non è cosa che possa essere condivisa, a prescindere dal luogo, e dunque neanche negli Stati membri dell’Unione europea (Pflüger (GUE/NGL) 2006). E anche il PSE: La nostra risoluzione ci permette di opporci con fermezza a queste minacce alla libertà e di condannare gli Stati che ne sono autori (Trautmann (PSE) 2006). 185 Questo secondo punto è stato oggetto addirittura oggetto di una discussione in sessione plenaria il 17 Gennaio del 2008 in seguito al Forum sulla governance di Internet, svoltosi a Rio de Janeiro dal 12 al 15 novembre 2007. 186 Si veda par. 5 Cap 2. 187 Le sei proposte di risoluzione furono presentante dai deputati: 1) Simon Coveney e Charles Tannock, a nome del gruppo PPE-DE; 2) Pasqualina Napoletano, Catherine Trautmann e Christa Prets, a nome del gruppo PSE; 3) Henrik Lax, Marios Matsakis e Frédérique Ries, a nome del gruppo ALDE; 4) Daniel Marc Cohn-Bendit e Monica Frassoni, a nome del gruppo Verdi/ALE; 5) Vittorio Agnoletto, Umberto Guidoni e Miguel Portas, a nome del gruppo GUE/NGL; 6) Hanna FoltynKubicka, Mieczysław Edmund Janowski, Zbigniew Krzysztof Kuźmiuk, Zdzisław Zbigniew Podkański e Janusz Wojciechowski, a nome del gruppo UEN 178 Altro esempio è dato dalla plenaria indetta il 10 marzo del 2008 che aveva all’ordine del giorno la dichiarazione della Commissione sulla protezione dei dati e diritti dei consumatori. Tale dichiarazione venne presentata dall’on. Frattini vicepresidente della Commissione Europea: Le imprese sono tenute al rispetto delle leggi nazionali sulla protezione dei dati, che danno attuazione alla direttiva sulla protezione dei dati, mentre le autorità nazionali per la protezione dei dati sono gli enti responsabili di garantirne il rispetto da parte di quelle entità che trattano i dati personali all’interno del loro territorio. […] Una fusione tra diverse entità non esonera le parti coinvolte dai loro obblighi nel quadro dei principi nazionali sulla protezione dei dati. Senza dubbio qualsiasi decisione la Commissione possa prendere per approvare una concentrazione non pregiudica gli obblighi imposti alle parti dalla legislazione comunitaria in materia di tutela della vita privata relativamente al trattamento dei dati personali. A far da portavoce al PSE fu il deputato Lambrinidis: […] quando gli utenti abituali sono online, non sono consapevoli del fatto che i loro dati personali più sensibili, come le loro convinzioni politiche e filosofiche, le finanze, gli acquisti, i viaggi e gli interessi in generale, vengono registrati mentre eseguono semplici ricerche, compiono acquisti o prendono parte a discussioni. Certo, le imprese private che raccolgono tali dati spesso non sono neppure europee. Oggi né il diritto europeo né gli accordi internazionali impediscono alle grandi imprese private di utilizzare i nostri dati personali. Si può arrivare a dire che nulla impedisce alle autorità di sicurezza di paesi terzi di accedere a tali informazioni. […] I nostri dati personali non perdono di importanza e di interesse semplicemente perché un’impresa si trova al di fuori dell’Europa. In tema del diritto alla privacy, uno dei diritti fondamentali della cittadinanza elettronica188, è un tema particolarmente sentito nella VI Legislatura. Non erano mancati interventi in quella precedente, ma la velocità dello sviluppo tecnologico come del resto è tuttora – aveva superato di gran lunga quella legislativa. Su questo punto vale la pena sottolineare l’intervento dell’on Schlyter del gruppo Verdi/ALE: Se si vogliono utilizzare servizi diffusi, non è possibile selezionare l’opzione “non raccogliere dati su di me” né tanto meno sapere che fine fanno tali informazioni. Si esegue una ricerca, si acquista qualcosa. Se un soggetto e la stessa impresa sono in grado di combinare tutte queste informazioni, è possibile ottenere un enorme vantaggio commerciale e accumulare un gran numero si informazioni su tutti coloro che fanno uso di Internet. […] Non possiamo proteggerci da queste grandi imprese a meno che i nostri legislatori non ci vengano in aiuto. Il grado di fragilità della protezione dei dati diventa palese quando, ad esempio, viene calcolata anche la lotta contro le violazioni dei diritti d’autore. Il computer di chi condivide file viene ispezionato e tutte le sue informazioni private vengono esaminate. Tali informazioni vengono poi inviate alle imprese che operano nel settore dei mezzi d’informazione per accertare cosa fosse protetto dal diritto d’autore e cosa no (Schlyter (Verdi/ALE) 2008). Anche l’on. Alvaro, rappresentante del gruppo ALDE, espresse le proprie perplessità e quelle del suo gruppo in materia di privacy e dati personali: 188 Si veda par. 5 Cap. 2. 179 Noi – e il mio gruppo politico non costituisce di certo un’eccezione – spesso manifestiamo un interesse particolarmente vivo per le questioni relative a Internet e, naturalmente, alla riservatezza dei dati, cui spesso rispondiamo in modo estremamente emotivo. Se devo capire come funzionano Internet e l’acquisizione dei dati, tuttavia, devo prima comprendere la tecnologia che ne sta alla base. La VI legislatura, per quanto riguarda tema della società dell’informazione, appare dunque caratterizzata dai tentativi di coniugare i principi della governance europea alle tecnologie per l’informazione e la comunicazione. I molteplici rimandi alle problematiche insite nel sistema informazionale, quali il Digital Divide, i rischi di esclusione dal sistema economico, le garanzie costituzionali dei cittadini europei in materia di privacy e libero accesso alle informazioni vengono riformulate e messe in relazione ai principi di apertura, partecipazione, responsabilità, efficacia e coerenza. Si aprì dunque in questa Legislatura una prospettiva più ampia rispetto al modello inclusivo che, come abbiamo evidenziato nel paragrafo precedente, ha caratterizzato gran parte della legislatura precedente. Alla necessità politica di strutturare pratiche per la riduzione del divario digitale e per l’accesso alle risorse informative comincia a farsi strada l’idea che le ICTs permettano e offrano al cittadino possibilità di partecipazione e deliberazione. All’idea di un cittadino come consumatore dei servizi si associa cosi quella di un cittadino pro-sumer, ovvero promotore di servizi. Si incomincia ad intravedere un modello ti tipo inclusivo/partecipativo. 180 Conclusioni Buona parte della letteratura di settore concorda sul fatto che le ICTs sostengono e – in alcuni casi – propongono nuovi e diversi percorsi partecipativi ancorati alle più tradizionali pratiche democratiche. Il complesso rapporto tra le tecnologie e la democrazia è tuttavia solo in parte una novità. Gli strumenti e le tecnologie dell’informazione e della comunicazione in realtà ricoprono un ruolo fondamentale nella promozione della partecipazione politica nei sistemi democratici, anzi il loro sviluppo ha accompagnato il processo di democratizzazione ed allargamento della sfera pubblica. Le tecnologie della comunicazione - vecchie e nuove – sono quindi parte attiva del codice genetico della democrazia (Dahl 1985, Sartori 1987, Rokkan 1982, Verba 1987). L’idea che le tecnologie dell’informazione e della comunicazione siano uno strumento utile per migliorare i rapporti tra la cittadinanza e le istituzioni va tuttavia inquadrata in un più ampio progetto di innovazione, quello relativo alla trasformazione informazionale della società (Mattelart 2003, Beniger 1986). Tra le tecnologie e la democrazia esiste, infatti, uno dei legami più articolati che la modernità abbia mai conosciuto, un rapporto difficile da inquadrare storicamente ma che sin dal XIX secolo ha caratterizzato la struttura dei rapporti tra le diverse istituzioni e fra i diversi sottosistemi del sistema sociale, quello economico in primis. Alcuni osservatori della democrazia elettronica sostengono però che il potenziale democratico che gravita intorno alle ICTs non è solo il frutto di una maggiore convergenza informazionale e tantomeno essa può dirsi come l’ultima fase di un processo di rafforzamento della reticolarità delle comunicazioni di massa, essa discende piuttosto direttamente dalla capacità di decentrare la comunicazione politica dal castello del principe a luoghi più vicini all’esperienza dei cittadini (Lusoli 2007). In tal senso, le ICTs possono assurgere ad una funzione emancipatrice, promuovendo una cittadinanza più attiva e sensibile ai processi di ri-formulazione del tradizionale assetto democratico. Possono, al contrario, assumere una funzione di controllo, consentendo ai cittadini di verificare con maggiore tempestività ed efficacia l’operato della propria rappresentanza politica. Infine, le tecnologie dell’informazione e della comunicazione possono assurgere ad un ruolo semplicemente abilitante, consentendo un rafforzamento delle pratiche democratiche da un lato e la sperimentazione di nuovi repertori di partecipazione dell’altra. Con lo sviluppo delle ICTs si è fatta strada inoltre l’idea che sia la cittadinanza a ridisegnare i propri confini, attraverso una spinta verso il riconoscimento di nuovi diritti e l’affermazione di una diversa coscienza politica. L’analisi dei processi di costruzione dei diritti diviene così una precondizione per definire il significato della cittadinanza nella società dell’informazione, definizione che comporta una lettura costituente della società dell’informazione e delle politiche su di essa incentrate. Attraverso l’affermazione dei diritti, infatti, si regolano rapporti, si pongono limiti e si creano opportunità, ma soprattutto si realizza il contratto sociale. L’emergere dei diritti di cittadinanza elettronica diventano quindi l’espressione diretta dei bisogni, individuali e collettivi, emersi con l’avvento della società dell'informazione, in un nuovo tipo di assetto organizzativo della società, attraversato da flussi e processi la cui velocità ed intensità non è mai stata sperimentata prima nella storia sociale. Di vere e proprie politiche pubbliche per la società dell’informazione si può iniziare a parlare solo dopo la pubblicazione dal Libro Bianco di Delors (1994). In esso vi 181 erano tracciate i vantaggi occupazionali, organizzativi e gestionali offerti dallo sviluppo di un’economia di tipo informazionale e le enormi potenzialità alle quali poteva aspirare un settore pubblico altamente informatizzato, ma nel quale non erano ancora contemplate le diverse opportunità democratiche offerte dalle ICTs. Una prima fase che guardava dunque alla trasformazione delle forze di mercato come volano capace di traghettare l’Europa verso la società dell’economia fondata sulla circolazione dell’informazione. In seguito la società dell’informazione è entrata costantemente a far parte dell’agenda politica dei diversi governi nazionali e sovranazionali e, con il crescere dell’interesse politico, ha visto confermare più volte il proprio ruolo strategico nell’ambito di interventi e programmi specifici. Con il lancio della Strategia di Lisbona e l’introduzione dei piani eEurope si intravede anche una più marcata attenzione alla dimensione inclusiva ed alla coesione sociale, comportando un più incisivo indirizzo per la programmazione dei diversi paesi membri. Si tratta di un momento importante sul piano delle pratiche perché ha assistito al sostanziale spostamento del baricentro dal modello competitivo, incentrato sui processi di liberalizzazione e di deregolamentazione e con il mercato come volano per la strutturazione delle politiche, verso il modello inclusivo, orientato alla riduzione delle disparità, all’inclusione sociale e digitale, all’affermazione dei nuovi diritti di cittadinanza. Parallelamente al crescere della complessità tecnologica si assiste alla nascita di una vision europea, più attenta alle dinamiche locali ed alla riallocazione delle competenze e delle responsabilità in materia di Icts. Con la pubblicazione del Libro Bianco dal titolo La governance europea (2001), per le politiche pubbliche per la società dell’informazione si apre dunque una nuova stagione che trova la sua massima espressione con l’inizio della VI Legislatura e con l’allargamento dell’Unione avvenuta nel 2004. Le politiche pubbliche per la società dell’informazione presentano connotati diversi e rimandano a categorie trasversali di analisi. Esse presentano, a tratti, caratteristiche di tipo distributivo, ad attestare le quali, oltre agli specifici programmi di finanziamento, vi è la struttura dei rapporti di potere tra i partiti politici e i gruppi parlamentari caratterizzati da rapporti di log-rolling e di reciproca non interferenza. Rimandano anche ad un tipo di politica fondamentalmente regolativa, in quanto l’implementazione delle pratiche avviene in maniera delegata ma sulla base di indicazioni poco negoziabili. Esse hanno anche le caratteristiche costitutive tipiche dei processi di cambiamento di lungo periodo che tendono a riformare o cambiare la natura del rapporto fra cittadini e stato, attraverso azioni istituzionali multi-level e la collaborazione tra i diversi settori amministrativi per l’integrazione dei servizi (Musella 2007). Le politiche della Società dell’informazione - sia per la natura elaborata delle procedure di finanziamento e dei relativi strumenti di governance, sia per la costante pressione di ngo ad ogni livello - si configurano in alcuni casi come politiche redistributive il cui outcome principale dovrebbe – in linea teorica –essere la riduzione delle disparità e delle disuguaglianze. A questo tipo di aspettative è ovviamente associata una valenza simbolica, che ha reso la politica della società dell’informazione una politica a forte connotazione retorica. Forse proprio questa forte componente retorica ha comportato un disancoramento della policy dalla politics condannata alla sola gestione dei processi, quasi sempre imbrigliata nel meccanismo finanziario e privata di qualsivoglia orientamento ideologico. Ridotto a sistema di pratiche ed a strumento di finanziamento del mercato delle Icts e dei servizi avanzati, il tema è 182 sfuggito al dibattito politico nazionale, trasformando le istanze di maggiore partecipazione e inclusione politica avanzate dalla comunità europea, in velleità localistiche prive di incisività. Apparso nell’arena pubblica come una policy senza politics, la politica della Società dell’informazione è tutt’altro che neutrale. La crisi finanziaria che si registra in questi anni è la dimostrazione che flussi di informazione virtuali hanno conseguenze reali. 183 Bibliografia AA.VV., Digital Democracy, London: Routledge, 2001 Abramson, J.B., F.C. Arterton e G.R. 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Come vincere la sfida del digital dvide, Guerini e Associati, 2003 190 Appendice Elenco dei progetti co-finanziati dal CNIPA per la quarta Linea di Azione della II fase per l’e-government “lo sviluppo della cittadinanza digitale: l'e-democracy”. Nome Progetto e21 - per lo sviluppo della cittadinanza digitale in Agenda 21 CIttadini in Reti di COmunità LOcali Partecipazione Allargata al processo decisionale del Consiglio Regionale della Lombardia edem 1.0 Acronimo e21 CIRCOLO PALCO edem1.0 VOCI DEL CITTADINO IN CHIARO ParteciPAttivo Veneto e-democracy INCHIARO Agor@ dei diritti Promozione della Cittadinanza attiva e della Pianificazione condivisa attraverso l’utilizzo dell’I.C.T. nei Comuni di Favara e Gela PIANO INTERATTIVO di SVILUPPO ECONOMICO e SOCIALE Piattaforma Partecipativa on-line a supporto del Piano Regolatore [PRG] Partecipato Strumenti informatici di supporto alla partecipazione dei cittadini al processo di formazione del Piano Urbanistico Generale del Comune di Monopoli Aniene Partecipata Agor@Favara E-Democracy con Il Piano Strategico La Mont@gna che Partecipa e_demps ETe.Turismo: e-democracy per implementare e monitorare efficaci politiche per il turismo e la qualità della vita iDEM - Interactive Coordinatore COMUNE DI MANTOVA PUNTEGGIO 88,5 COMUNE DI ROMA Regione Lombardia 87,5 COMUNE DI ROMA PROVINCIA DI COSENZA REGIONE UMBRIA REGIONE DEL VENETO Comune di Favara ParteciPAttivo Ven.e-d 86,5 86 85 84,5 83,5 83,5 PISES.VALDIANO Comunità Montana Vallo di Diano 83 PRGPartecipato Comune di Trezzo sull'Adda 83 partecipaPUG COMUNE DI MONOPOLI 83 Bilancio.Aniene 83 Ete.Turismo Comunità Montana zona X dell'Aniene COMUNE DI PESARO COMUNITÀ MONTANA VALLI CHISONE E GERMANASCA Comune di Termoli IDEM COMUNE DI M@P 191 82,5 82 82 81,5 DEMocracy Tecnologie ELEttroniche per la Partecipazione al Bilancio-Il processo decisionale partecipato applicato al Bilancio Comunale GIOVANI OGGI CITTADINI SEMPRE Alatri azioni di democrazia digitale inclusiva BILANCIO PARTECIP@TTIVO - Percorso a tappe verso il bilancio partecipativo nel Comune di San Canzian d'Isonzo La Piazza telematica dei cittadini alberobellesi per il Bilancio condiviso Urban Center: la Città Cambia, Cambia la Città Spazio Libero DEMOCRAZIA CITTADINANZA DIGITALE MOBILITA' PARTECIPATA Cossato si progetta Partecipazione e condivisione con la tecnologia Document@Rudiano: il Centro di documentazione locale PROGETTO CORO Strumenti per l'elaborazione partecipata del Piano di Zona dell'Ambito socioassistenziale di Cervignano del Friuli CON-Net Consulte Territoriali in rete nel Comune di Sarzana Provincia digitale e accesso sociale. La concertazione on line sui temi dell'innovazione nella Provincia di Roma E-CON (COMPARTECIPAZIONE OTTIMIZZATA DALLA NAVIGAZIONE)FOGGIA Partecipazione della comunità all'evento dei Giochi del Mediterraneo e alle politiche di sviluppo SIENA COMUNITA' MONTANA DEL PRATOMAGNO TELE_P@B 81,5 E-GOCS Comune di Monza 81 Aladdin Comune di Alatri 80,5 Bilancio Partecip@ttivo COMUNE DI SAN CANZIAN D'ISONZO (GO) 80,5 AGOR@LB COMUNE DI ALBEROBELLO 80,5 UC5 COMUNE DI GENOVA REGIONE FRIULI VENEZIA GIULIA PROVINCIA DI GENOVA SL DE.CI.DI. 80 80 79,5 eMove Comune di Firenze 79 e_dem.cossato COMUNE DI COSSATO 79 Document@Rudiano COMUNE DI RUDIANO 79 CORO COMUNE DI CERVIGNANO DEL FRIULI 78,5 CON-Net COMUNE DI SARZANA 77,5 PRODEAS Provincia di Roma 77 E-CON-FOGGIA COMUNE DI FOGGIA 77 MEDITA Comune di Pescara 77 192 della sostenibilità e del lavoro nel comprensorio pescarese Partecipa il sociale Partecipa il sociale CONCERTO - Strumenti per la Concertazione e la Realizzazione del Piano dei Tempi della Città Sistema Città CONCERTO Comuni & Terre doc PARTECIPA Il portale per la partecipazione dei cittadini allo sviluppo delle politiche e dei processi decisionali nella Regione Lazio (E-DEMOCRACY REGIONE LAZIO) PARTECIPA.NET C&Tdoc PartecipaLAZIO e-democracy Catania Partecipazione Elettronica per lo Sviluppo Locale demos.ct P.E.S.L. PAL ACTIVITY MONITOR - Sistema di monitoraggio e partecipazione del cittadino all'amministrazione pubblica Partecipiamo Al Bilancio On Line TeD "L'istituzione apre le porte al cittadino" GIOPOLIS PAM DemOracolo DemOracolo SCUOLAINCHIARO Strumenti partecipativi per autonomie locali basati su reti telematiche Democrazia Elettronica e Trasparenza nell'azione della Pubblica Amministrazione Sesamo: la porta è aperta Accesso al Palazzo virtuale delle Pubbliche Amministrazioni e-Mobility SCUOLAINCHIARO START Servizi e Tecnologie per la pArtecipazione dei cittadini alle politiche della Regione Basilicata per la Salute METROPOLIS STARS S.C. PROVINCIA DI PARMA COMUNE DI LUCCA COMUNE DI GUBBIO Comune di Asti Regione Lazio Partecipa.net REGIONE EMILIAROMAGNA Comune di Catania COMUNITA' MONTANA "TERMINIO CERVIALTO" COMUNE DI CASALMAGGIORE P.A.B.O.L. TED Giopolis 77 76,5 76 75,5 75 74,5 74,5 74,5 74 COMUNE DI RAGUSA Provincia di Teramo 74 COMUNE DI VICENZA COMUNE DI VERONA Regione Calabria PROVINCIA DI BRESCIA 73 73 72,5 72 72 DEMETRA COMUNE DI VITERBO 72 SESAMO REGIONE PIEMONTE 71,5 emobility COMUNE DI PARMA Regione Basilicata 71,5 PROVINCIA DI MESSINA 71 METROPOLIS 193 71 LA MIA AZIENDA ELETTRICA L’INTEGRAZIONE DELLE BANCHE DATI COMUNALI CON TECNOLOGIA GIS E LA DIFFUSIONE SU RETE WIRELESS: PRESUPPOSTI PER UNA PIENA CITTADINANZA DIGITALE E NUOVI STRUMENTI PARTECIPATIVI” PIANO INTEGRATO PER LA EGOVERNANCE NELLA GESTIONE DEL TERRITORIO Electronic Democracy in Assemblea Regionale Siciliana Avellino e-democracy BENERTUTTI COMUNE DI BENETUTTI Comune di Novara GEO.CIVIT@S 71 70 PIE-GOT PROVINCIA DI PADOVA 70 EDARS Regione Sicilia 70 Avedemo COMUNE DI AVELLINO 70 194