La comorbidità con ADHD Trattamento

annuncio pubblicitario
DSA
Neuroscienze
Seminario di formazione
La Dislessia Evolutiva
Trattamenti a confronto
Portopalo di Capo Passero
Teatro comunale 13 Aprile 2013
La comorbilità con ADHD:
il trattamento cognitivo
complesso
Il Disturbo da Deficit di
Attenzione/Iperattività
La
più
recente
descrizione
del
Disturbo
da
Deficit
di
Attenzione/Iperattività è contenuta nel DSM-IV TR, secondo il quale, per
poter porre diagnosi di DDAI, un bambino deve presentare almeno 6 sintomi
per un minimo di sei mesi e in almeno due contesti; inoltre, è necessario che
tali manifestazioni siano presenti prima dei 7 anni di età e soprattutto che
compromettano il rendimento scolastico e/o sociale.
Se un soggetto presenta esclusivamente 6 dei 9 sintomi di disattenzione,
viene posta diagnosi di DDAI - sottotipo disattento;
se presenta esclusivamente 6 dei 9 sintomi di iperattività-impulsività, allora
viene posta diagnosi di DDAI - sottotipo iperattivo-impulsivo;
se il soggetto presenta entrambe le problematiche, allora si pone diagnosi di
DDAI - sottotipo combinato.
I 18 sintomi presentati nel DSM-IV sono gli stessi contenuti nell’ICD-10
(OMS, 1992), l’unica differenza si ritrova nell’item (f) della categoria
iperattività-impulsività (Parla eccessivamente) che, secondo l’OMS, è una
manifestazione di impulsività e non di iperattività.
Criteri diagnostici per il Disturbo da Deficit di
Attenzione/Iperattività DSM- IV TR
A. Entrambi (1) o (2):
(1) sei (o più) dei seguenti sintomi di Disattenzione che persistano per almeno 6 mesi con un’intensità che provoca
disadattamento e che contrasta con il livello di sviluppo:
Disattenzione
(a) spesso non riesce a prestare attenzione ai particolari o commette errori di distrazione nei compiti scolastici, sul
lavoro, o in altre attività;
(b) spesso ha difficoltà a mantenere l’attenzione sui compiti o sulle attività di gioco;
(c) spesso non sembra ascoltare quando gli si parla direttamente;
(d) spesso non segue le istruzioni e non porta a termine i compiti scolastici, le incombenze, o i doveri sul posto di
lavoro (non a causa di comportamento oppositivo o di incapacità di capire le istruzioni);
(e) spesso ha difficoltà ad organizzarsi nei compiti e nelle attività;
(f) spesso evita, prova avversione, o è riluttante ad impegnarsi in compiti che richiedono sforzo mentale protratto
(come compiti a scuola o a casa);
(g) spesso perde gli oggetti necessari per i compiti o le attività (per es., giocattoli, compiti di scuola, matite, libri o
strumenti);
(h) spesso è facilmente distratto da stimoli estranei;
(i) spesso è sbadato nelle attività quotidiane.
Criteri diagnostici per il Disturbo da Deficit di
Attenzione/Iperattività DSM- IV TR
(2) sei (o più) dei seguenti sintomi di Iperattività-Impulsività sono persistiti per almeno 6
mesi con una intensità che causa disadattamento e contrasta con il livello di sviluppo:
Iperattività
(a) spesso muove con irrequietezza mani o piedi o si dimena sulla sedia;
(b) spesso lascia il proprio posto a sedere in classe o in altre situazioni in cui ci si
aspetta che resti seduto;
(c) spesso scorrazza e salta dovunque in modo eccessivo in situazioni in cui ciò è
fuori luogo (negli adolescenti o negli adulti, ciò può limitarsi a sentimenti soggettivi di
irrequietezza);
(d) spesso ha difficoltà a giocare o a dedicarsi a divertimenti in modo tranquillo;
(e) è spesso “sotto pressione” o agisce come se fosse “motorizzato”;
(f) spesso parla troppo.
Criteri diagnostici per il Disturbo da Deficit di
Attenzione/Iperattività DSM- IV TR
Impulsività
(g) spesso “spara” le risposte prima che le domande siano state completate;
(h) spesso ha difficoltà ad attendere il proprio turno;
(i) spesso interrompe gli altri o è invadente nei loro confronti (per es., si intromette nelle conversazioni o nei giochi).
B. Alcuni dei sintomi di iperattività-impulsività o di disattenzione che causano compromissione erano presenti prima dei
7 anni di età.
C. Una certa menomazione a seguito dei sintomi è presente in due o più contesti (per es., a scuola (o al lavoro) e a
casa).
D. Deve esservi una evidente compromissione clinicamente significativa del funzionamento sociale, scolastico, o
lavorativo.
E. I sintomi non si manifestano esclusivamente durante il decorso di un Disturbo Pervasivo dello Sviluppo, di
Schizofrenia, o di un altro Disturbo Psicotico, e non risultano meglio attribuibili ad un altro disturbo mentale (per es.,
Disturbo dell’Umore, Disturbo d’Ansia, Disturbo Dissociativo, o Disturbo di Personalità).
Codificare in base al tipo:
F90.0 Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività, Tipo Combinato [314.01]: se entrambi i Criteri A1 e A2 sono
risultati soddisfatti negli ultimi 6 mesi.
F98.8 Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività, Tipo con Disattenzione Predominante [314.00]: se il Criterio
A1 è risultato soddisfatto negli ultimi 6 mesi, ma non il Criterio A2.
F90.0 Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività, Tipo con Iperattività-Impulsività Predominanti [314.01]: se il
Criterio A2 è risultato soddisfatto negli ultimi 6 mesi, ma non il Criterio A1.
Note per la codificazione Per i soggetti (specie adolescenti e adulti) che al momento hanno sintomi che non
soddisfano più pienamente i criteri, si dovrebbe specificare “In Remissione Parziale”
Il Disturbo da Deficit di
Attenzione/Iperattività
La caratteristica fondamentale del Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività
consiste in una persistente modalità di disattenzione e/o iperattivitàimpulsività che è più frequente e più grave di quanto si osserva tipicamente
in soggetti ad un livello di sviluppo paragonabile (Criterio A).
Sebbene molti dei soggetti abbiano sintomi sia di disattenzione sia di
iperattività-impulsività, vi sono alcuni soggetti in cui predomina o l’una o
l’altra caratteristica. Più nello specifico il disturbo è caratterizzato da tre
sintomi:
Inattenzione
Impulsività
Instabilità motoria
Ciascun sintomo può comparire da solo oppure associato agli altri due. In tal
senso si distingue la forma mista (compresenza di tutti e tre i sintomi), la
forma di “inattenzione pura” (senza iperattività né impulsività) e la forma
“iperattività-impulsività pura” (senza inattenzione).
Il Disturbo da Deficit di
Attenzione/Iperattività
In ambito clinico persiste ancora una certa difficoltà nel porre diagnosi di
ADHD. Tuttavia numerosi sono i bambini che manifestano le caratteristiche
della sindrome in assenza di altri problemi di personalità e/o di disordini
pervasivi dello sviluppo e che generalmente non vengono trattati da un
punto di vista terapeutico.
I clinici dello sviluppo sono orientati a valutare le difficoltà di disattenzione
e/o iperattività come reazioni a situazioni scolastiche (ad esempio
insegnanti severi o rigidi nelle richieste) o familiari (ad esempio genitori
poco in grado di procrastinare la soddisfazione di un bisogno e con un basso
livello di tolleranza rispetto a comportamenti non appropriati alle
circostanze).
I bambini con ADHD presentano adeguate risorse cognitive ed affettive,
raramente diventano aggressivi con coetanei e con gli adulti e si rendono
conto delle conseguenze a cui vanno incontro quando non riescono ad
autocontrollarsi.
Il Disturbo da Deficit di
Attenzione/Iperattività
Dal momento che l’attenzione è una funzione cognitiva indispensabile per le attività
quotidiane, la presenza di un suo disturbo nel bambino determina gravi conseguenze
a vari livelli e in vari ambiti:
Comportamentale
Emotivo
Problemi nel linguaggio, nella scrittura o nelle competenze matematiche
Irrequietezza motoria eccessiva
Scarsa autostima
Insuccessi scolastici
Assenza di motivazione
Difficoltà relazionali
In tal senso è fondamentale una diagnosi precoce.
Sei capacità attenzionali più colpite
Lo psicologo americano Thomas Brown descrive sei funzioni relative all’attenzione
coinvolte nell’ADHD.
Organizzazione e pianificazione: capacità di prefissarsi delle priorità, di organizzarle
e di attuare un piano per realizzarle. Il bambino con Disturbo da Deficit di Attenzione
/Iperattività palesa difficoltà nell’elaborare una strategia o nel conservarla nel tempo.
In compenso si appropria di metodi proposti da terze persone senza difficoltà.
Selettività e flessibilità mentale: capacità di fissare l’attenzione su qualcosa e di
mantenerla, ma anche capacità di cambiare focus per adattarsi a nuovi obiettivi. Un
deficit di focalizzazione comporta numerose dimenticanze nella vita quotidiana, che
concernono gli appuntamenti, la cartella, i vestiti, gli strumenti scolastici e le
scadenze. Ad esempio nell’eseguire un esercizio il bambino dimentica o trascura
informazioni importanti. Inoltre la difficoltà ad adattarsi ai cambiamenti genera rigidità
mentale.
Regolazione emotiva: nei bambini con DDAI manca la capacità di autoregolazione
dei sentimenti positivi e negativi, che, per tale motivo, possono esprimersi secondo
modalità eccessive. È anche palese una certa intolleranza alla frustrazione. Un
approccio educativo al contempo autorevole ed amorevole è fondamentale per
contenere tale deficit.
Sei capacità attenzionali più colpite
Reattività: le risorse attenzionali scemano troppo rapidamente nel corso del tempo,
determinando errori od omissioni. Da queste dimenticanze derivano spesso una
diminuzione della reattività ed un aumento dei tempi di reazione, in particolare durante
un compito proposto in classe.
Sorveglianza e regolazione dell’azione: il deficit nell’attenzione e la mancanza di
inibizione in questi bambini spiegherebbe la loro incontenibile tendenza a muoversi e
ad essere precipitosi. L’instabilità motoria si manifesta anche con una serie di
movimenti involontari: il bambino si contorce sulla sedia, tocca gli oggetti che gli
capitano a tiro, non riesce a stare seduto a lungo nello stesso posto. L’impulsività si
esprime con una tendenza a non riflettere prima di agire: il bambino non aspetta il suo
turno nelle conversazioni, risponde ad una domanda non ancora formulata per intero,
interrompe gli altri mentre parlano. Mette in atto azioni senza prevederne le
conseguenze.
Memoria di lavoro: la memoria di lavoro è deputata a conservare una piccola
quantità di informazioni nella memoria immediata e simultaneamente ad elaborarla.
Essa dipende dal livello di attenzione ed è basilare nell’apprendimento. Il bambino con
DDAI immagazzina meno informazioni durante la lezione, ma può anche sembrare
che dimentichi ciò che impara facendo i compiti. Ciò fa sì che il bambino, a torto,
venga accusato di non avere studiato.
ADHD e teorie esplicative
Sandberg (1996), in merito all’argomento, ha proposto le quattro teorie maggiormente
avvalorate che tentano di spiegare il DDAI:
Un deficit delle funzioni esecutive (Barkley, 1994; 1997; Schachar, 1995), che
potrebbe spiegare le difficoltà attentive, in particolare quando viene richiesto al
soggetto di modificare le modalità di elaborazione delle informazioni, e l’impulsività
quando è richiesto dal contesto di inibire una risposta.
Un’eccessiva sensibilità ai rinforzi (Sonuga-Barke et al., 1992; Douglas e Parry,
1994), che si esplicita nella difficoltà ad attendere una gratificazione: l’attesa
costituisce un vissuto molto sgradevole per i bambini con DDAI.
Il deficit motivazionale (Barkley, 1994; Van der Meere, 1998), che spiegherebbe le
difficoltà attentive: in realtà, secondo questo approccio, i bambini con DDAI non
presterebbero attenzione a quelle attività e a quei compiti che non suscitano in loro
alcun interesse.
Un deficit nella regolazione degli stati fisiologici (Sergeant e Van der Meere,
1988) che determinerebbe una serie di fallimenti nell’output delle elaborazioni
cognitive, così come nella decisione e nell’organizzazione di risposte
comportamentali. Rinforzi esterni e conseguenze negative dei comportamenti
possono contenere tali deficit.
In linea con tali modelli è fondamentale sottolineare
il RUOLO DELLA MEDIAZIONE VERBALE nell’AUTOREGOLAZIONE
Già Lurija (1961) e Vygotskij (1962) identificarono una modalità di
apprendimento dell’autocontrollo comportamentale da parte del
bambino tramite la verbalizzazione delle istruzioni:
inizialmente i genitori, tramite una serie di comandi, orientano il
comportamento del figlio già a partire dai 3 anni.
Successivamente le istruzioni vengono fatte proprie dal bambino ed
espresse ad alta voce.
Infine, attraverso la crescita, i comandi dei genitori vengono
interiorizzati e, tramite una sorta di discorso subvocale, il bambino
acquisisce la capacità di orientare il proprio comportamento
autonomamente.
Nel DDAI, invece, si verificherebbe:
un mancato apprendimento di tali abilità.
Il bambino non presta l’opportuna attenzione alle
istruzioni fornite dai genitori.
Tali istruzioni, quindi, non vengono interiorizzate.
Il bambino, così, non riesce a sviluppare la
necessaria
“autoregolazione”
del
proprio
comportamento.
ADHD e sintomi secondari
Purtroppo i soggetti con DDAI o con altri problemi di comportamento palesano anche altri
sintomi che definiamo secondari, derivanti dall’interazione tra le caratteristiche
patognomoniche del disturbo con l’ambiente sociale e con quello scolastico.
Per quanto concerne gli aspetti relazionali, Pelham e Millich (1984) sostengono che i
genitori, gli insegnanti e gli stessi coetanei ritengono che i ragazzi con DDAI
presentano alcune difficoltà in ambito sociale, con particolare riferimento alle relazioni
interpersonali. Da molti studi in ambito sociometrico è emerso che i bambini con
DDAI ricevono minori apprezzamenti e maggiori rifiuti dai loro compagni di
scuola o di gioco. Spesso, infatti, questi bambini vengono rifiutati dai loro coetanei
perché non riescono a rispettare le regole di comportamento e quelle dei giochi di
gruppo.
Per tali motivi spesso si presentano in concomitanza tratti oppositivi e provocatori,
responsabili di diversi fallimenti in ambito scolastico e sociale.
I ragazzi che palesano comportamenti di DDAI + aggressività: più a rischio nello
sviluppo di:
Comportamenti devianti
Problemi con la giustizia
Abuso di sostanze stupefacenti
ADHD e variabilità del comportamento
Secondo Barkley (1997), nel tentativo di spiegare il DDAI ogni teoria deve
tenere conto delle fluttuazioni nelle prestazioni di questi bambini. In
particolare l’Autore cita 6 fattori in grado di spiegare la variabilità nel
comportamento di questi bambini:
il momento della giornata o la fatica accumulata durante il giorno.
L’incremento della complessità del compito che richiede l’applicazione di più
sofisticate strategie.
L’aumento dei limiti e dei vincoli che l’ambiente impone al comportamento
del bambino.
Il livello di stimolazione all’interno del setting in cui opera il soggetto.
Una serie di immediate conseguenze (rinforzi o punizioni) associate al
compito.
La presenza di un supervisore adulto durante l’esecuzione dell’attività.
Eziologia dell’ADHD
A partire dalla prima descrizione, nel 1902, da parte di Still, è stata confermata l’ipotesi
che il DDAI sia IN PARTE dovuto a fattori neurobiologici.
Da un punto di vista biochimico, il neurotrasmettitore coinvolto nel DDAI è la
DOPAMINA. Questo disturbo sembrerebbe, infatti, essere attribuibile ad un
AUMENTO DEI TRASPORTATORI DELLA DOPAMINA, che è un neurotrasmettitore
dello striato. L’aumento dei trasportatori dopaminergici provoca una diminuzione della
dopamina extracellulare, rallentando di conseguenza la trasmissione delle
informazioni neuronali in seno alle reti che collegano la corteccia allo striato, fattore
questo che renderebbe meno operativa la regione prefrontale. La trasmissione
nervosa mediata dalla dopamina – in concentrazione insufficiente a causa
dell’eccesso dei suoi “riciclatori” – sarebbe meno efficace e le regioni frontali
controllerebbero con minore efficacia l’attività delle regioni sottocorticali responsabili
dei movimenti o dell’attenzione visiva.
Le regioni frontali possono manifestare un cattivo funzionamento. Studi che hanno
utilizzato l’imaging cerebrale hanno evidenziato una riduzione del volume totale del
cervello e, in particolare:
dei lobi frontali
dei gangli della base (strutture che controllano il movimento)
del cervelletto
ADHD e problematiche psicologiche
connesse
I soggetti con DDAI sono più a rischio di altri di manifestare, oltre ai
sintomi primari e secondari, altre problematiche psicologiche. Munir
et al. (1987) hanno esaminato un campione di bambini con DDAI e
hanno riscontrato le seguenti percentuali di comorbidità:
disturbi della condotta: 36%
disturbo oppositivo- provocatorio: 59%
disturbo dell’umore: 32%
tic: 32% (esclusa la sindrome di Tourette)
disturbi della comunicazione: 23%
encopresi: 18%
ADHD ed apprendimento scolastico
Secondo Lambert e Sandoval (1980) e Barkley (1981), tra il 50% e
l’80% dei ragazzi con DDAI presentano DIFFICOLTÁ DI
APPRENDIMENTO SCOLASTICO. Per quanto concerne i disturbi
dell’apprendimento distinguiamo due sottotipi:
alcuni bambini con DDAI raggiungono prestazioni di lettura del tutto
paragonabili a soggetti con disturbo di lettura (APA,1995) e tali
soggetti sono coloro che palesano una vera e propria comorbidità
con i disturbi di apprendimento;
altri soggetti con DDAI hanno raggiunto livelli di apprendimento
strumentale (lettura, scrittura, calcolo) intermedi tra quelli dei soggetti
con disturbi di apprendimento e quelli che non palesano
problematiche scolastiche.
Come intervenire?
Tecniche comportamentali:
l’approccio comportamentale è caratterizzato da un dettagliato
assessment delle risposte problematiche e delle condizioni
ambientali che le elicitano e mantengono, delle strategie per
produrre un cambiamento nell’ambiente circostante e, quindi, nel
comportamento dei genitori. Vengono applicate contingenze positive
e negative (rinforzi o punizioni) secondo i principi del
condizionamento operante.
Limiti: mantenimento e generalizzazione dei risultati ottenuti.
Spesso si osservano modifiche comportamentali in alcuni ambiti e
non in altri (ad es., miglioramenti del comportamento a scuola, ma
non a casa).
Come intervenire?
Trattamenti cognitivo-comportamentali:
oltre alla gestione delle contingenze (rinforzi e conseguenze negative),
propongono l’insegnamento di varie tecniche tra cui:
le autoistruzioni verbali
Il problem solving
Modeling
Stress inoculation training (consapevolezza e controllo delle emozioni in
situazioni stressanti): il bambino viene aiutato ad auto-osservare il proprio
vissuto e le proprie emozioni, soprattutto in corrispondenza di situazioni
stressanti e successivamente a trovare una serie di risposte alternative
appropriate al contesto ed in grado di sostituire gli atteggiamenti impulsivi ed
aggressivi.
Limiti: difficoltà di generalizzazione dei risultati ottenuti
Un approccio secondo l’ottica
biopsicosociale
A partire da un’ottica biopsicosociale complessa, affinchè
un intervento risulti efficace ed efficiente è di
fondamentale
importanza
approntare
un’azione
multicontestuale e multimodale, in cui vengano
coinvolte diverse risorse e professionalità.
Ciò al fine anche di lavorare sulla scia di quanto
l’Organizzazione Mondiale della Sanità afferma, per
quanto concerne il concetto di benessere inteso come
uno stato di benessere fisico, mentale e sociale
(OMS, 1978).
Un caso clinico
S. è un bambino di 9 anni, frequentante la terza classe elementare.
Afferisce al Ce.Cl.A. di Enna alla fine del mese di Gennaio del 2012.
Il padre è un bancario in pensione; la madre lavora in banca; la sorella
di S. ha 5 anni e frequenta la scuola dell’infanzia.
I genitori, che hanno notato le difficoltà attentive e di irrequietezza
motoria del bambino sin da piccolo, hanno atteso del tempo per
verificare se tali problematiche rientrassero presto e solo nel maggio
del 2011 si sono rivolti alla N.P.I. di Enna che ha diagnosticato un
Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività.
Un caso clinico
In un’ottica biopsicosociale si è proceduto approntando un
percorso di lavoro multicontestuale, nel quale sono state
coinvolte, nel tempo, diverse figure professionali:
un medico psichiatra: trattamento farmacologico
Uno psicologo: trattamento cognitivo complesso con il
bambino; Parent Training con i genitori; intervento
psicoeducativo con gli insegnanti
Un neuropsicologo: training neuropsicologico (seconda
fase)
Un musicoterapista (seconda fase)
Un caso clinico
La richiesta avanzata al Ce.Cl.A. dai genitori del bambino ha come obiettivo
precipuo:
intervenire sulle modalità comportamentali del bambino, al fine di migliorarne
le capacità attentive e modificare le modalità comportamentali impulsive;
essere supportati, in quanto coppia genitoriale, al fine di acquisire tecniche,
strategie e modalità educative e relazionali più funzionali nella gestione del
rapporto quotidiano con il figlio.
Il lavoro di sostegno psicologico è stato articolato in differenti fasi:
1) ciclo di sedute domiciliari: complessivamente sono stati effettuati dodici
incontri presso l’abitazione della famiglia.
2) Colloqui di sostegno alla genitorialità (Parent Training).
3) Intervento di sostegno al riconoscimento e ad una gestione funzionale
delle emozioni, rivolto al bambino.
4) Incontri periodici con gli insegnanti del bambino.
Un caso clinico
Al fine di delineare un piano di lavoro da attuare tanto con il bambino quanto
con i genitori si è ritenuto indispensabile incontrare la famiglia in un setting
“protetto”, quale può essere l’abitazione: in tal modo è stato possibile effettuare
un’osservazione naturale ed “in vivo” dei patterns relazionali e comportamentali
sia del bambino sia degli altri componenti la famiglia.
Preliminarmente all’inizio del ciclo di sedute domiciliari, è stato stipulato con i
genitori ed il bambino un contratto terapeutico in cui veniva descritto il piano di
lavoro previsto (orario delle sedute, strutturazione delle stesse, ruolo svolto dai
genitori, descrizione del lavoro previsto con il bambino e con i genitori, ruolo
svolto dall’operatore, obiettivi raggiungibili nel medio e lungo termine).
Gli incontri sono stati svolti in orario serale e prevedevano la mia presenza
durante la condivisione del pasto.
Un caso clinico
Più precisamente la struttura di ogni incontro prevedeva:
una prima parte (prima di cena) è stata dedicata al lavoro con il bambino, con il quale
è stato utilizzato il Mindlab Set al fine di monitorare l’attività elettrodermica (attività che
risulta essere elevata nei soggetti afflitti da ADHD).
Attraverso tale metodologia è stato possibile far acquisire, nel corso degli incontri, buone
competenze nella autoregolazione emozionale: infatti il bambino, grazie all’ausilio dei
feedback visivi ed acustici forniti dal Mindlab Set, è stato in grado di riconoscere l’elevato
arousal presente e di modificarlo, facendone abbassare il valore, attuando strategie di
rilassamento proposte in seduta. Il bambino, inoltre, è stato in grado di mantenere attiva
l’attenzione sugli stimoli acustici e visivi forniti dal biofeedback, esperendo una
condizione positiva e migliorando il livello di self-efficacy percepita.
Sono state svolte anche attività di gioco con il bambino, con l’obiettivo non solo di
osservare alcune funzioni cognitive, quali l’attenzione, la concentrazione e la memoria,
ma anche di creare una relazione di fiducia e base sicura.
Un caso clinico
Un caso clinico
Una seconda parte dell’incontro che prevedeva la condivisione del pasto serale,
fase questa durante la quale sono state svolte prevalentemente attività osservative, in
particolare nell’arco dei primi incontri, rispetto alle modalità educative e
comportamentali esibite dal bambino e dai genitori.
Una parte conclusiva dell’incontro, dedicata ai genitori durante la quale è stato
dedicato ampio spazio alle loro richieste, fornendo loro una restituzione di ciò che
emergeva e ristrutturando alcune modalità educative abitualmente messe in atto dai
genitori e ritenute dagli stessi inefficaci nella gestione della relazione con il figlio.
Finalità di questi momenti è stata quella di fare il punto della situazione rispetto a
quanto emerso durante l’incontro e fornire ai genitori strategie e tecniche
comportamentali più funzionali e nuove competenze più appropriate nell’approcciarsi
alle problematiche legate all’ADHD, al fine di incentivare e migliorare il senso di selfefficacy della coppia genitoriale.
Un caso clinico
Dati emersi tramite l’osservazione in vivo
Assenza di regole (nell’arco della settimana il pranzo e la cena non venivano mai condivisi
insieme, ma in maniera caotica e in stanze che non fossero la cucina; solo il weekend, quando la
madre era libera dal lavoro, si pranzava e cenava tutti insieme in cucina. Molte attività - dal fare i
compiti ai momenti da dedicare al gioco - venivano svolte secondo modalità caotiche, con un
atteggiamento poco autorevole e molto permissivo da parte dei genitori, che lasciavano decidere al
figlio. Ciò, nel tempo, ha determinato un forte senso di frustrazione e di incompetenza nei genitori,
che presentano difficoltà nel farsi ascoltare dal figlio e un forte senso di confusione anche nel
bambino, in balia delle proprie emozioni ed impulsi non contenuti ed arginati in alcun modo).
Scarsa direttività ed autorevolezza da parte della coppia genitoriale.
Presenza di disaccordo all’interno della coppia genitoriale.
Presenza di atteggiamenti denigratori nei confronti del figlio.
Assenza di elogi e rinforzi positivi per le azioni e i comportamenti positivi messi in atto dal
bambino.
Difficoltà del bambino nell’espletare attività di routine quotidiana (addormentarsi la sera ed alzarsi
la mattina, lavarsi, vestirsi, fare i compiti, riordinare la propria stanza, comportamento a tavola).
Si è concordato con i genitori di cominciare a lavorare su questi elementi che fanno riferimento ad
aspetti basilari della vita quotidiana e familiare.
Un caso clinico
Parent Training
Prima di avviare un lavoro di Parent Training e per meglio impostare il percorso, sono state raccolte
alcune utili informazioni.
Inventario dei problemi con la famiglia:
alcuni problemi coniugali da fare risalire alla nascita dei bambini (per difficoltà, come riferito dalla
madre, di adattamento alla nuova situazione familiare, problemi che sussistono al giorno d’oggi,
pur con mutate prospettive).
I parenti (nonni, zii) non sono del tutto al corrente delle problematiche del bambino.
I genitori riferiscono di avere difficoltà nelle relazioni amicali e sociali da quando sono insorti i
problemi del figlio, poiché tale situazione li ha nel tempo allontanati dal network di amici.
Sono state somministrate delle schede atte a valutare i pensieri e i comportamenti relativi al figlio. Ciò
che è emerso riguarda:
credenze negative nei confronti del proprio figlio
aspettative positive nei confronti del trattamento intrapreso
modalità inadeguate nel fornire istruzioni al bambino
l’uso di mezzi inappropriati per controllare il comportamento (che portano molte volte allo scontro
acceso con il bambino)
inadeguati rinforzi positivi
il prestare attenzione alle volte ai comportamenti negativi del figlio, che in tal modo vengono
rinforzati
l’uso di metodi disciplinari inefficaci.
Un caso clinico
Sono stati, inoltre, somministrati:
Il questionario Parent Sense Of Competence/PSOC (Mash e Johnston, 1989,
tradotto da Vio, Marzocchi e Offredi, 1999) e ribattezzato Questionario del senso di
competenza dei genitori
la scala SDAG (Cornoldi, Gardinale, Masi e Pettenò, 1996) per l’individuazione di
comportamenti di disattenzione e iperattività del bambino.
Dal questionario relativo al senso di competenza è emerso che:
il padre → un senso di soddisfazione inadeguato e un senso di efficacia sufficiente
la madre → un senso di soddisfazione buono e un senso di efficacia sufficiente.
La scala SDAG permette di rilevare la frequenza, percepita dai genitori, delle
manifestazioni di disattenzione e di iperattività/impulsività del bambino e i dati emersi,
relativamente alle due dimensioni indagate, ci permettono di confermare la presenza
di detti comportamenti.
Un caso clinico
Attraverso l’ausilio di specifiche schede è stato indagato:
il modo di pensare e di agire dei genitori nei confronti del figlio
le caratteristiche individuali e peculiari del bambino. Più in particolare,
data la tendenza dei genitori a focalizzarsi maggiormente sugli aspetti
problematici del figlio, abbiamo lavorato sull’individuazione delle qualità e le
abilità del bambino, vale a dire i suoi punti di forza, ma anche i suoi punti
di debolezza; tutto ciò ha consentito ai genitori di prendere realmente
consapevolezza di queste peculiarità del figlio, al fine di metterli nella
condizione di aiutare il bambino in modo funzionale, di essere più obiettivi
nelle loro aspettative e più esortati a valorizzarne le qualità. È stata così fatta
compilare a entrambi i genitori una scheda a due colonne su cui annotare
tali aspetti.
Un caso clinico
Abbiamo anche lavorato su una adeguata contestualizzazione dei comportamenti
problematici emessi dal bambino: ai genitori è stato fatto comprendere come ogni
azione del bambino non si situi nel nulla, ma sempre all’interno di uno specifico
contesto relazionale e sempre preceduta da un evento scatenante, definito
antecedente.
I genitori sono stati, così, esortati, ogniqualvolta si fosse presentato un comportamento
problematico del figlio, ad individuare ed annotare per iscritto:
l’evento antecedente, ritenuto in qualche misura scatenante la reazione del bambino
il comportamento del bambino
le conseguenze.
In tal modo i genitori hanno appreso ad individuare la sequenza di eventi che possono
scatenare dei problemi, sequenze consolidate presenti all’interno della famiglia che in
maniera inevitabile spesso portano il bambino a palesare comportamenti inadeguati. Ciò
ha consentito ai genitori di riconoscere preventivamente tali sequenze di azioni, in modo
da prevedere e prevenire lo sviluppo di comportamenti problematici del figlio.
Un caso clinico
Tramite la compilazione di tabelle specifiche i genitori sono stati invitati ad individuare:
i comportamenti lievemente negativi e quelli gravemente negativi
antecedente
comportamento negativo messo in atto dal bambino
conseguenze
reazione del bambino (gradevole o spiacevole).
Utilità di tale lavoro → discernere la gravità o meno di un comportamento e considerare
non solo l’antecedente scatenante, ma anche le reazioni del bambino alle conseguenze
decise dai genitori.
Obiettivo di tale lavoro:
fornire ai genitori la possibilità di intervenire in maniera non punitiva rispetto alle azioni
inappropriate del figlio, lavorando al fine di evitarne la comparsa in futuro, tutto ciò
determinando un incremento della self-efficacy percepita dai genitori.
Un caso clinico
Strutturazione di regole
I genitori sono stati invitati a compilare un inventario di nuove regole che riguardavano diversi
aspetti familiari:
orari e ritmi del sonno
orari di alimentazione
cura della propria persona
gestione dei compiti scolastici
gestione del proprio materiale
comportamento a tavola
comportamento in luoghi pubblici.
I bambini, in generale, necessitano di regole da seguire per potere sviluppare in maniera autonoma la
capacità di autoregolazione.
In particolare i bambini afflitti da ADHD palesano difficoltà nell’autoregolazione comportamentale. Da
qui la necessità di strutturare regole condivise che possano costituire una cornice di riferimento stabile
grazie alla quale il bambino è in grado di distinguere le azioni da compiere in differenti frangenti e quali
conseguenze, positive o negative, ne derivano. È stato molto importante fare comprendere ai genitori
l’importanza e i vantaggi derivanti da un ambiente che sia prevedibile per il bambino, all’interno del
quale vigono regole ben precise e stabili.
Un caso clinico
I rinforzi positivi
Offrire elogi, approvazione e rinforzi per le azioni positive che spontaneamente
il bambino emette favorisce lo stabilizzarsi di condotte positive e, quindi,
desiderabili.
A tale scopo sono state utilizzate delle schede sulle quali i genitori prendevano
nota delle condotte positive del figlio, del tipo di gratificazione adottata dal
genitore (elogi, approvazioni, momenti di gioco condiviso, segnali di
approvazione verbale e non verbale) e delle reazioni del figlio.
Una strategia che si è rivelata molto utile nel modificare alcune condotte del
bambino e nel favorirne la messa in atto di nuove è stata la “patente a
punti”: attraverso la realizzazione di un cartellone i genitori e il bambino
hanno concordato una serie di comportamenti da incentivare e rinforzare
con “premi” (oggetti, situazioni o contingenze che, applicate come rinforzo,
favorissero il ricomparire della stessa azione).
Un caso clinico
Conclusosi il periodo di osservazione in vivo attuato
tramite le sedute domiciliari, si è deciso, in una
seconda fase, di continuare il percorso di
ParentTraining attraverso incontri presso il Ce.Cl.A.,
mentre il bambino ha svolto un training
neuropsicologico, mirato al miglioramento delle
funzioni cognitive e metacognitive, curato da una
collega esperta nel settore.
Un caso clinico
Finalità degli incontri di Parent Training:
continuare il percorso di Parent Training intrapreso domiciliarmente,
al fine di acquisire ulteriori competenze e strategie di coping e
problem solving.
Supportare la coppia coniugale e genitoriale.
Interiorizzare e generalizzare gradualmente i risultati ottenuti.
Le topiche sulle quali si è impostato il nuovo lavoro:
- Migliorare le capacità relative all’autorevolezza e alla direttività dei
genitori.
- Incentivare il senso di autoefficacia percepita.
- Incrementare la tolleranza alla frustrazione.
Un caso clinico
Al momento attuale il lavoro è focalizzato sul bambino
e, più nello specifico:
- migliorare le competenze sociali
- Migliorare le capacità di riconoscimento e gestione
funzionale delle emozioni→lavoro sulle emozioni di
rabbia, tristezza, gioia, paura: diario delle emozioni
- Sapere esprimere, attraverso il canale tacito, i propri
vissuti ed incentivare anche le competenze di
autoregolazione, oltre che di attenzione e
concentrazione→ musicoterapia
Un caso clinico
Nell’ottica di un approccio biopsicosociale e
all’insegna di un lavoro di rete efficace ed
efficiente, sono stati coinvolti anche gli insegnanti
del bambino con i quali si effettua un confronto
continuo e periodico, al fine di creare e mantenere
un terreno fertile di feedback, indispensabili per il
prosieguo del lavoro.
Riferimenti bibliografici
American Psychiatric Association (2005), Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM- IVTR, Milano, Masson.
Brown T. (2006), Attention Deficit Disorder: the Unfocused Mind in Children and Adults, Yale University
Press.
Sandberg S. (1996), Hyperkinetic or attention deficit disorder, “British Journal of Psychiatry”, n. 169, 10-17.
Barkley R. A. (1994), Impaired delayed responding: A unified theory of attention deficit hyperactivity
disorder. In D. K. Routh ( a cura di), Disruptive behavior disorder: Essay in honor of Herbert Quay, New
York, Plenum Press, pp.11-57.
Barkley. R. A. (1997), ADHD and the nature of self-control, New York, Guilford Press.
Barkley R. A. (1981), Hyperactiviy children: A handbook for diagnosis and treatment, New York, Guilford
Press.
Schachar R., Tannock R., Marriott M. e Logan G. (1995), Deficient inhibitory control in attention deficit
hyperactivity disorder, “Journal of Abnormal Child Psychology”, n. 23, pp. 411-438.
Sonuga-Barke E. J., Taylor E., Sembi S. e Smith J. (1992) , Hyperactivity and delay aversion: I. The effect
of delay on choice, “Journal of Child Psychology and Psychiatry”, n. 33, 387-398.
Douglas V. I. e Parry P. A. (1994), Effect of reward and non-reward on attention and frustration in attention
deficit disorder, “Journal of Abnormal Child Psychology”, n. 22, 281-302.
Van der Meere J. J. (1998), Research findings on ADHD, relazione presentata alla Giornata Annuale di
studi di Neuropsicologia organizzata dall’AIRIPA e dall’Università di Padova, Padova, 5 giugno 1998.
Lurija A. R. (1961), The role of speech in the regulation of normal and abnormal behavior, New York,
Liverlight.
Vygotskij L. S. (1962), Thought and Language, (E. Hanfman e G. Vakar, a cura di), Cambridge, MA, MIT
Press, tad. It. Pensiero e linguaggio, Bari, Laterza, 1990.
Riferimenti bibliografici
Pelham W. E. e Millich R. (1984), Peer relations in children with hyperactivity/attention deficit disorder, “Journal of
Learning Disabilities”, vol. 17, pp. 560-567.
Still G. F. (1902), Some abnormal psychological conditions in children, “Lancet”, n. 1, pp. 1008-1012.
Munir K., Biederman J e Knee D. (1987), Psychiatric comorbidity in patients with attention deficit-deficit
hyperactivity disorder: Metilphenidate effects on naturalistically observed aggression, response to provocation, and
social information processing, “Journal of Abnormal Child Psychology”, n. 20, pp. 451-465.
Mash C e Johnston E. J. (1989), A measure of parenting satisfaction and efficacy, “Journal of Clinical Child
Psychology”, n. 18, pp. 167-175.
Vio C, Marzocchi G. M. e Offredi F. (1999), Il bambino con deficit di attenzione/iperattività. Diagnosi psicologica e
formazione dei genitori, Trento, Erickson .
Cornoldi C., Gardinale M., Masi A e Pettenò L. (1996), Impulsività e autocontrollo, Trento, Erickson.
Grazie per l’attenzione!
Scarica