Francis Catalano da: Romamor (Écrits des Forges, Trois-Rivières, Québec, 1999) 1 Godere un solo minuto di vita iniziale Cerco un paese innocente Giuseppe Ungaretti Splendore degli occhi aperti che s’abituano all’oscurità, in questa stanza regna una grandiosa notte d’inchiostro, in cui intingo le mie parole sino alla radice perché gli oggetti familiari gradualmente si alzino, tornino al loro posto, tremanti e friabili come il materiale di un’archeologia mentale, del silenzio smosso. 2 Dal rettangolo della cameretta osservo la polvere posarsi dalla finestra, seppellire i miei piedi disegnati nel marmo. Le rovine sono quel che sono: di ieri e di oggi, mie. 3 Otto ottobre dell’anno 2749 di Roma, spalancare le persiane verdi e d’un colpo, con un solo gesto vivo vedere il giorno intromettersi, nel suo pieno splendore, gli oggetti come rinascessero dalla nettezza del loro profilo, l’immagine dalla sua definizione esatta. Quindi credere per un istante che l’occhio sia la sorgente di ogni eccesso, di ogni chiarezza. 4 Visti dal basso i tetti di tegole incurvati hanno l’aspetto sfocato dell’aragosta sul fondo dell’acqua, la sua vulnerabilità, il suo color terra cotta, di qui si direbbe che al minimo pericolo anche ciò che protegge si protegga. Ai piedi della fissità, al passo dei portali vedere le antennule curvarsi, piegarsi, tendersi nell’onda sottosopra quando all’alba delle prime trasmissioni le antenne Tv si sfiorano là in alto sui tetti. 5 Se davvero il corpo contiene sentieri di nervi, di arterie, chilometri di vene e venuzze, un mare di globuli, vascelli e sonde, se per riempire una cisterna o affluire all’orecchio basta il sangue di un solo corpo allora Venezia o l’Asia sono a portata di mano e Venere attende in fondo al ponte una donazione d’organi. 6 Le chiese sono i tendini mistici di una città, il loro corpo a riposo e questa mattina entro nel corpo indebolito, coperto d'impalcature, di San Francesco a Ripa in Trastevere. In una cappella, sul fondo giace la statua di marmo di Ludovica Albertoni. Lei è là, bianca, distesa, votata ad una calma felicità, la mano destra che offre il seno, quasi lo spreme, un invito a un amore licenzioso. Avvicinarmi, sfiorare le pieghe della sua veste, la voglia di leccare il marmo, mordere, io, agente erosivo dell’immutabile. 7 Il mio sguardo si posa, distratto sull’enorme finestra panoramica e percepisco, in basso, sull’angolo sinistro del rettangolo colorato questo strano riflesso del mio viso, immobile, sorprendente, conforme a quelle tele di Tiziano, Carpaccio, Tintoretto, dove un personaggio in primo piano staccato dalla scena ci fissa con lo sguardo, creando una distanza, quasi il disagio di un voyeur visto, di un ladro smascherato. 8 La macchina fotografica che mi trascino a tracollo è un virus, parassita patogeno, terza palpebra pendula che vela e disvela il lutto, in fondo alle calli, pellicola tesa senza fine tra i nervi dell'occhio. 9 Stretta città, occhio immerso nella formalina, pesce sottratto al suo habitat e irrorato regolarmente, città‐palpebra che si apre su un campo o un campiello poi si abbassa sulle calli, calleselle o fondamenta come uno sguardo corrugato che scruta lontano. 10 11 12 13