PANORAMICA STORICO FILOSOFICA DELLA PAROLA “IDEOLOGIA” FINO AI NOSTRI GIORNI - SOCIOLOGIA DELLA CONOSCENZA Abbiamo analizzato la nascita della nostra disciplina in Italia . Ci siamo subito imbattuti in una parola …“ Ideologia “. Cosa sono le ideologie.? Quanto hanno influenzato la nostra disciplina? Per rispondere a queste domande dobbiamo rifarci al “ percorso storico di questo concetto.” Rubiamo l’dea ad Arthur O. Lovejoy fondatore del concetto di storia delle idee. Lovejoy concentra la sua analisi sulle singole idee e non si occupa dei sistemi filosofici in cui esse entrano a far parte. Tratta le idee come unità“primarie dinamiche,persistenti o ricorrenti” nella storia del pensiero. La filosofia, fin dagli antichi greci si è interessata della conoscenza e dei suoi meccanismi. Il pensiero classico ha distinto la conoscenza tra - l’opinione e la scienza e - ne ha discusso il valore di verità. L’opinione fondata sull’esperienza sensibile è ingannevole ed instabile -Seguamo la traccia_ Parmenide afferma il primato della ragione Socrate -il sapere non viene dall’esterno, ma nasce nell’anima. La conoscenza non si insegna. Il maestro può solo aiutare l’allievo a partorirla da se.(l’arte della maieutica- levatrice) Platone segue le orme di Parmenide e Socrate rivalutando l’esperienza sensibile che serve a risvegliare le idee –forme universali – con cui è plasmato il mondo. Conoscere significa ricordare. Il sapere è innato. Aristotele rivaluta l’esperienza sensibile, l’intelletto umano recepisce le impressioni sensoriali,svolge un ruolo attivo che va oltre la particolarità dell’oggetto e ne coglie l’essenza . L’intuizione intellettuale è capace di astrarre l’universale dalle realtà empiriche. L’intuizione intellettuale resta il vertice più alto della conoscenza. Il medioevo accentua la dimensione mistica e contemplativa. Con Plotino e Agostino solo con l’estasi ci si può identificare con l’uno che è a fondamento della realtà. Con la filosofia moderna le posizioni si diversificano di più. Cartesio vede la conoscenza come il fine della filosofia. Ha valore solo quello che è oggettivo e razionalizzabile. Da inizio alla corrente del razionalismo. Francesco Bacone (1561-1626) con i suoi “manifesti antidogmatici” proclama la liberazione della ragione contro gli “ idola” ,i pregiudizi collettivi, i principi indiscussi, i pregiudizi che impediscono la conoscenza della verità. Per Thomas Hobbes, John Locke, George Berkeley, Davide Hume la conoscenza umana deve ricondursi alla Verificabilità :ha valore solo ciò che è verificabile Meccanicismo : anche la conoscenza umana risponde alla legge meccanica di causa_effetto. Helvetius e Holbach i due enciclopedisti dichiarano che i pregiudizi che Bacone aveva attribuito agli uomini assolvono in generale ad una determinata funzione sociale:mantenimento dell’ingiustizia e ostacolo all’edificazione di una società razionale. Se è vero che l’opinione è regina, questo è il vero regno dei potenti! Da Helvetius in “De l’Homme” …e ancora, negli ultimi anni, “ le nostre idee sono conseguenze necessarie delle società in cui viviamo” Hobbes e gli empiristi sono convinti che la mente umana è una tabula rasa alla nascita senza idee innate. Dopo la nascita, le impressioni sensoriali agiscono meccanicamente sulla mente plasmandola e creando i concetti. Leibniz criticherà l’empirismo, riaffermò le idee innate e afferma che esistono pensieri di cui non si ha coscienza, che agiscono a livello inconscio.. Kant criticò l’empirismo dichiarando che la conoscenza è un processo critico., la mente svolge un ruolo attivo. La conoscenza da un lato è a priori, perché nasce dalle nostre categorie mentali. Ma le categorie mentali si attivano attraverso i dati empirici. Per Kant la conoscenza è capacità di connessione in maniera critica e consapevole le informazioni, conoscere significa collegare. Hegel – la conoscenza è frutto di una mediazione razionale, è il risultato di un processo con cui la ragione arriva a dedurre da sé tutta la realtà In uno scritto del 1798 Antoine Destrutt De Tracy afferma che la conoscenza dell’origine delle nostre idee e’ il fondamento della grammatica, della logica, della istruzione e dell’educazione, della morale e della politica. Per indicare la scienza che studia tale origine egli rifiuto’ le espressioni di Condillac “ analisi delle sensazioni “ e le parole “ metafisica e psicologia” proponendo il termine “ideologia”. E’ necessario ricordare che il significato, attribuito da Tracy al termine “ideologia” non e’ piu’ quello corrente soprattutto ai nostri giorni. Già’ Napoleone aveva usato il termine “ ideologi “ come sinonimo di dottrinari acchiappanuvole, astratti e politicamente pericolosi. Il significato successivo del termine viene ad indicare in generale non piu’ una qualsiasi analisi filosofica ma un sistema di principi e orientamenti dottrinali e programmatici,che ispira un movimento,e dei quali esso movimento si avvale per effettuare opera di persuasione e propaganda al fine di sostenere interessi particolari o occulti. Nel corso dell’ 800 il marxismo contribuisce in maniera rilevante alla elaborazione della concezione moderna di ideologia. Dice Marx “… nella produzione sociale della loro vita gli uomini entrano in determinati rapporti necessari e indipendenti dalla loro volontà’, rapporti di produzione che corrispondono ad una certa fase di sviluppo delle loro forze produttive materiali. L’insieme di questi rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società’ ,che e’ la base reale su cui si edifica una sovrastruttura , una falsa coscienza……il modo di produzione della vita materiale condiziona perciò’ in generale il processo della vita sociale, politica e spirituale.” Marx elabora questa dottrina soprattutto in opposizione al punto di vista di Hegel ; per Hegel e’ la coscienza , che determina l’essere sociale dell’uomo. Per Marx e’ l’essere sociale dell’uomo che determina la sua coscienza. Comunque nel suo significato più ampio “ ideologia “ , secondo il marxismo, quel generale modo di pensare e quel patrimonio dottrinario che corrisponde ad una epoca determinata, e che , più esattamente esprime la posizione, gli interessi, le aspirazioni di una data classe in un dato momento storico. ….“ “ le idee dominanti in una tale epoca – dice Marx – sono quelle della classe dominante”. Comunque ,in conclusione, anche da non marxisti è stato osservato che il materialismo storico, sottratto a impostazioni dogmatiche, offre chiave feconda di interpretazione e conoscenza dei fenomeni sociali e del movimento della storia. Nella prima metà’ del 900 Pareto, nel suo trattato di sociologia generale esamina l’ideologia nella sua accezione moderna pur non adoperando il termine, cosi’ come aveva, invece, fatto in una sua precedente opera del 1902 ( sistemi socialisti ). La nozione di ideologia in Pareto, corrisponde alla nozione di “ teoria non scientifica “, intendendo come tale ogni teoria non logica – sperimentale. Una teoria , secondo Pareto , puo’ essere, in generale, valutata .: 1° nel suo aspetto oggettivo, cioe’ con riguardo alla esperienza; 2° nel suo aspetto soggettivo, cioe’ nella sua forza di persuasione; 3° nella sua utilita’ sociale, cioe’ nella sua utilita’ per chi la propone e sostiene. Tale distinzione rende impossibile ritenere, sempre secondo Pareto, vera una teoria persuasiva o utile, e ritenere persuasiva o utile una teoria vera consentendo, tra l’altro, di distinguere lo studioso dei fatti sociali dal propagandista e dall’apostolo. In conclusione la funzione della ideologia, nella dottrina di Pareto, e’ in primo luogo quella di persuadere e di dirigere l’azione. Per Pareto e’ evidente che una teoria scientificamente vera, o se si vuole oggettivamente valida, non ha ( al di fuori del campo degli scienziati competenti) per sè stessa forza persuasiva; come e’ altrettanto chiaro che una teoria scientificamente falsa non può’ conservare a lungo forza di persuasione, ed è in stretta relazione al contesto sociale in cui la teoria opera. Insomma l’ideologia e’ ogni credenza adoperata per il controllo di comportamenti collettivi in una situazione determinata. Nel suo significato piu’ generale la credenza e’ l’atteggiamento di chi riconosce vera una proposizione come nozione impegnativa di controllo. La credenza non implica di per se’ la validita’ oggettiva della nozione alla quale si impegna; ne’ per altro esclude questa validita’. Pareto polemizza con i marxisti escludendo che la caratteristica fondamentale della ideologia consista nel fatto che essa esprima gli interessi e i bisogni di un gruppo sociale; non consiste ripetiamolo ancora, neanche nella sua validita’ o non validita’ oggettiva ma semplicemente nella sua capacita’ di controllare e governare il comportamento degli uomini in una situazione determinata. Altro notevole teorico dell’ideologia e’ Mannheim. Questo teorico ha distinto un concetto particolare e un concetto universale di ideologia. In senso particolare si intende per ideologia “ le manipolazioni piu’ o meno deliberate di situazione reale effettuate da chi, per mezzo di essa, difende interessi che verrebbero contrastati dalla esatta conoscenza della vera situazione. In senso generale si intende per ideologia l’intera “ visione del mondo “ di un gruppo umano, per es. Di una classe sociale. “le ideologie afferma Mannhein, sono idee che non riescono in “de facto” ad attuare i progetti in esse impliciti. Sebbene spesso si presentino come giuste aspirazioni della condotta privata dell’individuo, quando poi sono tradotte in pratica, il loro significato viene spesso deformato. Ad esempio, l’idea dell’amore fraterno cristiano rimane in una societa’ fondata sulla schiavitu’, un’idea irrealizzabile , e percio’ stesso ideologica, anche quando il suo significato costituisca, per chi lo intende in buona fede, un fine per la condotta individuale”. Mannhein contrappone una nozione di ideologia, quale idea incapace di realizzare i progetti da essa stessa proposti, a un’idea utopia quale idea capace, al contrario, di realizzarsi. In tal senso l’utopia e’ forza di trasformazione della realta’ in atto, e sarebbe quindi, alla base di ogni rinnovamento sociale. Con Scheler e Mannheim l’ideologia si è trasformata in sociologia della conoscenza. Ogni forma di conoscenza , vera o falsa è condizionata socialmente Il relativismo e il relazionismo. Le ideologie diventano non vere solo in relazione alla realtà stessa. Possono essere vere in sé, come le idee di libertà,umanità, giustizia, ma non sono vere se si danno la pretesa di essere già realizzate. L’ideologia riempie oggi gran parte della coscienza degli uomini. I prodotti ideologici,i prodotti spirituali, i prodotti culturali, l’arte sono divenuti merce, oggetti confezionati per essere venduti, consumati allo scopo di modellare e fissare uno stato di coscienza . Tutti i prodotti della industria culturale : cinema,riviste,giornali,radio,televisione,letteratura di ogni tipo,biografie,ecc rispondono a questo imperativo. Indagine su la” società dello spettacolo” - Guy Debord , Jean Baudrillard, Movimento Mauss , George Bataille, Roland Barthes Ideologia Di Giovannini. Termine di grande ambiguità che, perso rapidamente il primitivo significato filosofico di analisi scientifica (non metafisica) del pensiero, delle idee e degli stati dell'anima, definisce piuttosto quel complesso di argomentazioni, giudizi e valori che in vario modo servono a esprimere o a giustificare interessi di gruppi o classi particolari. È K. Marx che insieme a F. Engels approfondisce questa interpretazione ne L'ideologia tedesca (1845 - 1846), un'interpretazione di grande successo, che ancora oggi è assolutamente dominante. L'ideologia non è che l'espressione ideale di determinati rapporti materiali: con essa si presenta e rappresenta (e in questo gli intellettuali giocano un ruolo di primo piano) l'interesse dalla classe dominante come interesse comune di tutti i membri della società, dando alle sue idee la forma dell'universalità. Progressivamente l'ideologia si rende indipendente dai rapporti materiali e di classe che l'hanno originata, ponendosi rispetto ai membri della società come norma di orientamento culturale e di condotta, come strumento materiale e morale di dominio su di essi. Nel pensiero marxista successivo e in particolare con N. Lenin eG. Lukács il concetto di ideologia venne esteso a definire anche la rappresentazione della società e del suo movimento storico da parte delle classi dominate, e in particolare del proletariato, per la sua stessa posizione portatore di un'ideologia scientifica. Negli elitisti italiani e in particolare in V. Pareto ( Trattato di sociologia generale , 1923) essa diventa lo strumento fondamentale di manipolazione (e di automanipolazione) che le classi politiche usano per illudere sé stesse e gli altri, una razionalizzazione del proprio potere di fatto: ed è in questo senso che continua a essere considerata dalla sociologia politica contemporanea. È con K. Mannheim ( Ideologia e utopia , 1929, ed. it. 1957) invece, che lo studio dell'ideologia comincia a essere affrontato con gli strumenti propri della sociologia della conoscenza, penetrando nella visione del mondo del portatore di ideologia e mostrando come il suo pensiero e il suo stesso apparato concettuale siano in funzione della posizione sociale ricoperta, e infine dimostrando come esista una stretta corrispondenza tra il tipo di ideologia e le caratteristiche sociologiche del gruppo che la esprime e se ne fa portatore. Va ricordato in ultimo il senso più neutro di ideologia come complesso di idee, credenze e valori sull'uomo e sulla società, che caratterizza società, comunità o gruppi sociali particolari: una definizione che presenta però rischiosi problemi di sovrapposizione con altre categorie, in particolare con quella di cultura. Karl Mannheim A cura di Diego Fusaro Grandissima risonanza internazionale ha avuto l'opera del filosofo e sociologo ungherese Karl Mannheim (1893-1947). Formatosi intellettualmente in Germania, Mannheim ha tratto i princìpi fondamentali della sua riflessione dalla tradizione storicistica tedesca. Ad essa egli deve soprattutto il distanziamento della concezione fattualistica e oggettivistica del sapere elaborata dai positivisti, l'attenzione per la specificità dei fenomeni umani e sociali, e ancor più una forte sensibilità per la storicità dei criteri e valori che guidano l'agire dell'uomo. E' per esaminare i motori e le condizioni di tale dinamismo storico che egli si è consacrato a quella che ha chiamato la " sociologia del sapere ", (o "sociologia della conoscenza"); un'espressione che oggi designa una branca assai importante della scienza sociologica, ma che per lo studioso ungherese esprimeva qualcosa di molto di più vasto e coinvolgente. In effetti dietro l'elaborazione della sociologia del sapere pulsa una problematica estremamente complessa: Mannheim avverte acutamente di vivere in un'età di profonda crisi spirituale, sociale e politica. In sede teorica, tale crisi si esprime tra l'altro nel definitivo superamento delle grandi concezioni idealistiche della realtà prodotte dalla filosofia ottocentesca. Il pensiero più aggiornato ha mostrato che credenze e valori si formano e trasformano non per effetto di un Logos astratto ma ad opera di uomini concreti, situati in un concreto contesto storico-sociale. Se questo è vero, solo una "sociologia del sapere" è in grado di analizzare efficacemente tali credenze e valori: solo essa, infatti, è in grado di cogliere cause e ragioni pratico-sociali della genesi, dello sviluppo e dell'eventuale scomparsa delle elaborazioni intellettuali e dei principi guida dell'agire umano. Non a caso tale sociologia ha cominciato a dimostrare sul terreno empirico che le concezioni anche più astratte si rapportano regolarmente a interessi e bisogni socialmente determinati. Sul piano teorico, ciò porta ad affermare che il compito primario di un'analisi scientifica dell'universo umano è quello di accertare le relazioni intercorrenti tra le 'idee' e 'fatti', tra 'conoscenze' e 'interessi'. Fin dall'inizio Mannheim fu accusato di relativismo . Sembrava in effetti difficile interpretare diversamente la sua teorizzazione non tanto della non-assolutezza dei princìpi intellettuali e morali, quanto della loro irriducibile molteplicità, della loro coincidenza con prospettive, in senso lato, soggettive (di individui e/o di gruppi sociali) e della loro dipendenza da mutevoli e controversi interessi pratici. La prima risposta di Mannheim è che si può e si deve operare una netta distinzione tra relativismo e "relazionismo" . Se col primo termine si intende l'assenza di criteri controllabili di verifica in sede cognitiva ed etica, allora la sociologia del sapere non è relativistica. Essa afferma infatti non già l'inesistenza dei criteri di cui sopra abbiamo detto, bensì che essi non sono assoluti in quanto si danno solo (ecco il "relazionismo") in rapporto a determinati indici: " Come il fatto che ogni misura nello spazio dipende dalla natura della luce non significa che le nostre misure siano arbitrarie, quanto piuttosto che sono valide in relazione alla luce, così è il relazionismo, e non giù il relativismo e l'arbitrarietà in esso implicita, che si applica alle nostre discussioni. Il relazionismo non significa che manchino criteri di unità nella discussione. Secondo esso, tuttavia, è proprio della natura di certe affermazioni il non poter venir formulate in assoluto, ma solo in termini della prospettiva posta da una determinata situazione. " La seconda risposta mannheimiana al problema del relativismo si connette alla natura e alle possibilità della stessa sociologia del sapere. Per lo studioso ungherese, mentre è innegabile che le varie concezioni e dottrine umane sono ancorate a "prospettive" parziali, la sociologia del sapere ha la capacità di trascendere gradualmente, cogliendo connessioni e realizzando integrazioni sempre più ampie e oggettive. Essa si avvale infatti di un livello di consapevolezza interpretativa e di un apparato analitico e di controll o i quale le consentono di raggiungere un orizzonte non più definibile e in termini relativistici. Il compito di elaborare questa crescente integrazione in qualche modo anti-relativista è affidato da Mannheim agli intellettuali . Per quanto situati anch'essi entro un orizzonte storico-sociale determinato, gli intellettuali appaiono al nostro autore più autonomi degli altri uomini da "punti di vista" di parte. E' insomma all' intellighentsia e alla sua consapevolezza filosofico-sociologica che Mannheim affida la possibilità del pensiero e della stessa società di sfuggire alle insidie del relativismo. Idealmente congiunta a tale prospettiva è anche la riflessione sociologico-politica dell'ultimo Mannheim, consegnata soprattutto ai volumi Uomo e società in un'età di ricostruzione (1940) e Diagnosi del nostro tempo (1944). Essa è centrata sull'importante concetto di " pianificazione ", ossia sulla possibilità/necessità dello stato di organizzare in modo meta-individuale e coordinato tutte le strategie indispensabili per fronteggiare le spinte disgregatrici operanti nella società contemporanea. Se nella pianificazione Mannheim vedeva la valorizzazione delle più diverse competenze scientifico-razionali (quasi l'azione del superiore "punto di vista" della Ragione), d'altro lato non se ne nascondeva certe possibili implicazioni autoritarie. E' anche per questo che nelle opere citate sopra egli insisterà sull'assoluta centralità della prospettiva e dei valori democratici nel processo di "ricostruzione" del sistema socio-politico. Nel corso della sua riflessione Mannheim ha molto approfondito alcuni concetti destinati ad assumere un particolare rilievo nella sociologia contemporanea. Quello più significativo è il concetto di ideologia , esaminato nel celebre volume Ideologia e utopia (1929). Nell'analizzarlo, lo studioso ungherese riattualizza e sviluppa una precisa tradizione intellettuale: il pensiero baconiano e la teoria degli "idola" della coscienza (ossia degli errori che ostacolano il retto sapere), il pensiero illuministico e il suo proposito di denunciare i pregiudizi che velano la comprensione della realtà, e soprattutto il pensiero marxiano e il suo assunto che la visione borghese del mondo è "mistificata" per effetto di precisi interessi di classe. La differenza tra questa tradizione e Mannheim è che mentre per Bacone, per gli illuministi e per Marx certe idee e certe credenze sono oggettivamente false (e c'è un punto di vista in qualche modo assoluto dal quale emettere tal e giudizio), per Mannheim la questione è più complessa. Da un lato, determinate elaborazioni ideali sono effettivamente erronee - e sono tali perché prodotte da fattori (spesso inconsci) i quali "nascondono" lo "stato reale" delle cose; dall'altro, l'erroneità di cui sopra è il prodotto non banalmente irrazionale e superficiale dei giudizi formulati da certi uomini e/o gruppi sociali. Correlativamente l'ambizione di Mannheim è di studiare tali giudizi (ossia le "ideologie"), con una particolare attenzione per la dimensione, in senso lato, mentale-soggettiva della loro genesi e della loro azione. A questo proposito egli offre alcuni preziosi contributi teorici per realizzare tale indagine. Assai nota è in particolare, la sua distinzione tra "ideologia particolare" e "ideologia generale" . La prima si riferisce alle idee e alle credenze di un singolo individuo. In questo caso, quando parliamo di ideologia intendiamo sottolineare soprattutto la natura menzognera e fuorviante di certe concezioni soggettive, nonché le deformazioni che una certa persona produce della realtà effettiva. Le idee di tale persona " sono allora considerate come delle contraffazioni più o meno deliberate di una situazione reale […]. Queste deformazioni si manifestano sotto forma di menzogne consapevoli o semicoscienti, di inganni calcolati verso gli altri, o di autoillusioni ". L'analisi di tali idee implica il coglimento di certe falsità essenzialmente nella sfera psicologica, interiore, talvolta perfino inconscia. Coloro che si arrestano a tale livello compiono però un errore: un errore, spiega Mannheim, connesso alla mancata percezione che la produzione delle idee non è mai un fatto esclusivamente individuale: c'è sempre una componente o matrice sociale. Orbene, il concetto di "ideologia generale" allude appunto a questa nuova e più ampia dimensione. Essa si configura come l'insieme delle idee e delle credenze elaborate non da un singolo individuo ma da un intero gruppo (o ceto, o classe), e/o una determinata era. E' così che si usa (non a torto) parlare di un'ideologia dei proprietari terrieri, o della borghesia, o dell'illuminismo. Anche se l'esame dell' "ideologia particolare" non è privo di una sua specificità, è chiaro che Mannheim privilegia quello della "ideologia generale": lo studio in grado di pervenire alle radici più profonde e rilevanti di determinate idee e credenze è quello che ne coglie le scaturigini sociali e storiche. Si inserisce idealmente qui la caratterizzazione di vari altri concetti, a cominciare da quello di " falsa coscienza ": un'espressione destinata a una grande fortuna in seno a una certa sociologia novecentesca, "deformazione" della realtà (sia oggettiva che soggettiva) prodotto da un determinato insieme di condizioni e di interessi sociali introiettato nella mentalità individuale o collettiva. Molta attenzione Mannheim ha prestato anche, nel volume ricordato sopra, al concetto di utopia . Coniato nel secolo XVI da Tommaso Moro, sia nell'età rinascimentale che in quella illuministica questo termine/concetto aveva in genere serbato un significato positivo: indicava, in sostanza, una situazione o un insieme di valori non esistenti nella realtà presente ed effettuale ma considerati validi e realizzabili in un 'altro' spazio o luogo. Nel secolo XIX, mentre Fourier e un Saint-Simon avevano in qualche misura ripreso questa accezione dell'utopia, le componenti egemoni del pensiero europeo avevano in genere connotato in modo assai negativo tale 'figura' teorica. Ora, invece, Mannheim assume nei confronti del pensiero utopico un atteggiamento per molti versi nuovo. Da un lato egli riconosce che gli utopisti sono individui e gruppi scarsamente 'concreti', poco rispettosi della realtà effettuale e in genere incapaci di "diagnosi corrette" relativamente al mondo in cui vivono. Dall'altro, però, sottolinea che il loro proiettarsi verso situazioni o idealità nuove ha una considerevole valenza positiva. In effetti, mentre il pensiero 'ideologico' è essenzialmente quello dei "gruppi dominanti", che tendono a nascondere lo stato reale della società allo scopo di mantenerlo così com'è (e pertanto " esercitano su di esso una funzione conservatrice "), il pensiero "utopico" assume un atteggiamento risolutamente critico nei confronti di tale società e tende a elaborare una nuova "direttiva" per un'azione trasformatrice della realtà. L'utopia si configura così come una realtà che non c'è ma che può essere realizzata: una verità forse prematura ma ricca di un suo irriducibile valore, alla quale mette conto tendere fin d'ora. Delle principali utopie della storia d'occidente Mannheim esamina alcuni esempi concreti: la prospettiva chiliastica degli anabbattisti, il liberalismo/umanitarismo settecentesco, il socialismo/comunismo del secolo successivo. Di maggiore rilievo è però la vigorosa difesa finale dello spirito utopico nel mondo contemporaneo. Mannheim conosce bene le cause, anche assai fondate, che hanno condotto la moderna civiltà d'Occidente a diffidare dei movimenti utopici, così spesso emotivi e 'irrazionali', ma è anche convinto che la passionalità e la fede degli utopisti sono dei valori da non perdere: soprattutto in un'epoca caratterizzata dal crescente successo di una mentalità "prosaica", razionalistica nel senso più ristretto del termine, privilegiante il mero funzionamento meccanico dell'esistente. Di qui il vivo elogio mannheimiano della dimensione intellettuale dell'utopia: la sola in grado di rilanciare quella tensione spirituale (trasformatrice ed emancipatrice della realtà) che appare oggi più che mai indispensabile: " La completa sparizione dell'elemento utopico del pensiero e della prassi dell'individuo verrebbe a dare alla natura e allo sviluppo dell'uomo un carattere radicalmente nuovo. La scomparsa dell'utopia porta a una condizione statica in cui l'uomo non è più che una cosa. Ci troveremmo allora dinanzi al più grande paradosso immaginabile: al paradosso, cioè, che l'individuo proprio in quanto ha conseguito il massimo livello di razionalità nel controllo della realtà, resta senza ideali e diviene una pura creatura impulsiva. "