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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI “FEDERICO II”
Dipartimento di Sociologia
Dottorato in “Sociologia e Ricerca Sociale”
XXI ciclo
POLITICHE PUBBLICHE PER LA DEMOCRAZIA E
LA CITTADINANZA ELETTRONICA
una policy senza politics
Tutor
Prof.ssa Rosanna De Rosa
Candidato
Dott. Tommaso Ederoclite
Coordinatrice
Prof.ssa Enrica Morlicchio
Napoli 2008
Indice
Introduzione
4
PARTE PRIMA
TEORIA SOCIALE, TEORIA DEMOCRATICA E SOCIETÀ
DELL’INFORMAZIONE
Capitolo 1
Dalla teoria sociale alle pratiche istituzionali
Premessa
1. Dalla crisi del sistema industriale alla società dell’informazione
2. Pensare la società dell’informazione: oltre le discipline
3. L’approccio economico: economia informazionale, lavoro immateriale
ed economia emergente
4. L’approccio culturale: connettività, collettività e convergenza culturale
5. L’approccio sociale: comunitarismo, identità e disuguaglianze digitali
12
13
21
24
30
36
Capitolo 2
L’approccio politico: società dell’informazione, sfera pubblica e
democrazia elettronica
Premessa
1. Sul concetto di sfera pubblica: dalla polis, attraverso i media, fino al
ciberspazio
2. Spazi politici e scenari tecnologici: l’orizzonte e-democratico
3. Democrazia, democrazie e democratizzazione elettronica: tra
partecipazione e deliberazione
4. La costruzione dei diritti nella società dell’informazione: la cittadinanza
elettronica
43
46
56
61
70
PARTE SECONDA
POLICY
Capitolo 3
Percorsi di policy per la società dell’informazione, l’e-government e
la democrazia elettronica in Europa
Premessa
78
1. La commissione Delors e il Rapporto Bangemann: il mercato come
volano per le politiche della società dell’informazione
2. Sul ruolo della ricerca nella definizione delle politiche per la società
dell’informazione: i Programmi Quadro
2.1 Il 5° Programma Quadro 1998/2002
2.2 Il 6° Programma Quadro 2002-2006
2.3 Il 7° Programma Quadro 2007-2013
3. La strategia di Lisbona e la nascita dei piani eEurope
3.1 eEurope 2005
3.2 i2010: la società dell’informazione e i media al servizio della crescita e
dell’occupazione
4. I piani di azione nazionali per la società dell’informazione: alcune
esperienze
4.1 Grecia: OPIS e Digital Strategy
4.2 La Francia: Le autoroutes de l’information
4.3 Inghilterra: The Victorian Information Society
4.4 Spagna: dal Plan de Acciòn XXI al Moderniza
4.5 La Turchia verso il modello europeo
4.6 L’Estonia: una best-practice all’insegna del citizen-centric
2 78
82
83
86
88
91
95
98
101
101
106
111
115
119
122
Capitolo 4
L’Italia nella società
democrazia elettronica
dell’informazione.
E-government
e
Premessa
1. Dalle linee guida alle fasi per l’e-government in Italia
2. La quarta Linea di Azione: “lo sviluppo della cittadinanza digitale: l'edemocracy”
3. I progetti co-finanziati: gli attori, le regole e i contenuti
126
126
136
144
PARTE TERZA
POLITICS
Capitolo 5
La politica europea per la democrazia e la cittadinanza elettronica
Premessa
1.
2.
3.
4.
Policy determines Politics
Le arene di potere: il parlamento europeo e le commissioni parlamentari
Gli attori: i gruppi politici, i partiti e i gruppi di interesse
Il processo decisionale: le sedute plenarie della V e VI legislatura
4.1 Le sessioni plenarie della V Legislatura (1999/2004): verso una
strategia di sviluppo inclusiva e condivisa
4.2 Le sessioni plenarie della VI Legislatura: dal government alla governance.
Verso le politiche pubbliche per la democrazia e la cittadinanza
elettronica
151
151
155
158
161
163
173
Conclusioni
181
Bibliografia
184
Appendice:
Elenco dei progetti co-finanziati dal CNIPA per la quarta Linea di
Azione della II fase per l’e-government “lo sviluppo della cittadinanza
digitale: l'e-democracy”
3 191
Introduzione
Il presente lavoro di dottorato ha come oggetto di analisi i processi di formazione
delle politiche pubbliche per la democrazia e la cittadinanza elettronica. Quando si
parla di politiche pubbliche per la democrazia e la cittadinanza elettronica si fa
riferimento allo sviluppo di tutte quelle politiche e quelle pratiche messe in atto dai
diversi governi per la partecipazione, il coinvolgimento e l’inclusione dei cittadini alla
società dell’informazione in tutte le sue dimensioni. Più precisamente, lo studio
riguarda i processi di costruzione e strutturazione di politiche per lo sviluppo della
partecipazione dei cittadini attraverso l’uso delle tecnologie dell’informazione e della
comunicazione (ICTs): un’area di ricerca che si è solo recentemente andata
consolidando, attestandosi come uno dei profili di ricerca più dibattuti dal punto di
vista teorico.
La scelta dell’oggetto di ricerca è stata definita sulla base di tre brevi
considerazioni: 1) La crescente pervasività delle tecnologie dell’informazione e della
comunicazione nella vita quotidiana ha inevitabilmente trasformato i luoghi dell’agire
sociale, politico ed economico.
Tale trasformazione ha indotto molti studiosi a ritenere che la sfera pubblica intesa come il luogo dove sedimentano e circolano idee, opinioni, punti di vista,
emozioni e dove avviene l’attività di interscambio fra stato e società - sia ormai
irrimediabilmente mutata e che i tradizionali paradigmi di interpretazione delle
attività pubbliche vadano rivisti alla luce delle trasformazione prodotte dalle ICTs
(Levy 1996, Maldonado 1995, Sassen 1999, Dahlgren 2001). Una buona parte della
letteratura afferma che l’uso massiccio delle nuove tecnologie ha prodotto una
rivitalizzazione della sfera pubblica, sviluppando nello stesso tempo opportunità
alternative a quelle tradizionali di partecipazione sociale e politica, di discussione,
confronto e dibattito (Levy 1998, Rodotà 2004, De Rosa 2000). In accordo con
questo scenario, le nuove tecnologie avrebbero così accresciuto enormemente le
opportunità di partecipazione e di intervento, ed il ricorso alla comunicazione
telematica per la ricerca di informazioni di pubblica utilità, per la condivisione e
scambio delle informazioni ha ridefinito ruoli e funzioni, diritti e doveri di gran parte
degli attori politici e sociali. Come ha ben rilevato Mancini (2005), Internet offre
grandi opportunità nelle istanze istituzionali della vita pubblica: grazie all’interattività
della rete i cittadini possono partecipare al processo decisionale, possono far sentire il
proprio parere, possono essere interpellati, possono, occasione più avanzata, votare ed
esprimere il proprio parere sulle opzioni in gioco. Una democrazia continua (Rodotà
2004) che offre a tutti i cittadini la possibilità di poter partecipare alla decisione
pubblica.
2) Nell’ultimo decennio, in Italia come in Europa, sono state avviate una serie di
politiche governative tese a implementare e sviluppare pratiche di partecipazione e
coinvolgimento della cittadinanza alle attività amministrative attraverso l’uso delle
tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Lo sviluppo di queste pratiche ha
fatto sì che il concetto stesso di cittadinanza fosse messo in discussione e che venisse
avviata una riflessione in merito. Grazie alle nuove tecnologie la cittadinanza si
allontana dal suo significato tradizionale, essa si è dotata di nuovi strumenti, agisce in
più spazi, fino ad arrivare alla infinita dimensione della rete (Rodotà 2004).
4 Al ricorso delle nuove tecnologie per la gestione e l’amministrazione delle attività
di carattere pubblico si aggiungono i processi di globalizzazione e localizzazione delle
attività istituzionali ed economiche, elementi che contribuiscono al graduale
indebolimento del «paradigma bipolare» (Cassese 2001) che aveva caratterizzato
l’interpretazione e l’implementazione delle attività amministrative ed istituzionali nel
corso di tutto il XX secolo (Bobbio 1996, Cassese 2001, Arena 2006). È andato così
delineandosi un nuovo scenario, un lento processo di espansione/diffusione degli
apparati pubblici che si muove in due direzioni: in verticale attraverso il
rafforzamento sia di organismi sovra-nazionali che sub-nazionali e in orizzontale
attraverso la crescita delle funzioni pubbliche e con l'apertura delle stesse attività a
soggetti esterni alle istituzioni (Bobbio 1996), tra i quali anche i cittadini.
Il cittadino esce dunque dal suo ruolo passivo di semplice utente di servizi
pubblici e diventa soggetto attivo che, insieme alle amministrazioni, si prende cura
del territorio. Siamo oggi davanti ad una fase in cui il cittadino è considerato come
un attore sociale attivo, dotato di competenze e saperi, e dove si mette in discussione
il tradizionale processo decisionale di tipo tecnico-amministrativo. Si pongono così le
premesse per una nuova articolazione delle relazioni tra le istituzioni e i cittadini.
3) L’avvio di pratiche per lo sviluppo della democrazia e la cittadinanza elettronica
ha fatto sì che emergesse l’esigenza di comprendere il ruolo effettivo delle tecnologie
per l’informazione e la comunicazione nei processi democratici. In tal senso l’OCSE
nell’ottobre del 2003 ha pubblicato Policy Brief: Engaging Citizens Online for Better
Policy-making un documento specifico dedicato all'’uso delle nuove tecnologie per la
partecipazione dei cittadini. Nel documento viene chiarito il ruolo della tecnologia,
definita come un “elemento abilitante” e non come la soluzione del problema della
partecipazione. Non è sufficiente aumentare la quantità e migliorare la qualità
dell'informazione per favorire la partecipazione, ma bisogna puntare con politiche
attive al coinvolgimento dei cittadini nel policy making. Le barriere contro una più
ampia partecipazione online dei cittadini nei processi decisionali sono culturali,
organizzative e istituzionali-normative, non tecnologiche (OCSE 2003).
Abbiamo quindi, da un lato, le profonde trasformazioni politiche e sociali che
hanno caratterizzato l’ultimo ventennio del secolo scorso, capaci di indurre molti
autori a rivedere i paradigmi di analisi ed interpretazione dei processi partecipativi e
decisionali, dall’altro, la massiccia espansione delle tecnologie dell’informazione e
della comunicazione capaci di spingere verso la strutturazione di nuove culture
politiche, sociali ed organizzative.
La spinta ad una maggiore partecipazione dei cittadini alla vita pubblica è ormai
divenuto uno degli obiettivi primari delle politiche di gran parte dei paesi occidentali.
È emersa quindi la necessità e l’esigenza di costruire modelli di riavvicinamento dei
cittadini alle istituzioni, capaci di contenere le profonde trasformazioni che hanno
caratterizzato gli anni a cavallo tra i due secoli. La letteratura di settore si è
preoccupata per lo più di definire uno schema teorico interpretativo ed un quadro di
regole il più delle volte orientati alla costruzione di scenari e immaginari, mettendo in
secondo piano il bisogno di policy orientate allo sviluppo delle opportunità prodotte
dalle ICTs. Negli ultimi anni però sono stati avviati dai governi europei, nazionali e
locali, esperienze orientate ad inquadrare il fenomeno nella sua dimensione
5 progettuale e di proporre percorsi capaci di sfruttare al massimo le potenzialità
democratiche delle nuove tecnologie applicate alla pubblica amministrazione.
È a partire da queste considerazioni di carattere generale che questo lavoro prende
le mosse.
Il percorso di studio si è articolato su due diverse questioni.
1) Innanzitutto, in che area di ricerca e riflessione vanno collocate teoricamente le
politiche pubbliche per la democrazia e la cittadinanza elettronica? Per rispondere a
questa domanda, nel corso dello studio si è convenuto richiamare i passi teorici
fondamentali che maggiormente hanno contribuito alla strutturazione della nozione
di società dell’informazione. Anche se la riflessione teorica tecnologia vs democrazia ha
origini ben più datate, i primi interventi in termini di sviluppo e implementazione di
pratiche di partecipazione e coinvolgimento della cittadinanza attraverso le ICTs
fanno parte di quell’area riconducibile agli studi e alla ricerca sulla società
dell’informazione cominciati sugli inizi degli anni ’70 (Beniger 1996, Matterlat
2002). Un processo teorico che con il crescere della tecnologica, della loro
complessità e dellala graduale intrusività delle stesse nella vita quotidiana, ha finito
con il diventare uno dei temi di maggiore dibattito e confronto scientifico.
Nello specifico questa prima parte del lavoro si è mossa a partire dalle osservazioni
fatte da Alain Touraine (1969) e Daniel Bell (1971) sulla società post-industriale e,
più in generale, sui lavori che in quegli anni si preoccupavano di ridefinire i contorni
di un sistema sociale ed economico che cominciava a dimostrarsi in crisi, per poi
proseguire riprendendo parte del dibattito che fino ai primi anni ’90 ha contribuito
alla definizione di quella che oggi conosciamo come società dell’informazione.
La nozione di società dell’informazione nasce dunque sulla scorta dei primi
contributi che focalizzavano la loro attenzione sulla crisi del sistema produttivo
industriale e del relativo apparato burocratico ed amministrativo (Lyon 1991,
Matterlat 1995, Webster 1995). Ed è da lì che bisogna dunque partire per
comprendere a pieno il ruolo che le tecnologie, e più in generale dell’informazione e
della conoscenza, hanno gradualmente raggiunto all’interno del sistema sociale
contemporaneo.
Negli anni successivi, con l’intensificarsi dell’uso delle tecnologie anche nel settore
pubblico, il dibattito ha orientato la propria riflessione sulle ricadute sociali, politiche
ed economiche che una società altamente informatizzata avrebbe inevitabilmente
portato con sé (Carlini 1996, Rodotà 1997, Norris 2000, Lyon 2001). Uno
spostamento paradigmatico che ha gradualmente portato il dibattito da una
prospettiva iniziale di tipo gerarchico e orientata allo sviluppo economico, basata sulla
ridefinizione delle categorie economiche e sulla ricerca di soluzioni per uscire dalla
crisi, ad una prospettiva di tipo inclusivo e diretta al coinvolgimento, dove venivano
ridisegnate e riformulate le categorie sociali attraverso la rappresentazione dei limiti e
delle opportunità offerte dalla società dell’informazione.
L’interesse per gli aspetti democratici legati alle tecnologie per l’informazione e la
comunicazione si intensifica in questa seconda fase. Le domande che intellettuali,
accademici ed esperti del settore cominciano a porsi sono dirette a chiarire il
potenziale democratico, il grado di inclusività e l’effettivo impatto che le ICTs
6 portavano con sé in termini di miglioramento della partecipazione dei cittadini ai
tradizionali processi deliberativi, burocratici ed amministrativi.
Un periodo che, come ha dichiarato Maldonado, ha fatto sì che nascesse una
speranza.
Si confida che queste tecnologie siano in grado, in sé e per sé, di aprire la strada a una versione
diretta, ossia partecipativa di democrazia. In questo modo, si argomenta, sarà possibile superare le
debolezze e le incoerenze e le finzioni, tante volte denunciate, dall’attuale impianto parlamentare e
rappresentativo della democrazia (Maldonado 1995, p.15).
In questo dibattito rientrano anche gli studi pioneristici di Barber sulla strong
democracy e le affermazioni di Grossmann sulla nascita di una repubblica elettronica
e, come sarà osservato nel lavoro di ricerca, esiste una consistente ed ampia letteratura
al riguardo1. Un confronto che è durato per decenni e che ha sviluppato diverse
visioni, concezioni - e in alcuni casi di versi miti - di democrazia elettronica e di
pratiche della stessa. Nel lavoro di ricerca sono state riprese le linee teoriche generali
di tale dibattito, in modo da fornire una rappresentazione quanto più esaustiva
possibile dei diversi modelli forniti in questi anni.
Sul finire degli anni ’90 però la letteratura che si è occupata degli sviluppi
democratici della rete ha cominciato a riconsiderare parte del dibattito che fino a quel
periodo era andato consolidandosi. Le riflessioni sulle opportunità e i limiti delle
ICTs tendono a svilupparsi in conformità con la formazione e lo sviluppo di nuove
tendenze economiche, sociali e politiche. Ad aprire questo nuovo capitolo sono gli
studi di Manuel Castells, a partire dalla sua nota trilogia La nascita della società delle
reti.
Castells è dunque giustamente considerato come uno dei teorici di ultima
generazione, la sua opera apre ad una nuova prospettiva di studi orientata a
comprendere le nuove identità politiche ed economiche emerse durante gli anni ’90,
in linea con la massificazione della rete, sia come tecnologia che come metafora.
Castells apre la strada ad uno schema relazionale tra società e tecnologia che sfugge
dai determinismi sociali o tecnologici, indicando uno schema molto più complesso di
quello che per decenni aveva dominato la scena teorica. Appartengono a quest’ultima
generazione di studiosi autori come Lawrence Lessig, o i recenti studi fatti da Benkler
sulla possibilità offerte da una economia di tipo informazionale.
Attraverso la rassegna della letteratura di settore più rappresentativa è stato
possibile collocare e connotare dunque le policies in tema di sviluppo della democrazia
e la cittadinanza elettronica in un preciso arco teorico e concettuale.
2) Il secondo livello della ricerca, relativo all’analisi empirica, si è concentrato su
un altro quesito: quali pratiche istituzionali possono essere definite come politiche
pubbliche per la democrazia e la cittadinanza elettronica?
Le politiche per la democrazia e la cittadinanza elettronica non hanno una
definizione rigida alla quale far riferimento, tantomeno esse costituiscono una linea di
1
Si veda Roszack (1986), I. de Sola Pool (1983), Arteton (1987), Abramson (1988), Ellul (1988)
J. Rifkin (1989), Virilio (1996); Rheingold (1994), Negroponte (1995), De Kerchouve (2004),
Bennet (2001), Berardi (1996), Bozzi (1994), Dutton (1999), Chadwick (2006).
7 intervento con caratteristiche precise, come avviene ad esempio per le politiche
ambientali. Esse rientrano in quel bacino d’interventi e di strategie che si rifanno allo
sviluppo della società dell’informazione avviate intorno alla metà degli anni ’90 e che
miravano essenzialmente a creare un orientamento delle politiche per
l’informatizzazione di tipo inclusivo e tese al coinvolgimento dei cittadini.
Per comprendere a quale famiglia di policies appartengono gli interventi per la
democrazia e la cittadinanza elettronica bisogna dunque far riferimento a quel vasto
movimento per l’informatizzazione della società creatosi durante gli anni ’90 e che ha
portato alla costituzione, presso la Commissione Europea, della Direzione generale
della Società dell’informazione e dei mezzi di comunicazione.
L’analisi empirica si è svolta a partire dalla della documentazione programmatica,
strategica e legislativa della Commissione e della direzione generale europea per la
Società dell’informazione e la comunicazione. L’intento è stato quello di ricostruire il
percorso attraverso il quale l’Europa ha strutturato le linee di intervento per la
partecipazione e il coinvolgimento dei cittadini e, per agevolare l’analisi, si è preferito
muoversi prima sul piano internazionale, attraverso la lettura dei principali
documenti programmatici e strategici europei.
Sotto questo profilo, possiamo cominciare a parlare di primi interventi rivolti allo
sviluppo della società dell’informazione solo nella prima metà degli anni ’90, quando
fu dato alle stampe Crescita, competitività ed occupazione – Le sfide e le vie da percorrere
per entrare nel XXI secolo, meglio conosciuto come il Libro Bianco di Delors2 (1993).
Nel rapporto furono descritte - per linee generali - le cause della crisi economica e
occupazionale che, all’inizio degli anni ’90, aveva coinvolto tutti gli Stati membri
della comunità europea, effetto del radicale cambiamento geo-politico avvenuto dopo
la caduta del muro di Berlino e della crisi che già da qualche anno aveva colpito
l’intero sistema produttivo industriale dell’occidente. Il Libro Bianco di Delors, oltre
all’analisi dei fattori che avevano scatenato l’instabilità nei paesi comunitari, forniva
una serie di obiettivi e strategie da perseguire, con il fine di dare nuova
consapevolezza economica e politica agli Stati membri e con lo scopo di affrontare le
sfide che il nuovo secolo poneva ai diversi esecutivi nazionali. Tra i temi affrontati dal
Libro Bianco di Delors lo sviluppo delle nuove tecnologie dell’informazione e della
comunicazione figurava come una priorità. In esso vi erano tracciate le caratteristiche
fondamentali della nascente società dell’informazione, le opportunità occupazionali,
organizzative e gestionali offerte dallo sviluppo di un’economia di tipo
informazionale e le enormi potenzialità alle quali poteva assurgere un settore pubblico
altamente informatizzato.
Il Libro Bianco di Delors rappresenta dunque la prima apertura delle istituzioni ad
una prospettiva economica e sociale di tipo informazionale (Capano 2000, Zuccarini
2007, De Rosa 2000), la sua pubblicazione è ampiamente riconosciuta come l’avvio
ufficiale alle politiche per lo sviluppo e l’implementazione della società
dell’informazione in Europa. Dopo la pubblicazione del Libro Bianco, in tutta
Europa furono avviati piani strategici, piani di azione e linee di intervento tesi a
trasformare l’intero sistema sociale ed economico, sia pubblico che privato.
2
Il libro bianco prende il nome da Jacques Delors, presidente della Commissione europea dal 6
Gennaio 1985 al 6 Gennaio 1995.
8 Le fasi successive al Libro Bianco sono state scandite da una serie frenetica e
incessante di pubblicazioni. La stessa Commissione Delors ha più volte precisato le
sue strategie di intervento attraverso una mole ampia di “libri colorati” e di rapporti
dove venivano dettate le linee e le azioni più importanti da seguire e nei quali vi
erano riportati dati, monitoraggi e valutazioni a favore delle tesi sostenute. Su tutti si
pensi al report Europe and Global Information Society, meglio noto come Rapporto
Bangemann (1995).
Oltre ai documenti espressi dalla prolifica Commissione Delors sul tema, sono
stati indagati e osservati i documenti e i rapporti più rappresentativi della transizione
avviata in quegli anni. Una particolare attenzione è stata data ai Programmi Quadro
europei, in quanto, da un punto di vista finanziario hanno rivestito un ruolo
fondamentale ai fini dello sviluppo e dell’attuazione delle strategie di intervento per la
società dell’informazione. Si è preferito partire dal V Programma Quadro 1998/2000
per una questione legata alla natura stessa degli interventi. Infatti, solo nel V PQ
possiamo trovare le prime reali iniziative finanziarie in materia di sviluppo e
implementazione della società dell’informazione.
I Programmi Quadro presi in esame contribuiscono a definire la dimensione
finanziaria delle policies sul tema. Si è dunque ritenuto opportuno prendere in
considerazione il problema della organizzazione degli interventi. In questo contesto si
è convenuto partire dal Consiglio di Lisbona tenutosi nel Marzo del 2000.
Durante l’incontro la Commissione Europea deliberò:
Il passaggio a un’economia digitale, basata sulla informazione e la conoscenza, indotta da nuovi
beni e servizi, metterà a disposizione un potente motore per la crescita, la competitività e
l'occupazione. Inoltre sarà in grado di migliorare la qualità della vita dei cittadini e l’ambiente.
Affinché si tragga il massimo vantaggio da questa opportunità, il Consiglio e la Commissione sono
invitati ad elaborare un piano d'azione globale eEurope.
La sensazione che cominciò a delinearsi fu che in Europa non esisteva ancora una
policy comune a tutti gli stati membri per lo sviluppo e la crescita della società
dell’informazione e che bisognava, attraverso strategie di lunga durata, dare un
orientamento agli interventi. Nascono così i piani eEurope, che negli anni successivi
hanno fatto da cornice e schema di riferimento per una crescita omogenea della
società dell’informazione in tutti gli Stati membri. I piani eEurope, a differenza dei
PQ, oltre che a dettare gli orientamenti e le linee strategiche e finanziarie degli
interventi, ricoprono anche la sfera concettuale e teorica al quale ogni stato membro
doveva e deve attenersi. Una stella polare per l’implementazione della società
dell’informazione
Ai fini dell’analisi sono stati dunque osservati e indagati anche i diversi piani
eEurope che dal 2000 in poi si sono succeduti.
Sul piano degli interventi nazionali la ricerca si è preoccupata di ridisegnare,
attraverso l’analisi della documentazione e degli interventi prodotti, le diverse vie alla
società dell’informazione che alcuni degli Stati membri negli anni hanno strutturato e
perseguito. Sono state riprese, su un piano puramente descrittivo ed esemplificativo,
alcune esperienze europee come la Francia, la Spagna, l’Inghilterra e la Grecia con
uno sguardo particolare alle politiche tese al coinvolgimento e alla partecipazione
della cittadinanza ai processi democratici. Dai primi piani di azione, per lo più rivolti
9 allo sviluppo di infrastrutture informatiche e all’e-government, fino ai recenti sviluppi
in tema di democrazie e cittadinanza elettronica.
Per l’analisi dell’esperienza italiana sono stati selezionati per l’attività di ricerca i
progetti co-finanziati dall’allora Ministero per l’Innovazione Tecnologica3 e orientati
all’attuazione della quarta Linea d'azione della II fase per l’e-government, quella
relativa “allo sviluppo della cittadinanza digitale: l'e-democracy”.
Per lo studio e l’analisi dell’esperienza italiana si è convenuto procedere attraverso
precise fasi, ognuna capace di compensare e rispettare i livelli metodologici
tradizionali per lo studio del policy making4. Le linee di ricerca seguite per l’analisi
degli interventi nazionali si sono preoccupate di identificare: il bacino normativo e
legislativo nel quale gli interventi e i progetti si inseriscono; gli attori, le istituzioni, le
partnership e la società civile (associazioni, cooperative etc) coinvolti nella diversi fasi
del policy cicle; la dinamica attraverso la quale si sono succedute sia le fasi del processo
di costruzione dell’intervento che quelle relative all’implementazione a all’attuazione
delle stesse.
3
Il Ministero per l’Innovazione Tecnologica fu istituito nella XIV Legislatura (2001/2006). La
carica di ministro fu rivestita da Lucio Stanca, vi restò per tutta la durata della legislatura.
4
Si veda Regonini (2001); Howlett, Ramesh (2003); Wildavsky (1992).
10 PARTE PRIMA
TEORIA SOCIALE, TEORIA DEMOCRATICA
E SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE
11 CAPITOLO 1
Dalla teoria sociale alle pratiche istituzionali
Premessa
La nozione di società dell’informazione è ormai d’uso comune. Sempre più spesso
è usata per far riferimento al sistema sociale ed economico che risulta dalla crescente
introduzione delle tecnologie per l’informazione e la comunicazione. Nella letteratura
di settore, quando si fa riferimento alla società dell’informazione si rimanda quindi ad
un determinato assetto sociale la cui economia è basata sulla produzione dei servizi,
dove informazione e conoscenza diventano le risorse strategiche.
Cominciata come una riflessione sulla crisi del sistema industriale, il concetto ha
negli anni lentamente investito le diverse sfere del vivere associato fino a diventare
principio guida ed obiettivo finale di ogni politica di sviluppo. Sin dalle prime
elaborazioni, avvenute sugli inizi degli anni ’70, intorno al concetto si sono
organizzati differenti piani interpretativi e tutt’oggi la nozione continua ad includere
nuove accezioni. E’ stata, in effetti, oggetto di confronto e dibattito economico (Bell
1971, Toffler 1980, Naisbitt 1980) fino ad arrivare a mettere in discussione la natura
stessa del lavoro ponendosi dunque come variabile indipendente dei cambiamenti del
mercato (Benkler 2006, Gorz 2003). Sul fronte sociale e culturale è stata letta come
portatrice di stravolgimenti, soprattutto per quanto riguarda i tradizionali modelli
relazionali, fino ad incidere, per alcuni anche pesantemente, sulla sfera privata di
formazione ed espressione dell’identità (Turkle 1985, Lévy 2000, Castells 2002). Le
nuove tecnologie della comunicazione avrebbero cioè influito sul nostro modo di
pensare e percepire la realtà e la disuguaglianza, comportando trasformazioni
importanti anche nei metodi di appartenenza e partecipazione politica (Rheingold
1995, De Kerckhove 2000, Sassen 2001). Proprio sul piano politico, la società
dell’informazione ha imposto un nuovo corso alla riflessione teorica: si è tornato a
parlare di partecipazione politica, cittadinanza, governo, di una nuova idea di
democrazia che andava sviluppandosi attraverso inedite pratiche di partecipazione
(Barber 1980, Grossmann 1980, Abramson, Arterton, Orren 1998, De Rosa 2000,
Rodotà 2004).
In sintesi, la società dell’informazione è per sua natura un fenomeno
multidimensionale, polisemico, capace di attrarre l’interesse di differenti settori della
ricerca scientifica.
Per comprendere pienamente cosa s’intende per società dell’informazione - e per
poter avanzare riflessioni su aspetti ad essa relativi - bisogna dunque riprendere e
ripercorrere i passaggi più importanti della letteratura sul tema con il fine ultimo di
ricostruire il percorso concettuale che, a partire dalla metà degli anni ’90, è diventato
12 il punto di riferimento di buona parte delle policy in materia di sviluppo e
implementazione della società dell’informazione.
Nella prima parte di questo capitolo si forniranno gli elementi teorici e concettuali
che caratterizzano il dibattito sulla società dell’informazione. Nello specifico, si farà
riferimento all’affermazione del paradigma post-industriale, nato dalla crisi del
sistema produttivo industriale. Buona parte della letteratura corrente è infatti
concorde nell’identificare le radici del dibattito nel periodo in cui il sistema
industriale vedeva alcuni dei settori produttivi arrancare di fronte al cambiamento
della struttura socio-economica. Il paradigma post-industriale - che vede tra i suoi
maggiori esponenti autori come Alain Touraine e Daniel Bell - è uno dei passaggi
teorici imprescindibili se si vuole comprendere lo iato fra società industriale e società
dell’informazione.
Verranno in seguito discussi i maggiori orientamenti analitici al fenomeno, con lo
scopo di fornire un primo quadro interpretativo sul quale si porranno le basi per il
proseguimento del lavoro. In particolare, si procederà con un’analisi della letteratura
di settore e con l’esposizione degli approcci analitici più rappresentativi. Lungo il
nostro percorso di ricerca, teso alla comprensione del sistema informazionale, sono
andati delineandosi diversi scenari in ragione degli approcci di studi ma, sempre,
all’ombra del dibattito, l’emergere della società informazionale è sembrata una fase
storica importante, soprattutto se si vogliono comprendere a fondo certe scelte
economiche e politiche attuate dai governi a partire dalla metà degli anni ’90.
E’ alla luce di questo dibattito che si può ricostruire il processo di costruzione delle
policies in materia di sviluppo ed implementazione della società dell’informazione.
1.
Dalla crisi del sistema industriale alla società dell’informazione
Sul finire degli anni ’60 il concetto di società industriale divenne oggetto di un
acceso dibattito intellettuale ed accademico. Il confronto, per molti versi osteggiato
fino alla metà del decennio successivo, nasceva dalla consapevolezza che il sistema
industriale fosse entrato in una crisi oramai irreversibile dalla quale bisognava uscire
ricostruendo un nuovo percorso economico e sociale che tenesse conto delle
trasformazioni tecnologiche e culturali in corso. La carica evocativa e semantica che
accompagnava la nozione di società industriale, che per più di un secolo aveva fatto
da cornice interpretativa, cominciava a perdere consistenza, facendo sorgere dubbi
sull’effettiva efficacia e sulla capacità di riuscire a contenere i processi di innovazione
che investivano il tradizionale sistema produttivo industriale. Una situazione nella
quale, inevitabilmente, cominciò a farsi strada l’idea che l’etichetta società industriale
venisse riletta attraverso una nuova lente, frutto e prodotto delle profonde
trasformazioni che stavano investendo l’intero sistema economico occidentale.
L’esigenza di comprendere e spiegare le ragioni di un tale cambiamento spinse molti
intellettuali e ricercatori a chiedersi per quanto tempo ancora si potesse realmente
parlare di sistema industriale e, cosa non meno importante, quali erano gli elementi
che in questo processo potessero rivestire un ruolo riorganizzatore dell’intero sistema
sociale ed economico. La società industriale, la madre di tutti i concetti moderni
13 (Paci 2006), perdeva dunque il suo significato storico e concettuale, cedendo il passo
a nuove forme di organizzazione sociale, economica e politica.
Sul finire degli anni ’60 nasce quindi una consapevolezza: il modello di
comprensione, spiegazione ed interpretazione del sistema sociale andava rivisto con lo
scopo di attivare un processo che tenesse conto tanto del superamento delle
rappresentazioni della società industriale, quanto delle pratiche poste in essere per lo
sviluppo e l’implementazione del sistema burocratico e amministrativo che faceva da
sfondo.
Una consapevolezza che però poneva non pochi problemi. Non era facile
abbandonare più di cento anni di studi e ricerche tese all’analisi e alla comprensione
del sistema produttivo industriale e, allo stesso modo, non era semplice riformare una
cultura politica, istituzionale e amministrativa, oramai radicata, orientandola a
rivedere gran parte dei principi che per più di un secolo l’avevano caratterizzata.
Ciò nonostante, il dibattito intellettuale sulla crisi del sistema industriale andò
avanti, producendo un’ampia mole di studi e ricerche che tuttora oggi contribuiscono
in maniera incisiva a definire molti aspetti dell’attuale sistema economico e sociale.
Ne è un esempio il saggio La société post-industrielle di Alain Touraine pubblicato
nel 1969, dove vengono messi in risalto alcuni aspetti relativi alla crisi del sistema
industriale e dove emergono punti sui quali cominciare a riflettere per comprendere
le ragioni di una rivoluzione, per certi versi molto simile a quella che aveva investito
l’Europa intorno alla metà del 1800. Touraine era convinto - e a ragion veduta - che
in occidente stavano «formandosi società di tipo nuovo […] potremmo chiamarle
società post-industriali, se vogliamo porre in risalto la distanza che le separa dalle
società industrializzate che le hanno precedute e che si mescolano ancora a loro5»
(Touraine 1969, p. 5).
Il suo sguardo, per lo più diretto al conflitto sociale e alla formazione dei
movimenti sociali e collettivi che in quel periodo occupavano prepotentemente la
scena politica, ha inevitabilmente accolto le problematiche relative al settore
economico, alla sua ri-organizzazione e alle ricadute politiche che investivano la
società. Alla base del suo pensiero vi era innanzitutto la ristrutturazione e la
riorganizzazione delle classi e dei relativi conflitti che, più o meno esplicitamente,
facevano da sfondo al nuovo apparato produttivo che lentamente emergeva nel
panorama internazionale.
Touraine fece un lavoro di ricognizione concettuale, sollecitando la sociologia e
l’economia a riflettere sui processi di trasformazione in atto. Nel mirino dell’autore
francese vi erano la trasformazione dell’azione economica e burocratica,
evidentemente in crisi e soggetta a profondi cambiamenti, e i modi di riproduzione
del conflitto sociale e delle disuguaglianze in un sistema che perdeva lentamente le
caratteristiche tipiche della società industriale. Le società, per Touraine, stavano
gradualmente spostandosi verso nuove risorse di proprietà, inediti modi di
5
Per quanto Touraine usasse il concetto di società post-industriale, fu lui stesso successivamente a
chiarire di preferire l’etichetta società programmata. «Le chiameremo società programmate se
cerchiamo d definirle innanzitutto attraverso la natura del loro sistema di produzione e di
organizzazione economica. Quest’ultimo termine, poiché individua più direttamente la natura del
lavoro e dell’azione economica, mi sembra il più utile» (Touraine 1969, pp. 5).
14 produzione, verso nuovi assetti politici e sociali dove informazione e conoscenza
diventavano gli elementi essenziali per definire il campo di azione nel quale la
trasformazione stava agendo.
A partire dalla concettualizzazione della stratificazione sociale che lentamente
andava affermandosi, Touraine soffermò la sua analisi sul concetto tradizionale di
classe, sostenendo che nella nuova morfologia amministrativa e burocratica stavano
emergendo delle nuove classi dominanti 6.
Le nuove classi dominanti non erano legate alla ricchezza o alla proprietà ma al
fatto che erano coloro che gestivano la conoscenza e che detenevano le informazioni.
L’informazione, in questo scenario, diviene l’elemento essenziale per la partecipazione
alla vita sociale ed economica. Di conseguenza «in una società sempre più terziaria,
vale a dire in cui il trattamento dell’informazione gioca lo stesso ruolo centrale che il
trattamento delle risorse naturali ha giocato agli inizi dell’industrializzazione, la forma
più grave di spreco è l’assenza di partecipazione alla decisione» (Touraine 1969, p.
71).
L’elemento della partecipazione alle decisioni diviene cruciale sia per definire le
nuove classi dominanti sia per spiegare e comprendere il conflitto sociale, in quanto
l’informazione è un modo di accedere alla decisione. Essere informato dunque non
significa più soltanto «sapere ciò che accade» e dove accade, ma «conoscere il
retroscena, le ragioni e i metodi della decisione, e non soltanto i fatti allegati per
giustificare una decisione» (Touraine 1969). Dove c’è assenza di informazione di
conseguenza vi è assenza di partecipazione ai sistemi di decisione e di organizzazione,
ed è a partire da questo sistema di esclusione che Touraine definisce il concetto di
alienazione7.
Solitamente, nelle ricostruzioni storiche sulla nascita e l’evoluzione del paradigma
post-industriale, all’autore francese viene associata la produzione scientifica di Daniel
Bell.
Nel noto saggio The Coming of Post-Industrial Society8 (1971), Bell sostiene però
solo in parte le elaborazioni teoriche del suo collega francese. Per Bell, l’informazione
e la conoscenza sono certamente risorse di potere, legate ai meccanismi di selezione e
riproduzione sociale, ma essi nel divenire tecnologico della società assumono un
6
Touraine definisce le nuove classi a partire dai diversi livelli del sistema economico. Per Touraine
con l’avvento della società post-industriale i sistemi di investimento e di produzione acquistano una
relativa opacità. Questa opacità può apparire sia al livello della decisione politica come a quello
dell’organizzazione burocratica e amministrativa o a quello dell’esecuzione tecnica. Al livello della
decisione politica troviamo i tecnocrati, dirigenti che appartengono sia allo Stato che alle grandi
industrie legate alle decisioni politiche; al livello dell’organizzazione economica l’opacità è dettata dalla
burocrazia e dai burocrati, sistemi complessi di mezzi tecnici e umani; infine a livello dell’esecuzione
tecnica troviamo i tecnicisti, che Touraine tendeva a non definirli ancora come una nuova classe sociale
in quanto potevano essere contemporaneamente annessi sia alla classe dei burocratici che a quella dei
tecnocrati.
7
Touraine definisce l’alienazione come l’individuo o il gruppo che perde la sua identità, che non è
più definita se non in base al suo ruolo in un sistema di scambi e di organizzazioni.
8
Sono in molti a sostenere che The Coming of Post-Industrial Society (1971) sia la naturale
prosecuzione di un precedente lavoro di Bell The End of Ideology (1960). In Particolare Matterlat
(2001) correla la precedente opera di Bell al concetto società post-industriale sostenendo che fosse,
appunto, un sistema privo di ideologie.
15 valore economico al pari della materia e l’energia nelle società industriali. Mentre
Touraine leggeva il cambiamento come una parte di una trasformazione più ampia
della società, che coinvolgeva anche i rapporti tra le classi, i movimenti sociali e la
relativa riproduzione sociale, Daniel Bell credeva e sosteneva che la trasformazione
fosse indissolubilmente legata all’economia e che l’informazione e la conoscenza
fossero le variabili che avevano lentamente portato l’economia da produzione dei beni
a produzione di servizi. Le analisi di Bell vanno dunque ben oltre le annotazioni di
carattere sociologico di Touraine, esse si soffermano sulle ragioni economiche che
stavano contribuendo alla riorganizzazione del sistema. Bell negli anni acquisirà
sempre maggiore vigore teorico fino a diventare un punto di riferimento di gran parte
degli studi sulla società dell’informazione.
Nelle riflessioni di Bell un passaggio rilevante riguarda l’analisi della crisi del
settore manifatturiero. Egli sosteneva che tra le cause di crisi del settore un ruolo di
primordine era rivestito dall’introduzione delle tecnologie nel modello di produzione
tipicamente industriale. Uno spostamento tecnologico che avrebbe inevitabilmente
portato con sé delle trasformazioni sul piano della qualità del lavoro che Bell
racchiude nella famosa formula che il lavoro stava diventando lentamente un "gioco
tra persone”9.
Per Bell - e su questo punto riprende in parte le idee di Touraine – il mercato del
lavoro nel processo di trasformazione industriale assume un ruolo fondamentale. Le
configurazioni lavorative tradizionali, sia negli ambiti pubblici sia in quelli privati,
avevano ceduto il passo a nuovi tipi di lavori e professioni. Le società industriali erano
sostanzialmente composte da manager capitalisti, che occupavano il settore privato e
da burocrati tecnocratici nel settore pubblico; entrambi i gruppi garantivano
l’equilibrio del sistema capitalistico che reggeva l’intero industrialismo. Questo stato
di cose era destinato ad andare in declino, facendo così entrare in crisi l’intero sistema
sociale ed economico industriale (cf. Bell 1971 ).
Il paradigma post-industriale si afferma dunque, almeno nelle sue prime
declinazioni, come un approccio sostanzialmente economicistico. Un connotato che
caratterizzerà e avvolgerà il paradigma fino a diventare, paradossalmente, il suo
principale limite analitico. La dimensione economica resterà comunque il terreno più
battuto dai teorici del post-industriale.
Bisogna in ogni caso sottolineare che negli anni successivi molti lavori si sono
mossi contro l’eccessivo economicismo che caratterizzava il paradigma postindustriale. Ne è un esempio, Inglehart che nel celebre saggio La Rivoluzione
Silenziosa (1977) sostenne che Bell ha avuto, senza ombra di dubbio, il merito
incontestabile di aver sottolineato, meglio di chiunque altro autore, l’importante
trasformazione avvenuta nella sfera economica e sociale tra gli anni ‘60 e ’70. La sua
produzione intellettuale aveva chiarito alcuni nodi problematici relativi al sistema
economico, fino ad individuare e proporre il modello di sviluppo sul quale i sistemi
9
Secondo Daniel Bell lo spostamento delle risorse dalla produzione dei beni a quella dei servizi
avrebbe modificato profondamente il lavoro, che sarebbe divenuto così, anziché un "gioco con la
macchina", un "gioco tra persone". Questa formula racchiude in sé parte delle considerazioni fatte da
Touraine circa la forma del lavoro nelle società post-industriali, visto non più come apporto personale
ma “come immerso in un sistema di comunicazione” (Touraine 1969).
16 occidentali avevano cominciato a sorreggersi e a difendersi dalla crisi del sistema
industriale. Il punto però è che nei lavori del noto sociologo americano esiste e vive
una miopia sulla trasformazione degli orientamenti valoriali, culturali e politici,
sottesi al cambiamento.
I valori delle popolazioni occidentali si erano cioè lentamente spostati da un’enfasi
sul benessere materiale e sulla sicurezza fisica verso una maggiore enfasi sulla qualità
della vita. A partire da questo presupposto Inglehart avanzò l’ipotesi che nelle società
occidentali si era riprodotta una rivoluzione pari a quella industriale avvenuta nella
metà del XIX secolo, ma con caratteristiche meno dirompenti, appunto una
rivoluzione silenziosa. Una trasformazione che Inglehart definì come post-materialista
e che aveva assunto toni e connotati precisi.
Uno dei primi punti sui quali Inglehart invitava a ragionare per comprendere a
pieno lo spostamento valoriale che stava caratterizzando le popolazioni occidentali in
quel periodo era l’innovazione tecnologica e, in particolare, lo sviluppo delle
tecnologie per l’informazione e la comunicazione. La tecnologia ha, in effetti, reso
possibile quella produttività senza precedenti su cui si fondano le società avanzate.
Essa permette, e rende necessarie, più ampie opportunità di istruzione, ha creato i
mass media e coinvolge uomini e donne in drastici cambiamenti del proprio
ambiente che li sradicano dai loro precedenti modelli di vita. L’innovazione
tecnologica è, per Inglehart, la variabile chiave per comprendere i cambiamenti
avvenuti nel sistema industriale.
Un secondo punto di riflessione è dato dal risultato della trasformazione e dal
cambiamento della struttura occupazionale. Su questo punto Inglehart riprende
alcune conclusioni di Daniel Bell. Il fatto che il terziario caratterizzasse oramai
l’intero assetto strutturale occupazionale era un dato incontrovertibile e a ciò va
dunque associata l’emersione di una nuova élite, dotata di conoscenze teoriche, di
tecnici e manager che lavorano nelle industrie del sapere, producendo così una
distanza rispetto alla precedente struttura occupazionale sia negli interessi che nella
condotta delle stesse élite.
Un terzo punto sul quale ragionare era da identificare nella crescita economica.
Secondo Inglehart, pur se alcuni settori - come ad esempio quello della manifattura
industriale - stavano attraversando una crisi che avrebbe portato poi alla recessione
del 1973, i redditi reali erano comunque rimasti ad un livello senza precedenti. Un
dato che rimarcava con forza la tesi secondo la quale ormai la produzione di beni e i
relativi redditi avevano lentamente spostato le loro concentrazioni su altre forme di
produzione, come ad esempio quella dei servizi. A questa crescita economica
Inglehart associa la diffusione dell’istruzione superiore. Se un sistema gode di buona
salute economicamente esso avrà sicuramente un effetto propulsivo sotto il profilo
dell’istruzione e dell’educazione. Una maggiore espansione dei livelli di’istruzione
comporta non pochi cambiamenti dal punto di vista dell’orientamento valoriale10.
10
Inglehart introduce una distinzione sostanziale quando fa riferimento alla variabile livello di
istruzione. Bisogna distinguere tra istruzione quale indice di benessere, istruzione quale indice di
sviluppo conoscitivo e istruzione quale indice di integrazione in un sistema di comunicazione
specifico. Le differenze nei valori e nei comportamenti potrebbero semplicemente riflettere esposizioni
differenziate a questi sistemi di comunicazione (Inglehart 1977).
17 Un ultimo punto che ha contributo al processo di trasformazione del sistema
industriale è dovuto allo sviluppo e alla diffusione delle comunicazioni di massa. La
diffusione dei sistemi di comunicazione nelle società avanzate è stata resa possibile
dalle innovazioni tecnologiche e il risultato è stato quello di portare una maggiore
varietà nei sistemi di comunicazione di massa. Il ruolo dei mass media è per Inglehart
eterogeneo: da una parte introducono un numero sempre maggiore di persone in
sistemi di comunicazione più ampi, e senza dubbio hanno aumentato le conoscenze
della gente e le hanno rese più sofisticate. Dall’altra essi hanno però anche l’effetto di
rendere più stereotipati e convenzionali diversi aspetti della vita, e allo stesso tempo
comunicano una forte opposizione ai valori convenzionali e ciò avviene quando sono
indirizzati ad un pubblico specializzato (Inglehart 1977).
Le conclusioni di Inglehart – divergenti rispetto a quelle di Bell - vertono sulle
conseguenze che questi fattori hanno avuto sulla sfera politica e sociale delle
popolazioni occidentali. Secondo Inglehart, il cambiamento di valori influenza
l’orientamento di una persona per quanto riguarda la sfera politica, sia essa
individuale o collettiva. Se le questioni materiali perdono importanza, si avrà un
declino delle ideologie, dell’appartenenza etnica, dello stile di vita e così via.
«La politica di classe può tramontare a favore di una politica basata sullo status, sulla cultura o sugli
ideali. Anche i partiti si sono ritrovati a confrontarsi con il cambiamento valoriale. La comparsa di tali
questioni porterà dunque i partiti politici a riflettere sulla loro organizzazione, rivedendo e rileggendo
le loro norme e i loro valori, troppo radicati a forme e valori tradizionali. Infine la partecipazione
politica ha assunto sempre di più una dimensione spontaneista e individualista, effetto e prodotto dei
valori culturali emergenti, sempre meno orientati al benessere materiale» (Inglehart 1977, p. 35).
Lo studio di Inglehart va dunque ad indagare sulla dimensione simbolica e
valoriale che era stata ampiamente trascurata dai primi studi sul post-industrialismo.
Qualche anno dopo il lavoro di Inglehart, Alvin Toeffler pubblicò La Terza
Ondata (1980), un testo anch’esso destinato a diventare tra i più rappresentativi sul
tema. Secondo Toeffler:
«L’umanità è alla vigilia di un grande balzo in avanti, della più profonda trasformazione sociale e
ristrutturazione creativa di tutti i tempi. Senza rendercene chiaramente conto, siamo impegnati a
costruire una nuova civiltà fin dalle fondamenta. Questo è il significato della Terza ondata» (Toeffler
1980, p. 26).
Per Toffler, ogni volta che un’ondata di cambiamento predomina in una
determinata società è relativamente facile intravedere il modello di sviluppo futuro.
Così, come nell’Europa del diciannovesimo secolo molti pensatori, uomini d’affari,
politici e persone comuni si resero conto che la storia stava andando verso il trionfo
finale dell’industrialismo sull’agricoltura non ancora meccanizzata, e predissero con
notevole accuratezza molti dei cambiamenti della Seconda Ondata11 (tecnologie più
11
Questa chiarezza di visione ebbe effetti politici. I partiti e i movimenti furono in grado di
effettuare valutazioni rispetto al futuro. Gli interessi agricoli preindustriali organizzarono una
retroguardia contro l’industrialismo usurpatore. I lavoratori e il managment lottarono per il controllo
delle leve principali dell’emergente società industriale. Le minoranze etniche definirono i propri diritti
in termini di migliore valorizzazione del loro ruolo nel mondo industriale
18 avanzate, città più grandi, trasporti più rapidi, istruzione di massa ecc) allo stesso
modo anche noi siamo di fronte ad una nuova civiltà, che porterà con sé nuovi stili
familiari, modi diversi di lavorare, di amare e di vivere, una nuova economia, nuovi
conflitti politici. Questa nuova civiltà farà crollare le burocrazie, ridurrà il ruolo dello
Stato nazionale e darà origine a economie semiautonome in un mondo postmaterialistico (Toffler 1980).
Toffler non parla mai direttamente di società dell’informazione ma vede
nell’etichetta società post-industriale una sostanziale inadeguatezza, poiché rende
evidente solo un singolo fattore, restringendo la nostra comprensione, anziché
ampliarla. E’ un’etichetta che non riesce ad esprimere la forza, l’ampiezza e il
dinamismo del cambiamento (Toffler 1980).
Toffler è stato dunque uno dei primi autori appartenenti al filone post-industriale
che ha saputo rilevare - meglio di chiunque altro - che l’etichetta società postindustriale racchiudeva in sé un senso di inadeguatezza rispetto alla generale
trasformazione che i sistemi sociali stavano attraversando.
Lo scenario tecnologico che andava affermandosi aveva bisogno di essere ridefinito
nella sua totalità. Una trasformazione così profonda non poteva e non doveva essere
legata concettualmente al sistema industriale.
Fu così che sugli inizi degli anni ’80, e dunque con ritardo rispetto alla portata dei
cambiamenti, cominciò a circolare in pochi e ristretti circuiti accademici il termine
società dell’informazione.
Per via di questa parziale miopia, dovuta soprattutto alla proliferazione di
molteplici altre etichette12, l’origine del termine società dell’informazione non ha una
sua etimologia chiara e definibile e i tentativi di storicizzare il termine sono
Il termine società dell’informazione è comparso per la prima volta verso la fine
degli anni ’50 nelle opere dell’economista Fritz Machlup13. Solitamente però in
letteratura, il termine società dell’informazione lo si collega ad una pubblicazione del
1974 dal titolo Verso una società dell’informazione: il caso giapponese, cha a sua volta
era la traduzione di una ricerca realizzata nel 1972 dalla Computer and Development
Institute.
Gli anni ’70 sono dunque il periodo storico dove la società dell’informazione
nasce e si sviluppa. Secondo Beniger, è stata la costante proliferazione dei
microprocessori a fare da propulsore, e la più eclatante tra le conseguenze sociali di
questa fase è stata la graduale convergenza di tutte le tecnologie dell’informazione in
12
Società post-capitalistica ((Dahrendorf 1959); nuovo stato industriale (Galbraith 1967); era
tecnotronica (Brzezinski 1970); economia dell’informazione (Porat 1977); micromillennio (1979) solo
per citarne alcune.
13
Nella sua oper Machlup però non accetta subito la separazione informazione/conoscenza.
L’autore fa osservare che la differenza linguistica fa tra conoscenza e informazione è legata al verbo
informare, un attività attraverso la quale si trasmette la conoscenza. Conoscere è dunque il risultato
dell’essere informato. Abbiamo dunque Informazione, intesa come atto di informare e produrre
nell’animo di qualcuno uno stato di conoscenza, e Informazione intesa come ciò che si comunica
diventa identica a conoscenza intesa come ciò che è conosciuto. Dunque, i due termini differiscono
solo quando fanno riferimento rispettivamente all’atto di informare e allo stato di conoscenza. Per
approfondimenti si veda Macluph F., The Production and Distribution of Knowledge in the United
States, Princeton University Press, Princeton, 1962.
19 unica infrastruttura. È da questa interconnessione che nasce la telematica che a sua
volta indica una delle fasi più recenti di sviluppi della società dell’informazione.
L’elemento centrale della telematica è la digitalizzazione, ovvero la trasformazione in
codici discontinui di quelli che fino a pochi anni prima sarebbero stati segnali
analogici variabili nel tempo (Beniger 1986).
La digitalizzazione ha trasformato le diverse forme di informazione in un medium
generale, in grado di soddisfare le esigenze di elaborazione e scambio all’interno del
sistema sociale:
[«…] allo stesso modo, secoli addietro, l’introduzione delle monete nazionali e dei tassi di cambio
aveva dato il via alla trasformazione dei mercati locali in un sistema economico globale. È quindi assai
probabile che la digitalizzazione abbia, sul piano della macrosociologia, effetti tanto profondi quanto
quelli esercitati in ambito macroeconomico dall’introduzione delle monete» (Beniger 1986).
Sulla nozione di società dell’informazione vi è dunque una contesa concettuale
sulla quale vale la pena soffermarsi.
Matterlat nel suo saggio Storia della società dell’informazione (2002) sin
dall’introduzione sostiene che se bisogna avanzare delle ipotesi sulla nozione società
dell’informazione bisogna stare attenti al suo contenuto ideologico.
La società dell’informazione ci è stata presentata come una nuova società più
solidale, più aperta più democratica, essa però non è altro che il frutto di una
costruzione geo-politica velata dalla irrefrenabile innovazione tecnologia.
«Si è materializzata una nuova ideologia che non dice il proprio nome e che è stata assunta a
paradigma indiscusso di cambiamento. Le certezze di cui la nozione di società dell’informazione è
portatrice sprigionano forze simboliche che dettano l’azione e al tempo stesso ne determinano lo
svolgimento in un senso o nell’altro. Esse orientano la formulazione di programmi d’azione e di ricerca
da parte di Stati ed enti sovranazionali» (Matterlat 2002, pp. 3-4)
Comprendere la sovrastruttura della società dell’informazione è dunque
importante quanto la coniugazione concettuale della stessa. Infatti, è opinione di
Matterlat che la nozione di società dell’informazione è una conseguenza diretta del
progetto teso a progettare macchine intelligenti cominciato subito dopo la seconda
guerra mondiale. Essa è stata codificata a livello accademico, economico e politico
solo dopo gli anni ’60.
Nei prossimi paragrafi vedremo come la letteratura sulla società dell’informazione
abbia negli anni spostato la propria analisi, per lo più rivolta al riconoscimento degli
elementi che la connotavano come sistema, verso orientamenti specifici che, oltre a
descrivere e spiegarne il funzionamento e l’evoluzione, hanno raccontato e
rappresentato la società dell’informazione nelle sue configurazioni economiche,
sociali, culturali e politiche.
20 2. Pensare la società dell’informazione: oltre le discipline
La graduale affermazione della società dell’informazione è dunque uno dei
momenti cruciali della storia sociale e politica dell’umanità. Come aveva sottolineato
John Naisbitt nel testo Megatrends (1982), il graduale passaggio dalla società
industriale alla società dell’informazione è senza ombra di dubbio la trasformazione
più importante avvenuta nella seconda metà del secolo scorso. Nelle ipotesi di base di
Nasibitt vi era l’idea che il connubio tra tecnologie e scienza avrebbe portato con sé
delle enormi conseguenze su più di dimensioni del vivere associato. Per Naisbitt, il
lavoro, la politica, l’economia e infine l’individuo prima o poi avrebbero dovuto
affrontare, cercare di gestire e rendere proficue queste tendenze. Tra i megatrends, si
possono elencare la questione energetica, quella nucleare o gli enormi passi in avanti
fatti dalla ingegneria aerospaziale ma – come già sottolineato - tra le dieci tendenze
descritte, per Naisbitt, la più importante di tutte resta la costituzione della società
dell’informazione14 (Naisbitt 1980).
La società dell’informazione è per Naisbitt una realtà economica, non
un’astrazione intellettuale. La società dell’informazione non è solo un termine
prettamente accademico, utile alla comprensione e alla spiegazione delle
trasformazioni della società in senso tecnologico, essa agisce nell’economia, ne
definisce i tempi e i modi di produzione. La società dell’informazione deve uscire
dalla mera descrizione e diventare strumento d’intervento sociale ed economico
(Naisbitt 1980).
La crisi del sistema industriale e la trasformazione sociale ed economica avvenuta
intorno agli anni ‘70 fanno dunque da sfondo strutturale e teorico all’affermazione di
un sistema prevalentemente fondato su due variabili fondamentali, l’informazione e
la conoscenza. Intorno a questa consapevolezza le scienze sociali, in particolare la
sociologia e l’economia, hanno riorganizzato parte delle piattaforme paradigmatiche
ed interpretative che per anni avevano caratterizzato le diverse discipline e dalle quali,
a partire dai teorici del post-industrialismo, si sono poi inevitabilmente avvicendate
nuove visioni prospettiche, ipotesi di ricerca e approcci che hanno avuto come
obiettivo fondamentale la comprensione del ruolo e delle funzioni che gradualmente
l’informazione e la conoscenza avevano assunto nel nuovo assetto sociale.
Uno dei passaggi più importanti nella evoluzione della teoria sociale sulla società
dell’informazione si è avuta nel momento in cui la letteratura sul tema ha traboccato
fino coinvolgere anche la dimensione politica. Infatti, sugli inizi degli anni ’90, i
diversi governi nazionali e sovranazionali cominciano a sviluppare un interesse per
l’economia della conoscenza e per lo sviluppo di pratiche politiche tese
all’implementazione di un sistema di tipo informazionale. La società
14
Naisbitt sostiene che gli inizi della società dell’informazione sono da ricercare nel biennio 1956 e
1957. Per gli americani, e non solo, il 1956 fu un anno di sviluppo, produttività e prosperità.
Eisenhower fu rieletto presidente; il Giappone venne ammesso alle Nazioni Unite; venne inaugurato il
servizio telefonico transatlantico e William Whyte pubblicò The Organization Man, un testo dove
veniva descritto in maniera minuziosa il sistema del managment aziendale dell’industria americana e
che tutt’oggi è considerato come uno dei classici nel campo dell’organizzazione aziendale postindustriale. Il 1957 invece segnò l’inizio della globalizzazione e della rivoluzione informatica. I russi
lanciarono lo sputnik, primo vero incipit che diede l’avvio alla comunicazione planetaria via satellite.
21 dell’informazione, come aveva sostenuto Naisbitt (1982), comincia dunque ad uscire
dai circuiti culturali ed accademici per assumere i toni di un fenomeno politicamente
rilevante, nascono così esigenze di comprensione dei meccanismi legati al sistema
informazionale con il fine ultimo di definire e strutturare policy di intervento in
materia.
Le tecnologie per l’informazione e la comunicazione - e le relative ricadute sociali,
economiche e politiche – con il crescere dell’interesse politico diventano in questo
modo un terreno sempre più fertile di confronto disciplinare e accademico, con il
rinnovato ruolo strategico di strutturare e programmare interventi adeguati e più
attenti al cambiamento. La società dell’informazione e i suoi limiti, le opportunità
poste in essere, i suoi rischi di esclusione e le promesse di inclusione, la sua eccessiva
pervasività e intrusività, la sua espressione giuridica e costituzionale cominciano così a
far parte dell’agenda politica alimentando in questo modo la ricerca sul tema soprattutto sotto il profilo finanziario - fino ad individuare le linee guida di buona
parte delle politiche e degli interventi per l’informatizzazione espresse dai diversi
governi nazionali e sovranazionali15.
La ricerca ha quindi assunto lentamente un ruolo strategico nella formazione di
politiche pubbliche per la società dell’informazione. Un campo che negli anni è
diventato sempre più vasto, capace di contemplare discipline e settori diversi e che ha
espresso una mole ampia di studi e ricerche. Dall’economia agli studi antropologici,
dalla sociologia alla filosofia del diritto, la ricerca sulla società dell’informazione ha
finito con il coinvolgere quasi tutti i settori disciplinari, fino ad arrivare a produrre
moduli di analisi e ricerca nuovi e del tutto inediti nelle scienze sociali.
Con il fine di dare un ordine alle molteplici pubblicazioni sul tema e con l’intento
di dare una maggiore sistematicità al complesso mosaico teorico costruitosi intorno
alla società dell’informazione nelle ultime due decadi del secolo scorso, il lavoro
procederà attraversando i maggiori orientamenti teorici sul tema. La distinzione di
seguito proposta si pone dunque soprattutto come excursus storico della letteratura sul
tema, ovviamente tenendo presente la complessità delle analisi, e inoltre si colloca
come un primo momento di organizzazione del materiale utile ai fini del lavoro di
ricerca che segue. Tenendo ben distinti i piani di sviluppo e di analisi e partendo dal
presupposto che la categorizzazione proposta ha uno scopo prettamente euristico,
possiamo suddividere la letteratura in quattro distinti approcci analitici: un approccio
economico, dove l’attenzione è rivolta verso le trasformazioni dei sistemi di
produzione dovute all’evoluzione tecnologica; un approccio culturale, attraverso il
quale è possibile risalire tanto alle rappresentazioni quanto alle ricadute sui modi di
produzione culturali nella società dell’informazioni; un approccio sociale, sviluppatosi
sugli inizi degli anni ’90 e che oggi occupa un ruolo di primordine nella costruzione
delle politiche pubbliche per lo sviluppo della società dell’informazione; e infine un
approccio politico che tratteremo con maggiore cura nel capitolo seguente.
Tutti gli approcci proposti partono da una matrice comune, già presentata nel
precedente paragrafo, e che fa riferimento alla massiccia trasformazione sociale
15
Sul ruolo della ricerca nel campo della strutturazione delle politiche pubbliche per la società
dell’informazione si rimanda al par. 2 Cap. 3.
22 avvenuta a cavallo tra gli anni ’60 e ’7016. Inoltre, essi sono approcci comunque
multidisciplinari, nel senso che non sono mutualmente esclusivi e che ogni approccio
si avvale comunque di ipotesi e congetture effettuate seguendo delle diverse linee di
lettura ed interpretazione dei fenomeni.
3. L’approccio economico: informazionalismo, lavoro immateriale ed
economia emergente
Per molti anni la società dell’informazione è stata letta e interpretata soprattutto
come un fenomeno con caratteristiche e peculiarità prettamente economiche. Le
ragioni di una posizione interpretativa di questo tipo coprono un arco di motivazioni
ampie e legate a questioni di diversa natura. Innanzitutto, perché una buona parte
degli studi che ne hanno svelato le caratteristiche provenivano da riflessioni che
poggiavano le proprie ipotesi a partire da valutazioni economicistiche (Bell 1971,
Porat 1977, Cohen 1986, Castells 1986). Inoltre, la società dell’informazione si è
manifestata, in primis, attraverso risvolti di natura economica, si pensi alla enorme
crescita della produttività di settori come quello dell’informazione e della conoscenza.
Sin dagli anni ’50, a partire dai lavori di Solow17, l’attenzione verso le
trasformazioni dei sistemi di produzione dovute all’evoluzione tecnologica è stata
molto alta. Nei decenni successivi il ricorso all’analisi economica, per spiegare e
comprendere il ruolo dell’informazione, è stato fondamentale affinché si ponessero le
basi teoriche e concettuali della nascente società dell’informazione. Ma, come afferma
Manuel Castells, è solo sul finire del secolo scorso che possiamo parlare di un nuovo
paradigma tecnologico:
«[…] alla fine del XX secolo i sistemi economici e produttivi occidentali hanno vissuto un
eccezionale intervallo nel procedere della storia, un intervallo caratterizzato dalla trasformazione della
nostra cultura materiale grazie all’agire di un nuovo paradigma tecnologico incentrato sulle tecnologie
dell’informazione» (Castells 1996, p. 29).
Con una trilogia pubblicata sul finire degli anni ’90, Castells ha segnato
profondamente gli studi e le ricerche nel campo della teoria e della riflessione sulla
società dell’informazione. La sua idea di nuovo paradigma tecnologico poggia le basi
interpretative a partire dal sistema produttivo senza però mai perdere di vista il
risvolto sociale e politico alla base della trasformazione economica.
Per Castells, il nuovo paradigma tecnologico ha caratteristiche e funzioni
attraverso le quali è possibile osservare il delicato processo di trasformazione in atto.
La prima caratteristica è che l’informazione rappresenta la sua materia prima: queste
tecnologie servono per agire sull’informazione, non solo per far sì che le informazioni
agiscano sulla tecnologia (Castells 1996). Castells vede tra tecnologie e informazione
un rapporto circolare che non si esaurisce alla semplice produzione dell’informazione,
ma che agisce sulla tecnologia e sui suoi processi di trasformazione e cambiamento.
16
Per specifiche si veda il paragrafo 1.1 di questo capitolo.
Solow R., Technical Change and the Aggregate Production Function, Review of Economics and
Statistics, n° 39, 1957, pp. 312-20.
17
23 Questa visione relazionale è importante in tutta l’opera dell’autore spagnolo, fino ad
avvolgere le sue idee circa la relazione tra tecnologia e società. Infatti, Castells sostiene
che «la tecnologia non determina la società, né la società definisce il corso della
trasformazione tecnologica, poiché molti fattori intervengono nel processo di scoperta
scientifica così che il risultato finale dipende da un complesso schema di interazione.
In effetti, quello del determinismo è un falso problema, in quanto la tecnologia è la
società, e non è possibile comprendere o rappresentare la società senza i suoi
strumenti tecnologici» (Castells 1996).
Un secondo elemento tipico del nuovo paradigma tecnologico fa riferimento alla
diffusione pervasiva degli effetti delle nuove tecnologie. Poiché l’informazione è parte
integrante dell’intera attività umana, il nuovo medium tecnologico incide
profondamente su tutti i processi della nostra esistenza collettiva e individuale.
Questa affermazione di Castells rimanda in parte ad osservazione di carattere
sociologico, ma le implicazioni alle quali fa riferimento l’autore sono comunque
relative all’azione economica che produce un paradigma basato sulle tecnologie
dell’informazione e la comunicazione.
La terza proprietà riguarda la logica a rete di qualsiasi sistema o insieme di
relazioni che fanno uso delle tecnologie dell’informazione. La morfologia della rete
appare adatta alla complessità dell’interazione e agli imprevedibili modelli di sviluppo
derivanti dalla forza creativa di tale interazione, essa pervade la totalità dei sistemi
sociali fino alla riorganizzazione dei metodi e dei modi di produzione capitalistica. Le
funzioni e i processi dominanti nell’Età dell’informazione sono quindi sempre di più
organizzati intorno a reti18. Le reti costituiscono la nuova morfologia sociale delle
nostre società e la diffusione della logica di rete modifica in modo sostanziale
l’operare e i risultati dei processi di produzione, esperienza, potere e cultura. Benché
la forma di organizzazione sociale a rete sia esistita in altri tempi e in altri spazi, il
nuovo della tecnologia dell’informazione fornisce la base materiale per la sua
espansione pervasiva attraverso l’intera struttura sociale. Le reti sono strutture aperte,
capaci di espandersi senza limiti, integrando nuovi modi fintanto che questi sono in
grado di comunicare fra loro all’interno della rete, vale a dire finché condividono i
medesimi codici di informazione (Castells 1996, pp. 13-19).
Il quarto punto, maggiormente legato all’interconnessione - ma chiaramente
distinto - fa riferimento alla flessibilità del paradigma delle tecnologie per
l’informazione e la comunicazione. Nel nuovo paradigma i processi non sono solo
reversibili, ma, mediante il riassetto delle loro componenti, è possibile modificare, e
persino trasformare radicalmente, anche organizzazioni e istituzioni. Su questo punto
ruota gran parte della riflessione di Castells, sul quale ci ritorneremo nei paragrafi
18
Castells definisce la rete come «un insieme di nodi interconnessi. Un nodo è il punto in cui una
curva interseca se stessa. Che cosa sia concretamente un nodo, dipende dal tipo di reti reali cui si fa
riferimento. Sono nodi le piazze finanziarie, con i loro centri ausiliari di servizi avanzati, immersi nella
rete dei flussi finanziari globali. Sono nodi i commissari europei e i consigli dei ministri nazionali, della
rete politica che governa l’Unione Europea […] Sono nodi i sistemi televisivi, gli studi per la
produzione dell’intrattenimento, i milieu della computer grafica, le redazioni televisive e i dispositivi
mobili che generano, trasmettono e ricevono segnali nella rete globale dei nuovi media alla base
dell’espressione culturale e dell’opinione pubblica nell’Età dell’informazione» (Castells 1996, pp. 3033).
24 successivi, soprattutto in tema di trasformazione e riorganizzazione in rete della sfera
pubblica.
La quinta caratteristica di questa rivoluzione tecnologica è infine rappresentata
dalla crescente convergenza di tecnologie specifiche in un sistema altamente
integrato, entro cui traiettorie anteriori e distinte diventano letteralmente
indistinguibili. Questa convergenza si estende sempre più alla crescente
interdipendenza tra le rivoluzioni della microelettronica e della biologia, dal punto di
vista sia materiale sia metodologico (Castells 1996).
A partire dagli anni ’80, la rivoluzione nella tecnologia dell’informazione è stata
dunque cruciale per l’implementazione di un fondamentale processo di
ristrutturazione del sistema sociale, soprattutto nelle sue espressioni economiche. Per
meglio comprendere questo processo, secondo Castells, è opportuno situare su
coordinate distinte la differenziazione tra pre-industrialismo, industrialismo e postindustrialismo (o informazionalismo) e quella tra capitalismo e statalismo. Benché sia
possibile definire la società lungo entrambe le dimensioni «è essenziale per la
comprensione della dinamica sociale mantenere la distanza analitica e
l’interdipendenza empirica tra modi di produzione (capitalismo, statalismo) e modi
di sviluppo (industrialismo, informazionalismo)» (Castells 1996).
Ogni modo di sviluppo possiede un principio operativo strutturalmente
determinato, intorno al quale sono organizzati i processi tecnologici: l’industrialismo
è orientato alla crescita economica, ovvero alla massimizzazione della produzione;
l’informazionalismo è orientato allo sviluppo tecnologico, ovvero all’accumulazione
di conoscenza e a sempre più alti livelli di complessità nell’elaborazione
dell’informazione. Anche se livelli superiori di conoscenza possono determinare un
maggiore output per unità di input, «è il perseguimento continuo di conoscenza e
informazione che caratterizza la funzione di produzione tecnologica
dell’informazionalismo» (Castells 1996). I modi di sviluppo incidono profondamente
sul complesso dei comportamenti sociali, compresa naturalmente la comunicazione
simbolica. Poiché l’informazionalismo è fondato sulla tecnologia della conoscenza e
dell’informazione ne consegue che dovremmo aspettarci la nascita di forme
storicamente nuove di interazione sociale, controllo sociale e mutamento sociale.
Le nuove tecnologie dell’informazione, trasformando i processi di trattamento
delle informazioni, intervengono in tutte le sfere dell’attività umana e consentono la
creazione di infinite connessioni tra campi diversi. Sorge così un’economia
interconnessa in rete, profondamente interdipendente, che sempre più acquisisce la
capacità di applicare il proprio progresso in tecnologia, conoscenza e gestione della
tecnologia. L’economia è informazionale perché la produttività e la competitività di
unità o agenti all’interno di questa economia dipendono in modo sostanziale dalla
propria capacità di generare, elaborare e applicare con efficienza informazione basata
sulla conoscenza. Certamente, informazione e comunicazione sono sempre state
componenti fondamentali della crescita economica e tuttavia oggi il nuovo paradigma
permette all’informazione stessa di divenire il prodotto del processo di produzione
(Castells 1996).
25 A partire dai lavori Castells, molte altre sono state le pubblicazioni che né hanno
specificato i contorni economici e sociali. In particolare André Gorz, nel 2003,
riprendendo in parte le considerazioni fatte da Jeremy Rifkin19 sulla trasformazione
del mercato del lavoro e alcune delle annotazioni fatte in suo precedente lavoro del
199220, specifica quali elementi stavano incidendo sul mercato del lavoro in seguito
all’affermazione dell’economia informazionale basata sulla conoscenza.
Con un testo dal titolo quantomeno esemplificativo, L’immateriale, Gorz è tra
coloro che sostiene che la crisi del lavoro, e la relativa trasformazione delle forme
lavorative, non derivano da una crisi dell’intera modernità, essi sono piuttosto il
frutto della crisi stessa del concetto di valore del lavoro. Noi non abbiamo crisi della
modernità e non abbiamo a che fare con la necessità di modernizzare i presupposti su
cui si fonda la modernità, la crisi attuale deriva dalla crisi della razionalizzazione del
lavoro e della razionalità economica (Gorz 2003).
Il capitalismo moderno, centrato sulla valorizzazione di grandi masse di capitale
fisso materiale, è sostituito sempre più rapidamente da un capitalismo postmoderno
centrato sulla valorizzazione di capitale detto immateriale. L’informatizzazione
dell’industria tende a trasformare il lavoro in gestione di un flusso continuo di
informazioni, l’operatore deve dedicarsi in continuazione a questa gestione dei flussi,
a prodursi come soggetto per assumerla. La comunicazione e la cooperazione tra
operatori sono parte integrante della natura del lavoro. Il cuore della creazione del
valore diventa il lavoro immateriale21.
Il valore di una merce non è dunque più indicato o determinato, come vuole la
tradizione marxista, dalla quantità di lavoro sociale generale che contengono ma,
principalmente, dal contenuto di conoscenze, d’informazioni, d’intelligenza generali.
La conoscenza, l’informazione diventano la principale sostanza sociale comune a tutte
le merci che, a differenza del lavoro sociale generale, non può essere tradotta e
misurata in unità astratte semplici. Non è quindi riducibile a una quantità di lavoro
astratto di cui sarebbe l’equivalente, il risultato o il prodotto (Gorz 2003). Essa copre
e designa una grande varietà di capacità eterogenee, vale a dire senza comune misura,
tra le quali il giudizio, l’intuizione, il senso estetico, il livelli di formazione e di
informazione e via discorrendo. Questa eterogeneità delle attività di lavoro, definite
da Gorz come attività cognitive, rendono non misurabile tanto il valore delle forzelavoro quanto quella dei loro prodotti (Gorz 2003). Il punto è l’impossibilità di
misurare e standardizzare tutti i parametri, così da far saltare tutti gli schemi di
valutazione del lavoro, di conseguenza, la crisi della misura del lavoro comporta
inevitabilmente la crisi della misura del valore.
Come misurare dunque un valore immateriale come la conoscenza o
l’informazione? Per rispondere a questo quesito Gorz riprende un concetto di
19
Rifkin J., La fine del lavoro. Il declino della forza lavoro globale e l'avvento del post-mercato,
Baldini&Castoldi, 1995.
20
Gorz A., Metamorfosi del lavoro. Critica della ragione economica, Bollati Boringhieri, Torino,
1992.
21
Gorz sottolinea che il lavoro immateriale non si basa principalmente sulle conoscenze dei suoi
prestatari, esso si basa innanzitutto su capacità espressive e cooperative […] E’ questa una delle grandi
differenze tra i lavoratori delle manifatture e delle industrie taylorizzate e quelli del postfordismo (Gorz
2003, pp. 13-14).
26 Rullani, molto noto tra gli studiosi di sociologia economica e che negli ultimi anni ha
incominciato a fare da sfondo interpretativo anche tra coloro sono maggiormente
legati alla tradizionale lettura economica del mercato del lavoro. Per Rullani (2000),
come per Gorz, il valore di scambio della conoscenza è interamente legato alla
capacità pratica di limitare la libera diffusione, cioè di limitare con mezzi giuridici (o
monopolistici) la possibilità di copiare, di imitare, di reinventare, e di apprendere le
conoscenza altrui. In altre parole il valore della conoscenza non deriva dalla sua
scarsità naturale ma soltanto dai limiti imposti, istituzionalmente e giuridicamente,
all’accesso alla conoscenza, quindi il valore discende e deriva dalla capacità di un
potere di limitare temporaneamente la diffusione e di regolamentare l’accesso22.
Allo stesso modo anche Dahlgren si interroga sugli effetti di una commistione tra
mercato e informazione ma, a differenza di Gorz e Castells, la sua analisi mette in
allerta su una eccessiva intrusione del capitale nei processi di informatizzazione della
società. In particolare, Dahlgren punta il dito sui diversi tentativi, espliciti e non, di
privatizzazione del sistema informazionale e sulla retorica che vuole intrecciare i
destini del mercato libero con la naturale evoluzione delle tecnologie
dell’informazione e della comunicazione. Dahlgren è convinto che un processo
graduale di privatizzazione del sistema informazionale, ed in particolare delle rete, ci
porterebbe sulla soglia di due possibili sviluppi: il primo è la mercificazione
(commodification) delle informazioni, con l’effetto di renderlo sempre più prezioso e
meno accessibile come bene e, in secondo luogo, la commercializzazione delle stesse,
portando con sé effetti non dissimili da quelli creati con i media precedenti, si pensi
alle corporazioni e alle tendenze monopolistiche e oligopolistiche che la storia dei
media ha già impartito come insegnamento.
La privatizzazione di un sistema informazionale - come ad esempio la rete avrebbe effetti catastrofici sotto il profilo democratico.
Innanzitutto essa alimenta e sostiene forme massicce di controllo e censura da
parte delle corporazioni. Infatti, Dahlgren sostiene che i promotori del mercato libero
attraverso la retorica della liberalizzazione fanno percepire tale privatizzazione come
una delle migliori pratiche per lo sviluppo della partecipazione democratica attraverso
le ICTs. Vedono la privatizzazione e l'attività del mercato come una attività neutrale
ed indicano in essa un meccanismo di regolazione capace di limitare il controllo dello
stato. Questa retorica vede la democrazia e la sfera pubblica come qualcosa di
compatibile con il consumo capitalistico, fortemente criticato e contestato dagli
economisti della politica. Egli sostiene che il mercato non può essere compatibile con
uno sviluppo democratico della rete. Il mercato non può far altro che creare
meccanismi di controllo e censura di tutte le sfere dell'agire sociale. La privatizzazione
di un sistema come la rete non può supportare una crescita del potenziale
democratico, sarebbe controproducente, ma interverrà solo sul potenziale profitto che
le diverse corporazioni possono avere (Dahlgren 1998).
22
Il tema del diritto all’accesso e della limitazione istituzionale e giuridica dell’informazione e della
conoscenza sarà trattato nel prossimo capitolo. Per approfondimenti si veda Lessig L., Cultura Libera:
un equilibrio fra anarchia e controllo, contro l’estremismo della proprietà intellettuale, Editore Apogeo,
2005.
27 Oltre a questa tendenza dai confini totalitari, Dahlgren sottolinea un ulteriore
effetto se nel caso dovesse affermarsi il privato sugli sviluppi futuri della tecnologie
dell’informazione e della comunicazione. La commercializzazione e la mercificazione
portano alla formazione di una nuova classe basata sulla redistribuzione ineguale delle
risorse informative e comunicazionali, rafforzando in questo modo la struttura
ineguale del capitalismo globale e creando le premesse per una nuova élite
tecnocratica ed economica. Una nuova classe dunque che oscilla tra il marketing ed il
sapere tecnologico esperto.
L’affermazione di una nuova élite porterebbe delle pericolose ricadute sulla libera
circolazione delle informazioni e sui relativi diritti tutelati da gran parte delle
costituzioni occidentali ma, soprattutto, avrebbe delle conseguenze dirette sull’accesso
e la redistribuzione delle risorse informative rafforzando quel fenomeno meglio
conosciuto come Digital Divide.
Un ultimo punto sul quale Dahlgren pone l'accento riguarda la privatizzazione
delle interazioni che avvengono online. Le interazioni online si stanno strutturando
sempre di più attraverso imperativi commerciali. La privatizzazione dell'interazione
segue meccanismi del tutto diversi dall'ideale di sfera pubblica, infatti il cittadino
attiva delle forme di bene pubblico del tutto individuali, la partecipazione alla sfera
pubblica è costruita come consumo e orientata alla massimizzazione del piacere
individuale. Questo tipo di sviluppo rafforza l'apatia ed il cinismo politico
alimentando modelli consumistici della politica. Per Dahlgren ci troviamo davanti ad
una colonizzazione del cyberspazio da parte del capitale. Una tesi che trova negli
ultimi mesi ha trovato dei rilevanti riscontri empirici23.
Più vicino alla visione interpretativa di Castells appare invece Yochai Benkler,
professore della Yale Law School e autore de La ricchezza della rete (2006). Entrambi
si muovono su un piano interpretativo economico, prediligendo la rete come
metafora e morfologia del nuovo assetto di tipo informazionale, e ancora entrambi
vedono nella economia informazionale una rottura storica insanabile con il
precedente modello di sviluppo di tipo industriale. Benkler però, fin dalla prefazione,
prende comunque le distanze dai lavori di Castells, sostenendo che la sua analisi si
differenzia su un aspetto cruciale: mentre Castells fa sì che Internet rientri in
un’analisi di più ampio spettro, che vanno dalle reti di trasporto
all’industrializzazione, Benkler sostiene che il suo lavoro mette maggiormente
l’accento sulla coppia oppositiva di mercato e non-mercato. Riprendendo un suo
passo:
23
In una recente pubblicazione dal titolo Il controllo delle reti telematiche il CENSIS non esita a
definire e a valutare ad esempio la situazione italiana come un sistema d'innovazione estremamente
polarizzato su due realtà diverse e completamente opposte. Pur considerando il moltiplicarsi e
l’emergere di molteplici individualità, secondo il CENSIS in Italia esiste una moltitudine
estremamente attiva nei diversi campi della società della conoscenza e in tutte le sue articolazioni che
stenta a diventare minoranza creativa, imprenditoriale o professionale, a diventare energia vitale di
un’economia che si confronta con le sfide mondiali. A fare da limite e da contrappeso vi è un
oligopolio costituito da poche aziende e istituzioni che hanno l'interesse a rafforzare le loro posizioni
dominanti occupando quegli spazi che le nuove tecnologie offrono: dalla comunicazione, alle reti,
all'industria di contenuti creando verticalizzazioni e sinergie industriali (CENSIS 2007).
28 «Al cuore del cambiamento colloco le caratteristiche tecniche ed economiche dell’informazione e
delle reti di computer. Esse costituiscono l’asse attorno cui ruota il radicale decentramento della
produzione. Sottintendendo il passaggio da un ambiente informazionale dominato dall’agire
proprietario e di mercato a un mondo nel quale le transazioni non proprietarie e non commerciali
rivestono un ruolo sempre più importante accanto alla produzione commerciale. Questo settore non
proprietario emergente influenza l’intero ambiente informazionale nel quale gli individui e la società
vivono» (Benkler 2006 p. 23).
Benkler dunque riprende in parte le idee di Castells ma preferisce muoversi su un
segmento preciso dove il mercato deve fare i conti con un’economia emergente legata
a logiche non proprietarie, che lentamente hanno cominciato ad esercitare una
pressione sulle forme sociali esistenti. La peculiarità dell’economia della
computazione e della comunicazione, e il ruolo dell’informazione nelle economie
avanzate, hanno fatto dell’azione individuale e sociale non di mercato una vera e
propria prassi capace di far progredire i valori liberali (Benkler 2006).
Benkler muove le sue ipotesi a partire da tre osservazioni. Anzitutto le strategie
non proprietarie sono sempre state più rilevanti per la produzione di informazioni
che non nella produzione di acciaio o automobili. L’istruzione, l’arte e la scienza, il
dibattito politico e le dispute tecnologiche sono sempre state molto più legate a
motivazioni non commerciali o personali di quanto non fosse il caso, per esempio,
dell’industria dell’automobile. Man mano che vengono rimosse le barriere materiali
che incanalavano il ruolo delle motivazioni o delle forme organizzative le strategie
non proprietarie e non di mercato diventerà sempre più importante nel sistema di
produzione dell’informazione.
In secondo luogo, singoli individui sono in grado di raggiungere, informare,
educare milioni di persone in tutto il mondo. Prima questo era praticamente
impossibile per un individuo e il fatto che oggi questo sia alla portata di chiunque ha
permesso alla somma delle azioni individuali di produrre un nuovo ricco ambiente
informazionale.
La terza novità è l’affermarsi di grandi progetti cooperativi su larga scala dediti alla
produzione orizzontale di informazioni, conoscenza e cultura. Un esempio è dato
dall’emergere del free software e del software open source. Questo modello non vale
più solo per le piattaforme software, ma si sta espandendo in tutti i settori
dell’informazione e della produzione culturale (Benkler 2006).
Per molti anni, con il termine economia dell’informazione si è indicata
l’importanza assunta dall’informazione come mezzo di controllo dei processi
produttivi, quindi strettamente connessa al controllo dei processi dell’economia
industriale. L’aspetto più importante dell’economia dell’informazione in rete è, per
contrappasso, la possibilità di rovesciare il suddetto centro di controllo dell’economia
industriale. In questa nuova fase è possibile trasmettere cultura sfruttando molte più
strade e meccanismo differenti, temporaneamente eclissati dalle economie di scala che
hanno favorito la crescita di mass media concentrati e controllati, sia privati sia statali
(Benkler 2006).
Due sono stati i cambiamenti fondamentali che hanno mutato profondamente
l’economia industriale e hanno sviluppato forme emergenti di agire economico.
Innanzitutto, nelle economie più avanzate il significato e la comunicazione umani
29 sono diventati l’output dominante. Nell’economia industriale l’informazione aveva un
ruolo legato alla produzione e contribuiva al funzionamento del sistema,
nell’economia informazionale essa diventa merce e valore della merce e assume un
ruolo di primordine nell’intero sistema economico. Il secondo punto riguarda la
trasformazione del capitale. Nell’economia dell’informazione il capitale fisico
necessario per esprimere e comunicare un messaggio è il personal computer connesso
alla rete, e, quindi, le funzioni di calcolo, immagazzinamento dati e comunicazione
sono ampiamente distribuite tra la popolazione degli utenti. Nel loro insieme, questi
cambiamenti destabilizzano la fase industriale dell’economia dell’informazione
rimuovendo i vincoli fisici che caratterizzavano il sistema industriale. La rimozione
dei vincoli fisici alla produzione effettiva di informazione ha fatto della creatività
umana e dell’economia dell’informazione i pilastri della struttura dell’economia in
rete producendo forme di agire economico del tutto nuove rispetto ai precedenti
sistemi economici.
Una delle più importanti conseguenze avute con l’affermazione dell’economia
dell’informazione è stata il potenziamento delle capacità individuali nell’azione
economica. Ciò è avvenuto per almeno tre diverse ragioni. In primo luogo,
l’economia dell’informazione potenzia la capacità di fare da soli e per se stessi.
Secondo, l’economia basata sull’informazione, supportata dalle tecnologie e in
particolare dal web, ha enormemente aumentato le possibilità di associarsi
liberamente con gli altri, senza essere costretti a organizzare le relazioni fra persone in
base al sistema di prezzi o ai tradizionali modelli gerarchici vigenti nelle
organizzazioni sociali ed economiche. Infine, nella struttura economica di tipo
informazionale vi è stato un potenziamento delle capacità e delle possibilità degli
individui di impegnarsi in organizzazioni formali che operano al di fuori della sfera
del mercato.
L’approccio economico si pone dunque come un processo a ventaglio, in quanto,
pur partendo da valutazioni e analisi di tipo economicistico non si sottrae nel
proporre interpretazioni sulle trasformazioni sociali e politiche che hanno attraversato
l’ultimo ventennio del secolo scorso. Come vedremo, questo modo di sviluppare le
analisi sulla società dell’informazione ha comunque caratterizzato anche gli altri
approcci che passeremo in seguito passeremo in rassegna.
4. L’approccio culturale: connettività, collettività e convergenza culturale
Pensare la società dell’informazione significa anche soffermarsi sugli aspetti legati
alla dimensione culturale. L’orientamento culturale all’analisi della società
dell’informazione ha tra le sue peculiarità quella di aver costruito un impianto
interpretativo a partire da molteplici e differenti settori disciplinari. A differenza degli
altri orientamenti, quello culturale non ha una tipica matrice teorica e concettuale
alla quale fare riferimento, esso segue piuttosto le peculiarità di diversi filoni culturali,
che possono provenire tanto dagli studi sulle comunicazioni di massa quanto dalla
sociologia della conoscenza. Come orientamento interpretativo, esso non esita ad
attingere termini e scenari provenienti dalla science fiction di Philip K. Dick o di
30 William Gibson, e non esclude nemmeno le ipotesi futurologiche poste da film
come Blade Runner di Ridley Scott o il più recente Matrix dei fratelli Wachowsky.
Sotto il profilo della saggistica, tra i precursori più rappresentativi di questo
orientamento analitico, Marshall McLuhan - e le sue intuizioni intorno al concetto di
Villaggio Globale - è sicuramente colui che ha notevolmente influenzato buona parte
delle letture culturali fatte intorno al tema della società dell’informazione. Il famoso
studioso canadese, con le sue teorie ai limiti della preveggenza, meglio e prima di
molti altri ha saputo raccontare e rappresentare le ricadute culturali dovute
all’affermazione dell’allora nascente società dell’informazione. L’etichetta Villaggio
Globale ha espresso con grande efficacia le profonde trasformazioni dovute alla
massificazione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione e, nello stesso
tempo, è riuscita a bypassare i circuiti accademici diventando un termine di
riferimento usato comunemente anche dall’uomo della strada.
Matterlat sostiene che McLuhan è stato il primo ad attualizzare per l’era
elettronica il vecchio sogno di un’umanità prebabelica. La sua etichetta di Villagio
Globale promuove definitivamente la nomenclatura globale – riservata per lo più alla
strategia militare – all’ambito civile24.
Derrick De Kerckhove - direttore del McLuhan Programm di Toronto e allievo
diretto del professore canadese - è colui che ne ha raccolto l’eredità intellettuale e che,
attraverso una attenta rilettura delle sue opere, è riuscito a dare nuova linfa alle idee
del noto studioso. I lavori di De Kerckhove prendono spunto da quel filone
interpretativo che fa capo al testo The Gutenberg Galaxy: The Making of Typographic
Man (1962) ma, come sottolinea lo stesso De Kerckhove, bisogna rielaborare e
approfondire alcune questioni teoriche lasciate in sospeso, effetto dell’evoluzione delle
tecnologie per l’informazione e la comunicazione sulle quali vale la pena riprendere il
dibattito.
McLuhan affermava che con la televisione, come con la radio, si aveva a che fare
con la seconda oralità di cui parlava Ong (1986) e che, sul piano politico, dava luogo
alla creazione dei grandi capi tribali che persuadevano attraverso la loro immagine e il
loro carisma più che attraverso i loro programmi di azione (McLuhan 1962). Oggi, il
regno della televisione, secondo De Kerckhove, è in esaurimento. Noi non siamo più
nel villaggio globale, esso dipendeva dalla dimostrazione permanente e continua di
uno stesso spazio fisico che ci veniva mostrato in televisione e che la televisione
comunicava in tutti gli angoli del pianeta. Con la possibilità di collegarsi on-line, non
abbiamo neanche più bisogno di vedere il luogo nel quale abbiamo un potere di
azione. È il fatto di avere simile potere di azione che ci globalizza25.
A partire da queste osservazioni, De Kerckhove sostiene che con la massificazione
delle nuove tecnologie per l’informazione e la comunicazione, e in particolare con
Internet, siamo di fronte a un doppio fenomeno: la connettività e la convergenza.
24
In particolare Matterlat sostiene che è attraverso un’autentica autopsia mediologica della guerra
del Vietnam che McLuhan riuscì a perfezionare la sua etichetta di Villaggio Globale. Primo conflitto
trasmesso in diretta, la guerra del Vietnam riuscì a dimostrare come l’immagine elettronica possa fare
la guerra e fare la pace.
25
De Kerckhove D., Vita V., I nodi della rete, in La Rivista, n. 10, Ottobre 2000.
31 Per connettività s’intende una sorta di seconda alfabetizzazione, dove la posta in
gioco è molto alta. È il testo a tornare in auge ed è il pensiero si divide fra la testa e lo
schermo con l'aiuto del testo. Ormai, il luogo privilegiato di trattamento
dell'informazione non sta più soltanto nella testa ma ugualmente su uno schermo, il
che ha per effetto di moltiplicare le risorse del pensiero mediante quelle della
macchina (De Kerckhove 2000).
Per la prima volta nella storia dei media e nella storia della cultura abbiamo un
sistema che permette di gestire nello stesso luogo l'informazione, senza tener conto
delle distanze. È la ragione per la quale, invece di limitarsi a una opposizione fra
individualizzazione e collettivizzazione della società, va aggiunto il nuovo termine
connettività, perché sulle tecnologie basate sulle reti, al contrario della televisione che
è davvero collettiva, c’è una pertinenza particolare fra i diversi soggetti che
intervengono nel trattamento dell'informazione online. Abbiamo a che fare con una
nuova configurazione psicologica, con una nuova possibilità sociale, con inedite
opportunità democratiche (De Kerckhove 2000).
La logica della tecnica numerica porta invece con sé quella della convergenza. Le
barriere e le frontiere tra i differenti mezzi di comunicazione audiovisivi e tra i loro
supporti e i loro principi ergonomici ed energetici sfumano. La convergenza dei
supporti facilita i processi d’integrazione (De Kerckhove 2000). Essa si verifica su tre
distinti livelli: 1) la convergenza dei contenuti, ovvero la numerazione che elimina le
differenze fra la natura delle sostanze; 2) la convergenza dei supporti, ovvero
l'integrazione che riunisce i differenti mezzi di comunicazione sotto regimi operativi
(diffusione, comunicazione, informatica) simili e contigui; 3) la convergenza degli
utilizzatori, meglio conosciuta con il nome di globalizzazione, che trasgredisce o
ignora le frontiere nazionali, linguistiche e culturali delle nazioni26.
Tecnica numerica, integrazione e globalizzazione, e non soltanto l'unione tecnica
dei contenuti, dei supporti e dei terminali, sono dunque la vera natura della
convergenza.
«La convergenza non è un unicum, né un universo prestabilito in cui si sovrappongono radio,
televisione, telefono, computer in un linguaggio omologato. La convergenza è, piuttosto, il nuovo
appassionante territorio del conflitto delle e nelle tecnologie dell'informazione e della conoscenza, dei e
nei saperi» (De Kerckhove 2000, p. 3).
Per De Kerckhove, nell’arcipelago delle nuove tecnologie per l’informazione e la
comunicazione, è la rete il regno della convergenza, essa non è quantificabile, non è
rigida, è complessità e può diventare caos se portata agli eccessi, ma è altrettanto vero
che se prendiamo oggetti, anche se di qualità mediocri, e li connettiamo tra di loro
c’è un inevitabile incremento della produttività che va al di là della semplice
addizione (De Kerckhove 1999). Quando sono collegati migliaia di computer tra di
loro in una rete, questi semplici nodi generano inevitabilmente un nuovo valore
aggiunto, una dinamica osservabile in tutti i campi del vivere umano e tecnologico.
«Per questo la frontiera dell'uomo è quella dell'intelligenza connettiva. Lo spazio di Internet viene
visto come vivo, vivo di una presenza collettiva, brillante, attiva e umana. Ogni singolo utente diventa
26
Ibidem 2000
32 una singola parte di un pensiero collettivo, non esiste un driver al pensiero ma il pensiero "emerge" e si
autorganizza sui contributi di ogni singolo utente» (De Kerckhove 1999).
Solitamente, al concetto di intelligenza connettiva formulato da De Kerckhove,
nella letteratura che predilige un’interpretazione culturale della società
dell’informazione, viene associato quello di intelligenza collettiva, elaborato qualche
anno prima da Pierre Lévy (1998). Secondo il filosofo francese:
«[…] le gerarchie burocratiche, fondate sulla scrittura statica, le monarchie mediatiche, che si
reggono sulla televisione e il sistema dei media, e le reti dell’economia internazionale, che impiegano il
telefono e le tecnologie del tempo reale, mobilitano e coordinano solo parzialmente le intelligenze, le
esperienze, le tecniche, i saperi e l’immaginazione degli esseri umani. Ecco perché chi si pone con
particolare urgenza la questione dell’invenzione dei nuovi meccanismi di pensiero e di negoziazione,
che possano far emergere vere e proprie intelligenze collettive» (Lévy 1998).
L’intelligenza collettiva punta non tanto al dominio di sé da parte della comunità
umane quanto piuttosto ad una rinuncia essenziale riguardo all’idea stessa di identità,
ai meccanismi di dominio e controllo dei conflitti, alla liberazione di una
comunicazione confiscata, al reciproco rilancio di pensieri isolati (Lévy 1998) .
Pierre Lévy, al pari di De Kerckhove, mette dunque in stretta relazione scrittura e
nuove tecnologie. Grazie alla scrittura si è raggiunta - soprattutto nella cultura
occidentale - una maggiore efficacia comunicativa e un’organizzazione più estesa dei
gruppi umani rispetto a quella permessa dalla parola pura e semplice. Il problema
dell’intelligenza collettiva consiste dunque nello scoprire o nell’inventare un al di là
della scrittura:
«[…] qualcosa che si collochi oltre il linguaggio in modo tale che il trattamento dell’informazione
sia distribuito ovunque e ovunque coordinato e non sia più prerogativa di organi sociali separati, ma si
integri in maniera naturale nella totalità delle attività umane, in modo da tornare nelle mani di
ognuno» (Lévy 1998, p. 20).
In questa nuova dimensione comunicazionale dove la convergenza e la possibilità
di scambiarsi reciprocamente un numero sempre maggiore di informazioni diventano
i presupposti minimi, anche per Lévy, la rete è l’ambiente e il contesto di riferimento
nel quale l’intelligenza collettiva può svilupparsi. La cultura di rete però non è ancora
consolidata, «le sue potenzialità tecniche sono ancora allo stadio iniziale, la sua
crescita non è ancora terminata. Siamo ancora in tempo per riflettere collettivamente
e tentare di dare forma al corso degli eventi» (Lévy 1999, p. 37).
La visione di Lévy è rivolta a comprendere i processi che caratterizzano
l’evoluzione della società dell’informazione con l’obiettivo di far confluire
l’interpretazione culturale su punti di analisi e lettura capaci di orientarne
l’evoluzione. Oltre alle ripercussioni di tipo economico, per il filosofo francese è
prioritario mettere in luce le grandi possibilità di civilizzazione legate all’emergere del
multimedia: nuove strutture di comunicazione, di regolazione e cooperazione,
linguaggi e tecniche intellettuali inedite, il cambiamento dei rapporti con il tempo e
lo spazio ecc.
Non si tratta, dunque, di ragionare esclusivamente in termini di impatto (quale
sarà l’impatto delle autostrade dell’informazione sulla vita politica economica o
33 culturale) ma anche di progetto (per quali fini sviluppare le reti digitali di
comunicazione interattiva?). Di fatto le decisioni tecniche, l’adozione di norme e di
regolamenti, le politiche tariffarie, contribuiranno, lo si voglia o no, a dar forma
all’impianto collettivo della sensibilità, dell’intelligenza e del coordinamento che
andranno a costituire domani l’infrastruttura su scala mondiale (Lévy 1999).
La forma e il contenuto delle tecnologie dell’informazione e la comunicazione
basate su sistemi di rete sono per Lévy ancora parzialmente indeterminati e, stando al
corso degli eventi, lo saranno ancora per molto tempo ancora. In materia non esiste e
non può esistere alcun determinismo tecnologico o economico semplice e a partire da
ciò si prospettano ai governi, ai grandi operatori economici, ai cittadini delle scelte
politiche e culturali fondamentali.
«Come i progressi della biologia e della medicina ci costringono a un ripensamento del nostro
rapporto con il corpo, la riproduzione, la malattia, la morte. Nello stesso tempo anche lo sviluppo
delle nanotecnologie capaci di produrre materiali complessivamente intelligenti potrebbero da cima a
fondo cambiare il nostro rapporto con il fabbisogno naturale e con il lavoro. Allo stesso modo le nuove
tecniche di comunicazione, attraverso mondi virtuali, ripropongono in modo diverso i problemi del
legame sociale» (Lévy 1999, p. 99).
L’approccio culturale si pone dunque su una dimensione analitica che contempla
più livelli di analisi e interpretazione. Esso tiene conto tanto il rapporto che le
tecnologie hanno con la produzione culturale in senso stretto - si pensi alla
convergenza e alla connettività – quanto l’effetto prodotto sul piano della produzione
sociale della cultura.
La produzione culturale, sia quella testuale che quella audio-visuale, con l’avvento
della società dell’informazione si è trovata davanti ad una riformulazione delle
tecniche portando con sé delle trasformazioni anche sul piano della percezione e della
valutazione stessa della cultura, fino a rinnovare – se non addirittura stravolgere – il
senso estetico che aveva fatto da sfondo alla modernità.
Sulla base di queste considerazioni, Lev Manovich nel saggio Il linguaggio dei
nuovi media (2002) dimostra quanto le nuove tecniche audio-visuali possano avere
delle ricadute sotto il profilo della produzione culturale e della rappresentazione della
stessa. Nel fare ciò Manovich pone in relazione le tecnologie per l’informazione e la
comunicazione a diverse altre aree della cultura, passate e presenti:
• alle arti e ai media tradizionali e quindi al linguaggio e le loro strategie per
organizzare le informazioni e strutturare l’esperienza dello spettatore;
• alla tecnologia informatica, alle proprietà materiali del computer, alle
modalità con cui viene utilizzato nella società moderna, la struttura della sua
interfaccia e le principali applicazioni;
• alla cultura visiva contemporanea, l’iconografia, l’iconologia e l’esperienza
vissuta dall’utente dei diversi ambiti visuali della nostra cultura (moda pubblicità,
supermercati e oggetti artistici, programmi televisivi e banner pubblicitari, uffici e
tecno club);
• alla cultura dell’informazione contemporanea.
Secondo Manovich, la computerizzazione della cultura svolge due funzioni
importanti: contribuisce alla nascita di nuove forme culturali, come i videogiochi e i
mondi virtuali, e ridefinisce quelle preesistenti, come la fotografia e il cinema,
34 bisogna quindi analizzare anche gli effetti della rivoluzione informatica sulla cultura
visuale in generale.
Il concetto di cultura dell’informazione è parallelo al concetto di cultura visiva,
include le modalità con cui vengono presentate le informazioni nei diversi oggetti
culturali e nei diversi ambiti: cartelli stradali, display ubicati negli aeroporti e nelle
stazioni, menu televisivi, layout grafici dei telegiornali. Se si vogliono comprendere
appieno le trasformazioni culturali che attraversano il sistema informazionale è
dunque fondamentale tenere presente la dimensione visuale e artistica, oltre che
linguistica, della cultura informatica.
L’orientamento analitico espresso da Manovich appartiene a quel filone
sociologico che poggia le sue radici sulle riflessioni dello studioso tedesco Walter
Benjamin. Infatti, nel testo L’opera d’arte nella sua riproducibilità tecnica (1936)
Benjamin aveva già evidenziato la stretta relazione che sussiste tra tecnica, tecnologia
e arte visuale. Per Benjamin, l’opera d’arte è sempre stata riproducibile, una cosa fatta
dagli uomini ha sempre potuto essere rifatta dagli uomini. La riproduzione tecnica
dell’opera d’arte è invece qualcosa di nuovo, che si afferma nella storia ad
intermittenza, a ondate spesso lontane l’una dalle altre, e con crescente intensità. In
questi periodi storici, insieme con i modi di esistenza delle collettività umane, si
modificano anche i modi e i generi della loro percezione. La percezione umana è
dunque organizzata sia in modo storico, intorno ai modi culturali, ma anche nel
medium in cui essa ha luogo (Benjamin 1936).
Questo passaggio evidenza quanto l’arte e la percezione dell’arte - e non solo debbano essere valutate in rapporto alle tecnologie e, più specificamente, al medium
vigente. Le tecnologie per l’informazione e la comunicazione, con a capo la rete, sono
oggi gli strumenti al quale fare riferimento se si vogliono comprendere le
trasformazioni tecniche e procedurali che attraversano tanto l’arte quanto la sua
interpretazione estetica27.
L’approccio culturale si pone dunque come punto di incontro di molteplici letture
disciplinari del sistema informazionale. Esso vuole collocarsi come un nuovo filone
interpretativo legato allo sviluppo delle tecnologie e alla relativa crescente
complessità, ma in realtà, l’approccio culturale, affonda le sue radici in quei settori
della teoria sociale che, sin dal positivismo di Comte, hanno da sempre caratterizzato
l’epistemologia della ricerca sociale.
27
A partire dalle intuizioni di Benjamin, Susca propone un’originale ed interessante lettura
culturale del sistema politico nella società dell’informazione. Il curatore del testo Immaginari postdemocratici (2006), si chiede se è possibile servirci dell’idea della riproducibilità - tanto cara a
Benjamin - dislocandola ed applicandola alla politica. Ovvero, che succede alla politica nell’epoca della
sua riproducibilità digitale? Già la televisione aveva contribuito ad operare un importante slittamento
dal leader idealtipico come figura sacra ed eroica al politico come uomo comune, e allo stesso modo
dobbiamo aspettarci una trasformazione del politico con l’avvento di tecnologie come la rete. Così
come il corollario dell’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica è il progressivo divenire
arte del pubblico, quello della politica nella sua riproducibilità digitale è la dissolvenza del politico nel
corpo sociale, il divenire (mondo) politico (del mondo) dell’intrattenimento dello spettacolo e del
consumo (Susca 2003, p. 111). Ogni medium porta con sé una nuovo paradigma relazionale e di
potere. Le tecnologie dell’informazione e la comunicazione basate su un sistema di reti sostengono,
secondo Susca, una riconfigurazione debole, orizzontale e decentrata del potere, in cui il cybernauta e
la comunità nelle quali è immerso divengono le figure protagoniste di questo nuovo scenario sociale.
35 Come vedremo nei prossimi capitoli, l’uso dell’approccio culturale, per
comprendere le profonde trasformazioni legate all’affermazione della società
dell’informazione, è stato spesso utilizzato tanto da intellettuali quanto da tecnici e
politici per spiegare – e molte volte motivare - la natura e la ratio di determinati
interventi e, come nel caso delle Information SuperHighways di Al Gore, addirittura
facendone un vero e proprio orientamento politico28.
5. L’approccio sociale: comunitarismo, identità e disuguaglianze digitali
L’approccio sociale è una delle piattaforme analitiche che più di tutte hanno
contribuito alla strutturazione dei diversi piani di azione e sviluppo della Information
Society. Sviluppatosi sugli inizi degli anni ’90, oggi occupa un ruolo di primordine
nella costruzione delle politiche pubbliche per lo sviluppo della società
dell’informazione, fino a diventare una delle linee di azione più perseguite dagli
esecutivi e dalle diverse istituzioni nazionali ed internazionali.
L’approccio sociale alla società dell’informazione ha comunque radici ben più
remote. Lo stesso Touraine rilevava che l’affermazione di un sistema basato
sull’informazione, oltre ai cambiamenti nella struttura produttiva, portava con sé
trasformazioni prevalentemente sociali, relative alle classi, alla stratificazione, ai
conflitti fino a coinvolgere il ruolo dell’individuo nella società. Allo stesso modo
Daniel Bell esprimeva le proprie perplessità concernenti l’informazione come risorsa
di potere29. Successivamente, molti altri autori si sono preoccupati di comprendere e
spiegare le problematiche sociali connesse alla crescente complessità tecnologica e
all’emergere di una economia informazionale (Porat 1977, Kranzberg 1985, Giddens
1984).
L’affermazione di una piattaforma concettuale comune e un ventaglio di lemmi
sui quali ragionare e procedere all’analisi è però andata configurandosi solo
nell’ultimo decennio del secolo scorso. È dunque solo dai primi anni ’90 che
possiamo cominciare a parlare di un approccio sociale alla società dell’informazione.
In realtà, è stato lo sviluppo sociale delle tecnologie dell’informazione e della
comunicazione a scandire i tempi e dettarne i presupposti minimi. In quegli anni,
l’allora vice presidente degli Stati Uniti Al Gore tenne il famoso discorso sulle
Information Superhighway nel quale presentò il programma di azione e di riforma
dell’amministrazione americana in senso tecnologico (Donati, Cubello 1999, Calise,
De Rosa 2003). Nello stesso periodo, esperienze pioneristiche come le community
network e le nostrane reti civiche stavano lentamente alterando le ICTs, in particolare
la rete, trasformandole in uno spazio dove anche semplici cittadini, dotati di piccole
competenze tecniche e pochi strumenti, potevano condividere e scambiare
28
Neologismo introdotto con il programma National Information Infrastructure
dell'amministrazione Clinton/Gore, (NII) di liberalizzazione dei servizi di comunicazione per poter
integrare tutti gli aspetti di Internet, CATV, telefonia, commercio, intrattenimento, sistemi di
informazione, insegnamento, etc. Per approfondimenti si veda Calise M., De Rosa R., Il governo
elettronico: visioni, primi risultati e un'agenda di ricerca, Rivista Italiana di Scienza Politica, n.2, 2003,
pp. 257- 284.
29
Si veda il paragrafo 1 di questo capitolo.
36 informazioni su temi specifici. Abbiamo quindi, da un lato, le prime risposte
politiche ai problemi sociali sollevati dalla società dell’informazione, si pensi al
Digital Divide e alle problematiche relative all’accesso, dall’altro, le prime e timide
esperienze comunitarie di partecipazione sociale, politica e civile attraverso le
tecnologie per l’informazione e la comunicazione.
In altre parole, la società dell’informazione cominciava a mostrare i primi segni di
una trasformazione che, oltre a coinvolgere la dimensione economica e culturale,
tendeva a incidere su alcuni dei concetti chiave cari alla tradizione sociologica.
A partire da queste considerazioni, è possibile suddividere l’approccio sociale in
due distinti orientamenti analitici. Un primo orientamento è per lo più legato alle
questioni concernenti la sfera relazionale delle tecnologie dell’informazione e la
comunicazione, dove le esigenze di comprensione e spiegazione erano rivolte a
chiarire le dinamiche sociali e politiche sottese a fenomeni quali la convergenza e la
connettività delle tecnologie (Rheingold 1994, Turkle 1996, Castells 1997). Un
secondo orientamento e invece maggiormente legato al problema dell’accesso e della
redistribuzione delle risorse informative, nel quale la definizione e la spiegazione delle
disuguaglianze, dovute alla crescente pervasività delle tecnologie per l’informazione e
la comunicazione, erano e sono le tematiche centrali da affrontare (Norris 1999,
Wilson 2000, Di Maggio, Hargittai 2003).
Lungo questo continuum, l’approccio sociale ha negli anni strutturato le proprie
considerazioni sul tema della società dell’informazione. Concetti come comunità,
identità, stratificazione, disuguaglianza sono stati al centro di molti studi e ricerche e,
tuttora, il dibattito teorico è ancora pienamente in corso.
Uno dei precursori più significativi dell’approccio sociale è senza dubbio Howard
Rheingold che, con il suo celebre Comunità Virtuali (1994), ha fornito gli elementi
essenziali per la comprensione e la spiegazione delle comunità formatesi e cresciute
con l’ausilio di uno strumento come quello della rete. Anche Sherry Turkle con La
vita sullo schermo (1996) ha inserito un importante tassello negli studi sulle comunità
virtuali e sui processi di formazione delle identità. Il suo testo ha infatti offerto un
primo studio sul rapporto identità/comunità, una dicotomia fondamentale negli
studi sociologici tradizionali.
«Lo schermo del computer è la nuova dimora delle nostre fantasie, erotiche e intellettuali. Stiamo
utilizzando la vita sullo schermo del computer per metterci a nostro agio con i nuovi modi di
considerare l’evoluzione, le relazioni, la sessualità, la politica, l'identità» (Turkle 1996, p. 22).
Prima dell’avvento della rete queste relazioni di trasformazione dell’identità
rapportate ad un computer avvenivano quasi sempre singolarmente, da uno a uno,
una persona sola con una sola macchina. Con la rete, Internet, questo rapporto
cambia. Il computer è diventato qualcosa di più di uno strumento: siamo in grado di
penetrare nello schermo riflettente. Possiamo comunque continuare a navigare da
soli, scoprire e progettare nuovi sistemi virtuali ma quando penetriamo nello schermo
riflettente sempre più spesso vi troviamo altra gente (Turkle 1996).
37 Castells nel testo Il potere delle identità30 (1997) riprende il dibattito rilanciando
alcuni passaggi circa lo stretto rapporto venutosi a creare tra identità e comunità nel
divenire tecnologico della società. Come chiarisce lo stesso autore sin dalla prefazione,
l’identità è un processo di costruzione di significato fondato su un attributo culturale,
o una serie di attributi culturali in relazione tra loro. Ogni individuo può assumere
molteplici identità, ma tale pluralità è causa di stress e contraddizioni perché essa va
distinta dai ruoli. I ruoli (madre, lavoratrice, vicino di casa ecc) sono definiti da
norme stabilite mentre le identità sono fonte di senso nelle azioni degli attori. In
breve, le identità si differenziano dai ruoli in quanto le prime organizzano il
significato mentre i secondi organizzano le funzioni.
A partire da queste brevi considerazioni, Castells concentra la sua analisi su quelle
che egli stesso definisce come identità collettive. L’ipotesi di base dell’autore è che
coloro che costruiscono l’identità insieme alle ragioni che li muovono, determinano
ampiamente il contenuto simbolico dell’identità stessa e il senso che essa ha per
coloro che vi si identificano o che se ne pongono al di fuori (Castells 1997).
Le identità collettive in una società di tipo informazionale si fondano, per la
maggioranze degli individui e dei gruppi sociali, su una disgiunzione tra locale e
globale e su una separazione fra potere ed esperienza collocati in diverse cornici
spazio-temporali. In queste condizioni la società civile si restringe e si disarticola
perché, afferma Castells, viene a mancare la continuità tra logica di produzione del
potere e logica dell’associazione e della rappresentanza in dati contesti sociali e
culturali. Di conseguenza, la ricerca di senso ha luogo nella costruzione di identità
difensive intorno a principi comunitari31. E’ dunque nell’analisi dei processi, delle
condizioni e dei risultati derivanti dalla trasformazione della resistenza comunitaria il
campo di una teoria del cambiamento sociale nell’età dell’informazione (Castells
1997). Il processo di costruzione dell’identità si nutre ancora dei presupposti che la
teoria sociale tradizionale aveva già ampiamente discusso, essi però vanno
riconsiderati alla luce dei nuovi rapporti emersi da un sistema di informazione e
comunicazione con caratteristiche del tutto diverse rispetto a quelli conosciuti nella
modernità.
Identità, gruppo sociale, ruolo, comunità sono quindi messi in relazione allo
sviluppo tecnologico della società. Caratteristiche come la convergenza, la reticolarità
o la connettività incidono profondamente nei processi di costruzione dell’identità, del
Sé o nei meccanismi relazionali, di inclusività e di appartenenza tipici delle comunità.
In questo contesto culturale, l’approccio sociale si è posto dunque il problema di
spiegare quali sono i rapporti che intercorrono tra individuo e ambiente sociale
30
Il testo citato è il secondo tomo della trilogia già precedentemente discussa.
Per meglio argomentare la sua ipotesi di costruzione sociale delle identità collettive, Castells
introduce una distinzione tra diverse forme e genealogie della costruzione delle identità. Vi sono
innanzitutto le identità legittimate, introdotte dalle istituzioni dominanti nella società per estendere e
razionalizzare il dominio degli attori sociali; identità resistenziali, generate da quegli attori che sono in
posizioni/condizioni svalutate e/o stigmatizzate da parte della logica di dominio e che quindi
costruiscono trincee per la resistenza e la sopravvivenza sulla base di principi diversi, se non addirittura
opposti, a quelli che formano le istituzioni della società; infine abbiamo le identità progettuali, si hanno
quando gli attori sociali costruiscono una nuova identità che ridefinisce la loro posizione nella società e
cercando di trasformare la struttura sociale nel suo complesso (cfr. Castells 1997).
31
38 ponendo le tecnologie di rete come lente fondamentale attraverso la quale leggere il
cambiamento.
Un ulteriore punto di riflessione che ha caratterizzato l’approccio sociale riguarda
l’accesso alle risorse informative. Come già evidenziato precedentemente, il tema delle
risorse informative è stato più volte sollevato dalla ricerca sociale e politica (Touraine
1969, Giddens 1984), ma la stretta connessione venutasi a creare sugli inizi degli anni
’90 tra accesso e tecnologie ha fatto si che gradualmente si creasse un preciso filone
intellettuale sul tema delle disuguaglianze digitali.
In verità, il tema dell’accesso nella ricerca sociale non è stato sempre al centro
dell’attenzione degli studiosi, esso si è alimentato a partire dal già citato discorso di Al
Gore che, oltre a dettare le linee guida dei provvedimenti infrastrutturali da attuare,
evidenziò anche le difficoltà sociali relative all’accesso imposte da un sistema basato
sull’informazione e la comunicazione. Il problema dell’accesso e delle disuguaglianze
digitali comincia così ad occupare un ruolo primario nelle linee di sviluppo, il Digital
divide fa così il suo ingresso ufficiale nelle agende politiche dei diversi esecutivi e dei
molteplici organi istituzionali internazionali.
Sotto il profilo terminologico il Digital divide è solitamente associato al rapporto
della Ntia (National Telecommunications and Information Administration) Falling
Through the Net: A Survey of the Have –nots in rural and Urban America32 (1994) ma,
come fa notare Sartori, a quel tempo si parlava di have-nots pensando ad altre
tecnologie – come il telefono o la televisione satellitare – considerate parte integrante
dell’infrastruttura di base di un paese rispetto alle quali non poteva mancare l’accesso.
Il merito del rapporto è stato dunque quello di aprire un vero e proprio filone di
studi legato all’analisi delle disuguaglianze nella società dell’informazione e, cosa
ancor più importante, ha avuto la funzione di orientare parte delle riflessioni verso la
rete, Internet, e le diverse applicazioni tecnologiche che andavano affermandosi in
quel periodo.
L’approccio sociale verso le disuguaglianze allarga dunque i suoi orizzonti teorici.
Internet diviene meta preferita di gran parte della analisi che accompagnavano la
teoria sociale sulle disuguaglianze digitali mentre l’accesso alla rete diviene il metro
attraverso il quale misurare, leggere e spiegare teoricamente ed empiricamente il
fenomeno del Digital divide.
Secondo Norris, il termine Digital divide ha circolato rapidamente all’interno della
comunità scientifica - e non solo - perché viene usato in maniera impropria per
qualsiasi forma di disparità all’interno delle comunità che vivono in rete. Esso è
invece un concetto multidimensionale che comprende tre distinti aspetti o fratture
che stesso la Norris definisce rispettivamente come globale, sociale e democratico.
Abbiamo dunque una frattura mondiale, ovvero la divergenza di accesso a Internet
tra paesi industrializzati e paesi in via di sviluppo; una frattura sociale, che riguarda la
distribuzione delle informazioni all’interno di ogni nazione; infine esiste una frattura
all’interno della rete tra quelli che mobilitano, coinvolgono e partecipano alla vita
pubblica e chi invece ne fa solo un uso passivo, spesso ludico e troppe volte legato
solo al semplice consumo (Norris 2001).
32
Il
testo
intero
del
rapporto
http://www.ntia.doc.gov/ntiahome/fallingthru.html
39 è
reperibile
al
sito
Di Maggio e Hargittai (2001) fanno notare che la scoperta di diversi divari digitali
è strettamente connessa alla domanda su che cosa fa la gente una volta che è entrata
in rete. In effetti, legare la ricerca sul Digital divide al semplice accesso è sempre meno
produttivo dal punto di vista analitico man mano che la quota di persone che
navigano cresce. Questo modo di leggere il fenomeno rende il Digital divide un
concetto intimamente legato allo sviluppo e all’uso che facciamo delle tecnologie per
l’informazione e la comunicazione. Con l’aumento della penetrazione delle nuove
tecnologie il divario in termini di accesso va inevitabilmente riducendosi e le
dimensioni relative alla qualità dell’uso diventano la base dalla quale partire per
comprendere il fenomeno.
Su questo punto la Norris sostiene che qualsiasi analisi rivolta all’accesso e alle
disuguaglianze digitali ha per sua natura una durata limitata che non può superare i
dieci anni. La tecnologia continua ad evolversi rapidamente, insieme con i suoi usi
sociali, e qualsiasi stima o proiezione e inevitabilmente superata dagli eventi.
Tuttavia, nonostante la necessità di una considerevole cautela, se siamo in grado di
stabilire il motore principale della diffusione di Internet, e capaci di dimostrare le
ragioni che stanno dietro all'adozione di teorie ed interventi tesi alla diminuzione
delle disuguaglianze ci troveremo in una posizione migliore per comprendere e
prevedere il probabile modello di sviluppi futuri, le potenziali conseguenze e anche le
iniziative politiche più probabili per superare le suddette fratture.
Hargittai propone quindi di andare oltre la semplice concezione dell’accesso e
sostiene che per comprendere e analizzare le disparità digitali bisogna attraversare
almeno quattro fasi:
1. Individuare le dimensioni della disuguaglianza33;
2. Documentare le differenze tra i gruppi che si vogliono analizzare;
3. Spiegare se vi sono precedenti di disuguaglianza nelle dimensioni prese in
analisi;
4. Modellare il rapporto sulle diverse forme di disuguaglianza individuate e fare
un lavoro di critica dei risultati ai quali si è pervenuti;
Sia Hargittai che Norris propongono dunque una visione che va oltre la
definizione dicotomica del fenomeno e maggiormente concentrata all’uso più che
all’accesso.
Il dibattito sull’uso della rete e le relative disuguaglianze ha comunque una
domanda di fondo alla quale la letteratura non ha ancora risposto in maniera
esauriente: in che modo quantificare, qualificare e interpretare le differenze nell’uso?
33
In un paper presentato alla Princeton University dal titolo From the 'Digital Divide' to 'Digital
Inequality': Studying Internet Use as Penetration Increases (2001), Hargittai espone e spiega come
procedere nella prima delle fasi da lui individuate. Nell’identificazione delle dimensioni si devono
richiamare almeno cinque punti. Il primo punto è la variazione di mezzi tecnici – hardware, software,
connessioni etc – che le persone possiedono per accedere. Il secondo punto è identificare la variazione
dell’autonomia dell’uso del Web. Per esempio se l'accesso è dal lavoro o da casa, se il loro utilizzo è
controllato o non monitorato, o se deve competere con altri utenti per usufruire della linea. La terza è
l'ineguaglianza nell’abilità nell’uso dello strumento. La quarta è l'ineguaglianza nel sostegno sociale
(social support) dal quale l’utente di Internet può attingere. Il quinto è la variazione della finalità per
cui le persone utilizzano la tecnologia.
40 Prova a dare una soluzione a questa domanda Sartori (2006), proponendo di
rileggere tali differenze con i già noti differenziali di conoscenza (knowledge gaps).
Questa prospettiva di analisi sociale ipotizza che gli individui in posizione privilegiata
saranno comunque i primi ad accorgersi dei vantaggi offerti dalle tecnologie e ne
possono sostenere anche i costi. Inoltre, siccome sono anche maggiormente
equipaggiati sotto il profilo educativo e culturale, sono proprio questi ultimi ad
elaborare in maniera efficiente le informazioni acquisite. Si tratta dunque di un
circuito virtuoso che interessa e privilegia chi già occupa posizioni elevate nella
struttura sociale, favorendo così un aumento delle differenze nelle dotazioni
individuali di capitale culturale (Sartori 2006).
Sartori fa notare che il meccanismo dei differenziali di conoscenza fu sottolineato
da Merton con il nome di «Effetto S. Matteo34». Con l’affermazione della rete questo
effetto è ancora più visibile. Chi ha acquisito esperienza nell’uso di Internet o, più in
generale, con l’uso delle tecnologie per l’informazione e la comunicazione riuscirà a
sfruttare e capitalizzare le opportunità offerte in misura superiore, grazie ad un uso
più sofisticato e ad una capacità di ricerca di informazione più articolata (Sartori
2006).
Questo spostamento graduale dall’accesso all’uso delle nuove tecnologie ha fatto si
che si ponessero problemi relativi all’accessibilità e alle problematiche di
coinvolgimento di determinati strati della società – come ad esempio i diversamente
abili - che potrebbero restare esclusi dall’evoluzione tecnologica. Secondo Maretti, i
concetti che regolano l'accessibilità alle risorse informatiche – a differenza dell’accesso
- si basano sul principio della progettazione universale35. Esso ha origine
nell'architettura, e ha come obiettivo la costruzione di edifici che soddisfino le
esigenze di tutti gli utenti, compresi quelli con disabilità. La costruzione di edifici di
questo tipo permette di evitare di dover effettuare interventi migliorativi a posteriori,
con soluzioni tecniche spesso inadeguate e con conseguenze estetiche disastrose
(Maretti 2003).
Il tema dell’accessibilità da issues con forti connotati sociali negli ultimi anni è
gradualmente diventato un argomento di tensioni teoriche anche nella sfera del
diritto, basta pensare ai diversi tentativi forniti da organi di diversa natura nel
progettare punti di riferimento giuridici e normativi che potessero garantire il diritto
all’informazione a tutti gli strati della società, a partire dai disabili36.
34
«[…] a chi ha verrà dato, in modo che abbia ancor più in abbondanza; ma a chi non ha, verrà
tolto anche quello che sembra avere», dal Vangelo secondo Matteo, XXV pp. 25-29.
35
Solitamente accessibilità è associato e talora confuso con usabilità. Va chiarito che accessibilità e
usabilità non sono sinonimi. Per accessibilità s’intende progettare un sistema, una tecnologia, un
software che possa essere utilizzato da tutti. Nel caso dei siti Internet anche da coloro che sono
costretti a usare periferiche specifiche, browser particolari o specifici software di supporto. Per
usabilità s’intende invece mettere l'utente al centro del processo di analisi e sviluppo del sistema, della
tecnologia o del software e tenere quindi conto della diversità delle sue esigenze specifiche, dalle diverse
modalità d'uso. In generale possiamo dire che l’accessibilità è un requisito della usabilità e può essere
letta come condizione necessaria ma non sufficiente.
36
In materia di accessibilità al Web esistono diverse proposte programmatiche e normative. In
questo contesto, vale la pena sottolineare le linee guida emesse dal Consorzio W3C reperibili al sito
http://www.w3.org/wai. Esse prendono il nome di WAI (Web Accessibility Initiative), e propongono
alcune regole universali, in base alle quali è possibile allestire siti Web consultabili da persone con
41 L’approccio sociale si è dunque dotato negl’anni di un vasto ventaglio teorico che
copre molteplici problematiche relative tanto all’uso quanto alle trasformazione
sociali dovute allo sviluppo del sistema informazionale. Sotto il profilo
paradigmatico, l’approccio sociale si pone sia come portatore di una certa tradizione
analitica, si pensi al rapporto individuo/comunità, sia come propulsore per la
formulazione di teorie che si preoccupano dei processi di innovazione sociale in atto.
Come dimostreremo nei successivi capitoli, l’approccio sociale sarà una delle vision
che ha maggiormente caratterizzato la definizione e la costruzione delle policies per la
società dell’informazion.
disabilità, o da utenti che non utilizzino.
42 CAPITOLO 2
Società dell’informazione, sfera pubblica e democrazia elettronica
Premessa
Nel descrivere i diversi orientamenti interpretativi abbiamo costatato che tutte le
dimensioni del vivere civile e sociale sono inevitabilmente connesse allo sviluppo delle
tecnologie dell’informazione e della comunicazione, e che il crescente grado di
pervasività delle stesse ha influito radicalmente sul nostro modo di concepire e
rappresentare l’intero sistema sociale ed economico. Con il termine società
dell’informazione noi tendiamo quindi ad indicare quel particolare sistema dove
l’informazione e la conoscenza diventano gli elementi sui quali ruotano gran parte
dalle attività umane e che, vista la dinamica evoluzione dello sviluppo tecnologico,
sono destinati a rivestire nella società un ruolo sempre più importante.
Anche nella scienza politica, il ruolo dell’informazione e della comunicazione è
una delle dimensioni di analisi focale per comprendere i cambiamenti e gli
orientamenti di un fenomeno politico, sia nelle sue caratteristiche strutturali e
istituzionali che nelle sue componenti valoriali e ideologiche (Bobbio 1994, Sartori
1997, Held 1987, 1995, Lowi 1999). In effetti, affermare che la relazione tra la
politica, l’informazione e la comunicazione è parte fondante dell’analisi politologica
non è affatto un’eresia, essa è piuttosto uno dei punti di dibattito sul quale la
disciplina si è maggiormente confrontata e che - soprattutto negli ultimi anni caratterizza buona parte delle analisi e delle ricerche.
L’interesse politologico per la società dell’informazione ha invece origini recenti.
Più precisamente, la società dell’informazione è entrata a far parte delle analisi
politiche quando la letteratura ha cominciato a relazionare i concetti chiave della
ricerca tanto alle opportunità quanto ai limiti che venivano offerti dalle ICTs (Barber
1985, Grossmann 1980, Rodotà 1997, Abramson, Arterton, Orren 1998, Dutton
2001). Sul piano teorico, la società dell’informazione ha dunque prodotto un nuovo
percorso di ricerca politologica, capace di rimettere in discussione concetti come
governo, opinione pubblica, partecipazione politica, fino a ridiscutere la democrazia e
le tradizionali pratiche di partecipazione e di decisione ad essa connessa.
Ed è proprio sul complesso legame tra le ICTs e la democrazia che negli ultimi
anni si è sviluppato uno dei dibattiti più intensi. Un tema che in realtà rappresenta
solo in parte una novità, in quanto l’idea che gli strumenti e le tecnologie
dell’informazione e della comunicazione ricoprano un ruolo rilevante nella
promozione della partecipazione politica nei sistemi democratici è comunque ben più
radicata (Dahl 1985, Sartori 1987, Rokkan 1982, Verba 1987, Rodotà 1997).
43 Tra le tecnologie e la democrazia esiste infatti uno dei legami più articolati che la
modernità abbia mai conosciuto. Un rapporto difficile da inquadrare storicamente
ma che sin dal XIX secolo ha caratterizzato la struttura dei rapporti tra le diverse
istituzioni (Matterlat 2003). Dall’introduzione del telegrafo elettrico che aprì un
primo spazio di flussi, passando per la prima linea ferroviaria apparsa in Inghilterra
nel 1830, attraverso l’avvio trasmissioni radiofoniche sugli inizi del XX secolo, fino
alla TV via cavo statunitensi degli anni ‘80 l’idea che le tecnologie abbiano un
carattere implicitamente democratico, universalistico e addirittura ecumenico non ha
mai abbandonato il pensiero sociale e politico moderno (Flichy 1996, Matterlat
2003).
Ne è convinto anche Benjamin Barber sostenendo che la modernità può essere
definita politicamente attraverso l'affermazione delle istituzioni democratiche, e
socialmente - oltre che culturalmente - attraverso la civilizzazione e la diffusione della
tecnologia. Sul ruolo futuro della democrazia noi non possiamo avere certezze,
viceversa possiamo con certezza affermare che in futuro vivremo in una società
dominata dalla tecnologia. Dalla scoperta del fuoco alla creazione dell'energia
atomica, tutte le tecnologie sono delle scoperte che non possono essere più nascoste,
regali degli dei che non possono essere restituite o cambiate (Barber 1999).
A noi rimane il difficile compito di tradurre il tutto in reali opportunità, in
strumenti capaci di garantirne l’uso efficacemente, creando e supportando
meccanismi di promozione e sedimentazione delle buone pratiche nel vivere civile e
sociale37.
La massiccia e rapida diffusione delle ICTs sul finire del secolo scorso, in una
inverosimile continuità con molte delle innovazioni che l’hanno preceduta, si è
dunque affermata anch’essa come un’era di promesse, speranze ed opportunità38. Sin
dalle prime formulazioni di carattere teorico, le tecnologie per l’informazione e la
comunicazione hanno evidenziato tratti e caratteri capaci di cambiare radicalmente il
nostro modo di intendere e concepire la democrazia. Attraverso la graduale
tecnologizzazione della società nuove forme di partecipazione politica e sociale si sono
gradualmente e lentamente affacciate e man mano istituzionalizzate come modalità
democratiche specifiche.
Abruzzese sostiene che questo processo si è affermato soprattutto come un
mutamento radicale delle forme della vita pubblica e privata, un mutamento che nella
sostanza non lascia inalterati i rapporti di potere esistenti. Le profonde trasformazioni
imputabili alla relazione tra l’espansione tecnologica e i processi democratici non
hanno i toni di una rivoluzione sulla quale riflettere, definire e magari esorcizzare gli
effetti sulla traduzione dei rapporti tra politica e new media (Abruzzese 2001).
Questo mutamento è invece il risultato più creativo del processo di rapida
destrutturazione che caratterizza il transito dalla società industriale alla società postindustriale ed è dunque il prodotto della crisi di ogni dispositivo e valore della
tradizione tardo-moderna, comprese le forme storiche della politica, i modi di
37
Sul rapporto tecnologia, modernità e democrazia si veda Flichy P., L'innovazione tecnologica Le
teorie dell'innovazione di fronte alla rivoluzione digitale, Feltrinelli, 1996.
38
Per approfondimenti si rimanda a Matterlat A., La comunicazione globale, Editori Riuniti, Roma,
1998.
44 produzione e di consumo dei regimi democratici, i linguaggi espressivi e le forme di
comunicazione39.
Democrazia e tecnologie dell’informazione e della comunicazione vivono dunque
un legame complesso e tuttora in via di definizione. Alla luce di questo dibattito,
negli ultimi anni - in Italia come in tutta Europa – nell’arco delle politiche per la
società dell’informazione sono state attivati una serie di interventi tesi a sviluppare
pratiche di partecipazione democratica attraverso l’uso delle ICTs.
In questo capitolo, discuteremo del contributo teorico che anche le discipline
politologiche hanno apportato sia alla riflessione che alla strutturazione delle suddette
pratiche. In particolare, si forniranno gli elementi minimi per comprendere le
motivazioni e la ratio di determinati interventi per la democrazia e la cittadinanza
elettronica nella società dell’informazione.
Nella prima parte, riprenderemo il dibattito sul concetto di sfera pubblica. Come
già evidenziato, le tecnologie dell’informazione e della comunicazione hanno rimesso
in discussione la distinzione pubblico/privato, è dunque essenziale rileggere la sfera
pubblica nelle sue caratteristiche essenziali, per poterne poi tracciare un quadro
esaustivo utile alla comprensione delle pratiche democratiche attraverso l’uso delle
ICTs. Nella seconda parte del capitolo, osserveremo i possibili scenari politici
delineati dalla letteratura e che possono mostrarsi come strumenti utili per l’analisi
delle pratiche democratiche nella società dell’informazione. Un esercizio che ci
permetterà di ripercorrere la letteratura e di toccare i punti più salienti del dibattito
che si è soffermato sulla definizione e la comprensione del complesso legame tra le
ICTs e la democrazia.
Attraverso l’analisi della letteratura di settore verranno poi discussi diversi modelli
interpretativi della democrazia elettronica. Negli ultimi anni molti autori si sono
soffermati sulle possibili configurazioni della democrazia nella sua estensione
elettronica, proponendo diverse tipologie di lettura del fenomeno. Appare dunque
opportuno riprendere i modelli più rappresentativi in modo da fornire una cornice
interpretativa che contempli le diverse dimensioni analitiche del fenomeno.
Il capitolo si concluderà con una riflessione teorica e concettuale sull’affermazione
dei diritti di cittadinanza elettronica. La creazione di nuovi istituti volti alla garanzia e
alla tutela dei diritti di cittadinanza nella società dell’informazione si è affermata
come una delle prospettive teoriche e politiche più controverse e dibattute. Un
contesto nel quale la nozione di cittadinanza e i relativi diritti sono stati riletti in
rapporto alla crescente complessità delle tecnologie dell’informazione e la
comunicazione.
39
Abruzzese riconosce comunque che il grado di interattività e di multimedialità, acquisito con la
diffusione dell’informatica e della telematica, possa avere degli importanti risvolti sotto il profilo
democratico. Essa costituisce un salto tecnologico straordinario rispetto ad ogni altro stadio del sistema
industriale […] può quindi servire per distruggere o rafforzare i vecchi soggetti e le vecchie forme della
società industriale.
45 1. Sul concetto di sfera pubblica: dalla polis, attraverso i media, fino al
ciberspazio
La crescente pervasività delle nuove tecnologie ha indotto molti studiosi a ritenere
che la sfera pubblica – intesa come il luogo dove sedimentano e circolano idee,
opinioni, punti di vista, emozioni e dove avviene l'attività di interscambio fra stato e
società - sia ormai irrimediabilmente mutata e che i tradizionali paradigmi di
interpretazione delle attività pubbliche vadano rivisti alla luce delle trasformazioni
prodotte dalle tecnologie per l’informazione e la comunicazione.
Come la stampa ha preparato il terreno per la creazione degli Stati nazionali e per
lo sviluppo dell'opinione pubblica nazionale, così la rete telefonica globale, la
televisione satellitare e in seguito la diffusione di Internet su scala mondiale stanno
creando un nuovo spazio pubblico che sta profondamente trasformando le condizioni
di governo (Matterlat 1998, Flichy 1996, Lévy 2006).
Il concetto di sfera pubblica è dunque strettamente connesso alle trasformazioni
prodotte dall’evoluzione delle tecnologie per l’informazione e la comunicazione,
inoltre, in quasi tutte le sue formulazioni teoriche, la stretta relazione con la
dimensione comunicazionale è un elemento imprescindibile. A questo punto appare
inevitabile ripercorrere i passaggi teorici più importanti sul concetto se si vuole
comprendere a pieno la stretta relazione che intercorre tra sfera pubblica e tecnologie
per l’informazione e la comunicazione.
Dal punto di vista concettuale, sfera pubblica è indissolubilmente legato al nome
di Jürgen Habermas. Sono in molti a sostenere che l’autore tedesco sia stato l’unico a
formulare e ad elaborare una teoria compiuta su tale concetto e che i suoi lavori, a
partire dal celebre Storia e Critica dell'opinione pubblica (1977), abbiano
enormemente influenzato ed orientato gran parte delle riflessioni che si sono
occupate dell’argomento.
Senza mai pervenire ad una visione condivisa, la ricerca ha comunque negli anni
mostrato un certo interesse sui criteri attraverso i quali siamo arrivati a definire di
sfera pubblica così come oggi la conosciamo. Infatti, a partire dallo stesso Habermas,
uno dei punti più dibattuti sul concetto di sfera pubblica riguarda la sua genesi, e la
domanda che i teorici si sono posti maggiormente è se la sfera pubblica sia un
concetto essenzialmente legato alla modernità e se le sue origini sono da ricercare o
meno in altri contesti e in altri periodi storici. Su questo punto molte sono state le
visioni e diversi i tentativi di spiegazione. In letteratura non abbiamo dunque una
teoria altrettanto elaborata, e la presenza di altri modelli appaiono come dei semplici
surrogati, ricavati da congetture teoriche e strutturali ripresi indirettamente da
approcci che, in generale, hanno dimostrato uno scarso interesse per la nozione
(Privitera 2001).
Ad una prima approssimazione possiamo affermare che la sfera pubblica, così
come la concepiamo oggi, è un prodotto essenzialmente moderno e l’idea di base è
che la sfera pubblica nasce e si sviluppa con il rafforzarsi delle istituzioni
democratiche rappresentative e con l'evoluzione del concetto di pubblico. Vi è su
questi punti un generale accordo. L'esperienza della polis greca è stata certamente una
delle esperienze partecipative storicamente più significative, capace di influenzare il
pensiero di autori come lo stesso Tocqueville, ma essa era priva di qualsiasi
46 dimensione che possa dirsi realmente normativa (Arendt 1962, Dahl 1977, Sartori
1957). In realtà la polis era strutturata in modo che le disuguaglianze strutturali non
fossero evidenti sul piano della partecipazione politica, essa si basava su una netta
separazione tra la sfera politica e quella domestica e mentre la libertà risiedeva
esclusivamente nella sfera politica, la sfera domestica era il luogo dove vivevano e
sedimentavano le disuguaglianze. Nella sfera domestica non vi era dunque libertà,
essa non esisteva. Il capofamiglia era l'unico depositario delle libertà ed era l'unico
che poteva partecipare alle attività politiche. La libertà del cittadino era legata ai
legami di parentela, di vicinato o di amicizia. Vi era una quasi totale assenza di diritti
individuali, infatti, il cittadino poteva si partecipare e discutere dei problemi comuni,
ma solo nella misura in cui non si problematizzava la polis come unico modello di
comunità e non si metteva in discussione la supremazia della stessa. Per fare ciò c’era
bisogno di un istituto democratico sopraggiunto solo con l'avvento della modernità,
il diritto di libertà individuale (Arendt 1962). I teorici della democrazia moderna
hanno subìto il fascino della polis per via delle sue caratteristiche, come l'uguaglianza
nella partecipazione e nell'accesso al discorso pubblico e alle sue decisioni, la
distinzione netta tra oratori e ascoltatori e la limitata sproporzione di risorse tra i
cittadini. È in questo senso che la polis ha certamente esercitato una discreta influenza
sulle concezioni moderne di democrazia, soprattutto per via del nucleo normativo che
la caratterizza, ovvero l'uguaglianza come reciprocità (Arendt 1962, Dahl 1977,
Habermas 1971).
A partire da queste considerazioni potremmo dunque azzardare un’ipotesi meno
rigida, e cioè che la sfera pubblica non è un prodotto moderno, essa è piuttosto il
frutto di un lento processo cominciato nelle città-stato greche e che nella modernità
ha avuto la sua massima espressione.
La sfera pubblica quindi nasce nell’antichità ma si sviluppa solo con l’affermazione
della modernità. Infatti, Privitera ad esempio ritiene che la sfera pubblica moderna è
il risultato di almeno tre grandi trasformazioni che nel corso della storia hanno
contribuito a strutturare la sfera pubblica. La prima grande trasformazione riguarda la
rivoluzione giuridica avvenuta con l’affermazione del diritto canonico. Attraverso
l’affermazione del diritto canonico il diritto cessa di essere soltanto strumento di
regolazione di concreti rapporti sociali di potere, e diventa anche un corpus
dottrinario sistemico che trae la propria coerenza da principi generali. È attraverso
Rousseau e Kant che il diritto acquisisce una funzione sovraordinata al dominio
politico creando le premesse per attribuire alla sfera pubblica quella funzione di
sovrano e di giudice morale che oggi le assegniamo (Privitera 2001).
La seconda trasformazione fa riferimento al graduale processo di
individualizzazione, attraverso il quale la sfera pubblica è andata lentamente
frammentandosi. In questo contesto, la sfera politica è divenuta autonoma
differenziandosi così da quella economica indicando in questo modo una graduale
emancipazione del singolo dall'autorità politica. L'identità del cittadino non si forma
più in esclusiva e indiscutibile indipendenza dal contesto fattuale delle leggi e delle
tradizioni della propria città, ma nell'ambito più astratto, di una identità orientata a
principi generali di orientamento all'agire (Privitera 2001). Infine la terza
trasformazione riguarda i media che rappresentano una spinta dal concreto
47 all'astratto, trasformando lo spazio pubblico da un contesto assembleare di tipo
dialogico in un nesso di comunicazione mediato senza limiti di tempo o spazio.
A partire da queste riflessioni Privitera traccia due modelli di sfera pubblica che,
anche senza una vera e propria stesura, sono emersi nell'arco della modernità.
Abbiamo innanzitutto un modello liberale di sfera pubblica dove l’individuo è
l’espressione di una razionalità economica e di mercato e quindi inevitabilmente il
soggetto è inteso come un puro agente economico in opposizione alla sfera politica.
L’individuo liberale viene concettualizzato come titolare dei diritti di una sfera
privata insondabile e insindacabile che non può essere fatta oggetto di discussione
pubblica. Un approccio che inevitabilmente comporta un rafforzamento sul ruolo e le
funzioni di quelli che sono concepiti come attori sociali collettivi, percepiti come i
soli capaci di difendere gli interessi contesi. La sfera pubblica risulta così come un
campo di aggregazione e di scontro di interessi di gruppo che si rappresentano
pubblicamente con l’obiettivo di ottenere consensi da tradurre in voti e quindi, in
proporzione al loro numero, in controllo delle istituzioni della sfera politicoamministrativa (Privitera 2001).
Nel modello liberale la sfera pubblica ha in particolare la funzione di osservazione,
controllo e limitazione del potere statale. Il pubblico è da questo punto di vista
l'istanza principale di controllo del potere. Il modello liberale incontra però dei limiti
nel momento in cui cerca di spiegare la funzione e l'utilità dei discorsi pubblici e
l'impatto che hanno sulle vedute dei singoli. La sfera pubblica finisce con il rientrare
nel più ampio quadro concettuale relativo all'ordine e alla coesistenza in comune.
Come sottolinea lo stesso Privitera, essa sembra ignorare il valore della discussione
pubblica.
Il modello repubblicano invece propone una nozione profondamente politica di
individuo, incentrata sulla sua capacità di costruire socialmente la propria identità nel
corso dei processi pubblici di autodefinizione. Infatti, nel modello repubblicano i
diritti politici di maggiore peso sono i diritti positivi di partecipazione che si
esercitano in un quadro di democrazia deliberativa. L’obiettivo principale del
processo politico nel modello repubblicano non è quello di pervenire al controllo
delle leve amministrative del potere statale quanto quello di acquisire e tenere vivo un
potere comunicativo e delle virtù civiche che si pongono come tendenzialmente
antagonistici nei confronti del potere politico amministrativo dello stato. Il dialogo è
concepito come un elemento attraverso cui i cittadini formano la propria identità e la
propria volontà politica.
In sintesi, si può affermare che il modello repubblicano si caratterizza soprattutto
per la sottolineatura della centralità di tutti i problemi di tipo identitario e per la forte
connotazione etica, morale e civile dei cittadini. Il tema delle virtù civiche
rappresenta la forza ma nello stesso tempo anche l’aspetto più problematico del
modello repubblicano40. Inoltre nell’approccio repubblicano è evidente l’impossibilità
40
Sul tema delle virtù civiche nella modernità ed i relativi problemi nell'affermazione e nella
determinazione delle stesse vi è una vasta letteratura che se ne è occupata. Solo per citarne alcuni:
Baumann Z., Modernità Liquida, Laterza, Roma-Bari, 2002; Bell D., La società post-industriale,
Comunità, Milano, 1991; Lyotard J.F., La condizione postmoderna, Feltrinelli, Milano, 1981;
Touraine A., Critica della modernità, Il Saggiatore, Torino, 1993.
48 di controllare l'autonomia dei diversi ambiti sistemici della società, primo fra tutti il
mercato. In più risulta difficile riuscire a rivitalizzare la partecipazione democratica
nel quadro di una prospettiva che tenga conto dell’autonomia del pubblico senza
limitare le libertà individuali. Compiti difficili da risolvere.
Il concetto di sfera pubblica è dunque complesso. Come sottolinea Hannah
Arendt, la sfera pubblica si fonda nella presenza simultanea di innumerevoli
prospettive e aspetti in cui il mondo comune si offre, e per cui non può essere trovata
né una misura comune né un comun denominatore (Arendt 1962).
A questo punto possiamo però affermare che la sfera pubblica moderna è certo
legata indissolubilmente all’affermazione delle istituzioni democratiche
rappresentative, ma essa riprende direttamente dall'antichità il principio normativo
dell'uguaglianza e ne aggiunge un altro che, insieme alla rappresentanza, caratterizza
la concezione moderna di sfera pubblica, ovvero quello di pubblicità41.
Infatti, come sostiene Habermas in Storia e critica dell'opinione pubblica (1971), il
linguaggio accademico, supportato dal gergo delle burocrazie e dei mezzi di
informazione di massa, per molto tempo è stato incapace di cercare e trovare
determinazioni più precise. Linguisticamente pubblico e sfera pubblica sono stati
usati alla stessa maniera, però essi inversamente confluiscono su piani diversi e fanno
riferimento a differenti fasi storiche e a una molteplicità di significati concorrenti42. Si
definiscono pubbliche anche tutte quelle istituzioni che sono accessibili a tutti e nello
stesso modo in cui parliamo di piazze pubbliche o di case pubbliche.
«Lo Stato è il potere pubblico e deve l'attributo di pubblico al suo compito di provvedere al bene
pubblico. Il pubblico si contrappone alla persona privata come potere pubblico. I servitori dello Stato
sono persone pubbliche; essi occupano un ufficio pubblico, i loro affari d'ufficio sono pubblici e
pubblici sono detti gli edifici e gli istituti del governo» (Habermas 1971, p. 11).
Il concetto di pubblico nella modernità trova dunque la sua forma politica nello
stato nazionale43. Su queste basi che Habermas elabora la sua teoria sulla genesi della
41
Privitera sostiene che con il passaggio dalla democrazia diretta a quella rappresentativa il concetto
di pubblico debba essere riletto come aperto a tutti e quindi controllabile in quanto un organismo di
rappresentanti eletti difficilmente potrebbe essere concepito come un organismo che opera in totale
segretezza (Privitera 2001).
42
Appare utile ai fini concettuali sottolineare come il concetto di pubblico in sociologia si sia
sviluppato in origine parallelamente allo studio delle folle. La folla seguendo Le Bon è stato uno dei
primi meccanismi attraverso il quale i gruppi, le comunità, le classi potevano imporre la propria
volontà e le proprie rivendicazioni politiche. Secondo Park, la folla e il pubblico erano simili per
almeno due aspetti: innanzitutto entrambi rappresentavano meccanismi per l'adattamento e il
cambiamento sociale, inoltre entrambi possono costituire vie iniziali verso la creazione di entità sociali
del tutto nuove. Per approfondimenti sui concetti di folla e pubblico si rimanda alle considerazioni di
Park R.E., La folla e il pubblico, Armando, Roma 1996.
43
Il termine pubblico, secondo Arendt, denota due fenomeni correlati ma non del tutto identici.
In primo luogo, esso rimanda a ogni cosa che appare in pubblico e che può essere vista e udita da tutti
e che ha la più ampia pubblicità possibile. Per noi ciò che appare – che è visto e sentito da altri come
da noi stessi – costituisce la realtà. In secondo luogo, il termine pubblico significa il mondo stesso, in
quanto è comune a tutti e distinto dallo spazio che ognuno di noi vi occupa privatamente. Questo
mondo non si identifica con la terra o con la natura, come spazio limitato che da sfondo al movimento
49 sfera pubblica. Secondo Habermas è dall'incontro tra l’emergente classe di
intellettuali borghesi con i rappresentanti di quella «società aristocratico-umanistica»,
membri di una sfera pubblica ormai in disfacimento, che attraverso la socializzazione
delle loro conversazioni, si costruiscono le basi di una nuova ed inedita sfera pubblica,
quella appunto borghese. La genesi della sfera pubblica è dunque da far risalire agli
inizi del capitalismo finanziario e commerciale che si diffonde a cominciare dal XII
secolo creò quello che noi conosciamo come libera circolazione delle merci e delle
notizie. La sfera pubblica appartiene specificamente alla “società borghese” ed essa si
costituisce intorno al XVIII secolo mentre già molto tempo prima si parla di ciò che è
pubblico e di ciò che non lo è (Habermas 1977.).
L’intuizione che si trova alla base del lavoro di Habermas - condivisa da gran parte
della letteratura corrente - è l’aver distinto e caratterizzato la sfera pubblica borghese
per il suo «peculiare e storicamente senza precedenti tramite del confronto: la
pubblica argomentazione razionale» (Habermas 1971, p. 41).
Quindi, la sfera pubblica è - come già evidenziato - il prodotto dell’emergere della
modernità. Un graduale passaggio da ciò che era concreto, uno spazio domestico, una
piazza, un mercato, un foro e che aveva caratterizzato gli spazi pubblici nell'antichità,
a ciò che è astratto, e che trova la sua maggiore caratterizzazione e legittimazione
attraverso il discorso e l'argomentare razionale44.
Ripercorrendo brevemente le idee di Habermas, noi possiamo trovare la sfera
pubblica ovunque, nei caffè, nei pub, nelle piazze, all'università, ma solo nel
momento in cui vi è un'attività discorsiva essa diventa sfera pubblica. L'università di
domenica non è una sfera pubblica, non lo è nemmeno quando un autobus che è
fermo al capolinea e nel quale non vi sono passeggeri, tanto meno quando si è in
chiesa ed ognuno è assorto nelle sue preghiere. Diventa sfera pubblica quando
s’innesca quell’attività di confronto e discussione45.
Seguendo un esempio semplice ma altamente esplicativo di Privitera un soggetto
socialmente debole sia esso un immigrato o un diversamente abile, viene schernito o
degli uomini, esso è connesso all'elemento artificiale, il prodotto delle mani dell'uomo, come pure i
rapporti tra coloro che abitano insieme il mondo fatto dall'uomo (Arendt 1962).
44
Privitera ritiene che una delle tesi più originali di Habermas, oltre all'intuizione del primato
discorsivo nella sfera pubblica, sta nella preoccupazione relativa all'esigenza di fornire dei criteri di
distinzione tra una sfera pubblica autonoma, capace di un potere di critica delle istituzioni del centro,
e una sfera pubblica manipolata, che può stabilizzare il potere sociale (Privitera 2001). La qualità di
entrambe le sfere dipende dagli attori presenti in esse. Esistono attori tipicamente istituzionali, che
appartengono ad organizzazioni consolidate e facilmente riconoscibili nelle arene della comunicazione
pubblica ed esistono attori che si collocano nell'ambito fluido della comunicazione periferica.
Entrambi i gruppi lottano per ottenere influenza. Una sfera pubblica con una forte presenza di attori
provenienti dal basso (bottom up) come movimenti, organizzazioni non governative, associazioni è una
sfera pubblica autonoma, mentre una sfera pubblica nel quale è forte la presenza di attori provenienti
da istituzioni e organizzazioni strutturate (top down) sarà una sfera pubblica tendenzialmente
manipolata.
45
Vale la pena sottolineare che è comunque nella polis che azione e discorso si separano diventando
attività sempre più indipendenti, separazione che poi ritornerà come uno degli elementi principali
nella concettualizzazione di sfera pubblica di Habermas. Attività che già Aristotele aveva chiamato bios
politikos, azione (praxis) e discorso (lexis). Il discorso divenne quindi più importante dell'azione e
venne inteso come mezzo di persuasione: «essere politici, vivere nella polis, voleva dire che tutto si
decideva con le parole e la persuasione e non con la forza e la violenza» (Arendt 1962).
50 molestato e i passeggeri di un autobus ignorano la scena e quanto sta accadendo,
abbiamo un fatto che si svolge in pubblico, ma è come se avesse luogo in privato, in
questo caso la sfera pubblica è solo una debole cornice di un fatto. Mettiamo invece
che qualche passeggero abbia il coraggio civile di dire qualcosa in difesa della vittima,
e che il suo esempio venga considerato da altri, e che insieme trovino anche i modi e
le parole giuste per capovolgere la situazione, in quel momento si genera
Öffentlichkeit, sfera pubblica.
La teoria discorsiva di Habermas è ancora oggi il punto di partenza per molti
autori che intendono elaborare una riflessione circa il ruolo e le funzioni della sfera
pubblica nella società moderna. Come già osservato, essa può essere definita come
una delle poche teorie compiute, e ampiamente corroborate, per l'analisi,
l'interpretazione e la valutazione del concetto ma orientata per lo più alla genesi e alla
archeologia del suo divenire moderno. Più tardi sarà lo stesso Habermas ad elencarne i
limiti teorici sostenendo l'esigenza di una revisione della teoria che tenesse conto
dell'ampio e complesso processo di mediatizzazione che sul finire del secolo scorso ha
avvolto i processi e le pratiche democratiche occidentali.
Uno dei più vivaci dibattiti sul rapporto tra mass media e sfera pubblica risale alle
teorizzazioni dei teorici critici della Scuola di Francoforte. Horkheimer e Adorno
furono i primi studiosi a sostenere che i media potevano essere interpretate come uno
strumento di sostituzione delle arene pubbliche di ateniese memoria. Secondo i due
autori tedeschi, i flussi di comunicazione guidati attraverso i mass media sono
subentrati al posto di quelle strutture di comunicazione che avevano reso possibili un
tempo la discussione pubblica. All'agorà ateniese, al foro romano, sono sopraggiunte
nuove strutture di dialogo ed interazione ma, a differenza delle piazze antiche, i
media elettronici si configurano come un apparato che compenetra e domina
completamente il linguaggio quotidiano comunicativo. Per i teorici critici di
Francoforte, i media trasformano i contenuti autentici della cultura moderna in
stereotipi, asettici e ideologicamente operanti, di una cultura massificata che si limita
a raddoppiare l'esistente. Essi depurano la cultura da tutti i movimenti sovversivi e
trascendenti a favore di un più ampio sistema di controllo sociale.
Il particolare contesto storico e politico nel quale è maturata tale concezione ha
inevitabilmente fatto da cornice interpretativa, e le congetture sul ruolo e la funzione
dei media di Horkheimer e Adorno, come affermerà in seguito lo stesso Habermas,
«procedono in modo astorico e non sono abbastanza complesse tale da prendere in
considerazione le differenziazioni nazionali» (Habermas 1981), a cominciare dalle
diversità delle strutture organizzative fino a comprendere quelle di tipo culturale e
politico, che in quel periodo caratterizzavano i diversi sistemi statali occidentali.
Per ovviare a questa imprecisione teorica, nella Teoria dell'agire comunicativo
(1986) Habermas si dilunga spesso sul ruolo dei media nella società moderna,
descrivendo e strutturando una dualità implicita del sistema dei media. E' vero,
afferma l'autore, che una centralizzazione eccessiva dei media comporterebbe delle
gravi ricadute sulle libertà e sulla cultura politica dei cittadini, ma è anche vero che
non è l'unico scenario possibile. Seguendo il ragionamento di Habermas, da un lato
abbiamo i cosiddetti media di controllo con i quali i sottosistemi si differenziano dal
51 mondo vitale46, dall'altro lato abbiamo invece forme generalizzate della comunicazione
che non sostituiscono, ma semplicemente condensano la comprensione linguistica. I
media di controllo sganciano in generale il coordinamento delle azioni dalla
formazione linguistica del consenso e la neutralizzano. Nell'altro caso si tratta invece
di una specializzazione di processi di formazione linguistica del consenso.
Secondo Habermas, i media apparterebbero a queste forme generalizzate di
comunicazione. «Essi staccano i processi di comunicazione dal provincialismo di
contesti limitati in senso spazio temporale e fanno sorgere sfere pubbliche, in quanto
istituiscono una contemporaneità astratta» (Habermas 1981). Queste sfere pubbliche
dei media gerarchizzarono e al tempo stesso dischiudono l'orizzonte di comunicazioni
possibili. Un potenziale ambivalente che contempla diversi aspetti che non possono
essere separati l'uno dall'altro. I mass media nella misura in cui canalizzano
unilateralmente flussi di comunicazione in una rete centralizzata possono rafforzare
notevolmente l'efficacia dei controlli sociali ma «lo sfruttamento di questo potenziale
autoritario resta però sempre precario, poiché nelle strutture comunicative è
incorporato il contrappeso di un potenziale emancipativo47» (Habermas 1981).
Habermas quindi dispone un principio teorico ed interpretativo duale, basato
sulla contrapposizione presunta tra funzioni di controllo e funzioni proiettate
all'emancipazione e alla trasformazione sociale. Tale assioma ha avuto un’enorme
ricaduta sulla riflessione ed il dibattito accademico, tale da caratterizzare gran parte
degli studi e delle ricerche che si sono preoccupate di definire il ruolo e le funzioni
dei media nella contemporaneità.
Recentemente (2006) Habermas ha affermato che ormai i media possono essere
concepiti come un sistema che negli anni, soprattutto attraverso la diffusione delle
ICTs nell'ambito delle attività pubbliche, ha gradualmente acquistato una sua
indipendenza da altri sistemi, differenziandosi enormemente dai meccanismi di
regolazione politici ed economici fino a creare dei meccanismi propri di
autoregolazione48.
I processi di mediatizzazione sociale e politica hanno dunque comportato una
nuova e più energica spinta ad una più generale ridefinizione e rivisitazione della sfera
pubblica e del suo ruolo nella modernità. Ma quali sono le caratteristiche di questo
nuovo tipo di sfera pubblica? Esistono davvero i presupposti per poter reinventare la
sfera pubblica? Vi è una continuità o una completa rottura con i modelli tradizionali?
A questi quesiti Thompson (1998) risponde che è possibile guardare ad un nuovo
tipo di sfera pubblica, ma per fare ciò bisogna partire distinguendo tra due importanti
significati della dicotomia pubblico/privato. Il primo significato riguarda la relazione
tra lo stato da un parte, e le attività o sfere di vita escluse o separate da esso dall'altra
in quanto la sfera pubblica implica e presuppone la creazione di nuove forme di vita
46
Il concetto di mondo vitale è molto più complesso di come viene presentato in questo lavoro. Per
approfondimenti si rimanda ai testi di Arendt H., Vita Activa. La condizione umana, Bompiani,
Milano, 1964; Habermas J., Teoria dell'agire comunicativo, Il Mulino, Bologna, 1986; Hegel G.,
Enciclopedia delle scienze filosofiche, La Nuova Italia, Firenze, 1967.
47
Corsivi dell’autore.
48
Habermas J., Political communication in media society: does democracy still enjoy an episistemic
dimension? The impact of normative theory on empirical research, in «Communication Theory», 16, 411426.
52 pubblica che si collochino al di «fuori dello stato». Secondo Thompson la dicotomia
pubblico/privato nella modernità ha inciso sui modi di intendere sia la vita pubblica
che quella politica e spiega come il termine pubblico sia finito con l'indicare le
attività dello stato. «Si è preso ad intenderle come coincidenti con le attività dello
stato e - almeno nei regimi democratici occidentali – con la competizione dei partiti
per il potere entro regole del gioco stabilite» (Thompson 1998, p. 143).
Distinguere dunque le attività dello stato da quelle politiche è, per Thompson,
una premessa imprescindibile per reinventare la sfera pubblica. La storia della
modernità presenta molteplici casi nei quali questa distinzione era presente ed ha
avuto non pochi effetti sul vivere civile e associato. Basta pensare alle culture politiche
alimentate - oltre che dai caffè e dai salotti di Habermas - dalle molteplici
organizzazioni popolari ed operaie nate a cavallo tra il XIX ed il XX secolo. In questo
contesto è facile capire quanto sia stato incisivo il ruolo dei mezzi di comunicazione, e
soprattutto della stampa libera, nei processi di formazione di una cultura politica che
tenesse conto dello stato ma che nello stesso tempo aveva attivato meccanismi di
differenziazione dallo stesso.
Oggi il sistema dei media è però un attore economico oltre che politico e come gli
altri settori dell'economia anche l'industria mediale e culturale si basa essenzialmente
sulla logica del profitto e nessuna connessione necessaria lega tale logica alla
coltivazione della diversità (Thompson 1998). In seguito alla trasformazione delle
società mediali in imprese commerciali la libertà di espressione si è imbattuta sempre
più spesso in un nuovo tipo di minaccia, in quanto un approccio economico volto al
laissez-faire non è necessariamente la garanzia migliore della libertà di espressione49.
Inoltre i principali attori dell'industria culturale e mediale sono grandi corporazioni
transnazionali i cui prodotti circolano al di là dei confini degli stati-nazione. E'
difficile concepire un’azienda di produzioni o di distribuzione mediale su base
nazionale, sarebbe poco competitiva ed intuire quale sarebbe la sua sorte non richiede
un particolare sforzo creativo. I media secondo Thompson hanno creato uno spazio
sempre più transfrontaliero e qualsiasi tentativo di regolamentazione che tuteli la
libertà di espressione e la produzione di nuove culture e diversità politiche deve
collocarsi in uno spazio che va al di là delle politiche interne dei singoli stati-nazione.
Appare chiaro dunque quanto possa essere complesso strutturare una
regolamentazione che tuteli diversità e pluralismo.
La seconda distinzione di significato della dicotomia pubblico/privato alla quale
Thompson fa riferimento ha a che fare con la relazione tra visibilità e invisibilità.
Come già discusso precedentemente, i modi di intendere la sfera pubblica traggono
origini dal mondo antico e, più in generale, dalle città-stato della Grecia antica.
Un’idea che si basava sulla compresenza, dove gli individui si riunivano in un luogo
condiviso e dove la partecipazione e la discussione su temi di interesse comuni era un
elemento sostanziale. Lo sviluppo e la diffusione dei mezzi di comunicazione di massa
49
Su questo punto Thompson sostiene che per ovviare ad una tale minaccia bisogna attivare
meccanismi che creino un genere di sfera pubblica che non faccia parte dello stato, né dipenda
interamente da esso. Secondo Thompson il modo migliore per perseguire tale obiettivo consiste nel
cercare di sostenere un principio del pluralismo regolato. Esso consiste nella creazione di una cornice
istituzionale che faccia posto a una pluralità di società mediali indipendenti e ne assicuri l'esistenza.
53 ha creato nuovi tipi di sfera pubblica che condividono solo alcuni dei tratti distintivi
del modello tradizionale. Tali nuove forme di sfera pubblica non sono più collocate
nello spazio e nel tempo: esse separano la visibilità di azioni ed eventi dalla
condivisione di un luogo comune. Né sono, in genere, di tipo dialogico (Thompson
1998).
La nuova sfera pubblica mediata crea quello che Thompson definisce come lo
spazio del visibile. Uno spazio che presenta delle precise caratteristiche e che,
inevitabilmente, interverranno nella complessa relazione tra stato e società civile,
incidendo profondamente sul nostro modo di concepire e praticare la democrazia. Lo
spazio del visibile è innanzitutto non localizzato in quanto esso non trova posto né nel
tempo e né nello spazio.
«È uno spazio nel senso che consiste in un’apertura, in una sfera di possibilità aperta a qualunque
forma simbolica mediata [...] ma non è un posto, ossia non è un ambiente particolare all'interno del
quale gli individui agiscano e interagiscano» (Thompson 1998, p. 153).
Inoltre è uno spazio non dialogico, nel senso che i produttori e i destinatari delle
forme simboliche mediate non partecipano ad alcun dialogo. I produttori elaborano e
strutturano messaggi per un insieme illimitato di destinatari, i ruoli tradizionali di
produttore e ricevente sono distinti e dunque il rapporto, la relazione
comunicazionale che li lega è di tipo asimmetrico. In terzo luogo Thompson
definisce questa nuova sfera pubblica come aperta in quanto libera, creativa e non
controllabile, uno spazio dove nuove forme simboliche e politiche possono formarsi
ed alimentarsi come portatori di bisogni, saperi ed esigenze precise.
L’analisi di Thompson porta dunque nuova linfa alla riflessioni circa il ruolo e le
funzioni della sfera pubblica, sottolineando l'importanza cruciale che hanno i media
in questo nuovo scenario. Il processo di mediatizzazione ha contribuito ad un
graduale distacco dai modelli tradizionali, portando con sé elementi nuovi per
reinventare e ripensare la sfera pubblica. La massificazione dei media nella seconda
metà del secolo scorso ha rivitalizzato la sfera pubblica portando nuove congetture
capaci di mettere in discussione il nostro modo ci concepire e praticare la democrazia.
La famosa etichetta del Villaggio Globale formulata da McLuhan ormai oltre
quarant'anni fa trova così la sua massima espressione proprio sul finire del secolo
scorso, quando sfera pubblica e media diventano le due facce di una stessa medaglia.
Con il sopraggiungere delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione
avvenuta negli ultimi anni del secolo scorso, e che tutt’oggi si protrae con crescente
complessità, la sfera pubblica ha mutato ex novo le sue caratteristiche trasformando
per l’ennesima i luoghi dell'agire politico, economico e sociale.
Lusoli (2007) sostiene che la fine della storia, ipotizzata da Fukuyama (1993),
piuttosto che coincidere con la fine delle ideologie essa è in stretto rapporto con la
fine della geografia, avvenuta per mano dei nuovi strumenti di comunicazione
globale. Una nuova geografia dunque, dove si strutturano nuovi spazi pubblici e dove
le regole sono dettate e scandite, se non del tutto imposte, dallo sviluppo e
l'evoluzione delle tecnologie per l'informazione e la comunicazione.
L’uso massiccio delle tecnologie per l’informazione e la comunicazione ha
prodotto una rivitalizzazione della sfera pubblica, sviluppando nello stesso tempo
alternative capaci di fornire nuove opportunità di partecipazione sociale e politica, di
54 discussione, confronto e dibattito. Le tecnologie hanno accresciuto enormemente le
opportunità di partecipazione e di intervento, ed il ricorso a strumenti quali la rete
per la ricerca di informazioni di pubblica utilità, di condivisione e scambio delle
stesse informazioni ha ridefinito ruoli e funzioni, diritti e doveri di gran parte degli
attori politici e sociali.
La rete ha le caratteristiche per essere una sfera pubblica libera, senza pregiudizi,
dove tutte le opinioni possono essere presentate, argomentate, contraddette. In
questo senso non si presenta esclusivamente come una buona dilatazione della sfere
pubbliche che già esistono, ma come un elemento di utile contraddizione e conflitto
con gli altri attori pubblici.
Attraverso l’uso di Internet si sono sviluppate forme spaziali capaci di produrre
meccanismi del tutto diversi da quelle tradizionali50. Una mutazione che, secondo
Castells, si organizza come opposizione tra globalità e localismo:
«Nei settori dell’economia, della politica, della tecnologia le autorità istituzionali sono organizzati
sotto forma di reti globali, nello stesso tempo lavoro, tempo libero, partecipazione politica e le identità
culturali sono essenzialmente locali. In questo contesto sono le città, in quanto sistemi di
comunicazione, fungono da collante tra globale e locale« (Castells 2004, p.37).
Seguendo il ragionamento di Castells, nella società dell'informazione stiamo
assistendo a una crescente tensione e articolazione tra spazio fisico e spazio dei flussi.
Lo spazio dei flussi stabilisce un collegamento elettronico tra luoghi fisicamente
separati, creando un network interattivo di relazioni tra attività e individui a
prescindere dallo specifico contesto di riferimento. Lo spazio fisico, invece, organizza
le esperienze nei limiti della collocazione geografica. Le città moderne vengono
continuamente strutturate e destrutturate da queste due logiche contrapposte.
La nostra esistenza cittadina diventa una:
«[…] un’e-topia, una nuova realtà di incessante interazione, volontaria e non, con i sistemi di
informazione online [...] Lo spazio dei flussi è radicato nello spazio fisico, ma le due logiche sono
profondamente diverse: l'esperienza online e quella materiale hanno caratteristiche proprie [...] Il
problema è dunque quello di arrivare a garantire un'adeguata articolazione fra i due sistemi» (Castells
2004, p. 37 ).
Lo spazio fisico è dunque stato ridotto con l'avvento del treno e dell'automobile
ed infine annullato con il sopraggiungere dei mezzi di comunicazione.
Quella che molti autori, riprendendo il termine da un noto romanzo di Gibson,
non hanno esitato a definire ciberspazio. Seguendo brevemente le idee di Lévy, il
ciberspazio è dal punto di vista tecnico l'interconnessione fra tutti i computer del
mondo mentre sul piano fisico, questa interconnessione passa principalmente per la
50
A tal riguardo Marc Augè attraverso la suggestiva formula del non-luogo ha ben spiegato questo
graduale processo di deterritorializzazione cominciato con le reti di trasporto e continuata con le reti di
comunicazione. Gli aeroporti, le stazioni ferroviarie e aerospaziali, le grandi catene alberghiere, le
strutture per il tempo libero, i grandi spazi commerciali e la complessa matassa di reti cablate o senza
fili che mobilitano lo spazio sono tutti non luoghi. Se un luogo, secondo le concettualizzazioni più
comuni, può definirsi come identitario, relazionale, storico, di conseguenza uno spazio che non può
definirsi né identitario né relazionale né storico, definirà dunque un non-luogo.
55 rete telefonica. L'interconnessione fisica fra le macchine implica, virtualmente, la
messa in comune delle informazioni immagazzinate nelle loro memorie e il contatto
fra tutti gli individui e i gruppi che si trovano davanti ai loro schermi. Per questo
motivo il ciberspazio, lungi dall'essere soltanto una prodezza tecnica, è uno spazio di
comunicazione dotato di caratteristiche radicalmente nuove51.
Parafrasando Meyrowitz (1985), siamo per davvero oltre il senso del luogo, dove
lontano e vicino, globale e locale, pubblico e privato si fondono preparando il terreno
per quella che sarà una nuova sfera pubblica.
2. Spazi politici e scenari tecnologici: l’orizzonte e-democratico
In questo processo di ridefinizione della sfera pubblica, dovuto all’affermazione
delle tecnologie per l’informazione e la comunicazione, la letteratura ha vissuto
momenti contrastanti, il più delle volte tesi a valutare la natura della trasformazione
con atteggiamenti differenti, se non addirittura oppositivi. Se volessimo però cercare
un elemento capace di accomunare i diversi percorsi interpretativi, potremmo
trovarlo nella ormai storica formula che le tecnologie sono ambigue per loro natura,
esse somigliano al mitologico Giano bifronte52. Una formula che spiega in maniera
esaustiva la difficoltà che oggi la letteratura politologica trova nel cercare un percorso
teorico condiviso e nello stesso tempo suggerisce di assumere una posizione cauta se si
vuole affrontare il legame che la tecnologia ha lentamente intrecciato con la
dimensione politica e istituzionale.
Per far fronte a questa difficoltà, in questo paragrafo forniremo una breve rassegna
della letteratura sul tema a partire da una pubblicazione di Benjamin Barber dal titolo
Tree Scenarios for the Future of Tecnology and Strong Democracy (1998). Il lavoro di
Barber risulta efficace ai fini esplicativi in quanto ruota intorno al ruolo dello Stato,
uno degli attori maggiormente coinvolti nel processo di trasformazione della società
dovuto all’incalzare del progresso tecnologico. Infatti, la dimensioni sulla quale la
ricerca politologica ha posto maggiormente l’accento riguarda il ruolo e le funzioni
che lo Stato tende ad assumere in un sistema informazionale altamente tecnologizzato
(De Rosa 2000, Shane 2004, Chadwick 2003, Rodotà 2004, Lusoli 2003). Una
questione che Barber prova ad affrontare ipotizzando tre possibili scenari da
discutere, e sui quali la ricerca dovrà confrontarsi se vuole essere preparata a
rispondere alle questioni politiche che la società dell’informazione porta con sé.
Il primo degli scenari sul quale Barber pone la sua attenzione indaga sul difficile
rapporto che andato configurandosi tra Stato e mercato nella società
dell’informazione. Una visione che mette l’accento sui rischi relativi al predominio
51
«Nel ciberspazio l'umanità sta sperimentando forme originali e rivoluzionarie di comunicazione
di dati, informazioni, passioni e interessi. Questo luogo virtuale, prodotto dall'interconnessione dei
computer di tutto il mondo, contiene un’immensa memoria comune, continuamente aggiornata e
arricchita, che consente l'espansione planetaria della mente e la nascita di una nuova cultura» (Lévy
1999).
52
Si veda Grossman, L.K., La Repubblica Elettronica, Roma, Editori Riuniti, 1997
56 del mercato in una società dove l’informazione diviene ricchezza e la proprietà dei
mezzi di produzione dell’informazione diviene potere.
Barber definisce questo scenario come Pangloss Scenario. Il termine Pangloss deriva
dal greco Pan (tutto) e glossa (lingua, linguaggio). Preso a prestito da Voltaire nella
novella “Candide ou l'optimisme". Da Pangloss deriva panglossismo, ovvero
l'attitudine a credere di vivere nel miglior mondo possibile. Nel dibattito
evoluzionista il panglossismo è stato utilizzato in un articolo di Gould e Lewontin dal
titolo "I pennacchi di San Marco e il paradigma di Pangloss", nel quale l’adattamento
estremo della teoria neodarwinista viene paragonato al panglossismo.
Barber ritiene che in questo scenario si sostiene – in maniera erronea - che il
potere e la corruzione siano una condizione propria di tutta la politica umana e che
esista una sorta di mano invisibile del governo che, in combutta con il mercato,
incentiva al consumo e quindi ai profitti rendendo così inutile l’uso sociale della
tecnologia (de Sola Pool 1995, Dahlgren 1998).
In verità questo scenario presenta tratti prevalentemente astorici, in quanto la
paura di un pericoloso spostamento degli equilibri societari verso il mercato ha
contraddistinto quasi tutta la storia sociale e politica del sistema industriale ed è,
come afferma anche lo stesso Barber, un pericolo che penderà sulla società in eterno.
Bisogna però evidenziare che nella società dell’informazione il mercato ha
certamente un ruolo determinante nello sviluppo delle nuove tecnologie ed è vero che
gioca a favore e in direzioni utili all’efficienza e alla crescita delle corporations del
settore della comunicazione, influendo inevitabilmente sull'uso politico che se ne fa
(Dahlgren 1998, Castells 1998). Esso però può ostacolare , ma in nessun modo può
eliminare ciò che è evidente da più di un decennio, ovvero il crescente consumo
civico e sociale della comunicazione. Inoltre il mercato non ha sufficienti poteri per
censurare, limitare o orientare lo sviluppo di un diverso tipo di educazione politica
(Barber 1998).
Sulla base di questi presupposti, Lawrence Lessig ha strutturato parte delle sue
teorizzazioni sul ruolo della proprietà nella società dell’informazione, soprattutto per
quanto riguarda le opere dell’ingegno. Il noto giurista di Harward negli ultimi anni –
a partire dal testo Free Culture (2004) - si è impegnato nel circoscrivere il rapporto
venutosi a creare tra istituzioni e mercato, facendo particolare attenzione al tema del
copyright e delle leggi che lo tutelano. Infatti, ad una prima lettura il testo di Lessig
appare come una rassegna di tipo storico-giuridico sul ruolo del diritto intellettuale
nella società dell’informazione, esso però ha implicazioni profonde che mettono in
discussione la complessa relazione tra pubblico e privato nella società
dell’informazione. Secondo Lessig, le istituzioni governative anziché comprendere i
cambiamenti positivi che Internet - e in generale le tecnologie per l’informazione e la
comunicazione - possono consentire permettono a coloro che si sentono più
minacciati dai cambiamenti – come ad esempio le forze di mercato - di usare la forza
per modificare la legge e, fatto più importante, di usare la forza per cambiare qualcosa
di fondamentale che riguarda ciò che siamo sempre stati (Lessig 2004).
In questo scenario lo Stato può dunque assumere una doppia funzione. Esso può
svolgere sia il ruolo di Stato regolatore (Cassese 1996, La Spina, Majone 2000), teso a
limitare le ingerenze del mercato, preferendo il cittadino come unità di riferimento
per lo sviluppo di politiche pubbliche per la società dell’informazione, ma nello stesso
57 tempo può assumere anche un ruolo collaterale al mercato (Castells 1998, Dahlgren
1998), sostenendo una società dell’informazione a favore di un sistema tecnologico
basato su un modello competitivo di sviluppo.
Il secondo scenario evidenziato da Barber si concentra invece sul rapporto che lo
Stato, attraverso le tecnologie per l’informazione e la comunicazione, può intrattenere
con i propri cittadini. Questa relazione ha negli ultimi anni alimentato un enorme
dibattito sui rischi di invadenza da parte delle istituzioni nella vita privata dei
cittadini (Rodotà 1997, Lyon 1998). Sia lo Stato, che le diverse istituzioni, sono
attori che partecipano attivamente alla gestione e alla amministrazione delle
tecnologie dell’informazione e della comunicazione, essi hanno dunque il potere di
usarle per scopi di standardizzazione, controllo e repressione. Uno scenario che
ridurrebbe inevitabilmente i cittadini a meri sudditi (Rodotà 1997).
Una tendenza che Beniger (1995) descrive addirittura come secolare53, in quanto
per tutto il XIX secolo e il XX secolo abbiamo assistito alla nascita di tecnologie per
l’elaborazione delle informazioni54 che, associate ai processi di razionalizzazione e
burocratizzazione, hanno prodotto un sistema di standardizzazione, controllo e
monitoraggio dei cittadini da parte delle istituzioni. Per Beniger la trasformazione
politica e sociale avviata negli anni ’80 del secolo scorso è dunque il prodotto di un
lento processo di rivoluzione del controllo che, sin dagli anni trenta, era già compiuta
nei suoi tratti essenziali.
In questo scenario, Barber evidenzia dunque lo sbilanciamento che la società
dell’informazione può avere a favore delle istituzioni, in modo particolare dello Stato.
Uno scenario nel quale Rodotà paventa la nascita di uno Stato del sospetto dovuto al
passaggio da una sorveglianza mirata ad una generalizzata55. Le raccolte di dati
personali su scala di massa hanno già determinato la trasformazione di tutti i cittadini
in potenziali sospetti, di fronte ai poteri pubblici, e l’oggettivazione della persona, di
fronte al sistema delle imprese. Questo rende più difficile tracciare distinzioni nette
tra area pubblica e area privata (Rodotà 2004). Secondo Rodotà si manifesta una
nuova dimensione della sorveglianza che esalta in maniera forte il potere dello Stato
di avere qualsiasi informazione personale, da chiunque raccolta e indipendentemente
dalle finalità originarie della raccolta.
53
In effetti, già Max Weber in Economia e Società (1922) si era accorto ed aveva individuato nei
tratti distintivi della burocrazia alcuni caratteri fondamentali dei moderni sistemi di controllo.
54
Le componenti intercambiabili (dopo il 1800), l’integrazione delle produzioni all’interno delle
fabbriche (tra il 1820 e il 1840), lo sviluppo delle moderne tecniche di contabilità (tra il 1850 e il
1870), l’affermazione della professione manageriale (tra il 1860 e il 1880), l’introduzione dei processi
produttivi a ciclo continuo (tra il 1870 e il 1885), lo scientific managment di Frederick Winslow Taylor
(1911), la catena di montaggio di Henry Ford (dopo il 1913) e il controllo statistico della qualità, per
nominarne soltanto alcune (Beniger 1995, p. 21)
55
Anche l’informatico Roger Clark nel 1988 davanti alle prime avvisaglie sui rischi tangibili di una
raccolta e di un controllo generalizzato dei dati aveva coniato ed usato il termine dataveglianza per
sottolineare l'enorme convergenza dei sistemi di sorveglianza verso le nuove tecnologie. Nello specifico
Clarke distingueva tra una dataveglianza personale ed una di massa. Nella dataveglianza personale,
l'infrastruttura, pubblica o privata, ha una relazione diretta ed esplicita con gli individui. La
dataveglianza di massa, inversamente, è solo in parte coinvolta in ricerche mirate e specifiche. Si rientra
in un ambito dove l'identificazione è operata per categorie, in virtù del fatto di appartenere ad un
gruppo o possedere certe caratteristiche.
58 Barber dunque teme uno scenario che ricalca le preoccupazioni più volte
sottolineate dalla letteratura circa i meccanismi di tecnologia politica affermatesi nella
modernità. Si pensi ad esempio al panotticismo espresso e articolato da Foucault nel
testo Sorvegliare e Punire (1977).
Barber definisce questa visione come Pandora Scenario. Nella mitologia greca
Pandora fu una donna mortale creata da Efesto (Vulcano) per ordine di Giove, che
voleva punire l’umanità dopo che Prometeo le aveva donato il fuoco rubato agli dei.
Con questa espressione si sottolinea l’impossibilità di celare o nascondere un
problema, o una serie di problemi, che una volta manifesti non è più possibile tornare
a nascondere.
Entrambi gli scenari mettono dunque a fuoco il ruolo centrale che può assumere
lo Stato in questo processo di articolazione della società dell’informazione, seguendo
una metodologia di analisi tipicamente top-down. Se però proviamo a spostare la
riflessione mettendo al centro del dibattito le opportunità di partecipazione sociale e
politica offerte dalle nuove tecnologie gli scenari proposti da Barber assumono delle
tinte meno fosche.
Seguendo il ragionamento di Arena (2006), il ricorso delle tecnologie per
l’informazione e la comunicazione nella gestione delle attività di carattere pubblico è
uno degli elementi che avrebbe maggiormente contribuito al graduale indebolimento
del «paradigma bipolare56» che aveva caratterizzato l'interpretazione e
l'implementazione delle attività amministrative ed istituzionali nel corso di tutto il
XX secolo. Una trasformazione che ha delineato un lento processo di espansione e
diffusione degli apparati pubblici che nella fattispecie si muove in due diverse
direzioni: in verticale attraverso il rafforzamento sia di organismi sovra-nazionali che
sub-nazionali e in orizzontale attraverso la crescita delle funzioni pubbliche e con
l'apertura della attività pubbliche a soggetti esterni alle istituzioni (Cassese 1998,
Bobbio 1996, Arena 2006).
La dilatazione delle attività politiche e amministrative in senso verticale ha fatto sì
che lo Stato perdesse la sua specificità lineare e gerarchica – caratteristica
squisitamente moderna - a favore di una ricostruzione che tenesse conto di aspetti di
tipo policentrico, reticolare, plurale, creando così nuovi centri di governo che man
mano, nel corso degli anni, si sono rafforzati. È cresciuta l’importanza dei governi
sub-nazionali come le regioni, i comuni e soprattutto le grandi città. Il potere politico
che una volta era concentrato su un unico punto – lo stato nazionale – si è dilatato sia
verso l’alto che verso il basso, attraverso la moltiplicazione dei livelli territoriali. Gli
Stati nazionali costituiscono ancora il punto di maggiore addensamento delle
funzioni di governo, ma non hanno più il monopolio assoluto della politica e
dell'amministrazione (Bobbio 1996).
56
Questo paradigma si è formato lentamente nel passaggio da ordini dominati da un potere in cui
non c’è differenziazione tra Stato e società e civile, a ordini, quale quello in cui viviamo, fondati sulla
separazione tra Stato e comunità. In questo paradigma l’amministrazione amministra nell’interesse
pubblico ed i cittadini sono passivi destinatari dell’intervento pubblico. Per approfondimenti si veda
Cassese S., L'arena pubblica. Nuovi paradigmi per lo Stato, in «Rivista trimestrale di diritto pubblico»,
2001, p.602.
59 Il ruolo degli enti locali cambia, cambia il suo rapporto con i poteri centrali,
cambiano i processi di decisione, gestione e amministrazione delle politiche
pubbliche.
Con il processo di dilatazione orizzontale degli apparati pubblici lo Stato invece è
andato frantumandosi. Questo ha comportato una proliferazione di attività e apparati
sempre più specializzati nella gestione e nella implementazione di politiche
pubbliche, creando settori nuovi e sempre più specifici. Un processo che ha
alimentato la domanda di competenze esterne ai tradizionali attori istituzionali,
producendo un allargamento dei confini dell'agire pubblico. Sempre di più negli
ultimi anni assistiamo ad una graduale inclusività nei processi decisionali da parte
della pubblica amministrazione di associazioni, cooperative, movimenti, società civile,
fino a coinvolgere l'unità minima di una comunità politica: la cittadinanza. Il
cittadino esce dal suo ruolo passivo di semplice utente di servizi pubblici e diventa
soggetto attivo che, insieme alle amministrazioni, si prendono cura del territorio. Un
modo del tutto nuovo di essere cittadini in quanto l'ordinamento non consentiva ai
cittadini comuni di occuparsi della cosa pubblica pur continuando ad essere semplici
cittadini (Cassese 1998, Arena 2006).
Nella società dell’informazione dunque lo Stato tende a rimodellare ruoli e
funzioni, si aprono nuove opportunità di partecipazione ai processi decisionali e si
pongono le basi per una riformulazione nella gestione delle attività burocratiche ed
amministrative. In altre parole, siamo davanti ad uno scenario che mette in
discussione la definizione stessa di democrazia57.
Lo stesso Barber non è nuovo a questo tipo di riflessione. Nel 1984 nel suo celebre
Strong Democracy: Participatory Politics for a New Age affermava:
«Strong democracy is defined by politics in the participatory mode: literally it is self-government
by citizens rather than representative government in the name of citizens. Active citizens governs
themselves directly here, not necessarily at every level and in every instance, but frequently enough and
in particular when basic policies are being decided and when significant power is deployed. Selfgovernment is carried on trough institutions designed to facilitate ongoing civic participatory in
agenda setting, deliberation, legistlation, and policy implementation» (Barber 1984, p. 23).
Come fa notare De Rosa (2000), la Strong Democracy di Barber è quella forma di
democrazia in cui tutto il popolo governa se stesso per almeno alcune delle faccende
pubbliche e per almeno parte del tempo. Essa sposta tutta l’enfasi sull’idea di libertà e
sulla capacità educativa che il suo esercizio politico potrebbe e dovrebbe avere sulla
cittadinanza. Un processo democratico in senso forte deve contemplare delle
procedure fondamentali: innanzitutto la fase di discussione o strong democracy talk
(deliberazione, agenda setting, ascolto, empatia), quella di decision making o strong
democratic decision making (decisione pubblica, giudizio politico, comune formazione
57
A tal proposito Matterlat fa notare come sia inevitabile che a ogni ciclo tecnologico si rinnova il
discorso redentore sulla promessa di concordia universale, di democrazia decentrata, di giustizia sociale e
prosperità generale. E ogni volta si ripeterà il fenomeno dell'amnesia nei confronti della tecnologia
precedente (Matterlat, 2002).
60 delle politiche) ed, infine, quella dell’azione politica o strong democracy action (lavoro
comune, azione comunitaria, citizen service) (De Rosa 2000, p. 33).
La Strong Democracy di Barber rafforza dunque l’idea che le ICTs propongono una
forma di democrazia basata sulla deliberazione e l’argomentazione razionale. A partire
da questa concezione, negli ultimi anni è andato sviluppandosi un ampio filone di
studi che vede nella democrazia elettronica il perseguimento e il proseguimento del
progetto Toquevilliano di democrazia58.
Del resto in letteratura possiamo trovare anche posizioni diverse circa il ruolo e le
funzioni delle ICTs sul vivere e praticare la democrazia. Abramson e Arteton nel
celebre The Electronic Commonwealth (1998) analizzarono le diverse forme emergenti
di democrazia partecipativa tanto care a Barber e a coloro che vedevano nelle
tecnologie per l’informazione e la comunicazione la soluzione dei mali della
democrazia rappresentativa. Le conclusioni dei due autori sono per certi versi
impietose. L’uso delle tecnologie dell’informazione e la comunicazione, in particolare
tecniche come il televoto, tenderebbero a danneggiare il processo democratico,
portando l’intero sistema verso forme plebiscitarie di democrazia (Abramson,
Arteton, 1988, p. 177).
Nel prossimo paragrafo approfondiremo questo dibattito che, per oltre un
ventennio, ha visto diversi autori e intellettuali confrontarsi sulle forme e i modelli
della democrazia elettronica e le relative pratiche di partecipazione.
3. Democrazia, democrazie
partecipazione e deliberazione
e
democratizzazione
elettronica:
tra
«La democrazia elettronica somiglia ad un coro polifonico dove ogni corista deve cantare in modo
diverso, trovare un rapporto armonico tra la propria voce e quella degli altri, ovvero migliorare l’effetto
d’insieme. Bisogna resistere alle tre tentazioni che portano gli individui a coprire la voce del proprio
vicino forte o a tacere o a cantare all’unisono. In questa etica della sinfonia, si riconosceranno le regole
della conversazione civile, della cortesia e del saper vivere» (Lévy, 2001).
Vi è dunque oggi l’aspettativa che le tecnologie per l’informazione e la
comunicazione possono portare ad un cambiamento del nostro modo di intendere e
praticare la democrazia. Come afferma Maldonado (1997), ancora una volta viene
data alla tecnologia un ruolo taumaturgico nel risolvere le questioni di fondo della
nostra società.
Il concetto di democrazia elettronica non è però legato all’avvento e alla diffusione
delle nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione, esso ha avuto un
periodo di incubazione e gestazione compresi nell’arco di non meno di mezzo secolo.
Vedel (2003) fa risalire le radici del concetto al secondo dopoguerra. È attraverso
gli sviluppi tecnologici e le radicali trasformazioni politiche e sociali che hanno
accompagnato il mondo in quel particolare periodo storico che possiamo cominciare
a formulare le prime ipotesi relative alla democrazia elettronica.
58
Su questo punto la letteratura è piuttosto vasta: Abramson 1992; Graham 1987; Becker 1981;
Budge 1996; Cronin 1989; Fiskin 1992; Grossman 1995 solo per citarne alcuni.
61 Nello specifico Vedel storicizza il fenomeno della democrazia elettronica e
struttura una sua periodizzazione in tre distinte fasi.
Una prima fase della democrazia elettronica coincide con l’emergere della scienza
cibernetica con a capo Wiener, avviata con la pubblicazione del suo noto libro La
Cibernetica: il Controllo e la comunicazione nell’animale e nella macchina (1948). Una
fase in cui i processi di decision making erano caratterizzati dalla retroazione (feedback)
cibernetica nel quale l’azione politica veniva definita attraverso la misurazione e la
risposta dell’ambiente. I computer erano concepiti come dei potenziali mediatori,
capaci di accumulare e calcolare una montagna di informazioni (problem solving) e ad
arrivare ad una soluzione razionale del problema (Vedel 2003).
L’approccio cibernetico, dilungatosi fino alla fine degli anni ‘60, è stato oggetto di
molte critiche, sia per la sua visione semplicistica della politica incapace di
contemplare l’emergente complessità che in quel periodo caratterizzava le democrazie
occidentali, sia per un generale timore degli intellettuali verso una potenziale deriva
tecnocratica del sistema politico. Dahl (1987) vedeva infatti nella tecnocrazia e nel
mito dell’ingegneria sociale, ossia della applicabilità di un sapere tecnico
scientificamente orientato, una sopravvalutazione delle possibilità applicative della
scienza negli affari pubblici, nonché sull’idea collegata, di una completa
manipolabilità del mondo sociale.
La seconda fase si è sviluppata sul finire degli anni ‘70 quando l’emergere di
movimenti sociali divenne l’espressione della volontà di nuove concezioni della
politica secondo la quale la società doveva migliorare attraverso una trasformazione
bottom-up e il coordinamento di azioni locali, piuttosto che la conquista degli
apparati centrali dello stato. Una concezione ben evidenziata da Amitai Etzioni che,
in quegli anni, dava alle stampe The Active Society: A Theory of Societal and Political
Processes (1968), nel quale preconizzava l’avvento delle comunità locali come nuove
arene politiche dove la partecipazione politica e sociale avrebbe assunto nuovi
connotati portando con se nuove forme di democrazia e di cittadinanza. Una fase che
coincise con l’avvento della TV via Cavo negli anni ‘70 e con la diffusione di
computer privati durante tutti gli anni ‘80 e ‘90. È dunque con l’avvento della TV
via cavo che la democrazia elettronica comincia ad essere compresa come una
opportunità del privato cittadino di partecipare a processi comunicativi e di influire
direttamente sulle decisioni politiche e amministrative dei loro leader e dei loro
rappresentanti.
Vedel definisce questo periodo come una seconda era della democrazia elettronica.
Mentre i movimenti occupavano le piazze e chiedevano - in alcune fasi in maniera
violenta - una profonda trasformazione del sistema politico, l’informatizzazione stava
progressivamente diffondendosi nei laboratori, negli enti di ricerca, pubblici e privati,
e nelle università. L’orientamento che caratterizzava le ricerche in quel periodo fu
nella sostanza una sorta di riallocazione della tecnicizzazione rivolta a favore dei
cittadini. Si posero così le basi sociali e civiche alla frenetica tecnologizzazione della
società e della politica.
Infine, la terza fase della democrazia elettronica coincide con l’espansione delle
ICTs ed in particolare con il web. Il crescere e l’espandersi di strumenti istantanei di
comunicazione e di circolazione dell’informazione, sempre più economici ed userfriendly segnano i passi più recenti della democrazia elettronica. A questa fase si sono
62 aggiunte le nuove ideologie della libertà dell'informazione emerse sugli inizi degli
anni ‘90 che fanno capo a quella meglio conosciuta come Ideologia Californiana. In
questa visione Internet diviene la risposta alla crisi e la soluzione ai problemi della
democrazia rappresentativa (Carlini 1996, Formenti 2000).
La riflessione sulla democrazia elettronica è dunque compresa in un arco
temporale che parte dagli anni ‘50 e che per più di mezzo secolo ha fatto da cornice
agli sviluppi tecnologici e alle profonde trasformazioni nei campi dell'agire politico e
sociale. La democrazia elettronica nella lettura di Vedel appare fortemente connessa
sia agli sviluppi e alle innovazioni tecnologiche, che negli anni hanno accompagnato i
paradigmi di lettura ed interpretazione della società, sia alle trasformazioni che
avvenivano nella ambito politico e sociale dei sistemi democratici.
Un altro tentativo di storicizzare la democrazia elettronica è fornito Hagen (1997)
che, in una sua nota tipologia, identifica la teledemocrazia come il concetto più antico
di democrazia elettronica. Nata negli anni ‘70, prolunga la sua vita fino alla metà
degli anni ‘80 quando le trasformazioni promesse non ebbero grossi risvolti sul piano
empirico. Come Vedel, anche Hagen sostiene che l’elemento tecnologico che ha fatto
da detonatore e che diede il via alle prime sperimentazioni fu la diffusione della TV
via cavo.
Il concetto di teledemocrazia considera che la principale causa dell’apatia dei
cittadini avviene nella sfera politica propriamente detta. È lì che risiedono le
frustrazioni e le alienazioni dell’elettorato ed è nella struttura della democrazia
rappresentativa che si possono osservare (Hagen 1997). Bisognava dunque intervenire
nei meccanismi rappresentativi attuando forme di democrazia partecipativa e, in
generale, di empowerment della cittadinanza.
Seguendo alcune riflessioni di Lusoli, i principi della teledemocrazia sono
riassumibili nel motto power back to the people usato da Ted Becker nel 1981. Il
modello teledemocratico diminuirebbe sia i costi della raccolta e dell'analisi
dell'informazione politica sia i costi dell'accountability, incrementando sia la
trasparenza dell'azione di governo che la capacità dei cittadini di monitorare e
censurare le decisioni politiche. L’idea teledemocratica ha portato con sé effetti sul
concetto di rappresentanza ponendo l'accento su una più diretta partecipazione dei
cittadini alla politica attraverso i nuovi media.
Appartengono a questa esperienza progetti giapponesi come il Tama New Town59
e l’antenato del VideoOn_Demand Hi-OVIS60 (Higly Interactive-Optical Visual
Information System) ed ancora il più famoso QUBE sperimentato nell’OHIO nel
197761. Il concetto di teledemocrazia è dunque stato sviluppato in reazione alla
59
Coaxial Cable Information System (CCIS), sponsorizzato e finanziato dal Ministero Giapponese
delle Poste e Telecomunicazioni. Fu avviato nel 1973 e si concentrò sulla programmazione della
comunità locale.
60
Higly Interactive-Optical Visual Information System (Sistema d'Informazione Ottico Visivo
Altamente Interattivo sostenuto dal Ministero Giapponese del Commercio e dell'industria e
dell'Industria Internazionale dal 1978 al 1986.
61
Alla prospettiva teledemocratica solitamente sono accluse anche le esperienze delle Electronic
Town Hall Meeting portate alla ribalta dal candidato indipendente alla presidenza degli Stati Uniti
Ross Perot, in verità l'esperienza fatta durante la campagna elettorale del magnate dell'editoria
americana e associabile all'esperienza comunitaria avvenuta sugli inizi degli anni ‘90.
63 diffusione delle TV via cavo e delle diverse esperienze partecipative elettroniche di
quel periodo, considerando l’elemento tecnologico come fattore determinante.
Sugli inizi degli anni ’90, il diffondersi della rete ed il formarsi delle prime
comunità virtuali come The WELL62 fa sì che si espandesse un tipo di democrazia
fondata su una visione di tipo comunitario. Hagen associa a questo periodo la
ciberdemocrazia.
Come la teledemocrazia è la risposta all'avvento delle TV via cavo così il concetto
di ciberdemocrazia risponde direttamente alla evoluzione dei computer e del sistema
delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Hagen 1997).
Il concetto di ciberdemocrazia si è sviluppato e ha preso a maturare in quella
mistura culturale che comprendeva gli hippies della costa est degli Stati Uniti63. In
particolare il riferimento socio-culturale e le radici di questa concezione della
democrazia elettronica è da rilevare negli ambienti tra Stanford University e la Silicon
Valley (Barbrook 1996). Appartengono a questa tipologia le community network e le
italianissime reti civiche sviluppatesi sugli inizi degli anni ‘90.
In contrasto con la Teledemocrazia e la ciberdemocrazia Hagen pone il modello di
democratizzazione elettronica. Attraverso questo modello pretende di migliorare e
perfezionare attraverso le ICTs la democrazia rappresentativa sottolineando la
necessità di incrementare canali e flussi di informazione per migliorare e rafforzare la
cittadinanza e la partecipazione della stessa al processo decisionale (Hagen 1997). I
maggiori sostenitori del modello di democratizzazione elettronica sono i membri
dell’establishment e i diversi attori istituzionali addetti alla formulazione, alla
progettazione e all'implementazione di politiche pubbliche per lo sviluppo della
democrazia elettronica.
Diversamente dalla tipologia di Hagen, che pone come variabile di riferimento la
tecnologia, Bellamy (1998) propone una ricostruzione concettuale della democrazia
elettronica che parte da dimensioni politiche e culturali fondamentali per
comprendere, spiegare e storicizzare il fenomeno.
Seguendo le ipotesi di base di Bellamy, la democrazia elettronica può essere
descritta e compresa se si tiene conto di alcune questioni: a) il tipo di democrazia; b)
la concezione che si ha della cittadinanza; c) il nesso politico; d) la forma centrale di
partecipazione; e) l'intermediario politico principale; f) la norma procedurale
dominante. Dall’incrocio di queste criteri, Bellamy disegna la sua tipologia che, a
differenza di quella proposta da Hagen, non ha ambizioni di ricostruzioni teoriche e
62
The Well (Whole Earth ‘Lectronic Link) è stata fondata da Stewart Bren e Larry Brilliant nel
1985 resa celebre in tutto il mondo in seguito alla pubblicazione del libro di Howard Rheingold, The
Virtual Community: Homesteading on the Electronic Frontier.
63
Per Levy (2000), le caratteristiche fondamentali della ciberdemocrazia sono innanzitutto la
presenza di uno spazio pubblico dove esiste ed è garantita una libertà di espressione, di accesso e
navigazione e dove la deliberazione politica si sviluppa a partire dalla piazze virtuali, più comunemente
conosciute come agorà elettronici; le elezioni e i referendum devono essere mediati attraverso un voto
elettronico de-territorializzato; le assemblee legislative debbono costituirsi e strutturarsi in parlamenti
virtuali; le autorità amministrative devono rendere tutti i loro servizi disponibili in modalità online ai
propri cittadini. Il tutto riassumibile nel motto: dimmi e lo dimenticherò, mostrami e lo ricorderò,
coinvolgimi e capirò.
64 concettuali, essa è piuttosto orientata a fornire dei modelli utili all’analisi e alla
interpretazione della democrazia elettronica.
Per Bellamy abbiamo innanzitutto una democrazia dei consumatori. Questo
modello si basa su due caratteristiche fondamentali: la valorizzazione del voto e delle
elezioni come l’elemento più importante della vita politica ed il ruolo dominante
della burocrazia nel funzionamento delle democrazia contemporanee, e da qui la
necessità di dotare gli individui del massimo grado di informazione. In questo tipo
ideale la funzione delle ICTs si limita all’uso e all’utilizzo dei servizi pubblici
(Bellamy 1998).
Il secondo modello di democrazia elettronica secondo Bellamy è la democrazia
demo-elitista o neo-corporatista. Questo modello concentra la sua attenzione sulla
composizione delle élite burocratiche e sulla relazione con la società civile. La
principale funzione dell’opinione pubblica in questo tipo ideale è legittimare il
governo, più che dirigere ed orientare la politica. La legittimazione dipende dalle
politiche pubbliche che il sistema politico adotta per soddisfare la domanda della
cittadinanza. Le ICTs in questo caso hanno un ruolo di rafforzamento della
rappresentatività e dei meccanismi elettorali ed avviene attraverso la
decentralizzazione e la delocalizzazione dei luoghi elettorali, attraverso l’uso di
Internet nelle campagne elettorali, le conversazioni interattive on-line tra i
rappresentanti ed i votanti, forum e dibattiti elettronici.
Il terzo modello, la democrazia neo-repubblicana, propugna l’arricchimento ed il
rafforzamento delle associazioni della società civile e pone l’accento sulla
partecipazione ed il compromesso, soprattutto nei contesti locali. Questo modello
concepisce la politica come un’attività che sprona le persone a superare
l'individualismo del mercato e a pensare al benessere sociale (Bellamy 1998). Un
modello che vede le ICTs utili per costruire una repubblica elettronica come
preconizzata da Grossman (1997) dove l’esempio più significativo sono le Electronic
Towns Meeting nordamericane.
Infine vi è la ciberdemocrazia. Come sostiene Bellamy, si tratta di un modello in
fase di formazione e pertanto soggetto a modificazioni. Questo modello rientra
pienamente nel dibattito sopra la post-modernità: il punto di partenza è la
costatazione dell'importanza fondamentale della categoria dell’identità come
articolatore delle dinamiche politiche e sociali delle società avanzate (Bellamy 1998).
I quattro modelli si pongono lungo un continuum dove la democrazia dei
consumatori rappresenta il modello più rispettoso, con le regole, le norme e le
istituzioni della attuale democrazia parlamentare rappresentativa, mentre la
ciberdemocrazia rappresenta la volontà maggiore di riforma radicale del sistema
politico attuale e di sostituzione con altri tipi di democrazia, le ICTs diventano
elemento fondamentale per la costruzione di un nuovo modo di fare politica.
La tipologia di Hagen e la modellistica proposta da Bellamy si pongono come
idealtipi, capaci di fornire categorie interpretative della democrazia elettronica sia se si
tiene conto della tecnologia sia se si tiene conto di dimensioni culturali e politiche.
Più di recente, Subirats (2002) ha elaborato invece una tipologia del concetto di
democrazia elettronica che tiene conto sia del grado di sviluppo della tecnologia sia
della relazione che le ICTs intrattengono con le istituzioni e la cittadinanza. Il lavoro
di Subirats parte da due criteri o opzioni specifiche: una prima grande opzione è
65 orientata ad applicare la gestione delle ICTs nel campo più specifico delle policies e
nel campo delle polity la relazione che sussiste tra istituzioni e cittadinanza; un
secondo grande criterio di distinzione lo troviamo, invece, se consideriamo i processi
di miglioramento e di innovazione dentro un quadro costituzionale e politico
caratteristico dei sistemi parlamentari europei, o anche se siamo disposti ad esplorare
le vie alternative di presa di decisione politica, che incorpora più direttamente la
cittadinanza.
Facendo interagire i criteri, o, come dice l’autore, mescolandoli, noi possiamo
avere un quadro delle strategie e dei discorsi politici che si fanno su come si
relazionano le ICTs e i sistemi democratici ed i suoi processi di decisione e gestione.
Tabella 1 - Processo di innovazione democratica e uso delle Tecnologie
dell'informazione e della comunicazione
Uso ICTs
Policy
Polity
Bassa
2
Elitismo
democratico
Grado di innovazione
democratica e di
accettazione dei
processi partecipativi
plurali
Alta
3
Processo di
democrazia diretta
1
Meccanismi
consumistici
4
Rete pluralista delle
prestazione e dei
servizi
Fonte: Subirats 2002
Successivamente Subirats dispone la sua tipologia su quattro quadranti.
Al primo quadrante (1) troviamo il consumo dei servizi. La base strategica di
questo quadrante si situa nell’universo liberale, non vi è nessuna volontà di porre in
discussione la forma di operare della democrazia costituzionale e parlamentare, i suoi
meccanismi sono centrati essenzialmente sui partiti e le elezioni. Abbiamo quindi una
strategia rivolta al rafforzamento della rappresentatività della democrazia.
Nel secondo quadrante (2) si tratta di migliorare il funzionamento interno del
parlamento, dell’esecutivo e dell’amministrazione, il miglioramento dell’informazione
e dell’attività parlamentare e governativa verso la cittadinanza, l’ampliamento delle
possibilità di interazione tra il parlamento e il governo con la cittadinanza. Si rileva in
questo quadrante una strategia rivolta a riorganizzare elettronicamente le attività
amministrative. In generale in questo quadrante rientrano tutte le pratiche volte a
sviluppare i processi di governo elettronico (e-government).
66 Nel terzo quadrante (3) Subirats pone l’accento sulla profonda trasformazione che
sta avvenendo nella relazione tra Stato e società civile. Grazie all'uso delle ICTs è
possibile pensare e parlare di pluralismo reticolare e di promozione o potenziamento
dell'autonomia sociale capace di di generare inclusione e coesione.
Nell’ultimo quadrante (4) secondo Subirats esiste la possibilità che attraverso l’uso
delle ICTs si possa recuperare l’ideale di democrazia diretta e questo significa
canalizzare i meccanismi deliberativi, e quindi le opinioni e i dibattiti, verso forme
decisionali di partecipazione. In altre parole, bisogna ripensare le nostre attuali
istituzioni democratiche intorno al quale ruota il sistema politico e riarticolare la
mediazione tra cittadinanza e governo. In questa strategia le ICTs svolgono un ruolo
centrale nella definizione di un sistema democratico basato sulla votazione diretta e
sulla partecipazione della cittadinanza ai processi decisionali.
Ripensare la democrazia e canalizzarla verso forme di democrazia di tipo
deliberativo è anche il punto centrale di un’originale interpretazione della democrazia
elettronica fatta da Coleman e Gøtze (2001). Parafrasando il più noto saggio di
Putnam, i due autori descrivono il passaggio da una situazione di Bowling Alone ad
una situazione di Bowling Togheter.
Lo studio dei due autori parte da alcuni presupposti fondamentali. Innanzitutto
coinvolgere il pubblico nella definizione delle politiche non è un mezzo per diminuire
il rapporto rappresentativo, bensì per rafforzarlo. Anche in un’epoca in cui enormi
distanze separano i rappresentati dai centri decisionali, le ICTs possono fornire nuove
opportunità di collegare i cittadini ai loro rappresentanti. Di conseguenza,
l’alternativa a non sarà un pubblico disimpegnato, ma un pubblico con un proprio
ordine del giorno e un comprensibile ostilità verso i processi decisionali che sembrano
ignorarli. Inoltre per Coleman e Gøtze, la vecchia dicotomia tra esperti e pubblico è
falsa e sterile. Una notevole esperienza risiede all'interno del pubblico (che è
costituito, dopo tutto, di medici, infermieri, genitori, imprenditori, funzionari di
polizia, operatori sociali, le vittime della criminalità, gli insegnanti, anziani) e il
trucco è quello di trovare modi innovativi di articolare queste competenze e di
integrarle ai tradizionali processi decisionali. Questo significa che bisogna fornire al
pubblico informazioni adeguate circa le questioni di politica pubblica e utilizzando
l'esperienza e la competenza dei cittadini nel processo di formazione delle politiche.
L'obiettivo teorico di Coleman e Gøtze è dunque dimostrare che alcune vecchie
dicotomie vanno riviste sotto la lente delle innovazioni tecnologiche ed in particolare
delle ICTs. Essi si interrogano sulle reticenze più comuni nei classici della letteratura
rispetto alla graduale inclusione della cittadinanza nei processi di policy making.
Attraverso la rilettura di autori come Edmund Burke, in particolare sul dilemma della
delega vs rappresentanza, di John Stuart Mill e il presupposto delle competenze nella
partecipazione e il filtro razionale (rational filter) posto da John Dewey - ripreso più
tardi da Robert Dahl ne La democrazia e i suoi critici - i due autori sottolineano
l'inadeguatezza dei modelli nella contemporaneità e il loro relativo e graduale
superamento64.
64
Il testo di Coleman e Gøtze è interamente consultabile al sito www.bowlingtogheter.net
67 Recentemente anche Amoretti (2006) ha proposto una griglia interpretativa sorta
sulla base di una (ri)elaborazione della letteratura teorica e del materiale empirico
disponibile.
Tabella 2 - Modelli di e-democracy secondo Amoretti
COSTITUTIONAL TRADITIONS
-
Consultative e-democracy
Participative e-democracy
Administrative e-democracy
Deliberative e-democracy
-
+
Interattività+trasparenza WEB PRESENCE
+
Fonte: Amoretti 2006
Nel primo modello Amoretti colloca le pratiche e le sperimentazioni che sono
condotte in particolare da assemblee elettive per facilitare l’accesso e la consultazione
dei cittadini e dei gruppi sociali in vista di determinati output decisionali65
(Consultative e-democracy). Un secondo modello è invece contraddistinto e segnato
dalla cultura politica che fonda le democrazia costituzionali: centralità del cittadino
elettore e centralità del circuito rappresentativo, da cui il corretto funzionamento
dipende la legittimazione del sistema politico (Particpative e-democracy). Un terzo
modello pone invece l'enfasi sui processi discorsivi che fondano normativamente le
decisioni (Deliberative e-democracy). Rispetto ad altre logiche d’azione politica, quella
deliberativa persegue l’obiettivo dell’integrazione attraverso la razionalità
argomentativa. Amoretti prende le distanze dal modello di sfera pubblica omogenea
ma assume come dato strutturale insopprimibile la molteplicità dei livelli e delle
arene in cui i cittadini possono condividere esperienze, interagendo con le istituzioni
e al di fuori di esse. Infine abbiamo il modello dove la democrazia elettronica è vista
come una versione più avanzata del governo elettronico (Administrative e-democracy)
l’efficienza, l’efficacia e la trasparenza dei servizi al cittadino divengono elementi
fondamentali.
Nel noto Tecnopolitica (2004) Rodotà fa notare che gran parte dei modelli sulla
democrazia proposti in questi anni oscillano lungo un continuum che vede da un lato
una logica rappresentativa della democrazia e dall’altro una visione diretta, ateniese,
65
Amoretti indica un esempio di Consultative e-democracy l’esperienza del parlamento scozzese, per
approfondimenti si rimanda a AA.VV. A New Agenda for E-democracy. Position Papers for Oxford
Internet Insitute (OII) Symposium, 2004.
68 di democrazia. Secondo Rodotà, se osserviamo attentamente questo asse è possibile
trovare un nuovo tipo di democrazia: una democrazia che si distende nello spazio,
dove le reti creano appunto le condizioni per la fine delle interruzioni determinate
dalla distanza, aprendo la prospettiva di una face-to-face democracy senza più confini.
Proprio questo continuum spazio/temporale individua la dimensione istituzionale
dell’agire politico e della costruzione della cittadinanza. Ora bisogna fare i conti con
una democrazia continua (Rodotà 2004).
Quando si parla di democrazia continua si fa riferimento a strumenti che si
differenziano da quelli di tipo rappresentativo perché vengono adoperati dai cittadini
senza ricorrere a mediazione e che non si identificano con quelli della democrazia
diretta, solitamente riferiti al solo momento finale di una decisione o alla presenza in
uno specifico processo decisionale.
Rodotà tiene comunque a precisare che una democrazia continua deve però
dotarsi di strumenti utili al controllo e alla garanzia del processo democratico. Essi
sono:
• strumenti di conoscenza: tutti quelli che consentono l’accesso diretto dei
cittadini alle informazioni a determinate categorie di informazioni in mano pubblica
e a determinate categorie di informazioni in mano privata;
• strumenti di intervento non formalizzato: possono essere quelli che rendono
possibile la presenza dei cittadini all'interno di processi di consultazione e di
decisione, pur restando affidata ad altri soggetti la scelta finale;
• strumenti di valutazione critica: come la consensus conferences, che innestano la
tecnica del campione su un lavoro di gruppo e su risposte non fondate sulla tecnica
dell'alternativa sì/no o del questionario;
• strumenti di controllo: che combinano elementi di conoscenza e di intervento
e che, ad esempio, diffondono al legittimazione ad agire in giudizio per la tutela di
interessi generali;
• strumenti di proposta: con vincoli per quanto riguarda la presa in
considerazione di tali proposte da parte di soggetti pubblici;
• strumenti di consultazione: utilizzando eventualmente anche in questo caso
tecniche del campione o della rotazione tra i cittadini consultati;
• strumenti di gestione autonoma: ad esempio di determinate categorie di servizi,
con effetti di determinate categorie di servizi, con effetti di decentramento e di
destatalizzazione;
• strumenti di vera e propria decisione: tuttavia con caratteristiche tali da
innovare anche le tradizionali forme dei referendum;
Tutti gli strumenti richiedono evidentemente la preventiva definizione di un
adeguato quadro istituzionale (Rodotà 2004).
In concreto sono proprio le opportunità offerte da queste tecnologie che possono
consentire un ricorso all'insieme di questi strumenti, individuando una dimensione
della democrazia che si proietta al di là delle contrapposizioni tra democrazia
rappresentativa e democrazia diretta, tra libertà dei moderni e cittadinanza
elettronica.
69 4. La costruzione dei diritti nella società dell’informazione: la cittadinanza
elettronica
Come abbiamo visto, le tecnologie dell’informazione e della comunicazione
contribuiscono ad una ridefinizione delle tradizionali pratiche partecipative e
decisionali e - come abbiamo costatato nel precedente paragrafo - a partire da questo
presupposto negli ultimi anni si sono sviluppate diverse idee e modelli sulle
implicazioni democratiche dovute all’affermazione delle ICTs. Sulla stregua delle
diverse definizioni pervenute, parallelamente, è andato sviluppandosi un dibattito sui
limiti della democrazia elettronica, mostrando una certa attenzione verso i
meccanismi di tutela e garanzia dei diritti dei cittadini in un contesto altamente
informatizzato.
Qualche anno fa Rodotà (1994) aveva fatto notare che quando si parla di
autostrade elettroniche, di civic networking, di reti telematiche, si può e si deve
discutere di opportunità democratiche ma bisogna comunque ricordare che il
problema centrale è quello di garantire a tutti i cittadini l’accesso alle tecnologie in
condizioni di parità, in quanto le tecnologie somigliano al mitologico Giano bifronte,
sono ambigue per natura.
In questo contesto, la nozione di cittadinanza e i relativi diritti sono stati riletti in
rapporto alla crescente complessità delle tecnologie dell’informazione e la
comunicazione. Esse contribuiscono a quel processo di dilatazione della nozione di
cittadinanza che, da qualche anno, è al centro del dibattito politologico e giuridico.
Quando si parla di cittadinanza si fa spesso riferimento a quel complesso di
garanzie, diritti e doveri che ogni individuo - che partecipa ad una stessa comunità indistintamente può far valere e goderne. L’espressione cittadinanza nel lessico
comune e nel lessico giuridico tradizionale, designa l’appartenenza di un individuo a
uno Stato ed evoca principalmente i problemi relativi alla perdita e all’acquisto dello
status di cittadino. Per cittadinanza generalmente si intende dunque l'appartenenza di
un individuo ad un territorio, ad una comunità, ad uno stato definendo così i criteri
di una persona affinché essa possa godere pienamente dei diritti fondamentali, e di
partecipare al funzionamento del sistema politico (Rodotà, 2004).
Una visione che inevitabilmente richiama e rimanda ad una concezione della
cittadinanza in chiave strettamente moderna, legata alle vicende dello Stato,
all’affermazione dei diritti civili, politici e sociali. Ma, concettualmente, la
cittadinanza - sin dal periodo ellenico - non ha mai smesso di arricchire il proprio
percorso giuridico e di tutela, non mai smesso di estendere il proprio percorso
semantico, non ha mai esaurito la portata astorica che caratterizza il concetto di
cittadinanza come uno dei più importanti istituti democratici.
Zolo sostiene che l’uso moderno del termine cittadinanza ha due significati
distinti: un primo di natura teorico-politico ed un secondo di tipo propriamente
giuridico. Nel primo caso la cittadinanza designa lo status sociale del cittadino e cioè
il complesso delle condizioni politiche, economiche e culturali che sono garantite da
un gruppo sociale organizzato. Nel secondo caso il termine cittadinanza designa uno
status normativo, e cioè l’ascrizione di un soggetto all’ordinamento giuridico di
territorio.
70 Per quanto riguarda il significato teorico-politico di cittadinanza possiamo
ulteriormente distinguere tre concezioni interne:
•
innanzitutto una concezione classica della cittadinanza, dove Aristotele risulta
essere il maggiore esponente e dove la tradizione romana ed ellenica sono gli esempi
più significativi;
•
una concezione moderna della cittadinanza, che si può far risalire al
Rinascimento e alle grandi rivoluzioni borghesi dello Stato nazionale europeo.
•
in ultimo troviamo una concezione democratico-sociale, connessa all'emergere
dei partiti democratici e socialisti, dei sindacati e del Welfare State.
Nella concezione classica, il cittadino, almeno nelle sue forme essenziali, fa la sua
comparsa nella polis della Grecia antica. Già Aristotele nel Politica ne suggeriva il
significato tracciandone i confini teorici. Per Aristotele è cittadino solo l’individuo
maschio e adulto, collocato al vertice del microcosmo famigliare, e, per un altro verso,
solo l’individuo che possa esercitare la virtù e occuparsi, in condizioni di eguaglianza
con gli altri cittadini, della cosa pubblica, proprio perché libero da preoccupazioni
economiche e da attività servili, affidate ad altri, schiavi o meteci che siano.
Nell’antichità appartenere, essere membro di una comunità, di una città, di una polis,
diveniva requisito minimo ed essenziale per essere cittadino, e nella Grecia antica la
comunità politica di appartenenza prendeva forma esclusivamente nella città. Il
cittadino faceva tutto nella polis e per la polis66.
Anche nella civitas romana, attraverso la rappresentazione fornita da Cicerone nel
De Repubblica, emerge lo stretto rapporto che l’individuo intrattiene con la comunità
politica di appartenenza e l’ordine politico costituito. La civitas romana si fondava da
un lato sul primato dell’utilità comune e sulla doverosa dedizione del cittadino alla
repubblica e, dall’altro, sulla libertà che il popolo usufruisce in un ordinamento che
possa dirsi autenticamente repubblicano. Appartenenza e dedizione alla comunità e
all'ordine politico costituito sono quindi i pilastri della civitas.
Nella concezione moderna la cittadinanza si distingue per il suo carattere non
aristocratico e non elitiario: in linea di massima tutti i membri del gruppo sono, in
quanto tali, sudditi o cittadini. I cittadini-sudditi sono vincolati dal principio del
pacta sunt servanda e ciò impone loro essenzialmente doveri di lealtà e obbedienza.
Ma essi sono anche titolari del diritto alla sicurezza della propria vita fisica, che il
monarca deve essere in grado di garantire a tutti. Il cittadino non è ancora bourgeois;
il cittadino è il suddito che obbedisce al sovrano e ottiene in cambio protezione nei
confronti del nemico interno ed esterno (Zolo 2007).
È però con le rivoluzioni borghesi del settecento che si afferma la concezione
moderna della cittadinanza come prerogativa, nello stesso tempo, individuale e
universalistica. Cittadinanza significa quindi eguaglianza giuridica e politica in
quanto soggetti titolari di diritto e in quanto detentori della sovranità. Tutti i
membri di una nazione hanno uguale diritto di voto per eleggere i propri
rappresentanti nelle assemblee deliberative o per esservi eletti (Zolo 2007).
La cittadinanza democratico-sociale si afferma dunque solo negli ultimi decenni
dell’Ottocento.
66
Per Aristotele l'uomo realizzava se stesso nella collettività e nella appartenenza ad essa, «quando
ciò non accade essi sono popolazioni da considerare come barbare o inferiori».
71 «In quel periodo era esplosa la questione sociale e la polemica dei socialisti e dei marxisti contro il
modo di produzione capitalistico, accusato di produrre sfruttamento, miseria, disoccupazione e
ricorrenti crisi economiche. Si erano andati poi affermando i partiti di massa, legati al mondo del
lavoro o alle confessioni religiose, che tendevano a forzare le strettoie oligarchiche dello Stato liberale e
spingevano per un allargamento del suffragio elettorale fino ad una sua completa generalizzazione»
(Zolo 2007, p. 23).
Nella concezione democratico-sociale di cittadinanza il lavoro di T. H. Marshall
segna una svolta molto importante sotto il profilo concettuale. La sua opera è
considerata come uno dei punti di partenza per ogni analisi del concetto e della
definizione di cittadinanza nella società moderna.
Marshall elabora una concezione evoluzionista della cittadinanza a partire da un
analisi della storia politica dell’ottocento. La storia – secondo T. H. Marshall - rileva
un lento processo in cui il concetto di cittadinanza assorbe progressivamente i
principi civili nel XVII secolo, quelli politici nel XIX secolo e infine quelli sociali nel
XX secolo arricchendosi dei corrispondenti tipi di diritti:
«[...]L’elemento civile è composto dai diritti necessari alla libertà individuale: libertà personali, di
parola, di pensiero e di fede, il diritto di possedere cose in proprietà e di stipulare contratti validi e il
diritto a ottenere giustizia [...]» (Marshall 1950, p. 10)
Seguendo la tipologia di Marshall, il secolo diciottesimo è stato il secolo dei diritti
civili. Si pensi alla creazione dell’istituto Habeas Corpus67, al Tolerection Act68, oppure
all’abolizione della censura sulla stampa. Con maggiore esatezza questo periodo è
racchiuso tra la Rivoluzione del 1688 e il primo Reform Act del 1831. È alla fine di
tale periodo che i diritti civili diventano proprietà dell'essere umano.
La cittadinanza civile si afferma per prima e attribuisce agli individui una serie di
diritti di libertà, da quella personale fino a quella di parola, da quella di pensiero a
quella religiosa.
La storia dei diritti politici è leggermente diversa. Un periodo formativo
cominciato all'inizio del diciannovesimo secolo, quando i diritti civili avevano già
acquistato abbastanza consistenza da permettersi di parlare di uno status generale di
cittadinanza69. Un periodo che non deve essere concepito come la creazione di nuovi
67
Il diritto di Habeas Corpus nel corso della storia è stato un importante strumento per la
salvaguardia della libertà individuale contro l'azione arbitraria dello stato. Tale sistema è stato inserito
nell'importante documento della Magna Charta successivamente a rivendicazioni di baroni inglesi.
68
Il Tolerant Act è stato un atto del Parlamento inglese del 24 maggio 1689. Prima legge emanata
per Inghilterra, Scozia e Irlanda da Guglielmo III d’Orange dopo la Glorious Revolution invertendo il
rigido orientamento gallicano degli Stuart, e accogliendo le posizioni di J. Locke, concedeva libertà di
culto a tutte le confessioni cristiane, esclusa la cattolica romana, ma condannava l’ateismo.
L’emancipazione dei cattolici fu conseguita soltanto nel 1829.
69
Per Marshall la cittadinanza «è uno status che viene conferito a coloro che sono membri a pieno
diritto di una comunità. Tutti quelli che posseggono questo status sono uguali rispetto ai diritti e ai
doveri conferiti da tale status. Non c'è nessun principio universale che determini il contenuto di questi
diritti e doveri, ma le società nella quali la cittadinanza è un'istituzione in via di sviluppo presentano
l'immagine di una cittadinanza ideale rispetto a cui possono misurare le conquiste ottenute e verso cui
le aspirazioni possono indirizzarsi. La spinta in avanti lungo il sentiero così tracciato è una spinta verso
72 diritti bensì come concessione di vecchi diritti a nuovi strati della popolazione. È
comunque la cittadinanza politica che ha aperto la strada al riformismo delle
politiche egualitarie del XX secolo e all’affermazione dei diritti sociali
«[...] Per elemento politico intendo il diritto a partecipare all'esercizio del potere politico, come
membro di un organo investito di autorità politica o come elettore dei componenti di un tale organo
[...]» (Marshall 1950, p. 12).
Entrambi i periodi ed i relativi diritti, secondo Marshall, hanno comunque avuto
un impatto poco notevole sulla disuguaglianza sociale. I diritti civili offrivano poteri
legali il cui uso era limitato drasticamente dal pregiudizio di classe mentre i diritti
politici fornivano un potere potenziale e l’esercizio di tali diritti richiedeva esperienza.
Alla fine del diciannovesimo secolo si aprì un periodo dove l'integrazione sociale si
diffuse nelle varie sfere del vivere civile. Si ebbe quindi un primo progresso dei diritti
sociali, ciò comporto mutamenti nel principio di uguaglianza espresso dalla
cittadinanza.
«[...] Per elemento sociale intendo tutta la gamma di diritti che va da un minimo di benessere e di
sicurezza economici fino al diritto a partecipare pienamente al retaggio e a vivere la vita di persona
civile, secondo i canoni vigenti nella società» (Marshall 1950, p. 13)
Nell’antichità questi tre elementi erano fusi in unico elemento. I diritti erano uniti
gli uni agli altri perché le istituzioni erano amalgamate.
La cittadinanza si mostra dunque come un meta-concetto utile alla interpretazione
e alla comprensione dei rapporti che intercorrono tra stato, sistema politico ed
individuo quale detentore di diritti e doveri. Essa diviene nella modernità anche
strumento di valutazione delle attività istituzionali ponendosi come parametro capace
di monitorare la qualità della vita democratica di uno stato. Cittadinanza è quindi
un’espressione utilizzabile per mettere a fuoco il rapporto politico fondamentale e le
sue principali articolazioni: le aspettative e le pretese, i diritti e i doveri, le modalità di
appartenenza e i criteri di differenziazione, le strategie di inclusione ed esclusione70
(Costa 2005).
Con lo sviluppo delle ICTs si è fatta strada l'idea che la cittadinanza stia
ridisegnando i suoi confini, dilatando ciò che fino ad oggi è stato il suo significato
politico e giuridico. Infatti, come fa notare ancora Rodotà (2004), mentre si
discuteva di citizen, di cittadino, si è avvertita l'esigenza di depurare il concetto dal
un maggior grado di uguaglianza, un arricchimento del materiale di cui è fatto lo status e un aumento
del numero delle persone cui è conferito questo status» (Marshall 1950, p. 24).
70
A partire dai criteri di inclusione ed esclusione, Donati (2000) propone di superare la
tradizionale accezzione di cittadinanza cominciando con il superare il concetto stesso di integrazione
politica. Per Donati nella società dell’informazione si è accentuato il distacco tra la società civile e lo
Stato e il parallelo processo di costruzione di una comune identità civica si è bloccato. Il tutto è la
casua di fattori endogeni e fattori esogeni. I fattori endogeni possono essere rilevati dalla crescente crisi
delle democrazie rappresentative dovuti a diversi fattori ed in buona parte alla diffusa frustrazione a
non riuscire risolvere i problemi attraverso i sistemi politici tradizionali. I fattori esogeni possono
invece essere rilevati dal pluiricitato processo di globalizzaizone che tra i tanti effetti ha ridimensionato
i rapporti tra le diverse istituzioni sovranazionali, nazionali e locali.
73 riferimento troppo immediato di appartenenza ad una comunità statale, salvandone
però la forza evocativa e retorica tipica dell'antichità. È comparso così il denizen, il
semplice residente, più legato all'essere in un luogo che non alla qualità formale
dell'appartenenza, una figura che con l'avvento della società dell'informazione appare
già inadeguata e sostituita dal netizen che lega l'individuo alla dimensione della rete.
Siamo oramai spettatori di una quantità prima inimmaginabile di eventi politici e
diventiamo sempre di più attori nelle vicende che si svolgono quotidianamente
(Rodotà 1994) ed è impensabile che un tale flusso di informazioni politiche non
agisca sul funzionamento dei sistemi politici.
Cambiano dunque le modalità della cittadinanza o, parafrasando Rodotà, s'invera
fino in fondo la promessa che quella parola ha sempre portato con sé, simboleggiando
una permanente e irriducibile qualità d'ogni soggetto. Si ampliano le possibilità di
intervento del cittadino e nello stesso tempo si mette in discussione l'idea che la
democrazia sia confinata solo ed esclusivamente nel momento delle decisione.
Pascuzzi (2006) sostiene una netta separazione tra quello che era e quello che è
oggi il diritto connesso alle tecnologie di informazione e comunicazione. Siamo di
fronte all'era digitale del diritto attraverso il quale bisogna rimettere in discussione il
rapporto tradizionale tra diritto e nuove tecnologie. D'altro canto una lex informatica
non deve contrapporre vecchi e nuovi diritti. Molte garanzie tradizionali
comprendono già potenzialità tali da renderle utilizzabili in situazioni
tecnologicamente modificate (Rodotà, 2000).
La costruzione dei diritti è precondizione essenziale per definire la cittadinanza
nella società dell’informazione. Attraverso l'affermazione dei diritti si regolano i
rapporti, si pongono limiti e si ampliano le opportunità implicite. Ciò che in molti
non hanno esitato a definire come cittadinanza elettronica può costruirsi solo con la
creazione di un soggetto elettronico giuridico responsabile e cosciente dei propri diritti
nei confronti dello sviluppo tecnologico. Nella misura in cui l’informazione e la
comunicazione diventano i fattori primari dello sviluppo economico e sociale,
cittadini e imprese potranno cogliere le opportunità della società dell’informazione
solamente se l’accesso alle infrastrutture di rete e ai servizi di rete sarà immediato e
generalizzato e solamente se le ICTs saranno utilizzate come strumenti per favorire la
partecipazione alle comunità locali e ai processi decisionali (Serra 2004, p. 52).
L'emergere dei diritti di cittadinanza elettronica sono l'espressione diretta dei
bisogni, individuali e collettivi, emersi con l'avvento della società dell'informazione.
Diritti definiti di quarta generazione71, dopo quelli civili, politici e sociali e che - come
afferma Rodotà - bisogna collocare come diritti fondamentali affinché possa nascere
71
Solitamente nel pensiero giuridico si suddividono i diritti di cittadinanza per generazioni: 1) I
diritti civili e politici. Vi appartengono il diritto alla vita e all’integrità fisica, e tutti quelli diritti legati
alla libertà di pensiero, di religione, di espressione, di associazione, il diritto alla partecipazione
politica, all’elettorato attivo e passivo; 2) I diritti economici, sociali e culturali. Vi sono inclusi tutti i
diritti di natura economica, sociale e culturale (come per esempio il diritto all’istruzione, al lavoro, alla
casa, alla salute ecc.). 3) I diritti di solidarietà. Si tratta di diritti relativamente recenti quali quello
all’autodeterminazione dei popoli, alla pace, allo sviluppo, all’equilibrio ecologico, al controllo delle
risorse nazionali, alla difesa ambientale. 4)
I nuovi diritti, sono quelli relativi al campo delle
manipolazioni genetiche, della bioetica e delle nuove tecnologie di informazione e comunicazione.
74 una Costituzione di Internet ed una piena espressione democratica della cittadinanza
elettronica.
In questo quadro i cittadini richiedono il riconoscimento e l’affermazione di nuovi
tipi di diritti legati alla società dell’informazione. Un alveo che contempla sia le
garanzie già esistenti negli ordinamenti nazionali e internazionali, che la creazione di
istituti capaci di tutelare i nuovi bisogni legati alle tecnologie per l’informazione e la
comunicazione.
Un esempio è dato dal diritto all'informazione che in questi anni ha avuto
molteplici revisioni dovute allo sviluppo delle tecnologie. In effetti, ricevere e
diffondere informazioni è un prerequisito sostanziale dei diritti di cittadinanza
tradizionali. Dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell'uomo72 alla Costituzione
della Repubblica Italiana art. 2173 cercare, ricevere e diffondere informazioni sono
parte di quei diritti di libertà riconosciuti e garantiti universalmente. Bisogna
comunque sottolineare che il diritto all'informazione come diritto sociale è un
conquista giuridica relativamente recente. Solo nel 1994 la Corte Costituzionale
approva una definizione capace di raccogliere in maniera più articolata le esigenze
nate con l'intensificarsi del sistema informativo74.
Altri diritti invece hanno visto la loro definizione parallelamente al crescere della
complessità tecnologica. Il diritto all'accesso e all’accessibilità ne è un esempio.
Relativamente recente e strettamente connesso al diritto all'informazione esso si
poggia sul meccanismo inclusione/esclusione del sistema informatico e – più in
generale - del sistema di telecomunicazione. Vi appartengono i diritti di accesso sia
alle risorse informative che a quelle comunicazionali e si espande fino allo sviluppo
delle infrastrutture pubbliche.
Altra cosa è il diritto all’accessibilità recentemente regolamentato in Italia con la
legge 04/2004, meglio conosciuta come legge Stanca75. Essa è intesa proprio nel senso
usato per le barriere architettoniche, ovvero il diritto di accesso per i disabili e per
tutte le persone svantaggiate o in situazioni di difficoltà.
La tutela delle informazioni e della loro circolazione si rivela dunque come un
elemento determinante per la configurazione della cittadinanza elettronica. Si pensi
alle informazioni personali, quelle legate al privato e all'intimità, vera e propria
espressione dell'identità di un individuo. In questo contesto, il diritto alla privacy
diviene quindi quella linea che delimita ciò che può circolare liberamente e ciò che
invece deve essere garantito e tutelato per la sua natura puramente individuale,
privata, intima. In alcune Costituzioni dell'America latina hanno istituito negli ultimi
72
Art. 19 della Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo: “Ogni individuo ha il diritto alla
libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e
quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a
frontiere”.
73
Art. 21 della Costituzione della Repubblica Italiana: “Tutti hanno il diritto di manifestare
liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”.
74
Vedi sent. n. 420/1994.
75
Legge 9 gennaio 2004, n. 4, “Disposizioni per favorire l’accesso dei soggetti disabili agli
strumenti informatici” pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 13 del 17 gennaio 2004.
75 anni l’Habeas Data76 - erede del già citato Habeas Corpus - per proteggere l’intimità e
la libertà del cittadino contro gli abusi dei registri informatizzati.
La sfera dei diritti di cittadinanza elettronica spazia dunque dalla libertà
d’informazione alla tutela delle stesse informazioni. Una gamma di diritti che negli
ultimi anni è andata crescendo, coinvolgendo altre sfere del diritto, il più delle volte
inedite alla riflessione giuridica.
Per far fronte a ciò, nel 2004 a Barcellona durante il convegno Building Inclusive
Intelligent Cities: Real Time Solutions for Real Time Needs77 fu lanciata la Charter of eRights che aveva come scopo la realizzazione di uno statuto dei diritti elettronici.
Nella Charter of e-Rights oltre ai già citati diritti venivano riconosciuti anche:
• il diritto alla formazione elettronica (e-learning);
Il principio che ispira questo diritto è che tutti i cittadini hanno il diritto di
aggiornare le proprie competenze e conoscenze per poter godere dei benefici e delle
opportunità associate alla diffusione e all’utilizzo delle ICTs. Le tecnologie per
l’informazione e la comunicazione consentono di separare l’educazione dalla scuola e
dalle università e di erogare servizi avanzati di formazione anche a coloro che già
lavorano, ai disoccupati, agli anziani e a tutti coloro che per diverse ragioni non
frequentano istituzioni formative.
• il diritto alla democrazia elettronica (e-democracy);
Alla base di questo diritto vi è l’esigenza di favorire la partecipazione dei cittadini
ai processi decisionali e di concentrarsi non tanto concentrarsi sullo sviluppo di
tecnologie e servizi, quanto sulla riorganizzazione delle amministrazioni al fine di
rendere più trasparenti tali processi e istituzionalizzare i momenti di interazione
(Micelli 2004). Portali Web, sistemi elettronici di voto e consultazione,
pubblicizzazione delle decisioni e delle deliberazioni sono gli strumenti prioritari per
ridisegnare le relazioni tra amministrazioni e cittadini.
76
L’Habeas data è un diritto costituzionale concessi in diversi paesi dell’America Latina (Brasile
1988, Paraguay 1992, Perù 1993). Da paese a paese vi sono delle differenze ma in generale l’Habeas
data è progettato per proteggere, l’immagine, la privacy, l'onore, l'informazione e la libertà di
informazione di una persona.
77
Organizzato da Eurocities–TeleCities in collaborazione con il Manchester City Council.
L’obiettivo del convegno era stabilire una connessione tra le nuove opportunità create dall’economia
della conoscenza e i bisogni dei cittadini all’interno della più ampia società della conoscenza.
76 PARTE SECONDA
POLICY
77 CAPITOLO 3
Percorsi di policy per la società dell’informazione, l’e-government e la
democrazia elettronica in Europa
Premessa
In questo capitolo ci concentreremo sulla documentazione prodotta dalla
Commissione Europea e da diversi Stati membri della UE con il fine di comprendere
a quale famiglia di policies appartengono gli interventi per la democrazia e la
cittadinanza elettronica.
L’analisi si è svolta a partire dalla della documentazione programmatica, strategica
e legislativa della Commissione e della direzione generale europea per la Società
dell’informazione e la comunicazione. L’intento è stato quello di ricostruire il
percorso attraverso il quale l’Europa ha strutturato le linee di intervento per la
partecipazione e il coinvolgimento dei cittadini e, per agevolare l’analisi, si è preferito
muoversi prima sul piano internazionale, attraverso la lettura dei principali
documenti programmatici e strategici europei.
1. La commissione Delors e il rapporto Bangemann: il mercato come volano
per le politiche per la società dell’informazione
«Modern technologies are fundamentally changing the relationship between the State and the
general public. The ordinary citizen can have access to "public services" on an individual basis, and
these will be invoiced on the basis of the use made of them» (Libro Bianco 1993).
Questo breve stralcio risale al dicembre del 1993 ed è tratto da Crescita,
competitività ed occupazione – Le sfide e le vie da percorrere per entrare nel XXI secolo,
meglio conosciuto come il Libro Bianco di Jaques Delors. Un rapporto che - nelle sue
linee generali - analizzava le cause della crisi economica e occupazionale che, sul finire
degli anni ‘80, aveva coinvolto tutti gli Stati membri della comunità europea e gran
parte dei paesi occidentali.
Dall’analisi del rapporto della Commissione Delors emergevano i punti chiave sui
quali i governi dovevano ragionare per uscire dalla crisi economica. In generale, il
rapporto sosteneva che la recessione dei primi anni ‘90 era stata causata dal radicale
cambiamento geo-politico avvenuto negli anni che avevano fatto da sfondo alla
caduta del muro di Berlino, si pensi alla riconfigurazione degli scambi commerciali
relativi alle riforme dell’Unione Sovietica sotto la presidenza Gorbaciov, ma nello
specifico dal rapporto emergeva che la crisi fu il risultato di politiche economiche
errate, basate su previsioni di crescita completamente inesatte.
Alla base della relazione del rapporto vi era l’idea che dopo il crack delle borse
78 avvenuto nel 1987 gran parte dei governi attuarono delle politiche monetarie
espansive facendo schizzare il tasso di crescita effettivo oltre il 4% rispetto a quello
potenziale (Libro Bianco 1993). Un errore che costo caro ai paesi comunitari,
soprattutto dal punto di vista occupazionale. Nel Libro Bianco vi era dunque la
consapevolezza degli errori commessi negli anni che avevano chiuso il decennio
precedente e vi era l’obiettivo di impegnarsi in un percorso di crescita sostenuta e di
maggiore intensità occupazionale.
Secondo il Libro Bianco, per riprendere uno sviluppo coerente che tenesse conto
delle problematiche relative alla crescente disoccupazione, era necessario che la
politica economica dell’intera comunità europea si fondasse su tre elementi cardini:
definire un quadro macroeconomico e normativo in grado di sostenere le forze di
mercato e non di ostacolarle; creare interventi di carattere strutturale volti ad
accrescere la competitività verso l’esterno della comunità e a sfruttare tutte le
caratteristiche e le diverse potenzialità del mercato comunitario; attivare una riforma
strutturale del mercato del lavoro che tenesse conto delle trasformazioni dovute
all’uso crescente delle tecnologie per l’informazione e la comunicazione.
Tutti e tre gli elementi fornivano una serie di orientamenti di carattere strutturale
che investivano sia i processi legislativi che regolamentavano l’economia, sia i diversi
aspetti legati alla trasformazione del mercato del lavoro. A partire da queste
considerazioni, la politica economica europea doveva quindi favorire un processo di
crescita fondato più sugli investimenti che sui consumi e, in particolare, un aumento
degli investimenti, attraverso l'introduzione di nuove tecnologie, avrebbe avuto
l’effetto di accrescere la competitività dell’intero sistema economico (Libro Bianco
1993).
La commissione Delors, oltre all’analisi dei fattori che avevano scatenato
l’instabilità nei paesi comunitari, forniva dunque una serie di obiettivi e strategie da
perseguire, con il fine di dare nuova consapevolezza economica e politica agli Stati
membri e con lo scopo di affrontare le sfide che il nuovo secolo poneva ai diversi
esecutivi nazionali.
Come abbiamo accennato, tra i temi affrontati nel Libro Bianco lo sviluppo delle
nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione figurava quindi come una
priorità. In esso vi erano tracciate le caratteristiche fondamentali della nascente
società dell’informazione, le opportunità occupazionali, organizzative e gestionali
offerte dallo sviluppo di un’economia di tipo informazionale e le enormi potenzialità
alle quali poteva assurgere un settore pubblico altamente informatizzato.
«Information and communication technologies (ICTs) are transforming dramatically many aspects
of economic and social life […] A new "information society" is emerging, in which management,
quality and speed of information are key factors for competitiveness: as an input to industry as a whole
and as a service provided to ultimate consumers, information and communication technologies
influence the economy at all stages» (Libro Bianco 1993).
Il Libro Bianco di Delors diventa dunque un punto di riferimento per le policies
per la società dell’informazione in Europa (Capano 2000), suggerendo allo stesso
tempo di sostituirlo concettualmente al termine americano di Information
SuperHighways, in quanto capace di rappresentare in maniera più incisiva il
complesso di trasformazioni sociali, politiche ed economiche determinate dalla
79 diffusione delle nuove tecnologie dell’informazione (De Rosa 2000, Zuccarini 2007).
In effetti, la metafora autostradale dell’informazione era, come affermava Carlini,
riduttiva se si vogliono contenere tutti gli aspetti connessi alle tecnologie
dell’informazione e della comunicazione, in particolare se si pensa alla rete. Essa ha la
funzione essenziale di riuscire a rappresentare il grande progetto politico ed
economico che, per il suo rilievo generale, assume un’importanza paragonabile a
quella svolta dalle altre grandi reti infrastrutturali che hanno accompagnato le grandi
espansioni economiche: via d’acqua, vie ferrate, maglia autostradale (Carlini 1996)
ma nel complesso riduce di gran lunga il potenziale trasformativo sociale e culturale
contenuti nelle tecnologie per l’informazione e la comunicazione.
Il rapporto Delors si trasforma quindi in un primo passo per risollevare le sorti di
una economia in crisi e, nello stesso tempo, le politiche per la società
dell’informazione diventano di importanza strategica per i governi, ormai quasi tutti
in difficoltà per le accuse di inefficienza e per la scarsa efficacia della propria azione
(Capano 2000, Zuccarini 2007).
Nel giugno del 1994, a circa un anno dalla pubblicazione del Libro Bianco di
Delors, la Commissione Europea pubblicò il rapporto Europe and the Global
Information Society: Recommendations to the European Council, oggi ricordato come
Rapporto Bangemann, dal nome del suo relatore Martin Bangemann, allora
commissario all’industria. Il rapporto, presentato ai membri della UE durante il
Vertice di Corfù78, è la naturale prosecuzione delle strategie proposte dal Libro
Bianco. Nello specifico il rapporto si preoccupava di definire con maggiore chiarezza
gli aspetti dedicati allo sviluppo della società dell’informazione e alla
implementazione di un’economia di tipo informazionale.
In esso vi erano delineati gli obiettivi che ogni singolo stato della Comunità
Europea, sia nella loro autonomia che in relazione con gli altri membri della
comunità, dovevano perseguire negli anni successivi, affinché in Europa cominciasse
a svilupparsi una piattaforma economica e sociale basata sull’informazione e la
conoscenza come pilastri portanti dell’intera struttura economica ed organizzativa.
«The widespread availability of new information tools and services will present fresh opportunities
to build a more equal and balanced society and to foster individual accomplishment. The information
society has the potential to improve the quality of life of Europe's citizens, the efficiency of our social
and economic organisation and to reinforce cohesion» (Bangemann Report 1994).
78
Il vertice di Corfù si è tenuto il 24 Giugno del 1994 e vide per la prima volta la partecipazione al
Consiglio Europeo di stati come l’Austria, la Finlandia e la Norvegia. Nel vertice furono discusse e
deliberate le priorità della Comunità Europea in termini di sviluppo e riorganizzazione delle economie
dei paesi membri. Nello specifico, durante il vertice di Corfù, il Consiglio Europeo elaborò sei punti
fondamentali tesi al riordino e allo sviluppo dell’economia negli Stati membri: i. Incentivazione di
riforme intese a migliorare l'efficienza dei regimi occupazionali; ii. Misure specifiche intese a
massimizzare lo sfruttamento del potenziale occupazionale delle piccole e medie imprese; iii.
Rafforzamento del coordinamento della politica in materia di ricerca; iv. Rapida attuazione di progetti
transeuropei altamente prioritari nei settori dei trasporti e dell'energia; v. Pieno sfruttamento delle
possibilità e delle opportunità offerte dalla società dell'informazione; vi. Incoraggiamento del nuovo
modello di sviluppo sostenibile, compresa la dimensione ambientale.
80 Questo rapporto ha rappresentato un ulteriore percorso verso la creazione di una
strategia europea per la società dell’informazione, poiché venne considerato come
l’avvio ufficiale di un processo di attuazione concreta di interventi pubblici. Si
invitava l’UE a procedere all’individuazione dei finanziamenti pubblici esistenti –
primariamente i fondi strutturali – al fine di realizzare gli interventi necessari per
rispondere ai bisogni emergenti della società dell’informazione.
Nel Rapporto Bangemann la costruzione della società dell’informazione in Europa
doveva passare attraverso degli obiettivi e delle priorità precise: innanzitutto la
volontà di perseguire un’Europa dei cittadini e dei consumatori, dove l’obiettivo di
base era quello di migliorare significativamente i margini di qualità della vita e fornire
una scelta più ampia di servizi e intrattenimenti; dare valore ai creatori di contenuti,
strutturando strategie e nuovi modi per esercitare la propria creatività e la
progettazioni di nuovi prodotti e servizi; creare nuove opportunità per le regioni
d'Europa di esprimere le loro tradizioni culturali e le loro identità e, per i paesi
periferici, una riduzione della distanza e della lontananza; un governo e una PA più
efficienti, trasparenti e servizi pubblici più vicini ai cittadini e ad un costo inferiore;
per le imprese europee una gestione più efficace dell'organizzazione, l'accesso alla
formazione e ad altri servizi, un miglioramento dei legami con clienti e fornitori che
inevitabilmente genera una maggiore competitività; la capacità di fornire una più
ampia gamma di nuove imprese ad alto valore aggiunto nel settore degli operatori
delle telecomunicazione; una nuova e forte crescita dei mercati e dei prodotti come le
attrezzature e le forniture software, computer e l’elettronica di consumo per le
industrie.
In entrambi i rapporti il minimo comun denominatore è il mercato.
Sia nel Libro Bianco di Delors che nel Rapporto Bangemann non vi è dubbio: il
volano delle politiche per la società dell’informazione deve essere il mercato.
Nel rapporto Bangemann la condizione minima imprescindibile verso la quale
l’Europa doveva orientarsi era liberalizzare. La Commissione era convita che il
progresso tecnologico e l'evoluzione del mercato sarebbe avvenuta solo se l'Europa
avrebbe “fatto una pausa” dalle politiche basate su principi che appartenevano a un
tempo prima dell'avvento delle informazioni rivoluzione. In effetti, la questione
chiave era che con l’emergere di nuovi mercati emergeva – come sosteneva lo stesso
Rapporto Delors - la necessità di un nuovo quadro normativo che consentisse la
piena concorrenza, una condizione indispensabile per mobilitare il capitale privato
necessario per l'innovazione, la crescita e lo sviluppo.
Per funzionare correttamente, il nuovo mercato richiedeva che tutti gli attori
dovevano essere messi in condizione di partecipare con successo, senza svantaggi
rilevanti. Tutti dovevano essere in grado di operare all'interno di un mercato unico,
equo e competitivo (Rapporto Bangemann 1994).
Il rapporto raccomanda agli Stati membri di accelerare il processo di
liberalizzazione del settore delle telecomunicazioni attraverso:
• l’apertura alla concorrenza e la disarticolazione di monopoli createsi nelle
infrastrutture e nei servizi;
• la rimozione degli oneri e dei vincoli di bilancio che gravavano sugli operatori
delle telecomunicazioni;
• la fissazione di calendari chiari;
81 L’inizio degli anni ’90 è dunque indicato come il momento principale per la
nascita e lo sviluppo di politiche tese alla implementazione della società
dell’informazione in Europa.
Sia il Libro Bianco di Delors che il rapporto Bangemann sono oggi menzionati da
una buona parte della letteratura come i primi passi, e le prime reali aperture
politiche, verso la società dell’informazione (De Rosa 2003, Calenda 2007, Zuccarini
2007). A più di dieci anni dal Rapporto Bangemann il termine società
dell’informazione è lentamente entrato a far parte del lessico politico e
amministrativo, fino a diventare ormai d’uso comune. A partire dai POR (Piani
Operativi Regionali), fino ai recenti documenti pubblicati dalla Commissione
Europea in materia di strategie economiche e di sviluppo, il termine società
dell’informazione è divenuto un riferimento categoriale e concettuale al quale le
agende politiche e gli attori istituzionali fanno ormai quotidianamente e
necessariamente riferimento.
2. Sul ruolo della ricerca nella definizione delle politiche per la società
dell’informazione: i Programmi Quadro
La società dell’informazione in Europa ha dunque conosciuto un primo momento
di sviluppo nella prima metà degli anni ’90, un periodo nel quale gli interventi tesi
all’implementazione delle policies sono cresciuti in maniera esponenziale.
Con il crescere dell’interesse politico, la società dell’informazione diventa un
terreno fertile di confronto disciplinare e accademico, con il rinnovato ruolo
strategico di strutturare e programmare interventi adeguati e più attenti al
cambiamento. Dal Rapporto Delors in poi la società dell’informazione comincia così
a far parte dell’agenda politica dei diversi governi e delle diverse istituzioni nazionali e
sovranazionali e, parallelamente, sono state alimentate e finanziate ricerche che
potessero fornire elementi utili alla individuaz’’88ione e alla definizione di linee guida
per la strutturazione di interventi e pratiche per la società dell’informazione. La
ricerca – in tutti i suoi rami disciplinari - ha dunque negli anni assunto un ruolo
strategico per quanto riguarda la costruzioni di policies e, lentamente, sono andati
affermandosi in Europa una serie di investimenti relativi alla ricerca sul tema della
società dell’informazione.
Uno degli strumenti principali attraverso il quale l’Unione Europea finanzia la
ricerca in tutte le sue strutture e articolazioni è il Programma Quadro (PQ). Essi sono
stati istituiti nel 1984 sotto la commissione Thorn79 con l’intento di portare un
coordinamento ed una maggiore cooperazione fra i diversi enti, pubblici e privati,
predisposti alla ricerca. Il PQ è proposto dalla Commissione europea ed è adottato
dal Consiglio e dal Parlamento europeo secondo la procedura di codecisione80. Una
79
Gaston Edmont Thorn, presidente della Commissione Europea dal 6 gennaio 1981 al 5 gennaio
1985 membro del Partito Democratico di Lussemburgo.
80
La procedura di codecisione (articolo 251 del trattato CE) è stata introdotta dal trattato di
Maastricht e conferisce al Parlamento europeo il potere di adottare una serie di atti congiuntamente
con il Consiglio dell'Unione europea. Prevede una, due o tre letture e si traduce in un maggior
82 volta che il Consiglio e il Parlamento europeo hanno adottato il PQ, la Commissione
europea è responsabile della sua attuazione. I PQ coprono un periodo di cinque anni
in cui l’ultimo anno di un PQ coincide col primo anno del PQ seguente.
Essi non versano quote nazionali per la concessione degli stanziamenti, i
finanziamenti sono erogati attraverso una serie di criteri precisi: innanzitutto l’UE
finanzia unicamente i progetti che coinvolgono più partner di paesi diversi e gli
stanziamenti sono assegnati in base a inviti a presentare proposte concorrenziali
pubblicati dalla Commissione a scadenze regolari. I progetti possono beneficiare dei
finanziamenti UE solo se il loro campo di applicazione e i loro obiettivi rispecchiano
le priorità stabilite negli inviti a presentare proposte. La qualità e la pertinenza
tecnologica dei progetti per i quali è richiesto un finanziamento sono valutate da
esperti indipendenti e ogni proposta è valutata in media da cinque esperti. Infine i
finanziamenti del PQ non costituiscono sussidi destinati alle organizzazioni di ricerca
o alle imprese, e possono essere utilizzati solo per lavori o attività di ricerca ben
precisi.
I PQ rivestono dunque in Europa un ruolo sostanziale circa l’orientamento della
ricerca nei diversi paesi comunitari, soprattutto nel campo delle tecnologie per
l’informazione e la comunicazione.
Sul tema società dell’informazione è però solo a partire dal 5° Programma Quadro
che possiamo rintracciare i primi investimenti. In effetti, dalla documentazione
ufficiale europea vi sono pochi e timidi interventi - strategie di investimenti o
finanziamenti - rivolti alla crescita e alla implementazione di un quadro quantomeno
rivolto alle linee programmatiche sottolineate dai libri “colorati” di Delors e dal più
specifico Rapporto Bangemann. Dal 5° PQ in poi la società dell’informazione entra
ufficialmente come tema di ricerca nei piani di azione europei.
A questo punto bisogna passare in rassegna i diversi PQ che negli anni si sono
succeduti con il fine di ripercorrere i passaggi più importanti che la ricerca in Europa
ha affrontato sul tema della società dell’informazione.
2.1 Il 5° Programma Quadro 1998/2002. Il 5° PQ è stato valutato dalla
Commissione Europea come un primo approccio economico strategico e pianificato
della Comunità81. Adottato con procedura di codecisione dal Parlamento Europeo il
22 dicembre 1998 aveva come obiettivo quello di rafforzare le basi scientifiche e
tecnologiche dell'industria comunitaria e favorire lo sviluppo della sua competitività a
numero di contatti tra i due colegislatori, ovvero il Parlamento e il Consiglio, moltiplicando anche i
contatti con la Commissione europea. In pratica la procedura di codecisione ha rafforzato il potere
legislativo del Parlamento europeo nei seguenti settori: libera circolazione dei lavoratori, diritto di
stabilimento, servizi, mercato interno, istruzione (azione di incentivazione), sanità (azioni di
incentivazione), consumatori, reti transeuropee (orientamenti), ambiente (programmi generali
d'azione), cultura (azione di incentivazione) e ricerca (programma quadro). Questa voce è ripresa
direttamente dall’Europa Glossario. Il glossario contiene 233 voci, relative alla costruzione europea,
alle istituzioni e alle attività dell'Unione europea e viene regolarmente aggiornato. Esso include tra le
altre anche le modifiche apportate dal Trattato di Nizza e gli ultimi progetti di riforma dei trattati. È
possibile consultare il glossario al sito: http://europa.eu/scadplus/glossary/index_it.htm
81
Commissione Europea, Commenti della Commissione sulla Valutazione quinquennale dei
Programmi dell’Unione Europea per la ricerca e lo sviluppo tecnologico, 1995-1999; Bruxelles, 19 ottobre
2000.
83 livello internazionale. Per il periodo dal 1998-2002 erano stati stanziati dalla
Comunità Europea un ammontare di 14.960 milioni di euro diretti a investimenti
per la ricerca, di cui 13.700 milioni di Euro erano invece destinati alla messa in
pratica della sezione comunitaria europea del 5° PQ.
In generale, il 5° PQ definiva gli obiettivi e le priorità per il periodo 1998-2002
sulla base di tre criteri fondamentali: 1) valore aggiunto europeo e principio di
sussidiarietà: necessità della costituzione di una massa critica in termini umani e
finanziari grazie alla combinazione di risorse e competenze complementari presenti
nei vari Stati Membri, volta alla risoluzione di problemi di dimensione europea. 2)
obiettivi di carattere sociale: miglioramento della situazione occupazionale, qualità
della vita e della salute, tutela dell'ambiente. 3) sviluppo economico e prospettive
scientifiche e tecnologiche: contributo allo sviluppo armonioso e sostenibile della
Comunità nel suo insieme (Commissione Europea 2008).
Nello specifico esso era organizzato in maniera semplificata attraverso una
struttura multi tematica. Diviso in sette diverse aree di intervento, anch’essi chiamati
a loro volta programmi, divisi a loro volta in quattro programmi tematici e tre
programmi orizzontali.
I Programmi Orizzontali non avevano aree scientifiche predefinite e le azioni
risultano trasversali e complementari ai programmi tematici.
I Programmi tematici erano invece divisi in quattro macroaree:
• Qualità della vita e gestione delle risorse biologiche (QUALITY OF LIFE)
• Società dell'Informazione (IST)
• Crescita competitiva e sostenibile (GROWTH)
• Energia, ambiente e sviluppo sostenibile (EESD)
Il secondo programma tematico era dunque interamente dedicato alla società
dell’informazione (IST).
Nel 5° PQ il numero dei progetti presentati e quelli finanziati sul tema Tecnologie
della Società dell’Informazione è sensibilmente maggiore rispetto agli altri programmi
tematici, Il contributo medio dei progetti nell’area tematica IST è stato di circa
1.777.000 euro (quasi 3,5 miliardi di lire) a progetto, superando al soglia del 31% dei
finanziamenti messi a disposizione.
Il programma tematico IST nel 5° PQ è stata dunque una priorità oltre che
progettuale soprattutto finanziaria. Infatti, dal documento della Commissione
Europea si può leggere:
«Le potenzialità della società dell'informazione europea non potranno chiaramente essere realizzate
nella loro interezza avvalendosi unicamente delle tecnologie e delle applicazioni odierne. Requisiti
fondamentali quali l’usabilità, l’affidabilità, l’interoperabilità e soprattutto il costo accessibile non sono
ancora soddisfatti in misura tale da consentire la diffusa applicazione delle tecnologie della società
dell'informazione (per esempio: tecnologie, sistemi, applicazioni e servizi di informazione e
comunicazione) in tutti i settori. A tal fine è necessario un impegno continuo a livello di ricerca,
sviluppo tecnologico, dimostrazione e adozione delle tecnologie» (Commissione Europea 1999, p. 6).
Il programma prevedeva quattro obiettivi specifici tra loro collegati, che da una
parte si concentrano sugli sviluppi tecnologici, dall'altra garantiscono un valido
collegamento tra ricerca e azione politica, necessario ai fini di una società
dell'informazione coerente e accessibile a tutti. Esso non differisce nella sostanza dai
84 programmi precedenti. In effetti, il 5° PQ è stato definito con gli stessi scopi: aiutare
a risolvere i problemi e rispondere alle sfide socio-economiche alle quali era
confrontata l’Europa82.
Una delle principali novità di questo programma risiede nel concetto di Azionichiave. Applicate ad ognuno dei quattro programmi tematici e dei tre programmi
orizzontali, le Azioni-chiave avevano lo scopo di coprire un numero ampio di
discipline scientifiche e tecnologiche e avrebbero avuto il compito di risolvere il
problema della comunicazione tra le discipline e tra i programmi e le organizzazioni
implicate.
Tabella 3 - Ripartizione dell’importo finanziario per ogni Azione Chiave
(in milioni di euro)
Tipo di attività
Importo
a) Azioni chiave
646
547
564
1.363
i) Sistemi e servizi per il cittadino
ii) Nuovi metodi di lavoro e commercio elettronico
iii) Contenuti e strumenti multimediali
iv) Tecnologie e infrastrutture di base
319
b) Attività di ricerca e sviluppo tecnologico di carattere generico:
Tecnologie future ed emergenti
161
c) Sostegno alle infrastrutture di ricerca:
Sistemi di reti di ricerca
Totale
3600*
(*) Di cui almeno il 10% per le tematiche orizzontali comuni a tutti i
programmi, compreso il 2% per le piattaforme applicative integrate.
Fonte: Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee (1999)
Nel programma tematico per la società dell’informazione vi erano quattro Azionichiave. La prima Azione-chiave di IST concerneva sistemi e servizi per il cittadino e
l’obiettivo è rendere più efficienti, tramite il digitale, determinati settori del servizio
pubblico come salute, amministrazioni pubbliche, ambiente, trasporti e turismo.
La seconda Azione-chiave è relativa ai nuovi metodi di lavoro e al commercio
elettronico. Con ciò non si intendeva finanziare l’impresa che si vuole costruire il suo
sito personale per vendere il suo prodotto, bensì la ricerca e l’applicazione di nuovi
sistemi per il telelavoro e l’e-commerce.
La terza Azione verteva sui contenuti e strumenti multimediali, ovvero sulla
ricerca per sviluppare nuovi modelli, tecnologie e sistemi per la creazione, la gestione
e l’accesso di contenuti multimediali compresi quelli audiovisivi. Uno dei temi che
82
Nel 2001 il 5° Programma Quadro è stata rifocalizzato a seguito dell’iniziativa e-Europe. Lanciata
nel 1999, l’iniziativa e-Europe si prefiggeva di fare entrare a pieno titolo l’Europa nell’era digitale, in
modo tale da costruire una nuova cultura imprenditoriale ed evitare l’esclusione sociale di chi non ha
ancora confidenza con le nuove tecnologie di internet (Borghi 2001). Per un maggiore
approfondimento sull’iniziativa e-Europe si rimanda al prossimo paragrafo.
85 sta maggiormente a cuore alla Commissione è proprio la ricerca di soluzioni
tecnologiche per abbattere le barriere del multilinguismo e del multiculturalismo,
valorizzando le singole culture europee. Infatti, ha lanciato anche un Programma
comunitario e-Content per finanziare l’applicazione dei risultati della ricerca condotta
nell’ambito del Programma IST.
Infine, la quarta Azione chiave finanzia le tecnologie e le infrastrutture essenziali,
cioè elettronica, informatica, sensoristica, microelettronica e optoelettronica,
comunicazione mobile e satellitare, ecc (Borghi 2001).
Il 5° Programma Quadro ebbe quindi l’effetto che i diversi libri “colorati” di
Delors e il rapporto Bangemann non ebbero. La funzione fondamentale della
Commissione Delors era stata quella di accrescere l’attenzione e le sensibilità dei
diversi governi e degli Stati Membri verso il tema società dell’informazione,
diversamente, il 5° PQ aveva come momento fondamentale quello di aumentare la
cooperazione internazionale in termini di ICTs, con il fine di pervenire a delle linee
di guida ampie e condivise da i diversi paesi comunitari.
2.2 Il 6° Programma Quadro 2002-2006. Dalla lettura dei documenti di
valutazione dei PQ forniti dalla Commissione Europea83, si può dedurre che i PQ
precedenti al 6° avevano contribuito allo sviluppo di una cultura di cooperazione
scientifica e tecnologica tra i vari paesi dell’Unione europea e hanno svolto un ruolo
nel conseguimento di ottimi risultati di ricerca. Tuttavia, non hanno esercitato un
impatto duraturo sul rafforzamento della coerenza a livello europeo.
A partire da questo presupposto, il 6° PQ è stato pertanto definito in vista di
obiettivi tesi a ridurre le difficoltà attraversate con i precedenti programmi quadro.
Innanzitutto, concentrazione di tutte le attività europee su un numero ridotto di
priorità, soprattutto nei settori in cui la cooperazione a livello europeo apporta un
evidente valore aggiunto; integrazione graduale delle attività di tutti i partecipanti che
operano a livelli diversi; promozione delle attività di ricerca destinate ad avere un
impatto “strutturante” duraturo; sostegno delle attività atte a rafforzare la base
scientifica e tecnologica generale dell’Europa; utilizzazione del potenziale scientifico
dei paesi candidati per preparare ed agevolare il loro accesso all’Unione europea a
beneficio dell’insieme della scienza europea (Commissione Europea 2002).
Il 6° PQ mirava a contribuire alla creazione di uno Spazio europeo della ricerca
(SER)84. Dal testo del PQ, si legge che:
83
Sulla valutazione dei PQ la Commissione Europea fornisce una densa e ampia documentazione
disponibile online al sito: http://ec.europa.eu/research/
84
Dal glossario della Commissione Europea si legge: lo spazio europeo della ricerca riunisce i vari
mezzi di cui dispone la Comunità per meglio coordinare le attività di ricerca e innovazione a livello
degli Stati membri e dell'Unione europea. Questa idea è stata lanciata dalla Commissione nel 2000
onde sviluppare opportunità effettivamente interessanti per i ricercatori. Fino a quel momento la
ricerca a livello europeo doveva affrontare varie difficoltà: frammentazione degli sforzi, isolamento dei
sistemi nazionali di ricerca, disparità dei regimi di regolamentazione e amministrativi e scarsi
investimenti nelle conoscenze. Grazie ai mezzi attuati lo Spazio europeo della ricerca permette lo
scambio di dati, la comparazione dei risultati, la realizzazione di studi multidisciplinari, i trasferimenti
e la tutela di nuove conoscenze scientifiche nonché l'accesso ai poli di eccellenza e alle apparecchiature
più avanzate. Lo spazio europeo della ricerca mira anche a rispondere ad un’ambizione determinante
dell'Unione europea, ossia realizzare un'effettiva politica comune della ricerca.
86 «il SER rappresenta una visione per il futuro della ricerca in Europa, un mercato interno della
scienza e della tecnologia che incentiva l’eccellenza scientifica, la competitività e l’innovazione
attraverso la promozione di una cooperazione e un coordinamento migliori tra gli operatori interessati
a tutti i livelli. La crescita economica dipende sempre più dalla ricerca e molte delle sfide attuali e
prevedibili per l’industria e la società non possono più essere affrontate unicamente a livello
nazionale».
E ancora:
«Le tecnologie dell'informazione e della comunicazione generano nuovi modi di produzione, di
scambio e di comunicazione. Questo settore, divenuto il secondo settore economico dell'Unione
europea, occupa oltre 2 milioni di persone. In tale contesto, il Sesto programma quadro intende
rispondere alle esigenze e alle domande dei mercati, delle politiche pubbliche e dei cittadini».
Il PQ era suddiviso in sette priorità tematiche: 1) scienze della vita, genomica e
biotecnologie per la salute; 2) tecnologie per la società dell'informazione; 3)
nanotecnologie, materiali intelligenti e nuovi metodi di produzione; 4) aeronautica e
spazio; 5) qualità e sicurezza alimentare; 6) sviluppo sostenibile, cambiamento globale
e ecosistemi (compresa la ricerca nel settore dell'energia e dei trasporti); 7) cittadini e
governance in una società della conoscenza.
Tra le principali sfide di ricerca all’interno del 6° PQ vi era dunque la volontà di
percorrere la strada della transizione dalla vecchia economia ad un sistema di
Economia Digitale. Fondamentale, per il raggiungimento di questo obiettivo, erano
ovviamente le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, ma il
successo di questa transizione era fortemente legato alla capacità delle persone di
beneficiare delle nuove opportunità tecnologiche (Borghi 2000). Si sono poste
dunque le basi per la riduzione delle diverse dimensioni del Digital Divide che in
quegli anni assumeva numeri preoccupanti. Costruire una Learning society, cioè una
società in continuo apprendimento, era la chiave del successo.
Lo stanziamento per il 6° Programma Quadro è stato pari a 17,5 miliardi di euro
ripartiti per le diverse priorità tematiche.
Tabella 4 - Ripartizione dell’importo finanziario per ogni priorità tematica
(in milioni di euro)
Priorità tematica
Bilancio
Scienza della vita, genomica e biotecnologie per la salute
Tecnologie della società dell’informazione
Nanotecnologie, materiali multifunzionali e nuovi processi di produzione
Aeronautica e spazio
Qualità e sicurezza dei prodotti alimentari
Sviluppo sostenibile, cambiamento globale e ecosistemi (ivi compresa la
ricerca in materia di energia e trasporti)
Cittadini e governance nella società della conoscenza
Totale
2255
3625
1075
685
2120
225
11285
Fonte: Commissione Europea, Direzione Generale della Ricerca (2002)
87 I finanziamenti del 6° Programma Quadro, relativi allo sviluppo di ricerche
orientate alla crescita di pratiche legate allo sviluppo della società dell’informazione
erano sostanzialmente due. Una prima linea tematica, di circa 3.625 milioni di euro,
rivolta alle Tecnologie della Società dell’informazione ed una circa 2.25 milioni di
euro orientata allo sviluppo di pratiche di governance e promozione della
partecipazione della cittadinanza alla società della conoscenza.
In particolare, il 6° PQ alla priorità tematica relativa alla società dell’informazione
integra e riarticola le decisioni prese nel 2000 dal Consiglio Europeo di Lisbona che,
in generale, ha riconosciuto lo sviluppo della società dell'informazione come
essenziale per un rapido passaggio a una economia della conoscenza competitiva e
dinamica, caratterizzata da una crescita sostenibile e accompagnata dal miglioramento
quantitativo e qualitativo dell'occupazione e da una maggiore coesione sociale. Un
orientamento che si è concretizzato nell’iniziativa eEurope 2002 varata dalla
Commissione per promuovere l'avvento di una società dell'informazione per tutti.
L'obiettivo ultimo era sviluppare tecnologie di uso più facile in tutti i settori:
sicurezza e privacy, istruzione e formazione, disponibilità di accesso alle tecnologie
per anziani o disabili, telelavoro, commercio elettronico, amministrazione online,
sanità online (e-health)85.
2.3 Il 7° Programma Quadro 2007-2013. Il 7° PQ è stato lanciato nel 2007 ed è
tuttora in corso di svolgimento. Esso da continuità ed incorpora numerosi degli
elementi dei programmi precedenti, soprattutto quelli che hanno avuto un effetto
positivo sulla ricerca europea. Il 7° PQ è inserito nello Spazio europeo della ricerca
(SER), che raggruppa tutte le attività dell’Unione europea nel settore della ricerca
scientifica.
Leggendo il 7° PQ si apprende che la conoscenza e la tecnologia restano una delle
risorse più importanti dell’Europa, e lentamente sono finite con il rappresentare la
base della crescita e dell’occupazione. Il 7° PQ ricalca dunque la tendenza a favore
delle ICTs e dell’economia della conoscenza incentivando ed incrementando
sensibilmente sia i tempi che i fondi per la ricerca sulla società dell’informazione.
Infatti, una delle caratteristiche del 7° PQ è la sua durata e la sua dimensione
economica. La Commissione, in relazione ai risultati positivi conseguiti con i
precedenti PQ, si è pronunciata sul 7°PQ a favore per un prolungamento della durata
che da quattro è passato a sette anni. Inoltre, per il periodo 2007-2013 la
Commissione Europea ha eseguito uno stanziamento di bilancio di 50.521 milioni di
euro, ossia in media 7.217 milioni di euro l'anno che rappresenta oltre una volta e
mezzo il bilancio annuale del 6° programma quadro.
Stando al testo del 7° PQ, questo aumento rispecchia l’importanza della ricerca nel
rilancio della strategia di Lisbona, che mira a rendere l'Europa l'economia della
conoscenza più competitiva e più dinamica del mondo. Dall’analisi e dalla
valutazione di alcuni degli obiettivi dei precedenti PQ è emerso che l’Europa per
85
Il Consiglio Europeo di Lisbona si è tenuto il 23 e 24 marzo 2000 per concordare un nuovo
obiettivo strategico per l'Unione per il nuovo decennio al fine di sostenere l'occupazione, le riforme
economiche e la coesione sociale nel contesto di un'economia basata sulla conoscenza. Per
approfondimenti si rimanda al prossimo paragrafo.
88 mancanza di fondi disponibili ha perso alcune opportunità importanti in determinati
settori fondamentali della ricerca. Il 7° programma è dunque teso a finanziare un
maggior numero di progetti di qualità e rafforzare la capacità di innovazione
dell'Unione europea.
Il PQ è suddiviso in quattro grandi obiettivi che corrispondono a quattro
programmi specifici principali, sulla cui base dovranno essere strutturati le attività
europee nel settore della ricerca. Il programma Cooperazione che ha come scopo
quello di incentivare la cooperazione e a rafforzare i legami tra l'industria e la ricerca
in un quadro transnazionale. Il programma è articolato in temi, autonomi nella
gestione, ma complementari per quanto riguarda l'attuazione86. Il programma Idee
rivolto alla scoperta di nuove conoscenze che cambino la nostra visione del mondo e
il nostro stile di vita. Per realizzare tale obiettivo il nuovo Consiglio europeo della
ricerca sostiene i progetti di ricerca più ambiziosi e più innovatori. Lo scopo è
rafforzare l'eccellenza della ricerca europea favorendo la concorrenza e l'assunzione di
rischi. Il programma Persone che intende mobilitare risorse finanziarie importanti per
migliorare le prospettive di carriera dei ricercatori in Europa ed attirare un maggior
numero di giovani ricercatori di qualità. Infine, il programma Capacità dove l’intento
è di investire di più nelle infrastrutture di ricerca delle regioni meno efficienti, nella
creazione di poli regionali di ricerca e nella ricerca a vantaggio delle PMI. Il
programma in questione deve inoltre rispecchiare l’importanza della cooperazione
internazionale nella ricerca e il ruolo della scienza nella società.
Nello specifico il programma Cooperazione contempla la voce Tecnologie per
l’informazione e la comunicazione e l’obiettivo di base di questa priorità tematica
consiste nel migliorare la competitività dell’industria europea e l’adattabilità delle
tecnologie dell'informazione e della comunicazione, per far fronte all'evoluzione delle
esigenze della società e dell’economia europee. La strategia adottata dalla
Commissione su questo punto si incentra: sul rafforzamento della base scientifica e
tecnologica europea nel settore delle ICTs; l'incentivazione dell'innovazione
mediante l'uso di queste tecnologie; la trasformazione dei progressi realizzati in
benefici concreti per i cittadini, le imprese, l'industria e le amministrazioni pubbliche
europee.
Il programma di lavoro ICTs nell’ambito del 7° PQ è suddiviso a sua volta in sette
Challenges (Sfide) di interesse strategico per la società europea, ognuna di esse rivolta
ad un determinato obiettivo. La prima sfida del 7° PQ è orientata rendere affidabile i
servizi di rete e le infrastrutture (Pervasive and Trusted Network and Service
Infrastructures). L’obiettivo generale di questa sfida è quello di consentire l’emergere
di rete e dei servizi delle tecnologie che aprono nuovi scenari applicativi e innovativi
modelli di business, creando così nuove opportunità di business e di crescita.
Tuttavia, la complessità delle reti interconnesse su scala mondiale li espone ad una
maggiore minaccia e vulnerabilità. Nel 7° PQ la ricerca intorno a temi quali
86
I nove temi del programma Cooperazione sono: salute; prodotti alimentari, agricoltura e
biotecnologie; tecnologie dell’informazione e della comunicazione; nanoscienze, nanotecnologie,
materiali e nuove tecnologie di produzione; energia; ambiente (ivi compresi i cambiamenti climatici);
trasporti (ivi compresa l’aeronautica); scienze socioeconomiche e scienze umane; sicurezza; spazio; Per
ulteriori approfondimenti si veda il sito ufficiale del 7° PQ: http://cordis.europa.eu/fp7/home_it.html
89 l’autenticazione, l’autorizzazione e argomenti correlati come l’etica, la privacy e il
rischio sono pertanto ancora più centrali rispetto ai precedenti PQ.
La seconda sfida è orientata alla ricerca su temi quali i sistemi cognitivi,
l’interazione e la robotica (Cognitive Systems, Interaction, Robotics). In questa sfida vi è
la convinzione che i sistemi ICTs dovrebbero essere in grado di reagire
intelligentemente, essi dovrebbero essere in grado di dare risposte sensate a situazioni
impreviste e di migliorare notevolmente l’interazione uomo-macchina. I sistemi
artificiali devono essere messi in grado di capire e di controllare determinati processi
come, ad esempio, quelli nella produzione industriale o dei servizi di pubblico
dominio. La terza sfida è invece rivolta alla ricerca sui componenti e i sistemi
ingegneristici (Components, systems and engineering). Alla base vi è la ricerca sulla
miniaturizzazione dei chip, componenti multi-funzionali, nano-elettronica,
componenti fotonici e sottosistemi per il laser, l'illuminazione e sensori di immagine.
In breve vi era l’intento di sviluppare futuri software e sistemi informatici capaci di
lavorare, distribuire e recuperare grandi quantità di dati e informazioni da molte
fonti, in tempo reale, in stretta interazione con l’ambiente fisico.
La quarta sfida vede nella costruzione di biblioteche digitali la sua massima
aspirazione (Digital libraries and content)87. L’orientamento è quello di creare servizi
di biblioteca digitale, infrastrutture di contenuti digitali capaci di archiviare
personalizzare e utilizzare, nel corso del tempo, contenuti culturali e scientifici. A ciò
vanno aggiunti la possibilità di accedere ai contenuti, l’uso e la comprensione del
materiale digitale attraverso sistemi e strumenti per la conservazione delle
informazioni.
Secondo la Commissione Europea, l’Europa deve essere in grado di creare e gestire
nuovi ambienti di apprendimento che siano, in modo intuitivo e personalizzato,
capaci di adattarsi e soddisfare i bisogni dello studente e dell’insegnante che
soprattutto siano capaci di motivare, coinvolgere e sostenere lo sviluppo delle capacità
e delle competenze.
L’obiettivo della quinta sfida (Sustainable and personalised healthcare) è invece
quello di servire al meglio sia i pazienti che i professionisti della salute, rendendo la
maggior parte delle tecnologie utili per migliorare la qualità, la disponibilità e
l’efficacia della cura. La sesta sfida del 7°PQ orienterà la propria linee di ricerca verso
la mobilità, la sostenibilità ambientale e l’efficienza energetica (Mobility,
environmental sustainability and energy efficiency). L’obiettivo è quello di creare nuovi
servizi di mobilità, fornire maggiori opzioni e accessibilità alle informazioni per le
persone in movimento. Essi devono avere come obiettivi la sicurezza, l’efficienza, la
competitività rispettando l'ambiente.
Infine la settima sfida è orientata all'inclusione (Independent living and inclusion).
Uno degli obiettivi è quello di integrare e migliorare radicalmente l'accessibilità e la
fruibilità di nuove soluzioni ICTs per le persone con disabilità, limitazioni funzionali
o mancanza di capacità digitali. Inoltre, le nuove opportunità offerte dalle ICTs
saranno utilizzate per contribuire a compensare l’impatto dell’invecchiamento della
87
In particolare la terza sfida del 7°PQ è a sua volta suddivisa in due diverse linee di azione:
1)Digital libraries and technology-enhanced learning; 2) Intelligent content and semantics.
90 popolazione, in maniera significativa a prolungare la vita indipendente, e di
aumentare la partecipazione attiva nella economia e nella società.
Il 7° PQ agisce in linea con l'iniziativa i2010: la società dell'informazione e i media
al servizio della crescita e dell'occupazione88. Lo scopo dell'iniziativa è coordinare le
azioni degli Stati membri per facilitare la convergenza digitale e rispondere alle sfide
legate alla società dell'informazione. Per elaborare questo quadro strategico ci si è
basati su una consultazione dei soggetti attivi in questo campo circa le iniziative e gli
strumenti precedenti, quali eEurope e la comunicazione sul futuro della politica
europea in materia di regolamentazione audiovisiva (COM(2005) 229 def.) .
3. La strategia di Lisbona e la nascita dei piani eEurope
Come precedentemente osservato, uno dei momenti più significativi per lo
sviluppo della società dell’informazione in Europa è stata l’introduzione dei piani
eEurope. La storia di queste iniziative s’intreccia con il rafforzarsi della ricerca e della
relativa programmazione dei piani di azione nazionali che, sul finire degli anni ’90,
sono andati intensificandosi notevolmente. Uno dei primi problemi avvertiti dalla
Commissione Europea è stato quello di dominare un’eccessiva frammentazione che
emergeva dalle diverse programmazioni e dagli interventi in materia di società
dell’informazione. Nasce così l’esigenza di trovare una cornice di riferimento comune
che potesse di fatto coordinare le diverse politiche nazionali per lo sviluppo della
società dell’informazione in Europa.
A partire da questi punti, l’8 dicembre del 1999 la Commissione Europea ha dato
il via all’iniziativa eEurope con l’adozione della comunicazione intitolata eEurope –
una società dell'informazione per tutti. Alla base della strutturazione dell’iniziativa vi
era dunque il bisogno di rendere comuni le diverse vision che andavano maturando
nei diversi Stati Membri e il primo passo che portò alla costituzione delle iniziative
eEurope fu il consiglio di Lisbona tenutosi i giorni 23-24 marzo del 2000. In realtà, il
consiglio di Lisbona aveva come scopo una prospettiva molto più ampia. Esso era
scaturito dall’esigenza di rilanciare le politiche comunitarie che, grazie ad una
situazione economica favorevole, potevano essere rimodulate con obiettivi e
aspettative di risultati più ambiziosi. Tuttavia, come si legge dalle diverse relazioni
pubblicate negli anni successivi, a causa del rallentamento dell’economia e delle
difficoltà strutturali negli Stati membri, l’Unione europea è ora in ritardo sugli
obiettivi prefissati durante il Consiglio.
Dalle conclusioni del Consiglio di Lisbona si legge che l’Unione si era prefissata
un obiettivo strategico che avrebbe dovuto caratterizzare tutto il nuovo decennio:
diventare l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo,
in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di
lavoro e una maggiore coesione sociale.
88
L’iniziativa i2010 è il quadro strategico della Commissione europea che definisce gli
orientamenti strategici di massima per la società dell'informazione e i media. Per approfondimenti si
rimanda al prossimo paragrafo.
91 Il raggiungimento di questo obiettivo richiedeva una strategia globale volta a
predisporre il passaggio verso un’economia e una società basate sulla conoscenza
migliorando le politiche in materia di società dell'informazione nonché accelerando il
processo di riforma strutturale ai fini della competitività e dell'innovazione.
«Questa strategia potrà essere attuata migliorando i processi esistenti, introducendo un nuovo
metodo di coordinamento aperto a tutti i livelli, associato al potenziamento del ruolo di guida e di
coordinamento del Consiglio europeo ai fini di una direzione strategica più coerente e di un efficace
monitoraggio dei progressi compiuti» (Commissione Europea 2000).
In particolare il Consiglio Europeo invitava ad adottare la normativa in
discussione riguardante il quadro giuridico per il commercio elettronico, il diritto
d’autore e i diritti connessi, la moneta elettronica, la vendita a distanza di servizi
finanziari, la competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle sentenze, il regime di
controllo delle esportazioni di beni a duplice uso. Inoltre si invitava gli Stati membri
a concludere il più celermente possibile i lavori sulle proposte legislative annunciate
dalla Commissione in seguito alla revisione del quadro normativo per le
telecomunicazioni.
Un importante punto emerso dal Consiglio di Lisbona, e che in seguito ha
caratterizzato gran parte dei piani eEurope, è stato quello di sollecitare ad
incrementare politiche per l’inclusione dei cittadini alla società dell’informazione.
Infatti, dal documento conclusivo si attesta che tutti gli Stati Membri dovevano
garantire l’accesso generalizzato a tutti i servizi pubblici di base entro il 2003,
obiettivo poi raggiunto parzialmente e rilanciato qualche anno dopo sempre dalla
Commissione Europea. Inoltre, la Comunità e gli Stati membri dovevano impegnarsi
a rendere accessibili le reti interconnesse, a basso costo e ad alta velocità di accesso a
Internet.
Inoltre dal Consiglio emergeva che:
«Tenuto conto dell’apporto significativo della ricerca e dello sviluppo alla crescita economica,
all’occupazione e alla coesione sociale, l'Unione europea deve imperniare i suoi lavori sugli obiettivi
definiti nella comunicazione della Commissione "Verso uno spazio europeo della ricerca". Occorre
integrare e coordinare meglio le attività di ricerca a livello nazionale e dell'Unione per renderle quanto
più possibile efficaci ed innovative e per assicurare che l'Europa possa offrire prospettive allettanti ai
suoi migliori ricercatori. Ci si dovrà avvalere pienamente degli strumenti previsti dal trattato e di tutti
gli altri mezzi idonei, tra cui gli accordi volontari, per raggiungere questo obiettivo con flessibilità, in
modo decentrato e senza burocrazia» (Commissione Europea 2000).
Come costatato nel precedente paragrafo, si delinea così un piano cooperativo tra
ricerca e politiche per la società dell’informazione con la creazione del SER (Spazio
pubblico europeo della ricerca) che aveva come compito fondamentale quello di
mettere in relazione e cooperazione i diversi obiettivi e scopi della ricerca in Europa.
L’eEurope è una delle prime iniziativa politiche tese a garantire che l’Unione
europea, attraverso una forma cooperativa e collaborativa tra gli Stati Membri,
approfitti dei cambiamenti dovuti all’affermazione della società dell'informazione.
Prima di tale iniziativa a livello europeo sono state adottate numerose misure
intese a promuovere la società dell'informazione, come la liberalizzazione delle
telecomunicazioni, l'istituzione di un quadro giuridico per il commercio elettronico e
92 il sostegno alle industrie e al settore della ricerca e sviluppo, ma la diversità degli
approcci dei diversi paesi comunitari esigeva un coordinamento europeo. La rapidità
dell’evoluzione delle tecnologie e dei mercati imposero dunque di avviare
un’iniziativa per far progredire alcune delle politiche per la società dell’informazione
troppo frammentate e poco inclini alla cooperazione.
Sulla base delle valutazioni della Commissione il 13 Marzo del 2001, attraverso
una comunicazione della Commissione, fu dunque approvato il primo documento
ufficiale della Commissione europea dove venivano dettati gli obiettivi che i diversi
Stati Membri dovevano perseguire. Il documento prendeva il nome di eEurope 2002:
Impatto e priorità (COM (2001) 140 def.).
In generale i principali obiettivi dell’iniziativa eEurope 2002 erano: fare in modo
che ciascun cittadino, ciascuna abitazione, scuola, impresa e amministrazione entri
nell’era digitale e disponga di un collegamento on-line; creare in Europa la
padronanza degli strumenti dell’era digitale, con il sostegno di una cultura
imprenditoriale pronta a finanziare e a sviluppare nuove idee; garantire che l’intero
processo non crei emarginazione, ma rafforzi la fiducia dei consumatori e potenzi la
coesione sociale
Per conseguire tali obiettivi la Commissione aveva proposto dieci azioni
prioritarie, da attuare grazie all'impegno congiunto della Commissione, degli Stati
membri, dell'industria e dei cittadini europei. Innanzitutto, far entrare i giovani
europei nell’era digitale. Dal testo della Commissione si legge che la cultura digitale
doveva diventare una delle conoscenze di base di tutti i giovani europei. Gli Stati
membri quindi avrebbero dovuto garantire che tutte le scuole dovevano avere un
accesso a Internet e alle risorse multimediali. Un secondo punto riguarda un accesso a
Internet più economico, per raggiungere questo obiettivo la Commissione si
impegnava ad aumentare la concorrenza, per diminuire i prezzi e per consentire ai
consumatori una più ampia scelta. Il terzo punto era rivolto ad accelerare il
commercio elettronico, era dunque necessario adottare un quadro giuridico affidabile
e condiviso. Il quarto punto esigeva un accesso ad Internet ad alta velocità per i
ricercatori e per gli studenti, ciò avrebbe consentito di assicurare una più efficace
cooperazione e interattività fra le varie università e i vari laboratori europei, con
vantaggio della ricerca e della formazione. Il quinto punto era rivolto a fornire tessere
intelligenti per un accesso elettronico sicuro89. Per permettere la loro diffusione era
prioritario per la Commissione creasse una struttura in tutta l’Unione europea e a tal
fine era necessario che le amministrazioni pubbliche, i fornitori e i prestatori di servizi
europei attivassero una collaborazione per definire specifiche comuni in settori come
la mobilità, la sicurezza, il rispetto della vita privata e il controllo dell'utilizzo.
Un altro punto riguardava il Capitale di rischio90 per le PMI ad alta tecnologia91.
Secondo la Commissione era necessario fornire condizioni che consentissero lo
89
Le tessere intelligenti sono tessere che danno accesso ai servizi sanitari, ai pagamenti elettronici, a
Internet mobile, ai trasporti pubblici, alla pay TV, ecc..
90
Con il termine di Capitale di rischio si fa riferimento a quel capitale immesso nella società dai
fondatori a fronte dell’acquisizione di una partecipazione (azione o quota) nella stessa.
91
Le PMI sono le Piccole e Medie Imprese, aziende le cui dimensioni rientrano entro certi limiti
occupazionali e finanziari prefissati.
93 sviluppo delle idee a fini commerciali e il finanziamento di esse in seno all’Unione,
per portare al massimo il capitale di rischio disponibile per le PMI ad alta tecnologia.
La settima azione prioritaria riguardava l’e-participation per i disabili. In base a questa
priorità i paesi membri dovevano attuare azioni affinché lo sviluppo della società
dell'informazione tenga pienamente conto delle esigenze dei disabili. Un’altra azione
riguardava i servizi sanitari online e la creazione di rete e le tecniche intelligenti di
monitoraggio sanitario, l’accesso all’informazione e all’assistenza sanitaria potrebbero
migliorare nettamente l'efficacia dei servizi sanitari per tutti i cittadini.
La penultima linea di azione osservava che grazie alle tecnologie digitali è possibile
rendere più sicuri i trasporti e migliorare la qualità dei trasporti pubblici. L’Europa
quindi doveva sostenere tutti i cittadini che viaggiano sul territorio europeo ad avere
pieno accesso, ovunque, a servizi di assistenza plurilingui, a servizi di localizzazione
delle chiamate e di emergenza e tutte le grandi rotte aeree dovevano disporre di
un’infrastruttura di bordo, terrestre o aerea, in grado di contribuire a ridurre la
congestione e migliorare la sicurezza.
Infine, l’ultimo dei dieci punto prioritari dell’iniziativa eEurope 2002 guardava alle
amministrazioni online e al più complesso processo di e-government. Tutti i cittadini e
le imprese dovevano dunque avere la possibilità di accedere più agevolmente alle
informazioni delle pubbliche amministrazioni. Esse pertanto avevano l’obbligo di
agevolare l’accesso online alle informazioni, ai servizi e alle procedure decisionali
dell'amministrazione per tutti i cittadini.
A distanza di circa due anni dal lancio dell’iniziativa, la Commissione europea,
attraverso la comunicazione eEurope Benchmarking Report92, rilevava dei gravi ritardi
su quasi tutte le priorità poste in essere dall’iniziativa eEurope 2002. Dall’accesso al
commercio elettronico, dall’amministrazione online alla partecipazione dei disabili
alla società dell’informazione, non vi era priorità che non presentasse ritardi sulle
linee da raggiungere entro il 2002 (COM(2002) 62 final.).
L’analisi comparativa sottolineava comunque che l’iniziativa eEurope 2002 era
stata messa in una prospettiva a lungo termine e che guardava con maggiore
attenzione agli obiettivi fissati a Lisbona per il 2010. All’inizio, il piano d’azione
eEurope era invece stato concepito come misura a breve termine in quanto un
impatto diretto e immediato fu ritenuto necessario. Quando l'iniziativa è stata
lanciata era infatti stato previsto come un intervento per mettere l’Europa online in
modo rapido e veloce. L’attuazione del piano invece richiede più tempo.
In estrema sintesi, secondo il rapporto la tecnologia evolve velocemente ma che la
società rallenta questa evoluzione in quanto prende più tempo. Essa richiede
cambiamenti organizzativi, un cambiamento di mentalità, modernizzazione del
regolamento e un diverso comportamento dei consumatori. Queste sono una parte
delle motivazioni che più di tutte hanno inciso negativamente sul raggiungimento
degli obiettivi prioritari prefissati (COM(2002) 62 final.).
92
La comunicazione COM(2002) 62 e i relativi indicatori per l’analisi e la valutazione
dell’iniziativa eEurope 2002 sono interamente reperibili al sito della Commissione europea
http://ec.europa.eu/information_society/eeurope/2002/benchmarking/index_en.htm
94 Per far fronte a queste problematiche, la Commissione europea nel 2002 ha
rilanciato il piano eEurope ponendo maggiormente l’accento su questioni relative allo
sviluppo di una cultura rivolta all’informatizzazione.
3.1 eEurope 2005. Seguendo l’approccio inaugurato da eEurope 2002, la
Commissione europea il 28 Maggio del 2002 rilancia l’iniziativa pubblicando il
documento dal titolo eEurope 2005: una società dell'informazione per tutti. Alla base
del rilancio del piano vi era l’obiettivo di definire criteri chiari ed effettuare una
valutazione comparativa dei progressi compiuti, nonché accelerare l’adozione di
nuovi strumenti legislativi e riorientare i programmi esistenti verso le nuove priorità
identificate
Dal piano eEurope 2005 si apprende:
«La strategia di Lisbona non è fondata esclusivamente sulla produttività e la crescita, ma anche
sull’occupazione e la coesione sociale: eEurope 2005 pone l’utente al centro dell’azione. Migliorerà la
partecipazione sociale, offrirà nuove opportunità per tutti e aumenterà le competenze. Tutte le linee di
azione di eEurope prevedono misure riguardanti la cosiddetta partecipazione o e-inclusion» (COM
(2002) 263).
Nel quadro dell’eEurope 2005, i principali obiettivi che l’Unione europea
intendeva raggiungere entro il 2005 erano divisi in cinque diverse azioni:
• servizi pubblici online moderni;
• un ambiente dinamico per il commercio elettronico (e-business);
• un’infrastruttura di informazione protetta;
• la disponibilità massiccia di un accesso a banda larga a prezzi concorrenziali;
• una valutazione comparativa e la diffusione delle buone pratiche.
La prima azione riguarda dunque i servizi pubblici, quest’obiettivo si divide in tre
diverse linee di intervento:
- amministrazione elettronica (e-government);
- servizi di apprendimento elettronico (e-learning);
- servizi di telesalute (e-health).
La prima linea di intervento (e-government) sosteneva che per realizzare servizi
pubblici online moderni e in linea con l’esigenze dei cittadini bisognava innanzitutto
fornire tutte le amministrazioni pubbliche di collegamenti a banda larga entro il
2005, data di chiusura dell’iniziativa; l’adozione da parte della Commissione di un
quadro in materia di interoperabilità, per facilitare la fornitura di servizi
amministrativi elettronici a livello paneuropeo ai cittadini e alle imprese; per la fine
del 2004, tutte le amministrazioni dovevano dotarsi di servizi pubblici interattivi ed
accessibili a tutti via reti a banda larga ed accessi multi-piattaforma (telefono,
televisione, computer ecc.); un accesso agevolato per tutti i cittadini ai Punti di
accesso pubblici ad Internet (PAPI).
La seconda linea di intervento si concentrava sul tema dell’apprendimento
elettronico (e-learning). In generale, il piano di azione eEurope 2005 incoraggiava a
proseguire l’uso dell’elettronica nell’insegnamento, un contesto nel quale l’iniziativa si
proponeva una serie di misure mirate, fra cui l’accesso a banda larga ad internet di
tutti gli istituti di insegnamento e delle università; la messa a disposizione da parte
95 delle università entro il 2005, di un accesso in linea agli studenti e ai ricercatori; il
lancio da parte della Commissione di azioni di ricerca sulla diffusione di reti e
piattaforme automatizzate fondate su infrastrutture di calcolo ad alte prestazioni; il
lancio da parte degli Stati membri, con il sostegno dei Fondi strutturali93, di azioni di
formazione per impartire agli adulti le competenze necessarie per lavorare nella
società della conoscenza (COM (2002) 263).
La terza linea di intervento per i servizi online si concentra sull’uso e i vantaggi
delle ICTs nella gestione della salute (e-health), linea contemplata sia dai Programmi
quadro che dal precedente piano eEurope.
In questo settore, il piano di azione eEurope 2005 prevedeva l’introduzione di una
carta europea di assicurazione malattia che avrebbe dovuto sostituire i moduli
necessari per usufruire dell’assistenza sanitaria in un altro Stato membro; la creazione
da parte degli Stati membri di reti di informazione sulla salute tra i centri di
assistenza sanitaria (ospedali, laboratori e cure a domicilio); la prestazione alla
popolazione di servizi sanitari in linea (dossier medici, teleconsultazione, rimborso
elettronico ecc.) (COM (2002) 263).
Le linee di intervento della prima linea di azione erano dunque partizionate su tre
temi diversi e specifici. E-goverment, e-learning e e-wealth hanno caratterizzato il
rilancio dell’iniziativa eEurope più delle altre linee di azione. Infatti, come vedremo,
oltre ad avere un ulteriore rilancio nelle successive iniziative europee per quando
riguarda la società dell’informazione, esse hanno avuto una particolare eco anche nei
diversi programmi nazionali.
Le altre linee di azione del piano eEurope 2005 comprendevano l’e-business, ovvero
il commercio elettronico (acquisto e vendita in linea) e la ristrutturazione dei processi
aziendali. In questo settore secondo il piano le azioni previste dovevano includere un
riesame della legislazione capace di eliminare i fattori che impedivano alle aziende e
alle imprese di lanciarsi nel commercio elettronico; la creazione di una rete europea
delle PMI nel settore del commercio elettronico e l’elaborazione da parte dei privati
di soluzioni interoperabili per la sicurezza delle transizioni e i pagamenti elettronici.
Poi, nell’iniziativa, era presente la volontà di realizzare una infrastruttura di
informazione protetta. In particolare si mirava alla creazione di un’unità per la
cibersicurezza e l’introduzione, sia nel settore pubblico che in quello privato, di una
cultura della sicurezza nella progettazione e attuazione dei prodotti di informazione e
comunicazione. Inoltre nel piano di azione eEurope 2005 si intendeva incoraggiare
nuovamente l’innovazione e sviluppare l’uso e gli investimenti nelle comunicazioni a
banda larga.
Infine, il piano di azione prevedeva misure di analisi, censimento e diffusione delle
buone pratiche in particolare attraverso conferenze e reti di sostegno. Nel quadro
dell’esercizio di valutazione comparativa si prevedeva anche la realizzazione di un
elenco di indicatori e di una metodologia rinnovati a livello dell’Unione europea
(COM (2002) 263).
93
Sono risorse finanziarie messe a disposizione dall’Unione Europea con l’obiettivo di migliorare la
coesione economica e sociale all'interno degli Stati membri, riducendo il divario tra le aree più
avanzate e quelle in ritardo di sviluppo e promuovendo le pari opportunità dei diversi gruppi sociali.
96 I risultati del piano d’azione, diversamente dal precedente piano eEurope, hanno
numeri positivi in numerosi settori, soprattutto per quanto riguarda l’offerta di
connessioni a banda larga e l’amministrazione elettronica. Infatti, dal report
Information Society Benchmarking Report (2004)94 si apprende che la percentuale dei
servizi amministrativi di base totalmente accessibili online ebbe una forte flessione
verso l’alto, infatti le connessioni a banda larga tra l’ottobre 2001 e l’ottobre del 2003
passarono dal 17% al 43%. Inoltre, il numero di connessioni a banda larga nell'UE è
quasi raddoppiato tra il 2002 e il 2003 (COM(2004) 108 def)..
La relazione illustra in dettaglio anche i progressi realizzati nei sette settori ed
individuava le aree in cui si imponevano sforzi supplementari. Come ad esempio
nell’area dell’amministrazione elettronica (e-governement). Dal report si legge che
oltre ai progressi sostanziali registrati in materia, sussistevano ancor disparità
considerevoli tra gli Stati membri per quanto riguarda la gamma di servizi proposti.
Inoltre era necessario rafforzare la cooperazione per quanto riguarda l'orientamento
delle politiche e il sostegno finanziario.
Anche nell’area e-learning bisognava apportare delle modifiche. Dalla relazione
emerge che quasi tutti gli istituti di insegnamento e di formazione alla fine del 2003
erano collegati ad Internet, il riesame del piano d’azione avrebbe però dovuto tenere
conto dell’esigenza di valutare in modo sistematico gli insegnamenti tratti da tutte le
iniziative e azioni pilota (COM(2004) 108 def).
Grazie all’iniziativa eEurope 2005 anche la fornitura di servizi sanitari in e-wealth
diventa un elemento centrale della politica sanitaria a livello regionale, nazionale ed
europeo. L’analisi di benchmarking della Commissione europea sottolineava che
tuttavia era necessario portare avanti i lavori in merito alle azioni, ossia le tessere
sanitarie elettroniche, i servizi sanitari online e le reti di informazione medica.
Occorre inoltre un forte impegno politico per garantire l’interoperabilità su scala
europea in questo campo95.
In particolare, la revisione dell’iniziativa eEurope doveva riorientarsi tenendo ben
presente la questione relativa all’inclusione digitale (e-inclusion).
Infatti, dal report si poteva leggere che:
94
L’analisi comparativa dell’iniziativa eEurope 2005 evidenziata in questo paragrafo ha come
indicatori quelli proposti dalla Commissione europea nella comunicazione del 21 Novembre 2002
COM(2002) 772 def. Gli indicatori di analisi proposti dalla Commissione sono: accesso dei cittadini a
Internet e uso di Internet; accesso delle imprese alle tecnologie dell'informazione e della
comunicazione (TIC) e loro uso; costo dell'accesso a Internet; e-government; e-learning; e-health;
commercio elettronico; preparazione all’e-business; infrastrutture informatiche sicure; esperienze e
abitudini degli utenti di Internet in materia di sicurezza informatica; penetrazione della banda larga.
95
Il report Information Society Benchmarking Report sottolineava anche l’importanza di rilanciare le
iniziative che riguardavano l’e-business. Dal report si legge che malgrado l’aumento costante delle
transazioni di acquisito e vendita online, i risultati in materia dovevano andare oltre il commercio
elettronico per giungere ad una completa integrazione delle tecnologie dell'informazione e della
comunicazione nel processo imprenditoriale. Inoltre, l’insufficiente interoperabilità delle applicazioni
commerciali impedisce lo sviluppo di forme nuove di collaborazione. Secondo il report, occorreva
inoltre proseguire le attività per la messa in opera del dominio di primo livello .eu e l’adozione di
procedure efficaci e sicure per i sistemi di pagamento (COM(2004) 108 def).
97 […] reducing disparities related to education and employment in the information society would
require stronger policy support. This would be based on a better understanding of the adoption of
ICT, with more insight in national differences and the intensity of use or the benefits derived from the
use of ICT (COM(2004) 108 def).
Nel piano eEurope 2005 la partecipazione digitale era una delle problematiche
orizzontali comuni a tutte le aree tematiche del piano d’azione eEurope 2005 ma il
report consiglia di dare particolare attenzione alla definizione di norme comunitarie in
materia di accessibilità alla rete, di orientamenti sull’iniziativa di accessibilità e di
regole di etichettatura comune delle pagine web accessibili. Per il rilancio
dell’iniziativa bisognava dunque incentivare un accesso multipiattaforma (computer,
televisione digitale, telefoni mobili di 3G etc) per migliorare l’accessibilità dei gruppi
emarginati e delle regioni sfavorite (COM(2004) 108 def.).
i2010 : la società dell’informazione e i media al servizio della crescita e
dell’occupazione. L’iniziativa i2010 si configura in un quadro più ampio rispetto agli
interventi eEurope che l’hanno preceduta. Innanzitutto, essa va considerata a partire
dalla cosiddetta revisione intermedia della Strategia di Lisbona96.
La revisione intermedia, voluta dall’allora presidenza Prodi in vista della scadenza
di metà percorso, aveva a capo del gruppo di esperti l’economista – ex Primo
Ministro olandese - Wim Kok, il quale ebbe un compito preciso, quello di
individuare a che punto erano la fasi di avanzamento delle politiche europee
concordate al Consiglio di Lisbona del 2000.
Dal lavoro del gruppo di esperti diretti da Kok fu pubblicato il rapporto Facing the
challenge (2005), meglio noto come Kok Report, nel quale veniva rilevato un ampio
ritardo nel raggiungimento degli obiettivi della Strategia di Lisbona. Dal rapporto,
oltre alla valutazione, vi erano indicati una serie di punti sui quali bisognava riflettere
per il rilancio della strategia97. In generale il Rapporto Kok promuoveva una profonda
revisione della strategia di Lisbona, proponendo di ridefinire i diversi metodi per il
raggiungimento degli obiettivi rivolti a superare le sfide della crescita e
dell’occupazione lanciate nel 2000 durante il Consiglio di Lisbona. Il rilancio della
strategia appariva dunque un percorso inevitabile visti i diversi ritardi accumulati ed
96
Il rilancio della Strategia di Lisbona fu deciso dal Consiglio europeo di Lussemburgo che si tenne
il 22 e 23 Marzo del 2005.
97
Dal Rapporto Kok emergevano cinque priorità per il rilancio della strategia di Lisbona: 1)
società della conoscenza, bisognava puntare all’incremento delle capacità di attrazione dell’Europa nei
confronti di scienziati e ricercatori; 2) mercato interno, si sottolineava la necessità del completamento
del mercato interno dei servizi e la rimozione di ostacoli che ancora impediscono la piena e libera
circolazione delle merci; 3) ambiente economico - la riduzione dei costi amministrativi, il
miglioramento della qualità della legislazione, lo snellimento delle procedure di sviluppo delle nuove
imprese, la creazione di un ambiente favorevole allo sviluppo degli scambi commerciali; 4) mercato del
lavoro, in vista del raggiungimento degli obiettivi di Lisbona è necessario migliorare la politica delle
pari opportunità e incrementare la formazione continua; 5) sostenibilità ambientale, si evidenzia il
ruolo delle nuove tecnologie e si sottolinea la necessità di implementare quelle che possono essere
definite come rispettose dell’ambiente e dei sistemi eco-compatibili.
98 era opportuno riarticolare una strategia che tenesse conto degli obiettivi prefissati ma
che tenesse conto delle difficoltà riscontrate.
Il rilancio della strategia di Lisbona è stato imperniato su tre principi
fondamentali. In primo luogo, tutte le iniziative europee - soprattutto quelle che
fanno riferimento alla società dell’informazione - devono essere maggiormente
mirate, bisognava quindi concentrare gli sforzi nell’effettiva attuazione di politiche
capaci di avere la maggiore incidenza possibile sul territorio (COM(2005) 24 def.).
Per la Commissione europea questo significava soprattutto mantenere gli impegni
presi, elaborare iniziative a partire dalle riforme già in corso in ciascuno Stato
membro e avviare nuove azioni necessarie per il conseguimento dell’obiettivo
prefisso.
In secondo luogo, per la Commissione bisognava suscitare il sostegno al
cambiamento creando una vasta ed efficace partecipazione e condivisione degli
obiettivi della strategia di Lisbona. Tutte le parti interessate, nazionali e locali, nel
rilancio della strategia dovevano avere l’obbligo di compartecipare al successo, e le
priorità, insieme agli obiettivi, dovevano diventare un argomento di discussione nel
dibattito politico dei singoli Stati membri.
In terzo luogo, occorreva semplificare e razionalizzare la strategia di Lisbona,
ovvero definire con chiarezza i diversi livelli di responsabilità, semplificare le modalità
di elaborazione e di presentazione delle relazioni e dare sostegno a un’attuazione
efficiente della strategia mediante il programma d’azione dell’Unione e i programmi
d’azione nazionali. L’azione di ciascuno Stato membro doveva essere dunque
inquadrata da una serie integrata di orientamenti per la strategia di Lisbona.
Dal rilancio della strategia emergeva quindi la profonda esigenza di un
partenariato, sostenuto da un programma d’azione dell’Unione e da programmi
d’azione nazionali (COM(2005) 24 def.).
Per comprendere meglio l’iniziativa i2010, al rilancio della strategia di Lisbona va
aggiunto il già discusso 7° Programma Quadro. Infatti, tra gli obiettivi dell’iniziativa
vi è la volontà di dare massima priorità ai principali pilastri tecnologici del 7°
Programma Quadro per la ricerca e lo sviluppo tecnologico, quali le tecnologie al
servizio della conoscenza, dei contenuti e della creatività, le reti di comunicazione
avanzate e aperte, i programmi software sicuri e affidabili, i sistemi integrati, la nano
elettronica.
Sia il rilancio della strategia di Lisbona che il 7° Programma Quadro – nella sua
dimensione tecnologica – sono dunque decisivi per il successo dell’iniziativa i2010. È
infatti basandosi sulle analisi fatte dal Kok Report sulle sfide della società
dell’informazione, e traendo spunto dai precedenti piani eEurope e dai risultati delle
ricerche dei PQ sul tema della società dell’informazione, che la Commissione europea
ha strutturato le tre priorità per l’iniziativa i2010 e le politiche europee della società
dell’informazione e dei media.
Il primo punto prioritario dell’iniziativa i2010 per la Commissione era – ed è creare uno spazio unico europeo dell’informazione, capace di accogliere un mercato
interno aperto e competitivo per la società dell’informazione e i media. Alla base di
questa priorità vi era l’esigenza di rispondere a quattro importanti sfide poste dalla
Commissione europea: 1) aumentare la velocità dei servizi in banda larga in Europa;
2) incoraggiare i nuovi servizi e i contenuti online; 3) migliorare le apparecchiature e
99 le piattaforme in grado di comunicare tra di loro; 4) infine, rendere internet più
sicura nei confronti delle frodi, dei contenuti dannosi e dei problemi tecnologici
(COM(2005) 229 def.).
Il secondo punto intendeva rafforzare l’innovazione e gli investimenti nella ricerca
sulle ICTs per promuovere la crescita e la creazione di posti di lavoro più numerosi e
di migliore qualità. Per centrare quest’obiettivo bisognava innanzitutto aumentare
dell’80% il sostegno alla ricerca comunitaria sulle ICTs entro il 2010 e invita gli Stati
membri a fare altrettanto; inoltre bisognava dare priorità ai principali pilastri
tecnologici del 7° Programma Quadro per la ricerca e lo sviluppo tecnologico
cercando di evitare le principali difficoltà, quali l’interoperabilità, la sicurezza e
l’affidabilità, la gestione dell’identità e dei diritti che richiedono soluzioni di natura
allo stesso tempo tecnologica e strutturale.
Il terzo punto dell’iniziativa i2010 era orientato a costruire una società europea
dell’informazione basata sull’inclusione. Su questo punto l’iniziativa prevedeva in
particolare di diffondere gli orientamenti politici sull’accessibilità e sulla copertura del
territorio con la banda larga al fine di promuovere l’utilizzo dei sistemi ICTs presso
un numero più ampio di persone proponendo un’iniziativa europea sull’inclusione
elettronica (e-inclusion) in materia di pari opportunità, di competenze nel campo
ICTs e dei divari tra le diverse nazioni e regioni. Inoltre bisognava adottare un piano
d’azione per l’e-government e orientamenti strategici per incoraggiare i servizi pubblici
a utilizzare le ICTs.
L’iniziativa contemplava anche le diverse strategie nazionali da seguire, infatti,
nell’ambito dei programmi nazionali di riforma, gli Stati membri dovevano
impegnarsi ad adottare le priorità della società dell'informazione in linea con gli
orientamenti integrati per la crescita e l’occupazione suggeriti dall’iniziativa eEurope.
In particolare, i diversi Stati membri dovevano adoperarsi per recepire in modo
rapido e completo i nuovi quadri normativi relativi alla convergenza digitale e
accrescere la parte della spesa nazionale dedicata alla ricerca sulle ICTs per realizzare
servizi pubblici moderni e interoperabili basati sulle ICTs, incoraggiare l’innovazione
nel settore delle ICTs grazie agli investimenti (COM(2005) 229 def.).
In linea con il rilancio della strategia di Lisbona, alla base dell’iniziativa i2010 vi
era dunque il metodo di coordinamento, che in generale prevedeva lo scambio e la
riproduzione di best practice e le relazioni annuali circa l’attuazione degli obiettivi di
Lisbona.
La prima relazione annuale sull’avanzamento dell’iniziativa i2010 è stata
pubblicata il 19 Maggio del 2006 (COM(2006) 215 def.) nella quale vi era un
resoconto del primo anno di attività. Dalla relazione vi è un sostanziale rilancio
dell’iniziativa, soprattutto per quanto riguarda il pilastro relativo all’innovazione alla
ricerca e l’attenzione è per lo più rivolta all’adozione di misure nel settore egovernment, della banda larga e dell’alfabetizzazione digitale.
In particolare la prima relazione annuale si sofferma su tre punti: 1) urgenza: è
necessario concretizzare la crescente consapevolezza del ruolo svolto dalle ICTs nella
crescita e nell’occupazione, adottando, nei programmi nazionali di riforma, un
approccio strategico nei riguardi delle opportunità fornite dalla convergenza digitale.
È inoltre necessario che le proposte legislative avanzate nel quadro dell'iniziativa
i2010 siano trattate in via prioritaria in modo che l'Europa possa trarre pieno
100 vantaggio dagli effetti dinamici della convergenza digitale sulla crescita e la
competitività; 2) partenariato: azione e responsabilità congiunta tra la Commissione,
gli Stati membri e i soggetti interessati nel quadro dell'agenda di Lisbona e
dell’iniziativa i2010 per adottare misure concrete e per coordinare le politiche
nell’intera Europa al fine di realizzare uno spazio unico dell'informazione composto
dai 25 Stati membri dell'UE; 3) azione: l’Unione europea deve passare ad azioni
concrete attuando in modo energico regolamenti e politiche a sostegno della
competitività e utilizzando il peso economico delle amministrazioni pubbliche al fine
di promuovere l’introduzione di servizi innovativi a vantaggio dei cittadini e per la
crescita e l’occupazione (COM(2006) 215 def.).
Nella seconda relazione annuale i2010, pubblicata il 30 Marzo 2007
(COM(2007) 146 def.) oltre alla formulazione di una strategia biennale (2007-2008)
per ogni pilastro dell’iniziativa i2010, viene individuata una nuova ondata di
innovazione nelle reti e in internet.
«La società dell'informazione si sta trasformando in realtà […] Questa trasformazione deriva da
tendenze tecnologiche emergenti come la migrazione verso reti ad altissima velocità, le tecnologie senza
fili onnipresenti, il web 2.0, l’internet degli oggetti, le tecnologie Grid, le nuove architetture di rete, i
servizi basati sul web, le interfacce utente, i contenuti creati dagli utilizzatori e le comunicazioni in
rete» (COM(2007) 146 def.).
Dalla relazione si apprende che se la realizzazione di molti aspetti delle reti e
dell’Internet del futuro richiederà tempo, è già possibile individuare gli ostacoli che
frenano lo sviluppo della società dell'informazione. Si tratta di problemi che vanno
dagli investimenti per l’allargamento della banda, alla neutralità della rete, per
arrivare alla disponibilità di spettro radio e alla sicurezza. È opportuno avviare quanto
prima un dibattito con le parti interessati sull'evoluzione a lungo termine per stabilire
se sia necessaria un’azione politica (COM(2007) 146 def.).
4. I piani di azione nazionali per la società dell’informazione: alcune esperienze
4.1 La Grecia: OPIS e Digital Strategy
Il processo di informatizzazione della Grecia può essere distinto in due diverse fasi.
La prima coincide e fa riferimento alla pubblicazione del Libro Bianco e al lancio
dell’OPIS, Operational Programme for the Information Society e va dalla fine degli anni
’90 al 2006, mentre la seconda fase è cominciata con il lancio del programma Digital
Strategy 2006-2013, tuttora in corso e ancora in via di implementazione.
Fino alla pubblicazione del Libro Bianco Greece in the Information Society: strategy
and action la Grecia non aveva avuto interventi tesi ad implementare le infrastrutture
tecnologiche della pubblica amministrazione. Nel 1999, anno in cui è stato avviato il
primo programma operativo in materia di informatizzazione della pubblica
amministrazione, la Grecia poteva vantare solo una bozza di riforma dell’apparato
amministrativo, meglio conosciuta come Politeia. In generale nelle intenzioni
programmatiche della riforma Politeia vi era la volontà di snellire le procedure
dell’apparato amministrativo e fornire maggiori servizi dedicati ai cittadini, ma vi era
101 una totale assenza del ricorso alle tecnologie nel settore amministrativo. Molto simile
alle procedure di riforma Bassanini avviate in Italia, il programma di riforma Politeia
ha comunque aperto la strada all’ammodernamento della pubblica amministrazione
greca, fornendo così i primi strumenti utili per la progettazione dell’OPIS che
caratterizzerà tutta la prima fase di riforma dell’apparato amministrativo in senso
tecnologico. Ad oggi Politeia si pone ancora come cornice politica ed amministrativa
al processo di informatizzazione in corso in Grecia, fornendo i principi e gli obiettivi
da perseguire per ammodernare e rendere sempre più efficiente la pubblica
amministrazione greca.
La prima fase di ammodernamento e di informatizzazione della pubblica
amministrazione in Grecia coincide dunque con il 1999, anno in cui è stato
pubblicato il Libro Bianco Greece in the Information Society: strategy and action che
definiva la nuova politica greca per lo sviluppo e l’implementazione della società
dell'informazione. Il Libro Bianco si configurava come un primo schema di
riferimento dal quale poi hanno preso avvio gran parte della programmazione
successiva in materia di informatizzazione. Il testo infatti pone in essere le
opportunità amministrative, politiche ed economiche che una società, un sistema,
con un alto livello di informatizzazione può aspirare a raggiungere. Le priorità
rispecchiavano in generale l’orientamento delle precedenti programmazioni europee
in materia di information society98 con, ovviamente, uno sguardo attento alle
caratteristiche politiche e sociali del paese. Esso tocca molti e diversi temi, dallo
sviluppo economico alla regolamentazione delle telecomunicazione, dalle
problematiche legate all’accesso fino alla trasparenza delle informazioni. Brevemente,
il Libro Bianco ha avuto il ruolo significativo e fondamentale di ordinare l’agenda
greca per le politiche pubbliche rivolte alla informatizzazione della società, di dettare i
primi punti sui quali orientare le successive programmazioni e i seguenti interventi in
materia di sviluppo e implementazione della società dell’informazione.
L’anno in cui la Grecia ha formalizzato la sua programmazione in materia è stato
comunque il 2001, precisamente quando venne lanciato l’OPIS, il programma
operativo per la società dell'informazione99. L’OPIS copriva la programmazione in
materia nel periodo 2000-2006 e aveva come priorità il perseguimento degli obiettivi
98
In particolare le priorità del Libro Bianco sono riassumibili in pochi punti: migliorare i servizi ai
cittadini e alle imprese, attraverso la modernizzazione dello Stato e un maggiore accesso e trasparenza
alle attività della pubblica amministrazione; raggiungere una migliore qualità della vita, attraverso
l'applicazione di informazioni e di tecnologie di comunicazione; creare un sistema educativo adattato
al digitale e la messa in rete delle scuole e delle università; realizzare una crescita economica più rapida,
attraverso incentivi alla creazione di nuove imprese, facendo emergere nuovi settori soprattutto nel
campo delle ICTs; aumentare l'occupazione, sostenendo la creazione di nuovi posti di lavoro;
promuovere la cultura greca e la civiltà, attraverso la documentazione e la promozione del patrimonio
culturale; incoraggiare l'uso delle nuove tecnologie nei mass media, creando un quadro normativo
adeguato, e la salvaguardia del pluralismo e della libertà di espressione; il raggiungimento di pari
partecipazione di tutte le regioni della Grecia nella società dell'informazione, attraverso il
decentramento e l'incoraggiamento degli enti regionali e iniziative locali; la tutela dei diritti dei
cittadini e dei consumatori e la difesa democratica istituzioni e la partecipazione nell'era digitale.
99
Si è calcolato che il bilancio di spesa conclusivo dell’intera programmazione OPIS è stato di oltre
2.839,1 milioni di euro. La maggiore programmazione di spesa era prevista sulla linea di azione
Cittadini e Qualità della vita che contava circa 879,4 milioni di euro.
102 posti in essere dal Libro Bianco sulla società dell’informazione e l’attuazione delle
linee di azione del piano eEurope 2002. Nel programma si dava forte peso
all’attuazione dell’e-government che nelle sue linee essenziali aveva come obiettivo lo
sviluppo di servizi online e l’uso delle ICTs per razionalizzare le procedure e la
comunicazione all’interno e tra i vari organi di governo.
Nello specifico l’OPIS era strutturato su quattro diverse linee di azione: istruzione
e cultura, cittadini e qualità della vita, economia digitale e occupazione, infine le
comunicazioni. Tutte e quattro le linee di azione seguivano pedissequamente i
principi ispiratori dell’intera programmazione:
• Innovazione e imprenditorialità: la società dell’informazione doveva svilupparsi
sulla base dei meccanismi di mercato e il quadro normativo doveva agevolare nuove
iniziative imprenditoriali e l'innovazione.
• la democrazia e le libertà personali: la società dell’informazione doveva estendere
il processo democratico e proteggere i cittadini e i relativi diritti civili, sociali e
politici.
• le pari opportunità e la coesione sociale: era necessario fornire a tutti i cittadini le
opportunità per l'accesso alla conoscenza messa a disposizione dalle nuove tecnologie.
L’OPIS aveva anche il compito di rendere pubbliche le programmazioni di spesa
dell’intera riforma. Infatti, nel documento, oltre ai settori e le linee di azione,
vengono rese note i finanziamenti elargiti dal governo nazionale e le redistribuzioni
degli stessi finanziamenti sulle diverse linee di azione.
L’anno del lancio del documento operativo di programmazione ha visto anche la
nascita della prima rete nazionale per la pubblica amministrazione, sorta attraverso il
progetto pilota SYZEFXIS, che è riuscito a coinvolgere 15 organizzazioni statali, un
successo se pensiamo alle difficoltà tecnologiche e politiche che in quegli anni si
potevano incontrare. Il progetto SYZEFXIS100 fu attivato dal ministero greco degli
Interni, pubblica amministrazione e decentramento, esso mirava allo sviluppo e
all’aggiornamento del settore pubblico di un’infrastruttura di telecomunicazione. In
breve si tratta di un nucleo centrale e reti di accesso per il settore e le organizzazioni
pubbliche al fine di soddisfare tutte le loro esigenze di comunicazione attraverso
telefonia, dati e video. Ad oggi il progetto SYZEFXIS è in piena fase di attuazione e
conta più di 1800 nodi.
Il Libro Bianco e l’OPIS, il programma operativo nazionale, non hanno risultati
esaltanti sul piano dei risultati, essi hanno comunque il merito di aver aperto e dato
avvio al processo di informatizzazione della società greca, sia nella sua dimensione
infrastrutturale, fatta di reti informatiche e informatizzazione della pratiche, sia nella
organizzazione economica e sociale della Grecia che fino al lancio del programma
operativo non aveva conosciuto interventi rivolti allo sviluppo della società
dell’informazione. Nei primi due anni di attuazione furono infatti attivati centinaia
di progetti, fino a creare un ciclo virtuoso fatto di interventi e riforme dell’intero
apparato amministrativo. Un processo che ebbe tempi rapidi e che portò ad
100
Gli obiettivi del progetto erano sostanzialmente due: 1) il miglioramento dei servizi pubblici
attraverso il miglioramento delle infrastrutture di telecomunicazione tra le diverse organizzazioni ed
enti e attraverso l'offerta di tecnologie avanzate a basso costo; 2) la fornitura di servizi integrati ai
cittadini mediante le moderne tecnologie.
103 inevitabile aggiornamento del Libro Bianco già nel 2002, nel quale vennero integrate
le linee di azione contemplate nel programma operativo e furono menzionati i
progetti avviati nei due anni trascorsi dalla pubblicazione della prima edizione. Negli
anni successivi all’aggiornamento furono attivati molti servizi tra i quali anche i
Citizen Service Centre, conosciuti in Grecia con il nome di KEP101. Nella fattispecie i
KEP sono degli sportelli amministrativi unici, solitamente situati nei pressi di enti e
organizzazioni istituzionali e che avevano lo scopo di integrare tutte le procedure
amministrative attraverso l’uso delle tecnologie per l’informazione e la
comunicazione.
In questa prima fase, un altro momento molto importante è stato sicuramente la
costituzione dell’Observatory for the Greek Information Society nel 2004. L’osservatorio
è stato costituito dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e il Ministero degli
interni, pubblica amministrazione e decentramento, si tratta di un organismo che –
stando allo statuto – non ha scopi di lucro, il suo compito è misurare e valutare i
progressi nazionali e locali degli interventi in materia e contribuire al raggiungimento
e alla realizzazione degli obiettivi strategici posti in essere nel programma operativo
nazionale. L’osservatorio, sin dalla sua costituzione, ha avuto un ruolo significativo
nello sviluppo della società dell’informazione, esso ha fatto da regolatore e da bussola
sia per il governo nazionale che per i diversi livelli locali. Ogni anno l’osservatorio
pubblica una relazione dove sono organizzati tutti i dati e le valutazioni fatte, sia per i
progetti ministeriali sia per i vari e molteplici progetti attuati sul territorio dai governi
locali. L’osservatorio negli anni è diventato inoltre anche il riferimento ufficiale di
gran parte della valutazione nel campo delle politiche pubbliche per
l’informatizzazione ellenico.
Gli anni che hanno chiuso la prima fase dello sviluppo della società
dell’informazione in Grecia hanno visto l’avvio e il lancio ufficiale del programma
triennale di riforma e ammodernamento della pubblica amministrazione Politeia
2005-2007. Come si legge dal testo della riforma: gli obiettivi del programma sono di
servire meglio tutti i cittadini e di dare attenzione alle loro reali esigenze, aumentando
la trasparenza nella pubblica amministrazione e attuando l’e-government in tutti i
livelli amministrativi (amministrazioni centrali e regionali, comuni), il programma si
propone anche la ristrutturazione delle agenzie e dei processi, la protezione della
privacy dei cittadini e il consolidamento dello Stato di diritto.
Da sottolineare che, rispetto alla bozza originaria, il progetto di riforma
dell’apparato amministrativo, nel suo lancio ufficiale, integra tutti i progetti e gli
interventi presenti anche nell’OPIS, configurandosi come punto di riferimento per
tutti i progetti in attivazione e in fase di implementazione, compreso la rete pubblica
nazionale SYZEFXIS.
La prima fase si conclude dunque con la sinergia fra i progetti di riforma
dell’apparato amministrativo e i programmi operativi per l’informatizzazione delle
infrastrutture. Entrambi i processi di innovazione e ammodernamento diventano un
unico percorso che contempla sia efficienza, efficacia e trasparenza delle attività e
delle pratiche amministrative sia l’informatizzazione delle stesse.
101
I KEP, gli sportelli amministrativi unici, sono in effetti il corrispettivo greco dei nostri URP
(Uffici rapporti col pubblico).
104 Come già anticipato, la seconda fase del percorso di informatizzazione della Grecia
coincide con al pubblicazione delle Digital Strategy 2006-2013. Nel 2006 il Comitato
per l’Information Tecnology, il più alto organo ellenico per quanto riguarda le strategie
e lo sviluppo delle ICTs in Grecia, propose di rivedere le strategie messe in essere
negli anni precedenti. Nessuna rivoluzione, ma una semplice recisione dei precedenti
programmi ed interventi. Fu così pubblicata la Digital Strategy 2006-2013.
Il documento si proponeva come punto di svolta e non di rottura con la
precedente programmazione, i suoi punti di forza infatti prendevano forma sia dal
Libro Bianco che dal programma operativo nazionale per la società dell’informazione.
Esso comunque prendeva delle distanze dalla precedente programmazione. Mentre ad
esempio nel precedente piano operativo vi era una strategie di media durata, nelle
Digital Strategy si mirava a costruire un percorso di longue dureè, di lunga durata,
capace di dare continuità ed unitarietà agli sforzi progettuali proposti. Inoltre nella
nuova strategia si può notare uno spostamento della programmazione dalla fase di
implementazione alla fase di valutazione degli interventi, percorrendo in questo
modo le direttive europee in materia di società dell’informazione.
Il documento pone ancora al centro della propria strategia l’aumento delle
produttività e il miglioramento della qualità della vita dei cittadini ed nello specifico è
suddiviso in quattro diverse fasi di sviluppo e attuazione:
1. Esame - identificazione della fonte dei problemi che ostacolano l’uso delle
ICTs nel paese;
2. Analisi delle politiche internazionali sulla società dell'informazione e le nuove
tecnologie. Identificazione dei buoni esempi e dei fallimenti degli altri paesi;
3. Studio internazionale sugli sviluppi europei nel campo della società
dell'informazione (la politica i2010, WSIS, ecc.);
4. Impostare le indicazioni di base dell'economia digitale strategia per il periodo
2006-2013, sempre tenendo conto delle particolarità dell’economia e della società
greca.
Attraverso la lettura delle e fasi si può facilmente comprendere l’approccio
europeista di questa nuova strategia, i modelli da seguire sono quelli internazionali e
anche la valutazione dei progetti risponde ad indicatori europei. La differenza più
importante rispetto alla precedente programmazione sta comunque nel fatto che la
nuova strategia non è incentrata più su progetti specifici, ma a prescrizioni di servizi
da offrire e da implementare.
Bisogna comunque sottolineare che i risultati della prima fase in termini di
informatizzazione non stati esaltanti per la Grecia. La volontà dunque, da parte della
Commissione nazionale per l’informatizzazione, di rilanciare i piani strategici era il
prodotto dei deludenti risultati raggiunti, nel documento strategico 2000-2013 non
vi è comunque nessun esplicito riferimento al ritardo accumulato dalla Grecia in
termini di servizi e infrastrutture rispetto ai partner europei.
Nello specifico, il nuovo piano strategico ha come obiettivo prioritario quello di
digitalizzare le regioni e i territori che mostravano un maggiore ritardo. Infatti, nel
documento si fa più volte esplicito riferimento alla volontà di realizzare un Digital
Leap, un salto digitale, dei territori che manifestavano un palese ritardo in termini di
produttività dell’economia digitale e di miglioramento della qualità della vita dei
cittadini attraverso l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Per
105 fare ciò il governo ellenico, insieme ai tanti attori che partecipavano al processo, a
partire dalla Commissione per l’Information Society fino all’Osservatorio per la
società dell’informazione, aveva come comune denominatore raggiungere la
copertura nazionale di connessione ad internet a banda larga.
Attraverso il documento si apprende che il piano di azione per il potenziamento
della banda larga aveva un preventivo di spesa pari a € 450 milioni. Inoltre gli
obiettivi prefissati dal Digital Leap prevedevano l’aumento della penetrazione della
banda larga alla media europea entro il 2009 e l’aumento della copertura geografica
della banda larga al 60% rispetto a meno del 10% nel 2004102.
Al lancio delle linee strategiche 2006-2013 fu associata una campagna di
sensibilizzazione meglio nota come Digital Greece. Lo scopo sostanziale della
campagna era quello informare i cittadini dei vantaggi e delle opportunità offerte
dalle nuove tecnologie per l’informazione e la comunicazione, pubblicizzare le diverse
azioni e progetti in via di attivazione e in corso di implementazione, promuovere la
partecipazione della cittadinanza ai processi di definizione e formulazione delle
politiche tese all’informatizzazione. La campagna di sensibilizzazione Digital Greece è
tuttora in corso e coinvolge decine di enti governativi, università, associazioni e
organizzazioni non governative.
Le Digital Strategy 2006-2013 aprono e - se si vuole considerare il fatto che parte
dei progetti proposti sono ancor in start-up - chiudono dunque la seconda fase verso
l’innovazione e l’ammodernamento in senso tecnologico della pubblica
amministrazione greca. Recentemente però il Ministero per l’Economia e le Finanze
ellenico, in una prospettiva più generale rispetto alle linee strategiche 2006-2013, ha
presentato il National Strategic Reference Framework for 2007-2013 che ha come
obiettivo quello di porsi come quadro di riferimento anche per la riforma delle
pratiche e delle competenze della pubblica amministrazione. Nello specifico, per
quanto riguarda lo sviluppo della società dell’informazione, il documento contempla
sia una struttura centralizzata, in quanto il quadro di riferimento restano le linee
strategiche, ma nello stesso tempo apre a forme decentrate di consultazione, in
quanto agli enti chiamati in causa, a partire dai livelli locali, sono obbligati a
progettare e strutturare dei singoli piani di azione che poi nel corso della nuova
programmazione saranno socializzati con il fine di organizzare programmi operativi
nazionali capaci di tenere conto delle esigenze dei singoli territori.
4.2 La Francia: e le “Autoroutes de l’information”
La Francia ha avuto una storia singolare per quanto riguarda il processo di
implementazione della società dell’informazione, in quanto presenta diverse
esperienze pioneristiche circa l’uso e la consultazione delle informazioni di pubblica
utilità attraverso le tecnologie per l’informazione e la comunicazione,
Infatti in Francia, già sugli inizi degli anni ’80, nelle case degli abbonati France
Telecom, fu introdotto un metodo di ricerca e informazioni attraverso linea telefonica,
102
Per maggiori approfondimenti si vedano i dati statistici ufficiali forniti dall’Observatory for the
Greek Information Society:
106 il meglio noto Minitel103, che paragonato alle tecnologie contemporanee appare un
mezzo primitivo, ma che ancora oggi, a oltre vent’anni dalle prime applicazioni,
conta più di 18 milioni di abbonati e pare non perdere vigore anche dopo l’avvento
della rete. Altro esempio è dato dal progetto Gallica104, datato 1995, che proponeva la
digitalizzazione dei materiali testuali, audio e video della National Library of France,
un antenato dei contemporanei progetti di digitalizzazione delle biblioteche e dei
documenti di ricerca in atto in tutta Europa. Tra gli interventi pioneristici vi fu
anche la distribuzione, la prima in Europa, di tessere sanitarie elettroniche, la Vitale
Card, tuttora in funzione e che permette agli operatori sanitari di poter ricevere il
compenso per una determinata prestazione o servizio reso al Ministero per la Sanità
in maniera elettronica e direttamente sul proprio conto.
Agli interventi appena menzionati vanno aggiunti anche la creazione di una serie
di organi istituzionali, costituiti e istituiti proprio per supportare un processo di
informatizzazione per molti versi tutto da definire. Infatti, i cugini d’oltralpe già a
metà degli anni ’90, e quindi a pochi mesi dalla pubblicazione del Libro Bianco di
Delors, avevano costituito la Délégation Interministérielle pour la Réforme de l'État
(DIRE) che aveva il compito e le responsabilità di gestire e promuovere la riforma
della pubblica amministrazione. Tra i principali settori di competenza del DIRE vi
era anche l’e-government e i relativi processi di informatizzazione dell’apparato
pubblico francese. Inoltre per aver maggiore expertise nel campo tecnologico venne
affiancata alla delegazione un altro organo interministeriale, la Mission pour le
développement des TIC dans l'administration publique (MTIC) che aveva il compito di
fornire ai ministeri sia le competenze che il supporto tecnologico adeguato per
l’ammodernamento e l’informatizzazione della pubblica amministrazione.
La Francia è stata dunque, tra gli stati membri, una nazione particolarmente
sensibile alle dinamiche di informatizzazione degli apparati pubblici, bisogna però
sottolineare che l’avvio, per certi versi ufficiale, di pratiche per la crescita e lo sviluppo
della società dell’informazione si è avuta solo nel 1998, a partire dal programma
d’azione del governo per la Società dell’Informazione, meglio conosciuto con il nome
di PAGSI. Negli anni precedenti al programma d’azione ciò che veniva effettuato in
termini di informatizzazione delle strutture pubbliche non aveva nessun tipo di
coordinamento nazionale, tantomeno erano orientate a seguire gli indicatori forniti
dalla Commissione Europea. Gli interventi in materia risultavano così delle semplici
eccellenze emerse in contesti virtuosi dove si dava semplicemente una particolare
attenzione allo sviluppo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
Solo con la pubblicazione del PAGSI la Francia si è dunque dotata di un programma
d’azione capace di avere una direttiva nazionale che guardasse con interesse e
103
Sistema telematico francese, equivalente del Videotel italiano. Di buon successo negli anni '80,
poiché l'apparecchio necessario veniva fornito gratuitamente e non c'erano canoni di abbonamento. Il
Minitel consentiva agli utenti di accedere telefonicamente a servizi come la consultazione dell’elenco
telefonico in linea, di una pagina dedicata alle news, la prenotazione di biglietti aerei e ferroviari e
l’esame di una piccola enciclopedia. Il tutto sempre ricreato su un protocollo di comunicazione
proprietario, senza la possibilità di uscire da quel minuscolo “portale”.
104
Ad oggi Gallica fornisce l’accesso a 90.000 opere digitalizzate (stampa inclusa), più di 80 000
foto e decine di ore di risorse audio. Gallica è una delle più grandi biblioteche digitali disponibili
gratuitamente su Internet.
107 attenzione ai suggerimenti della Dirigenza per la società dell’informazione e la
comunicazione della Commissione Europea.
Nelle ambizioni dell’allora governo francese, presieduto da Lionel Jospin, vi era
l’esplicita dichiarazione di voler diventare una società dell’informazione a tutti gli
effetti nel giro di tre anni, investendo una somma pari a quattro miliardi di euro per
ottenere i risultati e raggiungere gli obiettivi prefissati. Il programma d’azione
prevedeva sei priorità che dovevano essere perseguite nell’arco di tre anni: 1) sfruttare
al massimo le opportunità poste in essere dalle nuove tecnologie dell’informazione e
della comunicazione per quanto riguarda l’istruzione, con particolare attenzione alle
università e agli enti di ricerca; 2) la strutturazione di una politica culturale rigorosa
per quanto riguarda gli aspetti sociali e culturali legati alla società dell’informazione;
3) l’introduzione delle tecnologie per l’informazione e la comunicazione per
l’ammodernamento dei servizi pubblici; 4) far diventare le tecnologie per
l’informazione uno strumento primario per le imprese; 5) affrontare la sfida
dell’innovazione industriale e della tecnologia; 6) promuovere la nascita di una
regolamentazione efficace e un quadro di protezione per nuove reti di informazione.
Il PAGSI, nel lungo processo di informatizzazione francese, rappresenta il primo
manifesto programmatico dove, a partire dal noto Rapporto Bangemann, vengono
riprese tutte le preoccupazioni espresse dall’Europa in materia di società
dell’informazione. Durante gli anni di implementazione del programma d’azione
sono stati avviati importanti e fondamentali progetti, come ad esempio la legge sulla
firma elettronica e l’inaugurazione del primo e unico portale pubblico nazionale,
Service-Public.fr. Inoltre in quegli anni fu istituita l’Agence pour les TIC dans
l'administration publique (ATICA) che prelevò tutte le funzioni e le competenze del
già menzionato MTIC.
Anche se il PAGSI raggiunse ottimi risultati, il programma ebbe comunque vita
breve. Infatti nel novembre 2001, il comitato interministeriale per la riforma dello
Stato, aggiorno le linee di azione e lanciò la Deuxième phase de développement de
l'administration en ligne che aveva in generale cinque obiettivi principali: generalizzare
i servizi elettronici pubblici entro il 2005 e renderli accessibili ai cittadini attraverso
una interfaccia personalizzata; rafforzare la tutela dei dati personali; rendere i servizi
elettronici pubblici e accessibili a tutti e non solo per gli utenti di Internet; rendere
Internet uno strumento di democrazia; rendere i dipendenti pubblici attori chiave
dello sviluppo di questi nuovi servizi elettronici.
La seconda fase riprende dunque i temi del programma d’azione ed intensifica il
lavoro soprattutto su due temi chiave. Innanzitutto il miglioramento
dell’interoperabilità fra gli enti e le organizzazioni istituzionali105, siano essi nazionali
e locali, e il rafforzamento della leadership e del coordinamento per quanto riguarda
105
Su questo punto si ricorda che nel 2002 furono pubblicate due circolari amministrative The
Common Interoperability Framework – v.1.0 pubblicato nel Gennaio e il successivo Version 2.0 of the
Common Interoperability Framework pubblicate nel mese di Dicembre. Entrambi i documenti
dettavano un quadro di regole comuni da rispettare per implementare l’interoperabilità fra i diversi
enti e istituzioni nazionali e locali.
108 il processo di informatizzazione delle procedure amministrative106. Inoltre durante la
seconda fase nacque l'Agence pour le développement de l'administration électronique
(ADAE) incaricata di fornire supporto e coordinamento per le politiche di egovernment. L’ADAE sostituì la precedente Agence pour les TIC dans l'administration
publique (ATICA) e prese a carico tutta le competenze precedentemente detenute
dalla Délégation Interministérielle pour la Réforme de l'État (DIRE).
La seconda fase per l’e-government francese ha avuto dunque un ruolo rilevante
soprattutto sotto l’aspetto della gestione e il coordinamento delle pratiche e delle
procedure - per molti anni troppo legate ad espressioni localistiche di riforma della
pubblica amministrazione - e di dettare un quadro di regole comuni, sia normative
che tecnologiche, per tutti gli enti e le istituzioni chiamate a partecipare al processo di
informatizzazione.
Sulla scorta del successo della seconda fase, il governo francese nel 2004 decise di
lanciare un primo vero piano strategico per l’e-government che, a differenza dei
programmi operativi che lo avevano preceduto, avesse nella sua progettazione una
tempistica da perseguire, sia per le priorità che per gli obiettivi, e che definisse in
maniera precisa una serie di progetti, e la loro relativa tabella di marcia, da portare al
termine nel periodo 2004-2007.
Fu così che il 9 Febbraio del 2004 venne lanciato il piano strategico nazionale per
l’e-government ADELE (ADministration ELEctronique)107 che tra i suoi diversi meriti
ha soprattutto quello di aver fornito un quadro coerente e coordinato di sviluppo e
attuazione dei servizi elettronici ai cittadini, alle imprese e dipendenti pubblici.
L’obiettivo principale di ADELE consisteva nell’attuazione di un’amministrazione
elettronica accessibile a tutti incentrata non più sulla semplice offerta di informazioni
dei servizi ma sulla fornitura degli stessi servizi in maniera interattiva, capaci di
consentire agli utenti di eseguire la procedure amministrative in maniera elettronica
attraverso l’uso della rete. Nel piano erano stati stabiliti tre obiettivi fondamentali: 1)
rendere la vita più facile per i cittadini, le imprese e le autorità locali fornendo un
gran numero di servizi user-friendly e di qualità a disposizione di tutti in ogni
momento; 2) garantire la sicurezza dei dati e la riservatezza attraverso l’uso sicuro di
sistemi di identificazione degli utenti e la possibilità per i cittadini di controllare l’uso
dei loro dati personali da parte di enti pubblici; 3) contribuire alla modernizzazione
della pubblica amministrazione, migliorando il lavoro dei dipendenti pubblici e
l'organizzazione dei servizi e di contribuire a ripristinare il margine di manovra
finanziaria dello Stato108.
106
Il documento di riferimento per quanto riguarda questo obiettivo fu pubblicato nel novembre
del 2002 con il titolo di Pour une République numérique dans la société de l'information, meglio
conosciuto con il nome di RE / SO 2007.
107
Il bilancio totale del programma ADELE si aggirava intorno ai € 1,8 miliardi di euro per i suoi
quattro anni di applicazione. In particolare il programma era composto da un piano strategico, Plan
Stratégique de l’Administration Electronique (PSAE) 2004-2007, e un piano d'azione, Plan d’Action de
l’Administration Electronique (P2AE) 2004-2007 da sottoporre a controllo ogni anno e aggiornato di
conseguenza.
108
Cfr. Ministero per il Servizio Civile e la Riforma dello Stato, Plan Stratégique de
l’Administration Electronique (PSAE) 2004-2007, Febbraio 2004
109 In principio, il programma prevedeva oltre 270 progetti che nel corso delle
applicazioni aumentarono sensibilmente. Tra i molti obiettivi raggiunti vale la pena
menzionare, a titolo esemplificativo, l'’istituzione di un’autorità nazionale per la carta
d’identità elettronica (CNIE) che doveva lentamente sostituire la tradizionale carta
d'identità, il graduale passaggio ad una piena distribuzione elettronica della Gazzetta
Ufficiale francese e infine la creazione de la Carte de Vie Quotidienne (CVQ)
consegnate a livello locale e che rendevano possibile l'accesso ai servizi della pubblica
amministrazione da chioschi interattivi messi a disposizione in luoghi pubblici109.
Con l’attivazione dei progetti ADELE nacque parallelamente anche il bisogno di
condivisione e ottimizzazione delle risorse finanziare messe in campo per
l’implementazione del piano di azione. Il governo francese, in linea con le esigenze
espresse in materia, decise così di fornire una cornice programmatica nuova al piano
di azione che tenesse conto sia delle risorse sia dei metodi per ridurre al minimo lo
spreco al quale, vista la portata economica del piano di azione, inevitabilmente si
poteva andare incontro. A partire da queste preoccupazione nel 2004 venne
pubblicato un documento dal titolo ADELE Master règlement de l'administration en
ligne (2006 - 2010) nel quale si ponevano gli elementi minimi da seguire per evitare
di ripetere gli errori nelle spese commessi dai precedenti interventi. Il 2005 è anche
l’anno in cui venne creato il Directorate-General for State Modernisation (DGME) che
tra le funzioni connesse alla riforma dello Stato, come organo aveva il ruolo di
sostenere lo sviluppo dell’e-government e di coordinare le politiche messe in atto dalla
precedente agenzia per lo sviluppo della amministrazione elettronica (ADAE).
Verso la fine dell’attuazione del piano di azione ADELE, in vista anche della
imminente presidenza europea, il governo francese decise di portare avanti un piano
di revisione generale di tutte le politiche pubbliche lanciate negli anni precedenti, con
lo scopo di riorganizzare e razionalizzare, mediante il controllo delle spese dei fondi
pubblici, l’intero assetto delle policies entro il 2012. Il piano prende il nome di
Révesion Général des politiques publiques (RGPP) ed è tuttora nelle sue fasi iniziali.
Questo nuovo metodo di riforma è stato progettato per valutare e monitorare le
spese, con il fine di rendere meritevoli coloro che hanno sfruttato bene i fondi
erogati, ma nello stesso tempo l’RGPP assume anche il ruolo di raccoglitore di
informazioni dettagliate per la definizione e la strutturazione del prossimo piano di
azione francese, il Public Services 2012.
Gli obiettivi della RGPP sono innanzitutto migliorare e adeguare la pubblica
amministrazione e i servizi pubblici ai bisogni dei propri utenti; ridurre la spesa
pubblica in modo da ripristinare un equilibrio finanziario entro il 2012; valorizzare il
lavoro, e quindi anche le competenze e le funzioni, dei dipendenti pubblici.
Un punto importante in questo processo di revisione generale delle politiche
pubbliche è rivestito dalla Presidenza di turno dell’Unione europea che dal luglio
2008 fino alla fine del dicembre 2008 coincide proprio con l’RGPP. Nello stesso
tempo però il turno di presidenza coincide anche con le trattative per il
completamento delle linee guida per il piano di azione europeo110. Nelle intenzioni
109
Per approfondimenti Ibidem.
Vale la pena notare che le priorità e le linee guida della strategia 2015 saranno comunque decise
a Malmö conferenza del novembre 2009, durante la Presidenza svedese dell’Unione europea.
110
110 della Presidenza di turno francese vi è dunque una duplice volontà, quella di
realizzare le decisioni prese dai ministri europei a Lisbona nel 2007, che implica la
creazione di una strategia europea per l’interoperabilità e la cooperazione dei diversi
piani nazionali, e quello di riordinare il sistema su direttive che abbiano come
modello le priorità e gli obiettivi posti in essere dalla Commissione europea.
4.3 Inghilterra: The Victorian Information Society
Nel quadro delle esperienze europee circa l’implementazione della società
dell’informazione appare opportuno considerare anche l’Inghilterra per via della sua
continua interazione con il modello europeo di sviluppo delle ICTs nel settore
pubblico. Il percorso di informatizzazione del sistema britannico, a partire dagli
sviluppi della normativa nel campo dei diritti fino ad arrivare alla programmazione in
materia di e-government, ha infatti avuto numerosi momenti dedicati all’osservazione
del cammino europeo verso la società dell’informazione.
Il percorso inglese però comincia a svilupparsi qualche anno prima rispetto ai
vicini Stati Membri, è infatti sugli inizi degli anni ’90 che possiamo individuare i
primi timidi interventi tesi a relazionare la pubblica amministrazione alla cittadinanza
attraverso le ICTs. Ne è un esempio l’istituzione del primo sito web del governo
centrale111 messo online nel 1994 dalla Central Computer & Telecommunications
Agency (CCTA), dove si potevano osservare e leggere l’organigramma e la struttura
del sistema politico della Gran Bretagna. Il sito con il passare degli anni ha poi avuto
una sua evoluzione, fino a diventare oggi uno dei siti web governativi più funzionali
al mondo.
Bisogna comunque sottolineare che gran parte degli interventi non avevano una
chiara e delineata cornice politica e istituzionale, infatti solo nel 1996 il governo
inglese, presieduto dal conservatore John Major, pubblicò Government Direct: A
prospectus for the Electronic Delivery of Government Services dove per la prima volta
vennero illustrate da una istituzione le linee generali attraverso le quali un governo
poteva usare le ICTs migliorando i rapporti con i dipartimenti, con i cittadini e le
imprese.
Vista dal profilo organizzativo l’Inghilterra ha dunque sviluppato sin dal 1995 i
primi piani di azione per lo sviluppo della società dell’informazione. Pare però che
gran parte degli interventi non abbiano avuto un grosso successo. Infatti, i diversi
progetti, locali e nazionali, hanno avuto difficoltà dovute al coordinamento, come
ben evidenzia la relazione Electronic Government: Information Technologies and the
Citizen pubblicata nel febbraio 1998 dal Parliamentary Office of Science and
Technology (POST) nella quale si valutavano i diversi interventi messi in atto e si
promuovevano i modi e le strategia attraverso le quali le ICTs potevano essere
utilizzati dal governo per migliorare il lavoro interno e la fornitura dei servizi
pubblici. Dalla relazione si apprende che uno dei problemi da affrontare per
111
La prima versione del sito web del governo inglese www.open.gov.uk è parzialmente
consultabile su www.archive.org
111 migliorare il processo di implementazione della società dell’informazione in
Inghilterra era innanzitutto la mancata condivisione di intenti e di obiettivi e
l’assenza di una vision comune circa i processi di informatizzazione dei servizi
pubblici.
Ed è solo nel 1999, con la costituzione del Office of the e-Envoy, una struttura
dedita al coordinamento nazionale, che si può parlare di un cambiamento di rotta per
quanto riguarda le policies per la società dell’informazione in Inghilterra. Nello stesso
anno l’Inghilterra attua anche il suo primo piano di modernizzazione della pubblica
amministrazione il meglio noto Modernising Government Action Plan112. Il piano
elencava 62 impegni per i primi due anni di governo nel quale venivano menzionate
una serie di azioni tese a implementare la società dell’informazione in Inghilterra,
come ad esempio lo sviluppo di uno sportello unico dei servizi interamente
elettronico.
Comincia così una nuova stagione per la società dell’informazione in Inghilterra.
Un periodo che è stato caratterizzato da profondi interventi capaci di contemplare
una pubblica amministrazione orientata ai criteri di efficienza, efficacia e trasparenza
dettati dall’Unione europea nello stesso tempo di valorizzare le opportunità offerte
dalle ICTs. Ne è un esempio l’iniziativa nazionale meglio nota come UK online
iniziative (2000) dove si riunivano tutte le azioni e gli investimenti locali e dove i
punti fondamentali dell’azione erano rivolti a fornire un accesso universale ad
Internet e ad alfabetizzare in senso informatico tutta la Gran Bretagna entro il 2005.
In generale l’iniziativa UK online iniziative faceva da cornice al documento EGovernment: a strategic framework for public services in the Information Age, un quadro
strategico che invitava tutte le organizzazioni del settore pubblico ad innovare ed
impegnava tutti i dipartimenti del governo centrale a sviluppare strategie di e-business.
Dal documento si legge:
«This document, e-government, is not a conventional IT strategy which proposes technical
solutions to a set of business needs. The business of government is too varied and complex, and the
range of its dealings and contacts too great for that to be a sensible approach. Instead, e-government
sets a strategic direction for the way the public sector will transform itself by implementing business
models which exploit the possibilities of new technology. It is informed by changes in the wider
economy and in leading developments in the public sector in the UK and overseas. It identifies the
respective roles of public sector bodies and the centre in achieving this» (E-Government 2000, p. 5).
A circa due anni dalla pubblicazione del documento E-Government: a strategic
framework for public services in the Information Age fu pubblicata una prima relazione
tesa a valutare i progressi del governo centrale e delle amministrazioni locali in
termini di e-government. La relazione fu fatta dal National Audit Office (NAO),
un’agenzia dedita alla valutazione della pratiche e delle politiche di sviluppo e riforma
della pubblica amministrazione inglese, e prendeva il nome di Government on the Web
II (2002) e nella pratica funzionava sia come valutazione che come follow-up delle
linee guida per l’e-government pubblicate nel 1999.
112
Il testo del piano di azione è ancora interamente
http://archive.cabinetoffice.gov.uk/moderngov/action/intro.htm
112 consultabile
al
sito
Sulla base della relazione fornita dal NAO sull’avanzamento e sui progressi dell’egovernment inglese, nel Novembre del 2002 il governo inglese, in collaborazione con
l’Office of the e-Envoy, sviluppo uno dei primi piani di azione rivolto ai governi locali,
il National Strategy for Local e-government. Una strategia tesa a fornire un quadro
delle trasformazioni dei servizi locali, costruita sulla base di criteri come la
convenienza, l’accessibilità per i clienti ed una maggiore efficacia rispetto ai costi. Tra
le altre cose, la strategia era stata attuata attraverso una serie di progetti nazionali,
portando diversi partner a collaborare per lo sviluppo e l’attuazione della strategia.
Di particolare interesse nelle National Strategy for Local e-government (2002) è il
capitolo dedicato alla democrazia elettronica. Infatti, dal documento emerge una
spiccata sensibilità verso tematiche relative alle opportunità democratiche fornite
dalle ICTs. Nello specifico, il terzo capitolo del documento, Renewing Local
Democracy, è interamente dedicato allo sviluppo della democrazia elettronica locale.
Dal documento si legge che il governo locale non è e non deve solo fornire servizi,
ma è anche coinvolgere le persone, i cittadini, nel plasmare il futuro delle loro città,
delle loro province e delle regioni. Il documento su questo tema è dunque fin troppo
chiaro, Internet e le tecnologie per l’informazione e la comunicazione possono e
devono aiutare i cittadini a partecipare ai dibattiti locali e alla pianificazione delle
politiche pubbliche. Le consultazioni elettroniche, i sondaggi, i forum di discussione
possono svolgere un ruolo chiave nei sistemi locali. Essi possono essere un ottimo
supporto per i consiglieri, fornendo un accesso più facile e più strutturato alle
informazioni sul loro territorio. Infine il voto elettronico è in grado di offrire ai
cittadini una maggiore scelta di dove e quando dare il loro voto e velocizzando i
tempi dello spoglio. Il documento si configura quindi come una prima declinazione
della democrazia elettronica in senso locale.
Il piano di informatizzazione inglese è dunque particolarmente incentrato sullo
sviluppo informatico dei sistemi locali sia sotto il profilo della produzione dei servizi
sia sotto quello dello sviluppo democratico attraverso l’uso delle ICTs. Infatti, molte
altre sono state le iniziative per il rafforzamento della pubblica amministrazione
locale. Come ad esempio il Priority Outcomes for Local e-Government (2004) che, con
il fine di accelerare i progressi di e-government nei contesti locali, forniva indicazioni
su priorità e risultati locali per l'e-government113. Altro esempio è dato dalla
costituzione del Centre for Excellence for Local eDemocracy trasformato poi nel 2006
nell’International Centre for Excellence for Local eDemocracy, meglio conosciuto come
ICELE, attestatosi negli anni come un centro all’avanguardia per quanto riguarda la
costituzione di pratiche istituzionali per la democrazia elettronica nei contesti locali.
Sotto il profilo della valutazione delle pratiche, una delle relazioni che meglio
hanno esaminato la situazione inglese in termini di implementazione della società
dell’informazione è la Digital Strategy pubblicata nel 2005 e che, oltre a valutare i
progressi, tracciava i percorsi da seguire e le politiche sulle quali battere. In generale,
la relazione esaminava i progressi fatti dal sistema inglese nella promozione dei servizi
digitali definendo così una strategia nazionale incentrata su come colmare il divario
113
Il documento tendeva comunque a chiarire che l’orientamento del processo di governo
elettronico locale in Inghilterra si basava sulla condivisione delle priorità concordate tra le autorità
centrali e locali nella già citata strategia nazionale per l’e-government.
113 digitale e aumentare il tasso di assimilazione da parte degli utenti dei servizi di egovernment. Secondo la relazione, una strategia efficiente dovrebbe basarsi
principalmente sulle dinamiche del mercato capaci di aumentare l’assorbimento delle
ICTs da parte delle famiglie e delle imprese. Tuttavia, la relazione sosteneva una
chiara logica di coinvolgimento del governo nella lotta contro il divario digitale e
orientata a ridurre al minimo l’esclusione sociale.
Il primo passo della relazione Digital Strategy è stato quello di mettere a punto un
piano di azione che contemplasse i punti salienti emersi dal lavoro di analisi e
valutazione delle politiche attivate negli anni precedenti. Il documento
Transformational Government - Enabled by Technology (2005) è forse quello che
meglio rappresenta i dettami della relazione.
Alla base del documento vi erano tre punti chiave: 1) tutti i servizi abilitati
dovevano essere progettati intorno al cittadino o all’impresa (Citizen and Business
Centred Services). Ciò avrebbe permesso di migliorare l’esperienza dell’utente/cliente,
di ridurre gli oneri burocratici e di migliorare l’efficienza, riducendo le routine e
razionalizzando i processi; 2) il governo doveva procedere verso una cultura condivisa
dei servizi e delle informazioni (Shared Services), sia nel front-office che nel back-office;
3) infine, doveva essere ampliato e approfondito il ruolo del governo (Leadership), la
professionalità in termini di pianificazione, consegna, gestione, competenze
(Professionalism) e la governance delle ICTs, con lo scopo di raggiungere successi nei
risultati con un numero un numero minore di insuccessi.
Negli ultimi anni l’Inghilterra ha continuato a lavorare seguendo le linee tracciate
dalle Digital Strategy e dal Trasformational Government con delle opportune
rimodulazioni dovute allo sviluppo delle tecnologie, soprattutto per quanto riguarda
l’ambito della rete.
Una recente relazione del National Audit Office (2002) ha però dimostrato che i
siti web del governo, sia sotto il profilo dell’informazione che sotto l’aspetto relativo
alla fruzione dei serizi sono migliorati solo leggermente rispetto al 2002. Come
sottolinea la NAO, nell’arco di questi cinque anni il Governo inglese ha speso circa £
208 milioni (circa € 310 milioni) sul miglioramento annuale dei siti web, della loro
gestione e del loro aggiornamento in termini di servizi e infrastrutture, senza
raggiungere i risultati attesi.
A partire da questi dati, il governo è intenzionato a spostare le informazioni su due
principali Supersites – il Directgov e businesslink.gov.uk - per dare al pubblico e alle
imprese un semplice percorso di informazione e di servizi. La relazione indicava
inoltre che le informazioni sui costi di fornitura dei dati online aveva bisogno di un
miglioramento, in quanto solo un terzo dei dipartimenti e delle agenzie hanno
conoscenze sui costi dei servizi online.
L’Inghilterra si prepara quindi a vivere una nuova stagione del processo di
implementazione della società dell’informazione e, a partire dall’occasione offerta
dalla prossime olimpiadi che si terranno a Londra114, nelle intenzioni del governo di
Gordon Brown vi è la volontà di riformare l’intero assetto.
114
Per approfondimenti si rimanda a due recenti progetti lanciati dal governo inglese, il
London2012 ed il CompeteFor sviluppati dalla London Development Agency e dalla London Business
Network. Lo scopo di entrambi i progetti è quello di migliorare l’accesso a Londra 2012 aumentando
114 4.4 Spagna: dal Plan de Acciòn XXI al Moderniza
In linea con i tempi e le strategie dettate dal 5° Programma Quadro, la Spagna ha
cominciato a sviluppare un proprio piano di azione sul finire degli anni ’90, in
particolare quando fu lanciato il PISTA - Programme for the Promotion and
Identification of Emergent Services in Advanced Technology - e, più precisamente,
quando fu approvato, nel dicembre del 1999, il documento Info XXI – La Sociedad de
la Inform@ción para todos – Primera fase 2000-2003, nei quali si faceva per la prima
volta esplicito riferimento alla necessità di sviluppare una società che stesse al passo e
tenesse conto delle trasformazioni tecnologiche e comunicazionali.
In realtà la Spagna aveva già dimostrato una discreta sensibilità politica e
organizzativa circa il tema dell’informatizzazione. Un esempio è dato dalla
costituzione, nel 1998, di una commissione parlamentare, nata per volontà del
senatore del Partito Popolare Esteban Gonzàles Ponz, che aveva lo scopo di portare
avanti ricerche sul fenomeno Internet e che in quegli anni per le pubbliche
amministrazioni europee era poco più che una novità.
Già nel ’98 in Spagna si imponevano dunque esigenze di approfondimento e
strutturazione di strategie economiche, politiche e amministrative che si
preoccupassero di interpretare e tradurre le trasformazioni che stavano avvenendo nel
settore tecnologico115.
Il primo vero intervento spagnolo in materia di politiche pubbliche è stato però il
Plan de Acciòn Info XXI116, pubblicato nel 2001. Ovviamente tale piano è la diretta
successione di altre strategie già cercate e provate dai precedenti governi spagnoli, la
letteratura però contempla e ritiene - con ampia ragione - che il Plan de Acciòn sia il
primo vero passo spagnolo verso la società dell’informazione, esso disponeva di un
budget di 3,6 miliardi di euro ed era aperto alla partecipazione delle Comunità
autonome.
Le azioni previste nel Plan de Acciòn erano raggruppate in tre assi: a) settore
tecnologico; b) amministrazione elettronica; c) società. Il primo grande asse si
concentrava dunque sul settore tecnologico e aveva un carattere prettamente
normativo. Le iniziative di questo primo asse del Plan de Acciòn erano raggruppate in
due aree di lavoro. La prima orientata a liberalizzare il settore delle
le opportunità di business per le imprese e migliorando la trasparenza e la semplicità nelle procedure di
appalto. Per i giochi di Londra 2012 si prevede di generare circa 7.000 contratti diretti, che
rappresentano circa 75.000 opportunità diverse per le imprese e più di € 8 miliardi di euro di entrate
potenziali.
115
Per avere un prima configurazione normativa e strategiche bisogna aspettare almeno quattro
anni. Infatti, solo nel 2002 con Ley de Servicios sobre la Sociedad de la Información y el Comercio
Electrónico, meglio conosciuta come LSSI, si può cominciare a parlare di una vera cornice politica ed
istituzionale della società dell’informazione spagnola.
116
Il Plan de Acciòn Info XXI fu stato approvato dal Consiglio dei Ministri spagnolo il 19 Gennaio
del 2001 ed aveva una programmazione di azioni e progetti da sviluppare nell’arco degli anni 20012003. Nello specifico il Plan de Acciòn ha fatto sue le iniziative e le priorità del piano eEurope 2002
adottate nel giugno 2000. Il Plan de Acciòn ha avuto un budget di 3.6 miliardi e aperti alla
partecipazione delle Comunità Autonome
115 telecomunicazioni. Infatti, in Spagna, come nel resto dell’Europa, si imponevano le
esigenza di fornire una cornice normativa alle spinte verso la liberalizzazione del
mercato delle telecomunicazione, espresse qualche anno prima dal Rapporto
Bangemann. La seconda area di lavoro intendeva invece elaborare una nuova
regolamentazione capace di favorire l’implementazione dei servizi e della società
dell’informazione.
Il secondo asse del Plan de Acciòn aveva come scopo l’implementazione
dell’amministrazione e del servizio pubblico spagnolo in senso elettronico. In
quest’asse venivano incluse dal Plan de Acciòn tutta una serie di azioni per potenziare
la pubblica amministrazione spagnola in Internet, offrendo maggiori informazioni e
servizi per i cittadini. Dentro quest’asse erano a loro volta contemplati tre grandi
gruppi di misure: a) l’informazione elettronica; b) la trasmissione via Internet; e
infine, c) servizi pubblici in linea.
Il terzo grande asse del Plan de Acciòn era interamente teso allo sviluppo della
società dell’informazione e tutti gli ambiti politici, sociali ed economici coinvolti nel
processo. Su quest’asse il Plan de Acciòn si preoccupava sostanzialmente di sostenere
uno sviluppo armonico dei settori e degli attori coinvolti nel processo. Inoltre
quest’asse, come vedremo, è risultato poi di importanza cruciale affinché la Spagna
lentamente procedesse verso il modello europeo di società dell’informazione.
Nello specifico l’asse relativo alla società era suddiviso in tre principali linee di
azione. La prima dedicata all’accesso: l’oggetto di questa linea era garantire che tutti i
cittadini avessero la possibilità di beneficiare dei vantaggi della società
dell’informazione. In questa linea di azione erano coinvolti direttamente sia il
Ministero de Educación, Cultura y Deportes che le varie Comunidades Autónomas, in
quanto nelle intenzioni di base dell’azione vi era la possibilità di innestare lentamente
nel sistema educativo spagnolo un progetto educativo di lunga durata capace di
fornire gli strumenti fondamentali ed utili per poter partecipare e beneficiare delle
opportunità prodotte dalle nuove tecnologie per l’informazione e la
comunicazione117. La seconda linea di azione, quella dedicata ai servizi, dava
particolare importanza al commercio elettronico ed era per lo più rivolta alle imprese
e ai settori commerciali mirando a promuovere l’uso del telelavoro e lo sviluppo di
applicazioni di interesse comune per i diversi settori del privato. La terza linea di
azione era invece rivolta ai contenuti ed era mirata a garantire la presenza della lingua
spagnola su Internet. Le azioni concrete in questo settore erano concentrate sul
potenziamento dei contenuti in tre settori specifici: a) la cultura e il patrimonio
linguistico spagnolo nella rete; b) il turismo, in particolare attivando servizi in rete
117
In particolare il Plan de Acciòn in questa linea di azione prevedeva tre diversi momenti: un
primo rivolto alla integrazione nel circuito educativo, scolastico e formativo spagnolo di percorsi di
alfabetizzazione informatica; il secondo momento era invece rivolto al cittadino/utente, in questo caso
la preoccupazione del Plan de Acciòn era rivolta alla creazione di percorsi e metodi di alfabetizzazione e
formazione estesi a tutta la cittadinanza spagnola. Il Plan de Acciòn si proponeva di alfabetizzare un
milione di cittadini nell’arco del bienni 2001/2003; il terzo momento era invece rivolto alla possibilità
di creare, attraverso strutture ad hoc, figure professionali esperte del settore ICTs. Su questo ultimo
punto vennero coinvolti, anche economicamente, altri ministeri come Ministerio de Trabajo y Asuntos
Sociales e Ministerio de Ciencia y Tecnología.
116 rivolte a promuovere la Spagna come meta turistica; c) la creazione di strumenti
innovativi per la promozione dei contenuti.
Nel piano di azione si formalizzava anche la costituzione di un organismo come la
Comisión Interministerial de la Sociedad de la Información y de las Nuevas Tecnologías
(CISI) che oltre ad avere poteri in termini di gestione, organizzazione e applicazione
del piano di azione è stato poi anche il diretto ed unico responsabile del piano.
Il Plan de Acciòn ha dunque avuto sullo sviluppo della società dell’informazione in
Spagna un ruolo fondamentale sia per quanto riguarda l’introduzione di contenuti
culturali sia per l’implementazione delle infrastrutture in senso digitale. Per circa due
anni il piani di azione è stato il punto di riferimento per tutta la pubblica
amministrazione spagnola, a partire dal governo centrale fino alle Comunità
autonome118.
In seguito al piano di azione, nel 2003 fu lanciato il Plan de Choque para el
impulso de la Administración electrónica en España che comprendeva 19 misure da
realizzarsi nell’arco di due anni. Il Plan de Choque era organizzato intorno a 4 assi
strategici: 1) facilitare l’accesso ai servizi elettronici per tutti i cittadini (con
l'introduzione della carta d’identità elettronica, e lo sviluppo di punti di accesso
pubblico a Internet ); 2) sviluppare servizi interattivi capaci di soddisfare gli utenti e i
requisiti di necessità, accessibilità e raffinatezza; 3) permettere una migliore
condivisione dei dati e delle informazioni tra amministrazioni, sia livello centrale che
con le amministrazioni regionali e locali; 4) sostenere il cambiamento interno e il reengineering delle amministrazioni pubbliche (coordinamento degli sviluppi, assistenza
tecnica e risanamento delle strutture di supporto). Questo nuovo piano prevedeva
anche una revisione del quadro giuridico e normativo per identificare le lacune e gli
ostacoli, così come la necessità per la definizione di una chiara leadership di gestione e
di quadro di riferimento per l’e-government.
Nello stesso anno il governo spagnolo ha associato al Plan de Choque il
programma d’azione España.es., oltre a riprende le linee strategiche dei precedenti
piani, rilanciava le strategie della società dell’informazione in Spagna in maniera più
articolata e introducendo anche la dimensione economica che sosteneva l’intera
progettazione. In particolare il programma si componeva di sei linee, tre verticali –
amministrazione elettronica, istruzione e PMI - e tre orizzontali - accessibilità,
formazione, contenuti digitali e della comunicazione – divise in dieci diverse tappe di
attuazione. Il programma aveva una durata di due anni (2004 - 2005) e un costo
approssimativo di 1029 milioni di €, con la partecipazione di Amministrazione
generale dello Stato (63%), regioni autonome (26%) e del settore privato (11%)
(Ministero de Ciencia y Tecnologia 2003, p. 7).
Rispetto ai precedenti piani di azione, il programma España.es era maggiormente
orientato a fornire l’accesso alle attrezzature e alle infrastrutture ICTs. Infatti, nel
programma si dava ampio spazio alle possibilità di riavvicinamento dei cittadini ai
benefici della società dell’informazione e riteneva che fosse necessario per lo sviluppo
118
Uno dei prodotti del Plan de Acciòn, risultato poi molto importante nel processo di
informatizzazione del sistema spagnolo, è stato il lancio nel Settembre del 2001 del Portal del
Ciudadano118 un gateway addetto alle informazioni
117 dell’infrastruttura un’attività di formazione volte a digitale di tutti quei cittadini che
lo richiedono. Attraverso questo processo di alfabetizzazione digitale e di formazione
degli utenti vi era l’intento di far scoprire i punti di forza della rete e di integrare
Internet nella quotidianità dei cittadini spagnoli. Tra gli obiettivi vi era lo sviluppo di
attività di formazione per gruppi specifici e svantaggiati, come gli anziani o i
diversamente abili, i possessori solo d’istruzione primaria, disoccupati, e così via.
A distanza di oltre due anni, precisamente tra il novembre e dicembre 2005, il
governo spagnolo lanciò due diversi piani strategici per l’avanzamento del sistema
spagnolo verso la società dell’informazione. Essi sono rispettivamente il Plan Avanza
e il piano Moderniza.
L’attuale strategia di e-goverment e di e-democracy del governo spagnolo è tutta
racchiusa in questi due documenti.
Il Plan Avanza119, approvato dal Consiglio dei ministri il 4 novembre 2005, fa
parte e ricalca le spinte strategiche del Plan de Acciòn . Il piano è organizzato in
quattro aree di azione, che comprendono più di 600 azioni avviate in collaborazione
con le agenzie del governo, le comunità autonome e le città, gli enti locali, le
organizzazioni non-profit (ESFL). I fondi raccolti dal 2006 superiore a 6.325 milioni
di euro.
La prima linea di azione è rivolta alla cittadinanza e la sfida che si poneva il
governo spagnolo era quella di coinvolgere i cittadini e di informarli sui vantaggi
derivanti dall’utilizzo di Internet e delle ICTs nella loro vita quotidiana. Per
effettuare questa operazione, sono stati spesi oltre i 654 milioni di euro. La seconda
linea si concentrava sull’economia digitale. Da un rapporto Eurostat del 2006
emergeva in Spagna tra il 2004 e il 2006 fu registrato un aumento del livello di
adozione delle ICTs da parte delle PMI che superava il 99%, in questa linea di azione
si ribadiva dunque l’impegno del governo in questo senso. Per questa linea di azione
stati mobilitati fondi per il periodo 2006-2008 che hanno superato 3,634 miliardi di
euro. La terza linea di azione è rivolta ai servizi pubblici digitali e mira a raggiungere
un pieno sviluppo dell’amministrazione elettronica, più efficiente e più vicina ai
cittadini a livello locale e nei settori dell'istruzione, della salute e della giustizia. I
fondi raccolti hanno superato i 625 milioni di euro.
L’ultima linea di azione era rivolta ad un ammodernamento del contesto digitale
dove si rilanciava la società dell'informazione e della conoscenza promuovendo il
potenziamento della diffusione di infrastrutture a banda larga e il miglioramento
della fiducia in una società con una identità marcatamente digitale. I fondi mobilitati
per questa linea di azione il hanno superato i 1.432 milioni di euro.
Il piano Moderniza è invece un piano di misure per il periodo 2006-2008 volte a
migliorare e modernizzare l’amministrazione con il fine ultimo di tenere
maggiormente in considerazione le esigenze dei cittadini. In generale, il piano
Moderniza si basava su pochi e semplici punti sui quali il governo, soprattutto sotto il
profilo legislativo, doveva intervenire per rendere più moderno ed efficace il rapporto
venutosi a creare tra i cittadini e le istituzioni attraverso le ICTs. Come ad esempio il
riconoscimento dei diritti e dei doveri dei cittadini nel loro rapporto con il governo
119
Il Plan Avanza fa parte del più ampio programma Ingenio 2010, volto a dare nuovo impulso e
investimenti nel campo della ricerca e dell’innovazione.
118 attraverso le ICTs, la generalizzazione delle firme elettroniche a tutti i rapporti
lavorativi e l’estensione delle procedure telematiche a tutte le pratiche e gli atti
amministrativi.
4.5 La Turchia verso il modello europeo
Com’è noto, la Turchia non è ancora un paese europeo e il processo di
integrazione è tuttora ancora in fase di svolgimento ed attuazione. Appare comunque
interessante osservare come la Turchia, come da semplice aspirante membro della
comunità, guardi con molta attenzione al modello europeo di sviluppo delle proprie
politiche, cosa che diventa ancora più evidente se si vanno ad osservare gli interventi e
le pratiche nel campo delle policies per la società dell’informazione.
La Turchia rappresenta un caso limite sotto il profilo dello sviluppo delle politiche
in materia di informatizzazione delle infrastrutture per almeno due motivi.
Innanzitutto perché è uno dei paesi candidati più controversi e dibattuti, in più è la
nazione che, vista la sua posizione fortemente discussa, si affida in maniera rigida agli
indicatori e alle direttive fornite dai diversi attori europei.
In generale, sul piano delle politiche per l’informatizzazione, la Turchia ha sempre
presentato forti ritardi in tema di informatizzazione delle proprie infrastrutture120.
Anche se negli ultimi anni sotto il profilo della programmazione si è adeguata agli
standards europei, sotto il profilo degli interventi non vi sono ancora risultati
significativi.
In materia di informatizzazione la Turchia ha sviluppato interventi con qualche
anno di ritardo rispetto al resto d’Europa. Tra gli interventi sui quali vale la pena
soffermarsi in materia di riforma in senso tecnologico dell’apparato amministrativo, si
possono segnalare il MERNIS, cominciato nel 1998 e che mirava alla gestione dei
dati di tutti i cittadini turchi attraverso l’assegnazione di un numero di
identificazione (ID) e il VEDOP, un progetto avviato dal Ministero delle Finanze e
che aveva come finalità l’automatizzazione degli uffici fiscali.
La Turchia in generale non ha quindi indicative esperienze né di riforma del
sistema burocratico, né relative all’informatizzazione dell’apparato stesso.
Il primo vero piano di azione sviluppato dal governo turco fu dettato dalle
esigenze di recupero rispetto all’Europa in tema di politiche per la società
dell’informazione. Esso risale al 2002 e prende il nome di eTransformation Turkey
Project. Le finalità del progetto erano sostanzialmente rivolte a rispettare i termini
posti in essere dal piano eEurope 2000 precedentemente discusso e volto a recuperare
l’enorme ritardo accumulato rispetto ai paesi membri.
Il piano di azione eTransformation Turkey Project ha avuto anche un periodo di
incubazione abbastanza lungo, infatti per aspettare l’approvazione governativa per il
piano finanziario e per l’avvio del progetto bisogna aspettare altri tre anni121. Quindi
ai ritardi tecnici ed organizzativi vanno sommati i ritardi politici che incidono
120
Si vedano i dati Eurostat sullo sviluppo tecnologico del sistema turo
L’approvazione governativa del piano di azione eTransformation Turkey Project avvenne nel
Gennaio del 2003.
121
119 fortemente in tema di riforme delle infrastrutture turche. Attualmente, il programma
d’azione è ancora in via di implementazione122.
Il coordinamento del progetto di trasformazione ha una doppia delega: da un lato
vi è lo State Planning Organisation (SPO) orientato a predisporre una riforma della
pubblica amministrazione orientata alla trasparenza e all’efficienza e che tenga conto
dell’importanza delle tecnologie per l’informazione e la comunicazione nel
miglioramento dell’efficienza delle pratiche, dall’altro vi è l’Information Society
Department coordinatore dello sviluppo delle infrastrutture tecniche.
Gli obiettivi strategici del piano erano stati dunque ufficialmente lanciati solo nel
Febbraio del 2003. I punti più importanti dell’intero piano di azione erano:
aggiornare l’intero assetto legislativo e normativo in materia di tecnologie per
l’informazione e la comunicazione in modo da renderla maggiormente conforme alle
direttive europee; adattare la Turchia e i relativi interventi in materia di
informatizzazione avviati per i paesi candidati al piano eEurope; creazione di
meccanismi che facilitino la partecipazione dei cittadini al processo decisionale
attraverso le tecnologie per l’informazione e la comunicazione; miglioramento nella
gestione e trasparenza negli apparati pubblici; coordinare, controllare e valutare i
progetti avviati al fine di evitare duplicazioni o sovrapposizioni; fornire un
orientamento al settore privato (aziende, imprese ecc.) nel rispetto dei principi validi
anche per il settore pubblico.
L’intero piano verteva comunque su un progetto maggiore, quello di potenziare i
servizi pubblici attraverso la strutturazione di un portale nazionale. Inoltre il progetto
aveva come priorità fondamentale quello di affrontare le esigenze dei cittadini per
quanto riguarda i servizi di pubblica utilità, dando pertanto un rilievo inferiore alla
dimensione organizzativa dell’intero apparato amministrativo.
Il programma di azione turco, almeno nei suoi obiettivi, ha quindi una
dimensione fortemente europeista. Tutta la fase di programmazione rivolta
all’informatizzazione persegue pedissequamente l’obiettivo di raggiungere, almeno
nelle sue caratteristiche essenziali, gli standards minimi individuati dai diversi piani
eEurope.
Dopo il lancio del programma di azione, il governo turco comincia dunque a
muoversi sotto il profilo degli interventi, e lo fa soprattutto sotto l’aspetto legislativo
e normativo. Infatti, uno dei primi atti presentati e votati dal governo subito dopo il
lancio del programma fu la legge n° 4982, meglio conosciuta come Act, e che sanciva
un diritto all’informazione che rispettasse la vision europea e che avesse in sé i
principi ai quali buona parte della stampa e dell’informazione europea ormai da anni
era ispirata. L’Act entra in vigore nel giugno del 2003, dopo che la Commissione
europea pubblicò due rapporti che supportarono e fecero da norme integrative al
progetto di legge del governo turco. Bisogna comunque sottolineare che dalla
promulgazione alla entrata in vigore della legge passa ancora un anno, in quanto essa
diventa legge dello stato turco solo il 26 aprile del 2004 e ancora oggi ci sono degli
stralci della legge incompiuti e non ancora entrati in vigore.
Nello stesso anno dell’entrata in vigore della legge sul diritto all’informazione
vengono lanciati anche due importanti progetti, che nel processo di sviluppo della
122
L’ultimo aggiornamento risale al Maggio 2008.
120 società dell’informazione in Turchia ad oggi ricoprono un ruolo importante per via
delle funzioni che essi svolgono. Il primo fu la costruzione di un portale, e-Bildirge123,
che ha introdotto nel sistema lavorativo la possibilità ai datori di lavoro di inviare
tramite la rete pagamenti, documenti o premi di assicurazione ai propri dipendenti. Il
portale è oggi tuttora funzionante e rappresenta uno dei pochi fiori all’occhiello
dell’apparato pubblico informatizzato turco. Il secondo, e in questo caso
enormemente in ritardo rispetto ai paesi membri della Comunità europea, fu
l’attivazione della raccolta delle dichiarazioni fiscali attraverso Internet, questo
progetto ha comunque contribuito enormemente alla lotta all’evasione fiscale e
all’economia informale.
Il piano di azione eTransformation Turkey Project ha subito un primo
aggiornamento nel 2005 e-Transformation Turkey 2005 Action Plan nel quale furono
riportati i monitoraggi dei progetti partiti e ne furono avviati dei nuovi che avevano
sia lo scopo di supportare quelli già in start-up che di integrare in parte quelli ancora
da avviare. Anche in questo primo aggiornamento fu dato grosso spazio alla questione
normativa e legislativa, in quanto il sistema giuridico turco appariva fortemente in
ritardo sia rispetto alla normativa europea che rispetto alla dinamica e veloce
evoluzione delle tecnologie dell’informazione in ambito amministrativo. Resta
comunque da sottolineare che la Turchia, dopo l’avviamento del piano di azione e del
relativo aggiornamento, ha fatto comunque grossi passi avanti rispetto alla situazione
nella quale si trovava124.
In seguito all’eTransformation Turkey Project nel luglio del 2006 fu lanciato il
National Information Society Strategy. Secondo tale strategia, il processo di
trasformazione della Turchia in una società altamente informatizzata doveva essere
effettuato intorno a sette grandi priorità con 111 azioni da persguire: la
trasformazione sociale; l’adozione di ICTs da parte delle imprese; trasformazione dei
servizi vero un modello citizen-oriented; ammodernamento della pubblica
amministrazione in senso digitale; un settore ICTs globalmente competitivo; ed una
infrastruttura competitiva, diffusa e accessibile di comunicazione e servizi delle
attività nel campo delle ricerca e l’innovazione. La strategia aveva lo scopo di
diventare il documento di riferimento fondamentale per i cittadini, il settore
pubblico, il mondo delle imprese e le ONG, in altre parole, per tutti i segmenti della
società turca.
Negli ultimi anni in Turchia non vi sono state altri piani di azione di livello
nazionale ma solo interventi settoriali come ad esempio il progetto pilota Electronic
Citizenship Cart dove si proponeva che gli elementi biometrici dovevano essere
utilizzati per l’identificazione di verifica e dovevano essere integrati in un’unica carta
elettronica.
Infine vale la pena sottolineare che nel maggio del 2007 l’Organizzazione per la
cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) ha pubblicato l’e-Government Studies
Turkey. Secondo lo studio, la Turchia sta compiendo notevoli progressi nella
realizzazione dell’e-government, migliorando l’accesso a Internet e la banda larga, ma
123
Il portale è attualmente consultabile al sito http://ebildirge.ssk.gov.tr/WPEB/amp/loginldap
Le valutazioni Eurostat, alla fine del 2005, avevano annotato un aumento del numero di
abbonati alla banda larga di oltre 1,5 milioni rispetto all’anno precedente.
124
121 dalla revisione si individuano anche alcune grandi sfide ancora in corso. Una prima
sfida è colmare il divario digitale tra le popolazioni urbane e rurali, tra gli uomini e le
donne, i giovani e vecchi. Ciò richiede approcci innovativi per aumentare i computer
e l’alfabetizzazione e dimostrare ai cittadini e alle imprese il valore dell’utilizzo di
Internet. Una seconda sfida è la modernizzazione del settore pubblico in termini di
maggiore trasparenza e responsabilità. Questa sfida comprende lo sviluppo di egovernment a livello di amministrazioni locali e una maggiore interazione tra i livelli
di governo, come pure tra le agenzie. Una terza sfida è fare in modo che gli
investimenti in materia di e-government siano preziosi, vale a dire che i benefici sono
più grandi di costi.
In generale, dall’analisi dell’OCSE emerge chiaramente che la Turchia rispetta
ampiamente i parametri europei in termini di sviluppo della società dell’informazione
e di un’economia basata sulla conoscenza.
4.6 L’Estonia: una best-practice all’insegna del citizen-centric
Uno dei primi interventi estoni, il Principles of the Estonian Information Policy,
risale al 1998 e ha segnato in maniera profonda quasi tutto lo sviluppo delle politiche
pubbliche per la società dell’informazione in Estonia. Il documento rifletteva i
principi e le azioni dello Stato nella creazione di una società in un’epoca di rapidi
cambiamenti tecnologici e nel quali vi erano fissati gli obiettivi che dovevano incidere
nelle diverse sfere della vita sociale introducendo opportunità e presentando soluzioni
innovative alla gestione e all’organizzazione dei servizi pubblici. Un documento
ampiamente supportato da diverse forze politiche e che aveva come scopo
fondamentale la divulgazione delle idee e dei principi sul tema della società
dell’informazione. Inoltre, l’obiettivo finale del documento aveva come obiettivo
finale che i principi circolassero in tutti gli ambiti e i settori della società, a partire dai
cittadini. Ed è proprio intorno ai cittadini che ruotano gran parte degli interventi
attuati dall’Estonia sin dalle sue prime battute..
Infatti, già nell’estate del 2001, il governo estone lanciò un innovativo portale
TOM - Täna Otsustan Mina (Oggi Decido Io), l’obiettivo di questo sito era orientato
a migliorare la partecipazione del pubblico nel processo decisionale. Nel sito ogni
proposta presentata veniva discussa e commentata e al termine della discussione
l’autore della proposta poteva modificarla e integrarla e, se approvata, veniva inviata
all’agenzia governativa di competenza, firmata dal proponente e dai partecipanti al
forum che l’avevano votata. L’agenzia aveva un mese di tempo per avviare
l’implementazione della proposta o motivare il suo rifiuto.
In questo modello, l’elaborazione redazionale vera e propria era dunque affidata al
solo proponente, ma può comunque avvalersi di un processo di revisione e
discussione collaborativa (Roncaglia 2008).
L’esperienza del TOM ha successivamente influenzato tutto il processo di
implementazione della società dell’informazione estone, migliorando di anno in anno
fino a diventare una best-practice nel campo delle politiche pubbliche per la società
dell’informazione in Europa.
122 Sulla scia degli studi avanzati dagli osservatori del TOM nel 2002 nasce in Estonia
l’e-governance Academy (EGA), un’organizzazione non governativa, senza fini di lucro,
fondata per la creazione e il trasferimento di conoscenze in materia di e-governance, edemocracy e lo sviluppo della società civile.
L’EGA si impegnava attraverso la ricerca, la formazione e la consulenza ad attuare
le priorità in materia di amministrazione e democrazia attraverso le ICTs.
Sotto il profilo della ricerca, l’EGA promuoveva e agevolava i settori dove la
pratica e il know-how che manca o erano ancora in fase embrionale. L’obiettivo
fondamentale dell’accademia era quello di colmare il divario tra la teoria e la società,
con una propensione maggiore agli studi comparati, piuttosto che accademiche o
tecnologiche.
L’EGA offriva la sua collaborazione in varie iniziative di ricerca su argomenti
come open source software, e-democracy e diritti, e-security e applicazioni della
tecnologia wireless nel settore pubblico.
Una delle attività principali di EGA è stata quella di formare i funzionari, i
dirigenti pubblici e delle ONG e anche leader in paesi in via di sviluppo. Attraverso
la formazione, EGA intendeva sensibilizzare l’opinione pubblica per quanto riguarda
le possibilità delle ICTs e per dimostrare l’importanza di una solida politica nazionale
per lo sviluppo verso una società dell'informazione. I programmi di formazione e dei
formatori coinvolti erano costantemente valutati e aggiornati.
Sul versante della consulenza EGA poteva contare su una rete di specialisti, tutti
con una lunga esperienza nel loro settore di competenza125. L'Academy riuniva le
conoscenze e le esperienze necessarie per aiutare i responsabili politici a compiere
scelte informate.
Come un organismo indipendente, EGA aiutava a tradurre queste scelte in realtà
attraverso una costante gestione delle esigenze tecniche, evitando così inefficienze e
discrepanze tra ciò che era veramente necessario, e ciò che effettivamente veniva
sviluppato. La maggior parte dei consulenti erano docenti, professionisti e operatori
attivi nel loro settore.
L’EGA ha continuato le sue attività fino al 2006, anno in cui furono ci si
accingeva ad entrare in Europa e si imponevano per il governo estone scelte nuove nel
campo delle politiche pubbliche per la società dell’informazione.
Le attività e i risultati dei primi due anni dell’Academy sono risultate fondamentali
per il lancio dei Principles of Estonian Information Policy 2004-2006. Attraverso un
documento aggiuntivo dal titolo Towards a More Service-Centred and Citizen-Friendly
State, l’Estonia manteneva la maggior parte dei principi definiti nella strategia del
1998 rafforzando però di gran lunga il coordinamento centrale delle azioni e degli
interventi e aumentando la coerenza e la collaborazione nello sviluppo della società
dell'informazione. Dopo l’adesione all’UE, la nuova politica mirava soprattutto ad
allineare più strettamente le azioni nazionali con le priorità dell’UE, in particolare gli
obiettivi fissati nel piano d’azione eEurope 2005.
Infatti dal documento si legge:
By the organisational structure of IT co-ordination, Estonia is a rather decentralised country. The
125
Per maggiori informazioni si veda il sito dell’accademia: http://www.ega.ee
123 development of information systems mostly falls under the responsibility of IT managers in ministries,
county governments, boards and inspectorates. The central co-ordination deals with strategic
planning, setting of priorities and ensuring financing for these. In addition, creation of co-operation
networks and ensuring their functionality, drafting IT legislation as well as elaboration of IT standards
are the responsibility of the central co-ordination. Proceeding from Estonia’s EU membership, the
share of participation in the EU decision making in the field of information society has been
constantly increasing as has the share of international co-operation in general.
Vengono dunque accentrate sia le responsabilità che il coordinamento dei diversi
interventi, un percorso che ha caratterizzato tutti gli sviluppi recenti in materia di
politiche pubbliche per la società dell’informazione in Estonia.
L’Estonia vanta dunque più aspetti che la rendono un modello virtuoso per i
diversi paesi neo-comunitari, e non solo. La particolare sensibilità espressa circa l’edemocracy, l’approccio citizen-centric e il rispetto delle priorità e gli obiettivi prefissati
dall’Europa anno per anno attraverso i diversi piani eEurope, la rendono un modello
virtuoso tra i paesi neo-comunitari, e non solo.
Molti dei traguardi raggiunti dall’Estonia in tema di informatizzazione sono ben
riassunti nel rapporto IT in Public Administration of Estonia - Yearbook 2005 nel
quale vennero presentati i principali traguardi raggiunti nel campo di e-government
nel 2005 e una breve descrizione del governo sul documento Information Policy
Action Plan 2006 lanciato qualche mese dopo.
Nel report sono riportati traguardi che rendono particolarmente interessante il
caso Estone, come ad esempio l’e-vote. Infatti, nel mese di ottobre del 2005 l’Estonia
diventa il primo paese al mondo capace di consentire ai propri cittadini di votare su
Internet per le elezioni politiche126. Per votare online, gli utenti dovevano inserire il
loro numero ID in lettori elettronici collegati al proprio computer e accedere al sito
Internet di voto.
Sempre nel report si sottolinea l’istituzione del CERT (Computer Emergency
Response Team) che aveva come compito principale quello di assistere gli utenti di
Internet per l’attuazione di misure preventive al fine di aumentare le misure in
materia sicurezza informatica. Una delle funzioni fondamentali era informare gli
utenti circa gli attacchi virus o worm e cavalli di Troia che si verificano in rete ma
anche coprire eventuali vulnerabilità del sistema di reti e comunicazioni estone. Nel
documento vi erano riportati anche i risultati del rapporto europeo Benchmarking
Report 2004 dove l’Estonia risultò quarta nella UE in termini di servizi pienamente
interattivi.
Riguarda all’uso di servizi elettronici pubblici, dall’YearBook 2005 emergeva anche
una elevata soddisfazione degli estoni verso i servizi informatici pubblici. Infatti da un
rilevamento effettuato nella primavera del 2005, il 66% degli utenti Internet trovava i
servizi pubblici molto user-friendly, il 65% aveva affermato di aver potuto ottenere
informazioni in maniera veloce e senza complicazioni e il 38% riteneva di aver
risparmiato del denaro grazie attraverso all’uso dei servizi informatici pubblici.
Anche sotto il profilo dell’e-learning, l’Estonia dimostra una elevata sensibilità. Nel
2005 il governo estone lancia un servizio che consentiva a chi avesse lasciato gli studi
126
Precisamente per le elezioni locali del 16 ottobre del 2005.
124 di iscriversi e studiare alle università del paese direttamente online. Questo servizio è
ancora oggi disponibile sul portale dei cittadini127.
Inoltre, sin dal 2004 tutti gli studenti possono iscriversi al portale dei cittadini e
ricevere i risultati degli esami via e-mail o direttamente inviati sui loro telefoni
cellulari tramite SMS.
Un punto di svolta per le politiche pubbliche è stato il lancio dell’Estonian
Information Society Strategy 2013. Il documento diede nuovo slancio alle policies
estoni in quanto fu concepito come un piano di sviluppo settoriale che definiva un
quadro generale, gli obiettivi e i rispettivi campi d’azione per lo sviluppo della società
basata sulla conoscenza per il periodo 2007-2013. Il piano, tuttora in fase di
implementazione, si concentra sull’uso di ICTs per migliorare la qualità della vita e
aumentare il coinvolgimento dei cittadini nella vita pubblica.
Sebbene la maggior parte degli obiettivi sono stati raggiunti e hanno mantenuto la
loro attualità, il rapido sviluppo della tecnologia ha comunque reso necessario una
revisione dei principi e alcuni cambiamenti di rilievo.
La nuova strategia è attuata sulla base dei conti annuali e sui risultati dei piani di
attuazione. All’inizio di ogni anno, le agenzie i cui campi di attività e di competenza
rientrano nella strategia 2013 devono presentare al Ministero degli Affari economici
informazioni circa lo sviluppo delle ICTs e ciò che intendono realizzare nel corso
dell’anno successivo. Il Ministero degli Affari economici e delle comunicazioni
elabora queste informazioni che servono come input per il bilancio dello Stato
strategia e, in base alle valutazioni dello stesso ministero, sostiene i progetti che
rientrano nel bilancio dello Stato e del governo. Le spese relative alle attività locali
possono essere finanziate dal bilancio dello Stato e sono previste dalle rispettive
agenzie esecutive, mentre la opere che provengono direttamente dal ministero sono
finanziate attraverso i Fondi strutturali europei.
La strategia è stata dunque realizzata in forma di progetto per lo sviluppo basato su
opere in conformità con i principi enunciati. Con il fine di conseguire gli obiettivi
sono stati istituiti gruppi di esperti settoriali per tutti i campi d’azione. I gruppi di
esperti sono rappresentativi dei ministeri, del terzo settore e degli ambienti
accademici. Il loro compito si basa sull’analisi continua della situazione e valutare
l’attualità e la rilevanza degli obiettivi definiti nella strategia 2013 per società
dell'informazione.
Sulla base delle loro analisi, i gruppi di esperti fanno proposte motivate da
prendere in considerazione per la elaborazione delle priorità e delle attività della
Società piano di attuazione. Inoltre, i risultati delle loro analisi contribuiranno
all’aggiornamento della stessa strategia.
127
L’intero servizio è consultabile al sito https://www.sais.ee/index_en.html
125 CAPITOLO 4
L’Italia nella società
democrazia elettronica
dell’informazione.
E-government
e
Premessa
Nel capitolo precedente abbiamo ripercorso i passaggi che più hanno
caratterizzato lo sviluppo della società dell’informazione e dei piani di e-government
europei. Abbiamo dato ampio spazio a nazioni che nelle loro caratteristiche strutturali
– come la Francia e l’Inghilterra – o nelle loro caratteristiche politiche – come la
Turchia e l’Estonia – presentano elementi di interesse per l’analisi e alla
comprensione delle politiche pubbliche europee in materia.
In questo capitolo l’attenzione sarà rivolta al caso italiano, di cui si vedrà sia il
processo di informatizzazione infrastrutturale della pubblica amministrazione, sia più
specificatamente i progetti di democrazia e cittadinanza elettronica che hanno
contraddistinto la II fase per l’e-government in Italia.
1.
Dalle linee guida alle fasi per l’e-government in Italia
Il percorso italiano verso la società dell’informazione è strettamente legato a un
più ampio progetto riformatore che ha investito tanto la pubblica amministrazione
quanto l’assetto istituzionale dello Stato negli ultimi quindici anni. Esso si intreccia,
in particolare, con altri due importanti processi di riforma, noti come le leggi
Bassanini128 e la più generale riforma del Titolo V della Costituzione129. In Italia, il
processo di informatizzazione è stato quindi associato, se non addirittura ritenuto
propedeutico, a questo profondo cambiamento della configurazione amministrativa
(Bevilacqua 2002).
In questa sede non si discuterà dei rapporti che le due riforme intrattengono con il
percorso della società dell’informazione. L’intento è quello di circoscrivere le policies
per la società dell’informazione tenendo presente che parte degli interventi, sia sul
128
Legge n. 59 del 15 marzo 1997 – Delega al governo per il conferimento di funzioni e compiti alle
Regioni ed enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione
amministrativa. Legge n. 127 del 15 maggio 1997 (Bassanini bis) sulle Misure urgenti per lo snellimento
dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e controllo. Legge n. 191 del 16 giugno 1998
(Bassanini ter) sulle Modifiche e integrazioni alle leggi n. 59 e n. 127 del 1997, nonché norme in materia
di formazione del personale dipendente e di lavoro a distanza nelle pubbliche amministrazioni. Infine, la
legge n. 50 dell’8 marzo 1999 (Bassanini quater) su Delegificazione e testi unici di norme concernenti
procedimenti amministrativi.
129
La riforma fu approvata con legge costituzionale 3/2001.
126 piano progettuale che della programmazione, hanno inevitabilmente subito
l’influenza di questi due importanti progetti riformatori. Tracceremo dunque il
percorso italiano a partire della costituzione dell’Autorità per l’Informatica nella
Pubblica Amministrazione (AIPA), primo vero passo istituzionale verso la società
dell’informazione, compiendo e fornendo una descrizione settoriale, sia dei progetti
che degli interventi posti in essere negli ultimi quindici anni in Italia nel campo delle
ICTs.
L’AIPA è stata istituita nel 1993, in principio aveva una duplice funzione, essa era
stata concepita sia come un’autorità indipendente che come un’agenzia operativa.
Infatti, erano stati previsti compiti di vigilanza sul mercato dell'informatica pubblica,
attraverso l’emissione dei pareri di congruità tecnica ed economica sui maggiori
contratti stipulati dalle amministrazioni dello Stato, e momenti di promozione e
realizzazione di grandi progetti infrastrutturali, si pensi alla Rete unitaria della
pubblica amministrazione (RUPA) lanciata nel 1995 e passata in attuazione solo due
anni dopo, precisamente con la prima legge Bassanini del 1997. Nella legge Bassanini
la RUPA era descritta come l’insieme di strutture organizzative, infrastrutture
tecnologiche e regole tecniche, per lo sviluppo, la condivisione, l’integrazione e la
circolarità del patrimonio informativo della pubblica amministrazione, necessarie per
assicurare l’interoperabilità e la cooperazione applicativa dei sistemi informatici e dei
flussi informativi, garantendo la sicurezza e la riservatezza delle informazioni130.
A partire dalla costituzione dell’AIPA, in Italia si è lentamente sviluppato un
movimento istituzionale – che comprendeva anche intellettuali, accademici, tecnici
ed esperti del settore - dedito alla comprensione e allo sviluppo della società
dell’informazione. Ne è una prova Il Forum sulla società dell'informazione del 1996,
dove vi erano tanto i rappresentanti dei diversi ministeri che i rappresentanti di
associazioni, università e settore privato. L’obiettivo primario era quello di
promuovere iniziative per lo sviluppo della società dell'informazione e per sostenere la
creazione di un quadro normativo favorevole. Uno dei prodotti più significativi del
Forum fu quello di produrre un documento dal titolo Promozione della società
dell'informazione per lo sviluppo in Italia: uno schema di riferimento (1997) che
identificava in particolare l’uso delle ICTs nei servizi pubblici come una priorità
fondamentale.
Uno dei primi documenti ufficiali del governo italiano fu però pubblicato nel
1995 e prendeva il titolo di Una agenda per il governo per lo sviluppo della società
dell'informazione che nello specifico seguiva pedissequamente le linee guida e i
principi concordati a livello internazionale, sia dall’Unione europea che dal G7. Nel
documento vi erano dunque impresse le esigenze europee – già precedentemente
discusse – espresse nei vari documenti della Commissione europea, a partire dal
Rapporto Bangemann.
A partire dall’esperienza del Forum sulla società dell’informazione, sugli inizi del
1999, il governo costituì una struttura organizzativa per la società dell’informazione
composta da tre corpi: il Comitato dei Ministri per la Società dell'informazione, il
Forum sulla società dell'informazione e infine una struttura inter-dipartimentale di
studio e di lavoro di gruppo. Questa struttura aveva il compito di segnalare
130
Si veda la legge n. 59 del 15 marzo 1997.
127 direttamente al Primo Ministro le innovazioni nel campo delle ICTs e inoltre aveva il
compito di elaborare un nuovo piano d’azione per lo sviluppo della società
dell'informazione in Italia.
Sulla scia delle osservazioni fatte dalla struttura, nel 2000 venne adottato l’Egovernment 2000-2002. Finanziato con oltre 400 milioni di euro, il piano d’azione Egovernment definiva le priorità fondamentali nella programmazione degli interventi in
materia di società dell’informazione, compreso il collegamento di tutti gli organismi
pubblici alla rete e lo sviluppo di una carta d’identità elettronica e l’uso della firma
elettronica. L’allora secondo governo Amato, in collaborazione con l’OCSE, presentò
i primi risultati dell’E-goverment 2000-2002 nel mese di marzo 2001 a Napoli
durante il Global Forum sull’e-government, (passato alle cronache per gli scontri tra
polizia e i manifestanti) nel quale vennero presentate molte delle innovazioni
prodotte in quegli anni, come ad esempio l’introduzione della carta d’identità
elettronica, poi effettivamente mai portata al termine131.
Con le elezioni politiche, l’Italia cambiò il governo e il nuovo esecutivo con a capo
Silvio Berlusconi istituì il Ministero per l’Innovazione e le Tecnologie. Una delle
prime azioni dell’allora ministro Lucio Stanca, nel dicembre 2001, fu la
pubblicazione delle Linee guida per la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione
che fissava le priorità di e-government per l’anno 2002. Dalle linee guida si legge che
gli interventi promossi sono coerenti con l’evoluzione dell’assetto istituzionale del
Paese, in termini di orientamento al decentramento e di rispetto della autonomia
delle amministrazioni.
Gli indirizzi prioritari delle linee guida si riferivano a precise direttrici di
intervento.
Tra gli indirizzi prioritari vi erano: 1) migliorare il livello di servizio ai cittadini ed
alle imprese, attraverso l’attivazione di punti unici di contatto con le
Amministrazioni, l’abilitazione di strumenti di identificazione del cittadino e la
realizzazione di interventi organizzativi (Uffici digitali, Portale nazionale del
cittadino, ecc.); 2) favorire l’efficienza e l’economicità di gestione, attraverso la
promozione di interventi integrati di cambiamento normativo, ridisegno dei processi,
introduzione di nuove soluzioni tecnologiche e ricorso a strumenti di gestione del
cambiamento (metodologie di gestione progetto; acquisti di beni e servizi; gestione
della contabilità finanziaria ed economica; gestione del personale; flussi documentali);
3) potenziare l’infostruttura, avviando il lancio di iniziative progettuali e normative
volte a favorire lo sviluppo di un efficiente contesto informativo interno alle
amministrazioni dello Stato, orientato alla condivisione dei servizi e delle
informazioni (sicurezza; postazione di lavoro informatizzata; carta multi-service del
dipendente; valorizzazione del patrimonio informativo esistente); 4) sviluppare le
competenze informatiche e tecnologiche dei dipendenti dello Stato, attraverso l’avvio
di un ampio progetto di formazione e gestione del cambiamento che prevedeva un
131
Nello stesso anno l’Italia ospitò anche il Vertice del G8 a Genova dove tra i molteplici punti in
agenda vi era anche l’intento di strutturare un piano d’azione per ridurre il divario digitale globale che
incoraggiasse lo sviluppo di un’iniziativa per l'uso di e-government come strumento per rafforzare la
democrazia e lo Stato di diritto nei paesi in via di sviluppo.
128 focus specifico sull’alfabetizzazione tecnologica, sull’apprendimento della lingua
inglese e sull’utilizzo di internet mediante il ricorso a tecniche di formazione a
distanza (e-learning); 5) promuovere la diffusione dell’innovazione nel Paese,
attraverso alcune grandi iniziative di rilevanza nazionale capaci di avere un impatto
significativo sul Paese e di prevedere l’aggregazione della domanda pubblica di
innovazione favorendo lo sviluppo della Società dell’Informazione nel Paese
(iniziativa larga banda; sviluppo di servizi digitali su larga banda; e-commerce); 6)
introdurre strumenti innovativi di coordinamento e gestione delle iniziative,
mediante l’avvio di gruppi di lavoro congiunti fra il Dipartimento per l’innovazione e
le tecnologie e le Amministrazioni per la pianificazione, la realizzazione ed il
monitoraggio degli interventi comuni.
Sotto il profilo della programmazione e della progettazione degli interventi, anche
se parte degli interventi programmati non sono mai stati portati al termine, il biennio
2001/2002 può essere considerato prolifico. Infatti, il Comitato inter-ministeriale per
la società dell’informazione nello stesso anno oltre alle suddette linee guida approva
anche i 10 obiettivi di legislatura per la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione
dove il governo si impegnava – tra le altre cose – a mettere a disposizione di tutti i
principali servizi pubblici, distribuire 30 milioni di carte di identità elettroniche, eprocurement del 50% dei beni e dei servizi acquistati e lo sviluppo dell’e-learning.
In realtà, sia le linee guida che i 10 obiettivi di legislatura sono stati il preambolo
al documento che nelle sue fasi strategiche è stato il più importante – oltre che il più
conosciuto – nella prima fase dello sviluppo della società dell’informazione italiana, le
Linee guida del Governo per lo sviluppo della Società dell’Informazione.
Il documento fu pubblicato nel giugno del 2002 con lo scopo di informare quali
policies il governo Berlusconi avrebbe attuato durante la legislatura. Nella
introduzione del documento si legge:
L’innovazione non si basa solo sull’attività di ricerca e sviluppo, ma spesso richiede investimenti
complementari in altre aree riguardanti la formazione del capitale umano e la ristrutturazione dei
processi produttivi. I sistemi più evoluti sono quelli che si adattano ai nuovi modelli di innovazione,
che rafforzano le interazioni fra settore pubblico e settore privato, e che, in generale, creano le
condizioni migliori per lo sviluppo di innovazioni (MIT 2002).
Lo spirito del documento partiva dunque da una doppia consapevolezza: la prima
legata alla questione degli investimenti, bisognava dunque riconoscere che oltre alla
ricerca serviva attivare lo sviluppo di capitale umano e rinnovare l’economia
attraverso una generale riorganizzazione della produzione; il secondo punto era in
linea con le riforme della PA attivate in Italia e guardava con attenzione alla
riformulazione del rapporto tra pubblico e privato nel campo delle ICTs e delle
sviluppo dell’informatizzazione della pubblica amministrazione.
Le linee strategiche del documento erano sostanzialmente tre:
1) la trasformazione della pubblica amministrazione tramite le tecnologie
dell’informazione e della comunicazione. Il modello al quale tendeva il governo era
quello di una pubblica amministrazione orientata all’utente, al cittadino e all’impresa.
La realizzazione di un tale modello di e-government doveva poggiare su infrastrutture
abilitanti capaci di assicurare in modo efficiente e sicuro alcune funzionalità di base.
Un sistema dunque che nei suoi sviluppi più avanzati doveva diventare un potente
129 strumento di coinvolgimento e partecipazione dei cittadini ai processi decisionali,
evolvendo verso modelli innovativi di e-democracy;
2) la realizzazione di interventi nel sistema Paese per l’innovazione e lo sviluppo
della Società dell’Informazione. Il modello al quale convergevano le linee guida
doveva essere un sistema Paese in cui la Società dell’Informazione potesse affermarsi
in tutte le sue grandi opportunità di sviluppo economico, ma anche di equilibrio ed
equità sociali;
3) l’azione internazionale. Questa linea strategica era la naturale evoluzione degli
accordi presi dal governo italiano durante il G8, assunti nel documento E-government
per lo sviluppo: un programma di cooperazione internazionale per la digitalizzazione
delle pubbliche amministrazioni dei Paesi in via di sviluppo. Dal documento si
apprende che un’efficiente pubblica amministrazione è considerata elemento
fondamentale di sviluppo, di trasparenza e di democrazia per ogni Paese e costituisce
condizione necessaria per attrarre investimenti stranieri pubblici e privati. L’azione
internazionale era inoltre volta a fare in modo che le tematiche della società
dell’informazione assumessero sempre maggiore centralità nell’agenda dell’Unione
Europea, infatti l’Italia figura tra i principali promotori del piano eEurope 2005.
Parallelamente al lancio delle linee guida, nell’ottobre 2001 partì in Italia la Prima
fase di attuazione dell’e-government nelle Regioni e negli Enti locali.
La prima fase si sviluppò secondo tre linee di azione tra loro fortemente
interrelate: 1) la promozione di progetti di e-government presso le Regioni e gli Enti
locali volti allo sviluppo di servizi infrastrutturali e di servizi finali per cittadini e
imprese; 2) la definizione di un comune quadro di riferimento tecnico, organizzativo
e metodologico per la realizzazione dei progetti di e-government; 3) la creazione,
articolata su tutto il territorio nazionale, di Centri Regionali di Competenza132 (CRC)
per l’e-government, costituiti in collaborazione con Regioni ed Enti locali, ed aventi
come principale obiettivo il sostegno alle Regioni ed agli Enti locali alla preparazione
ed alla realizzazione di progetti di e-government.
La prima linea di azione fu realizzata mediante l’emissione di un Avviso per il
132
Il progetto CRC nasce nell’ambito del protocollo d’intesa stipulato il 21 marzo 2002 tra il MIT
e i Presidenti delle Regioni, istitutivo del Comitato Strategico per l’innovazione e le tecnologie e del
rispettivo Comitato Tecnico. Il progetto CRC ha visto una prima fase (marzo 2002 – luglio 2003)
dedicata all’attivazione dei 21 centri regionali e del nodo centrale di servizi, e all’avvio sperimentale
delle attività; una seconda fase (settembre 2003 – dicembre 2005) di sviluppo organizzativo, di
attivazione del modello di governo condiviso della rete e di piena realizzazione delle attività.
La terza fase del progetto CRC prevedeva la gestione diretta da parte del CNIPA e delle Regioni, e
persegue i seguenti obiettivi: 1) contribuire all’estensione dell’innovazione nel mondo degli Enti
locali, in particolare dei piccoli Comuni, promovendo e sostenendo approcci e iniziative improntati
alla sostenibilità gestionale ed economica a medio-lungo termine; 2) contribuire alla promozione e
comunicazione dei nuovi servizi di e-government verso i destinatari finali, attivando anche meccanismi
di feedback che consentano di migliorarne continuativamente la qualità; 3) contribuire a migliorare la
conoscenza e misurazione dell’innovazione, in particolare relativamente all’utilizzo dei nuovi servizi e
al loro impatto sui beneficiari e sulle dinamiche di sviluppo locale, nonché promuovere e sostenere
maggiori attenzione e capacità da parte di politici e decisori sull’utilizzo dei risultati della misurazione.
Queste attività dovranno essere costantemente allineate con gli sviluppi e indirizzi che maturano a
livello comunitario.
Per maggiori informazioni si veda il sito: www.crcitalia.it
130 cofinanziamento di progetti di e-government presentati da Regioni ed Enti locali.
All’avviso vennero presentati circa 400 progetti e ne furono finanziati 134, per una
valore complessivo di circa 500 mila euro ed un cofinanziamento pari a circa 120
mila euro. Di tali progetti circa 40 avevano come obiettivo la realizzazione di servizi
infrastrutturali nelle Regioni e nelle Province, e circa 94 avevano come obiettivo la
realizzazione di servizi online per cittadini e imprese.
I progetti inoltre avevano come oggetto la realizzazione di servizi capaci di coprire
la totalità dei servizi indicati come prioritari nell’avviso in risposta al quale furono
presentati. I servizi infrastrutturali, a loro volta, coprivano tutte le tipologie di servizi,
da quelli relativi al trasporto, fino a quelli di interoperabilità, di cooperazione
applicativa, di sicurezza ed autenticazione e di accesso ai servizi tramite carte digitali.
Le linee guida rappresentano dunque un momento di svolta significativo nello
sviluppo della società dell’informazione in Italia. Esso includeva sia i punti prioritari
indicati dall’Unione Europea che, come già precedentemente sottolineato, quelli
posti dal processo riformatore in senso federale in atto in Italia in quel periodo.
Infatti, una delle caratteristiche del processo di sviluppo verso la società
dell’informazione italiano è stato proprio il continuo confrontarsi con la
trasformazione strutturale dello Stato in senso Federale.
Le linee guida contemplavano questo processo di riorganizzazione dello Stato
senza però porre priorità e obiettivi da perseguire per rendere entrambi i processi
contigui e speculari. Fu così che nel mese di Aprile del 2003 fu istituita la
Commissione permanente per l’Innovazione e le Tecnologie costituita dai Presidenti delle
regioni, dal Ministro per l’Innovazione e le Tecnologie strutturarono un documento
dal titolo L’e-government per un federalismo efficiente: una visione condivisa, una
realizzazione cooperativa. Da documento si apprende:
L’architettura istituzionale dello Stato italiano si sta modificando profondamente in senso
federalista. L’attuazione del federalismo dipende dallo sviluppo di forme nuove e più efficienti di
amministrazione che hanno come riferimento il livello di governo rappresentato dalle regioni e dal
relativo sistema delle autonomie locali. Lo spostamento di poteri, competenze e risorse pubbliche verso
gli Enti più vicini ai cittadini, alle imprese e al territorio valorizza e stimola le capacità di autogoverno
e il rapporto tra cittadini e istituzioni.
Obiettivo di questa documento era formulare una visione comune dello sviluppo
dell’e-government che rappresentasse il riferimento complessivo delle future azioni di
collaborazione tra comuni, province, regioni e amministrazioni centrali. Dal
documento emergeva dunque che questo percorso di collaborazione doveva essere un
elemento di sostegno per il più significativo ed impegnativo processo d’innovazione
del nostro paese: la riorganizzazione dello Stato in senso federale.
La XIV legislatura ha dunque ridisegnato una policy rivolta all’innovazione dei
servizi per il pubblico, con l’idea di dare priorità alle esigenze del cittadino, soggetto
intorno al quale si è pensato di costruire la nuova pubblica amministrazione. Le
strategie del governo di centro-destra in materia di innovazione tecnologica hanno
«guardato in particolare a quattro aspetti: un forte orientamento al servizio verso i
cittadini e le imprese; l’erogazione decentrata dei servizi in rete; il coinvolgimento dei
partner privati e la collaborazione delle parti sociali. Ma la novità di questa legislatura
non ha riguardato solo una maggior attenzione al cittadino: si è rivolta anche agli
131 attori istituzionali che gestiscono le politiche di governo elettronico, mostrando
l’influenza della politica sulle politiche133» (Zuccarini 2006, p. 18).
In questo generale percorso di riorganizzazione amministrativa vanno aggiunti
anche i processi di rafforzamento dell’esecutivo (Criscitiello 2003, Fabbrini e Vassallo
1999) che inevitabilmente investirono anche gli organi addetti alla definizione e
all’organizzazione delle policy per la società dell’informazione. Infatti, l’AIPA, con
l’art. 29 della Legge finanziaria 2001 viene soppresso è sostituita da una nuova
struttura: il Centro Nazionale per l’informatizzazione della Pubblica Amministrazione134
(CNIPA).
«La precedente AIPA operava presso la presidenza del Consiglio con autonomia
tecnica e funzionale e con indipendenza di giudizio. Benché non avesse lo stesso
statuto di un’autorità indipendente, svolgeva funzioni regolative con conseguente
sottrazione al circuito politico di una questione di vitale interesse per il
funzionamento e l’ammodernamento degli apparati pubblici e, soprattutto, per lo
sviluppo armonico dei sistemi informativi su tutto il territorio nazionale» (De Rosa
2006, p. 99).
Sotto il profilo organizzativo il CNIPA ha ereditato la stessa struttura dell’AIPA.
Esso è retto da un organo collegiale di nomina governativa. Tocca, infatti, al
presidente del Consiglio, su indicazione del ministro per l’Innovazione e le
tecnologie, nominarne il presidente, che, a sua volta, nomina i quattro membri del
collegio e il direttore.
Le attività assegnate al CNIPA, tuttora in funzione, sono:
a) il coordinamento, la razionalizzazione e la verifica dei costi e dei benefici dei
sistemi informativi delle amministrazioni, di quelle centrali e degli enti non
economici;
b) la governance di progetti infrastrutturali e trasversali in campo informatico e
telematico, funzione che comprende tutte le attività connesse alla costruzione delle
infrastrutture e alla predisposizione e organizzazione dei contenuti;
c) il supporto all’elaborazione e attuazione delle politiche di governo elettronico
che comprende l’insieme di attività a sostegno diretto degli obiettivi di legislatura.
Il CNIPA avrebbe inoltre assistito Regioni ed enti locali nell’elaborazione e
realizzazione di progetti su fondi del Comitato interministeriale per la programmazione
economica (CIPE) (De Rosa 2006, pp. 105-106).
Appare dunque evidente che in Italia vi è stato un processo di digitalizzazione che
ha tenuto conto sia del rafforzamento delle istituzioni centrali - ne è un esempio
l’istituzione del CNIPA e l’accentramento di molte funzioni organizzative ed
economiche, soprattutto in materia finanziaria - sia del rapporto con le Regioni e gli
enti locali come la costituzione dei CRC e dei numerosi interventi locali.
Ed è proprio sul rafforzamento degli interventi regionali e locali che si concentra
133
Corsivo dell’autrice.
«In realtà prima della istituzione del CNIPA, l’allora ministro Lucio Stanca aveva istituito una
fantomatica Agenzia nazionale per l’innovazione tecnologica. L’Agenzia nazionale, in realtà, non
decollo mai e per un paio di anni la questione della potestà istituzionale sull’informatica pubblica
sembrava essere ritornata al centro del dibattito politico». Per approfondimenti si veda De Rosa R., Il
cuore del governo elettronico, Polis, pp. 95-118
134
132 l’intera II fase per l’e-government in Italia che è totalmente contenuta nel documento
L’e-government nelle Regioni e negli Enti locali: II fase di attuazione.
La II fase prevedeva la realizzazione di cinque linee di azione:
1. Lo sviluppo dei servizi infrastrutturali locali (SPC)135. Questa linea di azione ha
avuto come obiettivo quello di conseguire, in tutti i territori regionali, la disponibilità
di servizi infrastrutturali adeguati. Per servizi infrastrutturali si intendono, con una
accezione ampia, tutti quei servizi che una amministrazione regionale o provinciale
rende disponibili per gli Enti locali del suo territorio di riferimento, e la cui
disponibilità è necessaria per la realizzazione dei progetti di e-government finalizzati
alla erogazione di servizi finali. Sono tali ad esempio i servizi delle reti regionali e/o
territoriali e le strutture per la loro gestione, i servizi di gestione delle carte di servizi a
livello regionale, i servizi per l’interoperabilità dei protocolli e della gestione
documentale.
2. Diffusione territoriale dei servizi per cittadini ed imprese136. Questa linea di
azione aveva come obiettivo l’allargamento alla maggior parte delle amministrazioni
locali dei servizi per cittadini e imprese in corso di realizzazione. Tutti i progetti
avviati, ed in misura maggiore quelli più rilevanti economicamente, prevedevano la
partecipazione di numerose amministrazioni, molte delle quali riutilizzavano
soluzioni e applicazioni prodotte da altre amministrazioni. In questa linea di azione ci
si proponeva dunque di valorizzare queste modalità di riuso delle soluzioni,
estendendole ad altre amministrazioni, realizzando così significative economie di scala
e promuovendo una standardizzazione delle soluzioni su tutto il territorio nazionale.
L’allargamento dei progetti ad altre amministrazioni prevedeva anche il
completamento dei progetti già avviati sia in termini di servizi erogati, sia in termini
di soluzioni tecnologiche adottate.
3. L’inclusione dei comuni piccoli nell’attuazione dell’ e-government137. Essa
prevedeva di favorire la cooperazione e l’associazione dei comuni piccoli e mediopiccoli, coerentemente con quanto sta avvenendo in altri settori, al fine di costituire
Centri di Servizio Territoriali (CST)138. Tali strutture di servizio sovra-comunali
dovevano avere il compito di avviare i processi di e-government, garantendone la
gestione e fornendo alle amministrazioni partecipanti le risorse umane e tecnologiche
necessarie.
Particolarmente rilevante in questa linea di azione era il ruolo che le Regioni, le
Province e le Comunità montane svolgeranno nella promozione e nella realizzazione
dei CST tra gli Enti locali del loro territorio di riferimento.
135
Per questa linea di azione erano stati previsti 35 milioni di euro.
Per la seconda linea di azione erano stati previsti 60 milioni di euro.
137
La terza linea di azione poteva godere di un finanziamento complessivo di 13,5 milioni di euro.
138
I Centri Servizi Territoriali sono strutture di aggregazione studiate per risolvere non solo i
problemi dei piccoli Comuni, termine con cui di solito si intendono i Comuni con meno di 5000
abitanti (il 72% del totale dei Comuni Italiani, in cui risiede il 20% della popolazione), ma di tutte
quelle realtà medio piccole che si trovano ogni giorno a dover affrontare esigenze di: a) Scarsità di
risorse finanziarie, che non permettono il raggiungimento di economie di scala, e che sono pressate dal
patto di stabilità interno; b) Carenza di personale, e quindi di conoscenze e competenze necessarie a
compiere scelte di mercato adeguate; c) Mancanza di infrastrutture, con particolare riferimento alla
connettività.
136
133 4. L’avviamento di progetti per lo sviluppo della cittadinanza digitale (edemocracy)139. La quarta linea di azione aveva come obiettivo quello di promuovere
progetti di utilizzo delle tecnologie ICTs come strumento per promuovere la
partecipazione dei cittadini alla vita delle amministrazioni pubbliche ed alle loro
decisioni. In particolare l’azione aveva intenzione di concentrarsi sui processi di
decisione pubblica, con l’obiettivo di migliorarne l’efficacia, l’efficienza, e la
condivisione da parte degli attori coinvolti. La crescita di complessità dei sistemi
amministrati aumenta infatti la complessità delle decisioni pubbliche e la necessità di
coinvolgere le competenze e le esperienze diffuse nella società140.
5. La promozione dell’utilizzo dei nuovi servizi presso cittadini e imprese. L’ultima
linea di azione ha avuto come obiettivo la promozione dell’uso dei nuovi servizi
presso cittadini e imprese. La realizzazione di servizi online è condizione necessaria ma
non sufficiente per l’utilizzo degli stessi. Era necessario dunque, secondo la quinta
linea di azione, spostare fasce consistenti di utenza dalla fruizione tradizionale dei
servizi alla fruizione dei servizi mediante le nuove modalità di erogazione.
A tale scopo ogni amministrazione doveva prevedere sul proprio territorio una
efficace azione di comunicazione verso la propria utenza. Tali attività di
comunicazione facevano riferimento a formati, strumenti e risorse di comunicazione
definite per l’insieme dei progetti di e-government, con l’obiettivo di comunicare non
solo la disponibilità di un nuovo servizio, ma l’attuazione di un vasto programma di
innovazione realizzato congiuntamente da tutte le amministrazioni.
Ma la grande innovazione introdotta dalla XIV legislatura è stata la
sistematizzazione della normativa in materia di innovazione della pubblica
amministrazione (Zuccarini 2006). Revisione che ha portato all’approvazione, nel
2005, di un Codice dell’amministrazione digitale141. Il Codice, entrato in vigore nel
gennaio 2006, aveva l’ambizione di diventare una vera e propria Costituzione del
mondo digitale che tenesse conto di diritti e doveri dei cittadini e che
contemporaneamente fornisse i principi operativi con cui tali diritti e doveri si
possono concretizzare. Tale codice conteneva le disposizioni per garantire il diritto di
ogni cittadino a usufruire dei servizi della pubblica amministrazione anche in rete e
l’obbligo per le stesse amministrazioni di snellire le procedure e rendere tutti i servizi
e le comunicazioni interne ed esterne disponibili per via telematica142.
Contestualmente ai nuovi diritti e doveri non furono previste forme di sanzione a
garanzia del rispetto degli stessi. Pertanto, poiché la Costituzione riconosce piena
autonomia in materia di organizzazione a Regioni e autonomie locali, non è possibile
imporre l’applicazione della norma, sebbene rappresenti per i cittadini uno strumento
per esercitare una positiva pressione sulle loro amministrazioni territoriali in questa
direzione. In più, il Codice, «non integrandosi con il Testo unico sulla
139
Sulla quarta linea di azione vi era un finanziamento di 10 milioni di euro.
Questa linea di azione sarà approfondita nel prossimo paragrafo.
141
D.lgs. 82/200522
142
Tra i diritti garantiti: il diritto all’uso delle tecnologie (art. 3), all’accesso e all’invio di
documenti digitali (art. 4), a effettuare qualsiasi pagamento in forma digitale (art. 5) e a ricevere
qualsiasi comunicazione pubblica per e-mail (art. 6), il diritto alla qualità del servizio e alla misura
della soddisfazione (art. 7), alla partecipazione (art. 8) e ad avere in rete tutti i moduli e i formulari
validi e aggiornati (art. 58). Si veda Zuccarini 2006.
140
134 documentazione amministrativa, mancava di organicità e la gestione delle
informazioni pubbliche restava dispersa» (Zuccarini 2006, p. 24-25).
Con le elezioni politiche del 2006 vinte dal centro sinistra, vi furono delle
ristrutturazioni sia sotto il profilo istituzionale che sotto che sotto l’aspetto
programmatico.
Innanzitutto, vi fu l’accorpamento di due ministeri, quello per l’Innovazione
Tecnologica e la Riforma della Pubblica Amministrazione. L’allora ministro Luigi
Nicolais preferì trasformarli in dipartimenti, Dipartimenti Innovazione Tecnologica
(DIT) e della Funzione Pubblica, che facevano capo al Ministero per la pubblica
amministrazione e l’innovazione.
Il DIT, mantenuto anche dall’attuale ministro Renato Brunetta, è la struttura di
cui si avvale il Ministero per la pubblica amministrazione e l’innovazione nella
definizione e nella attuazione delle politiche per lo sviluppo della Società
dell'informazione, nonché delle connesse innovazioni tecnologiche per le pubbliche
amministrazioni, i cittadini e le imprese. Mentre il dipartimento per la Funzione
Pubblica fu istituito per rispondere alle esigenze di modernizzazione della pubblica
amministrazione italiana e aveva – ed ha - il compito di promuovere iniziative di
riforma dell’amministrazione in direzione dell’efficienza, dell’efficacia e
dell’economicità dell’azione amministrativa.
Con il ministro Nicolais vi fu anche una generale revisione della II fase di azione
per l’e-government esplicitati nel documento Verso il Sistema Nazionale di egovernment: linee strategiche (2007). In queste linee strategiche si affermava la volontà
di proseguire l’azione programmata dal precedente governo ma con obiettivi e
priorità diverse.
In particolare, le linee di azione e di ri-progettazione degli interventi dovevano
assurgere sette fondamentali priorità: 1) migliorare l’efficienza della pubblica
amministrazione, ottenendo un forte cambiamento organizzativo e gestionale,
favorendo il ciclo di convergenza digitale fra processi amministrativi, servizi pubblici
e nuove tecnologie; 2) realizzare l’interoperabilità e la piena cooperazione fra le
amministrazioni sfruttando le tecnologie di collaborazione ed integrazione di processi
e la condivisione degli archivi e delle informazioni, per ridurre i tempi e semplificare
le procedure; 3) migliorare la trasparenza, il controllo e l’efficacia della spesa pubblica
attraverso strumenti capaci di consentire la tracciabilità dei processi, un maggior
controllo di gestione e supporti decisionali alla programmazione e alla gestione della
finanza pubblica; 4) costruire la cittadinanza digitale, promuovendo l’e-democracy e
superando il digital divide, attraverso lo sviluppo della banda larga, la rimozione degli
ostacoli all’accesso digitale, e una più qualificata, più ampia e rinnovata offerta di
servizi in modalità digitale e remota; 5) adottare un approccio sistemico per la crescita
e la misurazione della qualità e dell’efficienza dei processi nella PA, utilizzando le
tecnologie di supporto all’organizzazione ed all’introduzione di modelli e processi di
monitoraggio e miglioramento della qualità dei servizi, anche con l’introduzione di
modelli e tecnologie per la divulgazione, misurazione dell’utilizzo dei servizi e il grado
di soddisfazione dei cittadini in relazione a parametri internazionali; 6) creare un
ambiente favorevole alla competitività delle imprese e dare impulso alla crescita
dell’industria ICTs, promuovendo un ruolo di procurement strategico da parte della
PA, un innalzamento della qualità della domanda di tecnologie e servizi innovativi,
135 incrementando la diffusione e la utilizzazione di soluzioni Open Source; 7) rendere
l’Italia protagonista del processo di innovazione amministrativa in Europa attraverso
una presenza più incisiva del nostro Paese in ambito UE e internazionale,
promuovendo la piena presenza italiana nella European Information Society – i2010 ed
un permanente flusso di interscambio di esperienze e di buone pratiche.
I due anni della presidenza Prodi sono stati dunque scanditi da un generale
riassetto della II fase di azione. Il tempo del governo però è stato troppo breve
affinché potesse affermassi una vision capace di contemplare una programmazione
con un carattere proprio e che si slegasse dalla precedente legislatura. Con il secondo
governo Prodi sembra essere ritornata la stagione della politica dell’ammodernamento
della macchina amministrativa. L’idea di affidare l’innovazione nelle mani di un
ministro che segue anche la funzione pubblica metteva in risalto la volontà di porre al
centro la questione della riforma dell’amministrazione, lavorando sull’organizzazione,
sui processi e sulla semplificazione (Zuccarini 2006, pp. 26-27).
Durante la breve XV legislatura sono stati raggiunti comunque importanti
traguardi sotto il profilo infrastrutturale. Un esempio su tutti è il lancio operativo del
Sistema Pubblico di Connettività (SPC), contemplato nella prima linea di azione della
II fase per l’e-government che, come già precedentemente indicato, riunisce tutte la
pubblica amministrazione centrale in una rete federale che la rende compatibile con
reti regionali e locali. Il suo obiettivo è tuttora quello di aumentare l’interoperabilità
tra i diversi livelli di pubbliche amministrazioni nazionali e locali, che hanno in
comune le banche dati e procedure.
Altro esempio è dato dal lancio del nuovo portale della Camera del Commercio
Italiana che, nella sua nuova configurazione, aveva come obiettivo quello di rendere
l’intero contenuto delle banche dati della Camera di Commercio disponibili online.
Oggi, infatti, entrando nel sito è possibile consultare le informazioni di base su tutte
le imprese attive in Italia. Il portale include anche una serie di prodotti gratuiti e
servizi di informazione rivolte specificatamente alle piccole imprese.
Nel prossimo paragrafo focalizzeremo l’attenzione sulla quarta linea di azione della
II fase per l’e-government in Italia, con il fine di tracciare il percorso italiano circa la
promozione della partecipazione della cittadinanza attraverso le ICTs. Nello specifico
vedremo come si è articolata e strutturata la policy italiana in materia di democrazia e
cittadinanza elettronica.
2. La quarta linea di azione: lo sviluppo della cittadinanza digitale: l'edemocracy
Come già accennato nel precedente paragrafo, la seconda fase di attuazione per l’egovernment è stata ufficialmente lanciata nel Novembre del 2003 con il documento
L’e-government nelle Regioni e negli Enti locali: II fase di attuazione. Esso assumeva
come contesto di riferimento le linee guida redatte nel documento L’e-government per
un federalismo efficiente: una visione condivisa, una realizzazione cooperativa e
descriveva le modalità di realizzazione relative alla fase di attuazione dell’e-government
136 per le Regioni e gli enti locali, che segue l’avvio dei progetti selezionati in base
all’avviso del 4 aprile 2002143.
Nel documento furono tracciate le linee d’azione, gli obiettivi, la tempistica e gli
impegni economici che il MIT144 in collaborazione con le Regioni e gli enti locali
intendeva perseguire. L’intera seconda fase prevedeva un finanziamento di 207
milioni di euro che, oltre ad ampliare le azioni svolte nella prima fase,, intendeva
avviare processi di innovazione che vanno oltre la realizzazione di servizi
infrastrutturali. La seconda fase di attuazione dell’e-government aveva dunque come
obiettivo principale l’allargamento alla maggior parte delle amministrazioni locali ai
processi di innovazione già avviati, sia per quanto riguarda la realizzazione dei servizi
per cittadini e imprese, sia per ciò che riguarda la realizzazione di servizi
infrastrutturali in tutti i territori regionali.
La definizione del quadro di riferimento tecnico, organizzativo e metodologico
della II fase fu il risultato di una cooperazione tra i rappresentanti di Regioni,
Province, Comuni e Comunità Montane. Una cooperazione che produsse una serie
di documenti che furono forniti come allegati tecnici alla presentazione dei progetti,
orientando gli stessi verso architetture e requisiti tecnici ed organizzativi comuni. Tale
quadro di riferimento rispecchiò lo stato dell’arte delle tecnologie e dei processi di
cooperazione definito alla fine del 2001 (MIT 2003).
Come già sottolineato nel precedente paragrafo, la II fase per l’e-government era
strutturata su cinque linee di intervento: 1) erogazione di servizi infrastrutturali, dove
il fondo mobilitato era intorno ai 35 milioni; 2) diffusione territoriale dei servizi per
cittadini ed imprese (riuso) che contava il finanziamento più alto: 60 milioni di euro;
3) inclusione dei comuni piccoli nell’attuazione dell’e-government, con un
finanziamento di 13,5 milioni di euro; 4) avviamento di progetti per lo sviluppo della
cittadinanza digitale (e-democracy), 10 milioni di euro; infine, 5) promozione
dell’utilizzo dei nuovi servizi presso cittadini e imprese che contava su un
finanziamento pari a 9 milioni di euro. Una disponibilità complessiva dunque di
127,5 milioni di euro.
La II fase aveva pertanto un orientamento teso sia alla realizzazione dei servizi per
cittadini e imprese, sia per ciò alla realizzazione di servizi infrastrutturali in tutti i
territori regionali. Ciò che però ha caratterizzato la II fase rispetto ai precedenti
interventi fu la realizzazione di servizi online per promuovere la cittadinanza digitale e
specifiche misure relative alla promozione e l’ampliamento della partecipazione
politica attraverso l’uso delle nuove tecnologie dell'informazione e della
comunicazione.
Questo orientamento era espresso nella quarta linea di azione nella quale si dava
forma ad una doppia esigenza emersa sul finire degli anni ’90: da un lato, la necessità
di un adattamento del modo di operare delle istituzioni democratiche nel nuovo
contesto sociale, con un maggior coinvolgimento dei cittadini nei processi decisionali;
dall’altro, le opportunità offerte dalle nuove tecnologie dell’informazione e della
143
Dipartimento per l’Innovazione e la Tecnologie (DIT), Avviso, GU 3 aprile 2002 n.78.
Il MIT, Ministero per l'Innovazione Tecnologica, è stato ridimensionato dall'attuale esecutivo
in Dipartimento per l'Innovazione tecnologica.
144
137 comunicazione per mantenere aperto un dialogo costante con i cittadini (MIT-CRC
2003).
Il modello operativo della quarta linea d’azione prevedeva un “Avviso”, già
sperimentato nella prima fase per l’e-government. L’Avviso nazionale per il
cofinanziamento a progetti per lo sviluppo della cittadinanza digitale fu pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale il 13 Aprile del 2004 con scadenza il 12 Luglio dello stesso anno,
data entro la quale tutti i progetti dovevano essere presentati pena l’esclusione. Esso
prevedeva un co-finanziamento pari al 50% delle spese complessive di ogni singolo
progetto per un ammontare complessivo di 9.500.000 di euro, della durata massima
di 24 mesi. In generale l’avviso aveva come scopo quello di individuare progetti da
cofinanziare e ne dettava i presupposti per la partecipazione. In esso vi erano indicati
gli elementi e le regole essenziali sia per la stesura che per l’acceso al cofinanziamento.
Per partecipare all’Avviso nazionale per il co-finanziamento di progetti per lo
sviluppo della cittadinanza digitale il MIT, in collaborazione con i Centri Regionali
di Competenza, fornì una serie di materiali, documenti e report di ricerca nei quali
venivano indicate procedure standard da seguire nella stesura e nella progettazione
degli interventi per la promozione della partecipazione attraverso le ICTs.
I documenti ufficiali prodotti durante la fase di preparazione ed attuazione della
quarta linea di azione furono:
• il report di ricerca per la preparazione delle linee guida E-democracy: modelli e
strumenti delle forme di partecipazione emergenti nel panorama italiano;
• la pubblicazione delle Linee guida per la promozione della cittadinanza digitale:
l'e-democracy;
• e infine L’Avviso nazionale per il cofinanziamento a progetti per lo sviluppo della
cittadinanza digitale;
La fase preparatoria alla quarta linea di azione cominciò dunque con il report di
ricerca pubblicato nel Febbraio del 2004 E-democracy: modelli e strumenti delle forme
di partecipazione emergenti nel panorama italiano. Il report fu un’iniziativa editoriale
realizzata nell’ambito del ProgettoCRC promosso e finanziato dal Dipartimento della
Funzione Pubblica in intesa con il Ministero per l’Innovazione e le Tecnologie. La
realizzazione del volume fu eseguita con la collaborazione del Dipartimento di
Scienza della Politica e Sociologia (DISPO) dell’Università degli Studi di Firenze e
del Dipartimento di Dipartimento di Informatica e Comunicazione dell’Università
degli Studi di Milano (DICO).
Nel documento l’attenzione era rivolta ai contributi che individuano le
dimensioni principali di tali politiche in un’ottica globale, inquadrandole nel
processo di costruzione di un modello di governance adeguata a gestire le sfide del
processo di globalizzazione ai tradizionali modi operandi dei governi in contesti di
democrazia rappresentativa (MIT-CRC 2003, p. 14) .
Dal documento si apprende che la maggior parte dei contributi analizzati si
collocavano sul tema della promozione della partecipazione dei cittadini ai processi
democratici attraverso le ICTs nella più ampia cornice delle politiche per l’edemocracy in senso lato e che comprendevano principalmente tre categorie di
interventi: a) una più mirata alla partecipazione elettorale (promozione del voto
elettronico, pro mozione dell’uso dei nuovi media da parte del personale politico e
delle organizzazioni di rappresentanza, promozione di arene di dibattito politico); b)
138 una seconda categoria che si concentrava sul rafforzamento della partecipazione dei
cittadini attraverso le modalità tradizionali (rafforzamento di elementi/garanzie
sostanziali tipici della democrazia rappresentativa); c) infine, un’ultima direzione
orientata al rafforzamento di alcuni istituti di partecipazione (come per esempio le
audizioni pubbliche o la rivitalizzazione delle strutture decentrate a livello submunicipale) e di promuovere nuove modalità di partecipazione dei cittadini e delle
loro associazioni ai processi di definizione delle politiche pubbliche e alla loro
valutazione (estensione degli ambiti della partecipazione dei cittadini ad integrazione
del modello classico di democrazia rappresentativa) (MIT-CRC 2003, pp. 14-15).
Inoltre, nel documento si evidenziano anche i principali elementi dello scarto fra
la partecipazione dei cittadini e le istituzioni, causa di un deficit di consenso e di un
indebolimento dell’azione politica delle istituzioni democratiche nei paesi a
democrazia consolidata. Le principali cause evidenziate dal MIT-CRC sono: a) la
scarsa fiducia nelle forme istituzionalizzate e negli attori che hanno tradizionalmente
veicolato la partecipazione, intermediando la domanda politica; b) la difficoltà di
adattamento della struttura della rappresentanza alla formazione sociale emergente,
un problema quindi che tocca i fondamenti della relazione di rappresentanza; c) una
domanda crescente e nuova da parte dei cittadini di poter valorizzare il proprio
patrimonio di esperienze e competenze (MIT-CRC 2003, p. 16).
Secondo il documento, in questo quadro si ampliavano il numero, la varietà e la
tipologia dei soggetti coinvolti nei processi di governance, rendendo tali processi più
trasparenti e rafforzandone le basi di consenso. In questo contesto, le ICTs potevano
e possono dare un importante contributo, sia in termini di innovazione organizzativa
e prestazioni amministrative (e-government), sia in termini di processi politici in senso
proprio, quanto su processi di formazione della rappresentanza e delle decisioni
politiche (e-democracy in senso lato) (MIT-CRC 2003, p. 18).
L’e-democracy in senso specifico fu invece identificata dal MIT-CRC con la
partecipazione diretta dei cittadini nel corso dei processi decisionali, partecipazione
sostenuta dalle nuove tecnologie della comunicazione. Dall’analisi condotta dal MITCRC emergeva anche che la partecipazione ai processi decisionali doveva essere
promossa e resa efficace se pensata come un processo che accompagnava il ciclo di
vita delle politiche.
Dal punto di vista della partecipazione dei cittadini e seguendo le direttive poste
in essere dal MIT-CRC per partecipare al co-finanziamento, il ciclo di vita di una
politica, inteso come processo di definizione e implementazione di una politica,
comprendeva varie fasi:
a) emersione e definizione dei problemi e dell’arena degli attori. In questa fase gli
attori politici e sociali costruivano il primo frame concettuale di riferimento comune
ed è anche la fase in cui si deve curare con particolare attenzione l’apertura della
partecipazione a tutti i soggetti potenzialmente interessati e toccati dalla politica in
discussione;
b) individuazione delle soluzioni alternative. Questa fase presupponeva la
disponibilità degli attori a dialogare senza preclusioni, facendo emergere i vincoli e le
opportunità di ciascuna opzione alternativa; si tratta di una fase in cui sono messe alla
prova fiducia e capacità di relazione fra gli attori;
c) definizione delle soluzioni praticabili. In questa fase, attraverso il confronto fra
139 gli attori si riduceva la gamma delle opzioni a quelle operativamente praticabili, pur
distinte secondo le diverse preferenze degli attori. Possono anche emergere soluzioni
ibride, oppure radicalizzarsi scelte fra loro molto distanti. L’obiettivo di questa fase è
arrivare a proposte solide, ben articolate e sviluppate;
d) scelta dell’opzione preferita. La fase della decisione politica in senso stretto nel
nostro ordinamento è prerogativa delle istituzioni rappresentative e degli organi
esecutivi. I cittadini tuttavia, attraverso la loro partecipazione alle fasi precedenti, che
può concludersi con la stesura di documenti, petizioni, e forme di consultazione,
potevano comunque proporre i loro punti di vista alle assemblee deputate alle scelte
finali (in sede deliberante);
e) attuazione, implementazione, gestione, monitoraggio-valutazione. I cittadini
potevano contribuire in modo significativo all’azione istituzionale anche nella fase
dell’attuazione, implementazione, gestione, monitoraggio e valutazione delle
politiche. Al di là del loro contributo in termini di collaborazione al miglioramento
tecnico dei servizi i cittadini potevano esprimere il loro giudizio sull’efficacia delle
politiche, prendendo parte alle attività di valutazione complessiva, formulando
suggerimenti di tipo strategico sulla loro implementazione e gestione, ma anche essere
parte attiva nella stessa gestione (MIT-CRC 2003, pp. 26-27).
Il documento E-democracy: modelli e strumenti delle forme di partecipazione
emergenti nel panorama italiano pone dunque un primo importante tassello di
riferimento per tutti gli attori politici e sociali intenzionati a partecipare all’Avviso
nazionale per il co-finanziamento di progetti per la quarta linea di azione. Il
documento fu dunque uno strumento preliminare di tipo informativo che aveva
come obiettivo la divulgazione di una cultura progettuale, da parte delle Regioni e
degli enti locali, sul tema della democrazia e della cittadinanza elettronica.
Come già precedentemente osservato, il primo passo ufficiale verso l’assegnazione
di finanziamenti pubblici a progetti per l’e-democracy in Italia fu però la
pubblicazione de L’Avviso nazionale per il co-finanziamento a progetti per lo sviluppo
della cittadinanza digitale (e-democracy), il 13 Aprile 2004 con scadenza il 12 luglio
2004. I destinatari dell’azione erano Regioni, Province, Comuni, Unioni di Comuni,
Comunità Montane e Isolane e altri enti locali e l’obiettivo era individuare - e cofinanziare - progetti che, attraverso l’utilizzo delle ICTs, avessero come fine la
promozione della partecipazione dei cittadini alle attività delle pubbliche
amministrazioni locali e ai loro processi decisionali, per migliorarne l’efficacia,
l’efficienza e la condivisione.
All’Avviso nazionale, con il fine di porre delle regole elementari di stesura dei
progetti, il CNIPA, in collaborazione con i CRC e il Dipartimento della Funzione
pubblica in intesa con il Ministero per l’innovazione e le Tecnologie145, allegò e
pubblicò insieme all’Avviso le Linee guida per lo sviluppo della cittadinanza digitale:
l'e-democracy. Il volume in generale si rivolgeva a tutti i decisori pubblici e agli
amministratori locali che avevano intenzione di avviare progetti di sviluppo della
cittadinanza digitale.
145
Anche nelle Linee guida hanno collaborato Dipartimento di Scienza della Politica e Sociologia
(DISPO) dell’Università degli Studi di Firenze e del Dipartimento di Dipartimento di Informatica e
Comunicazione dell’Università degli Studi di Milano (DICO).
140 Le linee guida, oltre a integrare una buona parte delle conclusioni concettuali già
presentate nel documento E-democracy: modelli e strumenti delle forme di
partecipazione emergenti nel panorama italiano, pose ulteriori importanti contenuti e
orientamenti metodologici per la costruzione di progetti per l’e-democracy.
Innanzitutto, le linee guida sottolineavano in modo chiaro che le ICTs non
pretendevano di sostituire, ma servivano soprattutto a sostenere, rafforzare, estendere
ed innovare gli ambiti e le modalità della partecipazione attivata attraverso i canali e
le sedi tradizionali146. Di rovescio, attraverso la promozione della partecipazione dei
cittadini attraverso le ICTs era invece possibile avvicinare e migliorare la relazione dei
cittadini alla vita delle istituzioni, soprattutto per i soggetti tendenzialmente più
distanti, per cultura o perché socialmente esclusi o a rischio di esclusione sociale.
Infine, anche nel caso dell’e-democracy, come in quello dell’e-government, la sfida
dell’adozione dell’ICTs riguardava soprattutto le culture organizzative147,
amministrative e di governo (MIT-CRC 2004, pp. 16-17).
Secondo le linee guida, per rispondere all’Avviso nazionale gli enti interessati al cofinanziamento progetti dovevano presentare: a) un’analisi del contesto di riferimento:
essa doveva comprendere un quadro sulla diffusione delle ICTs nei territori
interessati all’iniziativa (esempio postazione pubbliche ad accesso gratuito oppure
postazioni presso strutture educative e culturali; un profilo socio-demografico
dell’area interessata etc); b) definire e individuare una politica locale su cui
intervenire: si dovevano rispettare tre requisiti formali di base come la centralità del
tema per la comunità locale; la competenza decisionale e la responsabilità politica
degli attori istituzionali coinvolti; la tempestività del coinvolgimento dei cittadini; c) i
soggetti da coinvolgere: si dovevano aprire i processi decisionali fondando partnership
istituzionali148 incentrate sui problemi concreti da affrontare, promuovendo la
partecipazione di tutti i cittadini, valorizzando contributi, esperienze e saperi; d)
esistenza e valorizzazione di esperienze pregresse: l’esistenza di una consuetudine
146
Anche l’OCSE nel documento Policy Brief: Engaging Citizens Online for Better Policy-making già
precedentemente discusso chiarisce il ruolo della tecnologia, defininendola come un “elemento
abilitante” e non come la soluzione del problema della partecipazione. Non è sufficiente aumentare la
quantità e migliorare la qualità dell'informazione per favorire la partecipazione, ma bisogna puntare
con politiche attive al coinvolgimento dei cittadini nel policy making. Le barriere contro una più
ampia partecipazione on line dei cittadini nei processi decisionali sono culturali, organizzative e
istituzionali-normative, non tecnologiche (OCSE 2003).
147
Su questi punti le linee guida riprendono i punti di Coleman e Gøtze specificati nel testo
Bowling Together. Online Public Engagement in Policy Deliberation (Hansard Society 2001). Essi sono
a) il coinvolgimento e la partecipazione dei cittadini non sono in contrasto con le istituzioni
rappresentative, ma piuttosto indicano il percorso per la loro riqualificazione e il loro rafforzamento;
b) l’alternativa al coinvolgimento del pubblico, non è un pubblico non coinvolto, ma un pubblico con
una sua propria agenda e ostile verso un processo decisionale che appare ignorarla; il coinvolgimento
dei cittadini costituisce un’occasione utile di apprendimento reciproco (mutual learning), in cui i
rappresentanti possono calare le soluzioni politiche in contesti meno astratti e i cittadini possono
acquisire una maggior consapevolezza della complessità e delle interdipendenze del policy-making; c)
bisogna superare la dicotomia tra esperti e non-esperti, che individua il settore pubblico come sede dei
primi e identifica i secondi con il pubblico generico, i cittadini.
148
Il partenariato pubblico nelle linee guida viene definito secondo criteri di prossimità territoriale
(network territoriali), di scala di intervento (network dimensionale) di specificità nell’ambito di politica
locale interessata (network tematici).
141 locale di dialogo e cooperazione fra associazioni dei cittadini e istituzioni
rappresentava un elemento che poteva rafforzare la credibilità di proposte di
intervento, si dovevano quindi indicare l’esistenza o meno di esperienze pregresse utili
all’attuazione di un intervento di promozione della partecipazione in una determinata
area; e) definizione di un percorso partecipativo: la partecipazione dei cittadini
andava cercata oltre la semplice rilevazione delle opinione. Bisognava quindi indicare
un percorso innovativo di partecipazione dei cittadini alle fasi del ciclo di vita di una
politica pubblica che tenesse conto di specifiche dimensioni della partecipazione. Esse
erano: la dimensione discorsiva, generativa e progettuale; la dimensione inclusiva; e
infine la dimensione processuale; f) partecipazione online e offline: un progetto di
sviluppo della cittadinanza digitale secondo le linee guida doveva riuscire a integrare
sia i differenti settori coinvolti nel progetto, attivando processi cooperativi, sia la
dimensione offline che quella online della partecipazione; g) preparare le
organizzazioni coinvolte: nel progetto doveva essere incluso un piano di intervento
per l’adattamento organizzativo, interno ed esterno, delle strutture degli Enti
coinvolti; h) prevedere la promozione dell’iniziativa: bisognava includere uno sforzo
costante e multicanale di promozione del progetto attuando un’ampia diffusione
dell’informazione del progetto e rendendolo il più possibile visibile presso il sistema
informativo locale (Uffici per le Relazioni con il Pubblico; Centri per l’impiego; Siti
Web delle istituzioni e delle associazioni etc); i) predisporre modelli e metodologie di
autovalutazione in itinere della partecipazione: si dovevano predisporre una serie di
interventi di valutazione ed autoanalisi che tenessero conto di un numero cospicuo di
variabili (MIT-CRC 2004, pp. 37-57).
Inoltre bisognava specificare se l’ambito di intervento del progetto riguardasse un
ciclo di vita completo di una specifica politica, oppure una o più fasi di un ciclo di
vita di una o più politiche, l’individuazione dei partner e delle tecnologie più
adeguate alla tipologia di ambito di intervento selezionato e di azione di governo
prescelta
I progetti dovevano garantire la più ampia partecipazione dei destinatari delle
politiche implicate nel progetto. La scelta di partner poteva includere anche accordi
con soggetti portatori di interessi collettivi, l’intento era quello di valorizzare i bacini
di sapere ed esperienze significative rispetto all’ambito delle politiche locali oggetto
del processo
partecipativo149 e rafforzare la partecipazione dei soggetti
tendenzialmente esclusi.
In particolare, nelle linee guida venivano evidenziati anche i principali ostacoli alla
realizzazione di progetti di e-democracy. Un primo ostacolo poteva essere
rappresentato da una cultura di governo che tende a sottovalutare i vantaggi del
coinvolgimento dei cittadini in quanto il personale politico è ancora poco
consapevole delle opportunità offerte dalle nuove tecnologie per la partecipazione.
Un ulteriore ostacolo invece si poteva trovare in una cultura organizzativa che tende a
concentrare in uno specifico settore dell’amministrazione le funzioni di informazione
e comunicazione con i cittadini, e di servizi tecnici-informatici e telematici e a ciò
andavano aggiunti anche i deficit nella diffusione degli skills digitali. Anche una
149
L'Avviso nazionale per il co-finanziamento a progetti per lo sviluppo della cittadinanza digitale, Art.
5 (Partenariato), comma 3
142 debole responsabilizzazione degli attori pubblici poteva rappresentare un ostacolo, in
quanto nelle esperienze di dialogo online gli attori pubblici sono assenti, o la loro
presenza tende ad essere sporadica, in questo modo le opzioni dei cittadini non sono
prese in considerazione, né sono fornite spiegazioni adeguate quando le proposte dei
cittadini sono scartate.
Le linee guida fornirono quindi una sorta di mappa degli ostacoli che andava dalla
debole visibilità online delle iniziative all’insufficiente promozione sul territorio delle
stesse iniziative le iniziative, fino a sottolineare che un debole intervento nell’ambito
delle politiche per l’accesso (postazioni pubbliche, skills digitali, ecc.) potevano
rendere vano l’intervento in materia di promozione della partecipazione attraverso le
ICTs.
Per ovviare a ciò, dal documento allegato all’Avviso nazionale si potevano
apprendere anche delle indicazioni su come rimuovere determinati vincoli alla
partecipazione dei cittadini online. Come ad esempio rendere disponibili strumenti
sia di tipo low tech che high tech, oppure rendere necessariamente disponibili modalità
d’uso di semplice comprensione, apprendimento e utilizzo. Inoltre, dalla linee guida
si poteva apprendere che i processi partecipativi vanno attivati servendosi di un’ampia
gamma di canali di comunicazione è quindi necessario fornire gratuitamente o a costi
contenuti l’accesso ai servizi, garantendone l’assistenza all’utilizzo. Molto utile è
anche l’incontro fra cittadini pionieri della partecipazione online e cittadini più
scettici o distanti da questa modalità di partecipazione, indirizzando specifiche misure
di promozione verso le persone più svantaggiate, con attenzione sia ai loro deficit
individuali specifici (sensoriali, motori, cognitivi) e, quindi, alle risorse software e
umane più adeguate per attenuarli, sia al contesto fisico in cui vivono e sviluppano le
loro relazioni sociali.
A partire da questi punti le linee guida fornivano un elenco di tecnologie150 per la
partecipazione divise in tre differenti tipologie. Innanzitutto vi erano le Tecnologie per
l’informazione. Dalle linee guida si legge:
Essere (ben) informati è pre-condizione della partecipazione, ma una pura e semplice
pubblicazione o distribuzione di informazioni tramite la rete non basta a qualificare un progetto di edemocracy […] è necessario stabilire come i cittadini possono, attraverso la rete, valorizzare
l’informazione ricevuta […] abbiamo trovato stimolanti le esperienze che “invertono il senso” o
“cambiano la direzione”, in cui i cittadini hanno la possibilità di fornire informazioni, invece che
limitarsi a fruirne (MIT-CRC 2004, p. 65).
Vi erano poi le Tecnologie per il dialogo che veinivano identificate in soluzioni
capaci di sostenere il ruolo attivo-propositivo dei cittadini la rilevazione qualitativa di
150
Le tecnologie standard contemplate dalla linee guida erano: Newsletter, Forum, Mailing, Chat,
Weblog, Domande in mailbox con risposte pubbliche, Cittadini come information e content provider,
Consultazioni certificate su supporti e dispositivi elettronici. E' stato rilevato che gli Enti proponenti
sono stati particolarmente creativi nel proporre nuove soluzione tecnologiche. Sono emerse, oltre a
quelle standard proposte, altre soluzioni tecnologiche che in via generale contemplavano: Bacheche
elettroniche, messaggistica telefonica, tv via cavo; Sistemi di voto elettronico, EVS e strumenti di
navigazione vocale, Panel elettronico, Tavola rotonda virtuale, Knolwledge managment, TV digitale
terrestre; Questionari e sondaggi via web e SMS.
143 opinioni ed esperienze. Si tratta di tecnologie in cui l’interazione tra cittadini e
istituzioni avviene attraverso le applicazioni di rete basate sullo scambio di messaggi
di testo, sia in modo asincrono (e-mail o partecipazione a forum on web) che sincrono
(ad esempio, via chat), o attraverso applicazioni che combinano vari messaggi in
thread di discussione (conversazioni) (MIT-CRC 2004, p. 66). Vi erano infine le
Tecnologie per la consultazione ovvero soluzioni ed esperienze secondo cui, partendo
da un insieme di opzioni pre-identificate si poteva “pesare” il consenso dei cittadini
su tali opzioni. Tali soluzioni potevano variare e andare da software per il voto online,
con cui è possibile per chiunque votare più volte, a “consultazioni certificate” che
potevano dare garanzie, a diversi livelli, di autenticazione dei votanti e di unicità e
segretezza del voto (MIT-CRC 2004).
Con la pubblicazione dell’Avviso nazionale per il co-finanziamento a progetti per lo
sviluppo della cittadinanza digitale si diede dunque l’avvio ufficiale alla quarta linea di
Azione per l’e-government in Italia. Dopo la pubblicazione dell’Avviso nazionale
furono 129 i progetti presentati, un risultato, a parere del CNIPA, insperato visto le
modeste dimensioni economiche della IV linea di azione. Tra i mesi di Aprile e
Luglio del 2004 furono selezionati 57 progetti sui 129 presentati. I progetti hanno
avuto durata di 18 mesi e sono ufficialmente cominciati nel Gennaio del 2006.
Vediamo ora quali sono le caratteristiche dei progetti co-finanziati.
3. I progetti co-finanziati: gli attori, le regole e i contenuti.
I progetti co-finanziati dal CNIPA nel Luglio del 2004 avevano un valore
complessivo di 27.000.000 milioni di euro e variavano da un costo minimo di
30.000 ad un costo massimo di 2.000.000 di euro.
Tabella 5 - Dimensioni economiche dei progetti cofinanziati
Valore complessivo dei progetti
27.000.000
Costo medio di progetto
480.000
Cofinanziamento medio
170.000
Co-finanziamento erogato dal CNIPA
9.500.000
Fonte: CNIPA 2006
Gli interventi della quarta linea di azione erano comunque interventi di scarsa e
modesta entità, se si vanno a considerare le linee generali di azione della II fase151 e se
si vanno a leggere le cifre spese per tutta la I fase il divario diventa ancora più
evidente152. Un ulteriore apporto finanziario fu fornito da enti, organizzazioni e
151
Ci sono comuni che hanno usufruito di cofinanziamenti per una somma pari a 15.000,00 come
il Comune di Rudiano, Progetto: Document@Rudiano, il centro di documentazione locale.
152
Furono selezionati 138 progetti per un valore complessivo dichiarato di € 425 milioni.
144 gruppi privati che avevano partecipato alla stesura del progetto e che nella quasi
totalità dei casi riguardavano la gestione tecnica legata all’implementazione dei
progetti. La distribuzione dei finanziamenti riuscì a coprire in maniera coerente quasi
tutto il territorio nazionale, con un leggero accento sulle regioni del centro-nord. Le
regioni con il maggior numero di progetti approvati furono il Lazio e la Lombardia
alle quali andarono finanziamenti per sette progetti. Al Lazio andò anche il cofinanziamento totale più alto, circa 1.440.000 di euro, mentre alla Lombardia
andarono sui sette progetti approvati 1.275.000 di euro. A seguire poi vi era il
Piemonte con 5 progetti e 960.000 euro e la Sicilia con 5 progetti e 645.000 euro.
Alla Toscana andarono 960.000 euro per 4 progetti, mentre il Veneto si aggiudicò in
totale 555.000 di euro per 4 progetti153.
Fu comunque il Centro Nord a ricevere la quota maggiore di co-finanziamento:
3.740.000 di euro, davanti al Nord Ovest con 2.650.000 di euro, al Sud e isole
andarono 2.355.000 di euro mentre al Nord Est 775.000 di euro. Per quanto
riguarda invece i progetti, il Centro Nord è davanti a tutti con 19 proposte
approvate, più del Sud e isole 16 progetti, al Nord Ovest sono andati 15 progetti e al
Nord Est 7 progetti.
Tavola 3 – Distribuzione dei progetti per area geografica
Fonte: CNIPA 2007
Ogni progetto cofinanziato è stato presentato da un Ente locale che ha assunto il
ruolo di coordinatore; a questo Ente capofila si sono poi aggregati altri Enti locali, in
qualità di partner, e soggetti portatori di interessi collettivi interessati alle diverse fasi
del ciclo di vita delle politiche (stakeholders).
153
L’erogazione del cofinanziamento è stato diviso in tranche: il 30% del totale del cofinanziamento assegnato, successivamente al perfezionamento della convenzione con il CNIPA; il 50%
ad avvenuta positiva valutazione dello stato di avanzamento dei lavori delle attività di progetto; il 20%
al termine del progetto, ad avvenuta positiva valutazione e verifica dei risultati.
145 Grafico 1: Distribuzione dei cofinanziamenti per tipologia dell'Ente
Fonte: CNIPA 2006
Dal grafico emerge chiaramente come più del 50% dei progetti co-finanziati sia
andato ai Comuni, mentre Regioni e Province, messe insieme, si sono aggiudicati
meno della metà delle risorse messe a disposizione dal Ministero. Il dato può essere
ridimensionato se si tiene presente che nei progetti presentati per l’assegnazione del
co-finanziamento era stata già rilevata un’elevata partecipazione dei Comuni.
Un dato evidente è dunque la forte presenza dei Comuni tra gli enti coordinatori dei
progetti, inoltre la metà dei Comuni coordinatori di progetti è rappresentata da
piccoli Comuni.
Un altro dato è quello relativo agli enti aggregati.
Grafico 2: Enti aggregati
Fonte: CNIPA 2006
Bisogna sottolineare che gli enti, anche quelli capofila, avevano la possibilità di
partecipare a più progetti e che i comuni di piccole dimensioni (al di sotto dei 2000
abitanti) sono stati quelli con una maggiore percentuale di partecipazione ad altri
progetti. Infatti, sui 400 enti che in diversa misura e con ruoli diversi hanno
146 partecipato all’assegnazione, solo 16 parteciparono a più progetti mentre gli enti che
parteciparono a più progetti (al massimo a due) sono enti di grandi dimensioni:
Regioni, Province, grandi Comuni.
Come già costatato precedentemente, una delle finalità implicite al meccanismo
del cofinanziamenti era quella di instaurare rapporti tra enti siano essi Comunità
Montane, Comuni, Province o Regioni. Dalla lettura della Grafico 6 si può
facilmente intuire come l’obiettivo di relazionare in maniera estesa territori, saperi,
conoscenze informatiche etc. sia stato solo parzialmente raggiunto, in quanto la
maggior parte dei progetti non è andata oltre la compartecipazione di 10 enti.
A questo dato però fa da contrappeso l’elevata partecipazione di associazioni
rappresentative della società civile, di associazioni di categoria, onlus, ong, circoli
difficili da quantificare sia per l’elevato numero di attori coinvolti sia per la fase in
progress della linea di azione che apre continuamente a nuove partecipazioni
all’implementazione dei progetti. Infatti, secondo i dati CNIPA nei progetti furono
coinvolte più di 450 fra associazioni di categoria, associazioni di cittadini e
consumatori, onlus, ONG, CRI, sindacati, circoli, ACLI, ARCI, Unione Industriali,
UIC, ordini professionali, pro loco, parrocchie, etc.
Ci sono anche esempi di associazioni che parteciparono attivamente ai costi, sia in
termini di risorse umane che di costi154. Inoltre, 30 progetti fecero ricorso a risorse
economiche messe a disposizione da più di 70 sponsor privati155. Da notare come la
prevalenza di questi sponsor fosse di natura strettamente tecnologica (fornitori di
servizi ICTs). A differenza di quanto si poteva ipotizzare a priori, non solo i grandi
progetti di importanti città o di primarie Amministrazioni regionali e/o provinciali
hanno attirato attenzione degli sponsor ma anche alcune iniziative da realtà
dimensionalmente medio-piccole hanno beneficiato dei contributi dei privati
(CNIPA 2006).
Un’altro dei punti di maggiore caratterizzazione nei progetti riguarda gli ambiti di
intervento sui quali i progetti intendevano agire. In generale hanno riguardato
l’ambiente e il territorio, l’urbanistica, i tributi, le tasse locali e la sanità ma le
iniziative nel loro complesso presentavano gradi diversi di intervento e caratteristiche
dissimili. Le diverse visioni, le differenti interpretazioni dovute alla genericità e alla
natura stessa del cofinanziamento, l’elevata frammentarietà negli approcci al tema
dell'e-democracy evidenziavano un mosaico di visioni e proposte di difficile
ricomposizione.
Infatti, i progetti co-finanziati ricoprivano molti ambiti delle politiche pubbliche
locali, come i patti territoriali, l’urbanistica partecipata, la programmazione strategica
dello sviluppo, le Agende 21 e i bilanci partecipativi.
Essi restano comunque tutti nel campo della decisione pubblica con differenti
distribuzioni nelle diverse fasi di vita di una politica pubblica locale.
154
Il CNIPA ha quantificato l’apporto economico delle diverse associazioni coinvolte in questo
modo: Risorse umane: più di 45.000 gg/p di lavoro; Strumenti e infrastrutture: 11.000 €; Altri costi:
200.000 € (CNIPA 2006).
155
Il CNIPA ha quantificato l’apporto economico degli sponsor privati in questo modo: più di
3500 gg/p di lavoro; 380.000 € in strumenti ed infrastrutture; 230.000 € di altri contributi (sw,
sviluppo etc) (CNIPA 2006).
147 Grafico 3 - La distribuzione dei progetti sulle politiche
Fonte: CNIPA 2006
Abbiamo dunque un ventaglio molto ampio fatto di:
• strumenti di programmazione settoriale specifica (es.: piano del traffico, piano
dei tempi, piano dei rifiuti, contratti di fiume, programmi di riqualificazione urbana,
ecc.);
• strumenti di programmazione di valenza più generale e trasversale (es.: PSL piani di sviluppo locale, piani di sviluppo locale sostenibile, piani territoriale di
coordinamento, piani strutturale, Agenda 21, piani sociali di zona; PILS - piani
integrati di sviluppo locale, piani di sviluppo locale, patti territoriali, bilancio
comunale, contratti di quartiere, ecc.);
• interventi specifici inseriti in contesti più ampi di politica locale (es.: per la
riqualificazione urbana e ambientale, per l'inclusione sociale dei soggetti svantaggiati,
degli immigrati, per le pari opportunità, per la promozione culturale, consulte e
osservatori sociali, città sostenibili delle bambine e dei bambini, etc.)156.
Abbiamo quindi strumenti di programmazione che si differenziano nel campo di
intervento e che caratterizzano la natura stessa del progetto. In generale possiamo dire
che i progetti rispettavano due grandi linee di iniziative: interventi settoriali di
promozione della partecipazione dei cittadini alle attività pubbliche e interventi intersettoriali che promuovo una partecipazione di più ampio respiro e che si muovono in
maniera trasversale.
156
Cfr MIT-CRC E-democracy: modelli e strumenti delle forme di partecipazione emergenti nel
panorama italiano, Roma 2003
148 Quasi il 40% dei 57 progetti co-finanziati ed esaminati funzionano da supporto a
percorsi partecipativi già attuati sul campo. I progetti quindi hanno una elevata
differenziazione dovuta alle diverse esperienze civiche. Abbiamo quindi contesti in cui
percorsi partecipativi sono già stati avviati (Agenda 21 locali, Bilancio Partecipativo,
Piano Regolatore Partecipato) e contesti dove mancano esperienze pregresse o che
non entrano in rapporto con i progetti in questione
149 PARTE SECONDA
POLICY
150 CAPITOLO 5
La politica europea per la democrazia e la cittadinanza elettronica
Premessa
Il lavoro finora svolto si è mosso dall’idea di voler analizzare le politiche pubbliche
per la società dell’informazione a partire dai documenti ufficiali in cui sono state
esposte esplicitamente le programmazioni e le linee di intervento europee in materia
di ICTs. Un punto di partenza che ci ha permesso di riscrivere la breve storia delle
policies per la società dell’informazione e delle relative politiche pubbliche per la
democrazia e la cittadinanza elettronica, che in Europa – come nel resto del mondo hanno preso a svilupparsi a partire dalla metà degli anni ’90. L’idea di partire dai
documenti ufficiali non è comunque una scelta metodologica fatta in relazione ad un
approccio particolare o tipico dello studio delle politiche pubbliche, essa è piuttosto
nata dall’esigenza di circoscrivere in un arco temporale e tematico preciso la varie
policies relative alla società dell’informazione.
A questo punto però è opportuno fare alcune considerazioni di carattere teorico
con il fine di richiamare l’attenzione del lavoro su un elemento – o una serie di
elementi - che nei policy studies rappresenta il codice genetico di ogni politica
pubblica, quello relativo alla politics e alla sua definizione e formulazione.
A partire dalla nota espressione Policy determines Politics, che negli ultimi anni ha
caratterizzato gli studi sulle politiche pubbliche, in questo capitolo tracceremo le
caratteristiche delle arene, degli attori e della dinamica relazionale nel quale si sono
definite e costruite le policies per la democrazia e la cittadinanza elettronica e
attraverso le quali è possibile ricavare la politics che negli ultimi anni ha fatto da
sfondo agli interventi in materia di democrazia e cittadinanza elettronica.
1.Policy determines Politics
Policy determines Politics è la famosa tesi di Theodor Lowi esposta nell’articolo
Four Systems of Policy, Politics and Choice (1972). Inizialmente posta dallo stesso
autore alla base dei meccanismi della politica, è oggi una delle intuizioni che più ha
caratterizzato gli studi sulle politiche pubbliche.
Prima di ripercorrere le implicazioni teoriche che caratterizzano la tipologia delle
politiche pubbliche dello studioso americano è quantomeno opportuno riprendere le
definizioni e chiarire cosa s’intende con i termini di policy e politics.
Con il termine policy si fa riferimento alla capacità della politica di farsi governo,
ovvero lo strumento per affrontare e risolvere concretamente problemi di rilevanza
pubblica di una comunità. Le policies, ovvero le politiche pubbliche, costituiscono un
insieme vasto e piuttosto eterogeneo di azioni, provvedimenti, decisioni: si va
151 dall’infinitamente piccolo, come ad esempio la volontà di un comune di organizzare
al meglio la festa del santo patrono, all’infinitamente grande, come, ad esempio,
l’intenzione da parte di un governo di riformare il sistema pensionistico o di
modificare gli standard delle prestazioni sanitarie pubbliche (Capano 1996, Regonini
2001, Howlett e Ramesh 2003).
Con il termine politics, invece, si fa riferimento a quello che tradizionalmente è
stato lo studio della politica, vale a dire lo studio del potere, declinato in tutte le sue
dimensioni (Lasswell e Kaplan 1950). A partire dall’antica Grecia, in ogni tempo ci si
è interrogati sull’origine del potere politico, sulle basi della sua legittimità, su chi lo
detiene e su chi lo debba esercitare. E non sorprende affatto che questa prima
dimensione della politica abbia suscitato un vastissimo interesse nel corso dei secoli,
in quanto ha riguardato un aspetto essenziale dell’esistenza di ciascun individuo: la
possibilità di vivere con gli altri, in comunità, di essere animali compiutamente
politici.
Nelle ipotesi di Lowi vi è l’idea di base che ad ogni settore di policy corrisponda un
diverso modo di policy making. Dietro ogni tipo di politica pubblica si sviluppano
cioè specifiche relazioni politiche tra determinati attori e in determinate sedi
istituzionali.
Secondo Lowi abbiamo politiche di tipo distributivo, quando accordano
autorizzazioni o allocazioni materiali a casi specifici e nominalmente designati;
politiche di tipo redistributivo, quando accordano l’accesso a determinati vantaggi o
risorse ad ampi gruppi sociali o categorie o classi di soggetti e, infine, politiche di
regolamentazione, quando condizionano i comportamenti del soggetto destinatario
mediante il ricorso a norme autoritative. Successivamente Lowi ha aggiunto un altro
tipo di politiche, quelle costituenti (o costitutive), ovvero quando si stabilisce l’assetto
normativo che disciplina le procedure per l’adozione delle decisioni pubbliche e
codifica i rapporti tra i vari apparati del potere (Lowi 1972).
Lowi partiva da un’assioma, poiché il contenuto di una politica - distributiva, di
regolamentazione, redistributiva o costitutiva che sia - implica dei risultati particolari,
ciò comporta inevitabilmente che le risposte delle persone colpite a loro volta hanno
un impatto sul dibattito politico in termini di processo decisionale. Non sono
dunque i risultati effettivi, ma la aspettative per quanto riguarda i risultati che
possono diventare gli elementi di forma a determinare la politics. Questo comporta la
costruzione di diversi tipi di arene che presentano particolari caratteristiche di
conflitto o di consenso.
Ad esempio, nelle arene distributive:
[…] vi sono un gran numero di gruppi di interessi, in un contesto relazionale di bassa
conflittualità, dovuta non tanto al compromesso e alla negoziazione quanto, piuttosto, all’assoluta
mancanza di confrontabilità tra gli interessi rappresentati. […] La sede privilegiata è quella di
organismi ristretti come le commissioni parlamentari oppure le agenzie amministrative (Capano 1993,
p. 554).
In estrema sintesi, una politica che mira ad una redistribuzione ha ovviamente una
disparità nella ripartizione dei costi e dei vantaggi e il tutto avverrà in uno scenario
caratterizzato da conflitti. Per contro, una politica che cerca di offrire servizi o beni
universalmente disponibili con poco chiare conseguenze sul piano della distribuzione
152 dei costi e dei benefici avverrà in uno scenario caratterizzato da conflitti non vincolati
al processo di policy making e si relazionano sulla base della non interferenza reciproca
(log-rolling157). Lo stesso vale per una regolamentazione politica che comprende un
codice vincolante che non si traduca in benefici osservabili. Essa può comportare dei
costi e dei benefici, ma sono difficili da calcolare o prevedere (Lowi 1972, Wilson
1980).
Prima della classificazione proposta da Lowi, gran parte degli studi sulle politiche
pubbliche erano fortemente influenzati dai lavori di Easton (1965). Il politologo
canadese usava il modello cibernetico di autoregolazione per descrivere il
funzionamento del sistema politico. La sua costruzione si basava su alcuni assunti
fondamentali: sull’utilità, ai fini metodologici, di considerare la vita politica come un
sistema di comportamento, sulla distinzione fra l’ambiente e il sistema politico, sulle
risposte che le componenti di un sistema politico offrono per fronteggiare crisi
esogene o endogene, sulla retroazione o feedback che permette al sistema di ricevere
l’informazione dall’ambiente contenente gli esiti delle reazioni (Easton 1965).
Il modello prevedeva un’interdipendenza tra sistemi diversi che convivono e
interagiscono. Uno dei sistemi è quello politico. L’ambiente del sistema politico
comprende tutti gli altri sistemi - sociale, economico, e così via - e da esso
provengono gli stimoli - divisi in richieste e sostegni - definiti inputs, che devono
essere elaborati e convertiti dal sistema politico in risposte (outputs), in provvedimenti
che hanno l’obiettivo di soddisfare le richieste provenienti dall’ambiente e di
mantenere dunque il sistema complessivo in relativo equilibrio. La performance degli
outputs, ossia l’impatto, il rendimento è definita outcome, e il processo di retroazione
che informa sugli errori e permette di correggerli è rappresentato dal feedback (Easton
1965).
Nel trattare i criteri di identificazione di un sistema politico, Easton tracciò le
premesse metodologiche per distinguere le interazioni del sistema politico da qualsiasi
altro tipo di sistema (Easton 1965). Avvalendosi delle riflessioni semantiche sul
sistema politico, Easton si spinse poi nelle classificazione dei sistemi politici e
parapolitici, accentuandone le differenze e le similarità.
Il lavoro di Lowi è andato oltre la categorizzazione e le assunzioni di Easton, e
infatti, la rilevanza del policy determines politics nel campo dello studio delle politiche
pubbliche è dunque dovuta proprio a questo tentativo di sviluppare un quadro di
riferimento forte per la classificazione degli studi di caso (Benz 1997).
L’interesse sul lavoro di Lowi si poggia però anche su un altro punto. Elaborando
una tipologia che tenesse conto anche delle relazioni tra gli attori e le istituzioni, Lowi
formulo una domanda precisa: da cosa dipende la Politics?
Il dibattito accademico sulle tesi di Lowi ha comunque preso direzioni diverse. La
tesi che sono le policy a determinare la politics è stata negli anni distinta dai tipi di
politiche e vari tentativi di analisi e ricerca sono stati fatti per riferirsi ai settori delle
politiche, come il mercato del lavoro, la pensione, l’ambiente, immigrazione. Un
approccio che ha fornito diverse risposte alla domanda di come e perché siano le
157
Con il termine logrolling si fa riferimento allo scambio di favori, o quid pro quo, tra i membri per via
legislativa con il fine di ottenere il passaggio a delle azioni di interesse per ogni singolo membro
dell’assemblea legislativa.
153 politiche a determinare la politica ma che nella fattispecie non sembrano essere molto
proficue sotto il profilo analitico, in quanto i diversi settori delle politiche hanno
nelle diverse arene identici meccanismi conflittuali o consensuali a prescindere dai
tipi di politica (Benz 1997).
È lo stesso Lowi però sottolineare di non prendere in maniera eccessivamente
schematica e rigida questa tipologia, in quanto una politica pubblica può avere
caratteristiche trasversali rispetto alle categorie definite e, inoltre, sul lungo periodo
tutte le politiche governative possono essere considerate redistributive o regolative.
Quindi, ciò che Lowi ha offerto è stato uno strumento di microanalisi, vale a dire che
cerca di spiegare e prevedere il motivo per cui un certo programma, caratterizzato da
uno dei suddetti meccanismi della politica, sta portando a particolari processi politici
(Windhoff Héritier 1983).
A partire dalle considerazioni teoriche fatte in questo paragrafo, possiamo dunque
affermare che tra le politiche contingenti (policies) e le strategie (politics) esiste e
sussiste un rapporto deterministico, in quanto al crescere della complessità e della
molteplicità degli attori organizzativi coinvolti diminuisce la capacità delle istituzioni
democratiche di esercitare potere di indirizzo e controllo sugli infiniti sottosistemi
che l’azione sociale genera (Lowi 1972, 1999). In questo senso, afferma Porro, la
Grande Politica appare condannata a rincorrere le emergenze generando non solo
gestione mirata al perseguimento di finalità circoscritte (goal oriented policies), bensì
anche politiche consapevolmente orientate a valori (value oriented politics) (Porro
2005).
Nel policy approach, e in particolare nei lavori di Lowi, uno dei concetti centrali è
dunque quello di arena di potere. Esso assume una funzione fondamentale, in quanto,
sono le regole, formali e informali, e le norme che determinano il corso di un
processo decisionale pubblico di ogni singola arena. Sono le arene dunque a dover
essere analizzati se si vuole rispondere alla domanda del perché sono consentiti
processi politici con determinate caratteristiche.
Riprendendo lo schema interpretativo di Lowi:
Ci sono tre principali categorie di politiche pubbliche: distribuzione, regolazione e redistribuzione.
Questi tre tipi sono storicamente e funzionalmente distinti […] Queste categorie non appartengono
ad un mero proposito di semplificazione. Esse intendono corrispondere a fenomeni reali […] queste
aree di politiche e/o di attività governativa costituiscono vere e proprie arene di potere. Ogni arena tende a
sviluppare la propria caratteristica struttura politica, il suo processo politico, le sue élite e i suoi tipi di
rapporti tra gruppi. Restano dunque da identificare queste arene, formulare ipotesi circa gli attributi di
ognuna e verificare lo schema in base al numero di relazioni empiriche che è in grado di anticipare e
spiegare (Lowi 1999, pp. 19-20).
Come già accennato nel paragrafo precedente, Lowi ad ogni arena attribuisce un
diverso sistema di relazione158, una diversa rete di attori, un diverso sfondo
istituzionale verso il quale è possibile identificare e rapportare una diversa politics.
158
Su questo punto si rimanda alle conclusioni del presente lavoro di ricerca.
154 Tabella 7 - Arene e rapporti politici
Arena
Unità
politica
primaria
Distribuzione
Individuo,
Impresa,
Corporation
Rapporti
tra le unità
Log-Rolling,
reciproca
non
interferenza,
assenza di
interessi
comuni
Gruppo
Coalizioni,
concreti
interessi
condivisi,
trattativa
Pluralistica,
policentrica,
teoria
dell'equilibrio
Associazioni
Incontri al
vertice,
classe,
ideologia
Elite
conflittuale
(élite e
contro-élite)
Regolazione
Redistribuzione
Struttra di
potere
Elite non
conflittuale e
gruppi di
sostegno
Stabilità
della
struttura
Luogo
decisionale
primario
Implementazione
Stabile
Commissioni
del
Congresso
e/o agenzie
Da agenzie
centralizzate a
uffici periferici
Instabile
Congresso
nel suo ruolo
classico
Stabile
Esecutivo e
vertici
associativi
Agenzie
decentralizzate,
con poteri
delegati al centro,
controllo misto
Agenzie
centralizzate e
vericalizzate,
standard
elaborati
Fonte: Lowi 1999
Ai fini del lavoro di ricerca, abbiamo identificato nel Parlamento europeo (PE) e
nelle commissioni parlamentari competenti in materia le arene verso il quale
orientare le nostre ipotesi. A questo punto è quantomeno opportuno riprendere le
regole di funzionamento di entrambe le arene.
2. Le arene e le regole: il parlamento europeo e le commissioni parlamentari
Il PE è eletto dai cittadini dell’Unione europea, le sue origini risalgono agli anni
’50 ma è solo a partire dal 1979 che i suoi membri sono eletti direttamente dalla
popolazione. Le elezioni si svolgono ogni cinque anni e tutti i cittadini hanno diritto
di votare e di candidarsi. Il PE esprime pertanto la volontà democratica dei cittadini
dell’Unione e ne rappresenta gli interessi interagendo con le altre istituzioni
dell’Unione Europea. Insieme al Consiglio dell’Unione europea, il PE rappresenta
una delle due camere che esercitano il potere legislativo nell’Unione159.
Il Parlamento europeo e il Consiglio dei ministri approvano congiuntamente le
leggi proposte dalla Commissione europea. Benché ufficialmente il potere di
iniziativa legislativa spetti alla Commissione, il Parlamento europeo può però
chiedere alla Commissione di presentare adeguate proposte legislative mediante
raccomandazioni. In questo modo, il Parlamento può esercitare il suo potere politico
di impulso legislativo. L’iniziativa legislativa, la discussione dei testi e l’approvazione
159
Attualmente Hans-Gert Pöttering è il presidente del Parlamento europeo, eletto nel 2007
manterrà questa carica fino alle elezioni del 2009.
155 di emendamenti spettano dunque al Consiglio. Il Parlamento si limita ad approvare il
testo finale e chiedere di presentare una proposta di legge160.
Le funzioni del PE sono sostanzialmente quattro: le funzioni legislative, relative
alla preparazione e alla formazione della legislazione europea, incluse quelle relative al
bilancio; le funzioni di controllo, relative all’esercizio del controllo politico del
parlamento sulle altre istituzioni comunitarie; funzioni di nomina, relative al
coinvolgimento del parlamento nell’insediamento delle altre istituzioni europee;
funzioni di sviluppo istituzionale, relative alla partecipazione del PE allo sviluppo
istituzionale della UE.
L’attuale Parlamento è costituito da 785 membri provenienti dai 27 paesi
dell’UE161.
Tabella 6 - Numero di seggi per paese
Austria
Belgio
Bulgaria
Cipro
Danimarca
Estonia
Finlandia
Francia
Germania
Grecia
Irlanda
Italia
Lettonia
Lituania
18
24
18
6
14
6
14
78
99
24
13
78
9
13
Lussemburgo
Malta
Paesi Bassi
Polonia
Portogallo
Regno Unito
Repubblica ceca
Romania
Slovacchia
Slovenia
Spagna
Svezia
Ungheria
Totale
6
5
27
54
24
78
24
35
14
7
54
19
24
785
Fonte: Parlamento Europeo 2007
I membri del Parlamento europeo non sono riuniti in base a schieramenti
nazionali ma secondo sette gruppi politici paneuropei, che rappresentano, fra tutti, i
diversi punti di vista sull’integrazione europea, da quello più fortemente federalista a
quello apertamente euroscettico162.
Il lavoro del PE si articola in due momenti istituzionali principali e sono la
preparazione per la sessione plenaria, dove viene effettuata dai deputati nelle diverse
commissioni parlamentari specializzate in particolari settori dell’attività dell’UE. I
160
In base al trattato di Maastricht il PE ha il potere di chiedere alla Commissione, sulla base di
una relazione della commissione parlamentare competente, di preparare un testo legislativo su una
determinata questione (art.192 Trattato CE)
161
A partire dalla prossima legislatura 2009/2014 il numero degli europarlamentari non dovrà
essere superiore a 736. Attualmente i membri del parlamento sono 785 – superando il massimale di
736 - solo in considerazione del fatto che Bulgaria e Romania hanno aderito all’UE nel corso della
legislatura 2004-2009.
162
Sulle caratteristiche e le differenze dei gruppi politici del Parlamento europeo si rimanda al
prossimo paragrafo.
156 temi da dibattere vengono anche discussi dai gruppi politici e nelle sessioni plenarie,
seguite da tutti i deputati dove il PE esamina la legislazione proposta e vota gli
emendamenti prima di giungere a una decisione sul testo complessivo.
Le commissioni parlamentari sono state in essere dal Parlamento europeo al fine di
predisporre i lavori in seduta plenaria. I lavori legislativi più importanti del
Parlamento sono svolti proprio nell’ambito delle commissioni parlamentari. All’inizio
e poi a metà legislatura, i deputati europei, membri di ciascuna commissione, sono
eletti in funzione della loro appartenenza politica ed esperienza. Il principale compito
delle commissioni permanenti è di dibattere in merito alle proposte di nuove
disposizioni legislative trasmesse dalla Commissione europea e di predisporre rapporti
di iniziativa. Per ogni proposta legislativa o di iniziativa è designato un relatore sulla
base di un accordo tra i gruppi politici che compongono il Parlamento. La sua
relazione è discussa, emendata e votata in seno alla commissione parlamentare e,
successivamente, è trasmessa all'assemblea plenaria, che si riunisce una volta al mese a
Strasburgo per dibattere e votare sulla base della relazione.
Le commissioni permanenti competenti in materia di ICTs sono: la commissione
industria, ricerca e energia, la commissione per la cultura e l’istruzione e infine la
commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni.
La Commissione industria, ricerca e energia (ITRE) ha diverse competenze163, nel
campo delle ICTs essa si occupa in particolare dell’applicazione delle nuove
tecnologie nel campo della politica industriale ed ha una competenza specifica sulla
società dell’informazione e sulle tecnologie dell’informazione e della comunicazione,
compresi la creazione e lo sviluppo di reti transeuropee nel settore delle infrastrutture
delle telecomunicazioni164.
La commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni (LIBE) è
competente per diverse funzioni. In generale si occupa dei diritti dei cittadini, dei
diritti dell’uomo e dei diritti fondamentali, nello specifico per quanto riguarda le
ICTs la competenza è rivolta alla legislazione relativa alla trasparenza e alla protezione
delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali. Uno degli
interlocutori fondamentali per il LIBE in materia di ICTs e protezioni dei dati è
l’European Data Protection Supervisor che si occupa di segnalare alla commissione
competente le problematiche legislative e i fenomeni legati alla circolazione dei dati e
delle informazioni sulle persone.
Infine, vi è la commissione per la cultura e l’istruzione (CULT). Le competenze di
questa commissione vanno dagli aspetti culturali dell’Unione europea ed in
particolare, al miglioramento della conoscenza e della diffusione della cultura e alla
163
Tra le aree di policy della commissione industria, energia e ricerca vi sono temi come la politica
delle PMI e quella industriale; la promozione dell’imprenditorialità, dell’artigianato e dell’economia
sociale; il turismo; la responsabilità sociale delle imprese; le politiche di regolamentazione del mercato
unico; la libera circolazione delle merci; una migliore regolamentazione e riduzione della burocrazia; la
politica industriale per lo sviluppo sostenibile; l’elaborazione e l’attuazione di una politica spaziale
europea; e, infine, le ICTs per la competitività e l’innovazione.
164
Dagli obiettivi della Commissione si apprende che le ICTs sono uno degli elementi più
importanti nel campo della produzione, del lavoro, dei metodi per le attività e per gli scambi
commerciali e nei modelli di consumo tra le imprese e i consumatori.
157 protezione e alla promozione della diversità culturale e linguistica, fino alla politica
nel campo dell’istruzione. Per quanto riguarda la società dell’informazione, le
competenze della commissione cultura e istruzione sono rivolti agli aspetti educativi
della società dell’informazione e dunque alla politica dell’informazione e dei media,
vecchi e nuovi che siano.
3. Gli attori: i gruppi politici, i partiti e i gruppi di interesse
Dopo aver identificato nel Parlamento europeo e nelle commissioni competenti le
arene verso le quali orientare le nostre ipotesi di ricerca bisogna ora indicare quali
sono gli attori e i soggetti politici che, all’interno delle arene, partecipano nella
fattispecie al processo di policy making.
L’individuazione e lo studio degli attori e dei soggetti politici che contribuiscono
alla definizione di una politica pubblica, permettono il riconoscimento dei poteri,
delle organizzazioni e degli interessi coinvolti nelle varie fasi di una politica
(iniziativa, formulazione, implementazione, monitoraggio). Identificare le categorie
di attori più rilevanti in un dato processo di policy significa dunque verificare chi
davvero ha ricoperto ruoli significativi nella fitta trama di consultazioni, pressioni,
negoziazioni, conflitti, boicottaggi che accompagnano la produzione di una politica
pubblica. In questa fitta trama rientrano una serie di categorie che possono essere
raggruppate in due grandi gruppi o classi: basate sulla prevalenza e quelle basate sulla
relazione (Regonini 2001, pp. 316-317).
I primo modelli, quello basato sulla prevalenza, si reggono sulla possibilità di
indicare una categoria dominante di policy makers, sia essa costituita da politici, con le
organizzazione degli interessi, o la burocrazia, nel secondo gruppo, l’obiettivo è
invece quello di ricostruire il reticolo di rapporti che controlla lo sviluppo di una
politica. I primi rappresentano l’anello di congiunzione con le classiche categorie
dell’analisi politologica, le seconde hanno invece un’origine autoctona, essendo nate
proprio per spiegare specifiche vicende di policy. Mentre i modelli basati sulla
prevalenza ci danno rappresentazioni delle varie categorie di attori per quadri distinti
– partiti, gruppi di interesse etc – quelli basati sulla relazione sottolineano invece le
interazioni, la coevoluzione, la bi direzionalità di tutti i flussi di influenza (Ripley e
Franklin 1984).
I modelli basati sulla relazione partono da un semplice presupposto indicato da
Scharpf circa la definizione e l’implementazione delle politiche pubbliche. Secondo
Scharpf (1978), è impossibile che una politica pubblica possa essere il risultato di una
singola categoria di attori, essa è per forza di cose il risultato di una serie di dibattiti,
di incontri, di assemblee e quindi di interazioni tra una pluralità di soggetti, attori o
gruppi politici dotati di precisi interessi, obiettivi o strategie.
Nelle policies per la società dell’informazione il pulviscolo di relazioni alla base del
policy making appare meno complesso di altri settori delle politiche pubbliche, come
ad esempio le politiche per la tassazione o quelle relative al sistema pensionistico.
Nella fattispecie però esse sono il risultato di un processo interattivo che ne rende
complessa la classificazione e la tipologia. Quindi, prima di passare alla dinamica
relazionale e interattiva del processo di policy making è quantomeno opportuno
158 indicare quali sono gli attori e soffermarsi sulla loro composizione.
Il Parlamento europeo è diviso in gruppi politici e il numero minimo di deputati
richiesto per costituire un gruppo politico è fissato in 20 deputati, provenienti da
almeno 6 Stati membri. I membri non sono riuniti in base a schieramenti nazionali
ma secondo sette gruppi politici paneuropei, che rappresentano, fra tutti, i diversi
punti di vista sull’integrazione europea, da quello più fortemente federalista a quello
apertamente euroscettico. Un deputato non può aderire a più gruppi politici e coloro
che non appartengono a nessun gruppo politico vengono collocatoi tra i non iscritti.
I gruppi politici provvedono alla loro organizzazione interna ed eleggono un
presidente - o due co-presidenti nel caso di alcuni gruppi - e un ufficio di presidenza,
dotandosi altresì di una segreteria.
Attualmente al Parlamento europeo esistono sette gruppi politici.
Nei vari gruppi confluiscono oltre cento partiti politici nazionali. Molti gruppi
politici sono legati a partiti organizzati a livello europeo, riconosciuti dal Trattato in
quanto fattori di integrazione che "contribuiscono a formare una coscienza europea e
ad esprimere la volontà politica dei cittadini dell'Unione.
Tabella 7 - Numero di seggi per gruppo politico, aggiornato al 1º settembre 2007
Gruppo politico
Sigla
Numero di
seggi
PPE-DE
278
Gruppo del Partito popolare europeo (Democraticicristiani) e dei Democratici europei
Gruppo socialista
Gruppo dell'Alleanza dei Democratici e dei Liberali
per l'Europa
Unione per l'Europa delle nazioni
Gruppo Verde/Alleanza libera europea
Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica
PSE
ALDE
216
104
UEN
Verdi/ALE
GUE/NGL
44
42
41
Gruppo Indipendenza/Democrazia
IND/DEM
24
ITS
NI
23
13
Gruppo Identità, Tradizione, Sovranità
Membri non iscritti e posti temporaneamente
vacanti
TOTALE
785
Fonte: Parlamento europeo 2008
Tra gli oltre cento partiti afferenti ai diversi gruppi vale la pena elencare quelli più
rappresentativi.
Vi è innanzitutto il Partito Popolare Europeo (PPE), il maggiore partito politico
europeo, formato sostanzialmente da partiti nazionali di matrice democristiana165.
Durante gli anni ‘90 il Partito Popolare Europeo si è aperto a partiti di ispirazione
165
Con 69 partiti membri di 37 nazioni diverse, 16 capi di governi nazionali (di cui 10 dell'UE e 6
extra-UE), 9 membri della Commissione Europea (incluso il Presidente) e il più grande gruppo (il
PPE-DE che conta 264 membri) nel Parlamento Europeo, il PPE è il principale partito europeo.
159 liberale e conservatrice. Recentemente si è alleato con i Democratici Europei,
raggruppamento conservatore animato dal Partito Conservatore britannico, dando
vita al gruppo parlamentare del Partito Popolare Europeo - Democratici Europei
(PPE-DE). Oggi il PPE si autodefinisce come un partito di centro-destra.
Il Partito del Socialismo Europeo (PSE) è invece un partito politico formato da 33
partiti membri e da altri partiti associati appartenenti agli stati dell’Unione Europea e
di altre nazioni europee di ispirazione socialdemocratica e laburista. Con circa 200
membri, il Gruppo Socialista del PSE è il secondo gruppo più consistente del
Parlamento europeo.
Abbiamo poi il Partito Europeo dei Liberali, Democratici e Riformatori
(ELDR)166. L’ELDR è un partito politico europeo con ben 49 partiti nazionali che
fanno riferimento a comuni ideali liberali, democratici e riformatori. Come partito
l’ELDR nacque da una confederazione di partiti politici nazionali esso è oggi un
partito politico riconosciuto e incluso come un’associazione no-profit sotto la
legislazione belga. L'ELDR è il terzo più grande partito politico167
Di natura centrista è invece il Partito Democratico Europeo (PDE) che riunisce
esponenti politici provenienti dall’area del cristianesimo sociale, della
socialdemocrazia e del liberalismo sociale. I deputati del PDE fanno parte del gruppo
dell’Alleanza dei Democratici e Liberali per l’Europa (ALDE/ADLE), insieme a quelli
del Partito Europeo dei Liberali, Democratici e Riformatori (ELDR).
Vi è inoltre, il Partito Verde Europeo (PVE), un partito politico di stampo
ecologista. Vi aderiscono 32 esponenti politici verdi di tutta Europa con un
programma che punta sulle politiche verdi, come le fonti di energia rinnovabili, la
salvaguardia dell’ambiente e dei consumatori, e la tutela delle donne. I membri del
PVE sono distinti dalla cosiddetta sinistra verde nordica, che include partiti rossoverdi dei Paesi del Nord Europa. I Verdi Europei hanno stretto un’intesa con i partiti
regionalisti e nazionalisti dell’Alleanza Libera Europea, costituendo nel Parlamento
europeo un unico gruppo parlamentare denominato Verdi Europei - Alleanza Libera
Europea. L'Alleanza Libera Europea (ALE), noto anche come Partito Democratico
dei Popoli Europei è invece un partito che raggruppa diversi movimenti che
sostengono la politica dell’indipendentismo o simili forme di federalismo o di
autogoverno per la propria regione.
Il Partito della Sinistra Europea (SE), nata come un’associazione di partiti politici
socialisti, verdi e comunisti dell’Europa intera, è stato costituito a gennaio del 2004
con l’obiettivo di presentarsi alle successive elezioni europee. Il Partito della Sinistra
Europea non deve essere confuso la Sinistra Unitaria Europea - Sinistra Verde
Nordica (GUE-NGL), che è il gruppo parlamentare al Parlamento europeo di cui fa
parte essa stessa.
166
Il partito è rappresentato politicamente al Parlamento europeo nel gruppo dell'Alleanza dei
Liberali e Democratici per l'Europa (ALDE), costituito insieme ai centristi del Partito Democratico
Europeo, guidato dal liberaldemocratico britannico Graham Watson. Aderisce all'Internazionale
Liberale.
167
L’ELDR è rappresentato con 62 europarlamentari e 8 membri della Commissione Europea.
160 Vi è poi infine il partito dell'Alleanza dei Democratici Indipendenti in Europa
(ADIE) un partito politico europeo fondato nel 2005 per raggruppare eurodeputati e
movimenti politici indipendentisti di 7 Stati membri168.
Oltre ai gruppi parlamentari e ai partiti politici europei, seguendo la tipologia
proposta da Truman (1951), al processo di policy making partecipano anche i gruppi
di interesse privati, che nel nostro caso possono essere identificati in aziende, grandi
imprese e corporation private. Infatti, le politiche per la società dell’informazione,
come abbiamo visto nei capitoli precedenti, sono fortemente legate al mercato e
all’industria tecnologica, e i gruppi di interesse privati possono dimostrarsi un attore
chiave se si vogliono comprendere i processi di formazione di una determinata policy.
Bisogna comunque sottolineare che un gruppo di interesse è per definizione un
insieme di individui con interessi comuni, in grado di coordinarsi per costituire
un’effettiva organizzazione se e quando le circostanze lo richiedono. Una categoria
che, secondo Lowi (1971), è più utile quando rimane allo stato nascente che quando
si traduce in solide organizzazioni. Sotto il profilo analitico, suggerisce Sartori (1971),
prendere in considerazione i gruppi di interesse non fornisce comunque quella
definizione empirica che ne permetterebbe la sua falsificazione, esso è più un
orientamento che aiuta ad identificare quali proprietà dell’interazione andare a
studiare169.
Ai fini del lavoro di analisi è giusto quindi considerare i gruppi di interesse come
degli attori inclusi nel processo di policy making delle politiche della società
dell’informazione.
Nel prossimo paragrafo ci soffermeremo sulla dinamica che fa da sfondo sia alle
arene che agli attori finora presentati. In particolare ci soffermeremo sulle sessioni
plenarie della V e della VI legislatura, periodo che coincide con la strutturazione dei
primi interventi in materia di società dell’informazione e con le prima pratiche di
partecipazione della cittadinanza ai processi decisionali attraverso le ICTs.
4. Il processo decisionale: le sedute plenarie della V e della VI Legislatura
Ai fini della ricerca si è ritenuto opportuno concentrarsi sulle sessioni plenarie
della V (1999/2004) e la VI (2004/2009) legislatura del Parlamento europeo. La
procedura che ha portato alla scelta delle due legislature è stata fatta sulla base del
periodo, in quanto – come abbiamo sottolineato nei capitoli precedenti – gran parte
degli interventi e delle programmazioni nazionali e sovranazionali sono state avviate
168
In seguito al No espresso, tramite referendum, da Francia e Paesi Bassi all'’attuazione della
Costituzione Europea, i membri fondatori dell'ADIE hanno deciso di dotarsi di una struttura di
cooperazione di scambio autonoma.
169
È curioso notare come il Parlamento europeo, a causa dei numerosi contatti con i gruppi
d’interesse, si sia dovuto dotare di un codice di condotta ad essi destinato. I Questori hanno infatti il
compito di concedere pass nominativi della validità massima di un anno, a quanti desiderino avere
frequentemente accesso ai locali del Parlamento allo scopo di fornire informazioni, nell'interesse
proprio o di terzi, ai deputati nel quadro del loro mandato parlamentare.
161 intorno alla fine degli anni ’90170. Inoltre, si è preferito procedere su entrambe le
legislature giacché entrambe sono state caratterizzate da processi di allargamento e da
una progressiva inclusione di nuovi paesi all’interno dell’Unione171.
Le sessioni plenarie vengono svolte tutti i mesi fatta eccezione per il mese agosto. I
lavori della seduta plenaria si concentrano principalmente sulle discussioni e sulle
votazioni dei testi presentati al Parlamento europeo. Prima di essere posti in
votazione, una testo è dunque oggetto di una discussione durante la quale si
esprimono la Commissione, i rappresentanti dei gruppi politici e i deputati. Gli unici
testi che diventano ufficialmente atti del PE sono quelli obbligatoriamente discussi e
votati dalla maggioranza. Il quorum per votare è raggiunto qualora un terzo dei
deputati sia presente nell'emiciclo. Se il presidente, su domanda di almeno quaranta
deputati, constata che il quorum non è stato raggiunto, la votazione è rinviata alla
seduta successiva.
I testi che vengono discussi si suddividono in diversi tipi a seconda dell’argomento
trattato e della procedura legislativa scelta. Essi sono: le relazioni legislative ovvero i
testi esaminati dal Parlamento nell’ambito delle diverse procedure legislative
comunitarie, ovvero la codecisione, il parere conforme e la consultazione; la procedura
di bilancio, in quanto il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione europea
rappresentano l’autorità di bilancio dell’Unione europea, la quale fissa, per ciascun
esercizio, le spese e le entrate dell'’Unione; infine abbiamo le relazioni non legislative,
esse sono elaborate in seno alla commissione parlamentare competente e mediante
l’approvazione di tali testi, il Parlamento interpella le altre istituzioni e organi
europei, i governi nazionali, nonché i paesi terzi al fine di richiamare l’attenzione su
un particolare argomento e suscitare una loro reazione. Sebbene non abbiano un
valore legislativo, tali iniziative si basano comunque su una legittimità parlamentare
volta a indurre la Commissione a formulare proposte172.
Il lavoro di analisi che segue si concentra su questa ultima tipologia di relazioni,
quelle non legislative, in quanto l’iter procedurale contempla tanto le commissioni
competenti in materia di ICTs quanto i singoli deputati dei diversi gruppi politici
europei.
Le sessioni plenarie sono state selezionate sulla base dell’oggetto delle relazioni
presentate e discusse dal PE. Più precisamente, ci si è concentrati sui testi delle
relazioni che avevano come oggetto di discussione, o voto, temi quali la società
dell’informazione o gli sviluppi di pratiche e interventi tesi a implementare policies
per lo sviluppo delle ICTs in Europa.
Bisogna comunque sottolineare che le procedure di una plenaria contemplano
diversi ed altri momenti, come ad esempio le interrogazioni, le proposte di
170
In particolare si veda il par. 3 del Cap. 4.
Il 1° maggio 2004 l'Unione europea ha accolto in un colpo solo dieci nuovi membri:
Repubblica Ceca, Estonia, Cipro, Lettonia, Lituania, Ungheria, Malta, Polonia, Slovenia e Slovacchia.
Questo evento storico é avvenuto appena un anno dopo il via libera all'ingresso di questi paesi
concesso dal Parlamento europeo, permettendo così ai Parlamenti nazionali di tutti i 25 Stati membri
di ratificare l'adesione.
172
Per approfondimenti si veda il Regolamento del Parlamento europeo reperibile al sito:
www.europarl.europa.eu
171
162 risoluzione o i processi verbali ma il fine del lavoro che segue è identificare la
struttura di relazione che vi è alla base del processo decisionale.
4.1 Le sessioni plenarie della V Legislatura (1999/2004): verso una strategia di
sviluppo inclusiva e condivisa
Una delle prime sessione plenarie sul tema della società dell’informazione
effettuate nella V legislatura è datata 16 Maggio 2000. La relazione fu presentata
dall’onorevole Read (PSE) a nome della Commissione per l’industria, la ricerca e
l’energia, su una comunicazione concernente un’iniziativa della Commissione per il
Consiglio europeo straordinario di Lisbona dei giorni 23 e 24 marzo 2000 - eEuropa
- Una società dell’informazione per tutti (COM(1999) 687 – 2000/2034(COS)) già
precedentemente discussa.
Nella relazione si ponevano gli obiettivi e i tempi destinati a far avanzare al meglio
la società dell'informazione in Europa seguendo in via prioritaria alcuni aspetti
fondamentali, come ad esempio l’esigenza di un’infrastruttura moderna e
multimediale ad alto rendimento, oppure la creazione di condizioni giuridiche per la
certezza del diritto nel commercio elettronico. Inoltre, secondo la commissione
industria, ricerca e energia, l’iniziativa eEurope173 doveva essere accompagnata da una
campagna pubblicitaria ed informativa di ampio respiro e a livello europeo, destinata
ad informare i cittadini europei, di entrambi i sessi, in merito all’utilizzo delle
moderne tecnologie di informazione e comunicazione e, soprattutto, a mettere in
evidenza le grandi possibilità connesse al commercio elettronico.
Brevemente, occorreva promuovere lo sviluppo dell’Europa verso la società
dell’informazione attraverso progetti concreti e a tal fine occorreva prevedere risorse
adeguate nelle linee di bilancio.
Dalla presentazione della relazione fatta dall’onorevole Read si posero alcuni punti
sostanziali ma con esplicito riferimento alla questione sociale relativa allo sviluppo
della società dell’informazione:
Le proposte della Commissione e la risposta del Parlamento riconoscono chiaramente che il
mercato può e deve essere il motore di questo mutamento, anche se non in tutti i casi. Si tratta di
capire quando l’Unione europea deve permettere al mercato di assumere il ruolo guida e quando
invece deve intervenire e regolamentare, specificando in quali casi agire, nell'interesse di chi e per
quanto tempo (Read (PSE) 2000).
In Europa, già da qualche anno, vi era una rilevante corsa alla liberalizzazione del
mercato delle telecomunicazioni. Già nel Libro Bianco di Delors, il mercato era
indicato come volano per le politiche orientate a costruire una società
dell’informazione in Europa174.
Le preoccupazioni in seno a gran parte dei governi nazionali circa il fenomeno del
Digital Divide fece nascere il bisogno di una riorganizzazione delle politiche per la
società dell’informazione e in vista del Consiglio di Lisbona il PE, attraverso la
173
174
Si veda il par. 3 del Cap. 3.
Si veda il par. 1 del Cap. 3.
163 relazione presentata dall’onorevole Imelda Mary Read, mette dunque in discussione il
ruolo strategico del mercato in seno alle policies per la società dell’informazione.
Dalla relazione infatti si apprende che:
La nostra relazione menziona questioni relative alla tutela sociale e alle implicazioni sociali del
mutamento […] riguardano i diritti dei disabili; mi sono ripetutamente consultata sulla necessità di
garantire che alcuni principi fondamentali dei diritti degli utenti disabili e dei disabili sul posto di
lavoro vengano presto incorporati sia in questa relazione sia, spero, nella legislazione futura,
nell'ambito della revisione del 1999 della legislazione sulle telecomunicazioni […] Particolare
importanza avranno le conseguenze occupazionali già prese in considerazione: a questo proposito ho
cercato di raggiungere, per quanto possibile, un equilibrio fra una posizione eccessivamente
allarmistica perché è ovvio che alcuni di questi mutamenti produrranno disoccupazione e le nuove
opportunità di lavoro che essi favoriranno. (Read (PSE) 2000).
Il Partito Socialista Europeo, rappresentati in plenaria proprio dall’onorevole
Read, sin dal principio della legislatura si dichiarò dunque apertamente favorevole ad
una revisione della legislazione in materia di telecomunicazione, troppo rivolta ad un
modello di tipo competitivo e poco incline a sviluppare una strategia inclusiva che
tenesse conto degli strati più esclusi in un sistema di tipo informazionale. In vista del
consiglio di Lisbona, per il PSE era dunque quantomeno opportuno adottare una
visione che tenesse conto del grado di esclusività insito in una società altamente
informatizzata.
Tuttavia un altro membro del PSE, l’onorevole Cercas, sottolineò alcuni limiti
della relazione:
Non si capisce bene in che modo si dividano le responsabilità tra governi e Commissione, né quale
ruolo svolgano i sindacati nella società civile. Vogliamo quindi che siano prese in considerazione
analisi complementari e che si prendano impegni più concreti, che vi sia un punto specifico sul quale
si rafforzi l’occupazione e la coesione sociale nella società dell’informazione - visto che non esiste
niente al riguardo nella comunicazione della Commissione - e che vi sia una strategia con chiare
direttrici, raccomandazioni ed indicatori (Cercas (PSE) 2000).
Ci si interroga quindi sul ruolo dei sindacati e della società civile e sulle
responsabilità che gli attori istituzionali dovevano assumersi nel processo di
informatizzazione della società europea. Si richiedevano chiari linee programmatiche
e interventi precisi capaci di accompagnare l’implementazione della società
dell’informazione.
Dalla discussione in plenaria emerse comunque un sostanziale accordo e una
risposta favorevole alla relazione della commissione industria, ricerca e energia, anche
se con qualche distinguo sui punti relativi alle direttive da seguire.
Come ad esempio, il PPE-DE che, attraverso l’onorevole Niebler, espresse la
propria posizione come gruppo politico sostenendo:
È fuori discussione che le nuove tecnologie porteranno profondi cambiamenti, non solo nel
mondo del lavoro, ma in tutti gli aspetti della vita della società. È anche vero che la transizione dalla
società industriale alla società dell'informazione non può essere arrestata; politicamente è quindi giusto
preparare l’Europa alla società dell’informazione (Niebler (PPE_DE) 2000).
164 Per il PPE-DE era fuori di ogni dubbio sostenere che la società dell’informazione
dovesse fare il suo corso ma le preoccupazioni circa il ruolo inclusivo che l’Europa
doveva assumere espresse dal PSE mancavano di una chiara strategia.
L’onorevole Thors dell’ELDR espresse la posizione del proprio gruppo
parlamentare sottolineando che:
[…] questa iniziativa è importante per rendere ogni autorità preposta a decidere più consapevole
dell'evoluzione in atto, ma anche del fatto che essa ha raggiunto in Europa livelli molto diversi. Ce ne
rendiamo conto anche in base al documento di monitoraggio approntato dalla Commissione.
L'iniziativa è essenziale perché si smetta di dire che gli Stati Uniti sono al primo posto in questo
ambito […] inoltre tenuto in considerazione che i paesi dell'Unione europea sono molto diversi fra
loro e che l'evoluzione è molto rapida. Ciò deve trovare un riscontro nel programma d'azione. E'
inoltre importante che i paesi più avanzati non si vedano intralciati nel loro sviluppo. E' essenziale
chiarire che cosa venga fatto a livello di Unione europea e che cosa venga fatto con fondi comunitari,
ma occorre anche essere pronti a modificare la politica regionale e a convogliare una parte dei fondi di
ricerca verso l'eEurope. (Thors (ELDR) 2000).
Appare evidente dunque che a ridosso del Consiglio di Lisbona tra i gruppi
politici del Parlamento europeo vi era un sostanziale accordo sulle linee di policy
dettate dai membri del consiglio e relazionate dalla commissione competente
attraverso l’onorevole Read.
In effetti, dalla discussione in plenaria furono esplicitate ulteriori preoccupazioni
su temi relativi alla sviluppo della società dell’informazione. Come ad esempio i rischi
dovuti alla sorveglianza elettronica:
Quello di cui abbiamo davvero bisogno è un modello di tutela universale dei dati. Invece, la
Commissione e parti del Parlamento europeo propongono una smart card, una carta nella quale
sarebbero registrati tutti i dati. Il sistema sanitario sarebbe quindi a conoscenza delle vostre tendenze
omosessuali, il vostro datore di lavoro sarebbe sempre informato sulle malattie avute da voi in passato,
su quelle che probabilmente vi colpiranno in futuro ed anche sulla storia medica della vostra famiglia.
Significherebbe fare un passo in più in direzione dell'uomo di vetro, cioè verso una sempre maggiore
ingerenza dello Stato nella sfera privata. Con questa misura si pianifica deliberatamente un'ulteriore
importante riduzione dei diritti fondamentali, e la si applica a livello europeo (Schröder, Ilka
(Verts/ALE) 2000).
Oppure alla mancata regolamentazione del commercio elettronico:
Inoltre, alla luce del diverso grado di sviluppo dei vari Stati, avanzo riserve nei confronti dei
programmi e delle campagne di informazione condotte a livello comunitario. eEurope è molto più che
mero commercio elettronico (Thors (ELDR) 2000).
E ancora:
[…] dobbiamo creare al più presto le condizioni giuridiche quadro per il commercio elettronico.
Per questo devono essere adottati rapidamente i progetti legislativi in sospeso, come per esempio la
direttiva sul commercio elettronico oppure quella sulla tutela del diritto d'autore. Nell'’attività
legislativa è necessario procedere con cautela, per evitare l'eccesso di regolamentazione: in futuro,
prima di elaborare un progetto di risoluzione ci si dovrà chiedere se esso sia veramente necessario
(Niebler (PPE-DE) 2000).
165 Questa sessione plenaria di preparazione in vista del Consiglio di Lisbona del
2000 ha dunque un doppio valore analitico. Innanzitutto, perché apre ufficialmente
il dibattito nella V Legislatura circa il ruolo e le funzioni della società
dell’informazione e i suoi rivolgimenti sociali, politici ed economici, inoltre, ben si
presta a rappresentare gran parte delle policies che per tutto il quinquennio sono state
avviate e strutturate in Europa e nei vari contesti nazionali.
I temi sollevati in plenaria infatti sono molteplici, si va diritti di cittadinanza
elettronica, alla regolamentazione del commercio elettronico, dalle strategie di
inclusività degli have-nots fino alla riaffermazione delle strategie di liberalizzazione del
sistema del telecomunicazioni europeo175.
Fina di suoi primi passi dunque la V Legislatura aveva già indicato il percorso che
avrebbe seguito per tutto il quinquennio. Infatti, l’orientamento verso una strategia
inclusiva da parte dell’Unione Europea è ben evidente in gran parte delle relazioni
sulla società dell’informazione presentate e discusse dal PE. Infatti, nel giugno del
2001, e quindi un anno dopo il Consiglio di Lisbona, la commissione industria,
energia e ricerca in cooperazione con la commissione per lo sviluppo (DEVE)176
presentò una relazione non legislativa al PE dal titolo Sulle tecnologie dell'informazione
e delle comunicazioni (ICT) e i paesi in via di sviluppo.
La relatrice, l’on. Dybkjær (ELDR), espresse così le esigenza e le motivazioni alla
base della relazione:
Lo sviluppo di tali tecnologie promuove una forte crescita economica nei paesi industrializzati, ma
rischia anche di emarginare ulteriormente i paesi in via di sviluppo a causa del mancato accesso sia alle
conoscenze favorite da tale sviluppo sia alle stesse tecnologie. Le possibilità che tali tecnologie offrono e
il rischio di un’ulteriore emarginazione sono la base di questa relazione di iniziativa. Il punto portante,
l’argomento che sottende la relazione è che le ICTs sono una chance per compiere un salto di qualità
nei paesi in via di sviluppo (Dybkjær (ELDR) 2001).
Dalla relazione emergeva dunque una forte continuità con le priorità espresse nelle
precedenti sessioni plenarie dalla commissione industria, ricerca e energia, ma con un
ottica globale di responsabilizzazione circa il ruolo e le funzioni delle ICTs e delle
relative opportunità offerte dalla società dell’informazione. Del resto fu stesso la
relatrice a sottolinearne la continuità:
Credo che in questo senso il Parlamento sia in sintonia con il Consiglio, che già nel 1997 aveva
chiesto alla Commissione di elaborare una relazione sull’esperienza in materia di ICTs nei paesi in via
di sviluppo e nel novembre 2000 ha sollecitato la Commissione a presentare una comunicazione sul
“digital divide”, il divario digitale (Dybkjær (ELDR) 2001).
175
I punti presentati dalla relazione, che nella fattispecie riguardavano «questioni relative alla tutela
sociale e alle implicazioni sociali del mutamento» (Read (PSE) 2000), trovarono un sostanziale accordo
da tutti i gruppi parlamentari. La votazione ebbe un esito quasi unanime, vi furono solo 3 voti
contrari.
176
Nella seduta del 18 gennaio 2001 il PE annunciò che la commissione per lo sviluppo e la
cooperazione, pur non essendo competente in materia, fu stata autorizzata a redigere una relazione
sulle tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni (ICTs) e i paesi in via di sviluppo ed era stato
chiesto alla commissione per l'industria, il commercio estero, la ricerca e l'energia di dare il suo parere.
Il 21 marzo 2001 la commissione per l'industria, la ricerca e l'energia deliberò però di non esprimere
un parere in merito alla relazione.
166 È interessante notare come su un punto di programmazione, come quello relativo
al rilancio di una strategia globale di informatizzazione dei paesi in via di sviluppo,
nelle prospettive del PE vi sia stata una sostanziale continuità con le politiche tese a
sviluppare la società dell’informazione sul piano europeo.
La strategia inclusiva ribadita dalla relazione della commissione sviluppo e
cooperazione ha forti punti in comune con quelle lanciate dalla commissione
industria, ricerca e energia e ribadite nell’ambito delle programmazioni nazionali di
quel periodo177. Emerge dunque una consapevolezza sul piano delle strategie rivolte
allo sviluppo di un modello inclusivo che superasse quello che aveva caratterizzato le
politiche pubbliche per la società dell’informazione a partire dal Rapporto
Bangemann in poi.
Tale consapevolezza è ampiamente ribadita nella plenaria tenutasi l’11 febbraio del
2003 e che aveva come ordine del giorno la discussione di ben 4 relazioni178 tutte
nate ancora in seno alla commissione per l’industria, la ricerca e l’energia.
Il relatore, l’olandese van Velzen (PPE-DE), nella sua esposizione chiarì subito i
punti fondamentali della discussione:
Nella relazione si distingue fra informazioni di altro tipo e informazioni di base. Le informazioni di
base sono le informazioni di cui ogni cittadino ha bisogno per operare in uno Stato costituzionale
normale. Tali informazioni devono essere assolutamente accessibili al cittadino gratuitamente, così che
possa esercitare i propri normali diritti di cittadino. […] dobbiamo avere un piano eEurope ben
strutturato, che sia pronto per il prossimo Consiglio europeo. Sono a favore di un’attuazione rapida e
armonizzata del nuovo quadro normativo e sono ben contento che la Commissione europea abbia oggi
finalmente lanciato la task force per la sicurezza della rete d’informazione.
I punti toccati dal relatore riprendono dunque in parte le osservazioni fatte in
senso alla commissione industria, ricerca e energia già nelle plenarie precedenti. Il
fatto di porre l’accento nuovamente sui diritti di cittadinanza, sulla sicurezza in rete e
sulla attuazione di un piano di regole comuni, e ampiamente condivise dai diversi
Stati membri, sottolinea la politics che si è voluta imprimere alla legislatura sul tema
della società dell’informazione.
A rincarare la dose infatti ci sono i diversi interventi fatti in discussione della
plenaria dai diversi gruppi parlamentari.
Come ad esempio l’intervento dell’onorevole Paasilinna del Partito Socialista
Europeo, anch’esso relatore:
177
Si vedano in particolare i par. 4.2, 4.3 del Cap. 3.
Le relazione all’ordine del giorno erano:
sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al riutilizzo dei
documenti del settore pubblico e al loro sfruttamento a fini commerciali (COM(2002) 207 – C50292/2002 – 2002/0123(COD));
- sulla completa introduzione delle comunicazioni mobili di terza generazione [2002/2240(INI)];
- sulla comunicazione della Commissione: eEurope 2005: una società dell’informazione per tutti
(Piano d’azione da presentare per il Consiglio europeo di Siviglia del 21 e 22 giugno 2002)
[2002/2242(INI)];
- sulla comunicazione della Commissione sugli effetti dell’e-economia sulle imprese europee:
analisi economica e implicazioni politiche[COM(2001) 711 – C5-0285/2002 – 2002/2145(COS)]..
178
167 Benché la digitalizzazione e l’uso della rete offrano un’ampia gamma di opportunità di sviluppo,
hanno anche portato a un divario a livello mondiale fra gli abitanti dei paesi ricchi e quelli dei paesi in
via di sviluppo […] l’introduzione della tecnologia dell’informazione ha portato a una revisione delle
mansioni: molti posti di lavoro sono stati tagliati e persone di mezza età hanno perso il loro impiego.
Per di più, questa fascia di persone che si trova in una posizione più debole rischia di subire una
doppia discriminazione, in quanto è stata emarginata dalla società dell’informazione. Non vedo alcuna
facile alternativa: qui si trova la nostra sfida più grande.
Il PSE dunque ribadisce la priorità di armonizzare lo sviluppo tecnologico alla
questione sociale che in quegli anni si poneva con forza nel dibattito politico.
Dall’intervento, e dalla relazione, dell’on. Paasilinna emergeva però una novità che
nelle precedenti plenarie prese in esame non era state dibattuta come un punto di
discussione fondamentale da mettere agli atti.
Infatti, secondo l’on. del PSE:
L’infrastruttura delle reti è anche diventata uno strumento politico. Accresce le opportunità di
azione politica e, speriamo, di influenza. Sono soddisfatto del piano d’azione eEurope 2005 della
Commissione, perché grazie ad esso si aumenteranno gli investimenti, allo scopo di creare posti di
lavoro e dare a tutti l’opportunità di partecipare alla società dell’informazione.
Porre l’accento sulle reti come strumento di azione politica diviene così un
riconoscimento formale da parte del PE circa l’uso delle ICTs come strumenti per la
partecipazione, la mobilitazione e la deliberazione politica. Il PSE dunque, attraverso
la relazione dell’on. Paasilina, evidenziò le opportunità e il potenziale politico
impresso nelle ICTs verso il quale il PE e i diversi governi nazionali dovevano
cominciare a fare i conti e procedere ad attuare strategie di intervento.
Nel dibattito politico europeo cominciò dunque ad emergere il ruolo delle ICTs
come strumento utile per la partecipazione politica, argomento che poi negli anni
successivi sarà ampiamente ripreso dalle linee di azione e dalla programmazione
nazionale, come nel caso della quarta linea di azione della II fase per l’e-government in
Italia179 o come il portale Estone per la partecipazione dei cittadini alla definizione
delle politiche pubbliche nazionali180.
La plenaria discussa però riflette un ulteriore punto di argomentazione che pone
in questione il modello di sviluppo inclusivo. Infatti, all’ordine del giorno vi era
anche la discussione in merito all’adozione di strumenti di comunicazione mobile di
terza generazione (3G). Un punto che portò il piano del dibattito su un nodo cruciale
alla base dello sviluppo della società dell’informazione in Europa: il ruolo dei gruppi
di interesse.
Le considerazioni fatte dai diversi gruppi parlamentari riflettono un diverso
atteggiamento in merito alle priorità da adottare circa lo sviluppo delle tecnologie
3G. Nella fattispecie però gran parte delle osservazioni riguardavano il rapporto
179
Sulla quarta linea di azione della II fase per l’e-government in Italia si veda il paragrafo 2 del
quarto capitolo.
180
Per approfondimenti sullo sviluppo delle pratiche partecipative in Estonia si veda il par. 4.5 del
Cap. 3.
168 pubblico/privato e la regolamentazione che fa da sfondo alle forze di mercato nel
campo delle politiche pubbliche per la società dell’informazione.
A seguito delle consultazioni con le parti interessate dall’introduzione delle comunicazioni mobili
3G, è stato raggiunto un consenso su tre punti. In primo luogo, la fase di introduzione dei servizi 3G
non esige un intervento a livello legislativo. Occorre lasciare che le forze di mercato operino
liberamente. In secondo luogo, le comunicazioni 3G dovranno a lungo termine diventare una delle
piattaforme dei servizi forniti da una società dell’informazione mondiale. Infine, le autorità pubbliche
devono fornire un sostegno costante nel processo di introduzione. Sono stati quindi individuati tre
fattori: un ambiente normativo stabile, armonizzato e trasparente, che tenga conto degli interessi dei
consumatori; il ruolo proattivo di sostegno che l’Unione europea può apportare e, terzo, iniziative a
lungo termine che tengano conto di quanto si è prodotto nel settore delle comunicazioni 3G, in
particolare in una prospettiva di allargamento. E’ necessario dunque potenziare la coordinazione di
tutte queste decisioni (Auroi (Verts/ALE) 2003).
Tutto ciò però in linea con le linee di sviluppo che avevano fino a quel momento
caratterizzato tutto l’arco della legislatura:
In generale, l’accesso ai servizi 3G deve essere chiaro per tutti e si devono tutelare gli utenti che
hanno difficoltà: ad esempio bambini e disabili hanno probabilmente bisogno di pacchetti specifici.
Infine, occorre proteggere la sicurezza dei pagamenti, altrimenti mancherà la fiducia del consumatore
nel sistema […] l’impianto di antenne ripetitrici 3G dovrà effettuarsi nel rispetto dell’ambiente e
dell’urbanistica. Gli Stati membri garantiranno che le autorizzazioni urbanistiche siano oggetto di una
procedura chiara, che preveda un’inchiesta pubblica. Per le comunicazioni di terza generazione
occorrerà un numero di antenne da quattro a sedici volte superiore a quello necessario per la 2G.
Pertanto, la ubicazione o la condivisione delle antenne, come raccomandato dalla Commissione, è
estremamente importante (Auroi (Verts/ALE) 2003).
Dall’intervento dell’on. Auroi si legge dunque la necessità della UE di badare, in
generale, al ruolo che le forze di mercato hanno nello sviluppo di un sistema
altamente informatizzato e, nello specifico, all’importanze che i gruppi di interesse
privato – corporations, grandi aziende del settore informatico e delle telefonia, imprese
etc – hanno nella definizione e la formazione delle politiche pubbliche in materia di
ICTs. In particolare, l’esigenze di lasciare che il mercato non venga frenato da
interventi legislativi evidenzia la necessità di non abbandonare le prospettive di
liberalizzazione del mercato delle telecomunicazione che avevano caratterizzato tutta
la prima fase di implementazione della società dell’informazione in Europa.
Viceversa, se vi deve essere un intervento da parte dell’UE esso doveva essere
effettuato in linea con le esigenze di riduzione del Digital Divide e coerente con le
norme in materia di politiche ambientali e di ri-progettazione di un piano urbano che
tenga conto delle esigenze dei cittadini/consumatori.
Altro importante elemento nel dibattito sul rapporto pubblico/privato riguarda il
ruolo delle nazioni e dei singoli interventi per regolamentare tale rapporto:
E’ già stato detto che il trasferimento di miliardi dal settore privato a quello pubblico è stato
disastroso per il settore delle telecomunicazioni mobili. Ciò significa che non occorre adesso imporre
alcuna normativa non necessaria. Potrebbe comunque essere necessario un intervento per garantire la
concorrenza. Anche in questo caso però occorre assicurare condizioni di parità. Nessuna misura
unilaterale da parte degli Stati membri per alleggerire l’onere degli operatori del settore mobile. Non si
può avere una situazione in cui la Francia concede sconti sulle licenze e altri Stati membri rinnovano le
169 licenze. Ritengo che la Commissione debba avanzare misure chiare per garantire tali condizioni di
parità (Plooij-van Gorsel (ELDR) 2003).
Le esigenze dei mercati nazionali dovevano dunque avere un ruolo secondario sul
piano della discussione sul ruolo del mercato nelle policies per la società
dlel’informazione. Questa prospettiva sovranazionale è perfettamente in linea con
quanto esplicitato dalla Commissione Delors fino alla fine del suo mandato.
Vale la pena di riflettere sul fatto che fra qualche settimana avremo i primi servizi commerciali di
terza generazione in uno dei principali paesi. Saranno forniti da un nuovo investitore sul mercato, non
legato in alcun modo alle aziende già presenti. Un nuovo investitore ha effettuato un investimento
commerciale sul mercato. Ricordiamoci che l’economia della conoscenza sarà guidata da investimenti
privati. E’ da qui che verrà la maggior parte del denaro. Da qui verranno anche l’innovazione e la
tecnologia (Harbour (PPE-DE) 2003).
Abbiamo quindi, in questa fase della legislatura, un doppio modello di sviluppo
della società dell’informazione: un modello competitivo/liberale, orientato a seguire il
percorso di liberalizzazione indicato sugli inizi degli anni ’90, e un modello di sviluppo
inclusivo, frutto e risultato dei meccanismi di esclusione insiti in un sistema di tipo
informazionale.
Tale progresso offre anche opportunità di sviluppo. L’informazione e la conoscenza costituiscono
in questa società la materia prima e la fonte di nuove ricchezze. Stabilire un nesso fra le due al fine di
renderle accessibili significa aumentare il potenziale di innovazione esistente. E’ fondamentale,
tuttavia, che la politica pubblica dell’Unione europea accompagni lo sviluppo di tali mercati
controllando i benefici di tale evoluzione. Il primo imperativo è dunque assicurare che nessun
cittadino sia escluso dalla società dell’informazione, poiché prendere misure per quanto riguarda i
servizi pubblici e l’interesse pubblico significa, in un certo senso, usare le tecnologie dell’informazione
nello sviluppo delle comunità e del territorio (Zrihen (PSE) 2003).
A questo punto però è importante sottolineare un elemento. Gli interventi nelle
sessione plenarie finora esaminate sono quasi tutte caratterizzate da una bassa
conflittualità. I diversi gruppi parlamentari sul tema società dell’informazione
rispondevano quasi tutti alle stesse preoccupazioni relative al ruolo del settore
pubblico, al rapporto da strutturare con i gruppi di interesse privato –attraverso
normative e regolamenti - e ai rischi di esclusione elettronica, di privacy e trasparenza
degli atti governativi.
Un punto che ci dimostra come l’arena delle commissioni competenti, che
precede quella del Parlamento europeo in termini di deliberazione e voto, è quella
che decide realmente i punti da discutere in parlamento sul tema in questione. È lì
che vengono decise le posizioni dei diversi gruppi parlamentari sul tema, è lì che
vengono espresse le perplessità e vengono ridotte le problematiche da mettere in
sessione plenaria sul tavolo della discussione. Con questo però non vogliamo
affermare che il PE è svuotato dalle sue funzioni, anzi, attraverso gli emendamenti e il
voto finale il PE si assicura il potere di veto su una questione o su un tema.
Questa sostanziale bassa conflittualità è evidente non solo a ridosso ma anche
subito dopo eventi importanti come ad esempio il Primo Vertice mondiale sulla società
dell’informazione tenutosi dal 10 al 12 dicembre del 2003 a Ginevra dove vi presero
170 parte circa 11.000 , considerato come un successo multilaterale, e dove fu prodotta
una dichiarazione di intenti e un piano d’azione.
A questo punto, sotto il profilo dell’analisi policy makig, è interessante notare
l’atteggiamento della UE in relazione alla documentazione prodotto dal Vertice e
l’orientamento della discussione era chiaro già dalla presentazione fatta dal
Commissario al Bilancio Schreyer:
Tali documenti rappresentano un’interpretazione comune del concetto di società
dell’informazione, valido per tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite e che si ispira ampiamente alla
politica comunitaria sulla società dell’informazione per tutti. I contributi forniti dall’Unione europea
alle varie fasi dei lavori preparatori del Vertice si sono sempre basati su posizioni concertate dalla
Commissione, d’intesa con gli Stati membri e la Presidenza e, nei negoziati, tali contributi sono
sempre stati presentati dal Presidente del Consiglio competente a nome dell’UE dei 15 più 10.
(Schreyer 2003).
Anche i primi interventi dei diversi gruppi parlamentari esprimevano un parere
favorevole a quanto intrapreso al Vertice di Ginevra:
Il punto più importante su cui dobbiamo riflettere è che non abbiamo solamente una dichiarazione
politica, ma disponiamo anche di un piano d’azione e nei prossimi due anni potremo compiere
progressi reali e dimostrabili prima del prossimo Vertice a Tunisi. In vista delle complesse discussioni
multilaterali che si dovranno svolgere, però, il tempo non è molto. Ci troviamo dinanzi alla grande
sfida di dimostrare che l’Unione europea e gli Stati membri stanno affrontando seriamente la necessità
di applicare ed estendere ai paesi in via di sviluppo i vantaggi delle tecnologie dell’informazione e della
comunicazione (Harbour (PPE-DE) 2003).
L’on Zorba del PSE:
[…] insieme a tutte le tematiche discusse a Ginevra, ci aspettiamo che continuino altre iniziative
importanti, come la promozione dell’Osservatorio mondiale sui mezzi di comunicazione e la nuova
Agenzia europea per la sicurezza che dovrebbe essere attivata all’inizio del 2004. Si tratta di strumenti
necessari per affrontare una situazione nuova. Tuttavia, vi è anche tutta una serie di interrogativi che
richiedono una risposta, fra cui la democrazia elettronica è forse il tema principale […] Al contempo,
però, siamo interessati anche ai temi dell’istruzione, della sanità, della proprietà intellettuale, della
sicurezza, dei diritti umani e delle prassi economiche e sociali, ognuno dei quali richiede un proprio
quadro operativo all’interno dell’ambiente digitale, e le risposte non sempre sono facili (Zorba
(PSE) 2003).
L’on. Thors del gruppo ELDR:
E’ positivo che il documento finale contenga norme sulla libera concorrenza, sui valori, sui metodi
e sulla neutralità della tecnologia, il che dimostra il successo dell’Europa nella creazione di una società
dell’informazione. Come di solito accade nelle conferenze internazionali, il piano d’azione e il
documento conclusivo contengono inoltre molte dichiarazioni solenni sulle modalità di sviluppo e di
aiuto per i paesi in via di sviluppo (Thors (EDLR) 2003).
Anche il gruppo parlamentare Verde/Allenaza libera Europea esprimeva la propria
soddisfazione sul Vertice e sul piano d’azione:
171 il Vertice mondiale sulla società dell’informazione è un’iniziativa positiva. La società
dell’informazione è sinonimo di libertà, libertà di informazione, libertà di diffusione delle
informazioni, ed è proprio qui che sorge un problema: una libera società dell’informazione che si
riunisce a Tunisi per discutere di libertà è come un bambino che viene mandato nella gabbia dei leoni
per imparare a mangiare (Cohn-Bendit (Verdi/ALE) 2003).
In generale dunque, sulla scia dell’euforia dovuta al successo del Vertice di
Ginevra sulla società dell’informazione, il PE attraverso i gruppi parlamentari esprime
una sostanziale soddisfazione sui temi discussi al vertice e un accordo sul piano
d’azione sia nelle sue linee strategiche e programmatiche che sul piano della
definizione dei ruoli e delle responsabilità.
Qualche appunto è stato fatto sulla ripartizione degli investimenti che
inevitabilmente avverrà in seguito al lancio del piano d’azione:
Il problema attuale è che abbiamo un piano d’azione per i prossimi due anni in base al quale
verranno convogliate decine di miliardi ai paesi in via di sviluppo per potenziare la società
dell’informazione. Credo che la Commissione europea, signora Commissario, dovrebbe fare molta
attenzione al modo in cui si utilizzeranno in fondi in questione, subordinandone cioè l’utilizzo ad
aperture e a passi concreti dal punto di vista del libero mercato, della democrazia e dei diritti
fondamentali (Cappato (NI) 2003).
Emerge quindi nuovamente le problematiche inerenti al rapporto da intraprendere
con i gruppi di pressione e i relativi processi di liberalizzazione del mercato delle
telecomunicazioni. Come fa notare anche l’on. Rübig del PPE/DE:
Sappiamo tutti che la commissione per l’industria, il commercio estero, la ricerca e l’energia ha
promosso attivamente Internet e la liberalizzazione delle telecomunicazioni in Europa. In questo
ambito l’Europa ha assunto un ruolo di primo piano a livello mondiale. Credo inoltre che dovremmo
rendere un omaggio al processo di globalizzazione promuovendo anzitutto la libera concorrenza
[…]Credo che in futuro dovremo assolutamente partecipare a questi forum internazionali e garantire
che siano istituite le infrastrutture necessarie per le piccole e medie imprese.
E ancora sul ruolo del mercato l’on. Virrankoski:
Una società dell’informazione equilibrata non può svilupparsi se è trainata solamente dal mercato.
La società civile deve essere coinvolta nello sviluppo e nella costruzione delle infrastrutture. Dobbiamo
garantire che le fasce meno abbienti, i giovani e coloro che sono a rischio di emarginazione siano in
grado di utilizzare questi servizi. A livello regionale dobbiamo garantire che le reti raggiungano anche
le regioni periferiche e scarsamente popolate. Deve essere fatto debito uso dei Fondi strutturali
comunitari.
L’intervento però più rappresentativo della seguente plenaria, e forse della intera
legislatura, è stato formulato dall’on. Karamanou del PSE:
Purtroppo il dibattito pubblico sullo sviluppo e sulle conseguenze delle nuove tecnologie finora si è
concentrato principalmente sulle ripercussioni economiche, ignorando l’analisi che concerne i temi
della democrazia e della dimensione di genere; pertanto le questioni della tecnologia vengono
erroneamente considerate “neutrali” rispetto alla democrazia e al genere. La mancanza di accesso alle
nuove tecnologie e l’analfabetismo digitale, però, si stanno sempre più traducendo in nuove forme di
esclusione sociale in cui le donne sono soggetti direttamente a rischio (Karamanou (PSE) 2003).
172 In effetti, proprio a partire dalle considerazioni fatte in plenaria dall’on
Karamanou si possono ricostruire, come accennato durante il paragrafo, le linee
tracciate in materia di politiche pubbliche durante l’intera V Legislatura.
L’inizio della V legislatura è conciso con momenti importanti sul piano
dell’implementazione della società dell’informazione. Infatti l’inizio del nuovo secolo
ha portato con sé importanti trasformazioni sul piano delle politiche per la società
dell’informazione, sia sul versante nazionale che sul piano europeo. Si pensi al già
citato Consiglio di Lisbona e all’attivazione tra il 2000 e il 2003 dei piani di azione
nazionali su quasi tutto il territorio europeo.
Come già costatato nei precedenti capitoli, e in particolare nel terzo, attraverso
l’analisi comparata dei diversi piani di azione, l’approccio usato dai diversi paesi
membri presi in esame era basato su un approccio programmatico di tipo citizencentric, almeno sul piano infrastrutturale, ma con un’attenzione particolare alle
dinamiche connesse ai processi di liberalizzazione che governavano i processi
economici.
Nella V Legislatura si è dunque davanti ad una svolta sotto il profilo dei modelli
di sviluppo delle politiche pubbliche. Il modello competitivo, affermatosi nei primi
anni ’90, viene gradualmente connesso alle dinamiche relative alle proposte di
maggiore inclusività del sistema informazionale e alla regolamentazione dei rapporti
tra il pubblico e il privato. Temi come Digital Divide, diritto all’accesso, diritto alla
privacy, sorveglianza elettronica, trasparenza degli atti governativi entrano nella
discussione politica ai livelli più alti del sistema istituzionale europeo ma,
parafrasando l’intervento dell’on. Karamanou, il dibattito della V legislatura era
troppo sbilanciato a comprendere, spiegare e trovare soluzioni tenendo ancora il
mercato come unità elementare di riferimento.
4.2 La VI Legislatura: dal government alla governance. Verso le politiche pubbliche
per la democrazia e la cittadinanza elettronica
La VI Legislatura del Parlamento europeo è cominciata a cavallo tra le procedure
di valutazione della strategia di Lisbona, fatte a metà del 2004, e il rilancio della stessa
per il quinquennio 2005/2010181. Un periodo nel quale gli attori politici e le
istituzioni interessate ai processi di intervento e di strutturazione delle pratiche per la
società dell’informazione vivevano una profonda revisione delle proposte fino a quel
momento avanzate ed attuate. Inoltre, a questa riorganizzazione delle policies in
materia di ICTs, vanno associate anche le procedure di allargamento dell’UE182, le
quali inevitabilmente avrebbero inciso sulle posizioni nazionali nei confronti delle
politiche pubbliche europee, e non solo quelle relative alla società dell’informazione.
181
Si veda il paragrafo 3 del terzo capitolo, in particolare si leggano le implicazioni riportate dal
Kok Report.
182
Il 1° maggio 2004 l'Unione europea ha accolto in un colpo solo dieci nuovi membri:
Repubblica Ceca, Estonia, Cipro, Lettonia, Lituania, Ungheria, Malta, Polonia, Slovenia e Slovacchia.
Questo evento storico é avvenuto appena un anno dopo il via libera all'ingresso di questi paesi
concesso dal Parlamento europeo, permettendo così ai Parlamenti nazionali di tutti i 25 Stati membri
di ratificare l'adesione.
173 Riprendendo a questo punto le discussioni plenarie della VI Legislatura sul tema
della società dell’informazione, queste preoccupazioni sono evidenti sin dalle prime
sessioni. Infatti, il 22 giugno 2005 durante una plenaria che aveva all’ordine del
giorno la discussione sulla relazione Società dell’informazione, presentata
dall’onorevole Catherine Trautmann, a nome della commissione per l’industria, la
ricerca e l’energia, emersero determinate questioni, apparentemente controverse, che
dovevano essere chiarite per una buona ri-organizzazione delle pratiche in materia di
ICTs per tutta la durata della VI Legislatura.
La mia relazione riguarda il Vertice mondiale sulla società dell’informazione, un processo iniziato
dalle Nazioni Unite. La prima fase si è tenuta a Ginevra nel 2003 e si è conclusa con l’adozione di una
dichiarazione di principi e un piano d’azione. La seconda fase, che si svolgerà a Tunisi il prossimo
novembre, si concentrerà sull’attuazione del piano e su due questioni rimaste insolute: il
finanziamento del piano d’azione e la governance di Internet […] l’aspetto da sottolineare è il
contributo delle ICTs alla democrazia. Si tratta di uno strumento essenziale per ridurre le
disuguaglianze e promuovere la dignità della persona, oltre che per garantire la libertà d’espressione, di
informazione, il pluralismo di opinioni e la partecipazione dei cittadini al processo decisionale
(Trautmann (PSE) 2003).
In questa Legislatura il PE si trova dunque davanti a temi che, nell’arco di un
modello inclusivo di società dell’informazione, cominciavano a diventare centrali. Ci
si pone davanti allo scenario, già ampiamente dipinto dalla ricerca accademica
(Barber 1985, Grossmann 1980, Rodotà 1997, Abramson, Arterton, Orren 1998,
Dutton 2001), circa le potenzialità democratiche e le opportunità di partecipazione
offerte dalle ICTs.
La riflessione politica, sempre nell’ottica di un modello inclusivo, comincia
dunque a spostare il proprio interesse verso i processi di democratizzazione della
società dell’informazione.
Per questo le tecnologie dell’informazione rappresentano un elemento cardine per costruire una
società più ricca culturalmente e più coesa. La società dell’informazione dev’essere aperta a tutti: un
elemento di democrazia che tenga conto delle diversità culturali e che favorisca la partecipazione dei
cittadini, attori e non soltanto consumatori (Guidoni (GUE/NGL) 2005).
Anche da parte del PSE le priorità sono:
[…] la società dell’informazione deve essere aperta a tutti e che l’istruzione, la formazione e
l’alfabetizzazione digitale sono settori prioritari per creare una società dell’informazione inclusiva che
contribuisca al superamento del divario digitale e garantisca un accesso equo alle tecnologie di base,
agevolando altresì la partecipazione dei cittadini al processo politico e decisionale allo scopo di
rafforzare la democrazia, pur proseguendo nella direzione stabilita dalla strategia di Lisbona (Badía i
Cutchet (PSE) 2005).
È interessante notare come i paesi neo-comunitari appaiano particolarmente
interessati alle tematiche della democrazia attraverso le ICTs:
L’e-apatia rappresenta uno degli ostacoli. In Ungheria, ad esempio, solo un adulto su quattro usa
regolarmente Internet, mentre la grande maggioranza di chi non lo utilizza insiste di non averne
bisogno o, semplicemente, di non esserne interessata. Non si tratta di un esempio a sé stante, perché la
percentuale è simile nella maggior parte dei nuovi Stati membri. […] Tutto ciò potrebbe ovviamente
comportare uno squilibrio nel rapporto tra vecchi e nuovi Stati membri: è nell’interesse comune
174 evitarlo e rafforzare la coesione anche in questo settore. Occorre quindi fare il possibile per
promuovere l’e-inclusion garantendo una comunicazione più chiara, solida e comprensibile di quanto
fatto finora.
A fare questa dichiarazione è l’on Gyürk del PPE-DE, ovviamente di nazionalità
Ungherese, ma non è l’unico a premere per una maggiore attenzione da parte del PE,
e delle commissione competenti, circa le prospettive di sviluppo della società
dell’informazione nei paesi neocomunitari:
Anche il governo bielorusso è ben cosciente del potenziale ruolo di Internet nello sviluppo della
società civile e della democrazia, e usa ogni mezzo a sua disposizione per frenarne la crescente
popolarità (Sonik (PPE-DE) 2005).
Infatti, sugli inizi del 2005 i paesi neo-comunitari, tranne qualche eccezione183,
accusavano un grave ritardo in quasi tutti i settori delle ICTs, fino al punto che
alcuni governi non avevano ancora aziende sul territorio interessate a fornire
privatamente servizi. Una situazione ben delineata dal deputato Sonik del PPE-DE:
Il governo bielorusso è ben cosciente del potenziale ruolo di Internet nello sviluppo della società
civile e della democrazia, e usa ogni mezzo a sua disposizione per frenarne la crescente popolarità. La
situazione in Bielorussia, inoltre, è caratterizzata dal fatto che lo Stato è l’unico fornitore di servizi
Internet, poiché nel paese non esistono altri operatori aventi accesso a servizi esterni di
telecomunicazione. Il ministero delle Comunicazioni bielorusso richiede a tutti gli utenti Internet di
dotarsi di un’autorizzazione per il modem al costo di 20 dollari, benché il reddito mensile medio pro
capite sia pari a 60 dollari. Non si può non giungere alla conclusione che le nostre attività devono
concentrarsi anche su questi aspetti (Sonik (PPE-DE) 2005).
Come già detto precedentemente, tutto ciò avveniva nella cornice internazionale
che contemplava tanto il rilancio della Strategia di Lisbona quanto il Vertice
mondiale sulla società dell’informazione tenutosi a Tunisi a Novembre del 2005 a
Tunisi.
Bisogna sottolineare che il graduale spostamento della riflessione del PE e delle
commissioni competenti verso il ruolo e la funzione democratica delle ICTs è
comunque il frutto di una più ampia riflessione nata in seno alle istituzioni europee.
Nel 2001 fu infatti pubblicato dalla Commissione delle Comunità Europee un
Libro Bianco dal titolo La governance europea dove venivano indicati i cinque principi
alla base di buona governance: apertura, partecipazione, responsabilità, efficacia e
coerenza. Secondo il Libro Bianco, ciascuno di questi principi è essenziale al fine
d’instaurare una governance più democratica. Tali principi dovevano costituire il
fondamento della democrazia e del principio di legalità negli Stati membri e
dovevano essere applicati a tutti i livelli di governo: globale, europeo, nazionale,
regionale e locale.
Parte dei principi appena esposti nel Libro Bianco hanno caratterizzato gran parte
dei lavori del Parlamento per tutta la V e la VI Legislatura, ma sul tema della società
dell’informazione vi è qualche ritardo all’applicazione dei suddetti184. Infatti, uno dei
183
Si veda il par. 4.5 del Capitolo 3.
In effetti nel Libro Bianco si contemplava la necessità di usare le reti ma la finalità era per lo più
orientata alla comunicazione e alla circolazione delle informazioni. Infatti dal dal Libro Bianco si
184
175 richiami che maggiormente ha caratterizzato le discussioni in plenaria di tutta la
prima fase della VI Legislatura era orientata a ridefinire i principi di governance in
chiave tecnologica secondo modalità di apertura, partecipazione e responsabilità delle
istituzioni.
[…] per quanto attiene alla governance […] si deve creare un nuovo modello basato su
un’organizzazione internazionale in cui le decisioni politiche siano lasciate ai governi e le mansioni
tecniche all’industria e al settore privato, ovviamente con un funzionamento flessibile che possa
conciliare il processo decisionale e la partecipazione di tutti gli Stati. […] Questo modello, onorevoli
colleghi, deve anche assicurare la partecipazione della società civile attraverso la creazione di un forum
di discussione che risponda alle sfide e ai problemi legati allo sviluppo di Internet. Solo così il nostro
concreto appoggio alla società dell’informazione risulterà credibile (Aguilar (PSE) 2005).
E ancora Guidoni per il gruppo GUE/NGL:
C’è inoltre la questione della governance, che l’Europa deve affrontare per istituire un meccanismo
di controllo a livello internazionale […] Si tratta di garantire la rappresentatività e la legittimità del
nuovo organismo di gestione di Internet, definendo una governance con diversi attori: i governi, le
ONG, il settore privato e la società civile, ciascuno con il proprio ruolo e con chiari obblighi (Guidoni
(GUE/NGL) 2005).
Il tema della governance è stato ampiamente dibattuto in quasi tutte le plenarie che
hanno avuto come oggetto di discussione delle relazioni non legislative orientate a
definire i principi della società dell’informazione. Ne è un esempio la sessione
plenaria tenutasi il 14 marzo del 2006 su una relazione presentata dalla commissione
industria, energia e ricerca – con parere della commissione per la cultura e l’istruzione
- dal titolo: Una società dell’informazione per la crescita e l’occupazione.
I temi più importanti della relazione si soffermavano su: 1) uno spazio europeo
unico dell'’informazione; 2) investire nella ricerca e nell'innovazione; 3) una società
europea comune dell'informazione.
Dalla relazione presentata dall’on. Paasilina si apprende.
L’industria si sta sviluppando ad un ritmo tale da rendere necessaria una nuova legislazione per
garantire la redditività e lo sviluppo del mercato e il suo potenziale in termini occupazionali. Per tale
ragione è positivo che la Commissione abbia deciso di proporre la strategia i2010, che mira a creare
uno spazio comune praticabile basato sulla conoscenza. Occorre salvaguardare gli investimenti e gli
stanziamenti a favore della ricerca, e tutti gli Europei devono avere accesso a tale sistema, inclusi i
meno abbienti (Paasilina (PSE) 2006).
Come si può leggere dalla relazione, e come è ben evidenziato dalla presentazione
dell’on. Paasilina, i punti più importanti sul tavolo delle politiche per la società
dell’informazione erano lo sviluppo di una economica di tipo informazionale basata
apprende che: «L'integrazione europea, le nuove tecnologie, i mutamenti culturali e l'interdipendenza
globale hanno portato al costituirsi di un'enorme varietà di reti europee e internazionali, incentrate su
obiettivi specifici. Per alcune di esse la Comunità haapportato un sostegno finanziario. Queste reti, che
collegano imprese, comunità, centri di ricerca e autorità regionali e locali, forniscono un nuovo punto
di partenza per la costruzione dell'Europa e gettano un ponte verso i paesi interessati all'adesione e
verso il mondo intero. Le reti fungono anche da fattori moltiplicatori, diffondendo la conoscenza
dell'UE e mostrando le politiche in azione» (Libro Bianco 2001, p. 18).
176 sulla conoscenza, dando spazio agli investimenti nel campo della ricerca, e la
creazione di uno spazio europeo della società dell’informazione. Occorreva dunque
ridefinire l’economia europea attraverso il settore delle ICTs, rilanciando un
programma che tenesse conto dell’emergere di un’economia basata sulla conoscenza e
sull’informazione:
Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione sono il settore industriale che registra il
tasso di crescita più veloce, sono il settore che crea il maggior numero di posti di lavoro nell’industria.
Se non ci diamo da fare il disastro sarà inevitabile. Gli investitori del settore cercheranno i propri
partner in paesi come la Cina e l’India e le vecchie economie in declino, cioè noi qui in Europa,
rimarremo indietro (Paasilina (PSE) 2006).
Si riprende dunque in parte il tema già ampiamente trattato in tutta la legislatura
precedente, ovvero il ruolo e le funzioni del mercato nella società dell’informazione e
nello stesso tempo si riprendono e si ricompongono le posizioni già descritte nel
precedente paragrafo:
Giusto è stato mostrare gli effetti che la società dell’informazione crea su crescita e occupazione e
prospettare vantaggi, problemi e anche rimedi. Ma le implicazioni sono molto più vaste: i media sono
già divenuti decisivi per condizionare le idee e i comportamenti di miliardi di individui. Il loro ruolo è
dunque socialmente rilevante, spesso decisivo. La loro proprietà non può essere distinta dalla
responsabilità verso la società, i loro effetti non possono essere visti solo in termini di mercato (Chiesa
(ALDE) 2006).
E ancora l’on. Guidoni a nome del gruppo GUE/NGL:
Bisogna affrontare il tema dell’eliminazione del digital divide, un problema di sviluppo equilibrato,
ma soprattutto di giustizia sociale. Va considerato fondamentale il ruolo dell’investimento pubblico
teso a salvaguardare il carattere aperto del TLC, onde garantire lo sviluppo di mezzi tecnici e di
strumenti culturali che consentano a tutti i cittadini di fruire di un volume sempre maggiore di servizi
di comunicazione e di informazione. Per realizzare la good governance e garantire a tutti gli europei la
cittadinanza a pieno titolo, bisogna approvare una Carta europea dei diritti dei consumatori del
mondo digitale, i cosiddetti e-right, con principi e orientamenti condivisi, che definiscano il quadro
dei diritti dei cittadini (Guidoni (GUE/NGL) 2006).
In tema di politiche per la società dell’informazione le forze di mercato e la loro
regolazione restano ancora un tema cardine, come ben evidenzia il PSE:
Come legislatori abbiamo il dovere democratico e culturale di impedire la centralizzazione del
settore. E’ un problema da tutti noi condiviso. Le stesse grandi aziende ora non hanno solo il controllo
su televisione, radio e stampa, ma anche sulle tecnologie di comunicazione mobile. Questa sorta di
omogeneità ci pone di fronte a una grande sfida, perché una comunicazione diversificata è
assolutamente fondamentale per sviluppare un’economia fondata sulla conoscenza. La Commissione
deve quindi esaminare molto attentamente la redditività dei mercati e l’accesso a diverse forme di
cultura e di informazione in paesi diversi, con mezzi di comunicazione diversi che propongono
(Paasilinna (PSE) 2006).
Anche da parte del PPE-DE nella VI Legislatura persiste l’esigenza di
comprendere il ruolo e le funzioni del mercato nella società dell’informazione:
177 Se esiste un ambito decisivo per l’attuazione dell’agenda di Lisbona è proprio quello delle
tecnologie dell’informazione e della comunicazione, che è un tema prioritario per questo Parlamento e
per le Istituzioni europee. […] Vorrei cogliere l’occasione per parlare delle questioni finanziarie che
non sono ancora state definite. (Pilar del Castillo (PPE-DE) 2006).
A questo si possono fare due osservazioni relative al modello di sviluppo intrapreso
nella VI Legislatura dal Parlamento europeo in materia di ICTs e società
dell’informazione. La prima riguarda la riproposizione di un modello di società
dell’informazione di tipo inclusivo anche nella VI legislatura, con particolare
attenzione al tema della cittadinanza elettronica e alla strutturazione di una carta
europea dei diritti. Mentre la seconda è rivolta al legame che viene strutturato in
plenaria fra i diritti di cittadinanze elettronica e il tema della governance185.
In materia di governance, una delle questioni era dunque l’apertura delle istituzioni
e la partecipazione dei cittadini al processo di policy making. Un tema che
inevitabilmente richiamava la questione relativi ai diritti di cittadinanza elettronica186,
come il diritto a ricevere e diffondere informazioni o i tanto dibattuti diritti alla
privacy e alla protezione dei dati personali. Temi che durante la VI Legislatura sono
stati oggetto di intere plenarie, come ad esempio è capitato il 6 luglio 2006 quando
all’ordine del giorno furono messe in discussione in plenaria sei proposte di
risoluzione concernenti la libertà di espressione su Internet187.
In generale le sei richieste di risoluzione vertevano sul concetto di diritto a ricevere
e diffondere informazioni:
Vogliamo rivolgerci a Consiglio e Stati membri affinché rendano pubblico, attraverso un
comunicato comune, l’impegno assunto in difesa dei diritti degli utenti di Internet e della libertà di
espressione su Internet (Rueda (Verts/ALE) 2006).
Come pure il gruppo parlamentare GUE/NGL:
La censura di Internet non è cosa che possa essere condivisa, a prescindere dal luogo, e dunque
neanche negli Stati membri dell’Unione europea (Pflüger (GUE/NGL) 2006).
E anche il PSE:
La nostra risoluzione ci permette di opporci con fermezza a queste minacce alla libertà e di
condannare gli Stati che ne sono autori (Trautmann (PSE) 2006).
185
Questo secondo punto è stato oggetto addirittura oggetto di una discussione in sessione plenaria
il 17 Gennaio del 2008 in seguito al Forum sulla governance di Internet, svoltosi a Rio de Janeiro dal 12
al 15 novembre 2007.
186
Si veda par. 5 Cap 2.
187
Le sei proposte di risoluzione furono presentante dai deputati: 1) Simon Coveney e Charles
Tannock, a nome del gruppo PPE-DE; 2) Pasqualina Napoletano, Catherine Trautmann e Christa
Prets, a nome del gruppo PSE; 3) Henrik Lax, Marios Matsakis e Frédérique Ries, a nome del gruppo
ALDE; 4) Daniel Marc Cohn-Bendit e Monica Frassoni, a nome del gruppo Verdi/ALE; 5) Vittorio
Agnoletto, Umberto Guidoni e Miguel Portas, a nome del gruppo GUE/NGL; 6) Hanna FoltynKubicka, Mieczysław Edmund Janowski, Zbigniew Krzysztof Kuźmiuk, Zdzisław Zbigniew Podkański
e Janusz Wojciechowski, a nome del gruppo UEN
178 Altro esempio è dato dalla plenaria indetta il 10 marzo del 2008 che aveva
all’ordine del giorno la dichiarazione della Commissione sulla protezione dei dati e
diritti dei consumatori. Tale dichiarazione venne presentata dall’on. Frattini
vicepresidente della Commissione Europea:
Le imprese sono tenute al rispetto delle leggi nazionali sulla protezione dei dati, che danno
attuazione alla direttiva sulla protezione dei dati, mentre le autorità nazionali per la protezione dei dati
sono gli enti responsabili di garantirne il rispetto da parte di quelle entità che trattano i dati personali
all’interno del loro territorio. […] Una fusione tra diverse entità non esonera le parti coinvolte dai loro
obblighi nel quadro dei principi nazionali sulla protezione dei dati. Senza dubbio qualsiasi decisione la
Commissione possa prendere per approvare una concentrazione non pregiudica gli obblighi imposti
alle parti dalla legislazione comunitaria in materia di tutela della vita privata relativamente al
trattamento dei dati personali.
A far da portavoce al PSE fu il deputato Lambrinidis:
[…] quando gli utenti abituali sono online, non sono consapevoli del fatto che i loro dati personali
più sensibili, come le loro convinzioni politiche e filosofiche, le finanze, gli acquisti, i viaggi e gli
interessi in generale, vengono registrati mentre eseguono semplici ricerche, compiono acquisti o
prendono parte a discussioni. Certo, le imprese private che raccolgono tali dati spesso non sono
neppure europee. Oggi né il diritto europeo né gli accordi internazionali impediscono alle grandi
imprese private di utilizzare i nostri dati personali. Si può arrivare a dire che nulla impedisce alle
autorità di sicurezza di paesi terzi di accedere a tali informazioni. […] I nostri dati personali non
perdono di importanza e di interesse semplicemente perché un’impresa si trova al di fuori dell’Europa.
In tema del diritto alla privacy, uno dei diritti fondamentali della cittadinanza
elettronica188, è un tema particolarmente sentito nella VI Legislatura. Non erano
mancati interventi in quella precedente, ma la velocità dello sviluppo tecnologico come del resto è tuttora – aveva superato di gran lunga quella legislativa.
Su questo punto vale la pena sottolineare l’intervento dell’on Schlyter del gruppo
Verdi/ALE:
Se si vogliono utilizzare servizi diffusi, non è possibile selezionare l’opzione “non raccogliere dati su
di me” né tanto meno sapere che fine fanno tali informazioni. Si esegue una ricerca, si acquista
qualcosa. Se un soggetto e la stessa impresa sono in grado di combinare tutte queste informazioni, è
possibile ottenere un enorme vantaggio commerciale e accumulare un gran numero si informazioni su
tutti coloro che fanno uso di Internet. […] Non possiamo proteggerci da queste grandi imprese a
meno che i nostri legislatori non ci vengano in aiuto. Il grado di fragilità della protezione dei dati
diventa palese quando, ad esempio, viene calcolata anche la lotta contro le violazioni dei diritti
d’autore. Il computer di chi condivide file viene ispezionato e tutte le sue informazioni private
vengono esaminate. Tali informazioni vengono poi inviate alle imprese che operano nel settore dei
mezzi d’informazione per accertare cosa fosse protetto dal diritto d’autore e cosa no (Schlyter
(Verdi/ALE) 2008).
Anche l’on. Alvaro, rappresentante del gruppo ALDE, espresse le proprie
perplessità e quelle del suo gruppo in materia di privacy e dati personali:
188
Si veda par. 5 Cap. 2.
179 Noi – e il mio gruppo politico non costituisce di certo un’eccezione – spesso manifestiamo un
interesse particolarmente vivo per le questioni relative a Internet e, naturalmente, alla riservatezza dei
dati, cui spesso rispondiamo in modo estremamente emotivo. Se devo capire come funzionano
Internet e l’acquisizione dei dati, tuttavia, devo prima comprendere la tecnologia che ne sta alla base.
La VI legislatura, per quanto riguarda tema della società dell’informazione, appare
dunque caratterizzata dai tentativi di coniugare i principi della governance europea
alle tecnologie per l’informazione e la comunicazione. I molteplici rimandi alle
problematiche insite nel sistema informazionale, quali il Digital Divide, i rischi di
esclusione dal sistema economico, le garanzie costituzionali dei cittadini europei in
materia di privacy e libero accesso alle informazioni vengono riformulate e messe in
relazione ai principi di apertura, partecipazione, responsabilità, efficacia e coerenza.
Si aprì dunque in questa Legislatura una prospettiva più ampia rispetto al modello
inclusivo che, come abbiamo evidenziato nel paragrafo precedente, ha caratterizzato
gran parte della legislatura precedente. Alla necessità politica di strutturare pratiche
per la riduzione del divario digitale e per l’accesso alle risorse informative comincia a
farsi strada l’idea che le ICTs permettano e offrano al cittadino possibilità di
partecipazione e deliberazione. All’idea di un cittadino come consumatore dei servizi
si associa cosi quella di un cittadino pro-sumer, ovvero promotore di servizi.
Si incomincia ad intravedere un modello ti tipo inclusivo/partecipativo.
180 Conclusioni
Buona parte della letteratura di settore concorda sul fatto che le ICTs sostengono
e – in alcuni casi – propongono nuovi e diversi percorsi partecipativi ancorati alle più
tradizionali pratiche democratiche. Il complesso rapporto tra le tecnologie e la
democrazia è tuttavia solo in parte una novità. Gli strumenti e le tecnologie
dell’informazione e della comunicazione in realtà ricoprono un ruolo fondamentale
nella promozione della partecipazione politica nei sistemi democratici, anzi il loro
sviluppo ha accompagnato il processo di democratizzazione ed allargamento della
sfera pubblica. Le tecnologie della comunicazione - vecchie e nuove – sono quindi
parte attiva del codice genetico della democrazia (Dahl 1985, Sartori 1987, Rokkan
1982, Verba 1987).
L’idea che le tecnologie dell’informazione e della comunicazione siano uno
strumento utile per migliorare i rapporti tra la cittadinanza e le istituzioni va tuttavia
inquadrata in un più ampio progetto di innovazione, quello relativo alla
trasformazione informazionale della società (Mattelart 2003, Beniger 1986). Tra le
tecnologie e la democrazia esiste, infatti, uno dei legami più articolati che la
modernità abbia mai conosciuto, un rapporto difficile da inquadrare storicamente ma
che sin dal XIX secolo ha caratterizzato la struttura dei rapporti tra le diverse
istituzioni e fra i diversi sottosistemi del sistema sociale, quello economico in primis.
Alcuni osservatori della democrazia elettronica sostengono però che il potenziale
democratico che gravita intorno alle ICTs non è solo il frutto di una maggiore
convergenza informazionale e tantomeno essa può dirsi come l’ultima fase di un
processo di rafforzamento della reticolarità delle comunicazioni di massa, essa
discende piuttosto direttamente dalla capacità di decentrare la comunicazione politica
dal castello del principe a luoghi più vicini all’esperienza dei cittadini (Lusoli 2007). In
tal senso, le ICTs possono assurgere ad una funzione emancipatrice, promuovendo una
cittadinanza più attiva e sensibile ai processi di ri-formulazione del tradizionale
assetto democratico. Possono, al contrario, assumere una funzione di controllo,
consentendo ai cittadini di verificare con maggiore tempestività ed efficacia l’operato
della propria rappresentanza politica.
Infine, le tecnologie dell’informazione e della comunicazione possono assurgere
ad un ruolo semplicemente abilitante, consentendo un rafforzamento delle pratiche
democratiche da un lato e la sperimentazione di nuovi repertori di partecipazione
dell’altra.
Con lo sviluppo delle ICTs si è fatta strada inoltre l’idea che sia la cittadinanza a
ridisegnare i propri confini, attraverso una spinta verso il riconoscimento di nuovi
diritti e l’affermazione di una diversa coscienza politica. L’analisi dei processi di
costruzione dei diritti diviene così una precondizione per definire il significato della
cittadinanza nella società dell’informazione, definizione che comporta una lettura
costituente della società dell’informazione e delle politiche su di essa incentrate.
Attraverso l’affermazione dei diritti, infatti, si regolano rapporti, si pongono limiti e si
creano opportunità, ma soprattutto si realizza il contratto sociale. L’emergere dei
diritti di cittadinanza elettronica diventano quindi l’espressione diretta dei bisogni,
individuali e collettivi, emersi con l’avvento della società dell'informazione, in un
nuovo tipo di assetto organizzativo della società, attraversato da flussi e processi la
cui velocità ed intensità non è mai stata sperimentata prima nella storia sociale. Di
vere e proprie politiche pubbliche per la società dell’informazione si può iniziare a
parlare solo dopo la pubblicazione dal Libro Bianco di Delors (1994). In esso vi
181 erano tracciate i vantaggi occupazionali, organizzativi e gestionali offerti dallo
sviluppo di un’economia di tipo informazionale e le enormi potenzialità alle quali
poteva aspirare un settore pubblico altamente informatizzato, ma nel quale non
erano ancora contemplate le diverse opportunità democratiche offerte dalle ICTs.
Una prima fase che guardava dunque alla trasformazione delle forze di mercato come
volano capace di traghettare l’Europa verso la società dell’economia fondata sulla
circolazione dell’informazione.
In seguito la società dell’informazione è entrata costantemente a far parte
dell’agenda politica dei diversi governi nazionali e sovranazionali e, con il crescere
dell’interesse politico, ha visto confermare più volte il proprio ruolo strategico
nell’ambito di interventi e programmi specifici. Con il lancio della Strategia di
Lisbona e l’introduzione dei piani eEurope si intravede anche una più marcata
attenzione alla dimensione inclusiva ed alla coesione sociale, comportando un più
incisivo indirizzo per la programmazione dei diversi paesi membri. Si tratta di un
momento importante sul piano delle pratiche perché ha assistito al sostanziale
spostamento del baricentro dal modello competitivo, incentrato sui processi di
liberalizzazione e di deregolamentazione e con il mercato come volano per la
strutturazione delle politiche, verso il modello inclusivo, orientato alla riduzione delle
disparità, all’inclusione sociale e digitale, all’affermazione dei nuovi diritti di
cittadinanza. Parallelamente al crescere della complessità tecnologica si assiste alla
nascita di una vision europea, più attenta alle dinamiche locali ed alla riallocazione delle
competenze e delle responsabilità in materia di Icts. Con la pubblicazione del Libro
Bianco dal titolo La governance europea (2001), per le politiche pubbliche per la società
dell’informazione si apre dunque una nuova stagione che trova la sua massima
espressione con l’inizio della VI Legislatura e con l’allargamento dell’Unione
avvenuta nel 2004.
Le politiche pubbliche per la società dell’informazione presentano connotati
diversi e rimandano a categorie trasversali di analisi. Esse presentano, a tratti,
caratteristiche di tipo distributivo, ad attestare le quali, oltre agli specifici programmi di
finanziamento, vi è la struttura dei rapporti di potere tra i partiti politici e i gruppi
parlamentari caratterizzati da rapporti di log-rolling e di reciproca non interferenza.
Rimandano anche ad un tipo di politica fondamentalmente regolativa, in quanto
l’implementazione delle pratiche avviene in maniera delegata ma sulla base di
indicazioni poco negoziabili. Esse hanno anche le caratteristiche costitutive tipiche dei
processi di cambiamento di lungo periodo che tendono a riformare o cambiare la
natura del rapporto fra cittadini e stato, attraverso azioni istituzionali multi-level e la
collaborazione tra i diversi settori amministrativi per l’integrazione dei servizi
(Musella 2007).
Le politiche della Società dell’informazione - sia per la natura elaborata delle
procedure di finanziamento e dei relativi strumenti di governance, sia per la costante
pressione di ngo ad ogni livello - si configurano in alcuni casi come politiche
redistributive il cui outcome principale dovrebbe – in linea teorica –essere la riduzione
delle disparità e delle disuguaglianze. A questo tipo di aspettative è ovviamente
associata una valenza simbolica, che ha reso la politica della società dell’informazione
una politica a forte connotazione retorica. Forse proprio questa forte componente
retorica ha comportato un disancoramento della policy dalla politics condannata alla
sola gestione dei processi, quasi sempre imbrigliata nel meccanismo finanziario e
privata di qualsivoglia orientamento ideologico. Ridotto a sistema di pratiche ed a
strumento di finanziamento del mercato delle Icts e dei servizi avanzati, il tema è
182 sfuggito al dibattito politico nazionale, trasformando le istanze di maggiore
partecipazione e inclusione politica avanzate dalla comunità europea, in velleità
localistiche prive di incisività. Apparso nell’arena pubblica come una policy senza
politics, la politica della Società dell’informazione è tutt’altro che neutrale. La crisi
finanziaria che si registra in questi anni è la dimostrazione che flussi di informazione
virtuali hanno conseguenze reali.
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190 Appendice
Elenco dei progetti co-finanziati dal CNIPA per la quarta Linea di Azione della II
fase per l’e-government “lo sviluppo della cittadinanza digitale: l'e-democracy”.
Nome Progetto
e21 - per lo sviluppo della
cittadinanza digitale in
Agenda 21
CIttadini in Reti di
COmunità LOcali
Partecipazione Allargata al
processo decisionale del
Consiglio Regionale della
Lombardia
edem 1.0
Acronimo
e21
CIRCOLO
PALCO
edem1.0
VOCI DEL CITTADINO
IN CHIARO
ParteciPAttivo
Veneto e-democracy
INCHIARO
Agor@ dei diritti Promozione della
Cittadinanza attiva e della
Pianificazione condivisa
attraverso l’utilizzo
dell’I.C.T. nei Comuni di
Favara e Gela
PIANO INTERATTIVO di
SVILUPPO
ECONOMICO e
SOCIALE
Piattaforma Partecipativa
on-line a supporto del Piano
Regolatore [PRG]
Partecipato
Strumenti informatici di
supporto alla partecipazione
dei cittadini al processo di
formazione del Piano
Urbanistico Generale del
Comune di Monopoli
Aniene Partecipata
Agor@Favara
E-Democracy con Il Piano
Strategico
La Mont@gna che Partecipa
e_demps
ETe.Turismo: e-democracy
per implementare e
monitorare efficaci politiche
per il turismo e la qualità
della vita
iDEM - Interactive
Coordinatore
COMUNE DI
MANTOVA
PUNTEGGIO
88,5
COMUNE DI
ROMA
Regione Lombardia
87,5
COMUNE DI
ROMA
PROVINCIA DI
COSENZA
REGIONE UMBRIA
REGIONE DEL
VENETO
Comune di Favara
ParteciPAttivo
Ven.e-d
86,5
86
85
84,5
83,5
83,5
PISES.VALDIANO
Comunità Montana
Vallo di Diano
83
PRGPartecipato
Comune di Trezzo
sull'Adda
83
partecipaPUG
COMUNE DI
MONOPOLI
83
Bilancio.Aniene
83
Ete.Turismo
Comunità Montana
zona X dell'Aniene
COMUNE DI
PESARO
COMUNITÀ
MONTANA VALLI
CHISONE E
GERMANASCA
Comune di Termoli
IDEM
COMUNE DI
M@P
191 82,5
82
82
81,5
DEMocracy
Tecnologie ELEttroniche
per la Partecipazione al
Bilancio-Il processo
decisionale partecipato
applicato al Bilancio
Comunale
GIOVANI OGGI
CITTADINI SEMPRE
Alatri azioni di democrazia
digitale inclusiva
BILANCIO PARTECIP@TTIVO - Percorso a
tappe verso il bilancio
partecipativo nel Comune di
San Canzian d'Isonzo
La Piazza telematica dei
cittadini alberobellesi per il
Bilancio condiviso
Urban Center: la Città
Cambia, Cambia la Città
Spazio Libero
DEMOCRAZIA
CITTADINANZA
DIGITALE
MOBILITA'
PARTECIPATA
Cossato si progetta Partecipazione e
condivisione con la
tecnologia
Document@Rudiano: il
Centro di documentazione
locale
PROGETTO CORO
Strumenti per l'elaborazione
partecipata del Piano di
Zona dell'Ambito socioassistenziale di Cervignano
del Friuli
CON-Net Consulte
Territoriali in rete nel
Comune di Sarzana
Provincia digitale e accesso
sociale. La concertazione on
line sui temi
dell'innovazione nella
Provincia di Roma
E-CON
(COMPARTECIPAZIONE
OTTIMIZZATA DALLA
NAVIGAZIONE)FOGGIA
Partecipazione della
comunità all'evento dei
Giochi del Mediterraneo e
alle politiche di sviluppo
SIENA
COMUNITA'
MONTANA DEL
PRATOMAGNO
TELE_P@B
81,5
E-GOCS
Comune di Monza
81
Aladdin
Comune di Alatri
80,5
Bilancio
Partecip@ttivo
COMUNE DI SAN
CANZIAN
D'ISONZO (GO)
80,5
AGOR@LB
COMUNE DI
ALBEROBELLO
80,5
UC5
COMUNE DI
GENOVA
REGIONE FRIULI
VENEZIA GIULIA
PROVINCIA DI
GENOVA
SL
DE.CI.DI.
80
80
79,5
eMove
Comune di Firenze
79
e_dem.cossato
COMUNE DI
COSSATO
79
Document@Rudiano
COMUNE DI
RUDIANO
79
CORO
COMUNE DI
CERVIGNANO
DEL FRIULI
78,5
CON-Net
COMUNE DI
SARZANA
77,5
PRODEAS
Provincia di Roma
77
E-CON-FOGGIA
COMUNE DI
FOGGIA
77
MEDITA
Comune di Pescara
77
192 della sostenibilità e del
lavoro nel comprensorio
pescarese
Partecipa il sociale
Partecipa il sociale
CONCERTO - Strumenti
per la Concertazione e la
Realizzazione del Piano dei
Tempi della Città
Sistema Città
CONCERTO
Comuni & Terre doc
PARTECIPA Il portale per
la partecipazione dei
cittadini allo sviluppo delle
politiche e dei processi
decisionali nella Regione
Lazio (E-DEMOCRACY
REGIONE LAZIO)
PARTECIPA.NET
C&Tdoc
PartecipaLAZIO
e-democracy Catania
Partecipazione Elettronica
per lo Sviluppo Locale
demos.ct
P.E.S.L.
PAL ACTIVITY
MONITOR - Sistema di
monitoraggio e
partecipazione del cittadino
all'amministrazione pubblica
Partecipiamo Al Bilancio
On Line
TeD "L'istituzione apre le
porte al cittadino"
GIOPOLIS
PAM
DemOracolo
DemOracolo
SCUOLAINCHIARO
Strumenti partecipativi per
autonomie locali basati su
reti telematiche
Democrazia Elettronica e
Trasparenza nell'azione della
Pubblica Amministrazione
Sesamo: la porta è aperta Accesso al Palazzo virtuale
delle Pubbliche
Amministrazioni
e-Mobility
SCUOLAINCHIARO
START
Servizi e Tecnologie per la
pArtecipazione dei cittadini
alle politiche della Regione
Basilicata per la Salute
METROPOLIS
STARS
S.C.
PROVINCIA DI
PARMA
COMUNE DI
LUCCA
COMUNE DI
GUBBIO
Comune di Asti
Regione Lazio
Partecipa.net
REGIONE EMILIAROMAGNA
Comune di Catania
COMUNITA'
MONTANA
"TERMINIO
CERVIALTO"
COMUNE DI
CASALMAGGIORE
P.A.B.O.L.
TED
Giopolis
77
76,5
76
75,5
75
74,5
74,5
74,5
74
COMUNE DI
RAGUSA
Provincia di Teramo
74
COMUNE DI
VICENZA
COMUNE DI
VERONA
Regione Calabria
PROVINCIA DI
BRESCIA
73
73
72,5
72
72
DEMETRA
COMUNE DI
VITERBO
72
SESAMO
REGIONE
PIEMONTE
71,5
emobility
COMUNE DI
PARMA
Regione Basilicata
71,5
PROVINCIA DI
MESSINA
71
METROPOLIS
193 71
LA MIA AZIENDA
ELETTRICA
L’INTEGRAZIONE
DELLE BANCHE DATI
COMUNALI CON
TECNOLOGIA GIS E LA
DIFFUSIONE SU RETE
WIRELESS:
PRESUPPOSTI PER UNA
PIENA CITTADINANZA
DIGITALE E NUOVI
STRUMENTI
PARTECIPATIVI”
PIANO INTEGRATO
PER LA EGOVERNANCE NELLA
GESTIONE DEL
TERRITORIO
Electronic Democracy in
Assemblea Regionale
Siciliana
Avellino e-democracy
BENERTUTTI
COMUNE DI
BENETUTTI
Comune di Novara
GEO.CIVIT@S
71
70
PIE-GOT
PROVINCIA DI
PADOVA
70
EDARS
Regione Sicilia
70
Avedemo
COMUNE DI
AVELLINO
70
194 
Scarica