DSA Neuroscienze Seminario di formazione La Dislessia Evolutiva Trattamenti a confronto Portopalo di Capo Passero Teatro comunale 13 Aprile 2013 La comorbilità con ADHD: il trattamento cognitivo complesso Il Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività La più recente descrizione del Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività è contenuta nel DSM-IV TR, secondo il quale, per poter porre diagnosi di DDAI, un bambino deve presentare almeno 6 sintomi per un minimo di sei mesi e in almeno due contesti; inoltre, è necessario che tali manifestazioni siano presenti prima dei 7 anni di età e soprattutto che compromettano il rendimento scolastico e/o sociale. Se un soggetto presenta esclusivamente 6 dei 9 sintomi di disattenzione, viene posta diagnosi di DDAI - sottotipo disattento; se presenta esclusivamente 6 dei 9 sintomi di iperattività-impulsività, allora viene posta diagnosi di DDAI - sottotipo iperattivo-impulsivo; se il soggetto presenta entrambe le problematiche, allora si pone diagnosi di DDAI - sottotipo combinato. I 18 sintomi presentati nel DSM-IV sono gli stessi contenuti nell’ICD-10 (OMS, 1992), l’unica differenza si ritrova nell’item (f) della categoria iperattività-impulsività (Parla eccessivamente) che, secondo l’OMS, è una manifestazione di impulsività e non di iperattività. Criteri diagnostici per il Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività DSM- IV TR A. Entrambi (1) o (2): (1) sei (o più) dei seguenti sintomi di Disattenzione che persistano per almeno 6 mesi con un’intensità che provoca disadattamento e che contrasta con il livello di sviluppo: Disattenzione (a) spesso non riesce a prestare attenzione ai particolari o commette errori di distrazione nei compiti scolastici, sul lavoro, o in altre attività; (b) spesso ha difficoltà a mantenere l’attenzione sui compiti o sulle attività di gioco; (c) spesso non sembra ascoltare quando gli si parla direttamente; (d) spesso non segue le istruzioni e non porta a termine i compiti scolastici, le incombenze, o i doveri sul posto di lavoro (non a causa di comportamento oppositivo o di incapacità di capire le istruzioni); (e) spesso ha difficoltà ad organizzarsi nei compiti e nelle attività; (f) spesso evita, prova avversione, o è riluttante ad impegnarsi in compiti che richiedono sforzo mentale protratto (come compiti a scuola o a casa); (g) spesso perde gli oggetti necessari per i compiti o le attività (per es., giocattoli, compiti di scuola, matite, libri o strumenti); (h) spesso è facilmente distratto da stimoli estranei; (i) spesso è sbadato nelle attività quotidiane. Criteri diagnostici per il Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività DSM- IV TR (2) sei (o più) dei seguenti sintomi di Iperattività-Impulsività sono persistiti per almeno 6 mesi con una intensità che causa disadattamento e contrasta con il livello di sviluppo: Iperattività (a) spesso muove con irrequietezza mani o piedi o si dimena sulla sedia; (b) spesso lascia il proprio posto a sedere in classe o in altre situazioni in cui ci si aspetta che resti seduto; (c) spesso scorrazza e salta dovunque in modo eccessivo in situazioni in cui ciò è fuori luogo (negli adolescenti o negli adulti, ciò può limitarsi a sentimenti soggettivi di irrequietezza); (d) spesso ha difficoltà a giocare o a dedicarsi a divertimenti in modo tranquillo; (e) è spesso “sotto pressione” o agisce come se fosse “motorizzato”; (f) spesso parla troppo. Criteri diagnostici per il Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività DSM- IV TR Impulsività (g) spesso “spara” le risposte prima che le domande siano state completate; (h) spesso ha difficoltà ad attendere il proprio turno; (i) spesso interrompe gli altri o è invadente nei loro confronti (per es., si intromette nelle conversazioni o nei giochi). B. Alcuni dei sintomi di iperattività-impulsività o di disattenzione che causano compromissione erano presenti prima dei 7 anni di età. C. Una certa menomazione a seguito dei sintomi è presente in due o più contesti (per es., a scuola (o al lavoro) e a casa). D. Deve esservi una evidente compromissione clinicamente significativa del funzionamento sociale, scolastico, o lavorativo. E. I sintomi non si manifestano esclusivamente durante il decorso di un Disturbo Pervasivo dello Sviluppo, di Schizofrenia, o di un altro Disturbo Psicotico, e non risultano meglio attribuibili ad un altro disturbo mentale (per es., Disturbo dell’Umore, Disturbo d’Ansia, Disturbo Dissociativo, o Disturbo di Personalità). Codificare in base al tipo: F90.0 Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività, Tipo Combinato [314.01]: se entrambi i Criteri A1 e A2 sono risultati soddisfatti negli ultimi 6 mesi. F98.8 Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività, Tipo con Disattenzione Predominante [314.00]: se il Criterio A1 è risultato soddisfatto negli ultimi 6 mesi, ma non il Criterio A2. F90.0 Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività, Tipo con Iperattività-Impulsività Predominanti [314.01]: se il Criterio A2 è risultato soddisfatto negli ultimi 6 mesi, ma non il Criterio A1. Note per la codificazione Per i soggetti (specie adolescenti e adulti) che al momento hanno sintomi che non soddisfano più pienamente i criteri, si dovrebbe specificare “In Remissione Parziale” Il Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività La caratteristica fondamentale del Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività consiste in una persistente modalità di disattenzione e/o iperattivitàimpulsività che è più frequente e più grave di quanto si osserva tipicamente in soggetti ad un livello di sviluppo paragonabile (Criterio A). Sebbene molti dei soggetti abbiano sintomi sia di disattenzione sia di iperattività-impulsività, vi sono alcuni soggetti in cui predomina o l’una o l’altra caratteristica. Più nello specifico il disturbo è caratterizzato da tre sintomi: Inattenzione Impulsività Instabilità motoria Ciascun sintomo può comparire da solo oppure associato agli altri due. In tal senso si distingue la forma mista (compresenza di tutti e tre i sintomi), la forma di “inattenzione pura” (senza iperattività né impulsività) e la forma “iperattività-impulsività pura” (senza inattenzione). Il Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività In ambito clinico persiste ancora una certa difficoltà nel porre diagnosi di ADHD. Tuttavia numerosi sono i bambini che manifestano le caratteristiche della sindrome in assenza di altri problemi di personalità e/o di disordini pervasivi dello sviluppo e che generalmente non vengono trattati da un punto di vista terapeutico. I clinici dello sviluppo sono orientati a valutare le difficoltà di disattenzione e/o iperattività come reazioni a situazioni scolastiche (ad esempio insegnanti severi o rigidi nelle richieste) o familiari (ad esempio genitori poco in grado di procrastinare la soddisfazione di un bisogno e con un basso livello di tolleranza rispetto a comportamenti non appropriati alle circostanze). I bambini con ADHD presentano adeguate risorse cognitive ed affettive, raramente diventano aggressivi con coetanei e con gli adulti e si rendono conto delle conseguenze a cui vanno incontro quando non riescono ad autocontrollarsi. Il Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività Dal momento che l’attenzione è una funzione cognitiva indispensabile per le attività quotidiane, la presenza di un suo disturbo nel bambino determina gravi conseguenze a vari livelli e in vari ambiti: Comportamentale Emotivo Problemi nel linguaggio, nella scrittura o nelle competenze matematiche Irrequietezza motoria eccessiva Scarsa autostima Insuccessi scolastici Assenza di motivazione Difficoltà relazionali In tal senso è fondamentale una diagnosi precoce. Sei capacità attenzionali più colpite Lo psicologo americano Thomas Brown descrive sei funzioni relative all’attenzione coinvolte nell’ADHD. Organizzazione e pianificazione: capacità di prefissarsi delle priorità, di organizzarle e di attuare un piano per realizzarle. Il bambino con Disturbo da Deficit di Attenzione /Iperattività palesa difficoltà nell’elaborare una strategia o nel conservarla nel tempo. In compenso si appropria di metodi proposti da terze persone senza difficoltà. Selettività e flessibilità mentale: capacità di fissare l’attenzione su qualcosa e di mantenerla, ma anche capacità di cambiare focus per adattarsi a nuovi obiettivi. Un deficit di focalizzazione comporta numerose dimenticanze nella vita quotidiana, che concernono gli appuntamenti, la cartella, i vestiti, gli strumenti scolastici e le scadenze. Ad esempio nell’eseguire un esercizio il bambino dimentica o trascura informazioni importanti. Inoltre la difficoltà ad adattarsi ai cambiamenti genera rigidità mentale. Regolazione emotiva: nei bambini con DDAI manca la capacità di autoregolazione dei sentimenti positivi e negativi, che, per tale motivo, possono esprimersi secondo modalità eccessive. È anche palese una certa intolleranza alla frustrazione. Un approccio educativo al contempo autorevole ed amorevole è fondamentale per contenere tale deficit. Sei capacità attenzionali più colpite Reattività: le risorse attenzionali scemano troppo rapidamente nel corso del tempo, determinando errori od omissioni. Da queste dimenticanze derivano spesso una diminuzione della reattività ed un aumento dei tempi di reazione, in particolare durante un compito proposto in classe. Sorveglianza e regolazione dell’azione: il deficit nell’attenzione e la mancanza di inibizione in questi bambini spiegherebbe la loro incontenibile tendenza a muoversi e ad essere precipitosi. L’instabilità motoria si manifesta anche con una serie di movimenti involontari: il bambino si contorce sulla sedia, tocca gli oggetti che gli capitano a tiro, non riesce a stare seduto a lungo nello stesso posto. L’impulsività si esprime con una tendenza a non riflettere prima di agire: il bambino non aspetta il suo turno nelle conversazioni, risponde ad una domanda non ancora formulata per intero, interrompe gli altri mentre parlano. Mette in atto azioni senza prevederne le conseguenze. Memoria di lavoro: la memoria di lavoro è deputata a conservare una piccola quantità di informazioni nella memoria immediata e simultaneamente ad elaborarla. Essa dipende dal livello di attenzione ed è basilare nell’apprendimento. Il bambino con DDAI immagazzina meno informazioni durante la lezione, ma può anche sembrare che dimentichi ciò che impara facendo i compiti. Ciò fa sì che il bambino, a torto, venga accusato di non avere studiato. ADHD e teorie esplicative Sandberg (1996), in merito all’argomento, ha proposto le quattro teorie maggiormente avvalorate che tentano di spiegare il DDAI: Un deficit delle funzioni esecutive (Barkley, 1994; 1997; Schachar, 1995), che potrebbe spiegare le difficoltà attentive, in particolare quando viene richiesto al soggetto di modificare le modalità di elaborazione delle informazioni, e l’impulsività quando è richiesto dal contesto di inibire una risposta. Un’eccessiva sensibilità ai rinforzi (Sonuga-Barke et al., 1992; Douglas e Parry, 1994), che si esplicita nella difficoltà ad attendere una gratificazione: l’attesa costituisce un vissuto molto sgradevole per i bambini con DDAI. Il deficit motivazionale (Barkley, 1994; Van der Meere, 1998), che spiegherebbe le difficoltà attentive: in realtà, secondo questo approccio, i bambini con DDAI non presterebbero attenzione a quelle attività e a quei compiti che non suscitano in loro alcun interesse. Un deficit nella regolazione degli stati fisiologici (Sergeant e Van der Meere, 1988) che determinerebbe una serie di fallimenti nell’output delle elaborazioni cognitive, così come nella decisione e nell’organizzazione di risposte comportamentali. Rinforzi esterni e conseguenze negative dei comportamenti possono contenere tali deficit. In linea con tali modelli è fondamentale sottolineare il RUOLO DELLA MEDIAZIONE VERBALE nell’AUTOREGOLAZIONE Già Lurija (1961) e Vygotskij (1962) identificarono una modalità di apprendimento dell’autocontrollo comportamentale da parte del bambino tramite la verbalizzazione delle istruzioni: inizialmente i genitori, tramite una serie di comandi, orientano il comportamento del figlio già a partire dai 3 anni. Successivamente le istruzioni vengono fatte proprie dal bambino ed espresse ad alta voce. Infine, attraverso la crescita, i comandi dei genitori vengono interiorizzati e, tramite una sorta di discorso subvocale, il bambino acquisisce la capacità di orientare il proprio comportamento autonomamente. Nel DDAI, invece, si verificherebbe: un mancato apprendimento di tali abilità. Il bambino non presta l’opportuna attenzione alle istruzioni fornite dai genitori. Tali istruzioni, quindi, non vengono interiorizzate. Il bambino, così, non riesce a sviluppare la necessaria “autoregolazione” del proprio comportamento. ADHD e sintomi secondari Purtroppo i soggetti con DDAI o con altri problemi di comportamento palesano anche altri sintomi che definiamo secondari, derivanti dall’interazione tra le caratteristiche patognomoniche del disturbo con l’ambiente sociale e con quello scolastico. Per quanto concerne gli aspetti relazionali, Pelham e Millich (1984) sostengono che i genitori, gli insegnanti e gli stessi coetanei ritengono che i ragazzi con DDAI presentano alcune difficoltà in ambito sociale, con particolare riferimento alle relazioni interpersonali. Da molti studi in ambito sociometrico è emerso che i bambini con DDAI ricevono minori apprezzamenti e maggiori rifiuti dai loro compagni di scuola o di gioco. Spesso, infatti, questi bambini vengono rifiutati dai loro coetanei perché non riescono a rispettare le regole di comportamento e quelle dei giochi di gruppo. Per tali motivi spesso si presentano in concomitanza tratti oppositivi e provocatori, responsabili di diversi fallimenti in ambito scolastico e sociale. I ragazzi che palesano comportamenti di DDAI + aggressività: più a rischio nello sviluppo di: Comportamenti devianti Problemi con la giustizia Abuso di sostanze stupefacenti ADHD e variabilità del comportamento Secondo Barkley (1997), nel tentativo di spiegare il DDAI ogni teoria deve tenere conto delle fluttuazioni nelle prestazioni di questi bambini. In particolare l’Autore cita 6 fattori in grado di spiegare la variabilità nel comportamento di questi bambini: il momento della giornata o la fatica accumulata durante il giorno. L’incremento della complessità del compito che richiede l’applicazione di più sofisticate strategie. L’aumento dei limiti e dei vincoli che l’ambiente impone al comportamento del bambino. Il livello di stimolazione all’interno del setting in cui opera il soggetto. Una serie di immediate conseguenze (rinforzi o punizioni) associate al compito. La presenza di un supervisore adulto durante l’esecuzione dell’attività. Eziologia dell’ADHD A partire dalla prima descrizione, nel 1902, da parte di Still, è stata confermata l’ipotesi che il DDAI sia IN PARTE dovuto a fattori neurobiologici. Da un punto di vista biochimico, il neurotrasmettitore coinvolto nel DDAI è la DOPAMINA. Questo disturbo sembrerebbe, infatti, essere attribuibile ad un AUMENTO DEI TRASPORTATORI DELLA DOPAMINA, che è un neurotrasmettitore dello striato. L’aumento dei trasportatori dopaminergici provoca una diminuzione della dopamina extracellulare, rallentando di conseguenza la trasmissione delle informazioni neuronali in seno alle reti che collegano la corteccia allo striato, fattore questo che renderebbe meno operativa la regione prefrontale. La trasmissione nervosa mediata dalla dopamina – in concentrazione insufficiente a causa dell’eccesso dei suoi “riciclatori” – sarebbe meno efficace e le regioni frontali controllerebbero con minore efficacia l’attività delle regioni sottocorticali responsabili dei movimenti o dell’attenzione visiva. Le regioni frontali possono manifestare un cattivo funzionamento. Studi che hanno utilizzato l’imaging cerebrale hanno evidenziato una riduzione del volume totale del cervello e, in particolare: dei lobi frontali dei gangli della base (strutture che controllano il movimento) del cervelletto ADHD e problematiche psicologiche connesse I soggetti con DDAI sono più a rischio di altri di manifestare, oltre ai sintomi primari e secondari, altre problematiche psicologiche. Munir et al. (1987) hanno esaminato un campione di bambini con DDAI e hanno riscontrato le seguenti percentuali di comorbidità: disturbi della condotta: 36% disturbo oppositivo- provocatorio: 59% disturbo dell’umore: 32% tic: 32% (esclusa la sindrome di Tourette) disturbi della comunicazione: 23% encopresi: 18% ADHD ed apprendimento scolastico Secondo Lambert e Sandoval (1980) e Barkley (1981), tra il 50% e l’80% dei ragazzi con DDAI presentano DIFFICOLTÁ DI APPRENDIMENTO SCOLASTICO. Per quanto concerne i disturbi dell’apprendimento distinguiamo due sottotipi: alcuni bambini con DDAI raggiungono prestazioni di lettura del tutto paragonabili a soggetti con disturbo di lettura (APA,1995) e tali soggetti sono coloro che palesano una vera e propria comorbidità con i disturbi di apprendimento; altri soggetti con DDAI hanno raggiunto livelli di apprendimento strumentale (lettura, scrittura, calcolo) intermedi tra quelli dei soggetti con disturbi di apprendimento e quelli che non palesano problematiche scolastiche. Come intervenire? Tecniche comportamentali: l’approccio comportamentale è caratterizzato da un dettagliato assessment delle risposte problematiche e delle condizioni ambientali che le elicitano e mantengono, delle strategie per produrre un cambiamento nell’ambiente circostante e, quindi, nel comportamento dei genitori. Vengono applicate contingenze positive e negative (rinforzi o punizioni) secondo i principi del condizionamento operante. Limiti: mantenimento e generalizzazione dei risultati ottenuti. Spesso si osservano modifiche comportamentali in alcuni ambiti e non in altri (ad es., miglioramenti del comportamento a scuola, ma non a casa). Come intervenire? Trattamenti cognitivo-comportamentali: oltre alla gestione delle contingenze (rinforzi e conseguenze negative), propongono l’insegnamento di varie tecniche tra cui: le autoistruzioni verbali Il problem solving Modeling Stress inoculation training (consapevolezza e controllo delle emozioni in situazioni stressanti): il bambino viene aiutato ad auto-osservare il proprio vissuto e le proprie emozioni, soprattutto in corrispondenza di situazioni stressanti e successivamente a trovare una serie di risposte alternative appropriate al contesto ed in grado di sostituire gli atteggiamenti impulsivi ed aggressivi. Limiti: difficoltà di generalizzazione dei risultati ottenuti Un approccio secondo l’ottica biopsicosociale A partire da un’ottica biopsicosociale complessa, affinchè un intervento risulti efficace ed efficiente è di fondamentale importanza approntare un’azione multicontestuale e multimodale, in cui vengano coinvolte diverse risorse e professionalità. Ciò al fine anche di lavorare sulla scia di quanto l’Organizzazione Mondiale della Sanità afferma, per quanto concerne il concetto di benessere inteso come uno stato di benessere fisico, mentale e sociale (OMS, 1978). Un caso clinico S. è un bambino di 9 anni, frequentante la terza classe elementare. Afferisce al Ce.Cl.A. di Enna alla fine del mese di Gennaio del 2012. Il padre è un bancario in pensione; la madre lavora in banca; la sorella di S. ha 5 anni e frequenta la scuola dell’infanzia. I genitori, che hanno notato le difficoltà attentive e di irrequietezza motoria del bambino sin da piccolo, hanno atteso del tempo per verificare se tali problematiche rientrassero presto e solo nel maggio del 2011 si sono rivolti alla N.P.I. di Enna che ha diagnosticato un Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività. Un caso clinico In un’ottica biopsicosociale si è proceduto approntando un percorso di lavoro multicontestuale, nel quale sono state coinvolte, nel tempo, diverse figure professionali: un medico psichiatra: trattamento farmacologico Uno psicologo: trattamento cognitivo complesso con il bambino; Parent Training con i genitori; intervento psicoeducativo con gli insegnanti Un neuropsicologo: training neuropsicologico (seconda fase) Un musicoterapista (seconda fase) Un caso clinico La richiesta avanzata al Ce.Cl.A. dai genitori del bambino ha come obiettivo precipuo: intervenire sulle modalità comportamentali del bambino, al fine di migliorarne le capacità attentive e modificare le modalità comportamentali impulsive; essere supportati, in quanto coppia genitoriale, al fine di acquisire tecniche, strategie e modalità educative e relazionali più funzionali nella gestione del rapporto quotidiano con il figlio. Il lavoro di sostegno psicologico è stato articolato in differenti fasi: 1) ciclo di sedute domiciliari: complessivamente sono stati effettuati dodici incontri presso l’abitazione della famiglia. 2) Colloqui di sostegno alla genitorialità (Parent Training). 3) Intervento di sostegno al riconoscimento e ad una gestione funzionale delle emozioni, rivolto al bambino. 4) Incontri periodici con gli insegnanti del bambino. Un caso clinico Al fine di delineare un piano di lavoro da attuare tanto con il bambino quanto con i genitori si è ritenuto indispensabile incontrare la famiglia in un setting “protetto”, quale può essere l’abitazione: in tal modo è stato possibile effettuare un’osservazione naturale ed “in vivo” dei patterns relazionali e comportamentali sia del bambino sia degli altri componenti la famiglia. Preliminarmente all’inizio del ciclo di sedute domiciliari, è stato stipulato con i genitori ed il bambino un contratto terapeutico in cui veniva descritto il piano di lavoro previsto (orario delle sedute, strutturazione delle stesse, ruolo svolto dai genitori, descrizione del lavoro previsto con il bambino e con i genitori, ruolo svolto dall’operatore, obiettivi raggiungibili nel medio e lungo termine). Gli incontri sono stati svolti in orario serale e prevedevano la mia presenza durante la condivisione del pasto. Un caso clinico Più precisamente la struttura di ogni incontro prevedeva: una prima parte (prima di cena) è stata dedicata al lavoro con il bambino, con il quale è stato utilizzato il Mindlab Set al fine di monitorare l’attività elettrodermica (attività che risulta essere elevata nei soggetti afflitti da ADHD). Attraverso tale metodologia è stato possibile far acquisire, nel corso degli incontri, buone competenze nella autoregolazione emozionale: infatti il bambino, grazie all’ausilio dei feedback visivi ed acustici forniti dal Mindlab Set, è stato in grado di riconoscere l’elevato arousal presente e di modificarlo, facendone abbassare il valore, attuando strategie di rilassamento proposte in seduta. Il bambino, inoltre, è stato in grado di mantenere attiva l’attenzione sugli stimoli acustici e visivi forniti dal biofeedback, esperendo una condizione positiva e migliorando il livello di self-efficacy percepita. Sono state svolte anche attività di gioco con il bambino, con l’obiettivo non solo di osservare alcune funzioni cognitive, quali l’attenzione, la concentrazione e la memoria, ma anche di creare una relazione di fiducia e base sicura. Un caso clinico Un caso clinico Una seconda parte dell’incontro che prevedeva la condivisione del pasto serale, fase questa durante la quale sono state svolte prevalentemente attività osservative, in particolare nell’arco dei primi incontri, rispetto alle modalità educative e comportamentali esibite dal bambino e dai genitori. Una parte conclusiva dell’incontro, dedicata ai genitori durante la quale è stato dedicato ampio spazio alle loro richieste, fornendo loro una restituzione di ciò che emergeva e ristrutturando alcune modalità educative abitualmente messe in atto dai genitori e ritenute dagli stessi inefficaci nella gestione della relazione con il figlio. Finalità di questi momenti è stata quella di fare il punto della situazione rispetto a quanto emerso durante l’incontro e fornire ai genitori strategie e tecniche comportamentali più funzionali e nuove competenze più appropriate nell’approcciarsi alle problematiche legate all’ADHD, al fine di incentivare e migliorare il senso di selfefficacy della coppia genitoriale. Un caso clinico Dati emersi tramite l’osservazione in vivo Assenza di regole (nell’arco della settimana il pranzo e la cena non venivano mai condivisi insieme, ma in maniera caotica e in stanze che non fossero la cucina; solo il weekend, quando la madre era libera dal lavoro, si pranzava e cenava tutti insieme in cucina. Molte attività - dal fare i compiti ai momenti da dedicare al gioco - venivano svolte secondo modalità caotiche, con un atteggiamento poco autorevole e molto permissivo da parte dei genitori, che lasciavano decidere al figlio. Ciò, nel tempo, ha determinato un forte senso di frustrazione e di incompetenza nei genitori, che presentano difficoltà nel farsi ascoltare dal figlio e un forte senso di confusione anche nel bambino, in balia delle proprie emozioni ed impulsi non contenuti ed arginati in alcun modo). Scarsa direttività ed autorevolezza da parte della coppia genitoriale. Presenza di disaccordo all’interno della coppia genitoriale. Presenza di atteggiamenti denigratori nei confronti del figlio. Assenza di elogi e rinforzi positivi per le azioni e i comportamenti positivi messi in atto dal bambino. Difficoltà del bambino nell’espletare attività di routine quotidiana (addormentarsi la sera ed alzarsi la mattina, lavarsi, vestirsi, fare i compiti, riordinare la propria stanza, comportamento a tavola). Si è concordato con i genitori di cominciare a lavorare su questi elementi che fanno riferimento ad aspetti basilari della vita quotidiana e familiare. Un caso clinico Parent Training Prima di avviare un lavoro di Parent Training e per meglio impostare il percorso, sono state raccolte alcune utili informazioni. Inventario dei problemi con la famiglia: alcuni problemi coniugali da fare risalire alla nascita dei bambini (per difficoltà, come riferito dalla madre, di adattamento alla nuova situazione familiare, problemi che sussistono al giorno d’oggi, pur con mutate prospettive). I parenti (nonni, zii) non sono del tutto al corrente delle problematiche del bambino. I genitori riferiscono di avere difficoltà nelle relazioni amicali e sociali da quando sono insorti i problemi del figlio, poiché tale situazione li ha nel tempo allontanati dal network di amici. Sono state somministrate delle schede atte a valutare i pensieri e i comportamenti relativi al figlio. Ciò che è emerso riguarda: credenze negative nei confronti del proprio figlio aspettative positive nei confronti del trattamento intrapreso modalità inadeguate nel fornire istruzioni al bambino l’uso di mezzi inappropriati per controllare il comportamento (che portano molte volte allo scontro acceso con il bambino) inadeguati rinforzi positivi il prestare attenzione alle volte ai comportamenti negativi del figlio, che in tal modo vengono rinforzati l’uso di metodi disciplinari inefficaci. Un caso clinico Sono stati, inoltre, somministrati: Il questionario Parent Sense Of Competence/PSOC (Mash e Johnston, 1989, tradotto da Vio, Marzocchi e Offredi, 1999) e ribattezzato Questionario del senso di competenza dei genitori la scala SDAG (Cornoldi, Gardinale, Masi e Pettenò, 1996) per l’individuazione di comportamenti di disattenzione e iperattività del bambino. Dal questionario relativo al senso di competenza è emerso che: il padre → un senso di soddisfazione inadeguato e un senso di efficacia sufficiente la madre → un senso di soddisfazione buono e un senso di efficacia sufficiente. La scala SDAG permette di rilevare la frequenza, percepita dai genitori, delle manifestazioni di disattenzione e di iperattività/impulsività del bambino e i dati emersi, relativamente alle due dimensioni indagate, ci permettono di confermare la presenza di detti comportamenti. Un caso clinico Attraverso l’ausilio di specifiche schede è stato indagato: il modo di pensare e di agire dei genitori nei confronti del figlio le caratteristiche individuali e peculiari del bambino. Più in particolare, data la tendenza dei genitori a focalizzarsi maggiormente sugli aspetti problematici del figlio, abbiamo lavorato sull’individuazione delle qualità e le abilità del bambino, vale a dire i suoi punti di forza, ma anche i suoi punti di debolezza; tutto ciò ha consentito ai genitori di prendere realmente consapevolezza di queste peculiarità del figlio, al fine di metterli nella condizione di aiutare il bambino in modo funzionale, di essere più obiettivi nelle loro aspettative e più esortati a valorizzarne le qualità. È stata così fatta compilare a entrambi i genitori una scheda a due colonne su cui annotare tali aspetti. Un caso clinico Abbiamo anche lavorato su una adeguata contestualizzazione dei comportamenti problematici emessi dal bambino: ai genitori è stato fatto comprendere come ogni azione del bambino non si situi nel nulla, ma sempre all’interno di uno specifico contesto relazionale e sempre preceduta da un evento scatenante, definito antecedente. I genitori sono stati, così, esortati, ogniqualvolta si fosse presentato un comportamento problematico del figlio, ad individuare ed annotare per iscritto: l’evento antecedente, ritenuto in qualche misura scatenante la reazione del bambino il comportamento del bambino le conseguenze. In tal modo i genitori hanno appreso ad individuare la sequenza di eventi che possono scatenare dei problemi, sequenze consolidate presenti all’interno della famiglia che in maniera inevitabile spesso portano il bambino a palesare comportamenti inadeguati. Ciò ha consentito ai genitori di riconoscere preventivamente tali sequenze di azioni, in modo da prevedere e prevenire lo sviluppo di comportamenti problematici del figlio. Un caso clinico Tramite la compilazione di tabelle specifiche i genitori sono stati invitati ad individuare: i comportamenti lievemente negativi e quelli gravemente negativi antecedente comportamento negativo messo in atto dal bambino conseguenze reazione del bambino (gradevole o spiacevole). Utilità di tale lavoro → discernere la gravità o meno di un comportamento e considerare non solo l’antecedente scatenante, ma anche le reazioni del bambino alle conseguenze decise dai genitori. Obiettivo di tale lavoro: fornire ai genitori la possibilità di intervenire in maniera non punitiva rispetto alle azioni inappropriate del figlio, lavorando al fine di evitarne la comparsa in futuro, tutto ciò determinando un incremento della self-efficacy percepita dai genitori. Un caso clinico Strutturazione di regole I genitori sono stati invitati a compilare un inventario di nuove regole che riguardavano diversi aspetti familiari: orari e ritmi del sonno orari di alimentazione cura della propria persona gestione dei compiti scolastici gestione del proprio materiale comportamento a tavola comportamento in luoghi pubblici. I bambini, in generale, necessitano di regole da seguire per potere sviluppare in maniera autonoma la capacità di autoregolazione. In particolare i bambini afflitti da ADHD palesano difficoltà nell’autoregolazione comportamentale. Da qui la necessità di strutturare regole condivise che possano costituire una cornice di riferimento stabile grazie alla quale il bambino è in grado di distinguere le azioni da compiere in differenti frangenti e quali conseguenze, positive o negative, ne derivano. È stato molto importante fare comprendere ai genitori l’importanza e i vantaggi derivanti da un ambiente che sia prevedibile per il bambino, all’interno del quale vigono regole ben precise e stabili. Un caso clinico I rinforzi positivi Offrire elogi, approvazione e rinforzi per le azioni positive che spontaneamente il bambino emette favorisce lo stabilizzarsi di condotte positive e, quindi, desiderabili. A tale scopo sono state utilizzate delle schede sulle quali i genitori prendevano nota delle condotte positive del figlio, del tipo di gratificazione adottata dal genitore (elogi, approvazioni, momenti di gioco condiviso, segnali di approvazione verbale e non verbale) e delle reazioni del figlio. Una strategia che si è rivelata molto utile nel modificare alcune condotte del bambino e nel favorirne la messa in atto di nuove è stata la “patente a punti”: attraverso la realizzazione di un cartellone i genitori e il bambino hanno concordato una serie di comportamenti da incentivare e rinforzare con “premi” (oggetti, situazioni o contingenze che, applicate come rinforzo, favorissero il ricomparire della stessa azione). Un caso clinico Conclusosi il periodo di osservazione in vivo attuato tramite le sedute domiciliari, si è deciso, in una seconda fase, di continuare il percorso di ParentTraining attraverso incontri presso il Ce.Cl.A., mentre il bambino ha svolto un training neuropsicologico, mirato al miglioramento delle funzioni cognitive e metacognitive, curato da una collega esperta nel settore. Un caso clinico Finalità degli incontri di Parent Training: continuare il percorso di Parent Training intrapreso domiciliarmente, al fine di acquisire ulteriori competenze e strategie di coping e problem solving. Supportare la coppia coniugale e genitoriale. Interiorizzare e generalizzare gradualmente i risultati ottenuti. Le topiche sulle quali si è impostato il nuovo lavoro: - Migliorare le capacità relative all’autorevolezza e alla direttività dei genitori. - Incentivare il senso di autoefficacia percepita. - Incrementare la tolleranza alla frustrazione. Un caso clinico Al momento attuale il lavoro è focalizzato sul bambino e, più nello specifico: - migliorare le competenze sociali - Migliorare le capacità di riconoscimento e gestione funzionale delle emozioni→lavoro sulle emozioni di rabbia, tristezza, gioia, paura: diario delle emozioni - Sapere esprimere, attraverso il canale tacito, i propri vissuti ed incentivare anche le competenze di autoregolazione, oltre che di attenzione e concentrazione→ musicoterapia Un caso clinico Nell’ottica di un approccio biopsicosociale e all’insegna di un lavoro di rete efficace ed efficiente, sono stati coinvolti anche gli insegnanti del bambino con i quali si effettua un confronto continuo e periodico, al fine di creare e mantenere un terreno fertile di feedback, indispensabili per il prosieguo del lavoro. Riferimenti bibliografici American Psychiatric Association (2005), Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM- IVTR, Milano, Masson. Brown T. 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