Numero 1 / Dicembre 2016-Febbraio 2017 S.I.Psi. SOCIETÀ ITALIANA DI PSICOLOGIA E PSICHIATRIA bollettino trimestrale I Numero 1 / Dicembre 2016-Febbraio 2017 S.I.PSI. SOCIETÀ ITALIANA DI PSICOLOGIA E PSICHIATRIA presidente Ilario Mammone CONTENUTI vicepresidente Désirée Harnic Il fattore aspecifico della relazione in terapia (prima parte) di Fabio Caltagirone segretario Filippo Madau La creatività e i disturbi mentali di Cecilia Zaky consiglieri nazionali Andrea Carrozzini Angela D’Addario Lorenzo Flori Désirée Harnic Claudia Iacobacci Le relazioni affettive sicure di Mirko di Giulio 2 3 4 Il trattamento integrato del disturbo bipolare e schizoaffettivo. Report della giornata informativa di Ilario Mammone, Aristotele Hadjichristos uffici della presidenza nazionale e sede legale: Via Fasana 21, Roma, 00195 C.F. 91104200406 L’ADHD - Conoscere e crescere di Daniele Raspanti Memorie traumatiche di Laura Longo Contatti: 0696520457 H [email protected] 7 www.societaitalianadipsicologiaepsichiatria.it M www.facebook.com/sipsionline 1 5 7 8 Numero 1 / Dicembre 2016-Febbraio 2017 IL FATTORE ASPECIFICO DELLA RELAZIONE IN TERAPIA F. Caltagirone In una psicoterapia si instaura una relazione fra cliente e terapeuta di grande significatività, per entrambi. La psicoterapia si basa su una relazione intensa, è un incontro affettivo tra due persone che si aspettano molto l’una dall’altra (Novellino, 1998). L’idea che si è fatta strada negli ultimi anni, nel tentare di comprendere quale orientamento psicoterapeutico garantisse maggiori risultati e nel constatare che tutte le terapie hanno una simile percentuale di successo, è che ciò che ha un effetto fondamentale sia l’unica cosa che tutte hanno in comune: una particolare attenzione alla relazione. Essa è, infatti, curativa in sé, perché dà al cliente la possibilità di sperimentarsi in un modo per lui inedito, di fronte a una persona preparata a non seguirlo nei giochi psicologici che egli stesso tenta di instaurare. Come Analista Transazionale, ad esempio, il mio compito è quello di rispondere al cliente sempre dagli Stati dell’Io appropriati, rifiutando i suoi inviti a pormi in altri che sarebbero funzionali solo al mantenimento dello status quo. In questo modo il cliente ha occasione di sentirsi a proprio agio nonostante la novità e di vivere una relazione davvero paritaria, nella quale sperimentarsi e percepirsi. Molti, per esempio, arrivano in terapia convinti che lo psicologo risolverà il loro problema; il professionista deve portarli, attraverso la relazione, ad abbandonare la posizione passiva per raggiungere quella attiva in cui sono essi stessi a indagare le cause dei propri problemi e come poter cambiare. Nel creare una relazione terapeutica è fondamentale tenere in mente il concetto di “OKness” (Ernst, 1971): ogni essere umano è Ok, quindi la relazione terapeutica deve basarsi sull’idea che io sono Ok e tu sei Ok. Avendo ben chiaro questo, diviene evidente come alcuni nostri atteggiamenti possono sottintendere che chi abbiamo davanti non è Ok. Ad esempio, potrei sostituirmi al cliente nel decidere cosa è buono per lui, trasmettendo così l’idea che lui non ne sia capace e che quindi non sia Ok. In cliente che si sente Ok in relazione col terapeuta è un cliente che sta per cominciare davvero il suo processo di cambiamento. Per poter usare la relazione in terapia è però necessario che il terapeuta sia autentico, genuino e abbia fatto un proprio lavoro personale che lo abbia reso consapevole dei propri processi in risposta al cliente. La genuinità del terapeuta è ciò che Rogers (1959) chiama congruenza e permette al terapeuta di non mandare messaggi misti e contraddittori e muoversi da una posizione di integrità in se stesso. La relazione è una condizione necessaria ma non sufficiente a ottenere il cambiamento della persona: il cliente fa esperienza di un modo di rapportarsi all’altro diverso, ma come lo elaborerà e che uso sceglierà di farne? È quindi necessario che la relazione si consolidi in Alleanza Terapeutica e che il professionista abbia padronanza di tecniche terapeutiche. (fine prima parte) 2 Numero 1 / Dicembre 2016-Febbraio 2017 LA CREATIVITÀ E I DISTURBI MENTALI C. Zaky «Lo spirito creativo dell’artista, pur condizionato dall’evolversi di una malattia, è al di là dell’opposizione tra normale e anormale e può essere metaforicamente rappresentato come la perla che nasce dalla malattia della conchiglia. Come non si pensa alla malattia della conchiglia ammirandone la perla, così di fronte alla forza vitale dell’opera non pensiamo alla schizofrenia, che forse era la condizione della sua nascita» K. Jaspers Gli scrittori, sin dal tempo di Platone, hanno suggerito un nesso tra creatività e follia. Molti famosi geni creativi, tra cui Vincent Van Gogh, Isaac Newton, Michelangelo e William Blake, hanno sofferto di qualche forma di disturbo mentale. Il nesso tra creatività e anormalità probabilmente non è casuale. La capacità di disattivare contemporaneamente le proprie strutture cognitive normali e di associare concetti in modo originale è fondamentale nella creatività. Di recente, le ricerche sulla creatività e sulle malattie mentali si sono focalizzate sul disturbo bipolare, caratterizzato da estreme oscillazioni di umore, con passaggio dall’euforia e dall’esaltazione a una depressione paralizzante. La componente ereditaria di questa malattia è elevata e sebbene la sua insorgenza e il suo decorso siano apparentemente influenzati da fattori ambientali, chi ne soffre presenta sempre una familiarità significativa. In diversi studi si è esaminato il nesso tra il disturbo bipolare e la creatività negli scrittori, in particolare nei poeti. In questi studi sono state evidenziate analogie tra gli episodi di intensa creatività, durante i quali gli scrittori scrivono le loro opere migliori, e la fase maniacale ad alta energia del disturbo bipolare. Tra i poeti americani del ventesimo secolo affetti da disturbo bipolare troviamo i nomi di Theodore Roethke, Robert Lowell e Sylvia Plath; quest’ultima si suicidò quando aveva poco più di 30 anni. In uno studio su 47 dei maggiori scrittori e artisti inglesi si scoprì che il 38% di essi era sottoposto a cure per i disturbi dell’umore. Un esempio attuale, è quello della psichiatra statunitense K.R. Jamison, autrice del libro Una mente inquieta, un’autobiografia in cui descrive la lotta contro la sua malattia: il disturbo bipolare, che lei stessa descrive come «Una malattia unica nel suo genere per i vantaggi e il piacere che dà, ma che nella sua scia porta una sofferenza quasi intollerabile e, non di rado, il suicidio». 3 Numero 1 / Dicembre 2016-Febbraio 2017 LE RELAZIONI AFFETTIVE SICURE M. Di Giulio Bowlby definisce l’attaccamento come la predisposizione innata del bambino a creare legami affettivi con le figure genitoriali o di accudimento. Lo stile di attaccamento si forma nei primi mesi di vita del bambino stabilizzandosi entro i primi 36 mesi. Tende quindi a essere stabile nel corso della vita e a influenzare in maniera determinante le nostre modalità di relazione affettiva. L'attaccamento può essere discusso e modificato solo di fronte al verificarsi di due eventi precisi: 1) un rapporto affettivo (e quindi uno stile di attaccamento) diverso rispetto a quello vissuto con la figura di attaccamento primaria; 2) un percorso di psicoterapia finalizzato a sanare le “ferite” che un attaccamento insicuro produce e mantiene nella persona. Il tutto a prescindere da sesso, età, cultura di appartenenza, estrazione sociale etc. L’attaccamento può essere sicuro o insicuro. Nel seguente articolo affronteremo lo stile sicuro. Un individuo che è in grado di instaurare relazioni affettive sicure è stato, prima di tutto, un bambino capace di esprimere, in un clima di accoglienza e apertura, i propri bisogni affettivi e di sopravvivenza: dal bisogno di mangiare a quello di essere rassicurato, da quello di sicurezza a quello di protezione, dal bisogno di sentirsi importante e amato a quello di potersi fidare e affidare ad un adulto. È stato un bambino che quando ha chiesto ha trovato risposte concrete e puntuali che miravano a soddisfare i suoi bisogni, facendolo sentire adeguato, degno di amore e di cure. È stato un bambino a cui i genitori e le figure di attaccamento (o caregivers) hanno permesso di esplorare l’ambiente circostante sperimentando un senso di sicurezza e allo stesso tempo una sensazione di calore umano e amore nel momento del ricongiungimento con loro. Un attaccamento sicuro nell’infanzia può predisporre l’adulto ad avere la capacità di ricerca attiva e un atteggiamento esplorativo. L’adulto con attaccamento sicuro potrà, inoltre, vivere le relazioni affettive con atteggiamento positivo e sereno, esprimendo la capacità di fidarsi e affidarsi all'altro, riconoscendone il valore e trasmettendo stima e apprezzamento. 4 Numero 1 / Dicembre 2016-Febbraio 2017 IL TRATTAMENTO INTEGRATO DEL DISTURBO BIPOLARE E SCHIZOAFFETTIVO Report della giornata informativa I. Mammone, A. Hadjichristos e l’inibizione (depressione), unita a disturbi del pensiero tipici delle psicosi, tanto che ormai bisognerebbe decidersi ad abbandonare il termine disturbo bipolare per indicare questa sindrome con la più corretta definizione di disturbi dello “spettro” bipolare. Ha una base biologica con importanti componenti psicologiche che possono essere influenzate da vari fattori ambientali. Generalmente insorge nella prima età adulta e molto spesso diventa cronico con episodi ricorrenti, ospedalizzazioni e rischio di suicidio. Tuttavia occorre tenere a mente che l’insorgenza del DB può interessare tutto il ciclo di vita dell’individuo, dall’età prepuberale alla senilità. Il DB porta con sé una serie di problematiche che non riguardano solo l’ambito strettamente biologico e medico. Sebbene molti individui riescano a completare il di studi e a lavorare, è molto frequente osservare durante il decorso del disturbo un peggioramento dello status sociale o la perdita del posto di lavoro. A distanza di 1 anno da un episodio, solo il 30% torna al proprio precedente livello di funzionamento sociale e professionale. Inoltre, nel tempo le relazioni interpersonali risultano spesso gravemente e irrimediabilmente compromesse, in genere in conseguenza dei comportamenti messi in atto durante gli episodi maniacali (ma anche Il 19 Novembre 2016, a Roma, S.I.Psi, con il sostegno di FB Health, ha organizzato una giornata informativa sul trattamento integrato del disturbo bipolare e schizoaffettivo. L’evento, che ha avuto un ottimo riscontro in termini di partecipazione numerica (dai 50 partecipanti previsti si è passati a 100, con 20 persone in lista d’attesa), era rivolto sia a professionisti della salute mentale, sia a persone che soffrono del disturbo e ai loro familiari. In quel contesto sono stati illustrati i fondamenti neuroscientifici e le indicazioni cliniche, basi di una condizione psicopatologica tanto frequente (la prevalenza nella popolazione è di circa il 4%) quanto grave (per i tanti risvolti di interesse medico e sociale). È stato anche presentato e descritto il metodo clinico integrato (metodo sincrono-sequenziale) con cui S.I.Psi approccia il trattamento di questi disturbi. Il disturbo bipolare (DB) è notoriamente caratterizzato da oscillazioni del tono dell’umore e da alterazioni che interessano: - il sistema neurovegetativo (alterazione dei livelli di energia, dell'appetito, della libido, del ciclo-ritmo sonno-veglia); - i processi ideativi (alterazioni della forma e del contenuto del pensiero); - la psicomotricità e il comportamento. Si manifesta sostanzialmente come uno spettro di alternanza più o meno complessa fra l’eccitamento (mania) 5 Numero 1 / Dicembre 2016-Febbraio 2017 fisici) alla base del riapprendimento di cui sopra. Il metodo si ispira alle linee guida più accreditate e tiene conto dei principali trattamenti evidence-based, per quanto riguarda la diagnosi, la cura farmacologica, gli interventi psicoterapici, psicoeducativi e riabilitativi. Esso prevede un utilizzo “moderno” della farmacoterapia e una gestione oculata e modulata della stessa (nei casi necessari), al fine di avviare processi psicoterapici, psicoeducativi e riabilitativi propri dell’ottica delle neuroscienze. depressivi), e la persona si trova poi a struggersi tra sensi di colpa, vergogna e senso di ineluttabile perdita (Jamison, 2007). Oggi sappiamo, con buona certezza, che i fattori neurobiologici e i fattori genetici hanno un ruolo importante nell'insorgenza e nel decorso di questo disturbo. Tuttavia è altrettanto chiaro come i tempi e i modi in cui si manifesta siano collegati a fattori ambientali e ad altri fattori psicologici e psicosociali. Ciò impone un approccio multidisciplinare e integrato alla cura, dove, accanto agli interventi farmacologici, assumono un ruolo sempre più determinante le terapie psicosociali, decisive nel permettere un significativo miglioramento del decorso di questa grave forma di psicosi, che compromette significativamente la qualità di vita e che, in alcuni casi, risulta letale (Frank, 2012). In tal senso, ormai da anni, la S.I.Psi, nella tradizione dell’integrazione tra psichiatria e psicologia, promuove un approccio al trattamento del disturbo bipolare secondo un metodo definito sincrono-sequenziale e pensato e studiato già dal Prof. M.S. Fonti e poi sviluppato e approfondito nella società scientifica. Il metodo integrato sincrono-sequenziale, affonda le proprie radici scientifiche nel concetto del riapprendimento cerebrale e nel fenomeno della neuro-plasticità. A loro volta, affinché il riapprendimento cerebrale e la neuroplasticità abbiano luogo, è necessario un sistema fisiologicamente integro e stimolato in maniera adeguata. La presenza di fattori di disturbo dell’equilibrio cerebrale non permette di instaurare in maniera adeguata i processi mentali (psico6 Numero 1 / Dicembre 2016-Febbraio 2017 L’ADHD - CONOSCERE E CRESCERE D. Raspanti L’ADHD è il “Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività”, un disturbo evolutivo dell’autocontrollo che include difficoltà di attenzione e concentrazione, nella regolazione degli impulsi e del livello di attività: il bambino non riesce a controllare il proprio comportamento in funzione del tempo, degli obiettivi da raggiungere e delle richieste dell’ambiente. Spesso è presente un basso livello di autostima e incapacità di rispettare le regole sociali con conseguenti difficoltà relazionali. Secondo alcune stime è presente in età scolare in percentuali comprese tra il 2% e il 5%, con prevalenza nei maschi. In alcuni casi si associa a problematiche psicologiche secondarie quali disturbi dell’apprendimento, della condotta, disturbi dell’umore e d’ansia, disturbo oppositivo/ provocatorio. Nel corso del tempo si è tentato di individuare una causa certa del disturbo, senza arrivare ad una risposta univoca. L’origine non è dovuta esclusivamente a fattori biologici o comportamentali, ma deriva dalla combinazione complessa di più fattori: si ipotizza che le cause innate determinino la genesi del disturbo ed eventuali patologie associate mentre l’espressione dei sintomi possa dipendere dall’ambiente che ne determina gravità e persistenza. L’ADHD è fonte di stress per il bambino e per l’ambiente circostante: ostacola il conseguimento degli obiettivi personali e genera sconforto nei genitori e negli inse- gnanti, spesso impreparati nella gestione dei comportamenti. È molto comune che i genitori si sentano colpevoli o vengano ritenuti responsabili delle difficoltà di autocontrollo del bambino. Secondo la letteratura scientifica il trattamento ideale prevede il coinvolgimento di scuola, famiglia e bambino stesso: l’efficacia dell’intervento risulta maggiore se la conoscenza del disturbo e delle strategie vengono condivise e applicate dalle varie figure di riferimento in più contesti. L’approccio più utilizzato è di tipo comportamentale: si osservano i comportamenti problematici, ciò che li precede e le risposte del contesto (insegnanti, compagni, genitori), si individuano le condizioni che li favoriscono e le reazioni dell’ambiente che possono rinforzarli. L’obiettivo è incoraggiare e incrementare i comportamenti positivi, agendo sulle condizioni antecedenti, predisponendo un ambiente favorevole e premiando il bambino quando ha una condotta adeguato. A scuola, inoltre, è possibile predisporre un Piano Didattico Personalizzato per le specifiche necessità di apprendimento del bambino. 7 Numero 1 / Dicembre 2016-Febbraio 2017 MEMORIE TRAUMATICHE L. Longo «L’uomo ha bisogno di un racconto interiore continuo, per conservare la sua identità, il suo sé» Oliver Sacks di improvvisi, incubi del trauma, difficoltà di orientamento nel tempo e nello spazio, disturbi sensomotori. Il trattamento terapeutico di tali sintomi implica di solito due elementi: l'esposizione ripetuta all'informazione relativa al trauma e la modificazione delle credenze non adattive. La terapia dovrà permettere la costruzione nel tempo di ricordi accessibili a livello conscio e insegnare alla persona un repertorio di strategie per una migliore gestione dell’attivazione psicofisiologica e della sofferenza psicologica con l’obiettivo di: 1. modificare il comportamento manifesto (identificando e sostituendo comportamenti adattivi a comportamenti disadattivi); 2. sviluppare attività di autoregolazione (sia a livello di attivazione psicofisiologica sia di dialogo interno) che permettano alla persona di giungere all’elaborazione delle emozioni e dei sottostanti significati; 3. esplorare e modificare aspettative e strutture cognitive disfunzionali connesse alla gestione dello stress. Nel corso della nostra esistenza facciamo esperienza di eventi definiti come "traumatici" che possono svilupparsi in relazione a tre situazioni: avvenimenti drammatici, eventi affrontati in qualità di testimoni e fatti accaduti ad altre persone legate a noi affettivamente. Le manifestazioni psicopatologiche di un’esperienza traumatica comportano emozioni molto dolorose e possono derivare da ognuno o da entrambi dei seguenti stressor: un evento stressante di natura violenta (morte, lesioni, minacce all’integrità); una serie di microtraumi relazionali avvenuti nelle prime fasi dello sviluppo emotivo (separazioni precoci, maltrattamento, trascuratezza psicologica, carenza di sintonizzazione affettiva) che si sono stabilmente ripetuti nel tempo. L’emotività disorganizzante del trauma può interferire con il normale processo di elaborazione delle informazioni invadendo la memoria con un vissuto reiterante e denso di minaccia. I ricordi possono essere, così, dissociati dalla coscienza ed essere memorizzati come percezioni a un livello implicito. La persona traumatizzata appare incapace di integrare i diversi aspetti della propria esperienza oscillando tra l’intrusività dei contenuti del trauma e la tendenza al loro evitamento-negazione, fino a produrre specifiche alterazioni dello stato di coscienza, con amnesia, dissociazione, depersonalizzazione e derealizzazione, ricor8 «Punto focale è l’individuo, non il problema. Lo scopo non è quello di risolvere un problema particolare, ma di aiutare l’individuo a crescere perché possa affrontare sia il problema attuale, sia quelli successivi in maniera più integrata» Carl Rogers La S.I.Psi. si propone, integrando le scienze psicologiche e psichiatriche, di segnare un profondo cambiamento nella sfera della prevenzione, diagnosi e indicazione alla cura degli individui. Generalmente e storicamente separate e contrapposte, la psicologia e la psichiatria perseguono entrambe il benessere dell’individuo, che rimane uno e non può essere semplicemente scisso nelle sue componenti neurobiologiche e psicologiche. Obiettivo prioritario della S.I.Psi. è quindi quello di favorire un confronto aperto e una ricerca cooperativa e non competitiva tra discipline sempre più complementari attraverso uno scambio e un aggiornamento costante che integri il pensiero e il lavoro di specialisti psicologi e psichiatri. Di fondamentale importanza per S.I.Psi. è il lavoro con l’utenza: divulgare le good clinical practice (buone prassi) e promuovere la salute mentale, informando i non addetti ai lavori, gli utenti e i familiari sulle possibili tipologie di “cura della psiche” e di prevenzione del disagio psicologico esistenti.