PANORAMICA STORICO FILOSOFICA DELLA PAROLA

PANORAMICA STORICO FILOSOFICA DELLA PAROLA
“IDEOLOGIA”
FINO AI NOSTRI GIORNI - SOCIOLOGIA DELLA CONOSCENZA
Abbiamo analizzato la nascita della nostra disciplina in Italia . Ci siamo subito
imbattuti in una parola …“ Ideologia “. Cosa sono le ideologie.?
Quanto hanno influenzato la nostra disciplina?
Per rispondere a queste domande dobbiamo rifarci al “ percorso storico di
questo concetto.”
Rubiamo l’dea ad Arthur O. Lovejoy fondatore del concetto di storia
delle idee. Lovejoy concentra la sua analisi sulle singole idee e non si
occupa dei sistemi filosofici in cui esse entrano a far parte.
Tratta le idee come unità“primarie dinamiche,persistenti o ricorrenti” nella
storia del pensiero.
La filosofia, fin dagli antichi greci si è interessata della conoscenza e dei suoi
meccanismi. Il pensiero classico ha distinto la conoscenza tra - l’opinione e
la scienza e - ne ha discusso il valore di verità.
L’opinione fondata sull’esperienza sensibile è ingannevole ed instabile
-Seguamo la traccia_
Parmenide afferma il primato della ragione
Socrate -il sapere non viene dall’esterno, ma nasce nell’anima. La conoscenza
non si insegna. Il maestro può solo aiutare l’allievo a partorirla da se.(l’arte
della maieutica- levatrice)
Platone segue le orme di Parmenide e Socrate rivalutando l’esperienza
sensibile che serve a risvegliare le idee –forme universali – con cui è plasmato
il mondo. Conoscere significa ricordare. Il sapere è innato.
Aristotele rivaluta l’esperienza sensibile, l’intelletto umano recepisce le
impressioni sensoriali,svolge un ruolo attivo che va oltre la particolarità
dell’oggetto e ne coglie l’essenza . L’intuizione intellettuale è capace di astrarre
l’universale dalle realtà empiriche. L’intuizione intellettuale resta il vertice più
alto della conoscenza.
Il medioevo accentua la dimensione mistica e contemplativa.
Con Plotino e Agostino solo con l’estasi ci si può identificare con l’uno che è a
fondamento della realtà.
Con la filosofia moderna le posizioni si diversificano di più.
Cartesio vede la conoscenza come il fine della filosofia. Ha valore solo quello
che è oggettivo e razionalizzabile. Da inizio alla corrente del razionalismo.
Francesco Bacone (1561-1626) con i suoi “manifesti antidogmatici” proclama
la liberazione della ragione contro gli “ idola” ,i pregiudizi collettivi, i principi
indiscussi, i pregiudizi che impediscono la conoscenza della verità.
Per Thomas Hobbes, John Locke, George Berkeley, Davide Hume la
conoscenza umana deve ricondursi alla
Verificabilità :ha valore solo ciò che è verificabile
Meccanicismo : anche la conoscenza umana risponde alla legge meccanica di
causa_effetto.
Helvetius e Holbach i due enciclopedisti dichiarano che i pregiudizi che
Bacone aveva attribuito agli uomini assolvono in generale ad una determinata
funzione sociale:mantenimento dell’ingiustizia e ostacolo all’edificazione di una
società razionale.
Se è vero che l’opinione è regina, questo è il vero regno dei potenti! Da
Helvetius in “De l’Homme” …e ancora, negli ultimi anni, “ le nostre idee sono
conseguenze necessarie delle società in cui viviamo”
Hobbes e gli empiristi sono convinti che la mente umana è una tabula rasa alla
nascita senza idee innate. Dopo la nascita, le impressioni sensoriali agiscono
meccanicamente sulla mente plasmandola e creando i concetti.
Leibniz criticherà l’empirismo, riaffermò le idee innate e afferma che esistono
pensieri di cui non si ha coscienza, che agiscono a livello inconscio..
Kant criticò l’empirismo dichiarando che la conoscenza è un processo critico.,
la mente svolge un ruolo attivo. La conoscenza da un lato è a priori, perché
nasce dalle nostre categorie mentali. Ma le categorie mentali si attivano
attraverso i dati empirici. Per Kant la conoscenza è capacità di connessione in
maniera critica e consapevole le informazioni, conoscere significa collegare.
Hegel – la conoscenza è frutto di una mediazione razionale, è il risultato di un
processo con cui la ragione arriva a dedurre da sé tutta la realtà
In uno scritto del 1798 Antoine Destrutt De Tracy afferma che la
conoscenza dell’origine delle nostre idee e’ il fondamento della grammatica,
della logica, della istruzione e dell’educazione, della morale e della politica. Per
indicare la scienza che studia tale origine egli rifiuto’ le espressioni di
Condillac “ analisi delle sensazioni “ e le parole “ metafisica e psicologia”
proponendo il termine “ideologia”.
E’ necessario ricordare che il significato, attribuito da Tracy al termine
“ideologia” non e’ piu’ quello corrente soprattutto ai nostri giorni.
Già’ Napoleone aveva usato il termine “ ideologi “ come sinonimo di dottrinari
acchiappanuvole, astratti e politicamente pericolosi.
Il significato successivo del termine viene ad indicare in generale non piu’ una
qualsiasi analisi filosofica ma un sistema di principi e orientamenti dottrinali e
programmatici,che ispira un movimento,e dei quali esso movimento si avvale
per effettuare opera di persuasione e propaganda al fine di sostenere
interessi particolari o occulti.
Nel corso dell’ 800 il marxismo contribuisce in maniera rilevante alla
elaborazione della concezione moderna di ideologia.
Dice Marx “… nella produzione sociale della loro vita gli uomini entrano in
determinati rapporti necessari e indipendenti dalla loro volontà’, rapporti di
produzione che corrispondono ad una certa fase di sviluppo delle loro forze
produttive materiali. L’insieme di questi rapporti di produzione costituisce la
struttura economica della società’ ,che e’ la base reale su cui si edifica una
sovrastruttura , una falsa coscienza……il modo di produzione della vita
materiale condiziona perciò’ in generale il processo della vita sociale, politica e
spirituale.”
Marx elabora questa dottrina soprattutto in opposizione al punto di vista di
Hegel ; per Hegel e’ la coscienza , che determina l’essere sociale dell’uomo.
Per Marx e’ l’essere sociale dell’uomo che determina la sua coscienza.
Comunque nel suo significato più ampio “ ideologia “ , secondo il marxismo,
quel generale modo di pensare e quel patrimonio dottrinario che corrisponde
ad una epoca determinata, e che , più esattamente esprime la posizione, gli
interessi, le aspirazioni di una data classe in un dato momento storico. ….“
“ le idee dominanti in una tale epoca – dice Marx – sono quelle della classe
dominante”.
Comunque ,in conclusione, anche da non marxisti è stato osservato che il
materialismo storico, sottratto a impostazioni dogmatiche, offre chiave feconda
di interpretazione e conoscenza dei fenomeni sociali e del movimento della
storia.
Nella prima metà’ del 900 Pareto, nel suo trattato di sociologia generale
esamina l’ideologia nella sua accezione moderna pur non adoperando il
termine, cosi’ come aveva, invece, fatto in una sua precedente opera del 1902
( sistemi socialisti ). La nozione di ideologia in Pareto, corrisponde alla nozione
di “ teoria non scientifica “, intendendo come tale ogni teoria non logica –
sperimentale.
Una teoria , secondo Pareto , puo’ essere, in generale, valutata .:
1° nel suo aspetto oggettivo, cioe’ con riguardo alla esperienza;
2° nel suo aspetto soggettivo, cioe’ nella sua forza di persuasione;
3° nella sua utilita’ sociale, cioe’ nella sua utilita’ per chi la propone e sostiene.
Tale distinzione rende impossibile ritenere, sempre secondo Pareto, vera una
teoria persuasiva o utile, e ritenere persuasiva o utile una teoria vera
consentendo, tra l’altro, di distinguere lo studioso dei fatti sociali dal
propagandista e dall’apostolo.
In conclusione la funzione della ideologia, nella dottrina di Pareto, e’ in primo
luogo quella di persuadere e di dirigere l’azione.
Per Pareto e’ evidente che una teoria scientificamente vera, o se si vuole
oggettivamente valida, non ha ( al di fuori del campo degli scienziati
competenti) per sè stessa forza persuasiva; come e’ altrettanto chiaro che una
teoria scientificamente falsa non può’ conservare a lungo forza di persuasione,
ed è in stretta relazione al contesto sociale in cui la teoria opera.
Insomma l’ideologia e’ ogni credenza adoperata per il controllo di
comportamenti collettivi in una situazione determinata.
Nel suo significato piu’ generale la credenza e’ l’atteggiamento di chi
riconosce vera una proposizione come nozione impegnativa di controllo. La
credenza non implica di per se’ la validita’ oggettiva della nozione alla quale si
impegna; ne’ per altro esclude questa validita’.
Pareto polemizza con i marxisti escludendo che la caratteristica fondamentale
della ideologia consista nel fatto che essa esprima gli interessi e i bisogni di
un gruppo sociale; non consiste ripetiamolo ancora, neanche nella sua validita’
o non validita’ oggettiva ma semplicemente nella sua capacita’ di controllare
e governare il comportamento degli uomini in una situazione determinata.
Altro notevole teorico dell’ideologia e’ Mannheim. Questo teorico ha distinto
un concetto particolare e un concetto universale di ideologia.
In senso particolare si intende per ideologia “ le manipolazioni piu’ o meno
deliberate di situazione reale effettuate da chi, per mezzo di essa, difende
interessi che verrebbero contrastati dalla esatta conoscenza della vera
situazione.
In senso generale si intende per ideologia l’intera “ visione del mondo “ di un
gruppo umano, per es. Di una classe sociale.
“le ideologie afferma Mannhein, sono idee che non riescono in “de facto” ad
attuare i progetti in esse impliciti. Sebbene spesso si presentino come giuste
aspirazioni della condotta privata dell’individuo, quando poi sono tradotte in
pratica, il loro significato viene spesso deformato. Ad esempio, l’idea
dell’amore fraterno cristiano rimane in una societa’ fondata sulla schiavitu’,
un’idea irrealizzabile , e percio’ stesso ideologica, anche quando il suo
significato costituisca, per chi lo intende in buona fede, un fine per la condotta
individuale”.
Mannhein contrappone una nozione di ideologia, quale idea incapace di
realizzare i progetti da essa stessa proposti, a un’idea utopia quale idea
capace, al contrario, di realizzarsi. In tal senso l’utopia e’ forza di
trasformazione della realta’ in atto, e sarebbe quindi, alla base di ogni
rinnovamento sociale.
Con Scheler e Mannheim
l’ideologia si è trasformata in sociologia della conoscenza. Ogni forma di
conoscenza , vera o falsa è condizionata socialmente
Il relativismo e il relazionismo.
Le ideologie diventano non vere solo in relazione alla realtà stessa. Possono
essere vere in sé, come le idee di libertà,umanità, giustizia, ma non sono vere
se si danno la pretesa di essere già realizzate.
L’ideologia riempie oggi gran parte della coscienza degli uomini. I prodotti
ideologici,i prodotti spirituali, i prodotti culturali, l’arte sono divenuti merce,
oggetti confezionati per essere venduti, consumati allo scopo di modellare e
fissare uno stato di coscienza . Tutti i prodotti della industria culturale :
cinema,riviste,giornali,radio,televisione,letteratura di ogni tipo,biografie,ecc
rispondono a questo imperativo.
Indagine su la” società dello spettacolo” - Guy Debord , Jean Baudrillard,
Movimento Mauss , George Bataille, Roland Barthes
Ideologia
Di Giovannini.
Termine di grande ambiguità che, perso rapidamente il primitivo significato
filosofico di analisi scientifica (non metafisica) del pensiero, delle idee e degli
stati dell'anima, definisce piuttosto quel complesso di argomentazioni, giudizi e
valori che in vario modo servono a esprimere o a giustificare interessi di gruppi
o classi particolari. È K. Marx che insieme a F. Engels approfondisce questa
interpretazione ne L'ideologia tedesca (1845 - 1846), un'interpretazione di
grande successo, che ancora oggi è assolutamente dominante. L'ideologia non
è che l'espressione ideale di determinati rapporti materiali: con essa si
presenta e rappresenta (e in questo gli intellettuali giocano un ruolo di primo
piano) l'interesse dalla classe dominante come interesse comune di tutti i
membri della società, dando alle sue idee la forma dell'universalità.
Progressivamente l'ideologia si rende indipendente dai rapporti materiali e di
classe che l'hanno originata, ponendosi rispetto ai membri della società come
norma di orientamento culturale e di condotta, come strumento materiale e
morale di dominio su di essi.
Nel pensiero marxista successivo e in particolare con N. Lenin eG. Lukács il
concetto di ideologia venne esteso a definire anche la rappresentazione della
società e del suo movimento storico da parte delle classi dominate, e in
particolare del proletariato, per la sua stessa posizione portatore di
un'ideologia scientifica. Negli elitisti italiani e in particolare in V. Pareto (
Trattato di sociologia generale , 1923) essa diventa lo strumento fondamentale
di manipolazione (e di automanipolazione) che le classi politiche usano per
illudere sé stesse e gli altri, una razionalizzazione del proprio potere di fatto:
ed è in questo senso che continua a essere considerata dalla sociologia politica
contemporanea. È con K. Mannheim ( Ideologia e utopia , 1929, ed. it. 1957)
invece, che lo studio dell'ideologia comincia a essere affrontato con gli
strumenti propri della sociologia della conoscenza, penetrando nella visione del
mondo del portatore di ideologia e mostrando come il suo pensiero e il suo
stesso apparato concettuale siano in funzione della posizione sociale ricoperta,
e infine dimostrando come esista una stretta corrispondenza tra il tipo di
ideologia e le caratteristiche sociologiche del gruppo che la esprime e se ne fa
portatore.
Va ricordato in ultimo il senso più neutro di ideologia come complesso di idee,
credenze e valori sull'uomo e sulla società, che caratterizza società, comunità o
gruppi sociali particolari: una definizione che presenta però rischiosi problemi
di sovrapposizione con altre categorie, in particolare con quella di cultura.
Karl Mannheim
A cura di Diego Fusaro
Grandissima risonanza internazionale ha avuto l'opera del filosofo e sociologo
ungherese Karl Mannheim (1893-1947). Formatosi intellettualmente in
Germania, Mannheim ha tratto i princìpi fondamentali della sua riflessione dalla
tradizione storicistica tedesca. Ad essa egli deve soprattutto il distanziamento
della concezione fattualistica e oggettivistica del sapere elaborata dai
positivisti, l'attenzione per la specificità dei fenomeni umani e sociali, e ancor
più una forte sensibilità per la storicità dei criteri e valori che guidano l'agire
dell'uomo. E' per esaminare i motori e le condizioni di tale dinamismo storico
che egli si è consacrato a quella che ha chiamato la " sociologia del sapere ", (o
"sociologia della conoscenza"); un'espressione che oggi designa una branca
assai importante della scienza sociologica, ma che per lo studioso ungherese
esprimeva qualcosa di molto di più vasto e coinvolgente. In effetti dietro
l'elaborazione della sociologia del sapere pulsa una problematica
estremamente complessa: Mannheim avverte acutamente di vivere in un'età di
profonda crisi spirituale, sociale e politica. In sede teorica, tale crisi si esprime
tra l'altro nel definitivo superamento delle grandi concezioni idealistiche della
realtà prodotte dalla filosofia ottocentesca. Il pensiero più aggiornato ha
mostrato che credenze e valori si formano e trasformano non per effetto di un
Logos astratto ma ad opera di uomini concreti, situati in un concreto contesto
storico-sociale. Se questo è vero, solo una "sociologia del sapere" è in grado di
analizzare efficacemente tali credenze e valori: solo essa, infatti, è in grado di
cogliere cause e ragioni pratico-sociali della genesi, dello sviluppo e
dell'eventuale scomparsa delle elaborazioni intellettuali e dei principi guida
dell'agire umano.
Non a caso tale sociologia ha cominciato a dimostrare sul terreno empirico che
le concezioni anche più astratte si rapportano regolarmente a interessi e
bisogni socialmente determinati. Sul piano teorico, ciò porta ad affermare che
il compito primario di un'analisi scientifica dell'universo umano è quello di
accertare le relazioni intercorrenti tra le 'idee' e 'fatti', tra 'conoscenze' e
'interessi'. Fin dall'inizio Mannheim fu accusato di relativismo . Sembrava in
effetti difficile interpretare diversamente la sua teorizzazione non tanto della
non-assolutezza dei princìpi intellettuali e morali, quanto della loro irriducibile
molteplicità, della loro coincidenza con prospettive, in senso lato, soggettive (di
individui e/o di gruppi sociali) e della loro dipendenza da mutevoli e controversi
interessi pratici. La prima risposta di Mannheim è che si può e si deve operare
una netta distinzione tra relativismo e "relazionismo" . Se col primo termine si
intende l'assenza di criteri controllabili di verifica in sede cognitiva ed etica,
allora la sociologia del sapere non è relativistica. Essa afferma infatti non già
l'inesistenza dei criteri di cui sopra abbiamo detto, bensì che essi non sono
assoluti in quanto si danno solo (ecco il "relazionismo") in rapporto a
determinati indici:
" Come il fatto che ogni misura nello spazio dipende dalla natura della luce non
significa che le nostre misure siano arbitrarie, quanto piuttosto che sono valide
in relazione alla luce, così è il relazionismo, e non giù il relativismo e
l'arbitrarietà in esso implicita, che si applica alle nostre discussioni. Il
relazionismo non significa che manchino criteri di unità nella discussione.
Secondo esso, tuttavia, è proprio della natura di certe affermazioni il non poter
venir formulate in assoluto, ma solo in termini della prospettiva posta da una
determinata situazione. "
La seconda risposta mannheimiana al problema del relativismo si connette alla
natura e alle possibilità della stessa sociologia del sapere. Per lo studioso
ungherese, mentre è innegabile che le varie concezioni e dottrine umane sono
ancorate a "prospettive" parziali, la sociologia del sapere ha la capacità di
trascendere gradualmente, cogliendo connessioni e realizzando integrazioni
sempre più ampie e oggettive. Essa si avvale infatti di un livello di
consapevolezza interpretativa e di un apparato analitico e di controll o i quale le
consentono di raggiungere un orizzonte non più definibile e in termini
relativistici. Il compito di elaborare questa crescente integrazione in qualche
modo anti-relativista è affidato da Mannheim agli intellettuali .
Per quanto situati anch'essi entro un orizzonte storico-sociale determinato, gli
intellettuali appaiono al nostro autore più autonomi degli altri uomini da "punti
di vista" di parte. E' insomma all' intellighentsia e alla sua consapevolezza
filosofico-sociologica che Mannheim affida la possibilità del pensiero e della
stessa società di sfuggire alle insidie del relativismo. Idealmente congiunta a
tale prospettiva è anche la riflessione sociologico-politica dell'ultimo Mannheim,
consegnata soprattutto ai volumi Uomo e società in un'età di ricostruzione
(1940) e Diagnosi del nostro tempo (1944). Essa è centrata sull'importante
concetto di " pianificazione ", ossia sulla possibilità/necessità dello stato di
organizzare in modo meta-individuale e coordinato tutte le strategie
indispensabili per fronteggiare le spinte disgregatrici operanti nella società
contemporanea. Se nella pianificazione Mannheim vedeva la valorizzazione
delle più diverse competenze scientifico-razionali (quasi l'azione del superiore
"punto di vista" della Ragione), d'altro lato non se ne nascondeva certe
possibili implicazioni autoritarie. E' anche per questo che nelle opere citate
sopra egli insisterà sull'assoluta centralità della prospettiva e dei valori
democratici nel processo di "ricostruzione" del sistema socio-politico. Nel corso
della sua riflessione Mannheim ha molto approfondito alcuni concetti destinati
ad assumere un particolare rilievo nella sociologia contemporanea. Quello più
significativo è il concetto di ideologia , esaminato nel celebre volume Ideologia
e utopia (1929). Nell'analizzarlo, lo studioso ungherese riattualizza e sviluppa
una precisa tradizione intellettuale: il pensiero baconiano e la teoria degli
"idola" della coscienza (ossia degli errori che ostacolano il retto sapere), il
pensiero illuministico e il suo proposito di denunciare i pregiudizi che velano la
comprensione della realtà, e soprattutto il pensiero marxiano e il suo assunto
che la visione borghese del mondo è "mistificata" per effetto di precisi interessi
di classe. La differenza tra questa tradizione e Mannheim è che mentre per
Bacone, per gli illuministi e per Marx certe idee e certe credenze sono
oggettivamente false (e c'è un punto di vista in qualche modo assoluto dal
quale emettere tal e giudizio), per Mannheim la questione è più complessa. Da
un lato, determinate elaborazioni ideali sono effettivamente erronee - e sono
tali perché prodotte da fattori (spesso inconsci) i quali "nascondono" lo "stato
reale" delle cose; dall'altro, l'erroneità di cui sopra è il prodotto non
banalmente irrazionale e superficiale dei giudizi formulati da certi uomini e/o
gruppi sociali. Correlativamente l'ambizione di Mannheim è di studiare tali
giudizi (ossia le "ideologie"), con una particolare attenzione per la dimensione,
in senso lato, mentale-soggettiva della loro genesi e della loro azione.
A questo proposito egli offre alcuni preziosi contributi teorici per realizzare tale
indagine. Assai nota è in particolare, la sua distinzione tra "ideologia
particolare" e "ideologia generale" . La prima si riferisce alle idee e alle
credenze di un singolo individuo. In questo caso, quando parliamo di ideologia
intendiamo sottolineare soprattutto la natura menzognera e fuorviante di certe
concezioni soggettive, nonché le deformazioni che una certa persona produce
della realtà effettiva. Le idee di tale persona " sono allora considerate come
delle contraffazioni più o meno deliberate di una situazione reale […]. Queste
deformazioni si manifestano sotto forma di menzogne consapevoli o
semicoscienti, di inganni calcolati verso gli altri, o di autoillusioni ". L'analisi di
tali idee implica il coglimento di certe falsità essenzialmente nella sfera
psicologica, interiore, talvolta perfino inconscia. Coloro che si arrestano a tale
livello compiono però un errore: un errore, spiega Mannheim, connesso alla
mancata percezione che la produzione delle idee non è mai un fatto
esclusivamente individuale: c'è sempre una componente o matrice sociale.
Orbene, il concetto di "ideologia generale" allude appunto a questa nuova e più
ampia dimensione. Essa si configura come l'insieme delle idee e delle credenze
elaborate non da un singolo individuo ma da un intero gruppo (o ceto, o
classe), e/o una determinata era. E' così che si usa (non a torto) parlare di
un'ideologia dei proprietari terrieri, o della borghesia, o dell'illuminismo. Anche
se l'esame dell' "ideologia particolare" non è privo di una sua specificità, è
chiaro che Mannheim privilegia quello della "ideologia generale": lo studio in
grado di pervenire alle radici più profonde e rilevanti di determinate idee e
credenze è quello che ne coglie le scaturigini sociali e storiche. Si inserisce
idealmente qui la caratterizzazione di vari altri concetti, a cominciare da quello
di " falsa coscienza ": un'espressione destinata a una grande fortuna in seno a
una certa sociologia novecentesca, "deformazione" della realtà (sia oggettiva
che soggettiva) prodotto da un determinato insieme di condizioni e di interessi
sociali introiettato nella mentalità individuale o collettiva. Molta attenzione
Mannheim ha prestato anche, nel volume ricordato sopra, al concetto di utopia
. Coniato nel secolo XVI da Tommaso Moro, sia nell'età rinascimentale che in
quella illuministica questo termine/concetto aveva in genere serbato un
significato positivo: indicava, in sostanza, una situazione o un insieme di valori
non esistenti nella realtà presente ed effettuale ma considerati validi e
realizzabili in un 'altro' spazio o luogo. Nel secolo XIX, mentre Fourier e un
Saint-Simon avevano in qualche misura ripreso questa accezione dell'utopia, le
componenti egemoni del pensiero europeo avevano in genere connotato in
modo assai negativo tale 'figura' teorica.
Ora, invece, Mannheim assume nei confronti del pensiero utopico un
atteggiamento per molti versi nuovo. Da un lato egli riconosce che gli utopisti
sono individui e gruppi scarsamente 'concreti', poco rispettosi della realtà
effettuale e in genere incapaci di "diagnosi corrette" relativamente al mondo in
cui vivono. Dall'altro, però, sottolinea che il loro proiettarsi verso situazioni o
idealità nuove ha una considerevole valenza positiva. In effetti, mentre il
pensiero 'ideologico' è essenzialmente quello dei "gruppi dominanti", che
tendono a nascondere lo stato reale della società allo scopo di mantenerlo così
com'è (e pertanto " esercitano su di esso una funzione conservatrice "), il
pensiero "utopico" assume un atteggiamento risolutamente critico nei confronti
di tale società e tende a elaborare una nuova "direttiva" per un'azione
trasformatrice della realtà. L'utopia si configura così come una realtà che non
c'è ma che può essere realizzata: una verità forse prematura ma ricca di un
suo irriducibile valore, alla quale mette conto tendere fin d'ora. Delle principali
utopie della storia d'occidente Mannheim esamina alcuni esempi concreti: la
prospettiva
chiliastica degli
anabbattisti, il
liberalismo/umanitarismo
settecentesco, il socialismo/comunismo del secolo successivo. Di maggiore
rilievo è però la vigorosa difesa finale dello spirito utopico nel mondo
contemporaneo. Mannheim conosce bene le cause, anche assai fondate, che
hanno condotto la moderna civiltà d'Occidente a diffidare dei movimenti
utopici, così spesso emotivi e 'irrazionali', ma è anche convinto che la
passionalità e la fede degli utopisti sono dei valori da non perdere: soprattutto
in un'epoca caratterizzata dal crescente successo di una mentalità "prosaica",
razionalistica nel senso più ristretto del termine, privilegiante il mero
funzionamento meccanico dell'esistente. Di qui il vivo elogio mannheimiano
della dimensione intellettuale dell'utopia: la sola in grado di rilanciare quella
tensione spirituale (trasformatrice ed emancipatrice della realtà) che appare
oggi più che mai indispensabile:
" La completa sparizione dell'elemento utopico del pensiero e della prassi
dell'individuo verrebbe a dare alla natura e allo sviluppo dell'uomo un carattere
radicalmente nuovo. La scomparsa dell'utopia porta a una condizione statica in
cui l'uomo non è più che una cosa. Ci troveremmo allora dinanzi al più grande
paradosso immaginabile: al paradosso, cioè, che l'individuo proprio in quanto
ha conseguito il massimo livello di razionalità nel controllo della realtà, resta
senza ideali e diviene una pura creatura impulsiva. "