educazione e democrazia

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MACERATA
Dipartimento di Scienze della formazione, dei beni culturali e del
turismo
CORSO DI DOTTORATO DI RICERCA IN
Theory, Technology and History of Education
CICLO XXV
TITOLO DELLA TESI
Educazione culturale e democrazia.
L'insegnamento della lingua inglese
TUTOR
Chiar.mo Prof. Michele Corsi
co-TUTOR
DOTTORANDO
Chiar.mo Prof. Giuseppe Spadafora
_____________________________________
Dott.ssa Flora Franca
Giovanna Iantorno
COORDINATORE
Chiar.mo Prof. Roberto Sani
ANNO 2013
ANNO 2013
Flora Franca Giovanna Iantorno
Educazione intercultuale e
democrazia
L’insegnamento della Lingua
Inglese
2
Indice
Introduzione
Capitolo primo: I nuovi confini della democrazia
1.1
Democrazia e globalizzazione
Pag.5
»
10
»
21
1.3
Democrazia, globalizzazione e intercultura: il
processo inevitabile
»
28
Capitolo secondo: La lingua inglese come processo
interculturale
»
36
2.1 La scuola per l’educazione dell’inglese in prospettiva
interculturale
2.2 Apprendimento della lingua e competenza
comunicativa
2.3 Il ruolo della lingua inglese nel curricolo della lingua
straniera
2.4 Riflessioni sulla didattica
»
36
»
39
»
41
»
44
2.5 Lo storytelling
»
46
Capitolo terzo: La cultura inglese del racconto per la
didattica interculturale
»
51
»
51
»
54
1.2
Il possibile futuro della democrazia
3.1 La cultura nell’insegnamento linguistico
3.2 L'interculturalità nell'insegnamento della lingua e
della letteratura straniera
3
3.3 Per una didattica interculturale: Brick Lane di
Monica Ali
3.4 La sfida pedagogica dell'apprendimento della lingua
inglese
»
57
»
69
Conclusioni
»
75
Bibliografia
»
79
4
INTRODUZIONE
Negli anni della globalizzazione dove i confini tra i territori e gli spazi
appaiono distanti e nello stesso tempo vicini, virtuali o addirittura
annullati, si delinea un fenomeno di scomposizione e ricomposizione delle
comunità politiche e delle identità, definite da Sassen assemblaggio1
culturale, che mutano in forme di cittadinanza postnazionale e
denazionalizzata2.
L‟evoluzione politica delle comunità umane è caratterizzata da una
disaggregazione della atavica condizione di cittadino che “accomunava la
residenza in un solo territorio con l‟assoggettamento ad un‟amministrazione
burocratica comune”3 e, pertanto, gli “sviluppi istituzionali scorporano le tre
dimensioni costitutive della cittadinanza, cioè l‟identità collettiva, i privilegi
dell‟appartenenza politica e il titolo a fruire dei diritti sociali e dei relativi
vantaggi”4. In tale contesto culturale diventa necessario riflettere sul
rapporto esistente tra l‟educazione, la politica e la democrazia nella nostra
società globale.
Il concetto di “democrazia” pone da sempre delle problematiche legate a
due diversi rischi: il primo, è quello di cadere in infecondi dispute tra le
complesse e molteplici interpretazioni di una stessa realtà istituzionale,
ritenuta nella cultura contemporanea il più importante tema della società
“globale”; il secondo rischio è quello di delimitare la persona ai margini di
1
S. Sassen, Territorio, autorità, diritti. Assemblaggio dal medioevo all’età globale,
Mondadori, Milano 2008, p. 375.
2
Ibidem.
3
Ibidem. Osserva Yves Mény che “senza voler eccedere in retorica stiamo attraversando
tempi difficili. Non corriamo il rischio di annoiarci poiché l‟ampiezza e la velocità del
cambiamento globali sono tali che la maggioranza delle persone è travolta dalla „grande
trasformazione‟ in corso”. Y. Mény, “La democrazia in tempi difficili”, in C. Altini (a cura
di), Democrazia. Storia e teoria di un’esperienza filosofica e politica, Il Mulino, Bologna
2011, p. 309.
4
S. Benhabib, Cittadini globali, Mondadori, Milano 2008, p. 59.
5
una trattazione che si esplicita nella sola definizione dell‟impianto
istituzionale della democrazia e non delle ragioni storico-culturali profonde
della sua legittimazione.
Attualmente si corre il rischio di definire l‟esistenza umana come
espressione di convenienze e utilitarismi correndo il rischio di minare, così,
le fondamenta della democrazia, non solo dei paesi in cui una costituzione è
recente5 ma, anche, delle democrazie delle nazioni occidentali postindustriali che registrano una decadenza della sfera pubblica che sempre più
vacilla sotto i colpi degli attacchi neoliberisti e dell‟ingerenza del mercato
nella vita sociale, che pretende di esserne l‟unico regolatore.
Inoltre, se si tiene in conto dell‟involuzione antidemocratica di molte società
soggette alla minaccia dell‟ambizione autarchica dei poteri, sia economici
che dei mass media che, se da un lato si volgono alla democrazia come bene
da consumare e da esportare, dall‟altro - di fatto – spesso determinano in
modo intenzionale o non intenzionale azioni che mirano a deprezzare la
tensione naturale della persona verso una positiva interazione umana
attraverso una noncuranza per qualsiasi forma di cooperazione.
Occorre un maggior impegno a favore del processo di democratizzazione
per evitare che esso si indebolisca, o perda di senso, fino ad approdare a
manifestazioni che non rispettano le caratteristiche costitutive della persona.
Per evitare di cadere nei rischi appena citati, diventa necessaria l‟analisi del
nesso persona-democraticità, ovvero tra “l‟essere democratici” e “l‟avere
democrazia”, riconoscendo alle istituzioni pubbliche un indubbio valore che
si adatta alla natura umana e, pertanto, non un apparato a cui uniformarsi
acriticamente.
Ciò nondimeno implica da parte della persona un infaticabile impegno
mirato alla conquista di una “dimensione propria ed autentica” sempre alla
ricerca di migliori e maggiori condizioni del vivere, proiettata verso la
compiutezza della propria esistenza.
Caratteristiche come l‟impegno, la decisione, la scelta, la
responsabilità, consentono alla persona di allontanarsi da scelte fortuite e
occasionali per esprimere, in piena libertà e autonomia, la sua natura
costitutiva e cioè l‟intreccio tra la democraticità e la progettualità
5
Le democrazie di più recente costituzione, infatti, spesso sono caratterizzate dal
riconoscimento costituzionale di elezioni libere e, soprattutto, dalla effettiva privazione
dell‟esercizio della libertà per i cittadini.
6
esistenziale che mira, attraverso un‟etica dell‟agire, ad azioni favorevoli alla
comunità.
Ecco perché i processi interculturali basati sulla comunicazione linguistica
sono fondamentali per realizzare le possibilità della democrazia. E, in un
mondo globale in cui la lingua e la cultura inglese sono considerate il
medium linguistico per antonomasia e il nuovo modello di linguaggio
universale standard, i processi interculturali necessariamente si devono
confrontare con questa specifica situazione culturale.
L‟insegnamento della lingua inglese, infatti, oltre ad essere un insegnamento
ormai ritenuto il veicolo fondamentale della globalizzazione mediatica e
economica, può e deve assumere una dimensione culturale diversa e più
profonda. Non può essere, infatti, considerato un insegnamento solamente
linguistico, ma è da considerare e da rileggere come una proposta
fondamentale per favorire i processi di interculturalità su cui si basa il
processo democratico della società del XXI secolo.
La specifica comunicazione linguistica, infatti, può chiarire la problematica
della partecipazione politica intesa come necessità della persona di favorire
la comunicazione linguistica, e intersoggettiva in genere, come momento
fondamentale dell‟incontro interculturale tra diversi.
In questo senso la comunicazione linguistica chiarisce l‟esistenza di una
relazione strutturale tra il Sé che tende sempre più ad ampliarsi e la
democrazia intesa come sistema.
E poiché la pedagogia fonda il proprio sapere su una riflessione e un
orientamento per analizzare e favorire le possibili trasformazioni esistenziali
della persona, l‟analisi di queste possibilità esistenziali si legano al
rapporto tra la persona, la democrazia e i processi interculturali proprio
attraverso la comunicazione linguistica, di cui l‟insegnamento della lingua
inglese è fondamentale nella società globale contemporanea.
In altri termini, una persona in continua tensione verso la piena
realizzazione della propria identità; una persona che pensa, ricorda, agisce e
lotta, che si sviluppa biologicamente, capace di rideterminare le proprie
scelte in base al susseguirsi degli eventi ma, comunque, sempre chiamata
alla massima realizzazione di Sé in ogni momento della vita, può trovare
nella comunicazione linguistica della lingua inglese un aspetto interessante
della sua prospettiva esistenziale interculturale.
Tenendo conto di questi presupposti, il lavoro si svilupperà in tre parti.
7
Nella prima parte cercherò di chiarire il complesso processo tra
democrazia, globalizzazione e intercultura. Ritengo che questi tre termini
siano le facce di una stessa proposta politica e culturale. La democrazia, che
era considerata da John Dewey “a way of life”, un modo di vivere, non può
che essere riproposta come esigenza universale di governo della società
civile. Non può esistere democrazia senza globalizzazione e, allo stesso
modo, non può esistere globalizzazione senza un profondo valore
democratico che ne rappresenta la struttura profonda e la autentica
possibilità di realizzazione politica e culturale. Ma la democrazia e la
globalizzazione non possono definire le chiavi di lettura del progresso civile
e sociale del nostro tempo se non si legano strettamente ai valori
dell‟intercultura.
Il mondo delle continue migrazioni culturali e politiche deve
ripensare se stesso sulla base di un nuovo progetto interculturale e politico.
In questo senso il ripensare al ruolo della lingua e della cultura inglese
rappresenta un ulteriore contributo per chiarire il senso delle nuove
prospettive culturali nella contemporaneità
Nella seconda parte tenterò di analizzare il significato dell‟insegnamento
della lingua inglese secondo le prospettiva della “competenza
comunicativa”. L‟insegnamento della lingua inglese ha una significativa
tradizione “globale” di sperimentazioni didattiche e pedagogiche. Anzi, è
grazie proprio all‟insegnamento della lingua e della cultura inglese che si
sono chiariti e definiti molti aspetti delle problematiche didattiche generali
e, in modo specifico, interculturali.
Questo problema sarà ulteriormente approfondito nella terza e ultima
parte del lavoro dedicata in modo specifico all‟insegnamento narrativo della
lingua e della cultura inglese che potrebbe favorire ancora di più le relazioni
interculturali e le competenze comunicative espresse dall‟insegnamento
della lingua e della cultura inglese.
L‟ipotesi complessiva che sorregge il lavoro è che la lingua inglese
non è un medium globale omologante che limita o annulla le specifiche
diversità culturali e identitarie del mondo sociale e politico, ma, al contrario,
se analizzato e progettato in modo corretto, l‟insegnamento della lingua e
della cultura inglese può permettere un migliore sviluppo dei processi di
democratizzazione nel mondo globale.
In questa prospettiva di ricerca emerge un importante contributo teso
alla realizzazione di una rappresentazione sociale che non consideri
8
negativamente il fenomeno migratorio, “etichettando” i migranti come
vittime dei processi di globalizzazione, bensì ne consideri il valore e la
ricchezza sociale.
Una tale immagine rivisitata in chiave positiva può dare nuova linfa
per la formulazione di politiche di accoglienza in armonia con l‟obiettivo
della global governance del fenomeno migratorio e per rileggere il flusso
migratorio non in chiave di emergenza sociale ma come risorsa.
Una lettura in chiave strettamente postmoderna del flusso migratorio
potrebbe cogliere nel migrante una “spinta esistenziale” verso migliorate
condizioni di vita ma, anche, verso una rinnovata partecipazione politica
sentendosi egli ancora arbitro del proprio destino.
Ponendo l‟enfasi sul nesso migrazione/democraticità e insegnamento della
lingua e della cultura inglese si potrebbero programmare interventi pubblici
che rivolgano la propria attenzione sia verso le comunità di accoglienza
volte ad eliminare i vari fattori ostativi che possono sorgere e alimentarsi
dall‟incontro tra le alterità personali e sociali; e sia verso i migranti per
favorire la nascita e lo sviluppo di relazioni cooperative e di una nuova
immagine della politica che rinneghi quella esistente che la vede un luogo di
incessante scontro tra diversità.
Una tale riflessione implica l‟esigenza di ripensare il progetto culturale
dell‟insegnamento dell‟inglese in una prospettiva interculturale che possa
favorire i processi di cittadinanza democratica che si sono sviluppati nel
secolo precedente e all‟alba di questo primo quindicennio del secolo XXI.
9
CAPITOLO PRIMO
I NUOVI CONFINI DELLA DEMOCRAZIA
1.1 Democrazia e globalizzazione
L‟epoca contemporanea è caratterizzata da complesse dinamiche
sociali, culturali, economiche e politiche. La politica, inoltre, è sempre più
delegittimata in quanto progressivamente ridotta a semplice
amministrazione delle realtà contingenti e corre il rischio, già sperimentato
nel precedente secolo, di possibili involuzioni antidemocratiche della
società. La democrazia è oggi da più parti minacciata e, per non soccombere
sotto i colpi dei poteri dell‟economia finanziaria globalizzata e della
comunicazione mediatica, deve favorire l‟impegno e la partecipazione
responsabile di ogni cittadino a tutte le azioni comunitarie attraverso
un‟educazione fondata sul confronto intersoggettivo, sulla reciprocità e in
cui si possano riconoscere come dis-valori gli atteggiamenti conformativi e
fondamentalistici6.
In effetti, “senza un‟educazione permanente sui temi della loro
convivenza, i cittadini vivranno una libertà e una scelta fasulle, una diversità
da villaggio vacanze e una democrazia monca, con un‟irresistibile tendenza
a volgersi in tirannia”7. Occorre riacquistare il gusto per la politica,
ritrovarne il senso, soprattutto, attraverso un‟educazione alla democrazia.
Per rinnovare la trasmissione dei valori universali, infatti,
l‟educazione, nell‟era della globalizzazione, è chiamata a confrontarsi con le
6
Cfr. G. Domenici, Manuale dell’orientamento e della didattica modulare, Laterza, Roma
2009
7
E. Bencivenga, “Educare alla democrazia. La volontà popolare in questione, in C. Altini
(a cura di), Democrazia. Storia e teoria di un’esperienza filosofica e politica, cit ., p. 268.
10
frequenti linee antipolitiche, con la negazione dell‟alterità e con tutte le
rappresentazioni e gli oggetti, che rivestono il valore simbolico della
felicità, offerti soprattutto dall‟incessante sviluppo tecnologico che spesso
tende ad allontanare la persona dalla ricerca della realizzazione della propria
progettualità nonché dalle possibilità di pensare e agire politicamente in
modo libero e indipendente.
Per superare lo stallo in cui versano i sistemi democratici attuali occorre una
politica democratica consapevole del fatto che, investire nell‟istruzione,
nella formazione e nella ricerca, rappresenta il doveroso presupposto per
diminuire l‟eventualità di una realizzazione di una democrazia incompiuta.
Poiché i “processi di omologazione, di massificazione e di
desoggettivizzazione rendono e trasformano la dimensione temporale in una
linea statica, omogenea e problematica, non consentendo la possibilità di
costruire percorsi dialetticamente disponibili al confronto, al senso critico e
alla decriptazione/interpretazione della realtà”8 e, poiché, “il sapere
pedagogico ha sempre ad oggetto una pratica di intervento sull‟uomo”9, la
pedagogia e l‟educazione sono direttamente chiamati in causa per lo
sviluppo di un‟analisi critica dell‟esistente nonché per individuare possibili
percorsi di sviluppo umano calibrati sulle dimensioni dell‟umanamente
possibile.
La pedagogia, attraverso una lettura critica del presente, può accettarne le
sfide non prescindendo dall‟attenzione alla democrazia e alla persona intesa
nella sua esigenza di esprimere il proprio umanamente possibile nelle
modalità ritenute migliori per la sua realizzazione.
Il sapere pedagogico diventa fondamentale per una lettura critica
socialmente, politicamente e culturalmente corretta, del fenomeno della
globalizzazione che, osserva Zygmunt Bauman, “è un mito, un‟idea
fascinosa, una sorta di chiave con la quale si vogliono aprire i misteri del
presente e del futuro; pronunciarla è diventato di gran moda. Per alcuni,
globalizzazione vuol dire tutto ciò che siamo costretti a fare per ottenere la
8
S. Salmeri (a cura di), Pedagogia e politica, Città Aperta Edizioni/Kore University Press,
Enna 2009, p. 7.
9
R. Fadda, Sentieri della formazione. La formatività umana tra azione ed evento,
Armando, Roma 2002, p. 20.
11
felicità; per altri, la globalizzazione è la causa stessa della nostra
infelicità”10.
La pedagogia, dunque, si pone al servizio dell‟uomo e si fa carico dei
bisogni che ognuno può avvertire durante il corso della propria vita. Bisogni
che nel passaggio tra la modernità e la postmodernità sono mutati insieme a
molti aspetti della vita umana.
Il percorso esistenziale obbliga a scelte gradualmente più complesse sia per
la varietà di opzioni disponibili, sia per la limitata prevedibilità delle
conseguenze che possono derivare -direttamente o indirettamente - dalle
azioni compiute dalle persone. La migrazione da una forma di società
all‟altra, afferma ancora Bauman, si è palesata anche nel passaggio
“dall‟etica del lavoro all‟estetica del consumo”11.
Il tempo presente è caratterizzato dalla complessità esistenziale e da una
incertezza costruttiva. Il cittadino era precedentemente legato a una propria
dimensione che lo ancorava alla propria identità conquistata durante le tappe
della propria esistenza; nell‟epoca contemporanea, invece, egli è ridotto al
prevalente ruolo di consumatore, destinato a rincorrere beni materiali ed
effimeri, connessi al valore simbolico del possesso.
Pertanto, solamente attraverso l‟intervento critico del sapere pedagogico, si
può ostacolare il divenire dell‟incertezza costruttiva a costitutiva del tempo
presente.
Gli aspetti del fenomeno della globalizzazione si delineano sostanzialmente
in una occidentalizzazione12, incline ad uniformare su scala globale modi di
produzione, modelli di vita, agende di problemi, risentendo fortemente delle
logiche dominanti13. A queste ultime, ad esempio, è imputabile
10
Z. Bauman, Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone, Laterza, Roma–
Bari 1998, p. 3. Per un approfondimento del fenomeno della globalizzazione cfr. anche:
Amartya Sen, Globalizzazione e libertà, Mondadori, Milano 2002; A. Touraine, La
globalizzazione e la fine del sociale. Per comprendere il mondo contemporaneo, Il
Saggiatore, Milano 2008.
11
Z. Bauman, Lavoro, consumismo, nuove povertà, Città Aperta, Troina 2004, p. 43.
12
L‟azione dell‟Occidente - afferma Serge Latouche - “è sempre più simile a quella di una
macchina impersonale, senza anima e ormai senza padrone, che ha messo l‟umanità al
proprio servizio”. S. Latouche, L’occidentalizzazione del mondo, Bollati Boringhieri,
Torino 1992, p. 12. Cfr. anche Id., Come si esce dalla società dei consumi, Bollati
Boringhieri, Milano 2011 e Per un’abbondanza frugale, Bollati Boringhieri, Milano 2012
13
Cfr. S. Tramma, Educazione e modernità. La pedagogia e i dilemmi della
contemporaneità, Carocci, Roma 2005 e, soprattutto, Z. Bauman, Conversazioni
sull’educazione. In collaborazione con R. Mazzeo,Erickson Editore, Trento 2011
12
l‟incremento dei flussi comunicativi finalizzato per lo più a massimizzare i
consumi anche mediante la manipolazione subdola dei desideri soggettivi e
collettivi.
Nello scenario del villaggio globale, o per meglio dire “glocale”, che vede
soggiacere la dignità del singolo alle logiche di consumo dei sistemi
produttivi che potrebbero essere diversamente finalizzati, l‟educazione è
chiamata ad intervenire per far sì che la persona non abbandoni i valori e i
bisogni primari minacciati dalla complessità del tempo postmoderno.
Se la modernità ha avuto come tratto distintivo l‟idea del mutamento quale
motore dello sviluppo e del progresso, di contro la postmodernità chiama il
soggetto a convivere con l‟incertezza, con la provvisorietà, con la continua
esposizione alla problematizzazione, con la costante messa in discussione
dei propri confini e delle proprie certezze minate alla base anche dalle
continue conquiste della tecnologia.
Occorre rivedere criticamente il fenomeno della globalizzazione, spogliare
quest‟ultima della veste di narrazione mitica, eterna e insondabile per
metterne in luce la consistenza, la conoscibilità e la comprensibilità dei suoi
possibili risvolti educativi14. Infatti, spetta alla pedagogia e all‟educazione
non favorire lo sviluppo o il predominio dei valori e delle pratiche anti–
umanistiche, che si basano sulla mercificazione dei comportamenti umani,
che si stanno sviluppando nell‟ambito della globalizzazione15.
La sfida principale che interessa l‟educazione è quella di continuare a
garantire la “completezza dell‟uomo”, cioè una visione della persona
considerata nella totalità dei suoi aspetti e nella complessità del suo Essere
persona non riducendola ad una mera dimensione unica e impersonale.
Considerare la persona in un‟unica dimensione (come avevano tentato di
fare il collettivismo e l‟individualismo) funzionale agli assetti consolidati e
alle forze dominanti significa privarla della sua dignità e ridurla
all‟atomismo sociale in cui la società civile diventa unicamente luogo di
scambio consumistico e non valoriale.
La globalizzazione “è fatta dagli uomini, dalle loro scelte, dal loro
egoismo”16 ma ciò cozza con il valore della persona che si manifesta
14
Ibidem.
Cfr. G. Acone, L’orizzonte teorico della pedagogia contemporanea. Fondamenti e
prospettive, Edisud, Salerno 2005
16
G. Elia, “Educazione e globalizzazione”, in G. Elia (a cura di), Le forme dell’educazione,
Laterza, Roma–Bari 2006, p. 214.
15
13
quotidianamente e che progetta la propria esistenza nella totalità del proprio
essere. L‟azione educativa è una costante valorizzazione di Sé attraverso la
valorizzazione dell‟Alterità e, pertanto, l‟agire educativo deve
necessariamente distanziarsi dalle logiche performative volte a frammentare
la persona17; l‟educazione deve far sì che “l‟idea di unità della specie umana
non cancelli l‟idea della sua diversità e che l‟idea della sua diversità non
cancelli l‟idea della sua unità”18.
L‟educazione politica, nella sua impostazione culturale di valorizzazione
della persona, comprende la persona nella sua completezza, nella sua
irripetibile soggettività che si apre all‟altro, che possiede un valore centrale
che trova espressione nelle politiche sociali.
Riconoscere l‟intrinsecamente sociale della persona, riconoscere la società
quale espressione di una dimensione costitutiva dell‟umano, significa
riconoscere l‟importanza dell‟intervento educativo che ricopre l‟arduo
compito di condurre per mano la persona verso il superamento delle
difficoltà e della complessità che il tempo postmoderno porta con sé, in
quanto lo spaesamento del cittadino postmoderno è una caratteristica molto
simile a quello della persona.
Per poter far ciò, occorre osteggiare il vuoto valoriale che alimenta il
consumismo e riconsiderare la persona nella totalità del suo essere; una tale
azione potrebbe emancipare il concetto di benessere identificato e ridotto a
solo benessere materiale per condurlo verso un significato più ampio che
comprenda anche le componenti immateriali dell‟esistenza umana19.
Riscoprire la necessità dei valori, riconoscerne il bisogno, rappresenta la
strada per la progettazione di un progetto educativo volto a fornire risposte
alle esigenze sempre più impellenti dell‟epoca contemporanea.
Un‟educazione radicata e centrata sul valore della persona, e di quanto essa
esprime nella sua totalità, può contribuire ad ostacolare – e a superare - gli
egoismi individuali e di gruppo, gli atteggiamenti difensivi e di chiusura
17
Cfr. G. Flores d‟Arcais, Le “ragioni” di una teoria personalistica della educazione, La
Scuola, Brescia 1994. Cfr. anche L. Pati, Pedagogia sociale, La Scuola, Brescia 2007
18
Cfr. E. Morin, I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Raffaello Cortina,
Milano 2001, p. 56. Cfr. anche G. Bocchi e M. Ceruti, Educazione e globalizzazione,
Cortina Raffaello, Milano 2004
19
Cfr. G. Chiosso, a cura di, Sperare nell’uomo. Giussani, Morin e Mc Intyre, SEI, Torino
2009. Il problema pedagogico della speranza nella possibilità irrealizzata del futuro è
fondamentale per porre lo sguardo oltre il muro della contingenza e per rispondere
concretamente alla società dei consumi e alla mercificazione.
.
14
verso l‟alterità che attualmente rendono il rischio di disumanizzazione
sempre più possibile.
Un valido disegno educativo non può prescindere dall‟attenzione ai valori in
quanto, se non si realizzasse in questo modo, perderebbe la sua essenza e
incisività, finendo per diventare un semplice elenco di “indicazioni per
l‟uso”. Occorre, dunque, “partire da una filosofia dell‟uomo,
ontologicamente solida, che possa considerarlo e riconoscerlo in quella
singolarità unica, irripetibile ed unitaria, di soggetto inviolabile e
protagonista di sé che, con l‟aiuto altrui, si colloca nell‟itinerario
esistenziale in un‟autonoma potenzialità20.
Tra i compiti dell‟educazione alla politica vi è quello di sottolineare
l‟importanza della ricerca valoriale all‟interno del percorso volto a costruire
una società e una cultura della persona e per la persona; perseguire un
percorso esistenziale in cui l‟essere umano (che è perfettibile) possa tendere
alla realizzazione della sua perfezione all‟interno della sua intrinseca
democraticità.
Quanto appena affermato necessita, per la sua piena realizzazione, di un
miglioramento qualitativo della vita che favorisca la ricerca e la
realizzazione della “felicità” delle persone. Anche se nel contesto storico
culturale attuale questa ricerca appare fragile ed incerta, essa deve
costantemente confrontarsi con le legittime aspirazioni al vivere bene
portate a maturazione in sistemi di vita e di pensiero lontani da quello del
mondo occidentale.
La persona è chiamata a confrontarsi, e non a scontrarsi, con la diversità per
meglio esprimere se stessa e per poter perseguire obiettivi comuni.
L‟educazione alla politica, pertanto, deve adoperarsi per la realizzazione del
pacifico confronto in cui conciliare comunanza e diversità e rafforzare
l‟idea di solidarietà minata dall‟estremo relativismo e indifferenza del tempo
presente. Occorre, insomma, evitare che “il disinteresse verso ogni forma di
cooperazione civile prenda il sopravvento sulla naturale politicità della
persona”21 e sulla sua innata disponibilità al confronto.
20
G. Cattanei, “Cultura dei bisogni, cultura dei valori”, in L. Santelli Beccegato (a cura
di), Intercultura e futuro: analisi, riflessioni, proposte pedagogiche ed educative, Levante,
Bari 2003, p. 37. Cfr. anche L. Mortari, Avere cura di sé, Bruno Mondadori, Milano 2009
21
G. Acone, L’orizzonte culturale del nostro tempo e l’educazione ai valori: dalla
sopravvivenza al progetto esistenziale, in L. Santelli Beccegato (a cura di), Intercultura e
futuro: analisi, riflessioni, proposte pedagogiche ed educative, Levante, Bari 2003 p. 79.
15
L‟educazione politica deve garantire l‟idea di unità della specie umana
pur riconoscendone la sua diversità; ciò implica la presenza di una
razionalità pedagogica critica che renda il soggetto capace di riconoscere,
come osserva Edgar Morin, la ricchezza dell‟unitas multiplex22 umana. Il
lavoro pedagogico, pertanto, consiste in un‟attività d‟indagine sulle effettive
condizioni di vita del soggetto delle società occidentali che riveli tutti quei
luoghi e tutte quelle contingenze che concorrono alla creazione di situazioni
che ricadono nell‟assenza del confronto, dell‟alienazione dell‟essere umano,
ed in una elaborazione di modelli educativi capaci di sollevare il soggetto da
tutte le condizioni di svantaggio esistenziale sociale e personale.
Nella contemporaneità, infatti, va sempre più ampliandosi la separazione tra
sfera pubblica e sfera privata; l‟educazione, pertanto, deve impegnarsi nel
superamento di tale separazione. In effetti il cimentarsi in attività di
volontariato, la disponibilità verso gli altri – sebbene con modalità diversa
dall‟impegno politico - è segno tangibile della profonda politicità
dell‟uomo; “il tempo privato in cui si sforzano di vivere tutte quelle
soggettività che sono consapevoli della necessità morale di essere–nel–
mondo–con–gli–altri e di dare così senso al proprio esistere, non può essere
legittimamente considerato alternativo al tempo pubblico inteso come tempo
politico, e neppure distinguibile o separato da quest‟ultimo”23.
Pertanto, l‟educazione per poter superare l‟attuale crisi dell‟impegno
politico, deve necessariamente annodare le due sfere costitutive della
dimensione umana di cui una è la sfera strettamente personale se non
addirittura intima e interiore e l‟altra è la sfera dell‟esteriorizzazione e della
manifestazione di idealità volte al bene comune e alla interpretazione del
presente capaci di declinarsi nei diversi momenti che strutturano il profilo di
un soggetto impegnato politicamente: la capacità di confliggere e di
22
E. Morin, I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Raffaello Cortina Editore,
Milano 2001. In questa visione i diritti umani sono un riferimento essenziale che annoda il
dibattito intorno al fondamento e alla reale universalità di quanto è proclamato nella
Dichiarazione Universale del 1948. La pedagogia personalistica, da un lato, s‟inserisce
spostando il luogo d‟interpretazione del valore insito nei diritti umani dal piano filosofico e
giuridico a quello etico e pratico (e, dunque, dalla società alla persona) in modo da
conferire centralità al problema del come migliorare nel tempo l‟espressione e l‟attuazione
dell‟umano; dall‟altro, subordinando ogni altra cosa, ogni altra istanza espressiva e
argomentativa all‟ideale, universalmente avvertito, della dignità personale e alla libertà,
indipendentemente da un determinato contesto di riferimento.
23
P. Bertolini, Educazione e politica, Raffaello Cortina, Milano 2003, pp. 105–106.
16
mediare, di negoziare e di contestare, di prevedere e di aggiornarsi, di
risolvere i problemi collettivi e di ascoltare quelli individuali24.
L‟educazione alla politica operando sui duplici versanti appena citati,
pertanto, può rinnovare l‟interesse verso l‟impegno politico così da
ostacolare la dilagante e omologante delusione nei confronti della sfera
pubblica e dell‟impegno sociale; tale delusione spesso finisce per alimentare
nell‟uomo l‟interesse verso un consumismo esasperato.
Pertanto, poichè in una società pluralistica e democratica nessuna istituzione
è sufficiente a se stessa per generare, mantenere e sviluppare democrazia
occorre che le varie istituzioni, dalla famiglia alla scuola e alle varie
associazioni, operino in modo sinergico per uno sviluppo educativo dove i
rapporti sociali e il godimento dei beni vadano oltre la contingenza della
quotidianità.
Il primo luogo di formazione è la famiglia, definita dall‟Unesco “luogo
naturale, primo e privilegiato dell‟educazione delle persone, del loro
sviluppo e del loro inserimento nella società”25, luogo in cui la persona è
accolta sin dalla nascita e nel quale vive e si confronta fino alla morte.
È un centro di educazione che ricopre funzioni essenziali per la crescita
democratica della persona e, conseguentemente, dell‟intera società. Osserva
Luigi Pati che “l‟insegnamento dei valori, che qualifica il procedere
educativo quotidiano del nucleo domestico, è di rado intenzionalmente
regolamentato nelle sue sequenze contenutistiche; tuttavia, nei momenti
informali di vita, i genitori hanno spesso la possibilità di operare sulle
coscienze dei figli, richiamandoli a riflettere su fatti, circostanze,
avvenimenti. Così facendo, essi sollecitano la prole ad acquisire habitus, a
fare propri alcuni atteggiamenti, che come tali si radicano nella struttura di
personalità e si mostrano suscettibili di qualificare in senso democratico la
rete più ampia dei legami sociali”26.
All‟interno della famiglia il singolo sperimenta dinamiche relazionali che
permetteranno all’io di costituirsi nel rapporto col tu, di essere membro di
una società che richiede l‟assunzione di comportamenti responsabili verso la
24
Cfr. D. Demetrio, Pedagogia e politica: tempo privato e tempo pubblico, in
«Encyclopaideia», n. 12, 2002 e Id., L’educazione non è finita. Idee per difenderla,Cortina
Raffaello, Milano 2009
25
Unesco, Pour l’éducation au XXI siècle, Oic, Paris 1995, p. 113.
26
L. Pati, “Educazione familiare e crescita democratica della società”, in M. Corsi, R. Sani
(a cura di), L’educazione alla democrazia tra passato e presente, Vita e Pensiero, Milano
2004, pp. 160–161.
17
singola persona, verso l‟intero sistema parentale ma, anche, verso la
comunità di appartenenza. Attraverso le dinamiche interne ed esterne alla
famiglia il soggetto si cimenta in compiti che assolve nel rispetto delle
proprie e delle altrui competenze sperimentando comportamenti consapevoli
“mediante azioni e parole, da assumere e far crescere nella direzione del
riconoscimento dei diritti, del decoro, della dignità e della personalità propri
e altrui e quindi nell‟astensione da ogni manifestazione che possa invece
impedirli, limitarli od offenderli”27.
Oltre alla famiglia, l‟altro fondamentale centro di formazione è la scuola.
Esso intreccia saperi, cultura e relazioni, e segna la vita formativa nel suo
cammino esistenziale. La scuola favorisce la crescita della persona nella sua
interezza, nella pluralità di rapporti che essa viene ad intrecciare. Pertanto la
scuola è chiamata a svolgere la mission del coniugare opportunamente i vari
saperi tecnico-scientifici e umanistici e a soddisfare i bisogni e le richieste
dei giovani.
“Cultura scuola e persona - afferma Edgar Morin - sono inscindibili” ed è
centrale “l‟importanza vitale della formazione sia da un punto di vista di
umanità che di cittadinanza perchè per risolvere i problemi fondamentali
dell‟uomo è necessaria un‟alleanza educativa tra cultura umanistica e
cultura scientifica. Una mancanza di congiunzione tra le due, infatti, non
può servire ad una adeguata maturazione morale e spirituale” 28.
La complessità del vivere sociale, i sentimenti d‟inadeguatezza, le tensioni
generate dalla perdita di certezze insite nella “modernità liquida”29, i sempre
più labili confini dei valori sono solo alcuni degli aspetti a cui prestare
attenzione per impedire il radicamento della mancanza di responsabilità sui
princìpi e sugli abiti di libertà e cooperazione sociale. Occorre scongiurare
ciò che dai sociologi è definito analfabetismo politico presente soprattutto
nelle nuove generazioni.
La scuola, come la famiglia, si presenta come laboratorio di democrazia e di
sviluppo e crescita delle responsabilità sociali. Essa persegue tali obiettivi
all‟interno di situazioni monitorate e protette, proiettate verso un obiettivo
dove il soggetto si orienta ed è sollecitato verso una consapevolezza, sempre
27
M. Corsi, “La famiglia come palestra di democrazia: il rispetto di sé e dell‟altro”, in M.
Corsi, R. Sani (a cura di), L’educazione alla democrazia tra passato e presente, cit., p. 139.
28
Ministero della Pubblica Istruzione, Cultura scuola persona. Verso le indicazioni
nazionali per la scuola dell'infanzia e per il primo ciclo di istruzione, Roma 2007.
29
Cfr. Z. Bauman, Modernità liquida, Laterza, Roma–Bari 2006.
18
maggiore, di assunzione di responsabilità decisionali per il superamento di
situazioni conflittuali che possano manifestarsi sia in ambito sociale che
personale.
Se, dunque, “la socializzazione avviene nelle strutture educative, comunque
intese, che comportano il controllo sociale, ne discende anche l‟efficienza
sociale che è il risultato dello sviluppo delle forme di comunicazione30 anzi
è correlato con lo sviluppo della mente.
Per Dewey, infatti, “l‟efficienza sociale” non è che la socializzazione della
mente che si realizza attivamente nel fare esperienze più comunicabili; nel
far crollare le barriere della stratificazione che rendono gli individui
insensibili agli interessi degli altri31.
Ulteriori centri di formazione sono i gruppi e le varie associazioni (religiose,
studentesche, sportive, ecc.) all‟interno delle quali i soggetti in formazione
sviluppano e sperimentano importanti dinamiche educative che favoriscono
l‟arricchimento personale e consentono il radicamento di valori relazionali
comuni e fondamentali.
Queste realtà presenti sul territorio rappresentano autentiche reti di
mediazione tra il singolo e la società. Esse promuovono la crescita della
persona nella propria soggettività, ma anche in relazione alla società
attraverso iniziative di solidarietà che sottendono la reciprocità e la
responsabilità dell‟agire personale volto alla coesione sociale e alla
partecipazione alla vita comunitaria.
È indubbio che in tali iniziative, volte a perseguire azioni positive che fanno
apprezzare il valore dell‟impegno sociale per se stessi e per gli altri, sono
rintracciabili i luoghi dell‟educazione dove dall‟io si passa al noi e in cui si
30
Larry A. Hickman, “Efficienza sociale ed educazione: una riflessione di John Dewey da
Democracy end education”, in V. Burza (a cura di), Democrazia e nuova cittadinanza.
Interpretazione pedagogiche, Rubbettino, Soveria Mannelli 2005, p.130.
31
M. Caligiuri, “Esportare la democrazia? Un nodo cruciale del XXI secolo”, in V. Burza
(a cura di), Op. cit., p.131. Osserva Julian Luengo Navas che fu proprio Dewey agli inizi
del Ventesimo secolo a promuovere la “necessità di recuperare l‟idea secondo la quale
l‟educazione doveva servire a costruire una società democratica, in cui tutti dovessero
partecipare ai benefici e ai beni della stessa in condizioni di eguaglianza, a tal punto che per
il filosofo nordamericano la qualità della democrazia dipendeva dalla qualità
dell‟educazione”. J.L. Navas, “L‟ineludibile intreccio tra educazione e democrazia nel
pensiero di Fernando Savater”, in A. Gramigna (a cura di), Democrazia dell’educazione,
Unicopli, Milano 2010, p.162.
19
attivano dinamiche educative in cui i possibili progetti di vita vengono
condivisi.
Ciò implica una possibilità di crescita secondo una visione dinamica,
propositiva e progettuale della vita in cui il singolo sperimenta la transizione
dalla consapevolezza del dover assumere una responsabilità personale alla
decisione dell‟impegno fattuale. Di contro, la società attuale caratterizzata
dal rischio esistenziale mette in crisi anche l‟impegno politico dal quale
spesso si fugge ricorrendo a falsi valori e richiudendosi in sterili mondi
privati all‟interno dei quali è bandito l‟impegno sociale e, parimenti, si frena
la crescita della responsabilità personale.
Si corre, così, il rischio di costruire una “democrazia senza democrazia”. E,
infatti, la democrazia “sorta come mezzo per porre fine al potere totale o
prevalente di monarchi e di gruppi oligarchici, è venuta […] ad assumere il
carattere di un sistema che ha riconsegnato per aspetti cruciali il potere a
nuove oligarchie, le quali tengono le leve di decisioni che, mentre
influiscono in maniera determinante sulla vita collettiva, sono sottratte a
qualsiasi efficace controllo da parte delle istituzioni democratiche.
Si tratta sia di quelle oligarchie che, titolari di grandi poteri privi di
legittimazione democratica, dominano l‟economia globalizzata, hanno nelle
loro mani molta parte delle reti di informazione e le pongono al servizio
degli interessi propri e dei loro amici politici; sia delle oligarchie di partito
che in nome del popolo operano incessantemente per mobilitare e
manovrare quest‟ultimo secondo i loro intenti; sia dei governi che tendono
programmaticamente a indebolire il peso dei parlamenti e l‟efficacia
dell‟azione degli organi giudiziari e soggiacciono all‟influenza delle élites
del potere finanziario e industriale, diventandone in molti casi diretti
portavoce di dispositivi antidemocratici”.32
L‟educazione alla politica non può prescindere dai centri di formazione e
socializzazione (quali la famiglia, la scuola e le associazioni nelle loro
molteplici espressioni) che educano l‟uomo ai valori dell‟alterità, del
confronto, del mutamento, che riflettono sul pluralismo nazionale, religioso,
politico e che hanno come finalità complessiva la realizzazione della
cittadinanza attiva.
Dal consolidamento dell‟educazione politica deve scaturire nuova linfa per
alimentare l‟impegno sociale e non – come spesso accade nel tempo che
32
M. L. Salvadori, Democrazie senza democrazia, Laterza, Roma–Bari 2011, pp. IX–X.
20
stiamo vivendo - per definirne ulteriormente i compiti. Essa deve potenziare
e non decrescere le sue modalità di azione; solo così può svolgere
pienamente la sua duplice e fondamentale missione di controllo e guida per
il raggiungimento dei fini condivisi33 socialmente.
Tutto ciò ci conduce verso la democrazia, sistema politico più adatto (se non
unico) a favorire la crescita della persona nell‟interezza della sua
dimensione, e per contribuire a realizzare l‟umanamente possibile non
minando in alcun modo lo sviluppo della dignità umana.
1.2. Il possibile futuro della democrazia
Le democrazie delle nazioni occidentali post-industriali registrano una
decadenza della sfera pubblica che sempre più sembra vacillare sotto i colpi
di un‟involuzione antidemocratica presente in molte società. Nonostante la
democrazia abbia raggiunto una sua affermazione mondiale, in quanto essa
è la forma di governo ritenuta fondamentale per il benessere dei cittadini,
essa mostra apertamente chiari segni di logoramento e una evidente crisi di
identità culturale e politica.
La crisi sembra interessare sia le democrazie di recente costituzione34 e sia
le democrazie dei Paesi occidentali postindustriali. Queste ultime registrano
una decadenza della sfera pubblica che sempre più vacilla sotto i colpi degli
attacchi neoliberisti e dell‟ingerenza del mercato nella vita sociale e che,
anzi, pretende di esserne l‟unico regolatore. Gli studiosi contemporanei
temono per il futuro della democrazia ritenendola, alcune volte, come una
“liturgia puramente formale, dominata dal potere economico”35, altre volte
mettono in guardia dal ravvisare in essa una forma di chiusura quale “pura
rappresentanza degli interessi costituiti”36.
Nonostante le differenti analisi, gli studiosi sono tutti concordi nel temere
per il futuro della democrazia. La sua decadenza pare trovare origine, tra
33
G. Piana, Nel segno della giustizia. Questioni di etica politica, Edizioni Dehoniane,
Bologna 2005, p. 104.
34
F. Zakaria indica come democrazie illiberali, tutte le democrazie nelle quali non di rado
avviene che ad elezioni libere si affianchi l‟assenza effettiva di garanzie per la libertà dei
cittadini. Cfr. F. Zakaria, Democrazia senza libertà: in America e nel resto del mondo,
Rizzoli, Milano 2003. R. Dahl, Sull’uguaglianza politica, Laterza, Roma 2007
35
G. Barberis, M. Revelli, Sulla fine della politica: tracce di un altro mondo possibile,
Guerini, Milano 2005, p. 57.
36
R. Dahl, Sull’uguaglianza politica, cit., p. 81.
21
molteplici cause, nella crisi di identità culturale che determina un
disfacimento della relazionalità intersoggettiva.
Non dobbiamo soffocare il confronto e la relazione con l‟altro, altrimenti le
persone corrono il rischio di dividersi in tante singole unità senza riuscire a
costruire relazioni intersoggettive significative e decisive per la costruzione
di valori comuni e determinanti per la definizione del processo democratico.
La divisione in nuove classi sociali e la conseguente frammentazione sociale
che ha fatto seguito alla più tradizionale divisione in classi a cui ha fatto
riferimento la critica marxista all‟economia classica, ha aumentato la
complessità della nostra società. Ciò ha fatto scaturire un numero crescente
di nuclei di appartenenze e una relativa competizione tra corporazioni
differenti le quali, impegnate nel tutelare i propri interessi, ritengono molto
vantaggioso occupare spazi pubblici riducendo così, progressivamente, la
politica ad un ininterrotto rapporto clientelare37.
Questo differimento verso la sfera pubblica è stato consolidato dalla nascita
e dalla successiva espansione della cosiddetta cultura della soggettività che,
pur soffermandosi sui legittimi bisogni e desideri dei singoli cittadini,
spesso ha avviato come un ripiegamento su se stessi generando l‟esclusione
dalle forme di partecipazione sociale od anche di militanza politica.
Rinunciare alla partecipazione politica implica una attenzione sempre
maggiore alla sfera personale e, pertanto, un investimento crescente verso
l‟autorealizzazione, verso il raggiungimento di obiettivi individualistici.
Ciò concorre al radicamento di logiche relazionali che sfuggono
all‟autenticità e alla veridicità del rapporto sociale sottendendo la
gratificazione del soggetto e non della collettività. In un tale scenario
globalizzato ove si registra la disgregazione degli spazi sociali, ove i “livelli
di permanente cambiamento richiedono persone adeguatamente formate sul
piano cognitivo, socio-relazionale ed emotivo-affettivo proprio per gestire
tale complessità, per fronteggiare la vertiginosa velocità di cambiamento e,
soprattutto, per reggere la sfida dell‟incertezza e della liquidità
(Bauman)”38, al soggetto viene richiesto di ri-centrare la propria identità,
37
G. Piana, Nel segno della giustizia. Questioni di etica e politica, cit., p. 11.
I. Loiodice, “Orientarsi tra le diversità per costruire l‟identità”, in M. Baldacci, M. Corsi,
Un’opportunità per la scuola: il pluralismo e l’autonomia della pedagogia, Tecnodid
editrice, Napoli 2009, p. 203.
38
22
alle volte inquieta e instabile, talvolta eversiva e difficile39 e non
rinchiudersi nella tendenza soggettivistica che muove verso l‟indipendenza,
affrancato da ogni condizionamento, senza legame alcuno.
La vita sociale mostra legami deboli, legati alla libertà individuale. La
persona è paragonata da Marino Livolsi ad un “turista che nel suo lungo
viaggio tocca molti luoghi (e ha molte esperienze) alla ricerca di una meta
che dia un senso definitivo alla sua vita, alle sue scelte e al suo modo di
costruirsi […] Resta il rischio che il turista si trasformi in uno svagato
turista che passa da luogo a luogo senza una meta finale, distratto da suoni e
immagini e preoccupato solo di stare bene ed essere accettato dagli altri”40.
Le relazioni interpersonali si mostrano, dunque, frammentate, prive della
“durata”, senza alcuna gratuita reciprocità e volgono verso nuove forme di
disagio relazionale contrassegnato da una sempre più ampia difficoltà a
costruire rapporti all‟insegna della autenticità. L’anaffettività, l‟assenza di
solide relazioni quotidiane inducono il soggetto verso il disimpegno sociale
e ne fiaccano la ricerca del bene comune. Il profilarsi di un netto divario tra
la sfera pubblica e quella privata mina due importanti istituti propri di un
sistema democratico: la partecipazione e la rappresentanza; infatti, “la
debolezza della cultura politica e la scarsa importanza riconosciuta alla
partecipazione si traducono – pur in presenza di un governo mite e
paternalistico, di forme di vita democratiche e di periodiche elezioni – in un
potere immenso e tutelare che governa ogni cosa e sul quale gli uomini
hanno scarso controllo. Non una tirannide del terrore e dell‟oppressione,
come nel passato, dunque, ma una nuova forma di dispotismo
specificamente moderno”41.
Si assiste oggi ad una privatizzazione del pubblico (e ad una relativa
pubblicizzazione del privato), pertanto, se da “una parte taluni soggetti
hanno allargato la loro sfera d‟azione al punto da influire con il loro potere
su larga parte della società (pubblicizzazione del privato), dall‟altra parte i
dispositivi di potere sono nelle mani di pochi a svantaggio di molti e,
39
Cfr. S. Perfetti, La formazione umana tra rischio e differenza. Riflessioni di pedagogia
critica, Anicia, Roma 2008.P. Orefice, Pedagogia sociale. L’educazione tra saperi e
società, Bruno Mondadori, Milano 2011
40
M. Livolsi, Manuale di sociologia della comunicazione, Laterza, Roma-Bari 2003, p.
481.
41
N. Matteucci ( a cura di), La democrazia in America/Alexis de Tocqueville, Utet, Torino
2007, p. 89.
23
comunque, al di fuori del controllo collettivo (privatizzazione del
pubblico)”.
Per contrastare la perdita di valore dell‟agire comunitario occorre “(ri)dare
all‟umanità e al suo esistere presente e futuro un orientamento di ampio
respiro”42.
Le conquiste e le mete raggiunte dal soggetto, infatti, non corrispondono più
ad un porto tranquillo dove egli, viaggiatore stanco, può ritemprare le
proprie membra certo di trovarvi nuove sicurezze e nuove certezze. I
traguardi raggiunti rappresentano nuovi punti di partenza verso incerte mete,
percorsi da affrontare all‟insegna della flessibilità43 del vivere. Da sempre,
l‟umanità vive in condizioni di incertezza e instabilità; pertanto l‟elemento
nuovo che, di fatto, caratterizza il tempo che stiamo vivendo non si colloca
nell’agire in condizioni d’incertezza parziale o totale44, bensì nella
“sollecitazione costante ad abbattere le difese costruite con tanta cura, ad
abolire le istituzioni destinate a limitare il grado di incertezza e la portata del
danno”45 esistenziale.
Gli studiosi contemporanei sostengono la presenza di una sorta di incapacità
degli attuali sistemi politici nel tutelare e promuovere i diritti di ogni
cittadino. Le tradizionali strutture rappresentative, infatti, a causa della
progressiva svalutazione subìta, si mostrano alquanto indifferenti al
coinvolgimento dei cittadini nella vita pubblica generando una ampia
disillusione verso le aspettative di una equa distribuzione del potere e della
ricchezza tra gli stessi cittadini.
I partiti politici non rappresentano più il punto di incontro, i luoghi di
aggregazione di ampie porzioni della società. Infatti questi hanno perso il
primato di essere luoghi in cui elaborare, o orientare eventuali progetti volti
al bene comune. Essi appaiono invece maggiormente impegnati in progetti
42
P. Bertolini, Educazione e politica, cit., p. 16.
Osserva Francesco Susi che anche la flessibilizzazione della vita lavorativa, ad esempio,
se per alcuni può rappresentare un‟opportunità, una condizione “per la definizione di un
progetto individualizzato, personalizzato, ma supportato da risorse culturali, familiari,
professionali; per altri è una necessità subita, un comando sociale a cui è impossibile
opporsi, con la conseguenza non solo di un aggravamento di vecchie disuguaglianze (di
sesso, di classe, di nazionalità, territoriali), ma anche della creazione di nuove, fino
all‟incrinamento della possibilità stessa di fruire dei diritti della cittadinanza”. F. Susi,
“Bisogni sociali di formazione e partecipazione del pubblico in difficoltà”, in Pedagogia
oggi. Quadrimestrale Siped, n. 1-2/2007, p. 39.
44
L.S. Beccegato, “Globalizzazione, percorsi formativi e cittadinanza democratica”, in V.
Burza, Democrazia e nuova cittadinanza. Interpretazioni pedagogiche, cit., p. 61.
45
Z. Bauman, La solitudine del cittadino globale, Feltrinelli, Milano 2000, p. 36.
43
24
volti per lo più al mantenimento della propria sopravvivenza (modalità
autoreferenziale) senza alcuna attenzione o disamina aperta ai bisogni dei
cittadini46.
Gli stessi studiosi, inoltre, mettono in guardia anche verso l‟operato di
alcuni gruppi politici che minano l‟importanza della delega elettorale
attraverso un consolidamento del loro potere basato sul controllo e sull‟uso
dei media, ciò che Giovanni Sartori ha definito la “brutale sostituzione
dell‟uomo sapiente con l‟uomo vedente”47.
In altri termini, si paventa l‟avvento di “un animale oculare che sa solo quel
che vede, che vede senza sapere, e quindi di un essere umano la cui vita non
è più intessuta da concetti ma eminentemente da immagini”48. Sulla base
delle considerazioni che riflettono sull‟importanza del ruolo dell‟educazione
per la costruzione della democrazia, occorre riflettere su un‟educazione ai
media. L‟educare ai media diventa “uno strumento di controllo sociale,
intesa, secondo l‟accezione di Dewey, come la formazione di una certa
disponibilità mentale; un modo di conoscere oggetti, eventi e atti che
permettono di partecipare efficacemente alle attività sociali”49.
L‟educazione alla politica, di conseguenza, ha il compito di dare nuova linfa
vitale alla democrazia in quanto essa è senza alcun dubbio il sistema politico
che più si adatta alla natura umana, pertanto occorre animare nei cittadini il
desiderio di fare nuove proposte alternative allo stato delle cose, anche
attraverso la manifestazione di indignazione dello stato attuale, così da
rendere nuovamente attraente l‟interesse per la politica e il fare politica50.
Sulla base di quanto finora affermato, si può sostenere la tesi di Paul
Ginsborg51 il quale afferma che gli interventi educativi devono avere come
46
Cfr. D. Nocilla, Crisi della rappresentanza e partiti politici, Giuffrè, Milano 1989. L.
Castellano, La politica della moltitudine: postfordismo e crisi della rappresentanza,
Manifestolibri, Roma 1996; G. Zagrebelsky, La difficile democrazia, University Press
Firenze, Firenze 2010; S. Rodotà, Il diritto di avere diritti, Laterza, Roma 2012
47
G. Sartori, Democrazia. Cosa è, cit., p. 326.
48
Ibidem.
49
J. Dewey, Democrazia ed educazione, cit., p. 29.
50
Cfr. E. Sgroi, Alla ricerca della politica scomparsa, in E. Sgroi (a cura di), L’educazione
alla politica. Azione collettiva e scuole di formazione in Italia, Meridiana Libri, Catanzaro
1993; si veda anche P. Bertolini, “Educazione e politica. La gioiosa fatica di pensare”, in A.
Erbetta (a cura di), Senso della politica e fatica di pensare, cit. Per approfondimenti si veda
P. Ingrao, Indignarsi non basta, Alberti, Roma 2011.
51
P. Ginsborg crede fortemente che la democrazia liberale sia ormai rianimabile solo
mediante la combinazione della democrazia rappresentativa con quella partecipativa,
25
obiettivo fondamentale il rendere più autentica possibile la vita
dell‟uomo/cittadino attraverso le dinamiche partecipative e rappresentative.
Queste ultime, infatti, sono due colonne fondamentali per l‟edificio
istituzionale democratico il quale, sotto le incessanti spinte esterne ed in
assenza di una delle due - o di entrambe – è inevitabilmente destinato a
crollare.
Educare alla partecipazione e alla rappresentanza diviene elemento
costitutivo per una educazione alla democrazia e, nello specifico, per una
educazione alla politica in quanto la partecipazione dei cittadini alla vita
politica sviluppa la socialità della persona e ne favorisce il processo di
maturazione interiore.
Solamente una partecipazione ed una rappresentanza consapevole sono a
garanzia di un vivere istituzionale attento ai bisogni emergenti del cittadino.
La democrazia, infatti, è discussione, ragionare insieme ed è espressione di
una comune costruzione di valori. Chi, come coloro che si ritengono
superiori agli altri, odia i discorsi e il confronto delle idee, alla persuasione
preferisce la sopraffazione52.
L‟impegno nell‟ambito sociale e politico è proprio nella natura umana e si
manifesta nel momento in cui il soggetto ha portato a compimento il proprio
processo di maturazione, è divenuto capace di assumere decisioni
responsabili, libere ed autonome e, pertanto, può cimentarsi nel
raggiungimento del bene comune attraverso le numerose opportunità (intese
come partecipazione attiva e non solo formale alla vita politica) di compiti
che gli vengono offerti. Diventare portavoce di interessi condivisi postula la
ricerca di possibili condizioni sempre migliori per esprimere il proprio
talento e per partecipare, nei diversi ruoli, alla gestione del bene comune53.
La rappresentanza, dunque, costituisce la forma più alta di partecipazione
politica attiva e, per tale motivo, l‟educazione è chiamata a svolgere la sua
funzione attraverso forme di progettualità formativa in grado di chiedere a
ciascun soggetto l‟assunzione di impegni pubblici coerentemente con la
affinché migliori la qualità della prima con il contributo della seconda. Cfr. P. Ginsborg, La
democrazia che non c’è, Einaudi, Torino 2006.
52
Cfr. G. Zagrebelsky, Imparare democrazia, Einaudi, Torino 2007.
53
Cfr. L. Santelli Beccegato, Pedagogia neopersonalistica e politica: rapporti, distinzioni,
finalità, in G. Elia. B. Pojaghi (a cura di), Dinamiche formative ed educazione alla politica,
cit.
26
propria vocazione di vita così da evitare di incorrere in derive elitarie e/o
populiste.
L‟educare alla partecipazione si richiama alla categoria dell‟impegno, 54 alla
necessità di relazioni fondate sulla solidarietà tra membri di una società.
Emmanuel Mounier fa riferimento all‟“agire politico” che anticipa quello di
“prassi politica”, cioè la prospettiva formativa intesa è quella dell‟impegno
che i “diversi luoghi della paideia” devono salvaguardare affinché una
nuova cultura politica possa ispirare tutte le “prassi” che si rendono
necessarie per la soddisfazione dell‟istanza di autenticità avvertita da
ognuno. In tale visione “far politica” esige la presenza di valori (e di “abiti
virtuosi”) consoni alla vita di una comunità che tende alla realizzazione di
obiettivi condivisi e condivisibili,55 che abbiamo delle ricadute positive non
solo sul singolo ma sulla collettività. La capacità di prendersi cura di se
stessi e del contesto sociale di appartenenza, implica capacità di
discernimento e l‟impegno ad operare scelte consone agli itinerari previsti
dall‟intera comunità, nonché la capacità di mettere in atto pratiche sociali
idonee allo sviluppo delle responsabilità politica dei singoli, dei gruppi,
della comunità tutta56.
Se consideriamo la “scelta del disinteresse politico” verso i vari processi
decisionali, indipendentemente dal luogo o dallo spazio politico nel quale
viene esercitata, anch‟essa, paradossalmente, può rappresentare una forma
di partecipazione politica nel momento in cui si palesa la volontà strategica
di esprimere, assumendo tali condotte, dei comportamenti politici volontari
di “non scelta” allo stesso modo di un comportamento politicamente attivo.
La “scelta del disinteresse politico partecipativo” risulterà efficace nel
momento in cui le decisioni effettivamente prese avranno rispecchiato la
scelta decisionale che ha innescato il comportamento del disinteresse.
A questo punto appare chiaro l‟importanza fondamentale delle pratiche
volte a mantenere i processi politici interattivi aperti ed inclusivi a garanzia
dei gruppi sociali emarginati dalle logiche di potere politico. Per una buona
democrazia, urge, dunque, la disponibilità al dialogo, al confronto, alla
critica costruttiva, al coinvolgimento personale in tutte le situazioni di
54
La categoria dell‟impegno è elemento fondamentale nel personalismo comunitario di
Emmanuel Mounier.
55
Cfr. A. Monticone, Valori e “abiti virtuosi” dell’agire politico, in AA.VV., Pensare
politicamente. Linee di una prospettiva educativa, La Scuola, Brescia 1998.
56
Cfr. L. Santelli Beccegato, Pedagogia sociale, cit., p. 60.
27
problematicità sociale e, accanto a queste, la possibilità di poter esercitare il
dissenso.
Affinché si possa realizzare un positivo impegno pubblico, l‟uomo politico
dovrà possedere dei prerequisiti essenziali quali: la capacità di argomentare
bene, la capacità di giudicare criticamente, il saper mediare le situazioni di
conflitto, ecc. Per tutti coloro che mostrano attenzione verso l‟Altro e la res
pubblica, l‟educare alla rappresentanza significa perseguire, in maniera
abbastanza naturale ma in forme specifiche, l’educazione alla
partecipazione al fine di promuovere il principio dell‟impegno politico
(leadership) considerato al servizio dell‟intera comunità e non del singolo
cittadino.
Con il termine leadership si intende un ruolo che “a) si svolge in uno
specifico contesto di interazioni e riflette in se stesso (e nel suo „compito‟)
la „situazione‟ di questo contesto; b) esprime certe motivazioni del leader e
richiede certi attributi di personalità ed abilità, nonché in genere certe
risorse, che sono tutte (motivazioni, attributi e risorse) variabili del ruolo in
funzione del suo contesto; c) è legato alle aspettative dei seguaci, con le loro
risorse, le loro domande ed i loro atteggiamenti”57. Occorre educare alla
visione e alla gestione non privata ed utilitaristica del potere politico bensì
ad una visione fondata sulla utilità pubblica.
Occorre promuovere una cultura dell‟impegno pubblico tesa all‟impegno
responsabile verso la comunità di cui il singolo è parte essenziale ed
integrante. Emerge, dunque, l‟esigenza dell‟educazione di attuare alcune
strategie tese a formare una classe dirigente e politica adatta a sviluppare
processi di democrazia diffusa.
All‟interno di tale contesto, non ci si può esimere dal fare riferimento anche
all‟educazione all’ascolto attivo per non interrompere il legame tra politica
e collettività. Infatti, la distanza che sempre più intercorre tra eletti ed
elettori è alimentata anche dall‟assenza di ascolto (che i politici sempre più
di frequente manifestano) delle problematiche inerenti la comunità.
È fondamentale, dunque, educare all‟ascolto attivo e restituivo in quanto
l‟azione politica deve saper promuovere e sviscerare le problematiche,
nonchè mostrare autentica attenzione verso l‟interlocutore (singolo o
57
O. Petracca, Leadership, in N. Bobbio, N. Matteucci, G. Pasquino (a cura di), Dizionario
di politica, Utet, Torino 2004 p. 501.
28
comunità) così da invogliare il cittadino alla partecipazione, smuovendolo
dal letargo esistenziale nel quale spesso rifugge.
1.3. Democrazia, globalizzazione e intercultura: il processo inevitabile
L‟educazione alla rappresentanza e alla partecipazione rappresentano degli
importanti aspetti per l‟educazione alla democrazia. Appare utile – pertanto
- definire l‟analisi degli assetti socioeconomici e socioculturali che
influiscono sulle attuali condizioni di vita. In effetti “in virtù della crescita
demografica, dei movimenti migratori e delle conseguenti trasformazioni
sociali anche nei paesi di consolidata tradizione democratica il secolo XXI
si trova ad affrontare nei fatti la sfida della coniugazione di democrazia
costituzionale e democrazia multiculturale […]. Già i più elementari
indicatori empirici mostrano come la transizione alla società multiculturale
metta in evidenza i limiti dell‟inclusione realizzata dalle democrazie
costituzionali […]. È indubbio che le democrazie costituzionali facciano
fatica ad allontanarsi dal modello assimilazionista della cittadinanza (a cui è
in definitiva riconducibile anche l‟idea del patriottismo costituzionale)”58.
Paradossalmente i fenomeni della globalizzazione e dei flussi migratori, che
richiedono politiche inclusive e una specifica apertura interculturale, ci
rimandano ad una sorta di possibili conflittualità locali connotati da tratti
fortemente difensivi che corrono il rischio di trasformarsi in comportamenti
xenofobi.
A tal proposito alcuni autori fanno riferimento al dilagare di un “nuovo
razzismo istituzionale” espresso dalle politiche e dalle leggi di esclusione, di
espulsione e discriminazione59, che deve essere arginato attraverso
l‟intervento educativo e politico.
L‟epoca contemporanea è caratterizzata dalla rapidità dei cambiamenti. I
numerosi flussi migratori che si registrano soprattutto negli ultimi decenni
ricadono tra questi. Lo spostamento di un gran numero di persone avviene
58
P.P. Portinaro, La democrazia nell’età dell’antipolitica, in C. Altini (a cura di), op. cit.,
pp. 300–301.
59
L. Ferrajoli, Principia iuris.Teoria del diritto e della democrazia, vol. II, Laterza, Roma–
Bari 2007, pp. 353–354.
29
per motivi economici, per ragioni geopolitiche ma, anche, per la limitazione
dei diritti umani nei paesi di provenienza60.
Gli studiosi hanno evidenziato l‟aumento del divario economico tra paesi
ricchi e paesi poveri che si è tradotto in un aumento delle migrazioni con
conseguenti squilibri demografici61. Ciò ha rafforzato il modello dello Stato
culturalmente omogeneo mettendo ogni paese di fronte al problema di una
maggiore apertura verso il pluralismo e la diversità. Ciò ha animato,
all‟interno delle scienze sociali il dibattito che vede contrapposti i
sostenitori della tesi continuista a quelli della tesi discontinuista.
La prima posizione non vede nella globalizzazione un fenomeno altamente
innovatore bensì lo sviluppo di antichi fenomeni che, sostanzialmente,
rappresenterebbero semplicemente dei nuovi aspetti del processo di
civilizzazione. La globalizzazione, osserva Amartya Sen “non è un fatto
nuovo e non può essere ridotta a occidentalizzazione. Per migliaia di anni, la
globalizzazione ha contribuito al progresso del mondo attraverso i viaggi, il
commercio, le migrazioni, la diffusione delle culture, la disseminazione del
sapere (inclusi quello scientifico e tecnologico) e della conoscenza
reciproca. Il movimento delle influenze ha preso direzioni di volta in volta
diverse. Come esempio, verso la fine del secondo millennio, il flusso è stato
in misura più vasta dall‟Occidente verso l‟Oriente, ma al suo inizio (verso
l‟anno Mille), l‟Europa stava assimilando la scienza e la tecnologia cinesi e
la matematica indiana e araba. Queste interazioni sono un‟eredità mondiale,
e la tendenza contemporanea è coerente con questo sviluppo storico”62. Tale
prospettiva postula il continuum temporale pur nel mutamento del tempo.
La posizione discontinuista, al contrario, sostiene che la globalizzazione
rappresenta una radicale sostanziale rottura con il passato determinata
60
Tra le ragioni geopolitiche rientrano le guerre, i disastri naturali, ecc. mentre la
soppressione dei diritti umani comprende, per lo più, le repressioni religiose e la libertà
politica. Osserva Norberto Bobbio che nella storia vi sono “tante libertà quanti ostacoli di
volta in volta rimossi. La storia della libertà procede di pari passo con la storia delle
privazioni della libertà: se non ci fosse la seconda non ci sarebbe neppure la prima”. N.
Bobbio, “Libertà” in Istituto dell‟Enciclopedia Italiana, Enciclopedia del Novecento,
Treccani, Roma 1975, Vol. III, p. 1000. Per approfondimenti Cfr. V. Cotesta, Sociologia
dello straniero, vol. I, Carocci, Roma 2012
61
Cfr. C. Mantovan, Immigrazione e cittadinanza. Auto–organizzazione e partecipazione
dei migranti in Italia, Franco Angeli, Milano 2007.
62
A. Sen, Globalizzazione e libertà, Mondadori, Milano 2002, p. 4. Cfr. anche Id., L’idea
di giustizia, Mondadori, Milano 2010
30
soprattutto dall‟invecchiamento di molte delle categorie classiche della
modernità filosofica e politica divenute “eccellenti cadaveri concettuali:
mere sopravvivenze e resistenze inerziali di un paradigma irrevocabilmente
passato»63. La globalizzazione, dunque, non è più intesa quale processo
evolutivo ma, al contrario, è considerata come l‟avvento di un‟epoca
strutturalmente diversa da quella che la precede. Si evidenzia la rottura con
l‟epoca precedente sottolineata dal rinnovo delle categorie di pensiero.
In un simile contesto caratterizzato dal fenomeno migratorio globale
l‟educazione alla politica deve ri-definire i concetti fondamentali della
politica per non incorrere, come osserva Zygmunt Bauman, nel rischio di
“spoliticizzare” la società che muove i “cittadini globali” verso spiagge
sempre più solitarie64.
Alcuni autori invitano a non schierarsi con l‟una o con l‟altra tesi sulla
globalizzazione; infatti, “è difficile prevedere in che misura gli argomenti
presentati dall‟una e dall‟altra parte siano in grado di dar luogo a due veri e
propri paradigmi teorici concorrenti. Allo stato attuale, essi sembrano
soltanto dar voce a due mezze verità”65. Le tesi interpretative più recenti
partono da un‟ottica transnazionale66 che sottolinea la necessità di
considerare le migrazioni come fenomeno strutturale che, seppur presente
da sempre nella storia dell‟umanità, richiede un modo sostanzialmente
nuovo di affrontare l‟argomento e, più specificamente, affrontare il
fenomeno migratorio muovendo dalla constatazione che lo scenario globale
attuale offre molteplici possibilità di relazioni sociali e di numerosi approcci
che suggeriscono una nuova visione dei migranti il cui agire ha delle
ricadute positive sia sulle società di accoglienza che su quelle di origine67.
63
G. Marramao, Passaggio a Occidente, Bollati Boringhieri, Torino 2003, p. 14.
Z. Bauman, La solitudine del cittadino globale, Feltrinelli, Milano 2000. Per
approfondimenti: Z. Bauman, Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone, cit.
65
G. Marramao, Passaggio a Occidente, cit., p. 14.
66
Il concetto di transnazionalismo è stato formulato per la prima volta come alternativa
all‟approccio che negli ultimi decenni del Novecento dominava gli studi migratori;
approccio che contemplava due sole possibili concettualizzazioni del migrante: il soggetto
completamente assimilato alla cultura del Paese ricevente oppure il soggiornante
temporaneo che sarebbe poi tornato al Paese d‟origine.
67
Le antropologhe Glick Schiller, Basch e Szanton Blanc furono le prime a teorizzare il
concetto di transazionalismo. Le studiose collocando le migrazioni all‟interno dei sistemi
economici globalizzati, hanno focalizzato l‟attenzione sui “processi nei quali gli immigrati
forgiano e sostengono relazioni sociali stratificate che collegano la società di origine con
quelle di insediamento”. L. Basch, N. Glick Schiller, C. Blanc–Szanton, Nation Unbound.
Transnational Projects, Postcolonial Predicaments and Deterritorialized Nation–States,
64
31
In virtù delle nuove forme di mobilità umana e grazie anche alla diffusione
di nuove tecnologie che hanno facilitato e accorciato le comunicazioni a
distanza, un sempre più ampio numero di persone può relazionarsi e
mantenere regolari contatti con persone situate anche oltre i confini della
nazione ma, anche della città di appartenenza. Tutto ciò invita i sostenitori
dell‟approccio transnazionale a focalizzare la propria attenzione sul
“processo mediante il quale i migranti costruiscono campi sociali che legano
insieme il Paese d‟origine e quello d‟insediamento”68.
Negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso l‟esperienza migratoria
veniva considerata in maniera unidirezionale, oggi essa è concettualizzata
come flusso bidirezionale/pluridirezionale di persone, beni, capitali, idee
capaci di mettere in relazione incessantemente spazi fisici, sociali,
economici e politici diversi tra loro; “‟immigrazione non è un viaggio di
sola andata, ma genera una rete di relazioni, di scambi, di influssi che
attraversano le frontiere, retroagiscono sui luoghi di provenienza,
contribuiscono a definire l‟identità, i progetti e le prospettive dei migranti,
dei loro congiunti, e in qualche misura degli ambienti sociali più ampi cui
essi fanno riferimento”69.
Gli studi sui flussi migratori, in tale ottica transnazionale, dal riferimento
esclusivo alla presenza dei migranti nella società di accoglienza pongono
maggiormente la loro attenzione alla capacità che i migranti sembrano
mostrare nel dare vita ad istituzioni, pratiche sociali, attività economiche ed
identità culturali che, contemporaneamente, interessano due o più nazioni.
Routledge, London 1994, p. 7;. Per approfondimenti N. Glick Schiller, L. Basch, C.
Blanc–Szanton, “Towards a Transnationalization of Migration: Race, Class, Ethnicity and
ationalism Reconsidered”, in The Annals of the New York Academy of Sciences, vol. 645,
1992. Gli studiosi delle varie discipline che si sono occupati di questo concetto hanno
proposto varie definizioni di transnazionalismo, e cosi: nella versione socio–economica
proposta da Portes e collaboratori, si può parlare di transnazionalismo solo in riferimento ad
occupazioni e attività che richiedono relazioni protratte nel tempo attraverso i confini
nazionali; cfr. A. Portes, L. Guarnizo, P. Landolt, “The Study of Transnationalism: Pitfalls
and Promise o fan Emergent Research Field”, in Etnic and Racial Studies, n. 2, 1999, pp.
217– 237.
68
N. Glick Schiller, L. Basch, C. Blanc–Szanton, Towards a Transnationalization of
Migration: Race, Class, Ethnicity and ationalism Reconsidered, cit., p. 1.
69
M. Ambrosini, Un’altra globalizzazione. La sfida delle migrazioni transnazionali, Il
Mulino, Bologna 2008, p. 95. Si veda. anche, in una prospettiva che focalizza le difficoltà
dei migranti, A. Sayad, La doppia assenza, Dalle illusioni dell’emigrato alle sofferenze
dell’immigrato, Raffaello Cortina, Milano 2002.
32
In una tale visione le due categorie di emigrante e immigrato convergono,
sempre più, in quella del migrante inteso come agente transnazionale di
sviluppo in grado di determinare conseguenze di rilievo in diverse zone del
globo. Spesso la capacità delle migrazioni internazionali degli scambi
commerciali di generare crescita e sviluppo, non è tenuta in debito conto in
quanto le rimesse di queste ultime rappresentano per molti paesi di
accoglienza una entità monetaria di gran lunga superiore a quella erogata dai
paesi ricchi sotto forma di aiuti pubblici allo sviluppo.
Un esempio di quanto appena affermato è rappresentato dal Bangladesh,
paese nel quale i risparmi inviati a casa dagli emigrati sono arrivati a
costituire una massa monetaria ventisette volte superiore agli aiuti offerti
dalle istituzioni internazionali70.
La prospettiva transnazionale sottolinea l‟urgenza di considerare in modo
nuovo le idee di cittadinanza e di partecipazione alla luce della
compressione spazio–temporale nonchè in base ai significati del tutto nuovi
assunti dalle categorie del vicino e lontano in seguito alla rivoluzione
intervenuta con la globalizzazione. Se fino ad ora i rapporti si svolgevano
esclusivamente con le persone del luogo di appartenenza, dopo la
rivoluzione delle tecnologie della comunicazione a giocare un ruolo
fondamentale nel processo di costituzione dell‟identità soggettiva e
comunitaria non sono più le “coordinate fisiche” del soggetto bensì la
capacità di “connessione”.
In effetti tanto l‟uomo delle caverne quanto il civis hanno sempre forgiato la
propria identità sociale rispetto al gruppo in cui vivevano: la comunità
parentale, la famiglia, la città, la nazione. L‟identità, per l‟uomo pre–
globale, è data dal rapporto con i vicini, con le persone dello stesso luogo,
vale a dire dalla compartecipazione ad un comune percorso di vita, dal
gioire o dal soffrire per gli stessi eventi: in una parola, da un‟esperienza
comune, per la quale ci si riconosce nel simile e si produce interattivamente
la condivisione dei valori e dei disvalori posti alla base della vita propria e
dell‟intero gruppo di appartenenza.
Per la persona globale, invece, il rapporto con il vicino ha una capacità
formativa della propria identità e dei propri valori non maggiore di quella
posseduta dal rapporto con le persone lontane. Il gruppo nel quale essa vive
70
Cfr. G. Ferrieri, Globalizzazione, migrazioni e sviluppo, in Affari Sociali Internazional, n.
2, 2003.
33
– ammesso pure, per mera ipotesi, che rimanga lo stesso per tutta la vita –
produce per lui esperienza né più né meno del lontano mondo con il quale
interloquisce quotidianamente per via elettronica scambiando dati e
informazioni di vitale importanza per la sua esistenza personale, per la sua
vita collettiva o per la sua professione. L‟identità, per la persona, è il frutto
di un processo molto più complicato e sfaccettato di quello della persona
pre–globalizzata, così come sono più complessi e variegati i valori ai quali
essa ancora la propria esistenza personale e sociale.
E, in ogni caso, il rapporto con il vicino – sia esso il parente, il consimile o
il cittadino – non è più quello determinante ai fini della formazione del sé e
della sua identità sia personale che collettiva71.
Soprattutto nel settore della comunicazione e dei trasporti, le innovazioni
tecnologiche hanno determinato e attuato profonde modifiche
nell‟immaginario collettivo, favorendo la nascita e l‟affermazione di
relazioni sociali “in rete” estremamente complesse. Le relazioni sociali si
intessono anche in assenza di corrispondenza tra territorio, popolazione e
cittadinanza. Per tali motivi i legami transnazionali intrattenuti dai migranti
sono stati intesi – erroneamente - come una forma di rifiuto verso il paese di
accoglienza, come se questi ultimi non volessero familiarizzare con la
società di accoglienza.
Se si tiene ferma tale considerazione, l‟educazione potrà allora contribuire
allo sviluppo di quei migranti che, dopo aver affrontato percorsi lunghi e
travagliati segnati da dolorosi distacchi, cercano di creare per sé e per i loro
familiari, nuove condizioni di vita, finalmente migliori e certamente idonee
ad una maggiore crescita del soggetto-persona.
Occorre riconsiderare la figura dei migranti. Essi devono essere considerati
attori dei processi di globalizzazione e non – in maniera molto semplicistica
- come vittime del fenomeno della globalizzazione. Partire da questa
considerazione è il progresso di maggior rilievo che l‟assunzione in chiave
pedagogica dell‟ottica transnazionale consente di compiere. Se si ritiene
importante un progetto di educazione alla politica che mostri attenzione alla
capacità progettuale del soggetto di perseguire e realizzare un‟immagine di
Sé calata nel tempo e nello spazio che gli permetta di vivere bene, anche
grazie ad istituzioni imparziali, è necessario dare un giusto valore, anche in
ambito politico, a quanto i migranti esprimono con la loro stessa presenza.
71
A. Baldassarre, Globalizzazione contro democrazia, Laterza, Roma–Bari 2002, pp. 4–5.
34
L‟”esserci” del migrante si traduce nell‟impegno per l‟affermazione del
valore irriducibile della persona; nel senso di appartenenza ad una più ampia
umanità; nell‟interrogazione sulle disastrose politiche di sviluppo fin qui
perseguite; nel richiamo alle responsabilità che il rispetto di sé e degli altri
impone ad ogni essere umano.
Cogliere il fenomeno migratorio in tutti i suoi aspetti, avere un‟immagine
complessiva e non parziale del fenomeno migratorio, è il primo e necessario
passo che l‟educazione alla politica deve muovere per favorire l‟incontro tra
le molteplici forme di alterità che lo scenario globale pone a stretto contatto.
Non si parla qui di semplice “stare insieme” 72 in quanto il reale sviluppo
della sfera intersoggettiva avviene solo quando la comunicazione si
qualifica come rapporto intenzionalmente volto alla reciproca
comprensione, quando avviene lo scambio con l‟altro.
La comunicazione implica l‟attivazione di dinamiche interiori in cui la
massima intensità è raggiunta nella comunione, ovvero nel riconoscimento
dell‟intima realtà costitutiva dell‟uomo e dell‟appartenenza alla “comune
umanità”73.
Tra le caratteristiche ontologiche dell‟essere umano, una è la sua intrinseca
democraticità. Ne consegue che l‟educazione alla politica deve rendere
capaci di comunicare con l‟alterità, non per ridurre l‟Altro a quel che è, ma
per “volerlo in quello che può diventare più tardi, fino al punto di non
considerarlo mai definito nelle sue possibilità”74: l‟essere in potenza
aristotelico.
Ci si può muovere verso questa direzione attraverso l‟attuazione di due
aspetti fondamentali: l‟educare all‟incontro ed il mantenere i contesti
comunicazionali aperti.
In effetti, nel mondo della contemporaneità non si può pensare la
democrazia senza legarla ai temi della globalizzazione e della intercultura.
La democrazia globale esiste solo se si sviluppano le problematiche
dell‟educazione interculturale. Uno dei temi meno trattati dell‟educazione
interculturale è l‟analisi del veicolo linguistico determinante, o quantomeno
più significativo nella comunicazione globale, e cioè la lingua Inglese.
Questo problema, che sembra marginale, in effetti diventa un nodo centrale
72
Cfr. B. Rossi, Intersoggettività e educazione. Dalla comunicazione interpersonale alla
relazione educativa, cit., p. 39.
73
Ibidem.
74
Ivi, p. 30.
35
per fondare in modo adeguato il nesso tra democrazia, globalizzazione e
dimensione interculturale. Il valore interculturale nella democrazia globale è
un processo che bisogna analizzare in modo complessivo. Un aspetto
interessante per comprendere questo processo è proprio il valore
dell‟insegnamento della lingua e della cultura inglese.
36
CAPITOLO SECONDO
La Lingua Inglese come processo interculturale
2.1. La scuola per l’educazione dell’inglese in prospettiva interculturale
Come ho cercato di dimostrare nelle pagine precedenti l‟elemento
caratterizzante gli stili di vita, gli aspetti socioculturali, politici ed
economici dell‟attuale società globale è la presenza, sempre crescente, di
numerose manifestazioni multiculturali e interculturali.
In questo senso la società italiana rientra tra le mete delle migrazioni,
trasformando il suo volto intorno agli anni Settanta del secolo scorso quando
nel 1973 - per la prima volta - le statistiche fanno registrare un numero
maggiore di rimpatri rispetto a quello degli espatri. L'Italia ha, dunque,
avviato il processo di trasformazione che, da paese di emigrazione, lo
renderà paese di immigrazione75.
La nazione italiana attrae i migranti in quanto ha una posizione strategica
nel passaggio verso altre nazioni; essa, infatti, si trova in un crocevia tra
Oriente ed Occidente nonché tra l‟Africa e i Paesi del Nord. La
decolonizzazione che ha coinvolto quasi tutto il continente africano, l'Asia e
l'Estremo Oriente, è stato l‟evento storico che ha segnato l‟avvio dei flussi
migratori internazionali.
L‟Europa e le Americhe sono rimaste escluse da questo processo in quanto
la prima era un continente colonialista mentre le Americhe avevano già nel
corso dell‟Ottocento avviato i processi di indipendenza.
75
Osserva Ongini che “gli operai del Marocco e del Senegal nelle fabbriche dell'Emilia e
del Veneto, le domestiche somale e filippine, i ristoranti cinesi e africani, i lavavetri ai
semafori e i braccianti nei campi di pomodoro del sud, la Moschea e la musica araba sono
immagini concrete, riferimenti reali della vita quotidiana, pezzetti di mondo noti a tutti,
anche ai bambini”. V. Ongini, Lo scaffale multiculturale, Mondadori, Milano 2001, p. 9.
Per approfondimenti si veda anche V. D'Alessandro, M. Sciarra, a cura di, Multietnicità,
pregiudizi, intercultura. Nuove problematiche per le istituzioni formative, Franco Angeli,
Milano 2005, A, Portera, Educazione interculturale nel contesto internazionale, Guerini
Scientifica, Milano 2007
37
Il secondo conflitto mondiale da una parte aveva indebolito le due maggiori
potenze coloniali, Francia e Inghilterra; mentre gli Stati europei, che
avevano portato il loro dominio coloniale sui territori dell‟Africa e
dell‟Asia, non riuscirono a mantenere il potere sui territori conquistati.
La politica del colonialismo ha generato oppressione, ha alimentato lo
sfruttamento e indotto sofferenza economica nei territori colonizzati, ha
imposto la propria cultura fino quasi a cancellare e svilire quella dei territori
occupati, non ha consentito ai popoli colonizzati di partecipare alla vita
politica privandoli della possibilità di scegliere e, pertanto, della
corresponsabilità.
Il processo storico che ha determinato la fine degli imperi coloniali è stato il
processo di decolonizzazione che ha contribuito all'affermazione degli ideali
di libertà o, anche, ha gettato il seme della speranza nei popoli sottomessi
generando il desiderio di indipendenza dei popoli afro-asiatici dai popoli
“conquistatori”76.
Attualmente la società italiana da un lato vede protagonisti gli immigrati
come, ad esempio, la densità abitativa delle nostre città aumentata grazie
alla loro presenza (l‟Italia, infatti, si sta trasformando in un paese “vecchio”
per la scarsità di nascite) mentre, dall‟altro, si registrano situazioni di
enorme disagio dovute all‟immigrazione clandestina che genera lavoro nero,
situazioni di affollamento nelle abitazioni date in fitto agli immigrati,
episodi di criminalità che, spesso, vengono evidenziati abbondantemente dai
mass-media.
In tale complesso scenario sociale, emerge una situazione economica e
politica che registra un allargamento della “forbice tra ricchi e poveri dentro
e fuori le nazioni così come tra chi detiene il potere, l'informazione, le
risorse, l'accesso alle tecnologie e chi no; più in generale tra chi usufruisce
dei benefici della modernità e chi ne paga i costi, tra chi è developed e chi è
in developing, in un mondo che fissa in un unico modello di sviluppo lo
spartiacque tra dominanti e gregari nella scena mondiale"77. In un tale
scenario di “paura dell‟alterità”, diviene difficile attuare politiche di
76
Il principio di autodeterminazione dei popoli fu il fulcro intorno al quale l‟ONU
(Organizzazione delle Nazioni Unite), negli anni successivi, fondò la propria attività
sebbene, ancora oggi, il rispetto dei princìpi di uguaglianza dei diritti umani non è ben
diffuso e radicato in tutti i Paesi del mondo.
77
M. Tarozzi, Cittadinanza interculturale. Esperienza educativa come agire politico, La
Nuova Italia, Firenze 2005, p. 18.
38
convivenza civile, politiche di intercultura che superino i sentimenti di
diffidenza, le manifestazioni di intolleranza e di rifiuto dell‟Altro.
L'inclusione degli immigrati, o delle minoranze etniche, nei diritti politici,
sociali e culturali, solleva la questione del definire o no una nuova identità
dello Stato-nazione. Ci si chiede, cioè, se l'identità collettiva dello Statonazione non deve mutare, conservando sempre il suo carattere e rimanendo,
così, sempre identica a se stessa oppure, di contro, se deve trasformarsi,
arricchendosi di nuovi elementi culturali - modelli di pensiero, forme di vita,
tradizioni, religione e valori - che i diversi gruppi etnici portano con sé.
Nell'epoca della globalizzazione, caratterizzata da mutamenti repentini e
continui, la persona/cittadino deve confrontarsi con il fenomeno della
multiculturalità78 presente nel nostro Paese e, conseguentemente, con tutta la
complessità intrinsecamente legata alla presenza di elementi differenti.
Occorre, dunque, una visione in cui l‟obiettivo principale sia il convivere e
non l‟assimilarsi o l‟essere acculturati in quanto diventa necessario
"affermare una prospettiva interculturale che deve maturare nell'ambito di
una razionalità diversamente costituita"79. Il principio della multicultura
suppone la convivenza di più culture, una convivenza da ritenersi fonte di
reciproco arricchimento culturale attraverso l‟interazione di modelli diversi.
Esso deve radicarsi nella cultura di appartenenza la quale deve per prima
promuovere il dialogo con l‟Altro; tale dialogo difficilmente viene attivato
per primo dallo “straniero” in quanto egli, giunto nel Paese ospitante, deve
impegnarsi nella conoscenza – e nel rispetto - della cultura, delle regole e
dei nuovi modi di vita che la società ospitante pone.
Ogni processo migratorio porta immancabilmente con sé la rielaborazione e
la definizione di nuove forme di convivenza democratica tra culture e
popolazioni diverse, richiede l‟impegno e la ricerca di un nuovo equilibrio
socioculturale e, necessariamente, anche politico. Determina, inoltre, una
ipotesi di convivenza interculturale, ovvero la presenza di modelli socioeducativi capaci di avvalorare e dare concreta attuazione ad una “cultura
dell'accoglienza e dell'integrazione”, superando tutte le logiche che portano
verso scelte politiche assistenzialistiche e promuovendo azioni volte ad
arginare ogni possibile manifestazione di razzismo.
78
Con multiculturalità si intende la coesistenza di più culture nello stesso contesto
geografico.
79
V. Burza, Formazione e società globale. Riflessioni pedagogiche, Anicia, Roma 2008, p.
98.
39
La scuola, poiché è istituzionalmente chiamata ad educare alla convivenza
democratica promuovendo la comprensione e la cooperazione con popoli e
culture diverse, non può esimersi dall‟affrontare tale problematiche di
inclusione favorendo strategie adatte a promuovere la consapevolezza critica
e la formazione di coscienze aperte all‟alterità. Nella contemporaneità è
richiesto alla scuola di dotare le nuove generazioni non solo nel rispetto e
nell'accettazione di altri popoli e di altre culture, ma anche degli strumenti
adeguati per combattere, sul piano intellettuale, culturale, etico, religioso e
psicologico, quegli stereotipi che esasperano i conflitti.80
È proprio in questa prospettiva che la scuola deve focalizzare meglio la
questione dell‟insegnamento dell‟inglese che costituisce un aspetto
fondamentale per aiutare il processo interculturale nella scuola
dell‟autonomia nella dimensione globale che stiamo vivendo. Partendo dal
concetto di “competenza comunicativa” della lingua, quindi, cercherò di
dimostrare l‟importanza dell‟insegnamento della lingua e della cultura
inglese per favorire i processi interculturali democratici della scuola
contemporanea.
2.2 Apprendimento della lingua e competenza comunicativa
Imparare una lingua è ben più che acquisirne le regole grammaticali o il
vocabolario. Per tali motivi l'etnografo Dell Hymes ha sostituito al concetto
di competenza linguistica, elaborato da Noam Chomsky81 quello più ampio
80
Cfr. G. Decollanz, Educazione interculturale e processi di integrazione sociale, in
L'educazione interculturale e l'inserimento degli alunni albanesi
nella
scuola
dell'obbligo, Quaderno dell'IRRSAE Puglia n.18, Ecumenica Editrice, Bari 1992. Cfr.
anche:A. Tosolini, S. Giusti, G. Papponi Morelli, A scuola di intercultura. Cittadinanza,
partecipazione, interazione: le risorse della società multiculturale, Centro Studi Erikson,
Trento 2007; A. Tosolini, Oltre la Riforma Gelmini, Per una scuola dell’intercultura, EMI,
Bologna 2008; S. Chistolini, La scuola raccontata dai maestri. Dall’intercultura alla
cittadinanza, Kappa, Roma 2010;.
81
N. Chomsky ritiene che lo sviluppo o l'apprendimento di una lingua sia possibile grazie
ad una predisposizione genetica per il linguaggio: il bambino sarebbe dotato sin dalla
nascita di un dispositivo di acquisizione del linguaggio, detto LAD (Language Acquisition
Device) che permetterebbe ai bambini appartenenti alle diverse culture e comunità
linguistiche di estrarre dal campione pressoché infinito di frasi cui sono esposti nella loro
lingua, la serie di regole universali che ne governano la struttura di composizione.
Chomsky deriva la sua teoria dall'osservazione, in base alla quale i bambini imparano a
formare frasi che non hanno mai ascoltato, e per le quali dunque non può valere il principio,
40
di competenza comunicativa intesa come la capacità di comprendere e
comunicare efficacemente in una data lingua, sapendo adattare le specifiche
forme linguistiche ai loro contesti d'uso82.
Il concetto di competenza comunicativa comprende in sé non solo le
conoscenze delle regole di composizione, cioè la competenza linguistica
vera e propria83, ma anche la conoscenza delle regole di applicazione della
lingua e, quindi, la capacità di produrre frasi appropriate al contesto
situazionale in cui si colloca ciò che viene detto. L'apprendimento della
competenza comunicativa relativa ad una lingua significa includere, nel
bagaglio di conoscenze necessarie a chi apprende, anche le informazioni
socio-culturali come le credenze, i desideri, le preferenze, le aspettative che
vi sono associate.
L‟insegnamento della lingua straniera, inteso come obiettivo di
apprendimento, permette ed esige, pertanto, di considerare la lingua in
situazione, di acquisire la consapevolezza che essa funziona, è viva, solo se
inserita in una comunicazione autentica di cui siano noti gli interlocutori con
il loro ruolo, le loro specificità e, soprattutto, le finalità per cui avviene
un'interazione comunicativa.
È possibile riconoscere, così, che la competenza linguistica del parlante
nativo rientra nella sua competenza comunicativa, mentre non è
completamente vero il contrario. Quanto appena detto induce a riflettere
sull'apprendimento della lingua nel contesto scolastico in quanto una
dettagliata focalizzazione sulla competenza linguistica rischia di lasciar
fuori una larga parte di competenza comunicativa.
formulato dalle teorie comportamentiste, per cui il linguaggio deriverebbe dai meccanismi
dell'imitazione di un modello e dalla ripetizione. La competenza linguistica fa quindi
riferimento ai requisiti cognitivi dell'apprendimento linguistico e alla capacità, considerata
innata, di estrarre ed apprendere la sintassi di una lingua, utilizzandola per comunicare le
proprie intenzioni in maniera comprensibile e formalmente corretta. Cfr. A. Mollica,
Ludolinguistica e glottodidattica, Guerra, Perugia 2010
82
Cfr. R. Scalzo, “L'approccio comunicativo. Oltre la competenza comunicativa”, in C.
Serra Borneto (a cura di), C'era una volta il metodo. Tendenze attuali nella didattica delle
lingue straniere, Carocci, Roma 1998. Cfr. anche C. Argondizzo, Language Language
through Language Use. An Overview of Case Studies, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2004
83
Cfr. E. Zuanelli Sonino, La competenza comunicativa. Precondizioni, conoscenze e
regole per la comunicazione, Bollati Boringhieri, Torino 1981, p.40. Cfr., I. Grazzani
Gavazzi, E. Calvino (a cura di), Competenze comunicative e linguistiche. Aspetti teorici e
concezioni evolutive, Franco Angeli, Milano 2004, L. Cicero, Modelli teorici sulla
comunicazione e competenze comunicative, Edizioni Univ. Romane, Roma 2004. LEND (a
cura di), Imparare a insegnare. La formazione di insegnanti di lingue. Numero
monografico di “Lingua e Nuova didattica” n. 5, 2007,
41
Al contrario, una maggiore attenzione sul progressivo sviluppo della
competenza e delle abilità comunicative riesce a coinvolgere
inevitabilmente una gran parte di competenza linguistica.
In termini didattici il punto cruciale di un insegnamento comunicativo è
quello di riuscire ad integrare in maniera efficace entrambi gli aspetti (quelli
della competenza linguistica e quelli della competenza comunicativa)
tenendo conto del fatto che la classe è il luogo meno adatto a stimolare una
comunicazione veramente genuina e reale. Insegnare la lingua straniera
attraverso l'approccio comunicativo significa far riflettere il discente non
solo sugli scopi della comunicazione ma, anche, sul contesto in cui essa
avviene, sul tipo di relazione che esiste tra gli interlocutori, sull'uso di
registri diversi, sugli elementi extralinguistici, sul tono della conversazione,
sul controllo indotto dal messaggio.
Si pone, allora, la questione del metodo in quanto se la lingua viene intesa
come puro oggetto di studio, essa verrà insegnata e considerata staccata da
quello che può essere il suo rapporto con la realtà sociale in cui viene
parlata; se, d'altro canto, viene intesa come strumento, risulterà comunque
carente la preparazione dell'alunno al suo uso effettivo come mezzo di
comunicazione; infine, se essa viene intesa come processo, la lingua e il suo
apprendimento saranno due concetti completamente interdipendenti ed in
continuo sviluppo poiché, solo in questo caso, l'aspetto creativo del
linguaggio e quello dinamico diventeranno entrambi rilevanti e il rapporto
tra la lingua e la realtà sociale che la parla verrà preso in considerazione.
In tal senso, l'insegnamento della lingua straniera può costituire una preziosa
occasione per rendere l'apprendimento linguistico un apprendimento anche
culturale; imparare una lingua non significa, infatti, imparare solo regole e
costruzioni, ma acquisire uno strumento di comunicazione che va
contestualizzato nella cultura che lo utilizza abitualmente.
Ogni parola di una lingua ha una sua storia, una sua particolare accezione,
un suo valore che non è sempre facilmente 'traducibile' in un'altra lingua ma
che, con adeguato materiale didattico, introduce gli alunni alla conoscenza
delle caratteristiche di quel popolo di cui la lingua è espressione.
42
2.3. Il ruolo della lingua inglese nel curricolo di lingua straniera
L'apprendimento di una lingua straniera è finalizzato al potenziamento
cognitivo, espressivo, culturale e comunicativo del singolo alunno. Esso
assume una valenza
sia educativa che formativa nel processo di
insegnamento/apprendimento; pertanto, i relativi percorsi didattici devono
condurre gli studenti a partecipare in modo significativo ad interazioni di
tipo sociali, ad esprimere sentimenti, opinioni, idee e ad avere accesso a
fonti di informazione per ampliare le proprie conoscenze84, oltre a
sviluppare capacità cognitive e metacognitive.
Per tali motivi è stato proposto di rinnovare i curricoli scolastici,
comprendendo sin dall'inizio lo studio di più lingue straniere e delle
rispettive culture di appartenenza85. Tuttavia, pur riaffermando l'uguale
valenza formativa di ogni lingua, non si può ignorare, nell‟attuale contesto
storico, il ruolo cruciale che la lingua inglese ha assunto per la comunità
internazionale come veicolo essenziale per l'accesso a fonti di informazione,
per la conoscenza e l'apprendimento di altre discipline e, quindi, per l'intero
processo di sviluppo cognitivo degli allievi.
In virtù della sua diffusione capillare in tutte le attività umane (e della sua
funzione di accesso ai saperi), l'inglese rappresenta ormai il patrimonio di
tutti coloro che ne fanno uso e lo adattano ai propri contesti e alle proprie
esigenze. La comunità degli anglofoni è storicamente diversificata e
distribuita su tutti i cinque continenti (America del Nord, Australia, Nuova
Zelanda, lingua ufficiale di tanti Paesi dell'Africa come ad esempio la
Nigeria, dell'Asia come ad esempio Singapore).
In tutte le zone del mondo anglofono vi è, tuttavia, una notevole diversità di
pronuncia e di termini locali ma, nonostante questi e l'accento differente, ci
si comprende ovunque in quanto la lingua inglese è il prodotto di una
molteplicità di influssi e di contributi linguistici, etnici e culturali che si va
ogni giorno di più intensificando proprio a causa della dimensione mondiale
che ha assunto specialmente nella contemporaneità con l‟uso dei media
tradizionali e dei nuovi media, e da cui non si può prescindere.
84
Cfr. G. Alessi, P. Taylor (a cura di), I principi fondamentali della didattica di una lingua
, http://puntoeduri.indire.it
85
Cfr. L. Lopriore, Il ruolo dell'inglese e della trasversalità, in "API", n. 3-4/1999, p.95.
43
Sarebbe riduttivo, dunque, considerare la lingua inglese unicamente come
"essenziale" o meramente strumentale. Quando, infatti, si pensa ad una
lingua, generalmente si pensa ad uno strumento utilizzato da un popolo per
rappresentare se stesso, per cui dietro di essa c'è una cultura che fa da
supporto a tale strumento e, ciò, vale per tutte le lingue, compresa quella
inglese. Chi si accinge ad imparare questa lingua, infatti, viene
potenzialmente esposto, secondo Paolo E. Balboni, ad almeno tre processi:
a) quello dell'inculturazione della lingua/cultura straniera nella propria
comunità per cui insegnare la lingua agli alunni contribuisce il
superamento dell'autoreferenzialità culturale;
b) quello dell'acculturazione nel mondo anglofono, la cui conoscenza è
necessaria per poter socializzare nella cultura straniera86;
c) quello relativo, infine, alla comunicazione globale ed orientato verso la
tolleranza interculturale. Afferma Balboni che l‟inglese è considerato la
lingua franca del mondo d'oggi, ma è anche vero che ciascuno ha una sua
forma mentis che resta attiva anche se costui parla un ottimo inglese: un
italiano conserva i suoi valori culturali, relazionali, umani anche se parla
inglese, e lo stesso fa un cinese. L'insegnante d'inglese deve quindi farsi
carico di un compito particolare: aprire ai problemi generali di
comunicazione interculturale87.
Emerge, così, l'esigenza di prevedere nel curricolo di lingua inglese, spazi
dedicati all'educazione alla tolleranza, alla comprensione interculturale,
all'educazione civica in senso lato, al fine di sviluppare una competenza che
non si limiti soltanto agli aspetti linguistici e comunicativi, ma che
comprenda
anche
gli
aspetti
socio-pragmatici88.L'insegnamento
interculturale della lingua inglese offre molti vantaggi in quanto la capacità
di adattamento acquisita dallo studente nel tempo, gli consentirebbe non
solo di adoperare più proficuamente altre lingue franche, come il francese e
lo spagnolo ma, anche, di essere preparato alla mediazione culturale
86
La lingua inglese, ribadisce Balboni, apre almeno due mondi diversi e a tratti
contrastanti: quello angloeuropeo (le isole britanniche e parte della Scandinavia, dove
l'inglese è di fatto seconda lingua) e quello angloamericano, dominante nei massmedia, in
economia , in potenza militare, pertanto, l'insegnante d'inglese che presenti solo la cultura
inglese, Londra e le sue usanze tipiche, tradisce il suo mandato glottodidattico. Cfr.
P.E.Balboni, Parole comuni, culture diverse. Guida alla comunicazione interculturale,
Marsilio, Venezia 1999.
87
Ibidem.
88
Cfr. L. Lopriore, Il ruolo dell'inglese e della trasversalità, in Api 3-4/1999, p. 96.
44
quotidiana e, cioè, al superamento di quelle microconflittualità che nascono
da fraintendimenti culturali, sempre più frequenti nelle nostre società
multietniche.
In merito a quanto appena detto, Evert-Jan Hoogerwerf sostiene che il
processo di globalizzazione ci costringe a mettere l'apprendimento delle
lingue al centro dell'educazione nelle società moderne, in quanto i sistemi
educativi devono essere in grado di rispondere ai requisiti delle società
pluriculturale e multietniche89.
2.4. Riflessioni per la didattica
L'affermarsi di un orientamento che pone il discente al centro del processo
di insegnamento/apprendimento, ha conseguenze che investono ogni aspetto
della pratica didattica, dalla pianificazione dei corsi alla loro messa in opera
e alla loro valutazione.
La nozione della centralità del discente presuppone, infatti, curricula
differenziati per apprendenti diversi ed implica, anche, che si possa ritornare
su ogni decisione; che non vi sia, cioè, nulla di rigidamente prefissato. In
una tale ottica, le tappe curricolari della pianificazione, dell'attivazione e
della valutazione non possono seguire una progressione rigida come nei
modelli tradizionali.
Il curricolo tradizionale, infatti, si presenta come un processo sequenziale,
articolato in una serie logica ed integrata di fasi e passaggi che possono
essere così elencati: analisi della situazione; finalità ed obiettivi; contenuti;
condizioni metodologiche-didattiche; condizioni fisiche; verifica e
valutazione.
Poiché un curricolo centrato sul discente e sui processi meta cognitivi
diventa, secondo quanto afferma David Nunan, “uno sforzo collaborativo tra
insegnante ed allievi, poiché questi ultimi sono strettamente coinvolti nel
processo decisionale, relativamente al contenuto del curriculum ed al come
verrà insegnato”90.
Sylvia Adrian Notini e Fabiola Isidori, invece, sostengono che l'insegnante
non dovrà avere un approccio child-centred, bensì dovrà scegliere un
89
Cfr. E.J. Hoogerwerf, Plurilinguismo e interculturalità nella pratica scolastica,
www.socrates-me-too.org/interc.4.htm).
90
D. Nunan, Second Language Teaching and Learning, Heinle and Heinle Publishers,
Boston 1998, p. 29.
45
approccio learning-centred in quanto la prerogativa essenziale di
un'impostazione didattica orientata alla comunicazione è quella di esporre
gli allievi a materiale linguistico conversazionale autentico, cioè realmente
utilizzato da parlanti nativi, e non costruito ad hoc, come nei testi di
grammatica a lungo utilizzati nelle classi di lingua.
Usare la lingua per attività concrete, infatti, rende immediatamente visibile
agli studenti l'utilità dello strumento; allestire situazioni in cui il ricorso alla
lingua non è accessorio, ma sostanziale per capirsi, può stimolarli ad
esplorare le potenzialità della lingua straniera ed utilizzarla a scopo
realmente comunicativo.
Inoltre, Notini e Isidori sottolineano, a tal proposito, che nell'insegnamento
della lingua straniera purtroppo, si fa spesso uso di programmi e di testi che
presentano vocaboli troppo facili e decontestualizzati che non stimolano di
fatto l'apprendimento della seconda lingua.
A volte si propone anche una grammatica così limitata nelle regole e nelle
conoscenze specifiche da non rispecchiare la realtà e le situazioni in cui la
lingua è effettivamente utilizzata e comunicata.
Occorre aggiungere a ciò che gli studenti che imparano una lingua come
l'inglese diventano parte di una comunità globale di utenti quando guardano
la televisione, quando usano il computer, quando ascoltano la musica e,
ancora, essi possono interessarsi, o essere interessati, ad argomenti
complicati e impegnativi come, ad esempio, l'evoluzione della specie, i
popoli antichi, la fame nel mondo e via dicendo, per cui non è sufficiente
che imparino una lingua semplificata e fine a se stessa.
All'insegnante di lingua inglese, pertanto, è richiesto di saper insegnare il
lessico e la grammatica in un contesto realistico e, quindi, in modo efficace
con il risultato che la conoscenza che lo studente ha della seconda lingua lo
renda parte della comunità globale degli utenti di lingua inglese91.
Gli argomenti e, quindi, i relativi vocaboli e la fraseologia, come
sottolineano anche Wendy Scott e Lisbeth Ytreberg, devono essere
contestualizzati e appresi attraverso esperienze concrete che motivino lo
studente ad esprimersi ed utilizzare i mezzi linguistici che sta imparando,
attraverso attività variegate e con un approccio interdisciplinare che lo
91
Cfr. S.Adrian Notini, F. Isidori, Racconti, nonsense...,.cit., pp.10-11.
46
stimoli a vivere la lingua92. Tutto ciò, naturalmente, va realizzato in un
contesto che accolga e comprenda l'esitazione, il timore di partecipare e di
sbagliare e che implichi, attraverso attività ludiche ed interattive, e anche
attraverso un ampio ricorso alla dimensione non verbale della
comunicazione, l'accesso al significato. L'esperienza narrativa condivisa, il
role-play ed altre strategie permettono, infatti, allo studente di immergersi in
un universo simbolico all'interno del quale può ricercare e conquistare
significati, può cioè trovare quadri di riferimento che gli garantiscono una
certezza minima di capire ciò che sta avvenendo.
2.5. Lo storytelling
La narrazione e con essa il racconto, la conversazione, il dialogo, la
discussione è stata ritenuta, senza ombra di dubbio, una modalità da
privilegiare nella didattica per la sua efficacia, in quanto essa è ritenuta tra le
più efficaci nel rapporto insegnamento-apprendimento.
Il narrare esprimerebbe, infatti, forme ed habitus comunicativi connessi con
le esigenze più semplici ed elementari di acquisizione delle conoscenze e,
quindi, più accessibili a molti. La narrazione, sottolinea Bruner93, è il primo
dispositivo interpretativo e conoscitivo di cui l'uomo fa uso nella sua
esperienza di vita. Osserva Franco Cambi che narrare “è dipanare e
intrecciare eventi attorno ad un centro e secondo un senso. Il centro è, in
genere, un personaggio e il senso è un'esistenza. Così il racconto e poi il
romanzo sono la matrice più intima della narrazione, il testo in cui il narrare
si articola al 'grado zero' e iuxta propria principia. Narrazione di sè, dei
propri eventi, del proprio vissuto, del proprio sistema dei saperi, del proprio
processo formativo”94.
La narrazione produce rielaborazione personale, interiore, fondata sul
raccordo io/racconto e sull'immedesimazione virtuale che tale raccordo
92
Cfr. W. A. Scott, L. H. Ytreberg, Teaching English to Children, Longman, London
1990, pp.5-7.
93
Cfr. J. Bruner, La fabbrica delle storie. Diritto, letteratura, vita, Laterza, Roma-Bari
2006.
94
F. Cambi, “Come forma la narrazione. Nove annotazioni e quattro postille”, in F. Cambi,
M. Piscitelli, Complessità e narrazione. Paradigmi di trasversalità nell'insegnamento,
Armando, Roma 2005, p. 36.
47
promuove. Essa permette ad ogni soggetto di entrare negli universi narrativi,
di uscire dal proprio io del momento e di entrare in un orizzonte umano più
ampio, arricchendolo, dilatandolo, universalizzandolo.
La pratica narrativa, dunque, svolge un ruolo significativamente formativo
della mente e del linguaggio (il pensiero narrativo e il linguaggio/discorso
narrativo) del soggetto-coscienza-autocoscienza, potenziandone e
dilatandone la coscienza di sè e del proprio processo formazione. Occorre,
allora, promuovere pratiche narrative per assecondare e favorire lo studente
ad immergersi nelle situazioni. Il discente deve essere valorizzato nel suo
essere interlocutore o narratore più che ricevente passivo; le conoscenze
veicolabili devono essere trattate didatticamente secondo specifici stili
narrativi, tali da accrescere attenzioni, motivazioni ad imparare,
ragionamenti sul proprio apprendere95.
Lo studente apprende nel momento in cui si attiva un processo di riflessione
e di ricostruzione dell'esperienza, che implica secondo il concetto deweyano
di “inquiry” la “trasformazione controllata e diretta di una situazione
indeterminata in una situazione determinata nelle sue distinzioni e relazioni
costitutive a tal punto da convertire gli elementi della situazione originaria
in un tutto originario”96.
La messa in atto di pratiche educative riflessive consente al soggetto di
assumersi la responsabilità del proprio agire, di gestire in proprio i processi
apprenditivi, di prendere coscienza del proprio sistema di saperi, di
interrogarsi sulla propria identità, sul proprio processo formativo, su quali
siano i processi conoscitivi che esso utilizza, da quali presupposti nascono,
quali stati affettivi ed emotivi sono implicati.
Tutto ciò permette allo studente di aprirsi al cambiamento, di rimettere in
discussione quei repertori cognitivi, emotivi, relazionali che impediscono di
sperimentare una diversa rappresentazione del proprio processo formativo.
Lavorare con le storie - e sulle storie - costituisce uno dei modi più utilizzati
per affrontare l'insegnamento della lingua straniera con alunni della scuola
secondaria: la narrazione può essere, infatti, utilizzata per insegnare tutti gli
aspetti della lingua inglese, dai tempi, ai vocaboli, dalle preposizioni alla
fraseologia97.
95
D. Demetrio, “Narrare per dire la verità. L'autobiografia come risorsa pedagogica", in F.
Pulvirenti (a cura di), Pratiche narrative per la formazione, Aracne, Roma 2008, p. 47.
96
J. Dewey, Logica : Teoria dell'indagine, Einaudi, Torino 1973, p. 104.
97
Cfr. S. Adrian Notini, F. Isidori, Racconti, nonsense...,. cit., p.18.
48
Insegnare la lingua attraverso il racconto di storie significa presentare la
lingua straniera in un contesto ricco e significativo, autentico e reale e, nello
stesso tempo, accessibile ad allievi anche con limitate conoscenze
linguistiche. Significa, anche, incoraggiare gli studenti a conoscere il mondo
e a capirlo, stimolarli all'ascolto e quindi ad una prima forma di
apprendimento della lingua, ricavandone insieme piacere e competenza.
Andrew Wright cerca di spiegare il perchè dell'utilizzo di storie
nell'insegnamento linguistico,"stories, which rely so much on words, offer a
major and constant source of language experience for children. Stories are
motivating, rich in language experience, and inexpensive! Surely, stories
should be a central part of the work of all primary teachers whether they are
teaching the mother tongue or a foreign language”98.
In realtà, il ricorso alle storie nell'insegnamento della L2 è giustificato da
svariate motivazioni, prima fra tutte il coinvolgimento emotivo degli allievi.
Il testo narrativo, infatti, possiede una forte valenza affettiva e un grande
potere motivante, come ha affermato Wright, e questo può aiutare a
sviluppare un atteggiamento positivo verso una lingua straniera e stimolare
a continuarne lo studio. Inoltre, ascoltare e raccontare storie è un'esperienza
autentica e reale, non soltanto un'attività scolastica o una situazione
verosimile riprodotta in modo più o meno realistico in classe e, ciò,
permette di collegare in modo naturale e coinvolgente la lingua straniera da
imparare alla vita e all'esperienza degli alunni.
Se, infatti, l'insegnamento di una lingua straniera deve sempre essere
connesso alla vita reale, non si può ignorare che per gli adolescenti di una
scuola secondaria 'realtà' significa anche utilizzare la fantasia,
l'immaginazione, la creatività: identificarsi con i personaggi di una storia,
interpretare il testo, quello che sta intorno al testo, immaginare una diversa
conclusione della storia. sono esperienze reali e naturali che sviluppano, allo
stesso tempo, le creatività linguistiche e creative.
E, ancora, essere esposti a testi completi, coesi e coerenti come le storie, dei
quali si è in grado di riconoscere la struttura99, ricchi di ripetizioni, formule
98
A. Wright, Storytelling with children, Oxford University Press, Oxford 1998, p.6.
Grazie alle ripetute esposizioni alle storie, sottolinea Giuliana Pinto, essi costruiscono
inconsapevolmente le prime conoscenze su aspetti importanti del testo: l'organizzazione
strutturale (lo schema delle storie), la coerenza (cioè la comprensibilità e non
contraddittorietà dei testi espressi), i nessi coesivi (tutti quegli elementi linguistici che
99
49
stereotipate e parole-chiave, consente di esercitare e sviluppare l'abilità di
comprensione linguistica e di imparare ad anticipare e/o prevedere quanto
accade in seguito nella storia.
Gli studenti sono in grado di comprendere una lingua attraverso la
partecipazione a strutture ripetute d'interazione o format, concetto introdotto
da Bruner che definisce una routine interattiva, tipica dei testi narrativi,
nella quale le mosse dei partecipanti sono altamente standardizzate e
risultano perciò prevedibili. Nel format lo studente apprende gradualmente
ad invertire i ruoli di interazione e ad inserire progressivamente elementi
nuovi e originali. In altri termini, partendo da interazioni altamente
prevedibili, lo studente può sviluppare una sufficiente conoscenza delle
regole interattive per cominciare a mettersi in gioco anche in conversazioni
e attività diverse100.
Si può affermare, dunque, che in primo luogo le storie possono costituire un
punto di partenza per un'ampia gamma di attività linguistiche in quanto,
partendo, da un elemento della storia, da una sua caratteristica, si possono
coinvolgere tutte le abilità linguistiche e toccare tutte le funzioni di una
lingua. In secondo luogo, emerge che l'ascolto e il racconto di storie
rappresentano attività naturalmente interattive, socializzanti e coinvolgenti
poiché consentono di aggregare l'intera classe attorno ad un'esperienza
sociale condivisa, di sviluppare un clima sociale favorevole
all'apprendimento e di consolidare le abilità di comunicazione.
Nella prospettiva interculturale, inoltre, le storie permettono, da una parte di
veicolare in modo naturale importanti elementi culturali; dall'altra,
forniscono valori e spunti di riflessione che connotano la valenza educativa
dell'insegnamento linguistico, al di là della valenza strumentale che
caratterizza di solito l'approccio ad una lingua straniera101.
Naturalmente, insegnare la L2 utilizzando racconti non significa,
semplicemente, raccontare storie in classe per divertire gli studenti, ma
hanno la funzione di dare continuità al testo, mettendone in relazione le varie parti). Cfr. G.
Pinto, Dal linguaggio orale ....op. cit. ,p.33.
100
Cfr. J. Bruner, From communication to Language. A Psychological Perspective, in
"Cognition2, n.3/1975, pp. 255-287, trad. it. in L. Camaioni (a cura di), Sviluppo del
linguaggio e interazione sociale, Il Mulino, Bologna 1978, pp. 93-129.
101
Cfr. S. Adrian Notini, F. Isidori, Racconti, nonsense...,. cit., p.89.
50
presuppone la conoscenza e l'applicazione di una metodologia specifica di
base che l'insegnante deve sempre adottare.
Ad esempio, prima di proporre una storia agli allievi, è opportuno porsi
alcune domande riguardo al perchè è stata scelta quella storia, agli obiettivi
linguistici - e non linguistici - che si vogliono perseguire tramite questo
racconto e, infine, al modo in cui la storia si connette al curricolo linguistico
e scolastico previsto per gli alunni, al di là del coinvolgimento suscitato da
questa attività in classe.
Nel capitolo successivo, dopo aver spiegato in base a quali criteri poter
scegliere i testi narrativi, verranno presentate alcune storie in lingua inglese
che, rispondendo a tali criteri, potrebbero costituire materiale interessante
per una didattica della lingua straniera nella scuola secondaria nella
prospettiva interculturale.
51
CAPITOLO TERZO
La cultura inglese del racconto per la didattica interculturale
3.1. La cultura nell'insegnamento linguistico.
Il processo di acquisizione di una seconda cultura è stato oggetto di studio
nei suoi vari aspetti. Da parte di chi apprende, in particolare, avviene una
sorta di acculturazione, come ha affermato Balboni e, cioè, un graduale
adattamento ad un target culturale diverso dal proprio, senza però rinunciare
o abbandonare l'identità della lingua nativa102. Il fattore più importante che
influenza l'acculturazione è la diversità, o distanza sociale, tra due culture,
cioè l'insieme delle differenze che esistono tra la cultura di chi apprende e
la nuova cultura che viene appresa103.
La distanza sociale, più precisamente, si riferisce alla prossimità cognitiva e
affettiva di due culture che vengono a contatto in una persona. Schumann
sostiene che più grande è la distanza sociale tra due culture, più forte sarà la
difficoltà, da parte di chi apprende, nell'imparare una seconda lingua;
viceversa, minore è la distanza sociale, migliore sarà la situazione di
apprendimento104.
La ricognizione di come le due culture - quella del parlante e quella
dell'apprendente - siano simili e di come differiscano è fondamentale ai fini
dell'interculturalità e, al tempo stesso, apre delle possibilità riguardo
all'insegnamento della seconda lingua. Il docente, infatti, come osservano
Paola Celentin e Graziano Serragiotto, può partire da informazioni generali
per venire man mano più a stretto contatto con i fattori culturali 105, cioè con
quei modi tipici che un popolo usa per esprimere se stesso, modi che
102
P.E. Balboni, Parole comuni, culture diverse- Guida alla comunicazione interculturale,
Marsilio, Venezia 1999, p. 27. Cfr. anche Id. Operation Models for Language Education,
Guerra, Perugia 2007
103
Ibidem.
104
Cfr. P. Celentin, G. Serragiotto, Il fattore culturale nell'insegnamento della lingua,
www.scuolarobbiate.it.
105
Ibidem.
52
assumono forme diverse a seconda dei contesti e che hanno significati
diversi a seconda del messaggio che vogliono trasmettere.
È, tuttavia, necessario che ci sia una corretta informazione sui costumi e
sugli usi di un popolo. A tal proposito, Balboni propone di fornire agli
studenti dei “sociotipi”, cioè delle caratterizzazioni che derivano da una
generalizzazione razionale di stereotipi empiricamente verificabili106.
Lo studioso, in altri termini, propone di presentare agli studenti dei modelli
culturali che rappresentano l'unità minima significativa di una cultura. Ad
esempio, rientrano nei modelli culturali: il modo in cui una cultura risponde
al bisogno di distribuire il “nutrimento culturale” nell'arco della giornata, il
modo in cui si risponde e si organizza il movimento nelle strade (guida a
sinistra, ecc.), il modo in cui si organizza la rappresentanza politica, ecc.
Nella presentazione dei modelli culturali è importante accertarsi che questi
siano autentici, non stereotipi o frutto di preconcetti. Un elemento di pari
importanza è costituito, senz'altro, dall'enfasi posta sulle differenze oppure
sulle matrici comuni: entrambi gli atteggiamenti sono necessari, ma nella
tradizione dell'insegnamento linguistico si ha spesso la tendenza di
accentuare le differenze.
Differenze che sono le più immediate nel motivare e nel suscitare la
curiosità di chi apprende; mentre, nella prospettiva dell'educazione
interculturale e, quindi, di una diffusa educazione alla pace e alla
costruzione dell'identità europea, sappiamo che proprio l'enfasi sulle matrici
comuni è indispensabile e imprescindibile.
Sappiamo anche, tuttavia, che la tendenza a dare più risalto alle differenze
piuttosto che alle comunanze deriva da alcuni problemi di fondo che
costituiscono un ostacolo alla comunicazione interculturale, problemi come
il diverso uso del linguaggio verbale (gli italiani, ad esempio, tendono a fare
comparativi e superlativi di minoranza che in molte culture non sono
accettabili) e delle regole sociopragmatiche (il modo di esprimere rispetto,
di dare ordini o di chiedere cose), oppure la diversità di modelli di civiltà (i
cinesi danno molto più valore all'età e all'esperienza di quanto non facciano
gli italiani) e di linguaggi non verbali (il modo di gesticolare o di intonare la
voce quando si parla, e via dicendo)107.
106
Cfr. P.E. Balboni, Parole comuni, culture diverse. Guida alla comunicazione
interculturali, cit., p. 39.
107
Ivi, p. 37.
53
Ad ogni modo, proprio questa diversità culturale può costituire un'occasione
per motivare la curiosità, la scoperta e la conoscenza di modelli culturali
diversi; usare la cultura come attività di motivazione nella pratica didattica
significa, infatti, integrare e correggere gli stereotipi con riferimenti ai tratti
comuni tra la propria e l'altrui cultura.
Se rileggiamo la storia della cultura, ci accorgiamo di quanti intrecci,
prestiti, incroci è fatta la letteratura. E. W. Said afferma che "abbiamo a che
fare con la formazione di identità culturali...[...] poiché si dà il caso che
nessuna identità potrà mai esistere per se stessa e senza una serie di opposti,
negazioni e opposizioni: i greci hanno sempre avuto bisogno dei barbari,
come gli europei degli africani, degli orientali e così via"108.
Lo stesso autore, inoltre, in uno dei suoi saggi fondamentali dal titolo
Cultura ed imperialismo, analizza con osservazioni acute e puntuali
l'importanza che la letteratura e l'arte hanno avuto nella costruzione di
un'immagine (che era senza dubbio artificiale e confusa) e, quindi,
dell'atteggiamento di disprezzo con cui i popoli spesso giustificano il loro
dominio coloniale.
Ad ogni cultura, infatti, va riconosciuta e data la possibilità di vivere ed
arricchirsi. Per Said l'esperienza del Sud-Africa è essenziale. Essa
rappresenta la realizzazione di ciò che può e deve avvenire anche in
Palestina e, cioè, la convivenza pacifica di due popoli in uno stesso Paese. Il
primo passo affinché ciò possa avvenire è il riconoscere, reciprocamente, i
propri errori, è il riconoscere la reciproca dignità di popolo e di persone
portatrici di cultura e di diritti, il riconoscersi e l‟accettarsi nella propria
diversità come primo elemento per costruire un futuro, come necessità
imprescindibile per un domani di pace.
Quanto qui esposto, non rappresenta un'utopia irrealizzabile ma, al
contrario, può rappresentare l'unica concreta prospettiva di convivenza tra
diverse culture. Infatti, non ci sono – e non devono esserci - muri che
possano arginare la rabbia di una sofferenza e di una umiliazione troppo a
lungo trascinata; non ci sono rastrellamenti e distruzioni o punizioni
collettive che possano spegnere desideri di vendetta e di rivalsa, l‟uso di
metodi repressivi altro non produce che la distruzione e/o l‟avvilimento
108
E. Said, Cultura ed imperialismo. Letteratura e consenso nel progetto coloniale
dell'Occidente, Gamberetti, Roma 1998 (edizione originale 1999), p. 77. Cfr. anche E. Said,
Sullo stile tardo, Il Saggiatore, Milano 2009
54
della dignità e della democrazia dello stesso popolo che, con ostinazione,
crudelmente li pratica. Per costruire la pace bisogna prendere atto che l'altro
esiste e non aver paura di cominciare a stringere relazioni costruttive.
3.2. L'interculturalità nell'insegnamento della lingua e della letteratura
straniera
L'insegnamento della lingua e della letteratura inglese - o di una qualsiasi
altra letteratura straniera - ha tra le sue finalità quella del relativismo
culturale in quanto mira a far comprendere in modo tangibile agli studenti
che ogni cultura è valida nel suo ambito ed è degna di rispetto, anche nei
casi in cui non ha prodotto notevoli modelli di civiltà.
Giovanni Freddi definisce con il termine "relativismo culturale" il principio
secondo cui non esiste una cultura migliore di un'altra. Ogni cultura, infatti,
è in grado di rappresentare in modo completo ed esauriente un popolo109.
Balboni, tuttavia, afferma che nelle lingue si possono perseguire finalità
ancora più forti, come ad esempio far comprendere che ogni cultura è degna
di interesse e, quindi, va studiata e approfondita in un processo di lifelong
learning110.
Chi si prepara ad apprendere una lingua diversa dalla propria, dunque, deve
imparare anche una cultura diversa, non solo perché i due fattori sono in
stretta interdipendenza, ma anche per l'alto contenuto sociale della lingua.
Il confronto con altre realtà culturali può favorire, infatti, il superamento
dell'etnocentrismo in quanto lo studente viene educato a giudicare non solo
in base ai valori e ai parametri della propria cultura ma, anche, ad accettare
esperienze ed opinioni diverse dalla propria. In tale ottica l'insegnamento
della lingua e della letteratura straniera e inglese, in particolare, assicura il
proprio decisivo contributo all'educazione interculturale.
La consapevolezza di imparare a fondo una lingua significa anche
interiorizzare valori culturali nuovi. Essa si è sviluppata a partire dagli anni
Ottanta del secolo scorso ma, l'esigenza di rendere gli studenti capaci di
109
Cfr. G. Freddi, Didattica delle lingue straniere, Minerva Italica, Bergamo 1985. Cfr., T.
Benedetta, Lingue straniere. Ricerca sul curricolo e innovazione didattica, Tecnodid,
Napoli 2007.
110
Cfr. P.E. Balboni, Parole comuni, culture diverse. Guida alla comunicazione
interculturale, cit.
55
comunicare in prospettiva interculturale, si è consolidata nel decennio
successivo111.
Tale esigenza, particolarmente sentita da chi insegna la lingua inglese, non
nega i traguardi formativi dei periodi precedenti - correttezza grammaticale,
appropriatezza situazionale, autenticità culturale - bensì aggiunge ad essi
anche la necessità di “saper parlare l'inglese” in quanto lingua pluriculturale
ed internazionale, anche con chi non parla il cosiddetto "Queen's English"
e/o con chi non è di matrice culturale anglosassone.
Con l'accelerazione della globalizzazione, conoscere la lingua inglese
significa sapersi relazionare culturalmente con interlocutori di varie
provenienze, cioè con nativi parlanti anglosassoni e con anglofoni aventi
radici culturali in larga parte non anglosassoni ma, anche, con parlanti che
negli incontri internazionali usano un inglese imparato solo a scuola e che,
di conseguenza, impostano i propri discorsi secondo i più disparati
parametri culturali: giapponesi, iraniani, brasiliani, greci e via dicendo. Per
tali motivi la moderna glottodidattica indaga su metodologie per
l'insegnamento interculturale delle lingue, in particolare di quella inglese,
cercando di trovare una soluzione a problemi che riguardano, in particolare,
le strategie didattiche per preparare lo studente a cogliere, e a far propri la
forma mentis e il sistema di valori dei suoi interlocutori, chiunque essi
siano, o a far sì che egli utilizzi tali cognizioni nel modo più chiaro
possibile.
È in quest'ambito che propongo un esempio di didattica interculturale della
letteratura della lingua inglese nell'ultimo anno della scuola secondaria
superiore. Si tratta di spunti metodologici per riprovare a rintracciare i nessi
che legano 'noi e gli altri'.
È evidente che, oggi, tanta parte di letteratura proviene da scrittori non
occidentali, basta ricordare i premi Nobel conferiti, in anni piuttosto recenti,
all'egiziano Najib Mahfuz, al nigeriano Wole Soyinka, al caraibico Derek
Walcott nonchè i tanti premi vinti dall'indiano Rushdie, dal sudafricano
Coetzee e dalla caraibica Jean Rhys.
Lo studio - o l'importanza - di questi autori nei curricula scolastici non nasce
da una sorta di curiosità verso mondi esotici e lontani, ed anche poco noti,
111
Cfr. D. Demetrio, Cosa vuol dire insegnare l'inglese per la 'comunicazione
interculturale'?,www.didaweb.net
56
ma dal fatto che essi parlano dei loro paesi d'origine e di noi e del nostro
modello di sviluppo, dei nostri stili di vita, della nostra civiltà.
Essi, comunque, esprimono lo stile di vita di chi si è appropriato della lingua
e della cultura dei colonizzatori e l'ha utilizzata per decodificare l'ideologia
dell'Occidente. Sono degli scrittori, spesso coltissimi, che hanno attraversato
la cultura occidentale intrecciandola con la cultura d'origine. Possiamo,
dunque, affermare che la cultura contemporanea viene scritta dal punto di
vista dell‟altro e dalla voce precedentemente oppressa.
Le culture post-coloniali sono delle culture inevitabilmente ibride, che
coinvolgono un rapporto dialettico fra le culture europee e l'impulso di
creare, o di ricreare, un'identità locale indipendente. Il valore di questo tipo
di letteratura è dato anche dal fatto che esso può diventare, in un contesto
educativo, strumento di formazione e mezzo per implementare le capacità
soggettive di affrontare e governare la complessità.
La letteratura post-coloniale o migrante restituisce così alla letteratura tout
court il ruolo fattivo di póiesis, di trasformatrice della realtà , ridefinendola
quale paidéia - quale costruzione di significati, ma soprattutto formazione
universale e particolare di valori condivisi e convissuti.
Essa rappresenta per l‟Europa un'occasione buona di revisionismo storico e
letterario. Ma c'è da dire che la letteratura post-coloniale non si limita a
rielaborare criticamente i processi relativi al passato, essa cerca di superare
l'individuazione di culture molteplici in Europa in vista di un orientamento
concreto sul fronte dell'incontro interculturale.
Le scritture migranti hanno il merito di affrontare (da un punto di vista
poliprospettico, con toni diversi dall'ironia alla tragedia) i temi più
importanti della contemporaneità: le sperequazioni economiche Nord-Sud,
la xenofobia, il disagio metropolitano in condizione di compresenza forzata.
Vorrei, inoltre, accennare al profondo cambiamento che proprio gli scrittori
di colore stanno portando al panorama della letteratura inglese, costituendo
il fenomeno più vistoso di mutazione letteraria in Europa.
La "Black Britain" che annovera narratori neri di nazionalità britannica
provenienti dalle periferie dell'Impero, racconta i conflitti pubblici e privati
e le tante questioni legate alla frantumazione di comunità non più coese, che
ormai sono simili in tutti gli Stati Europei112.
112
Cfr. M. Phillis, London Crossings: A biography of Black Britain, London:Continuum,
2001.
57
Sembra opportuno, a questo punto, proporre l'analisi del romanzo “Brick
Lane”113 della scrittrice indiana Monica Ali, rappresentante di quella
“cultura di un mondo delle interdipendenze”114 al centro della riflessione
interculturale.
Le tematiche affrontate dall‟autrice nei suoi racconti e, soprattutto, nel
romanzo Brick Lane, possono essere definite interculturali; "interculturale",
infatti, è uno dei temi centrali del romanzo citato. La scelta di proporre una
lettura critica di questo romanzo appare emblematica per il discorso fin qui
svolto. Emblematica è, innanzitutto l'India, il paese di Ali.
L'India, infatti, conta un cospicuo numero di grandi scrittori del Novecento.
Per citarne qualcuno, il padre di tanti autori indiani Salman Rushdie, il
premio Nobel per la letteratura nel 2001 V. S. Naipaul; i popolari Vikram
Seth e Amitrov Ghosh, nativo di Calcutta ma laureatosi ad Oxford; Chetan
Begal, Kiran Disai, Anita Disai, Anita Nair fino a Irani Anosh.
Gli scrittori citati scrivono prevalentemente in lingua inglese e si rivolgono
ad un pubblico internazionale. Essi, infatti, fondono nelle loro opere culture
e linguaggi diversi, mescolano il paesaggio naturalistico degli spiriti indiani
con i miti classici della cultura greca, mettono in tensione, come nel caso di
Monica Ali, la società indiana e quella inglese. Ed è proprio quest'ultimo
aspetto, il disagio della “doppia patria”, ad emergere con estrema evidenza
nei romanzi dell‟autrice Ali, costruiti su personaggi i cui sentimenti sono
sempre in bilico fra l'amore per le proprie radici e il fascino dell'Occidente,
cioè della modernità. Ma procediamo nell‟analisi del romanzo.
3.3. Per una didattica interculturale: Brick Lane di Monica Ali
Il romanzo Brick Lane descrive analiticamente i processi d'integrazione, la
difficoltà di convivere e le problematiche sociali tra gli anni Settanta e
Novanta del ‟900 . Il romanzo, inoltre, contribuisce a rappresentare il ruolo
della donna nella comunità di prima e seconda generazione e il conflitto
della doppia identità, conflitto che avviene con il gruppo di appartenenza,
113
M. Ali, Brick Lane, Scribner Book Company, New York 2004; M. Ali, Brick Lane,
(trad. italiana di L. Perria)Il Saggiatore, Milano 2008 .
114
F. Susi, L'interculturalità possibile, Anicia, Roma 1995, p. 27.
58
ma che è anche interiore in quanto si avverte l‟oscillazione tra il desiderio
della propria autonomia e l'osservanza delle proprie tradizioni.
Brick Lane è la storia parallela di due sorelle, dall'infanzia in un villaggio
del Bangladesh alle rispettive avventure di fuga e di emigrazione. Dopo il
suicidio della madre, che pone fine ad una esistenza di remissività predicata
e praticata con un estremo atto di ribellione, la prima sorella “segnata” dalla
sua bellezza fuggirà per un matrimonio d'amore verso il mondo della città
dove comincerà la sua discesa lungo tutti i “gironi dell'inferno” femminile in
India: dall'abbandono al lavoro in fabbrica, dalle molestie allo sfruttamento,
alla schiavitù, alla perdita della casa, alla prostituzione, alla vita per strada,
alla malattia.
La seconda sorella, invece, è “consegnata” a un matrimonio combinato che
la porta a Londra nel quartiere di emigranti di Tower Hamlets dove rimane
per anni confinata, prigioniera delle proprie paure, del marito e della
mancanza di una lingua con cui comunicare con il resto del mondo.
Finita nelle grinfie di una strozzina, il suo percorso esistenziale la porterà ad
una lenta ma ferma presa di controllo sulla propria vita non più chiusa nella
segregazione domestica ma gradualmente aperta alla dimensione del lavoro,
dell'autonomia economica, dell'acquisizione dell'inglese e perfino dell'amore
fino a una riappropriazione del proprio destino che la porteranno, insieme
alle figlie, a rifiutare di seguire il marito nel suo viaggio di ritorno in
Bangladesh.
Il racconto, dunque, narra i conflitti personali e sociali nati dallo scontro tra
due mondi, l'Asia e l'Europa, sviscerandone le loro diversità culturali. Il
testo è ricco di notazioni, informazioni, osservazioni sulla vita degli
immigrati, sulla cultura e la società bengalese, sulla condizione femminile,
sulla religione, sulla vita familiare. La fabula è molto lineare e questo
permette, insieme ad un linguaggio icastico e colloquiale, un efficace uso
didattico del romanzo.
Qual è l‟origine del titolo Brick Lane? C'è da dire che le comunità bengalesi
si concentrano principalmente nel quartiere di Tower Hamlets, nota anche
come Banglatown, di cui Brick Lane (si pensi solo che la targa della strada
di Brick Lane a Londra riporta la traduzione in bengalese) è la strada
principale. Tuttavia non vi abitano solo bengalesi ma anche bianchi, neri che
59
abitano in quella strada o nei dintorni “negli appartamenti vicini, vi abitano
dei bianchi"115.
Il romanzo di Monica Ali ruota attorno alle questioni di integrazione/rifiuto
ponendo la riflessione sull'identità del migrante nel suo duplice rapporto
con la patria di provenienza (lontana e sempre più idealizzata) e con quella
di adozione presente e spesso non solo estranea ma, a volte, anche
respingente.
Monica Ali è anglo-bengalese. Vive a Londra dall'età di cinque anni e
discende da una famiglia di immigrati che sono sfuggiti alla guerra in
Bangladesh. Monica vive - o ha vissuto - una crisi d'identità che è la crisi di
tutti i cittadini post-coloniali. Questo romanzo esprime una profonda
consapevolezza della sua identità musulmana bengalese; la scrittrice, infatti,
è completamente immersa nella sua cultura d'origine. L‟identità islamica è
centrale per lei e può essere meglio apprezzata se viene concepita come
qualcosa che è vissuta non solo dal personaggio, ma anche dal contesto
culturale e politico all‟interno del quale l‟identità del musulmano si sviluppa
e si caratterizza nella sua complessità.
In realtà, questo è ciò che Monica vuole mostrare al lettore e, cioè, il
dilemma dei musulmani che non sono identificati dalla loro nazionalità ma
dalla religione a cui appartengono che è l'identità stessa dei musulmani nel
mondo.
La religione, infatti, facilita il processo di adattamento nel fornire ai
migranti un santuario ed una struttura fissa alla quale possono aderire. In
Brick Lane, Nazneen che vive a Tower Hamlets con suo marito Chanu, ha
difficoltà ad adattarsi ad una città come Londra. Dato che le è stato negato
di imparare l'inglese se non attraverso Chanu, si sente indifesa e isolata. Nei
periodi di insicurezza e disperazione si rivolge al Qur'an, le cui parole la
calmano e le danno fiducia116.
Questo cercare rifugio nella religione è il motivo di Zaid, il cuoco nel
romanzo, di unirsi a un partito islamico per vincere le elezioni, tipico di un
uomo come lui che è insoddisfatto delle politiche governative ed è
profondamente turbato dalla presenza degli occidentali nel suo paese.
Il romanzo mette in risalto che ciò che unisce gli immigrati bengalesi è la
fede musulmana; si incontrano a Londra non perchè appartengono ad una
115
116
M. Ali, Brick Lane, cit., p. 204.
M. Ali, BrickLane, cit. p.20.
60
tale regione ma secondo la loro fede. Karim, l'amante di Nazneen, dice, nel
suo sforzo di convincere Nazneen ad attendere il meeting, "è per tutti i
musulmani"117.
Uno dei temi più sentiti per i musulmani, e che Monica Ali mette in risalto,
è la Palestina, come terra del conflitto dei musulmani e degli ebrei per la
conquista della loro specifica libertà di esistenza e di identità culturale e
politica. Il brano esprime consapevolezza del mondo insieme ad un
atteggiamento ingiusto nei confronti dei musulmani. Il mondo islamico
sente il dolore acuto del tradimento e della delusione; è stato, in un primo
momento, oltraggiato e sfruttato dai colonizzatori inglesi e poi sopraffatto
dal dominio economico e militare degli occidentali.
A questo punto, la scrittrice descrive nel romanzo citando il più terribile
degli attacchi agli USA, quello dell‟11 settembre 2001. L'intero mondo ne
fu scioccato, compresi gli immigrati musulmani. Ma la loro sofferenza era
dovuta al fatto che essi vivevano tra gli occidentali, tra gente che ha subìto
una catastrofe che, si suppone, sia stata provocata dai musulmani. Nel
romanzo la descrizione dell'attacco rivela un senso di assurdità, sconcerto e
choc: "Ora vedono il fumo",118 come espressione della distruzione.
Tutti i musulmani pagheranno per ciò che dei fanatici hanno fatto e il danno
è stato fatto a tutti gli esseri umani, non solo ai non-musulmani119.
La presenza islamica in Europa, o negli USA, porta con essa il vecchio
sentimento di timore, soprattutto ora che lo si collega all'esistenza del
terrorismo e ad alcuni nomi islamici. Said esprime questo presentimento.
"Pensa alle popolazioni, oggi, di Francia, Spagna, Gran Bretagna, America,
anche Svezia, e devi concedere che l'Islam non è più ai margini
dell'Occidente, ma al suo centro. Ma che c'è di così minaccioso in questa
presenza? Sepolti nella cultura collettiva giacciono i ricordi delle prime
grandi conquiste Arabo-Islamiche che iniziarono nel settimo secolo e
che(...) mandarono in frantumi la sintesi cristiano-romana e diedero vita a
una nuova civiltà dominata dai poteri nordici (la Germania e la Francia dei
Carolingi) (...) la cui missione (...) è di prendere le difese dell'Occidente
contro i suoi nemici storico-culturali”120.
117
M. Ali, Brick Lane, cit. p. 223.
Ivi, p. 351.
119
Ibidem
120
E. Said, Cultura e Imperialismo, Gamberetti Editrice, Roma 1998, p. 37.
118
61
Questo sentimento della minaccia islamica è profondamente radicato in
Dante che colloca il Profeta Maometto al centro dell'Inferno; Maometto è la
personificazione dell'Islam. Dante, collocandolo nell'Inferno, sogna di
vivere in un mondo senza questa identità ideologica che minaccia la pace.
Ci sono memorie amare e dolorose da parte della nazione islamica che
ricorda l'era della colonizzazione quando i Musulmani, emarginati nei loro
Paesi, furono sfruttati e massacrati.
Hanno sofferto sia a causa delle ideologie razziste come pure dell'abuso che
gli europei facevano dei prodotti della loro terra, ed è ciò di cui parla Chanu.
"Vedi, quando gli Inglesi vennero nel nostro paese, essi non vennero per
rimanere: vennero per fare soldi, e i soldi che fecero, li portarono fuori dal
nostro paese. Non lasciarono mai la loro casa"121. Chanu esprime , in questo
modo, l'amarezza del popolo colonizzato che fu spogliato di tutta la sua
ricchezza.
In queste righe Monica Ali sintetizza con efficacia una interpretazione
storica del colonialismo che rovescia una presunta liberalità della Gran
Bretagna che avrebbe concesso l'indipendenza come atto democratico e
sottolinea invece l'unica regola a cui i paesi coloniali si sono attenuti nel
rapporto con le colonie: l'interesse economico.
I paesi coloniali, di certo, non ebbero sempre l'interesse a ritirarsi in maniera
pacifica dal rapporto di dominio diretto con le rispettive colonie. Il caso
dell'India dimostra che ci fu bisogno di un grande movimento di lotta,
guidato da un leader di statura mondiale come Gandhi, per emanciparsi,
anche culturalmente, dalla Gran Bretagna. L'oppressione del colonizzatore
nei paesi islamici portò ad una riforma religiosa per assicurare la libertà e
trovare rifugio dall'oppressione. Ciò che Turner osserva qui è chiaramente
rilevante per la reazione di un personaggio nel romanzo. "L'Islam giocò un
ruolo cruciale nello sviluppo di movimenti nazionalisti anti-coloniali nel
Nord-Africa, India e Indonesia: in queste società etnicamente diverse e
culturalmente complesse, i simboli islamici erano importanti come
componenti dell'integrazione nazionalista in Marocco"122.
I musulmani vivono i problemi storici, politici e religiosi del loro Paese,
cercano di accettare il mondo occidentale ma non l'ingiustizia che sentono
121
M. Ali, Brick Lane, cit. p. 204.
122
S. Bryan Turner, Orientalism, Postmodernism and Globalism, Routledge, London 1994,
p. 87.
62
sulla loro pelle. Sebbene il libro, nel suo genere, è letterario e non un
documentario, prende il suo tema dalla vita reale. È uno di quei testi
letterari che "non riflettono semplicemente ideologie dominanti, ma
codificano le tensioni, le complessità e le sfumature all'interno delle culture
coloniali. La letteratura è un luogo dove la "transcultura" si svolge in tutta la
sua complessità"123. Il rapporto tra l'Islam e il mondo occidentale ha avuto
molti alti e bassi nell'età moderna. Se si guarda oltre l'era presente, e si
fanno ricerche nella storia di questi rapporti, si possono trovare le radici
delle differenze, delle apprensioni e dell'eterna insoddisfazione di oggi in
entrambi le parti che mantengono reminiscenze dolorose e sentimenti
ambivalenti l'uno verso l'altro. Molti musulmani immigrano in Occidente in
cerca di guadagni e di una vita migliore; alcuni optano per rimanere, altri
lavorano per guadagnare abbastanza denaro e per iniziare un nuovo e stabile
“negozio” quando ritornano nella loro terra natia. Dr. Azad chiede a Chanu,
“dopo che essi hanno risparmiato abbastanza saliranno su un aereo e
andranno via?"124.
Per questi uomini, l'ambizione più grande consiste nel fare soldi e poi
tornare nel loro Paese di origine. Sono uomini ad un tempo vittime e
complici del colonialismo, accecati dal modello bianco-occidentale e
incapaci di trovare un'identità asiatica diversa da quella del padrone inglese.
Tra i bengalesi che scelgono di vivere a Londra per fare soldi e poi tornare
in patria, solo pochi riescono nell'impresa e Chanu è uno di questi. La
maggior parte dei bengalesi trasferiti a Londra non riescono a raggiungere il
successo desiderato e, pertanto, trascorrono una vita di emarginazione e di
rimpianto.
La "sindrome del ritorno a casa"125, così come la chiama il Dr. Azad,
colpisce, in modo più o meno forte, tutti gli immigrati, anche coloro che
hanno avuto successo nel paese ospitante. Il richiamo della madre patria è
molto forte e Chanu lo conferma con queste parole:" In realtà non se ne
vanno mai di casa. Il corpo è qui ma il cuore è rimasto laggiù"126. Chanu è
uno di quegli immigrati che porta dentro di sé un repertorio di immagini ed
esperienze del passato; non essendo stato capace ad integrarsi con successo,
123
Ania Loomba, Colonialism and Post-Colonialism, Routledge, London 2005, p. 63.
124
M. Ali, Brick Lane, cit. p. 24.
Ivi, p. 27.
126
M. Ali, Brick Lane, cit. p. 27
125
63
dopo una serie di fallimenti, pensa che sia meglio ritornare in Bangladesh.
Egli appartiene alla prima generazione di immigrati, incapaci di recidere i
legami con la madrepatria, dando così luogo a molti altri conflitti. In primo
luogo, creando un patria mitica ed esigendo dai figli il rispetto delle
tradizioni di questa patria immaginaria. In secondo luogo, alcuni immigrati
della prima generazione non cercano neppure di integrarsi nella cultura
ospitante perché essi sanno che un giorno faranno ritorno a casa. Inoltre, la
situazione si presenta difficile in quanto gli immigrati non sono accettati dal
paese ospitante a causa della loro diversità in termini di etnicità, colore della
pelle, lingua, cultura e tradizione.
L'amore di patria è profondamente radicato in molti scrittori britannici di
origine asiatica. Scrittori come V.S.Naipaul, Hanif Kureshi, Salman Rushdie
hanno tutti raggiunto un significativo successo socio-economico nel mondo
occidentale ma hanno ancora forti legami con ciò che essi definiscono il
loro centro, la loro anima, la loro patria, il loro paese natio così come
giustamente descritto da S. Rushdie: "Our identity is at once plural and
partial. Sometimes we feel that we straddle two cultures; other times, we fall
between two stools...However ambiguous and shifting this ground may be it
is not an infertile territory for a writer to occupy"127.
Il condizionamento di genere è uno dei motivi centrali di tutta la narrazione
ed è dichiarato apertamente sin dalle prime pagine del romanzo: le donne
vengono cresciute in affidamento e dipendenza dai loro padri e mariti, il
matrimonio diventa, così, un modo tradizionale per assicurare il futuro delle
figlie.
Vi sono tre tipi di matrimonio: il primo è un matrimonio forzato, dove i
genitori scelgono il futuro sposo/a senza dubbi sulla loro scelta. Se i figli
non accettano la scelta dei genitori possono essere puniti o uccisi. Il secondo
tipo è un matrimonio combinato dove lo sposo/a viene scelto dai genitori,
tuttavia vi è una possibilità per i loro figli di rifiutare la scelta. I figli
vengono condizionati affinché la volontà genitoriale venga esaudita. Il terzo
tipo è un matrimonio moderno, i genitori scelgono diversi candidati
potenziali e alla coppia è data la possibilità di frequentarsi e conoscersi.
Il matrimonio di Chanu e Nazneen è completamente tradizionale,
combinato da suo padre e da Chanu. Nazneen ubbidisce al padre accettando
127
Sharma Shailja, Salman Rushdie: The Ambivalence of Migracy, “Twentieth Century
Literature”, 47.4 (2001) 601-2, University Lib, Cleveland 2001
64
la scelta di un uomo che non conosce, "Abba, é bene che avete scelto mio
marito. Spero di poter essere una buona moglie come Amma"128. Nazneen
non fa domande sul futuro marito né vuole vedere la sua foto. Ma
accidentalmente la guarda e capisce che "l'uomo che avrebbe sposato era
vecchio. Aveva almeno quarant'anni e la faccia di rana. Si sarebbero sposati
e lui l'avrebbe portata con sé in Inghilterra”129.
Questo avvenimento è seguito da immagìni di solitudine e di impotenza;
Nazneen osserva un falco che trasporta la sua preda fino a quando scompare
dalla sua visuale. Un'altra immagine mostra una capanna vuota nel mezzo di
una risaia che fu rimessa lì da un tornado. Entrambe le visioni danno prova
dei sentimenti di Nazneen. Ella sente il potere delle tradizioni che
governano la sua vita come il falco la sua preda. Ma la disubbidienza, o la
resistenza, al suo destino non tocca la sua mente. Il matrimonio si trasforma
nel simbolo di un tornado che la porta via e le cambia la vita
completamente. Nazneen non ha idea della sua vita futura, vede solo l'
incertezza del suo destino come la solitudine della capanna. In quel
momento sente che vi è differenza tra uomini e donne. "Gli uomini possono
fare quello che vogliono mentre le donne devono solo ubbidire"130.
In Bangladesh la società è fortemente patriarcale e la discriminazione di
genere è presente in tutti i livelli della società. Le donne dipendono dal
padre, dal marito, dai figli maschi. La vita della maggior parte delle donne
rimane incentrata ai loro ruoli tradizionali, designate ad un ruolo di
inferiorità e di subordinazione agli uomini; esse hanno un accesso limitato
agli affari, ai servizi produttivi, all'istruzione, alla salute, alla politica del
governo anche locale.
______________________________
128
M. Ali, Brick Lane, cit. p. 8.
Ivi, cit. p. 7.
130
Ivi, cit. p. 17.
129
65
È interessante notare come la preservazione della cultura è stata riposta
nella donna, che non usciva ed era facilmente controllabile all'interno delle
case, dove parlava sempre la stessa lingua e manteneva tutte le tradizioni nel
loro stato originale131. Dunque, sia che vivessero in un paese colonizzato, sia
che si trovassero in terra straniera, le donne sono state private a lungo
dell'incontro con l'Altro e con la diversità culturale. La conoscenza della
società inglese e delle sue tradizioni, che diverge nettamente dalla società
bengalese, è stata a lungo mediata attraverso gli uomini.
Il romanzo a cui si fa riferimento risale ad un arco temporale caratterizzato
da una vera e propria emancipazione femminile, dai movimenti subculturali, dalla partecipazione attiva della donna alla vita politica. Fanno,
invece, da contraltare le ragazze di Brick Lane, nei loro sari bengalesi, nella
loro vita quotidiana che si realizza solo all'interno della comunità; poco più
che bambine sono catapultate nella grande metropoli, con la speranza che,
matrimoni 'convenienti' con emigrati istruiti, possano loro offrire un futuro
diverso o un ritorno trionfante in patria.
L'annullamento dell'identità è così radicale da spingere la protagonista ad
una ricerca altrettanto radicale di una nuova identità di donna. Questa
ricerca contrasta con il maschilismo dominante della società bengalese, un
maschilismo ben rappresentato dal padre e dal marito Chanu, dal quale si
separerà al termine del romanzo. Tuttavia il matrimonio darà alla
protagonista tre figli e le permetterà di emigrare nel Regno Unito. A Londra
Chanu non riesce completamente a modificare la sua mentalità di maschio
indiano a differenza della moglie la quale grazie alle sue amicizie, al suo
studio, al lavoro riesce a conquistare un' autonomia sempre maggiore.
Nel periodo iniziale del suo matrimonio Chanu non permise alla moglie di
uscire da sola ma non perché non avesse fiducia in lei ma perché altre
persone nel circondario avrebbero potuto parlare male di lei. Tuttavia
anch'egli si è evoluto positivamente in sintonia con la concezione
contemporanea della mascolinità, dove gli uomini non si sentono più
minacciati dalla presenza della donna nel mondo del lavoro, e dove gli
uomini vedono le donne non come proprietà o come oggetti da chiudere in
casa, ma esseri viventi, che hanno bisogno della loro libertà anche in termini
lavorativi.
131
Cfr. R.EL Kayat, La donna nel mondo arabo,Milano,Editoriale Jaca Book , 2002, p.81.
66
Infatti, egli incoraggia Nazneen ad iniziare una sua attività di sartoria. Alla
fine del romanzo, quando decide di ritornare a Dacca, non obbliga sua
moglie e le sue figlie a seguirlo.
La discriminazione di razza è un altro tema presente nel romanzo. Quando
Chanu parla del suo piano di riportare il proprio figlio a Dacca, a casa del
Dr. Azad, egli parla della Gran Bretagna come una società razzista, "A me
non serve molto. Appena quanto basta per la casa di Dacca e qualche
risparmio per l'istruzione di Ruku. Non voglio che si corrompa qui, insieme
con tutti gli skinhead e gli ubriachi. Non voglio che cresca in questa società
razzista. Non voglio che prenda l'abitudine di rispondere male alla madre.
“Voglio che rispetti il padre.... "132, e ancora, “l'unico modo è di riportarlo a
casa"133.
Chanu pensa che il solo modo di salvare suo figlio dal 'marciume' è di
riportarlo in Bangladesh. Per lui, il Bangladesh è un luogo sicuro per suo
figlio, lontano dagli skinheads e drunks, e un giusto ambiente per farlo
crescere rispettoso verso i suoi genitori.
Lavorando con i bianchi, Chanu ha molte opportunità di sperimentare il
razzismo. Dice a Nazneen i suoi pensieri sull'impossibilità di fare carriera.
Evidentemente Nazneen condivide le sue idee sulla discriminazione
razziale e confida alla sua amica Razia: "Mio marito dice che sono razzisti,
in particolar modo Mr. Dalloway. Dice che avrà la sua promozione ma gli ci
vorrà più tempo rispetto a qualsiasi uomo bianco. E dice che se dipingesse
la sua pelle di rosa e bianco allora non ci sarebbe nessun problema"134.
Questo è il motivo per cui Chanu, uomo istruito, non può essere un uomo di
successo in Gran Bretagna. Egli è trattato come qualsiasi altro ignorante che
proviene dal Bangladesh. Per i bianchi, i bengalesi sono " piccole scimmie
sudicie che provengono dallo stesso clan di scimmie"135.
132
M. Ali, Brick Lane, cit. p. 110.
Ivi, p.111
134
Ivi, p.72
135
Ibidem
133
67
agli occhi dei bianchi, dunque, non importa se hanno ricevuto istruzione o se sono
altamente istruiti, essi sono ancora per loro i contadini analfabeti di sempre. Chanu
sente e capisce le dinamiche di come i pregiudizi razziali e le paure vengono
condivise e accettate da molta parte della popolazione bianca "Vedi...sono i poveri
straccioni bianchi come Wilkie che hanno più paura delle persone come me.
Per lui, e per quelli come lui, noi siamo l'ultimo ostacolo che impedisce loro di
scivolare in fondo al mucchio...nasce di qui il fenomeno del Fronte nazionale. Si fa
leva su quei timori per creare tensioni razziali, per inculcare in quella gente un
complesso di superiorità"136. Egli si riferisce anche al discorso di antiimmigrazione e anti-integrazione pronunciato nel 1968 dal politico conservatore
Enoch Powell, il famoso "discorso dei fiumi di sangue", che guadagnò tremenda
pubblicità e sostegno pubblico. Nel suo discorso Powell parlò dei temi di cui si
occupava il Race Relations Act del 1968, una legge in corso di approvazione, in
quei giorni, da parte del governo laburista che rendeva illegale rifiutare di fornire
una casa, un impiego o i servizi pubblici a una persona sulla base del colore della
sua pelle o della sua appartenenza etnica o nazionale. Il parlamentare sosteneva che
il Regno Unito non poteva permettere un'immigrazione indiscriminata, in primo
luogo dalle sue colonie attuali e passate, e che avrebbe dovuto incentivare il
rimpatrio degli immigrati, dato che la maggior parte di loro non si voleva integrare
e opprimeva gli altri immigrati e i cittadini britannici tutti.
Gli immigrati come Chanu possono aver percepito e sentito sulla loro pelle l'ostilità della
gente, in quanto in quel periodo erano considerati una minaccia all'identità e alla cultura
nazionale britannica.
La cultura è un altro argomento da mettere in rilievo in questa rapida ricognizione del
romanzo. Come dice Edward Said: "Culture also becomes one of the most powerful agents
of resistance in post-colonial societies"137, la cultura gioca un ruolo importante nella società
coloniale. Chanu descrive la sua vita da immigrato come se stesse vivendo una tragedia.
Egli spiega a Mrs. Azad " mi riferisco allo scontro tra i valori orientali e i nostri. Mi
riferisco allo sforzo di assimilarsi e all'esigenza di salvaguardare la propria identità e il
proprio patrimonio culturale. Mi riferisco ai ragazzi che non sanno qual è la loro identità.
Mi riferisco al senso di alienazione generato da una società in cui prevale il razzismo" 138.
136
M. Ali, Brick Lane, cit. p. 33.
Bill Ashcroft "Edward Said", London Routledge 1999, p.88
138
M. Ali, Brick Lane, cit. p. 113.
137
68
Queste parole riassumono sentimenti più intimi di Chanu; il bisogno di
integrarsi è una necessità che ogni immigrato sente .
Secondo Chanu, essere una persona non-occidentale che vive in una società
occidentale è una tragedia che si verifica attraverso "lo scontro tra la
cultura occidentale e quella orientale"139.
Il Bangladesh, paese asiatico, ha valori abbastanza diversi da quelli
occidentali, pertanto i bengalesi che si sono trasferiti in Inghilterra devono
affrontare problematiche che sfidano la loro tradizione e testimoniano un
gran numero di fenomeni culturali che non sono consentiti nel paese
d'origine.
È difficile immaginare che certe tradizioni possano funzionare
completamente anche se esportate nei paesi occidentali, anche in una
nazione come la Gran Bretagna, simbolo del liberalismo e
dell'autodeterminazione. C'è da dire, però, che studi sulle scelte degli
emigrati rivelano che il Regno Unito sia una meta prescelta dai musulmani
“la società britannica con la sua ricca esperienza di diverse culture e modi
di vivere, unita al suo rispetto per la libertà dell'individuo e della comunità,
consentirà agli immigrati musulmani di realizzare la loro essenza
nell'ambito della libertà della società britannica”140.
Chanu insegna alle figlie la letteratura e le canzoni bengalesi e le obbliga a
parlare in bengalese a casa; per lo più, egli mette in risalto l'importanza di
conoscere la storia del proprio paese di cui è molto orgoglioso. Il
Bangladesh, egli sostiene, paese ricco stabile e istruito, era in grado di
produrre prodotti che gli altri paesi dovevano acquistare. Disprezza la
cultura Britannica "perchè la nostra cultura é molto forte. E cos'é la loro
cultura? Televisione, pub, lanciare freccette, prendere a calci un pallone.
Questa é la cultura della classe operaia bianca"141. Questo romanzo mette in
luce la difficoltà di scontrarsi con il modello di una società liberale non
tanto per Nazneen quanto per le sue figlie, così come per le figlie e i figli di
qualsiasi immigrato. La figlia Shahana non si considera bengalese, si ribella
al padre e al suo 'mito del ritorno' in patria.
139
M. Ali, Brick Lane, cit. p. 91
Jorgen S. Nielsen, Il diritto familiare nelle rivendicazioni delle popolazioni musulmane
in Europa,in I musulmani nella società europea,Torino, Edizione della Fondazione
Agnelli,1994, p.79
141
M. Ali, Brick Lane, cit. p. 242.
140
69
In conclusione, l'opera di Monica Ali rappresenta un punto di vista
significativo per comprendere i complessi fattori che legano l'Asia
all'Occidente, svela i meccanismi di esclusione e di dipendenza iniziati
all'epoca del colonialismo e, purtroppo ancora oggi attivi seppur in forma
diversa.
3.4. La sfida pedagogica dell'apprendimento della lingua inglese
L'apprendimento della lingua inglese rappresenta una sfida pedagogicodidattica142 in quanto l'esigenza di promuovere lo studio delle lingue
straniere è dettata non solo dalla necessità di apprendere un contenuto ma,
anche come strumento per apprendere e, di conseguenza per comunicare,
riacquistando, così, il valore autentico della comunicazione all‟interno del
contesto interculturale attraverso una didattica che favorisca appieno l'uso
comunicativo della lingua e che coinvolga attivamente l‟alunno143.
Tra le varie caratteristiche attribuite all'apprendimento della lingua inglese si
possono individuare alcuni concetti, molto significativi, riconducibili sia a
princìpi che a teorie della didattica144 condivisi dalla letteratura scientifica
dominante e, dunque, abbastanza consolidati nella cultura di riferimento145.
142
Cfr. M. Slattery e J. Willis, L’inglese per i docenti della scuola primaria, Oxford
University Press, Oxford 2005
143
Cfr. Hickman L., Spadafora G., (edited by), John Dewey’s Educational Philosophy in
International Perspective. A New Democracy for the Twenty–First Century, Southern
Illinois University Press, Carbondale 2009.
144
Cfr. Balboni P.E., Parole comuni, culture diverse. Guida alla comunicazione
interculturale, Venezia, Marsilio 1999.
145
Cfr., in particolare, gli ultimi esiti delle ricerche di Jerome Bruner (J. Bruner, La ricerca
del significato, Bollati Boringhieri, Torino 1992; Id. La cultura dell’educazione, Feltrinelli,
Milano 2000) e di H. Gardner, Educazione e sviluppo della mente. Intelligenze multiple e
apprendimento, Erickson, Trento 2005 e Verità, bellezza e bontà. Educare alla virtù nel
Ventunesimo secolo, Feltrinelli, Milano 2011
70
Tra questi il valore formativo attribuito all'apprendimento linguistico, la
peculiarità della trasversalità della lingua, l'educazione linguistica intesa
come processo di formazione della personalità del soggetto che apprende, la
dimensione culturale e interculturale insita in essa. Tali princìpi sono, senza
ombra di dubbio alcuno, strettamente in relazione con le finalità e con gli
obiettivi generali propri dell‟insegnamento e dell'apprendimento di una
seconda lingua.
All‟interno dell‟attuale contesto multiculturale per apprendere la lingua
inglese, al pari delle altre lingue straniere, occorre collocarsi nell'ambito di
una educazione linguistica che abbia come obiettivo principale non solo il
raggiungimento di competenze specifiche formali, strutturali e funzionalinozionali che ovviamente stanno diventando un patrimonio
dell‟insegnamento della lingua inglese anche all‟interno di altri contenuti
disciplinari 146, ma, soprattutto, che sia capace di offrire all'alunno strumenti
cognitivi e didattici
utili all‟acquisizione, graduale, di una buona
competenza comunicativa (soprattutto alla luce della globalizzazione).
Occorre sottolineare che entrare in contatto con una lingua ed una cultura
diverse da quella d‟origine ricopre un ruolo fondamentale nella formazione
del soggetto/persona in quanto il traguardo da raggiungere per
l‟insegnamento di una qualunque lingua moderna, è caratterizzato da due
elementi fondamentali che ricadono uno nell‟ambito puramente linguisticostrutturale e, l‟altro, in quello culturale.
Pertanto, l‟apprendimento di una seconda lingua coinvolge la persona nella
sua totalità indirizzandola verso una conoscenza “globale” del mondo
all‟insegna di una piena prospettiva interculturale.
Il nativo acquisisce molti aspetti (comportamenti, espressioni, ecc.) culturali
dalla società di appartenenza e, spontaneamente, li riflette nel modo di
esprimersi, negli atteggiamenti e nella lingua di cui fa abitualmente uso;
ogni cultura, infatti, è intrinsecamente legata alla lingua attraverso la quale
ne è espressione.
In ambito scolastico, come si è più volte sottolineato nel corso di questo
lavoro, l‟alunno ha il primo contatto con una cultura diversa dalla propria;
ciò, infatti, avviene proprio grazie all'insegnamento di una seconda lingua.
Diviene fondamentale, pertanto, all‟interno della didattica dell'insegnamento
146
Cfr. T. Barbero, J. Clegg, Progettare percorsi CLIL, Carocci, Roma 2005
71
della lingua inglese, promuovere la comprensione interculturale ribadendo
l‟importanza degli aspetti verbali necessari per l‟uso corretto e accurato
della lingua straniera, senza tralasciare in alcun modo gli aspetti affettivi,
emotivi e culturali che, appunto, caratterizzano la lingua nell‟apprendimento
in situazione naturale.
La narrazione è uno degli strumenti essenziali di cui il gruppo e la cultura
di appartenenza dispone per formare l‟identità culturale della persona che
viene accolta nella comunità così da farla diventare, a pieno titolo, membro
effettivo di essa. La narrazione può essere utilizzata come stimolo per
cogliere affinità nei tanti modi diversi di vivere le stesse esperienze anche
tra contesti molto lontani. È per questo che la capacità di fruire e produrre
narrazioni è ritenuta una conquista fondamentale non solo a livello
cognitivo ma anche sociale147.
I racconti rappresentano, in tale prospettiva, una risorsa preziosa in quanto
propongono tematiche motivanti e coinvolgenti dal punto di vista affettivoemozionale; inoltre stimolano la curiosità e l'interesse verso altri Paesi e
altre culture. Venire a contatto con un racconto arricchisce l'immaginario di
tutti (piccoli e grandi) popolandolo di nuovi personaggi, di fantasie, di
informazioni sul mondo; può contribuire a costruire ponti tra le diversità,
significati condivisi: in definitiva costruire nuova cultura.
Insegnare la lingua attraverso la narrazione di storie significa presentare la
lingua straniera in un contesto ricco e significativo, autentico e reale;
significa, anche, incoraggiare gli studenti a conoscere il mondo e capirlo,
stimolarli all'ascolto ricavandone insieme piacere e competenza.
L'ascolto è proprio una dimensione congenita della letteratura che si offre
ricchissima a chi voglia usufruirne e che rompe tutti i vincoli spaziotemporali, al di là dei propositi e delle aspettative di quanti la realizzano.
In tale prospettiva, l'educazione letteraria a scuola rappresenta un potente
veicolo per decolonizzare un immaginario ancora fortemente italocentrico
ed eurocentrico, incapace, cioè, di conoscere e di sentire l'altro non come
una minaccia ma come occasione di nuovi scambi.
La scuola deve promuovere una concezione della letteratura intesa come
studio dell'uomo e della condizione umana, come strumento per conoscere
meglio se stessi e il mondo, come modo per vivere più consapevolmente e
147
Cfr. D. Demetrio, Educare è narrare. Le teorie, le pratiche, la cura, Mimesis, Milano
2013
72
intensamente. La letteratura costituisce per ciascuno di noi una grande
occasione di comprensione e di trasformazione; la sua valenza educativa,
perciò, è decisamente insostituibile. Porre l‟animazione alla base degli
interventi educativi da realizzare nell‟attuale contesto migratorio, diviene
più che mai fondamentale al fine di poter realizzare progetti migratori
elaborati dai singoli così da contribuire ad un più ampio piano di
rinnovamento democratico della società, nonché di consentire alla persona
di acquisire la consapevolezza di quanto la sua scelta di migrare influisca
sui sistemi sociali di riferimento.
La narrazione, quindi, aiuta a definire l‟educazione linguistica degli studenti
proprio attraverso un‟opera di animazione culturale e di coscientizzazione.
Per quanto ampio sia lo spettro dei suoi significati, con il termine
“animazione” s‟intende in genere un insieme di pratiche sociali finalizzate
alla coscientizzazione nei singoli, nei gruppi, nelle comunità del proprio
potenziale creativo, al riconoscimento degli spazi e delle possibilità di
essere propositivi per una vita personale e sociale più attiva e gratificante.
Il termine “coscientizzazione” richiama immediatamente Paulo Freire.
Infatti, l‟elemento centrale della pedagogia di questo grande educatore è il
concetto di educazione come “pratica democratica, emancipatrice,
liberatrice e dialettica” fondata sulla critica, “tratto fondamentale della
mentalità e delle forme di vita democratica, in opposizione alle forme di vita
“nude”, quiete e semplici. Essa intende formare i cittadini in modo attivo,
dialogico e valutativo, con lo scopo di farli diventare comunicativi, umili,
amorevoli, autocritici, inquieti.
Prendere coscienza significa “distanziarsi” dagli oggetti, presupporre la
percezione in relazione ad altri oggetti, imparando quella decodificazione
delle contraddizioni sociali, politiche ed economiche che consente
all‟individuo di attivarsi contro i reali fattori di oppressione – parte
essenziale di una lettura critica148.
In tale prospettiva, il coinvolgimento di un numero sempre più ampio di
persone nei progetti di promozione sociale, per quanto necessario, non è
tuttavia sufficiente. Se si vogliono rinvigorire i sistemi democratici del
Ventunesimo secolo, occorre avere attenzione non solo per la quantità della
148
L‟animazione e la coscientizzazione sono esiti inevitabili dell‟approccio pedagogico
narrativo per costruire una educazione linguistica aperta all‟interculturalità. Cfr. G. Pezza,
Paulo Freire e la comunicazione partecipativa-transazionale, Aracne, Roma 2009
73
partecipazione ma, anche, per la sua qualità: solo così si può sperare che i
singoli siano effettivamente nelle condizioni di esercitare una doppia
cittadinanza ed, anche, che i gruppi siano veramente in grado di esprimere al
massimo le proprie potenzialità.
D‟altra parte, la semplice conoscenza ed adesione ad un progetto politico
internazionale, senza la possibilità di incidere sulla realtà circostante, non
solo servirebbe a poco (come tanti, e non solo immigrati, constatano quando
la loro “coscienza” non riesce a tradursi in azione politica), ma rischierebbe
addirittura di rendere più dolorosa l‟esperienza dell‟emigrazione, sommando
alla nostalgia per ciò che si è lasciato (col suo strascico di rimpianti) anche
un senso di frustrazione per la propria impotenza di fronte a ingiustizie del
mondo che si sono sperimentate direttamente.
Nel contesto delle migrazioni gli sforzi maggiori in prospettiva educativa
dovranno essere rivolti al rafforzamento delle capacità dei soggetti di
partecipare (e con un ruolo attivo) alla vita politica, sotto la spinta delle
proprie esigenze ma, anche, tenendo salda l‟idea di una persona considerata
come perno e fine dello sviluppo: questa è la via da percorrere non solo per
accrescere gli effetti positivi che le migrazioni producono ma, anche, per
rendere credibile l‟obiettivo di un‟accoglienza dei migranti non assimilante,
non omologante e rispettosa e attenta al valore dell‟alterità.
Affinché ciascuno possa accrescere la possibilità di meglio controllare la
propria vita, l‟azione educativa deve partire da un‟analisi dei reali bisogni
degli immigrati per definire l‟offerta educativa in risposta ad un‟effettiva
domanda. Ciò non significa che la ricerca sui bisogni e sulle domande di
formazione debba svolgersi necessariamente prima di tutto il resto giacché,
com‟è noto, nel corso della stessa attività progettuale di dettaglio potrebbero
emergere indicazioni utili a ridisegnare il tracciato iniziale.
Focalizzare l‟attenzione sull‟analisi dei bisogni vuol dire, piuttosto,
distanziarsi da quegli approcci che enfatizzano la sequenzialità delle fasi e
privilegiare modelli di intervento flessibili, aperti e caratterizzati dalla
variabilità delle soluzioni didattiche adottate.
Francesco Susi ha osservato che chi ritiene di dover cominciare da un
ascolto attivo per la rilevazione dei bisogni formativi e culturali dei migranti
non può trascurare due considerazioni: la prima concerne il fatto che non
74
necessariamente vi è coincidenza fra domanda di formazione e bisogno di
formazione149.
La capacità di esprimere una domanda può definirsi, infatti, un attributo di
status: più istruzione si è ricevuta in età giovanile e più si è in grado in età
adulta non solo di formulare una domanda di formazione ma, anche, di
utilizzare l‟offerta formativa esistente. I soggetti che, al contrario, vivono in
condizioni economicamente e culturalmente sfavorite, da un lato hanno
difficoltà a tradurre i loro bisogni in una domanda esplicita, dall‟altro sono
meno capaci di profittare delle opportunità formative già disponibili; “ciò è
sempre vero, ma lo è particolarmente quando si tratta di immigrati a cui i
problemi si presentano in forme aggravate a causa del loro isolamento, della
limitata padronanza della lingua del Paese ospite, della scarsità di
informazioni, dell‟insufficiente conoscenza dei servizi e del loro
funzionamento”150.
La seconda considerazione riguarda l‟azione da svolgere per rendere il
migrante non più beneficiario e fruitore passivo di una formazione decisa
per lui da altri ma soggetto in grado di definire, domandare e contrattare
esso stesso la formazione di cui necessita. Infatti, se i bisogni di formazione
sono definiti da un estraneo, può accadere che l‟offerta formativa non venga
utilizzata da coloro per i quali è stata concepita o che, nel caso in cui anche
se ne approfitti, essa non si dimostri capace di suscitare e sostenere strategie
attive di inserimento.
In definitiva la sfida pedagogico-didattica dell‟insegnamento della
lingua Inglese deve necessariamente confrontarsi con le problematiche della
narrazione-coscientizzazione, che permettono una valorizzazione
dell‟educazione linguistica che non deve diventare un aspetto settoriale della
formazione del soggetto-persona, ma deve esprimere una dimensione più
ampia della formazione in prospettiva interculturale.
149
Cfr. F. Susi, I bisogni formativi e culturali degli immigrati stranieri. La ricerca-azione
come metodologia educativa, Franco Angeli, Milano 1991
150
Ivi, p. 165
75
Conclusioni
Educare alla politica in contesto migratorio obbliga a prendere le distanze da
una riproposizione acritica e ripetitiva di modelli che tendono a ribadire
un‟immagine riduttiva dello straniero, ritenuto frequentemente come un
errante, un soggetto da assistere, un portatore di bisogni essenziali ed
adottare, piuttosto, strategie d‟intervento che riescano a mettere ognuno
nella condizione di esprimere le proprie potenzialità e di realizzare il proprio
personale progetto di vita.
Si profila, quindi, un‟educazione alla politica – parte integrante
dell‟educazione alla democraticità – che, facendo leva sull‟essenziale
socialità dell‟uomo e sulla sua naturale spinta ad aggregarsi, s‟impegna a
mettere ciascun migrante nelle condizioni di fare della propria presenza
un‟occasione di doppia partecipazione responsabile, pur con tutti i
condizionamenti, alla costruzione del bene comune sia nel paese d‟origine
sia in quello di arrivo.
In tale prospettiva, e con riferimento alle possibili iniziative da prendersi,
assumono rilievo fondamentale la formazione linguistica e la formazione
professionale dei migranti concepite non come forme di acculturazione
forzata poste in essere da un sistema socio–economico che si mostra
disattento verso i singoli profili personali, ma come specifiche forme di
sostegno all‟esercizio di diritti umani fondamentali.
Sin dal primo momento in cui arriva in un nuovo Paese, per l‟immigrato è
forte il bisogno di comunicare, capire ed essere capito, di orientarsi in
luoghi molteplici e sconosciuti e misurarsi con codici linguistici diversi, ed
76
egli sente di avere bisogno di un apprendimento funzionale innanzitutto alla
sopravvivenza e successivamente al sostegno del proprio progetto
migratorio.
Paradossalmente l‟insegnamento della lingua e della cultura inglese, ritenuto
un insegnamento di una lingua globale standard e omologante può essere un
valido aiuto alle politiche dell‟integrazione interculturale.
Infatti, apprendere significa poter disporre di fonti educative formali o
informali e di mezzi per ricercare e accedere alle fonti stesse, così come di
intermediazioni che, da una prima facilitazione educativa, sviluppino una
pluralità di opportunità formative non più solamente legate al bisogno di
sopravvivere, ma alla conquista di un‟identità sociale meno precaria, a
progetti di promozione professionale ed economica.
Nelle prime fasi di permanenza all‟estero, i migranti tendono, generalmente,
a soddisfare le esigenze primarie accettando offerte di lavoro che non
richiedono molte competenze linguistiche (lavoro nei ristoranti, nel
commercio ambulante, nell‟agricoltura, ecc.), che non forniscono garanzie
di nessun tipo e che spesso si svolgono nelle forme del lavoro nero. Essi
trovano invece nella rete di solidarietà dei connazionali il sostegno (anche
affettivo) di cui hanno bisogno.
Ciò tende a strutturare la loro vita intorno a due distinti poli: da una parte i
connazionali, gli amici, i legami con la lingua e il paese d‟origine; dall‟altra
il lavoro (nelle sue forme spesso più ingiuste e insopportabili), gli obblighi
burocratici, la lingua del paese di residenza. Per conseguenza gli strumenti
linguistici di cui possono disporre assumono connotazioni ben presto
differenti: la lingua materna diviene la “lingua degli affetti”, della vita
privata e dell‟appartenenza; mentre la lingua seconda quella “dei doveri”,
della vita pubblica, burocratica, senza connotazioni affettive.
Per evitare che l‟apprendimento linguistico sfoci in una precoce
fossilizzazione, attestandosi su livelli conoscitivi elementari che
impedirebbero un vero incontro con gli altri ed un effettivo inserimento,
bisogna predisporre le condizioni opportune affinché le capacità espressive
del migrante continuino a migliorare nel tempo. Gli approcci metodologici
utilizzabili nell‟insegnamento della seconda lingua (adatti agli alunni nella
scuola ma utili anche per gli adulti stranieri appena arrivati) possono essere
raggruppati – come è stato molto precisamente osservato – in due grandi
ordini, comunicativi e grammaticali. I primi definiscono gli obiettivi, le
tecniche d‟insegnamento, la valutazione degli apprendimenti con
77
riferimento alla capacità da parte di chi apprende di comunicare messaggi e
di usare la seconda lingua per interagire efficacemente in situazioni reali; i
secondi, invece, delineano gli obiettivi, le proposte didattiche e la
valutazione dei progressi a partire da categorie quali l‟accuratezza della
forma e l‟aderenza alle regole.
In effetti più che il rigido riferimento a una sola impostazione metodologica
integralmente applicata, sembrano funzionare meglio le scelte
glottodidattiche che compongono i diversi approcci in un percorso eclettico,
un metodo composito, così come lo sono le esigenze degli apprendenti e che
deve inoltre adattarsi alle strategie e alle modalità di apprendimento
individuali, dato che ognuno impara seguendo cammini, mete e tempi
diversi151.
Ciò che vale per la formazione linguistica si mostra utile anche per la
partecipazione dei migranti ai corsi di formazione professionale, che sono
volti all‟inserimento nel mondo del lavoro e che svolgono un ruolo di primo
piano nel processo di inclusione sociale dei soggiornanti di diversa
nazionalità. Come ha rilevato tra i primi Paolo Mottana, la formazione
professionale riguarda “un tipo di intervento non soltanto finalizzato a
preparare ad un mestiere” ma qualcosa che va oltre, che deve
necessariamente tendere a soddisfare i bisogni di comunicazione e di
orientamento al lavoro nonché di inserimento sociale degli immigrati”152.
La formazione professionale non ha funzione meramente strumentale né va
considerata come una semplice trasmissione di pratiche di routine, ma va
esperita nell‟intento di una dilatazione sempre possibile di campi
d‟esperienza più vivibili e più sensati. Infatti, si è osservato che “se le
strutture formative […] non fossero altro che degli adattatori sociali,
fallirebbero in partenza il loro compito […]. Viviamo in un mondo che
richiede flessibilità adattiva, non una forma rigida capace di incastrarsi in
quell‟unico ambiente dal quale finisce col dipendere in modo vitale”153.
Promuovere e sostenere l‟opportunità di un intervento formativo che riesca
per il possibile ad evitare il pericolo di appiattimento sui bisogni socio–
151
Cfr. G. Favaro, Insegnare l’italiano agli alunni stranieri, La Nuova Italia, Milano 2002
152
R. Massa, P. Mottana, A. Rezzara, La migrazione educativa. Extracomunitari e
formazione, Unicopli , Milano 2006, p. 193.
153
ivi p. 203
78
economici contingenti non significa, però, sollecitare iniziative indipendenti
da qualsiasi obiettivo realistico di inserimento lavorativo degli immigrati;
gli interventi devono in ogni caso risultare coerenti non soltanto con le
domande dei singoli, ma anche con quelle della società e del suo comparto
produttivo.
Ne deriva che, se da un lato la progettazione formativa deve muovere da
un‟attenta considerazione delle caratteristiche della domanda degli
immigrati stranieri – riferendosi segnatamente alla disponibilità di tempo e
al tipo di progetto migratorio – dall‟altro essa richiede un‟approfondita
analisi degli sbocchi occupazionali e delle opportunità offerte dal mercato
del lavoro.
Senza dimenticare che bisogna impegnarsi affinché il background culturale
ed esperienziale del migrante sia adeguatamente considerato; la
valorizzazione delle singole soggettività si configura, ancora una volta,
come la sola metodologia educativa capace di riconfermare l‟uomo nella sua
identità di soggetto protagonista e nel suo diritto ad essere il principale
beneficiario dello sviluppo. Lo sviluppo umano è un processo che tende ad
allargare le possibilità offerte agli individui. In linea di massima, queste
possibilità possono essere illimitate e possono cambiare nel tempo. Ma in
tutti i livelli dello sviluppo, le tre possibilità essenziali per l‟individuo sono
le seguenti: condurre una vita lunga e sana, acquisire conoscenze ed avere
accesso alle risorse necessarie per un decoroso livello di vita. Se non sono
disponibili queste possibilità, molte altre rimangono inaccessibili.
In questa dimensione l‟insegnamento della lingua e della cultura inglese
costituisce un aiuto fondamentale all‟intervento complessivo di una
progettazione educativa e formativa sul migrante e anche sullo studente
standard per permettere autentici processi di integrazione culturale.
Come ho cercato di chiarire in queste pagine, infatti, l‟insegnamento della
lingua inglese può risultare fondamentale per favorire una comunicazione
linguistica complessiva interculturalmente fondata e, quindi, possibilità di
realizzazione di uno spazio democratico della scuola e dell‟educazione.
Rilanciare, quindi, l‟insegnamento della lingua e della cultura inglese non
significa determinare un processo di omologazione culturale, ma al
contrario favorire un processo di integrazione interculturale proprio perché
il medium linguistico inglese per la sua diffusione globale permette una
comunicazione linguistica e culturale profonda tra diversi e permette la
79
possibilità di co-costruire dal basso dimensioni sempre più significative e
dense di possibilità democratiche di cooperazione.
L‟inglese può essere considerato una lingua fondamentale per l‟intercultura
e per la costruzione di una democrazia culturale e politica per il XXI secolo.
80
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