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SCHEDA DI APPROFONDIMENTO
Le identità culturali del migrante e le tensioni sociali
di Beniamino Rossi
La traiettoria e le trasformazioni del progetto migratorio di ogni migrante, oltre alle tensioni interne nel nucleo familiare
e nelle comunità migranti, produce, all’inizio degli anni ‘80, una serie di tensioni nell’intera società. Tensioni che si
sono resi sempre più evidenti nelle problematiche della pluralità culturale, come è venuta ad evolversi in Europa1.
Il migrante è un uomo caratterizzato da un progetto, che tuttavia si trova nell’impotenza di dare senso alla sua traiettoria
migratoria e a sostenere, in modo duraturo, il progetto stesso. Infatti, l’individuo non ha in mano un progetto lineare da
realizzare in vitro, ma piuttosto un progetto fragile, sottoposto ad influenze profonde e spesso contraddittorie ed
ambigue, legate alle appartenenze o identità collettive del paese di partenza e di quello di arrivo, e al gioco delle realtà
economiche e sociali.
Gli Stati, da parte loro, non possono realizzare politiche migratorie libere da condizionamenti interni (cambiamenti delle
maggioranze politiche, pressione dell’opinione pubblica, congiuntura economica, evoluzione delle tecniche di
produzione) e di condizionamenti a livello internazionale (crisi economiche e politiche, evoluzione dei rapporti
bilaterali), come nemmeno dei condizionamenti delle mutazioni profonde della struttura della popolazione immigrata,
delle sue attese ed aspirazioni.
Non si rimedierà alla sofferenza del migrante, imponendogli un avvenire prefabbricato (assimilazione, integrazione,
mantenimento rigido dei legami culturali d’origine, ritorno al paese), quanto piuttosto cercando di mettergli a
disposizione i mezzi pratiche affinché egli possa avere sotto controllo la sua traiettoria migratoria.
Si tratta, quindi, di capire il migrante e le sue appartenenze culturali, seguendo l’evoluzione del suo contesto di
comunicazione e del suo quadro di riferimento nel suo itinerario migratorio per cogliere le tensioni a livello dei rapporti
con i gruppi e le istituzioni dei paesi di residenza, con i gruppi e le comunità di origine, con le nuove generazioni, e di
individuare i conflitti che attraversano i gruppi e gli individui. Non ci si deve accontentare di scoprire la specificità delle
identità culturali per dedurne un diritto astratto di ognuno alla diversità, quanto piuttosto di individuare le condizioni
perché tali differenze entrino in contatto: l’interazione tra gruppi portatori di culture differenti nel senso di un
arricchimento interculturale. Le differenze, infatti, non possono essere in contatto senza interagire e l’interazione nella
disuguaglianza risulta un fallimento sia per l’individuo che per i gruppi e le società.
1.
L’uomo e le sue identità culturali
La ricerca delle identità culturali deve essere affrontata attraverso un approccio interdisciplinare dei fenomeno
culturali in un’analisi etnologica, psicologica e sociologica. L’identità culturale degli stranieri non può essere
ridotta al binomio delle due culture nazionali: quella di partenza e quella di arrivo.
• Solo nell’immaginario collettivo esistono identità nazionali unitarie, armoniose, naturali, fissate una volta per
sempre.
• I concetti di nazione, nazionalità, etnia hanno un significato equivoco, ereditato da una storia europea
complessa dell’800, all’epoca della formazione della coscienza nazionale, della creazione degli imperi
coloniale e della formazione dello stato – nazione.
• I migranti provengono in gran parte dalle antiche colonie, che risultano più che stati – nazione (dove la nazione
coincide con l’etnia) a stati plurietnici
• Dare priorità all’identità etnica, significa ridurre l’identità reale dell’individuo, che risulta una costellazione di
molteplici appartenenze.
1
Cfr. Antonio PEROTTI, L’appartenence de l’étranger a plusieurs culture set les tensions qui en résultent, in
CONSEIL DE L’EUROPE, Les Droits de l’homme étranger en Europe. Actes du Colloqui, Funchal – Madère 1983,
Strasbourg: Conseil de l’Rurope, 1985
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•
Il riferimento prioritario all’identità etnia sottovaluta la dialettica che accompagna il processo di
socializzazione nella costruzione dell’identità psicologica dell’individuo.
In effetti, il senso di appartenenza di un individuo ad una cultura è integrato nella sua identità psicosociale: cioè,
l’identità che l’individuo costruisce, dalla nascita alla morte, nello sviluppo della sua personalità D’altronde essa
non è strettamente individuale, ma è il risultato di un riconoscimento reciproco tra l’individuo e la società durante il
processo di socializzazione. Comporta, quindi, un aspetto soggettivo (la percezione della auto identificazione e
della continuità della propria esistenza nel tempo e nello spazio) e, nello stesso tempo, un aspetto relazionale e
collettivo (la percezione che gli altri riconoscano la propria identificazione e continuità).
Sono le esperienze negative e conflittuali che toccano l’identità psicosociale dell’individuo: le frustrazioni del
desiderio di riconoscimento da parte della società (famiglia, gruppo e comunità). E’ la mancanza di dialogo e di
comunicazione che mettono in causa la sua identità (da qui nascono sia il rifiuto della propria identità, sia il
ripiegamento identitario su di essa) e scatenano i meccanismi di difesa, dai quali derivano condotte devianti e
marginali. Per questo l’individuale, il sociale ed il culturale risultano indissociabili.
2.
Le identità culturali del migrante e le tensioni che risultano dal suo itinerario sociale
Non sono le culture che emigrano e si incontrano, ma uomini e gruppi sociali:
• Donne e uomini che hanno uno spirito, un intelligenza e un cuore: cioè animali sociali, costruttori di cultura (a
culture building animal).
• Donne ed uomini che, nello spazio e nel tempo, hanno partecipato ad una concreta organizzazione sociale e
che devono reinterpretarla nel nuovo contesto migratorio. Ciò che è fondamentale nell’emigrazione non è tanto
il passaggio di un paese all’altro, quanto piuttosto la migrazione dalla periferia al centro, dalle società rurali a
quelle urbane: gerarchizzazione sociale dei gruppi; polarizzazione degli spazi geografici; processo di
proletarizzazione con impieghi subalterni, assenza di sicurezza e difficoltà culturali.
• Donne ed uomini che avevano un riconoscimento nella società d’origine e che nel paese di accoglimento
subiscono una riduzione come persone: riduzione alla funzione produttiva; legati al binomio
“lavoratore/straniero” (lavoratore nella sfera della produzione e straniero nella sfera della vita fuori del lavoro)
immersi in un contesto che differenzia i lavoratori stranieri da quelli autoctoni, che hanno luoghi di
partecipazione alla vita della società, dalla quale gli immigrato risultano esclusi.
• Donne e uomini che sono costretti a reinventare i contesti di comunicazione in una situazione di acculturazione
retta da un rapporto di dominazione che influenza in modo molto pesante lo straniero nella auto percezione e
nell’immagine che egli ha di sé.
Il rapporto di dominazione nel confronto dei miranti si realizza a vari livelli:
• il contesto internazionale nel quale lingue e culture risultano stratificate, proprio per una specie di gerarchia
che è conseguenza di rapporti di forza economica e politica;
• il contesto storico, soprattutto pe gli immigrati che provengono da ex paesi coloniali;
• la situazione socio professionale e giuridica che si traduce in immagine sociale negativa nei confronti delle
culture dei gruppi di immigrati;
• l’egemonia della cultura dominante che, attraverso le sue istituzioni, rappresenta un modello univoco di
identificazione obbligatoria.
Come conseguenza di questo scambio non egualitario, viene attribuita ai diversi gruppi ed alle diverse culture una
gerarchia, che si trasforma spontaneamente in un giudizio di valere, che impedisce l’uguaglianza delle relazioni.
L’identità psicosociale dell’immigrato è sottoposta a frustrazioni, al sentimento del provvisorio, all’insicurezza
dovuta allo statuto giuridico: tutto questo determina una serie di meccanismi di difesa:
• riduzionismo (auto censura) delle aspirazioni e delle attesa, messe tra parentesi in attesa di tempi migliori (il
rientro in patria);
• interiorizzane del proprio statuto giuridico ed accettazione delle condizioni di sfruttamento (atteggiamento neo
feudale);
• rivalorizzazione degli aspetti etnici e mitizzazione del desiderio di rientro;
• proiezione delle proprie aspirazione sui figli.
Il migrante passa attraverso tre frustrazioni profonde:
• la scoperta che il paese d’accoglienza non è la terra promessa, ma “terra di altri” che non lo riconoscono,
• la scoperta che sarà riconosciuto solo attraverso i suoi figli,
• la scoperta che la riuscita dei suoi figli sarà possibile solo se essi non assomiglieranno ai loro genitori.
Il migrante risulta tagliato fuori sia dalla comunità d’origine e dalle sue trasformazioni culturali e sociali e,
contemporaneamente non partecipa al sistema educativo culturale del paese di residenza: egli è portatore di una
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identità personale precaria, incapace di trasmettere la propria identità culturale ed il suo sistema di valori perfino
all’interno della propria famiglia.
I suoi figli, che sono stati inseriti nel sistema educativo e nel contesto sociale locale, rischiano di vivere una
situazione conflittuale ancora più acuta, in quanto la loro identità psicosociale porta le tracce delle frustrazioni dei
genitori, della trasmissione rigida ed autoritaria dei modelli e dei valori parentali di per se stesso fragili. Le nuove
generazioni presentano, così, le seguenti caratteristiche: oscillazione pendolare tra il modello culturale del gruppo
di appartenenza ed il modello culturale del gruppo di riferimento; accettazione passiva dei valori; identità negativa
(aggressività); iper adattamento (mimetismo). Secondo la maniera di cui i figli dei migranti vivono il doppio
processo di inculturazione e di socializzazione (famiglia/scuola/spazio sociale) e secondo il grado di coerenza
dell’ambiente familiare con la cultura etnica di origine, deriva il profilo del giovane delle nuove generazioni:
- giovani che si identificano esclusivamente attraverso l’appartenenza alla loro identità di origine,
- giovani che rifiutano l’appartenenza alla loro identità d’origine e che si identificano con l’appartenenza alla
società nella quale sono nati e scolarizzati,
- giovani che si sentono al margine delle due identità,
- giovani che hanno la coscienza di appartenere a due culture e di avere, quindi, una identità plurale.
3.
Le appartenenze culturali plurime degli stranieri pongono problemi all’Europa
Tra i fattori più importanti che hanno fatto emergere in modo imperioso le problematiche culturali relative ai
migranti si insiste sulle seguenti:
3.1.
Il cambiamento della struttura della popolazione immigrata e le conseguenze culturali di questo
cambiamento
In questi anni in tutti i Paesi europei si è registrato il boom dell’immigrazione familiare, determinato
principalmente da due fattori: i ricongiungimenti familiari e le nascite, che hanno prodotto la più forte crescita
endogena della popolazione straniera che si fosse mai registrata in Europa (il flusso dei rifugiati dall’Asia e
dall’Africa è soltanto un’accentuazione del problema).
In questo cambiamento strutturale si possono notare alcuni punti nevralgici:
- la scolarizzazione dei figli degli immigrati, che comporta percentuali sempre più importanti nella scuola dei
vari Paesi europei;
- i giovani delle nuove generazioni con i problemi legati alla loro integrazione socioculturale, che esige una
loro partecipazione alla società nell’uguaglianza di diritti;
- il cambiamento delle aspirazioni degli immigrati adulti, prodotto dal soggiorno prolungato fino ad una
situazione di non ritorno, che impone loro progetti a lunga scadenza (legata alla scolarizzazione dei figli ed
al loro inserimento nel mercato del lavoro), con un risveglio d’una coscienza sociale e politica anche nelle
prime generazioni;
- la stabilizzazione obbliga il sistema educativo e di inserimento sociale e professionale delle società europee
ad impostare un nuovo dibattito non più limitato ai lavoratori stranieri, quanto piuttosto al confronto con le
molteplici culture degli immigrati.
La stabilizzazione e l’emergenza dei giovani hanno provocato il cambiamento dell’immagine degli immigrati
nell’immaginario collettivo dei paesi europei: non si è più di fronte ad una categoria di lavoratori subalterni, che
venivano da fuori, funzionali alle congiunture economiche ed estremamente mobili, ma piuttosto di una
popolazione residente, stabile ed ormai radicata. Proprio per queste nuove caratteristiche essa viene percepita
come aggressiva e come un’invasione, rea ancora più evidente e visibile per le caratteristiche morfologiche. Si
percepisce che l’omogeneità del corpo sociale (per altro mitologica) è aggredita da un corpo estraneo ben
visibile; i giovani che non sono più disposti al ruolo subalterno e passivo dei loro genitori e che si sentono “a
casa loro” come i loro coetanei autoctoni, anche se spesso in situazione di emarginazione socio professionale
(molti sono disoccupati), vengono percepiti come aggressivi quanto rivendicano una parità.
3.2.
Il cambiamento del quadro storico
L’emergenza culturale della presenza degli stranieri non può essere capita se non si cerca di valutare il
cambiamento del quadro storico verificatesi negli ultimi decenni e nel quale si è venuta inserendo l’emigrazione:
o
o
il processo di decolonizzazione ha prodotto tutta una serie di rivendicazioni culturali e nazionali dei popoli
sottoposti alla dominazione ed alla spogliazione coloniale sia economica che culturale, tali rivendicazioni si
ripercuotono sugli immigrati dalle ex colonie, che vengono identificati come minoranze etniche e culturali;
il nuovo quadro politico internazionale, contrassegnato dai rapporti Nord e Sud, dal risveglio dell’Islam e
dalla nuova concezione della cooperazione internazionale, incide sulla percezione dei migranti dell’epoca
globalizzata;
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o
o
o
3.3.
il quadro geografico dell’Europa dove si sta stanno sviluppando, accanto all’erosione progressiva delle
ideologie nazionaliste, il risveglio dei diritti dell’uomo, i diritti delle minoranze regionali, dei gruppi e delle
culture minoritarie, la lotta contro l’intolleranza ed il razzismo, la presa di coscienza del carattere
plurietnico,pluriculturale e plurireligioso delle nostre società;
il quadro giuridico dell’unificazione europea (Unione Europea e Consiglio d’Europa) alla ricerca di
un’armonizzazione delle politiche migratorie concernenti il campo educativo e sociale.
il contesto della crisi e della stagnazione economica e sociale, che hanno determinato un ripensamento delle
politiche migratorie in senso restrittivo, un aumento del razzismo popolare quotidiano, sostenuto da alcune
correnti di razzismo ideologico.
Le nuove politiche migratorie
Paradossalmente, proprio quando si sono adottate politiche e misure restrittive (controllo rigoroso delle frontiere
e repressione dell’immigrazione clandestina), si è incominciato a promuovere un miglioramento delle condizioni
sociali e culturali della popolazione straniera residente, conferendo una priorità alle considerazioni sciali sulle
considerazioni economiche: si pone l’accento più che sul lavoratore straniero sullo straniero residente.
3.4.
L’aumento del razzismo negli strati popolari autoctoni
I lavoratori autoctoni, nel periodo di crisi e di stagnazione economica, di fronte alle difficoltà di accedere alla
ripartizione dei beni e dei servizi nella società (posto di lavori, alloggio sociale, sanità, strutture socio educative),
hanno visto gli stranieri come “concorrenti” nell’accesso agli stressi beni e servizi e sono stati spinti a mettere
l’accento non tanto sull’appartenenza di classe, quanto piuttosto sulla appartenenza alla nazione. In effetti è la
popolazione operaia che è quotidianamente confrontata con gli immigrati, mentre il resto della popolazione
autoctona vive il problema di riflesso e è quella meno in grado di contrastare il nascere ed il crescere di
pregiudizi razzisti, proprio perché non è in grado di valutare i meccanismi economici, le implicazioni storiche e
politiche che stanno al di sotto dei fenomeni.
4.
Alcuni fattori patogeni che portano al fallimento l’acculturazione
Due idee sembrano dominare il dibattito sulla situazione migratoria oggi.
•
L’interazione dei fattori economici, sociali e culturali nel fenomeno dell’acculturazione
Come osserva André Lebon nel suo rapporto al Comitato europeo delle Migrazioni del Consiglio d’Europa2,
“l’interazione dei fattori economici, sociali e culturali ha mostrato chiaramente che, se il riconoscimento
dell’identità culturale degli stranieri può favorire la loro promozione su altri piani, ogni miglioramento
registrato su ognuno di questi contribuisce a valorizzare la cultura d’orine. D’altronde, l’inserimento ottimale
sarà il successo nel capo delle condizioni di soggiorno e d’impiego, nella formazione iniziale e
professionale, in loro inserimento nella vita pubblica, ecc. Infatti è vano sperare che il ritardo in uno di questi
settori possa essere compensato in modo durevole dal progresso realizzato in un solo settore.
•
L’impossibilità di risolvere le tensioni solamente attraverso il controllo del progetto migratorio
individuale o collettivo
Il controllo del progetto migratorio resta un sogno ed un mito e credere che si possa trovare soluzioni
prefabbricate ed astratte alle tensioni psicologiche, sociologiche e che culturali significa dimenticare il
carattere composito e fortemente eterogeneo delle migrazioni, i suoi aspetti molteplici ed interdipendenti, se
sue realtà che si penetrano e si sovrappongono: diversità etniche e culturali, anzianità migratoria, conflitti
generazionali, problemi di relazioni storiche, economiche e politiche…
Ogni tentativo delle società di appropriarsi dell’evoluzione dell’identità delle persone e dei gruppi si traduce
in un impoverimento degli individui e delle società. In particolare ogni tentativo delle società di
accoglimento si selezionare o scegliere una politica basata su principi astratti, quale la distanza culturale,
l’inammissibilità di alcune culture, la pretesa volontà della integrazione o del rientro, rispecchia dei veri e
propri pregiudizi.
Si tratta di sviluppare alcune riflessioni sui rapporti tra le politiche migratorie (politiche di ritorno, di
assimilazione e d’integrazione) della maggioranza autoctona ed i comportamenti culturali degli stranieri
(minoranza). In effetti, le contrazioni, che attraversano i progetti migratori degli individui, sono spesso
alimentate dalle politiche migratorie, le quali risultano per nulla neutre rispetto alle realtà economiche e
sociali.
La maggioranza può optare per uno di questi tre obiettivi:
2
CDMG (82), rivisto il 15 febbraio 1983, p. 27
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o
La partecipazione piena degli immigrati (minoranza) alla vita economica, sociale e culturale della società
adottando misure giuridiche legali e sociali per promuovere tale partecipazione. Se si vuole impostare una
politica di integrazione che inglobi la totalità dell’esistenza, la reciprocità degli scambi e l’aspetto
relazionale tra gli immigrati e la società autoctona, è questo il progetto da adottare. Ciò esige profonde
trasformazioni sia da parte della maggioranza che della minoranza, proprio perché l’integrazione presuppone
la partecipazione alla costruzione della società con uguaglianza di opportunità. Si tratta di un processo che
prevede momenti o tappe tra di loro collegati ed interdipendenti:
- il momento dell’inserimento nelle sfere funzionali dell’esistenza, quali la scuola, il lavoro, l’habitat,
- il momento dell’adattamento, con la capacità in particolare dello straniero di entrare nelle strutture
sociali e di utilizzarne i mezzi,
- il momento dell’integrazione giuridica, con l’uguaglianza dei diritti sociali e politici, e della
partecipazione alla vita socio politica e culturale.
o
Il mantenimento degli stranieri in uno statuto provvisorio (che esclude di fatto il diritto della partecipazione
attiva alla società), in vista del loro ritorno nel Paese d’origine: in questo caso si tratta di una tolleranza
provvisoria, che cerca di perpetuare virtualmente la coabitazione di più “sotto società” tra di loro non
complementari in una società gerarchicamente stratificata.
Si tratta di una strategia di esclusione con il mantenimento dello straniero nella funzione produttiva con il
mantenimento in uno statuto giuridico del provvisorio: questo costituisce uno degli aspetti patogeni del
fallimento dell’acculturazione.
o
L’assimilazione forzata con la soppressione degli elementi costitutivi delle appartenenze culturali. Si tratta di
un processo che concepisce i rapporti tra gli stranieri nella società di residenza sulla base di un rapporto
unilaterale di comportamento: il modelli di comportamento della società maggioritaria vengono imposti allo
straniero, obbligandolo a spogliarsi dei propri elementi culturali. L’assimilazione dovrebbe operare un
assorbimento progressivo da parte del migrante delle abitudini, dei costumi, della scala dei valori e dei
comportamenti della società maggioritaria.
La storia delle migrazioni ci insegna che il fenomeno dell’assimilazione più che scelta politica ragionata è stato il
frutto di una mancanza di direttive precise, di motivazioni e di riflessione sulla realtà migratoria: basti pensare
alla finzione, presente un po’ ovunque in Europa, di una scuola omogenea e monoculturale e le difficoltà che le
istituzioni hanno di fronte alla necessità di promuove alcune innovazioni.
La Convezione europea dei diritti dell’uomo e della salvaguardia della libertà fondamentali, la Convenzione
europea sulla statuto giuridico del lavoratore migrante, come pure molte raccomandazioni del Consiglio
d’Europa, insistono sull’obbligo da parte dei Paesi che accolgono gli immigrati di condurre una politica che sia
rispettosa dello sviluppo integrale della persona.
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