Hélène Balazard
La democrazia in azione
Partecipazione attiva per decisioni efficaci
Introduzione di Khaled Ghrissi e Soléne Compingt
Postfazione di Nicolò Costa
ARMANDO
EDITORE
Sommario
Introduzione di Khaled Ghrissi e Soléne Compingt
7
Capitolo primo: Come conciliare giustizia sociale
e autonomia della società?
23
Capitolo secondo: Come essere insieme critici ed attivi?
45
Capitolo terzo: Come “rappresentare” senza essere
un “rappresentante”?
55
Capitolo quarto: Come conciliare efficacia e democrazia?
77
Capitolo quinto: Come aver potere senza essere al potere?
99
Conclusioni
Glossario
Per agire
Ringraziamenti
125
135
137
139
Postfazione: Il pragmatismo radicale e il sistema
politico italiano
di Nicolò Costa
141
Introduzione
di Khaled Ghrissi e Soléne Compingt *
La democrazia è in crisi. Una constatazione oggi largamente condivisa. La democrazia rappresentativa registra oggi una percentuale
d’astensionismo tanto grande da spaventare i suoi rappresentanti; la
democrazia rappresentativa fa fatica a ricoprire i seggi e accumula le
riforme; il mondo associativo perde vigore nel vano tentativo di ovviare alla riduzione dei servizi pubblici e all’aumento della povertà.
Ma chi è responsabile di questa crisi democratica? Chi deve cambiare?
Si ritiene a volte che i responsabili siano coloro che non vanno a votare, che non partecipano, quelli che non si integrano.
Ma si può esaminare il problema attraverso un’altra ipotesi ed è quella
che questo lavoro ci invita ad esplorare.
Agire prendendo in considerazione la responsabilità collettiva. Agire
sui fattori strutturali che producono l’attuale situazione, chiamare in causa
le istituzioni, le imprese, promuovere cambiamenti nell’interesse generale,
trasmettere il senso della cittadinanza attraverso l’impegno nelle azioni civili e non attraverso l’acquisizione della nazionalità, costruire la democrazia.
Agire in democrazia
Nella loro ricerca di “idee per trasformare la Repubblica”, Pierre Rosanvallon e Jacques Rancière sono d’accordo su una cosa: il progresso
* Rispettivamente responsabile della comunicaizone all’interno del Consiglio di Amministrazione e coordinatrice della Alleanza dei cittadini di Grenoble.
7
della democrazia ha bisogno oggi di sviluppare “forze democratiche autonome che abbiano compiti, criteri di valutazione e di controllo (dei governanti) autonomi”1. Si tratta dunque di pensare il ruolo fondativo delle
relazioni di potere, per riuscire ad esplorare un’altra componente della
democrazia, quella della consultazione civica.
L’Alliance citoyenne di Grenoble è stata costituita con questo fine.
Nel suo ambito, le persone che normalmente hanno poco potere, si organizzano in modo indipendente dalle istituzioni, per poter consultare
le collettività locali, le imprese e negoziare con esse delle soluzioni ai
problemi che si presentano.
Per costruire e far progredire le condizioni di un reale potere civico
indipendente, l’Alliance citoyenne si basa sia su persone provenienti da
quartieri diversi che da altre comunità*2 .
Al di là dei sindacati e delle associazioni già esistenti, questo lavoro di
organizzazione collettiva nell’ambito di comunità spesso non politicizzate,
consente di includere nell’arena democratica un numero crescente di cittadini. Queste comunità possono perciò raccogliere e trasmettere le preoccupazioni dei membri che le compongono. Il fatto di condividere le medesime
preoccupazioni con persone di altre comunità, spinge le persone ad allearsi,
a riflettere insieme per trovare il modo di risolvere i problemi del quotidiano.
L’Alliance citoyenne produce dei leaders* che dal punto di vista delle
relazioni si basano sui metodi peculiari delle campagne civiche, nelle quali
le persone reali sono al centro dei processi decisionali. A questo fine essa
si munisce di uno strumento: gli organizzatori* che attraverso il loro lavoro
facilitano il passaggio all’azione collettiva, con un ruolo che è una via di
mezzo tra il sindacalista e l’agente di sviluppo locale. Ma in che modo è
possibile costruire una organizzazione democratica senza cadere nel rischio
dell’oligarchia? Com’è possibile conservare mobilità nel tempo senza cadere nella burocrazia? Com’è possibile professionalizzare lasciando il potere
alle persone di buona volontà? O conciliare l’efficacia dell’azione con la
1
Nicolas Truong, Des Idée pour transformer une République encore oligarchique, “Le
Monde”, 6 mai 2013.
2
Le parole seguite da asterisco sono oggetto di definizione nel glossario di fine opera.
8
partecipazione di tutti? Queste sono le sfide alle quali cercano di dare risposta le conoscenze degli organizzatori e quelle dei leaders impegnati. D’altronde, queste sono le domande che ogni gruppo, ogni società si pongono
e che costituiscono la sfida di ogni funzionamento democratico e le piste
proposte in quest’opera saranno strumenti destinati ad ogni tipo di lettore.
Agire in democrazia è un incoraggiamento ad operare: ciascuno dal
proprio posto ma tutti rivolti ad un medesimo scopo, la costruzione del
bene comune senza dimenticare le persone, perseguendo la democrazia
come un ideale da raggiungere e come strumento per conseguirlo.
Introduzione
La democrazia, etimologicamente “il potere del popolo”, è allo stesso
tempo un ideale – una società giuridicamente egualitaria ed autonoma - e
un problema in quanto realtà pratica che non può mai soddisfare completamente tale ideale. Come la società, la democrazia è in continua evoluzione.
Infatti sorgono quotidianamente varie iniziative a diversi livelli che hanno
lo scopo di perfezionarla o migliorarla. Le cosiddette forme classiche dell’azione democratica (impegno sindacale partitico o di voto alle elezioni) sono
probabilmente in declino, ma non lo è certamente l’impegno civile.
Le azioni collettive si evolvono e si diversificano (e parallelamente
talune organizzazioni sindacali o partitiche si reinventano).
Quali sono dunque le principali sfide democratiche che emergono nel
XXI secolo? Perché e in che modo operare in democrazia?3
La sfida democratica
Quando aumenta la sfiducia dei cittadini nei confronti di quelle istituzioni che dovrebbero garantire il funzionamento democratico, compaiono varie iniziative che hanno lo scopo di migliorare la democrazia e di
rispondere a numerose sfide.
3
Robert J. Sampson, Doug McAdam, Heather MacIndoe e Simon Weffer-Elizondo,
Civil Society Reconsidered: The Durable Nature and Community Structure of Collective
Civic Action, «American Journal of Sociology», vol. 111, n. 3, 2005, pp. 673-714.
9
Sviluppare il potere dei più svantaggiati
La democrazia poggia sul principio di eguaglianza dei diritti di tutti gli
individui, dove nessuno dovrebbe avere il potere di influenzare le decisioni
più di altri. Però, l’ineguaglianza delle risorse finanziarie e sociali fra individui ostacola di fatto un’equilibrata partecipazione ai processi decisionali.
È evidente che le élites* economiche hanno maggiore potere di influenzare
le decisioni pubbliche e che tale ruolo non è democraticamente controllato4.
Il potere del denaro prevale spesso sul numero. Allo stesso modo, le
relazioni sociali possono pesare sulle decisioni: ottenere un lavoro, un
posto al nido, una tariffa preferenziale, un arbitraggio favorevole, ecc.
A questo proposito si parla di “capitale sociale” per designare le risorse costituite dalle “relazioni fra persone – le reti sociali e le norme di
reciprocità e di fiducia che ne risultano”5.
Inoltre, le risorse finanziarie facilitano l’accesso alle risorse sociali e
viceversa (accesso a reti di relazioni, a posti ecc.). In altre parole, capitale
economico e capitale sociale si arricchiscono a vicenda e sono altrettante
risorse in grado di influenzare le decisioni politiche (capacità che potremmo denominare “capitale politico”).
Questi meccanismi vengono decuplicati e legittimati dalla crescente
adozione di teorie neoliberali. In effetti, i neoliberali non si limitano a
difendere un’economia di mercato (come i liberali)6.
Ponendo in concorrenza gli individui tra loro, li spingono di fatto a
massimizzare egoisticamente le proprie risorse economiche e sociali.
Di contro, l’incapacità dei più svantaggiati di influenzare le politiche
pubbliche in quanto privati cittadini, produce a sua volta un aggravio
delle ineguaglianze.
Perciò, la lotta contro i dislivelli economici e sociali e il migliora4
Cfr. le analisi dei gruppi d’interesse realizzate in sociologia. Emiliano Grossman,
Sabine Saurugger, I gruppi d’interesse in soccorso della democrazia?, «Revue Francaise
de science politique», vol. 56, 2006, pag 316.
5
Robert D. Putnam, Bowling Alone: The Collapse and Revival of American Community, New York, Tochstone Book by Simon & Schuster, 2001, p. 19.
6
Il liberalismo economico consiste in una massimizzazione del libero scambio e della
concorrenza grazie ad un intervento minimale delle istituzioni.
10
mento della democrazia devono essere pensati congiuntamente. Giustizia
sociale e democrazia sono indissolubili.
La filosofa Nancy Fraser7, su tale base definisce il concetto di “giustizia sociale” che possiede, a suo parere, tre dimensioni: il riconoscimento,
la rivendicazione di uno statuto uguale per tutti nelle interazioni sociali
(dimensione simbolica), la redistribuzione delle ricchezze (dimensione
economica) e l’accesso alla partecipazione o alla rappresentanza politica per tutti (dimensione politica). Occorre dunque raccogliere la sfida
dell’accrescimento del potere (empowerment*) del maggior numero di
persone ed in particolare di quelle che ne sono di fatto tenute lontane
dalle diverse forme di capitale. Per creare e conservare i meccanismi di
redistribuzione delle risorse socio-economiche e la regolamentazione dei
diritti individuali e collettivi che garantiscono la giustizia sociale e la
democrazia, occorre vigilare affinché ognuno abbia la possibilità di far
valere i propri diritti ed i propri interessi.
Per affrontare tale ineguale ripartizione del potere politico nella società, bisogna riconoscere nella realtà il ruolo politico delle reti di relazioni, dei gruppi d’interesse, delle associazioni e delle comunità* (nel
senso ampio di un gruppo di individui riuniti attorno ad un valore, ad una
appartenenza, ad un interesse comune).
Per la Francia si tratta di un passo decisamente contro-culturale, perché l’ideale democratico di eguaglianza politica tra individui che risale
alla Rivoluzione francese, poggia sulla teoria di un legame diretto tra
ciascun individuo e la nazione intera.
In questa logica, i gruppi di pressione anche detti “comunità d’interessi” e la loro attività, le lobbying*, non devono esistere perché inficerebbero la definizione di interesse generale. I rappresentanti della Repubblica che vengono eletti, sostenuti da tecnici esperti al servizio dello Stato,
sarebbero i soli depositari di questo interesse generale grazie ad un legame teoricamente diretto e paritario con ciascun cittadino. Ma la pratica
ha avuto ragione di tale ideale. Non è possibile fare astrazione dell’aspi7
Nancy Fraser, Justice sociale, redistribution e riconoscimento, Giustizia sociale, redistribuzione e riconoscimento, «Rivista del MAUSS,» vol. 23, 2004, pp. 152-164.
11
razione umana – tanto dei cittadini che degli eletti e dei funzionari – alla
libertà ed al bisogno di associarsi per difendere valori, diritti o interessi e,
in senso più ampio, per organizzare la vita nella società. I “corpi intermediari*”, quali i sindacati e le associazioni, sono stati anch’essi legalizzati
un secolo dopo la Rivoluzione (in particolare con la famosa legge 1901).
Tuttavia, una parte della società francese e una maggioranza delle sue
istituzioni conservano un atteggiamento cieco od ipocrita rispetto al ruolo dei gruppi di interesse e delle relazioni personali nel processo decisionale, inducendo frustrazione, sfiducia, senso d’ingiustizia e aumento
della illegalità. L’esistenza e l’azione di gruppi di pressione, che nella
maggior parte dei casi rappresentano gli interessi dei dirigenti economici
o dei più ricchi, dev’esser resa visibile per poter essere controllata e controbilanciata8. Allo stesso tempo occorre mettere insieme le condizioni
perché tutti, anche i più svantaggiati, possano organizzarsi, associarsi ed
interagire al fine di esprimersi e di partecipare alle decisioni che li riguardano. La regolamentazione dei diritti e la distribuzione equa delle risorse
aumenterà naturalmente. Si tratta di assicurarsi che i corpi intermedi*,
formali o non, che si creano in permanenza nella società, non tradiscano
gli ideali di eguaglianza e di fraternità ma che, al contrario, diventino il
veicolo di tali valori e un’apertura verso l’impegno politico* in senso
lato, per il maggior numero di persone.
La finalità di questa partecipazione di tutti (conseguire le migliori soluzioni per il bene comune o, in altre parole, per un interesse generale
maggiormente inclusivo) è importante, ma lo è altrettanto il processo
(acquisizione di un capitale sociale o di una fiducia in sé che permetta
di agire nella società) che consente, a lungo termine, di modificarne la
ripartizione. Si tratta in altre parole di uscire da una logica assistenziale
– “pensare, decidere e fare al posto di” – che di solito fa più bene a chi la
fa che a coloro che la ricevono. Le prevaricazioni subite hanno davvero,
in tal caso, la tendenza a riprodursi.
8
“L’Appello ai cittadini per un inquadramento ed una trasparenza delle attività di lobbying in direzione delle istanze di decisioni pubbliche” della rete ETAL, va in questo senso.
Cfr. http://www.reseau-etal.org/ (consultato nel gennaio 2015).
12
Verso un diritto d’interpellanza
Il rapporto Per una riforma radicale della politica della città, non si
farà più senza di noi, consegnato da Marie-Hélène Bacqué e da Mohamed Mechmache al ministro delegato incaricato della Città, Francois
Lamy nel giugno 2013, propone di inserire «un diritto d’interpellanza
civica come una dimensione che fa parte integrante del funzionamento
democratico della Repubblica». Questo rapporto parte dalla constatazione che la democrazia rappresentativa e i dispositivi di partecipazione istituzionale non consentono, da soli, di cancellare le diseguaglianze in termini d’accesso alle decisioni politiche. Esso propone, a complemento del
finanziamento pubblico di queste due forme di democrazia (rappresentativa e partecipativa), di “liberare i mezzi umani e finanziari” che favoriscono la democrazia attraverso il diritto d’interpellanza. Si tratta di creare
«le condizioni per una costruzione maggiormente inclusiva dell’interesse
generale». Questa proposizione non è stata ripresa nella legge per la città
e per la coesione urbana del febbraio 2014: alcuni abitanti assieme ad alcune associazioni dei quartieri popolari, hanno creato nel settembre 2014
la coordinazione nazionale Pas sans nous (“Non senza di noi”) proprio
per rivendicare questo diritto di tutti all’interpellanza9.
Calare le relazioni umane e il potere nel cuore della politica
La democrazia si riduce ad una serie di dispositivi tecnici prestabiliti
che poggiano sulla passività e sull’isolamento del cittadino. I corsi di
educazione civica lo dimostrano ampiamente sia nella sostanza che nella
forma: la democrazia viene descritta come una sommatoria di dispositivi
che gareggiano per complessità e il suo insegnamento continua a declinare, lasciando gli alunni passivi e non incoraggiandoli affatto ad interagire
con la società.
Il disinteresse verso i partiti politici così come verso i meccanismi
democratici (le elezioni per esempio) è dovuto in parte al loro funzionamento scarsamente leggibile ma anche alla loro involuzione.
9
Cfr. passensnous.fr (consultato nel gennaio 2015).
13
Che questo sia l’auspicio di una élite o il risultato della istituzionalizzazione della democrazia, la politica somiglia sempre di più ad una
scatola nera che solo dei professionisti che ne fanno la loro carriera hanno il potere di decodificare. Inoltre, la tecnicizzazione dei dibattiti sulle
istituzioni politiche, ha la tendenza a relegare in secondo piano il loro
significato, al punto che questo finisce con lo scomparire (il “come” batte
il “perché”). Un ulteriore limite è costituito dalla tendenza a considerarla
uno stato permanente, a viverla come finalità che è tipico delle istituzioni
e del personale politico, mentre dovrebbe essere costantemente oggetto
di discussione. “Tale meccanismo, tale istituzione è sempre necessaria ed
utile alla democrazia? Al bene comune? Questo o quel rappresentante è
ancora in grado di rappresentarci?”.
Perciò è la politica che si disinteressa dei cittadini, più di quanto i
cittadini non si disinteressino della politica. In democrazia, l’organizzazione della vita in società (la “politica” in senso etimologico), in un
modo o nell’altro dovrebbe essere una attività sociale condivisa da tutti.
Dovrebbe produrre convivialità e non isolamento. Amore, ironia, poesia,
emozione, piacere, creatività, gioia, felicità sono nozioni che in politica
dovrebbero essere riabilitate. Queste parole esprimono il senso che ciascuno di noi dà o vorrebbe dare alla propria vita. Inoltre è interagendo
spesso con persone nuove che i cittadini possono sviluppare la propria
coscienza dell’alterità e riconoscere il bene comune. Acquisendola, sono
in grado, ad esempio, di percepire in modo più naturale l’importanza di
un equo accesso alle risorse ecologiche, materiali o culturali e dell’importanza di preservarle per le generazioni future.
Anche la nozione di potere dovrebbe ritrovare in politica il giusto posto, poiché esprime il modo di produrre dei cambiamenti. La mediazione
che dev’esser fatta fra singole persone che hanno obiettivi divergenti, dipende dal potere di cui dispongono. La trasformazione delle relazioni di
potere è una tappa fondamentale per far evolvere ogni situazione insoddisfacente. Il problema dell’élitismo non può risolversi con la negazione
del potere o del suo esercizio, della leadership*.
Sopprimere il potere significa sopprimere la possibilità, ma anche il
14
diritto, delle persone di fare qualcosa di diverso da ciò che ci si aspetta da
loro, significa sopprimere la loro autonomia e ridurle alla condizione di
macchine. È lo sviluppo della leadership di un maggior numero di persone che può ridurre il rischio di élitismo. Ed è l’apprendimento di capacità
collettive nuove che consente di cambiare i rapporti di potere10.
Collocare relazioni umane e potere al centro delle preoccupazioni e
delle modalità di comportamento in democrazia significa riconoscere la
loro importanza in ogni processo di cambiamento: l’innovazione e la creatività sociale e di conseguenza politica, nascono da relazioni e situazioni
nuove e, in particolare, da incontri e confronti fra coloro che normalmente non si parlano affatto. La storia e la società sono una creazione umana
che non deve essere sminuita da istituzioni stereotipe o da procedimenti
predeterminati.
Benessere e collaborazione nel cuore della politica
Vi sono numerose iniziative che mettono in primo piano il benessere di
tutti come obiettivo di società e sviluppo umano duraturi (es.: i gradi Spiral
di co-costruzione di progetti partendo dalla definizione di benessere fatta
dai partecipanti, condotta dalla rete d’azione internazionale Together)11.
Queste miravano a distinguersi da una concezione del progresso
unicamente basata sulla produzione di ricchezza (notoriamente misurata dal PIL) che tende a ridurre ogni azione umana od istituzionale ad
un atto economico, soggetto a criteri di redditività. Esse pongono in
luce il ruolo determinante delle dimensioni immateriali del benessere quali un ambiente opportunamente preservato, la riconoscenza, la
fraternità, la fiducia in se stessi, negli altri, nelle istituzioni e nell’avvenire, ecc.
Queste iniziative in modo particolare si avvalgono di metodi collaborativi. Sviluppano per la società prospettive diverse dalla massimizza10
Queste analisi sulle relazioni di potere riprendono quelle fatte in sociologia dalle
organizzazioni di Michel Crozier e Erhard Friedberg: L’acteur et le système: les contranites
de l’action collective (L’attore e il sistema i vincoli dell’azione collettiva, Seuil, Paris 1977
11
Rete internazionale dei territori di corresponsabilità creata nel 2009, https://wikispiral.org/tiki-index.php?? pag=R%A9seau+des+territoires (consultato nel gennaio 2015).
15
zione della ricchezza o dei diritti individuali12. Si tratta di accrescere la
capacità dei cittadini a collaborare e a dar un senso alla politica.
Condividere le responsabilità con chiarezza e giustizia
Il potere comporta delle responsabilità. Sviluppare il proprio potere
vuol dire anche ridefinire le proprie responsabilità. Vivere insieme significa anche doversi mettere d’accordo sulle responsabilità di ciascuno
nella società. Però, senza chiarezza, la condivisione implicita dei doveri
e delle responsabilità comporta spesso una effettiva cancellazione delle
stesse che vengono continuamente rimbalzate dall’uno all’altro. Di cosa
sono effettivamente responsabili i vari attori della società (istituzioni
pubbliche, imprese, associazioni, cittadini…)? Ogni modello di società
si costruisce appunto fornendo delle risposte diverse a queste domande.
Un primo problema è che questa condivisione delle responsabilità non
viene praticata sempre in modo democratico e generalmente non è nemmeno conosciuta. Inoltre, come le relazioni umane, la ripartizione delle
responsabilità è in continua evoluzione, fatto che rende ancora più difficile
il compito di chiarificazione che deve essere pertanto un processo continuo. L’uso crescente della parola “governance” consente di illustrare tale
fenomeno: vi sono numerose responsabilità che devono essere coordinate.
Spesso criticata per essere una parola contenitore, vuota di senso, fatta
apposta per mascherare il disimpegno dei pubblici poteri, questa nozione
consente tuttavia di mettere in luce l’emergenza di una società civile* più
organizzata politicamente che richiede maggiore trasparenza e possibilità
di accesso alle decisioni.
Un altro problema è quello dell’assenza di meccanismi che consentano
a coloro che hanno delle responsabilità collettive di render conto del loro
operato. Ad esempio, nell’esercizio del potere che è stato loro “affidato”, i
governanti e di dirigenti dovrebbero rispondere in permanenza della “fiducia” che è stata loro accordata, il che presuppone un dovere di “render con12
Prospettive chiamate in causa da Wendy Brown per contrastare lo sviluppo del neoliberalismo e dei suoi effetti antidemocratici; Neoliberalism and the End of Liberal Democracy, «Theorie & Event», vol 7, n. 1, 2003.
16
to”. Tale processo di “verifica della fiducia” si definisce “responsabilità”.
La lingua inglese usa un sostantivo quasi intraducibile – accountability – che esprime quest’idea di render conto13.
È cosa nota che numerose istituzioni pubbliche, associative pubbliche
o private, di lucro o caritative, praticamente non rendano affatto conto del
loro operato a coloro sui quali producono degli effetti (salariati, beneficiari ecc.) e ne rendano ben poco a coloro che hanno affidato loro il potere che esercitano (contribuenti, aderenti, azionisti, amministratori ecc.).
Per fornire una risposta a tale limitazione si stanno sviluppando nuove
forme di controllo (tipo associazioni di consumatori od utenti) ovvero di
delimitazione (creazione di nuove organizzazioni, sindacati, imprese o
associazioni su modello cooperativo che sviluppano reti di mutuo soccorso o di condivisione autogestita di beni via Internet, ecc.).
L’evoluzione verso modalità di funzionamento e d’intervento più
collaborative e democratiche può avvenire anche in seno alle istituzioni (come l’apertura dei consigli d’amministrazione o comitati di orientamento ai beneficiari, evoluzioni nel senso di un funzionamento meno
gerarchico e più trasversale), sia come risposta ad una interpellanza, che
in una logica interna di responsabilizzazione democratica e societaria oppure in una mera logica gestionale. È il caso, su scala governativa, delle
così dette iniziative di “democrazia aperta” che promuovono la trasparenza dei conti pubblici, la partecipazione cittadina e la collaborazione
orizzontale dei componenti della società civile14.
Come sottolineano i sociologi Michel Crozier e Erhard Friedberg, la
partecipazione di tutti i membri di una organizzazione al suo governo,
consente di scoprire problemi che altrimenti non sarebbero mai emersi
nonché di pervenire a soluzioni più pratiche ed a compromessi di buon
senso. Tale partecipazione dev’essere fondata su una responsabilità as13
Francois Bastien, Il preoccupante declino della responsabilità politica nelle nostre
democrazie, “Le Monde”, 21 luglio 2010.
14
http://fr.wikipedia.org/Gouvernement-ouvert (consultato nel dicembre 2014). A titolo d’esempio, il programma “Territori altamente cittadini” propone ai collettivi locali di
operare una transizione democratica sperimentando forme di governo aperto. Cfr. http://
democratieouverte.org/projects/territoires-hautement-citoyens (consultato nel gennaio 2015).
17
sunta in modo più chiaro dai partecipanti ai quali viene riconosciuto un
certo margine di libertà. Essa consente e infine favorisce la scoperta e
l’apprendimento di modalità relazionali nuove15.
Un ultimo problema è rappresentato dal fatto che spesso, sotto l’apparenza della democratizzazione e della condivisione delle responsabilità,
alcune delle iniziative di sviluppo del potere da parte dei cittadini, vengono
portate avanti a spese dei più deboli. La retorica democratica di responsabilizzazione della società civile che si accompagna all’ingiunzione alla
“resilienza”, alla “transizione” o alla partecipazione, può non essere affatto
accompagnata dai mezzi necessari a che i più svantaggiati possano sviluppare ed esercitare il loro potere. D’altro canto, può servire a giustificare il
blocco dei meccanismi già acquisiti di redistribuzione della ricchezza. In
questo senso, le politiche così dette neoliberali spingono gli individui ad
assumersi la completa responsabilità delle proprie azioni e delle loro conseguenze, quali che siano le circostanze che le producono.
Questa responsabilizzazione infine, non riguarda la partecipazione
alle decisioni collettive.
Il cittadino neoliberale è quello che sceglie per conto proprio fra le
diverse opzioni sociali, politiche ed economiche e non quello che opera
con altri per modificare o rendere possibile tali opzioni. L’ambito di responsabilità personale è ampliato, ma la partecipazione e l’empowerment
politico non è affatto raggiunto. La legge e il governo dovrebbero essere
al servizio dell’economia e dovrebbero farsi carico di diffondere un complesso di norme sociali atte a favorire la concorrenza e il libero scambio16.
Se si arriva al punto che una persona qualsiasi non è in grado di difendere i propri interessi o di porvi rimedio né di emanciparsi da violenze
o soprusi, la democrazia diminuirà mano a mano che aumenteranno le
ineguaglianze sociali.
15
Cfr. Michel Crozier, Erhard Friedberg, L’acteur et le système: les contraintes de
l’action collective (L’attore e il sistema: i vincoli dell’azione collettiva), cit.
16
A differenza del laissez faire del liberalismo economico classico, il neoliberalismo
non considera il comportamento economico razionale come semplicemente naturale. Cfr.
Wendy Brown, Neoliberalismo e fine della Democrazia Liberale, cit.
18
La corresponsabilità societaria
Alcuni concetti come la responsabilità societaria delle imprese (RSE),
l’economia sociale e solidale (ESS) o il commercio equo, tendono a ridefinire le responsabilità delle azioni degli individui e delle imprese (produzione, consumo ecc.). La RSE è “la responsabilità di una organizzazione
di fronte all’impatto delle proprie decisioni e delle proprie attività sulla
società e sull’ambiente”.
Si traduce in «un comportamento trasparente ed etico che: a) contribuisce ad uno sviluppo duraturo, ivi compresi la salute e il benessere della
società; b) tiene conto delle aspettative delle parti che vi partecipano; c)
rispetta le leggi in vigore ed è compatibile con le normative internazionali; d) è integrata nell’insieme dell’organizzazione e dell’attuazione per
quanto riguarda le relazioni»17.
L’ISO 26000 è una norma internazionale che descrive appunto come
ogni tipo d’organizzazione possa interrogarsi sinceramente ed in piena
trasparenza sul contributo che offre alla società e render conto dell’impatto che produce: dai diritti dell’uomo fino alla salute nel lavoro, passando per la corruzione o per le economie energetiche e la governance.
Si sviluppano parimenti alcune iniziative a livello delle collettività locali per mettere in chiaro e farsi carico delle proprie responsabilità riguardo
alle sfide dello sviluppo duraturo (Agenda 21, Rapporto sviluppo duraturo.
Responsabilità societaria delle organizzazioni ecc). Il recente Manifesto
per la corresponsabilità societaria territoriale proposto dalla rete Agenda
21 della Gironda, richiama ad una “alleanza delle parti beneficiarie” su
un determinato territorio (collettività locali, abitanti, imprese, associazioni,
amministrazioni pubbliche nazionali ed europee, ecc.) al fine di poter definire e farsi carico di una “responsabilità comune (corresponsabilità) verso
la società e verso l’ambiente (sociale) che esercita in conseguenza delle sfide globali e in aderenza con la realtà delle situazioni locali (territoriali)”18.
17
http://www.developpement-durable.gouv.fr/Qu-est-ce-que-la-responsabilité.html (consultato nel gennaio 2015).
18
https://wikispiral.org/tiki-index.php?page=mANIFESTE+Soci%C3%A9t%C3%A9+Bien+Commun (consultato nel gennaio 2015).
19
Questa “corresponsabilità” deve consentire una reciproca comunicazione
delle parti beneficiarie sulla parte di responsabilità che ciascuna di esse
deve assumere al fine di migliorare il benessere di tutti, oggi e domani.
(Re)Agire in democrazia, l’obiettivo del libro
La caratteristica dell’ideale democratico è di non poter mai essere raggiunto proprio perché le relazioni umane non possono mai essere statiche.
La democrazia consiste in una invenzione permanente e non in una forma stereotipa di città ideale. È un processo infinito. Ammetterlo non significa però che non ci si stanchi di sognarlo. E viceversa, pensare che esista una
situazione ideale, può funzionare da freno a qualsiasi modificazione e generare frustrazione. Si tratta dunque di consentire alle iniziative che cercano di
rispondere alle sue sfide, di moltiplicarsi ma anche di essere perpetuamente
rimesse in questione e arricchite. Agire e reagire. Reagire ed agire.
Ogni azione collettiva, che sia di auto-organizzazione o di partecipazione civica, è sottoposta nella realtà ad una serie di dilemmi: in che
modo conciliare la partecipazione del maggior numero di persone e l’efficacia delle azioni intraprese, indipendenza e cooperazione politica, desiderio di riconoscimento e senso della collettività, azione e ripensamento?
In che modo costruire la propria legittimità? Come finanziarsi per restare
indipendenti? Come rendere durevole nel tempo la propria azione senza
incappare nei processi antidemocratici tipici di alcune forme di istituzionalizzazione? Si può e si deve indurre la partecipazione di coloro che non
vi prendono parte spontaneamente?
Questo libro si propone di contribuire all’apertura di nuove prospettive sul modo di agire in democrazia e sui modi di superare tali dilemmi
nella pratica professionale, associativa, militante o personale.
Per illustrare concretamente ed in modo coerente i nostri obiettivi, ci
baseremo in modo particolare sull’esperienza di due organizzazioni che
cercano di rispondere congiuntamente a queste tre sfide democratiche
(sviluppare il potere dei più svantaggiati, porre le relazioni umane e il
potere nel cuore della politica, condividere in modo chiaro ed equo le
responsabilità) e che incontrano realmente numerosi dilemmi. Si tratta di
20
London Citizen e dell’Alliance citoyenne del comprensorio di Grenoble,
dato che entrambe si ispirano al modello definito Community organizing*
(letteralmente “organizzazione della comunità”).
-----------Tradurre la parola community organizing?
Community organizing può essere tradotto con l’espressione “Organizzazione comunitaria” come accade nel Québec. Ma questa interpretazione
confonde i termini Comunità e comunitario, aggettivo che in Francia può
avere un significato deteriore, esattamente come il termine comunità. Nel
contesto anglosassone, la nozione community rinvia per lo più ad una determinata area geografica nella quale vivono delle persone “in collettività”:
il vicinato, il quartiere, la città, il paese, o, in senso astratto, il “territorio”.
Però si riferisce anche al legame sociale, in particolare all’identità e ad interessi condivisi fra gli individui. Può anche essere sinonimo di “società”.
“Comunitario” poi, in Québec significa “al servizio di una comunità”. Si
riferisce ad associazioni senza fine di lucro impegnate nel sociale per un insieme di persone che condividono una medesima appartenenza (territoriale,
culturale, etnica, religiosa, professionale, ecc.). Nel community organizing
la comunità è lo spazio vitale ma possiede anche un significato sociale e politico: è un “corpo intermedio”, con riferimento alla filosofia politica anglosassone, liberale e pluralista. Inoltre, laddove la parola organizzazione può
far riferimento ad una struttura predeterminata, il gerundio “organizing”
traduce un processo. Per tali motivi si usa più spesso l’espressione inglese.
-----------Per questo e anche grazie alla conoscenza approfondita che possiedo
di tali iniziative, me ne servirò come di un filo conduttore. Ho fatto uno
stage presso il Citizen di Londra ed ho realizzato una inchiesta approfondita sotto forma di dottorato di ricerca in scienze politiche; in seguito ho
partecipato alla creazione dell’Alliance citoyenne. I numerosi scambi con
i militanti, i rappresentanti, i professionisti, i ricercatori, gli studenti ed
i funzionari che ho avuto la fortuna di incontrare grazie al mio impegno
associativo, universitario o professionale, mi hanno convinto che queste
esperienze contenevano ricchi insegnamenti circa l’agire in democrazia.
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Nel corso del testo, vengono presentate altre esperienze francesi centrate sullo sviluppo del potere d’azione19 dei cittadini e sono presentate al
fine di ampliare le nostre prospettive.
A complemento di ciò alcuni inserti forniscono chiarimenti teorici e
storici.
Il primo capitolo è dedicato alla presentazione del community organizing. La sfida principale di tale modello organizzativo della società civile
è quella di incrementare il potere di tutti specialmente di quelli che ne
hanno di meno, al fine di migliorare la giustizia sociale e l’autonomia
nella società. Come si può fare per indurre coloro che non partecipano a
partecipare senza incidere sulla loro autonomia?
Il secondo capitolo verterà sul fatto che non esiste una “soluzione”
ai vari dilemmi che si presentano nella pratica democratica e che non ci
sono ricette fisse: ciò che conta è essere reattivi e creativi.
Il terzo capitolo pone la questione della rappresentanza come fulcro
della pratica democratica. Come rappresentare se non si è eletti come
rappresentanti?
Il quarto capitolo affronta uno dei principali problemi dell’azione democratica: come coniugare il massimo di partecipazione alle decisioni
collettive con l’efficacia e la visibilità di un collettivo? Come coniugare
efficacia e capacità trasformativa dell’azione politica?
Il quinto ed ultimo capitolo pone la questione centrale del potere.
Come si fa ad avere potere se non si è al potere? Che cos’è il potere?
Come articolare, ad esempio, conflitto e cooperazione?
Questo libro vorrebbe invitare il lettore a reagire e ad agire esattamente dal suo posto. La panacea ai dilemmi ed alle sfide della vita sociale,
non esiste. La chiave è costituita da tutta una serie di azioni riflessive,
creative, inclusive e collettive che si creano di continuo nella società al
fine di migliorare la democrazia.
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Queste esperienze sono raggruppate nel quadro di un programma di esperienze incrociate coordinate dal collettivo Pouvoir d’Agir (Potere d’Agire) (pouvoirdagir.fr) e sostenuto dalla Fondazione di Francia.
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