Punto di convergenza di tutti i peri- coli:la valutazione degli insegnanti

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Formazione professionale svizzera
Punto di convergenza di tutti i pericoli:la valutazione degli insegnanti
Alla maniera del borghese gentiluomo di Molière che faceva prosa senza saperlo, noi tutti
abbiamo partecipato da lontano o da vicino
alla valutazione dei nostri insegnanti. Dilemma
di studenti delle medie superiori che dichiaravano le loro preferenze per questo o quel professore, che stabilivano una hit-parade puerile
e riduttrice, nella quale figuravano i prof simpatici e gli altri prof impopolari, autoritari
quanto mai, che ci terrorizzavano e ossessionavano talvolta i nostri ricordi di bambini o di
adolescenti. Di conseguenza, tutti conoscevano
l’efficacia dei buoni prof ed erano rari quelli
che sentivano il bisogno di lambiccarsi il cervello per affinare il loro giudizio. Nella tradizione d’insegnamento, la valutazione degli insegnanti era – ed è ancora – effettuata dai diversi attori responsabili del controllo scolastico
e in particolare dagli ispettori scolastici, dai direttori di istituti, dai Consigli di scuola e più implicitamente dagli allievi o dagli apprendisti.
Così, l’ispezione scolastica focalizzata in generale su una visita di classe abbastanza breve
rappresentava di fatto solo una valutazione formale che soddisfaceva gli uni e gli altri. In effetti, essere valutato non è mai stata un’espe-
rienza gradevole, e il fatto che essa fosse rituale
e rapidamente sbrigata non disturbava gli insegnanti tradizionali. Evidentemente, questo
relativo bricolage pedagogico non faceva male
a nessuno ed era, ammettiamolo, il tempo benedetto d’un relativo riconoscimento sociale
del lavoro dell’insegnante, in generale complimentato dal suo ispettore per la qualità del suo
lavoro. Di conseguenza, l’insegnante poteva
rassicurarsi in base ad una valutazione convenuta che non minacciava per nulla la sua identità e non rimetteva in causa le sue competenze.
Christian Léchenne
Docente professionale
Traduzione:
Vittorio Dell’Era
Rinunciare alle nostre abitudini…
Ma i tempi cambiano. I recenti mutamenti sociali ed economici non autorizzano più questo
relativo confort professionale in cui era immerso il magister d’un tempo. L’avvento di una
società postindustriale e di una società del sapere è stato l’interruttore di una vera implosione che ha rimesso in causa i numerosi postulati pedagogici, filosofici e sociali che fondavano le nostre istituzioni di formazione. Ormai
il prof è nudo. Difficile rinunciare ad abitudini,
a valori o a riferimenti consensuali. Dobbiamo
ammettere che questo tuffo nell’incertezza ci
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Passando per l’ispezione…
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destabilizza e ci lascia esterrefatti e sbigottiti in
attesa al margine della strada.
Per chiarire la situazione ci riferiamo al classico
triangolo pedagogico che mette in evidenza i
tre poli della formazione: i saperi, l’allievo e l’insegnante. Nonostante le messe in guardia profetiche dei pedagogisti pionieri della pedagogia attiva, specialmente l’insegnamento secondario è stato ed è ancora prioritariamente
fondato sui contenuti da trasmettere e accessoriamente connesso alla presa in considerazione
dell’allievo o dell’importanza della relazione
pedagogica. In quest’ottica, le qualità o le competenze determinanti nell’esercizio della professione si sono focalizzate sulle conoscenze da
trasmettere e sui diplomi professionali o accademici, e sono ancora i garanti riconosciuti
delle competenze dell’insegnante. Certo, da alcuni decenni dalla più parte dei candidati all’insegnamento si esige una formazione pedagogica. Tuttavia, siamo onesti. Questa formazione
è ancora una formazione alibi che non garantisce la professionalizzazione dell’insegnante.
Ci sono sicuramente delle eccezioni. Pensiamo
in particolare agli insegnanti dei livelli prescolari e primari che devono imperativamente formarsi a una pratica pedagogica che costituisce
l’essenza della loro professione. Altrettanto dicasi della formazione degli adulti, che è particolarmente esigente e che richiede competenze
didattiche e pedagogiche di alto livello. L’attuale evoluzione delle istituzioni incaricate
della formazione degli insegnanti – ISPFP o ASP
cantonali – va in questo senso, poiché esse mirano a formare insegnanti particolarmente
competenti e abilitati a gestire tutte le situazioni d’apprendistato.
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L’obbligo di competenze e di prestazioni
In effetti, l’insegnante è stato e resta ancora il
mediatore essenziale nel quadro della formazione. Malgrado i numerosi studi sociologici e
pedagogici che hanno dimostrato l’importanza
dei fattori esterni quali l’origine socioculturale
degli allievi, l’effetto-istituto o l’effetto-classe,
l’effetto-insegnante è misurabile e dimostrato
da certi studi recenti1. Secondo questi studi l’efficacia d’un insegnante sembra dipendere essenzialmente dalle attese positive proiettate
dall’insegnante sugli allievi, mettendo nuovamente in evidenza il famoso effetto Pigmalione.
Di conseguenza, gli insegnanti e le istituzioni di
formazione devono attualmente rendere conto
alle società pubbliche che le finanziano e hanno
un obbligo di risultati. Le scuole non possono
più funzionare al riparo dallo sguardo sociale.
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Così, i recenti studi PISA hanno provocato reazioni molto diverse nei ranghi della scuola e dei
responsabili di formazione. La mediatizzazione
di questi risultati non è sempre stata felice, tuttavia questo studi comparativi hanno il merito
di porre certi problemi che riguardano tutti gli
attori della formazione. La soluzione non è agevole, in quanto i fattori che determinano la riuscita o la performance dei nostri allievi o apprendisti sono numerosi e interagiscono in maniera sistemica. Di nuovo gli insegnanti devono
accettare d’essere coinvolti, malgrado le evidenti limitazioni che inducono questo o quel risultato. Di conseguenza, gli insegnanti hanno
attualmente un doppio obbligo di competenze
e di prestazioni.
Il passaggio da un approccio pedagogico fondato principalmente sui contenuti e sulla trasmissione delle conoscenze ad un altro approccio centrato sull’allievo e fondato su strategie
d’apprendimento individualizzate rappresenta
un vero salto quantico che certi esitano a superare. Per trasformare o formare degli insegnanti in veri esperti dell’apprendimento e della
formazione, sarebbe necessario un referenziale
di competenze al pari per esempio delle professioni della salute.
A favore di una valutazione intelligente…
La finalità di una valutazione delle competenze
di un insegnante non deve essere una valutazione/sanzione che determinerebbe lo stipendio o la promozione dell’insegnante. Questa valutazione dovrebbe essere una supervisione
realizzata da autentici esperti allo scopo di regolare le attività in vista di un miglioramento
della qualità dell’insegnamento. In quest’ottica,
le strategie di valutazione ispirate al management ci sembrano poco adatte ad una valutazione precisa delle competenze richieste dalle
pratiche pedagogiche. In effetti, certi criteri di
qualità sono in genere troppo normativi e sembrano mancare della flessibilità necessaria per
valutare un mestiere dell’umano caratterizzato
dall’alternanza tra l’oggettività e la soggettività.
Senza avallare i bricolage valutativi di un’epoca
passata, non dobbiamo cadere nella trappola
dell’assoluta razionalità e trasformare la valutazione degli insegnanti in inquisizione pedagogica che avrebbe effetti controproducenti. Alcune esperienze effettuate in certe scuole nei
paesi anglosassoni, in Inghilterra o negli Stati
Uniti in particolare, dimostrano l’assurdità di
una valutazione infeudata a dogmi neoliberali
che presentano il rischio di distruggere l’humus
umano su cui si costruisce una formazione.
L’insegnante di domani: scenari per il futuro
Su mandato della Task force «Prospettive professionali nell’insegnamento» della CDPE, gli
autori di un recente rapporto2 presentano 8 tesi
che cercano di definire un profilo della professione docente basata sul futuro e favorevolmente percepita dall’insieme degli attori interessati. In quest’ottica, l’insegnante dovrebbe
assumere i ruoli e le funzioni seguenti:
1. Una persona con funzioni di gestione e di
orientamento sociale
2. Un’attrice/Un attore dell’integrazione sociale
3. Una persona idonea al lavoro di gruppo e
un’interlocutrice cosciente di prestare un servizio pubblico
4. Un lavoro di formazione sostenuto e riconosciuto pubblicamente
5. Una persona specialista ed esperta negli ambiti dell’apprendimento e dell’insegnamento
6. Una formatrice/Un formatore cosciente del
suo ruolo e dei suoi limiti
7. Una persona esperta nell’affrontare i cambiamenti
8. Una persona esperta nel confronto con l’eterogeneità.
La lettura di questa lista lascia pensieroso, perché le competenze indotte da queste differenti
funzioni ci lasciano immaginare un «superuomo» e un «superpedagogo» che non esiste. Di
fatto, queste tesi implicano la necessità di un
funzionamento in équipe pedagogica che dovrà
mettere in comune le differenti competenze degli insegnanti esperti che ne fanno parte.
L’OCSE e il Centro per la ricerca e l’innovazione
nell’insegnamento (CERI), nel quadro del programma La scuola di domani, si preoccupano
della questione dello sviluppo a medio e a
lungo termine della scuola, ed esaminano le misure politiche favorevoli ad una evoluzione positiva della scuola. In questo quadro, sono previsti 6 scenari, raggruppati in 3 scenari principali3:
Scenario A: Estrapolazione dello status quo
Scenario B: Ri-scolarizzazione
Scenario C: De-scolarizzazione
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Gli scenari A sono caratterizzati sia da sistemi
burocratici forti che sarebbero la continuazione
della politica attuale, sia da un adattamento
alla logica del modello di mercato che favorisce
una relativa privatizzazione della formazione.
Gli scenari C rappresenterebbero un’alternativa
che privilegerebbe una società in rete fondata
sul potenziale delle TIC e che abbandonerebbe
le funzioni essenziali di socializzazione e di integrazione esigite dall’istituzione scolastica. Infine agli scenari B, centrati sulla ri-scolarizzazione, va la preferenza degli insegnanti e degli
esperti della CDPE. Questi scenari sono articolati
attorno al progetto di una scuola pubblica
come centro della vita sociale e una scuola
come organizzazione apprendente, animata da
professionisti qualificati in numerosi settori,
operanti in rete, il cui prestigio è notevolmente
accresciuto dal fatto che essi sarebbero degli
esperti dell’apprendimento al servizio dell’insieme della società.
Stiamo per perderci nei fantasmi onirici di
un’utopia pedagogica irrealizzabile? Difficile rispondere. Se tuttavia vogliamo progredire,
dobbiamo rompere il salvadanaio stereotipato
dei nostri arcaismi e delle nostre certezze, e immaginare un’altra scuola. In definitiva, ricollocando la scuola al centro del villaggio, mettendo la formazione al cuore del funzionamento sociale, economico e politico, gli
insegnanti, orfani d’un riconoscimento sociale
perduto nei dedali della modernizzazione, ritroveranno forse il sorriso e la gioia di esercitare
il loro mestiere.
1 Georges Felouzis. L’efficacité des enseignants.
PUF. Paris, 1997.
2 Beat Bucher et Michel Nicolet. Profession
enseignante – lignes directrices. CDIP. Etudes et
rapports 18 B. Berne, 2003.
3 OCDE/CERI. Analyse des politiques d’éducation
2001. Paris, 2001.
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