Psicopatologia dell`impulsività e disturbo borderline di personalità

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Psicopatologia dell’impulsività e disturbo
borderline di personalità
SILVIO BELLINO, PAOLA ROCCA, LIVIO MARCHIARO,
LUCA PATRIA, FILIPPO BOGETTO
2:2003; 125-145
I tratti di impulsività/aggressività rivestono un ruolo centrale nella psicopatologia
del disturbo borderline di personalità (DBP).
I modelli dimensionali recenti di questo disturbo includono un fattore relativo ai
comportamenti impulsivi. Inoltre, vari Autori considerano la sregolazione dell’impulsività come un elemento fondamentale di altri fattori nucleari quali l’instabilità
affettiva. L’impulsività è anche un elemento significativo per interpretare una serie
di comorbilità di Asse I nei pazienti con DBP, fra cui la codiagnosi di disturbo dell’umore, abuso di sostanze e disturbo della condotta alimentare. I dati provenienti
dalla ricerca clinica e biologica sono analizzati con particolare attenzione per i risultati che correlano l’impulsività al DBP. Vengono inoltre riportate le attuali lineeguida per il trattamento farmacologico delle condotte impulsive nei pazienti borderline, prendendo in considerazione i dati disponibili sui nuovi farmaci quali gli antipsicotici atipici.
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RIASSUNTO
PSICOPATOLOGIA
DEGLI IMPULSI
Struttura Complessa Universitaria di Psichiatria,
Dipartimento di Neuroscienze, Università di Torino
Parole chiave: Impulsività, disturbo borderline di personalità, comorbilità, terapia
farmacologica.
SUMMARY
Traits of impulsivity/aggression have received a central role in psychopathology of
borderline personality disorder (BPD).
Recent dimensional models of the disorder included a factor labelled as impulsive
behaviour. Moreover, several Authors considered impulse disregulation as a basic
component of other core factors such as affective instability. Impulsivity is also relevant to explain a series of Axis I comorbid conditions in patients with BPD, including mood disorders, substance abuse and eating disorders. Data from clinical and
biological investigations are reviewed with particular care for findings relating
impulsivity and BPD. Current guidelines for drug treatment of impulsive behaviour
in borderline patients are reported, taking into account available data about new
agents such as atypical antipsychotics.
Key words: Impulsivity, borderline personality disorder, comorbidity, drug therapy.
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Indirizzo per la corrispondenza: Dott. Silvio Bellino, Struttura Complessa Universitaria di Psichiatria,
Via Cherasco, 11 - 10126 Torino. Tel. 011 6634848; Fax 011 670470.
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L. MARCHIARO - L. PATRIA
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INTRODUZIONE
La trattazione dei fenomeni psicopatologici che riguardano l’alterazione e il
controllo inadeguato dell’impulsività comprende necessariamente il disturbo
borderline di personalità (DBP).
Il concetto di impulsività è complesso e non ha ricevuto finora una definizione univoca. Tuttavia, Moeller et al.1 hanno recentemente indicato le caratteristiche fondamentali che contraddistinguono questo concetto. L’impulsività è
considerata una predisposizione, ossia un modello di comportamento biologicamente predeterminato, che comporta la tendenza del soggetto ad agire
rapidamente, senza pianificare la propria condotta e senza avere la possibilità
di procedere ad una valutazione razionale e consapevole delle sue conseguenze.
Il disturbo borderline di personalità è l’attuale denominazione di un’entità
clinica che si colloca al limite fra l’area psicopatologica delle psiconevrosi e
quella delle psicosi e che è stata variamente indicata come “sindrome marginale”, “sindrome pseudonevrotica”, “stato limite”.
La prima definizione di borderline è quella fornita da Hughes2, secondo cui
“lo stato di confine della follia comprende numerose persone che trascorrono
la vita vicino a questa linea, tanto da una parte, che dall’altra”.
Lo stesso Kraepelin3, pur non prendendo esplicitamente in considerazione
questo disturbo, ha descritto forme attenuate di demenza precoce, cioè forme
cliniche prossime alla psicosi, ma difficilmente inquadrabili secondo gli
schemi nosografici da lui adottati. Bleuler4 ha introdotto il concetto di schizofrenia latente per indicare quadri clinici di difficile interpretazione, in cui
una disposizione schizofrenica latente sembra incidere in maniera patoplastica sull’espressione sintomatica di forme apparentemente nevrotiche o caratteriali.
In un primo tempo, la tendenza prevalente fra gli Autori è stata quella di collocare gli stati limite in una posizione di confine con la psicosi schizofrenica.
Ey5 ha indicato questi quadri clinici come schizonevrosi e li considerava
espressivi dell’evoluzione dalla nevrosi alla psicosi.
Tuttavia, altri Autori hanno preferito considerare gli stati borderline come
disturbi specifici, dotati di consistenza interna e stabilità, collocati in una
posizione a sé stante, come “organizzazioni autonome e distinte dalle nevrosi
e dalle psicosi”6.
La descrizione classica di questi quadri clinici ha messo in evidenza alcune
peculiarità sintomatologiche: sintomi nevrotici multipli, con coesistenza di
ossessioni, fobie, manifestazioni isteriche e neurastenia (panneurosi); ansia
grave e persistente (panansietà); sintomi affini a quelli schizofrenici, quali
idee paranoidee o di riferimento; manifestazioni tipiche delle personalità psicopatiche; frequente comparsa di brevi e transitori episodi psicotici. Il rilievo
dato alla presenza, in questi soggetti, di tratti propri delle personalità psicopatiche è comune in letteratura, e corrisponde al riscontro di un’impulsività
inadeguatamente modulata di condotte auto ed eteroaggressive che sfociano
frequentemente in atti autolesionistici, di sentimenti di rabbia eccessivi e
sproporzionati alle situazioni in cui si esprimono. L’importanza dell’impulsi-
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vità nel disturbo borderline è stata riconosciuta in una review largamente
citata di Gunderson e Singer7, che l’hanno indicata fra gli elementi caratterizzanti di questa condizione psicopatologica, accanto all’affettività disforica, all’alterazione delle relazioni interpersonali, ai disturbi cognitivi similpsicotici e al disadattamento sociale.
Il decorso è stato descritto come caratteristicamente cronico, lento, con scarsa o nessuna tendenza al deterioramento, con ricorrenti e brusche riaccensioni di fenomeni di instabilità affettiva e di impulsività8.
Con la pubblicazione della III edizione del Diagnostic and Statistical Manual
of Mental Disorders9 e delle successive revisioni della classificazione psichiatrica americana, è prevalso l’indirizzo di una collocazione autonoma del
disturbo borderline, del tutto indipendente dalla schizofrenia e caratterizzata
da un approccio descrittivo profondamente differente da quello sindromico
adottato in precedenza.
Il disturbo borderline è infatti inquadrato nelle attuali classificazioni psichiatriche10,11 nel capitolo dei disturbi di personalità, ossia fra i disturbi che si
caratterizzano per una modalità di percezione della realtà e di esperienza
interiore che si discosta in misura significativa dalle aspettative dell’ambiente culturale cui l’individuo appartiene. Altri elementi fondamentali per definire un disturbo di personalità sono la pervasività e la rigidità dei tratti, l’esordio che si colloca tra la fine dell’adolescenza e la prima età adulta, la sofferenza soggettiva o la compromissione del funzionamento sociolavorativo e
delle relazioni interpersonali. Il disturbo di personalità si manifesta in tutte le
principali aree dell’attività psichica, interessando in particolare affettività,
cognitività, relazioni interpersonali, controllo degli impulsi.
L’attuale concettualizzazione dei disturbi di personalità si basa fondamentalmente sulla descrizione delle personalità abnormi e psicopatiche formulata
nelle opere di Kurt Schneider12. Schneider considera le personalità abnormi
in un rapporto di continuità con le personalità normali, da cui si distinguono
per caratteristiche sensibilmente differenti da quelle comuni per la popolazione di appartenenza dei soggetti in esame. L’attuale disturbo di personalità
corrisponde alla personalità psicopatica di Schneider, cioè a quella particolare personalità abnorme in cui sono presenti caratteristiche e comportamenti
tali da provocare sofferenza al soggetto o alle persone che gli sono prossime.
È evidente che il concetto di personalità psicopatica, intesa come personalità
in grado di alterare patologicamente e significativamente il rapporto di integrazione fra l’individuo e il proprio ambiente, si applica con particolare evidenza in casi in cui i tratti distintivi del soggetto sono improntati a tendenze
aggressive e si riflettono in comportamenti impulsivi. A tale proposito, Schneider distingue nella sua tipologia due varianti di soggetti: la prima è quella
degli psicopatici labili di umore, in cui le azioni impulsive traggono origine
da un umore depressivo irritabile che insorge inaspettatamente e spesso
senza apparente motivazione; la seconda è quella degli psicopatici esplosivi,
individui irritabili, che manifestano reazioni primitive nel senso di Kretschmer, ossia vengono colpiti da una parola o da un fatto e, prima di coglierne il
valore effettivo, reagiscono nella forma esplosiva della rabbia e della violenza. E’ importante porre in evidenza che la tipologia esposta da Schneider
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prescinde da qualsiasi intento di sistematicità. I tipi sono semplicemente
descritti, non possono avere valore diagnostico e le loro combinazioni sono
molteplici e frequenti.
Le definizioni di personalità abnorme e psicopatica elaborate da Schneider si
ritrovano sostanzialmente inalterate nei criteri diagnostici per il disturbo di
personalità adottati dagli estensori della classificazione corrente. Una differenza si coglie solo nel fatto che Schneider fa riferimento a un criterio di
norma statistica (le caratteristiche comuni in quella popolazione), mentre il
DSM-IV-TR adotta un criterio che potremmo considerare di norma valoriale
(le aspettative dell’ambiente culturale di appartenenza). Più rilevante dal
punto di vista psicopatologico è il fatto che le categorie individuate nel
manuale, a differenza dei tipi di Schneider, hanno significato diagnostico e si
propongono di contribuire all’inquadramento clinico e nosografico del singolo paziente, anche se tale intento è frequentemente contraddetto dalla diagnosi di disturbo multiplo di personalità. È comunque prevedibile che i tratti
caratterizzanti diversi tipi schneideriani si ritrovino raggruppati in una singola categoria diagnostica dell’attuale classificazione.
IMPULSIVITÀ E DISTURBO BORDERLINE DI PERSONALITÀ
I disturbi di personalità del DSM-IV-TR sono raggruppati in tre cluster (Aodd, B-dramatic, C-anxious), in base all’affinità di alcuni tratti e a prescindere dal supporto di dati clinici. Il disturbo borderline, insieme ai disturbi
istrionico e narcisistico, è inserito nel dramatic cluster, in cui si sottolinea
l’esasperata espressione dell’emotività. Looper e Paris13 sviluppano l’ipotesi
secondo cui l’impulsività è la dimensione comune che sottende tutti i disturbi di questo cluster; le differenze fra le singole categorie riflettono la gravità
dei tratti impulsivi e le interazioni fra impulsività e altre dimensioni di personalità, oltre che gli effetti del genere e dell’ambiente culturale. Il disturbo
borderline di personalità è descritto dal Manuale come una modalità abnorme della vita psichica che si contraddistingue per instabilità affettiva, difficoltà nelle relazioni interpersonali, disturbi dell’identità e alterazione del
controllo degli impulsi.
Recenti analisi fattoriali condotte sui criteri del DSM-IV14-16 hanno messo in
evidenza che i tratti caratteristici del disturbo borderline sono riconducibili a
tre fattori fondamentali:
♦ il disturbo relazionale;
♦ la sregolazione comportamentale;
♦ la sregolazione affettiva.
Il disturbo relazionale comprende tratti quali l’instabilità delle relazioni
interpersonali, il disturbo dell’identità, il sentimento cronico di vuoto.
La sregolazione comportamentale comprende l’impulsività e il comportamento autoaggressivo.
La sregolazione affettiva rappresenta la manifestazione clinica di un temperamento caratterizzato dall’incapacità di fronteggiare lo stress e comprende
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tratti quali l’instabilità dell’umore, la rabbia eccessiva e inappropriata, l’evitamento dell’abbandono reale o immaginario.
Se si considerano con attenzione i tratti che trovano collocazione nei tre fattori
fondamentali di Sanislow, risulta evidente che aspetti personologici riconducibili al concetto di impulsività sono presenti in tutti i fattori, interessando sia la
tendenza a interrompere bruscamente le relazioni interpersonali, passando
repentinamente dall’idealizzazione alla svalutazione dell’altro, sia l’incapacità
a controllare e regolare l’intensità delle proprie reazioni comportamentali, sia
la rabbia eccessiva o le reazioni esasperate di fronte al rischio di affrontare
un’esperienza di abbandono. Si potrebbe concludere che l’impulsività può
essere considerata come una dimensione psicopatologica che interessa trasversalmente e colora caratteristicamente tutti i tratti e le manifestazioni comportamentali e sindromiche della patologia borderline.
L’importanza di questa dimensione, nell’ambito del disturbo borderline, è stata
approfonditamente studiata da diversi Autori. In particolare, in un lavoro del
1990, Stone17 ha riscontrato che i pazienti borderline, che rispondevano anche
ai criteri per il disturbo antisociale di personalità, erano caratterizzati da una
prognosi più sfavorevole ed ha attribuito questo dato agli alti livelli di impulsività. Se si considera la storia dei tentativi suicidari come una manifestazione
d’impulsività, deve essere citato anche lo studio di Mehlum et al.18, che hanno
trovato che pazienti borderline con una storia di tentativi di suicidio, hanno
una probabilità significativamente maggiore di mantenere una diagnosi di
DBP a distanza di tre anni. Sulla base di questi dati, il ruolo dell’impulsività
nella psicopatologia del disturbo borderline ha ricevuto una crescente attenzione. Zanarini19 ha suggerito che il modo più soddisfacente di concettualizzare il
DBP è quello di considerarlo come un disturbo dello spettro dell’impulsività.
Inoltre, propone di considerare il disturbo borderline non come una variante
attenuata o atipica di disturbo del controllo degli impulsi, ma piuttosto come
una forma specifica di disturbo di personalità che condivide con altri disturbi
del controllo degli impulsi l’elemento essenziale della tendenza al passaggio
all’atto. Gli argomenti a favore di queste tesi sono basati su studi clinici e di
storia familiare, che indicano uno stretto rapporto tra il disturbo borderline e
altri disturbi dell’impulsività, come quelli d’abuso di sostanze, il disturbo antisociale di personalità e i disturbi del comportamento alimentare.
Più recentemente, Links et al.20 si sono proposti di verificare l’ipotesi di Zanarini, ossia se l’impulsività possa essere individuata come un aspetto nucleare
del disturbo borderline di personalità. A tale scopo questi Autori hanno indagato in uno studio di follow-up se il grado di impulsività sia stabile nel tempo, sia
predittivo della persistenza a lungo termine del disturbo e abbia un valore predittivo superiore ad altri parametri rispetto alla gravità delle manifestazioni
borderline a sette anni di distanza. I risultati ottenuti da questi autori adottando
la Diagnostic Interview for Borderlines (DIB) in una coorte di 130 soggetti
forniscono una risposta affermativa a questi quesiti. In particolare, se si distinguono le cinque sottoscale nell’ambito della DIB (adattamento sociale, impulsività, affettività, psicosi, relazioni interpersonali), l’impulsività è quella che ha
il valore predittivo più alto nei confronti del livello di psicopatologia borderline al follow-up. Lo studio indica pertanto che fra le caratteristiche del DBP,
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l’impulsività risulta quella significativa per distinguere le forme persistenti del
disturbo. Gli Autori sottolineano i quesiti che sono posti da questi dati: in
primo luogo, gli interventi farmacologici che contengono l’impulsività, come i
trattamenti a breve termine con agenti serotoninergici selettivi, devono essere
testati per determinare se hanno effetti protratti sul decorso del disturbo; in
secondo luogo, occorre verificare l’ipotesi, già avanzata da Coccaro et al. nel
198921, che anomalie del sistema serotoninergico siano responsabili dell’impulsività nel DBP e contraddistinguano le forme persistenti del disturbo.
Links e Heslegrave22 hanno ripreso lo studio dell’impulsività in rapporto al
decorso del disturbo borderline. Questi Autori sottolineano ancora una volta
che l’impulsività è un elemento primario del disturbo che ne condiziona il
decorso e che tende a decrescere con l’età. Gli interventi mirati a ridurre i
livelli dell’impulsività, come il recupero dei soggetti con disturbi d’abuso di
sostanze, la farmacoterapia e le tecniche cognitivo-comportamentali, possono
condizionare positivamente il decorso del disturbo: riducendo il rischio di condotte con effetti letali nelle fasi precoci del disturbo, questi interventi possono
consentire a molti pazienti di ottenerne la remissione.
Alcuni Autori hanno studiato l’impulsività nel disturbo borderline proponendosi
di chiarirne i rapporti con un altro elemento psicopatologicamente fondamentale, ossia l’instabilità affettiva. I soggetti borderline presentano infatti delle brusche oscillazioni dell’affettività che riflettono un’intensa e mal regolata reattività
all’ambiente, soprattutto alle relazioni interpersonali. Un’ipotesi è che l’instabilità affettiva debba essere considerata come un fenomeno impulsivo: infatti rapidi cambiamenti affettivi in reazione a stimoli ambientali anche modesti, presentano affinità fenomeniche con il comportamento impulsivo, definito come la
tendenza a reagire repentinamente senza controllare l’intensità della risposta2325. Lo stretto rapporto fra impulsività e iperreattività affettiva è confermato da
alcune osservazioni cliniche: Linehan26 ha notato che comportamenti impulsivi
come quelli autolesivi sono utilizzati come meccanismi maladattivi per ottenere
sollievo da stati affettivi intollerabili; Herpertz27 ha sottolineato che tali comportamenti si verificano spesso nel contesto di intensi episodi di disforia. Successivamente, un gruppo di ricerca condotto dallo stesso Autore28 ha realizzato uno
studio sperimentale per verificare empiricamente il rapporto tra impulsività e
instabilità affettiva: un gruppo di 100 soggetti è stato sottoposto a un esperimento di stimolazione affettiva, mediante presentazione di un racconto breve. I
pazienti con disturbo della personalità e condotte impulsive hanno manifestato
una risposta affettiva significativamente più intensa per quanto riguarda soprattutto tre sentimenti negativi: tristezza, disperazione e solitudine. Gli Autori traggono da questi dati la conferma che l’instabilità affettiva costituisce un elemento
cruciale del funzionamento della personalità con tratti impulsivi.
IMPULSIVITÀ E COMORBILITÀ DI ASSE I
Secondo i criteri del DSM-IV-TR, il disturbo borderline di personalità risulta
piuttosto frequente, con una prevalenza lifetime nella popolazione generale
del 2%, che sale al 10% in pazienti psichiatrici ambulatoriali e al 20% in
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pazienti ricoverati. Tuttavia, è raro che con questi criteri si possano individuare dei casi di DBP che si presentano come disturbi isolati, senza codiagnosi di Asse I e II. Infatti, l’attuale concettualizzazione del disturbo borderline di personalità comprende una serie di manifestazioni assai più limitate di
quelle che erano prese in considerazione nelle descrizioni tradizionali delle
sindromi marginali o pseudonevrotiche5,8. In particolare, non è inclusa
un’ampia varietà di sintomi che si manifestano con elevata frequenza, dando
origine a quadri clinici polimorfi e mutevoli nel tempo: per tenere conto di
questi aspetti sindromici, le attuali classificazioni rendono indispensabile
ricorrere al concetto di comorbilità.
Se consideriamo gli studi più recenti sulla comorbilità fra disturbo borderline
e disturbi psichici di Asse I29-31, i valori ottenuti per le singole categorie diagnostiche risultano molto elevati, anche se oscillano sensibilmente da uno
studio all’altro (tabella 1). In ogni caso, gli Autori sono concordi nell’indicare che la condizione di comorbilità più frequente è quella con i disturbi
depressivi, in particolare con il disturbo depressivo maggiore che è diagnosticabile almeno nella metà dei casi di disturbo borderline.
L’orientamento attualmente predominante, volto a descrivere quadri clinici
complessi di disturbo borderline in termini di copresenza fra tratti abnormi di
personalità e sintomi di disturbi psichici di Asse I, condiziona evidentemente
l’indirizzo delle ricerche cliniche recenti, che sono state progettate essenzial-
Tabella I. Prevalenza (%) dei disturbi di Asse I nei pazienti con Disturbo Borderline di
Personalità.
Disturbo di Asse I
Zanarini
et al., 1998
N = 379
Comtois
et al., 1999
N = 38
Zimmerman
e Mattia, 1999
N = 59
Disturbo Depressivo
Maggiore
82.8
52.6
61.0
Disturbo Distimico
38.5
23.6
11.9
21.1
20.3
Disturbo Bipolare
9.5*
Disturbo di Panico
47.8
21.1
30.5
Disturbo d’Ansia
Generalizzata
13.5
13.2
13.6
Disturbo OssessivoCompulsivo
15.6
0
20.3
Fobia Semplice
31.7
2.6
20.3
Abuso di sostanze
46.2
26.3
13.6
Disturbi del Comportamento
Alimentare
46.4
5.3
16.9
(modificata da Zanarini et al., 1998; Comtois et al., 1999; Zimmerman e Mattia, 1999)
* solo Bipolare di tipo II
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mente come studio dei rapporti intercorrenti fra le categorie diagnostiche concomitanti. Anche lo studio dei fenomeni impulsivi nell’ambito della patologia
borderline non può prescindere, in questo quadro di riferimento, dall’analisi
dei rapporti che legano il disturbo di personalità ad alcune condizioni cliniche
di Asse I, quali i disturbi dell’umore, l’abuso di alcol e sostanze, i disturbi del
comportamento alimentare e i disturbi del controllo degli impulsi.
In studi recenti, il riscontro, di un elevato tasso di comorbilità fra disturbo
borderline e disturbi depressivi conferma lo stretto rapporto fra queste entità
cliniche già messo in evidenza in passato da Autori di indirizzo psicoanalitico come Bergeret6. Recenti studi clinici su questa condizione di comorbilità
hanno messo in evidenza alcune caratteristiche differenziali:
1. i pazienti con DBP hanno una depressione più grave dei controlli con altri
disturbi di personalità, sia che la valutazione sia condotta con scale di eterovalutazione sia che si adottino scale di autovalutazione30;
2. i pazienti con comorbilità tra depressione maggiore e DBP presentano un
numero più elevato di progetti e tentativi di suicidio rispetto ai soggetti
con depressione “pura”32;
3. i pazienti con depressione maggiore e tratti di impulsività e aggressività
riferiscono con più alta frequenza esperienze di abuso33.
Per quanto riguarda lo studio dell’impulsività, gli ultimi due punti risultano
di notevole interesse. In particolare il rapporto tra impulsività e condotte suicidarie risulta un elemento centrale nella comorbilità fra disturbo borderline
e disturbi depressivi ed è stato oggetto di numerose indagini cliniche e biologiche. L’impulsività è, infatti, stata associata con comportamenti suicidari e
autodistruttivi in popolazioni di pazienti psichiatrici34,35. In soggetti con
DBP, l’impulsività è il tratto di personalità con più alto valore predittivo
rispetto ai comportamenti suicidari34. Inoltre Herpertz e Favazza35 hanno
riferito che misure cliniche e biologiche dell’impulsività risultano più alte in
soggetti con una storia di automutilazioni. Anche una bassa attività serotoninergica, che è considerata un correlato biologico di comportamenti impulsivi/aggressivi contro persone o cose36,37, è stata messa in relazione con le
condotte suicidarie38,39. Questi dati suggeriscono un substrato psicopatologico e biologico comune tra impulsività e suicidio.
Poiché anche il riscontro di un trauma infantile è stato associato con comportamenti autodistruttivi e suicidari in fasi successive della vita40,41, Brodsky et
al.33 hanno ipotizzato che un’alta frequenza di traumi infantili sia presente in
adulti depressi con alti livelli di aggressività, impulsività e comportamenti
suicidari. I dati raccolti su 136 soggetti con diagnosi di depressione maggiore confermano queste ipotesi. Risulta anche che un’esperienza di abuso nell’infanzia è correlata a un’età più precoce della condotta suicidaria che può
verificarsi già nell’infanzia o nell’adolescenza. Proponendosi di fornire
un’interpretazione di queste correlazioni, gli Autori ipotizzano che l’impulsività possa essere considerata come un tratto ereditario che è aggravato dagli
effetti di esperienze ambientali di abuso ed è alla base dell’aggressività e
delle condotte suicidarie.
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Un altro risultato rilevante dello studio del gruppo di Brodsky33 è che il livello
di impulsività e aggressività di tratto, ma non la gravità oggettiva della depressione, è significativamente associato con i tentativi di suicidio. Questi dati
sono in sostanziale accordo con quelli ottenuti da ricerche precedenti. Brent et
al.42 hanno messo in evidenza che, nei parenti di 1° grado di adolescenti vittime di suicidio, alti livelli di aggressività sono associati con un forte carico
familiare di condotte suicidarie, mentre il grado di psicopatologia non rende
pienamente conto della trasmissione familiare dei comportamenti suicidari.
Mann et al.43 hanno esaminato i tentativi di suicidio in pazienti con disturbi
dell’umore: la gravità della depressione eterovalutata non ha permesso di
distinguere i pazienti che hanno tentato il suicidio dal gruppo di controllo; al
contrario i livelli di aggressività e impulsività sono risultati significativamente
più alti nei tentati suicidi. Si può quindi proporre un modello di stress-diatesi
per il suicidio che presuppone che tratti biologici e di personalità abbassino la
soglia individuale di passaggio all’atto in condizioni di depressione, ideazione
suicidaria o altri stati di intensa stimolazione ambientale.
Lo studio dei rapporti fra disturbo borderline e disturbi depressivi, anche in
riferimento alla presenza di condotte autoaggressive, è stato oggetto di un’indagine clinica recentemente condotta presso la Struttura Complessa di Psichiatria del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Torino44,45.
Scopo della ricerca è stato quello di valutare, in un campione di pazienti con
disturbo depressivo, le caratteristiche cliniche dei soggetti con DBP a confronto con un gruppo di controllo con altri disturbi di personalità. I risultati
ottenuti indicano che la gravità del disturbo borderline, misurata con il Borderline Syndrome Index (BSI) è significativamente correlata ad alcuni fattori
clinici: gravità della depressione autovalutata, compromissione del funzionamento sociale, familiarità dei disturbi dell’umore, esperienze di abuso mentale durante l’infanzia, presenza di comportamenti autolesivi e suicidari. I
nostri dati sono quindi sostanzialmente in accordo con quelli finora riferiti e
tratti dalla letteratura, poiché emerge una stretta associazione fra la patologia
borderline, con i suoi tratti di impulsività, le esperienze di abuso precoce e le
condotte autoaggressive. In definitiva, queste correlazioni permettono di
sostenere il modello stress-diatesi proposto dal gruppo di Mann per spiegare
le condotte autolesive e suicidiarie.
Un’altra condizione di comorbilità di notevole rilevanza clinica e psicopatologica per lo studio dei fenomeni impulsivi nel disturbo borderline è quella
che riguarda i disturbi bipolari. Procedendo dall’osservazione di alti tassi di
comorbilità lifetime e familiare, negli anni ‘90 numerosi Autori hanno suggerito una relazione tra DBP e disturbi dello spettro bipolare, fino a ipotizzare di includere le manifestazioni del disturbo borderline fra quelle proprie
dello spettro46-48. A questo proposito, assume notevole importanza il ruolo
della dimensione impulsività. Harmon-Jones et al.49 ritengono virtualmente
impossibile soddisfare i criteri del DSM-IV per un episodio maniacale in
assenza di condotte impulsive. Swann et al.50 riferiscono che l’impulsività,
misurata con scale di valutazione psichiatrica, è costantemente presente negli
episodi maniacali, mentre altre caratteristiche sono ampiamente variabili.
Abbiamo visto che anche gli episodi depressivi possono essere associati
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all’impulsività, soprattutto se presente la tendenza al suicidio51. Inoltre, alti
livelli d’impulsività sono stati riscontrati anche nei periodi interepisodici,
indicando che questa dimensione psicopatologica comprende, nei disturbi
bipolari e in quelli correlati, sia componenti di stato sia di tratto50. Il riscontro di alti livelli d’impulsività accomuna quindi in modo molto evidente il
DBP e i disturbi bipolari e rappresenta un elemento psicopatologico rilevante
a supporto dell’inclusione del DBP nello spettro bipolare.
È ben noto dalla clinica lo stretto rapporto che intercorre fra disturbo borderline e abuso di alcol e altre sostanze tossicomaniche. Secondo studi recenti,
il 75% dei pazienti con DBP presenta una condizione di abuso di sostanze e
il 20% dei soggetti con abuso di sostanze presenta un DBP52-55.
Il ruolo dell’impulsività in queste condizioni non è facile da delineare. Di per
sé l’abuso di sostanze è un comportamento complesso che non può essere
considerato strettamente impulsivo. Tuttavia, un individuo con abuso di
sostanze può, in risposta allo stress o a stimolazioni ambientali, fare ricorso
alla sostanza in modo rapido, imprevisto e senza tenere conto delle conseguenze. Se quindi l’impulsività è correlata all’uso di sostanze almeno in alcune situazioni, ci si può aspettare che l’abuso sia più frequente in soggetti che
manifestano comportamenti impulsivi. Una review di Brady et al.56 ha preso
in esame studi su aggressori impulsivi e soggetti con disturbo esplosivo intermittente riscontrando tassi più elevati di abuso e dipendenza da sostanze.
Diversi studi che hanno utilizzato misure standardizzate hanno trovato livelli
più elevati di impulsività in soggetti dipendenti da sostanze rispetto ai controlli sani57-59. Ai fini della nostra indagine assume grande interesse il dato
riportato da Kruedelbach et al.60, che ha riscontrato che soggetti con dipendenze da sostanze e disturbo borderline di personalità usano più sostanze e
sono più impulsivi di quelli che non soddisfano i criteri per il DBP.
Un rapporto significativo è anche quello che intercorre fra DBP e disturbi del
comportamento alimentare. La comorbilità è comune e riguarda in modo particolare la bulimia nervosa e l’anoressia tipo binge-eating purging, quindi i
disturbi caratterizzati da abbuffate e condotte di eliminazione61-65. Dalla letteratura emerge che l’impulsività rappresenta un aspetto rilevante nella psicopatologia di questi disturbi dell’alimentazione. In particolare, numerosi Autori
hanno riportato il dato della presenza di alti livelli d’impulsività nei pazienti
bulimici, in qualche caso con differenze significative rispetto a soggetti con
anoressia tipo restricter63,66,67. Nagata et al. 68 hanno studiato la presenza di
multi-impulsività in un gruppo di 236 soggetti con diagnosi di disturbo alimentare. La multi-impulsività è stata definita in base alla presenza di almeno
tre dei seguenti comportamenti: abuso prolungato di alcol, tentativi di suicidio, automutilazione, furti ripetuti nei negozi e relazioni sessuali con persone
poco conosciute. Tale condizione è stata riscontrata nel 18% dei soggetti con
bulimia nervosa e nell’11% di quelli con anoressia tipo binge-eating purging,
in confronto al 2% del gruppo con anoressia tipo restricter e dei controlli. Per
quanto riguarda il disturbo borderline di personalità, esso è risultato significativamente associato alla multi-impulsività nei pazienti bulimici. In un altro
studio su 185 soggetti con disturbo alimentare, lo stesso gruppo di ricerca69,
ha riscontrato una significativa associazione fra DBP e una condizione di
2:2003; 125-145
Lo studio della dimensione impulsività nei disturbi di personalità ed in particolare nel disturbo borderline è stato oggetto negli ultimi anni di un crescente interesse per quanto riguarda la ricerca di correlati biologici e fisiopatologici, che possano fornire un adeguato supporto alla scelta di adeguate strategie farmacoterapiche mirate.
Per quanto riguarda lo studio dei fattori eredofamiliari nel disturbo borderline, l’impulsività risulta un tratto parzialmente ereditabile. Gli studi sui
gemelli di pazienti con questo disturbo di personalità dimostrano la trasmissibilità del tratto impulsività ma non del disturbo71. Esiste una familiarità per
il disturbo borderline di personalità, ma le caratteristiche nucleari dell’impulsività e dell’instabilità affettiva sembrano aggregarsi in modo indipendente
nei familiari dei pazienti borderline e possono quindi combinarsi per conferire una suscettibilità al disturbo72.
La dimostrazione dell’esistenza di una componente genetica alla base dell’impulsività/aggressività è uno degli elementi che ha promosso gli studi volti a
riconoscerne i substrati biologici, ponendo particolare attenzione ai neuromodulatori che hanno un ruolo nella stimolazione o nell’inibizione del comportamento esterno. Il sistema serotoninergico, che è un sistema ad azione inibitoria
sul comportamento, sembra quello maggiormente implicato nella genesi di
questi tratti comportamentali. Numerose evidenze sperimentali suggeriscono
una relazione tra ridotta funzionalità del sistema serotoninergico e impulsività/aggressività sia auto- che eterodiretta. Ridotti indici dell’attività serotoninergica presinaptica, inclusi i livelli liquorali dell’acido 5-idrossi-indolacetico
(5-HIAA), sono stati riscontrati in soggetti depressi che hanno tentato il suicidio o che hanno messo in atto comportamenti parasuicidari73. Inoltre, gli studi
post-mortem hanno dimostrato ridotti livelli di serotonina e dei suoi metaboliti
nel cervello di soggetti vittime di suicidio74. Gli studi di stimolazione farmacologica suggeriscono una ridotta attività serotoninergica centrale nei pazienti
con disturbi di personalità e comportamenti aggressivi. La secrezione di prolattina dopo stimolazione con fenfluramina (agente serotoninergico che promuove il rilascio di serotonina e ne inibisce il reuptake) risulta più bassa nei
NÓOς
CORRELATI BIOLOGICI DELL’IMPULSIVITÀ
PSICOPATOLOGIA
DEGLI IMPULSI
abuso o dipendenza da sostanze. L’impulsività nei disturbi alimentari è stata
anche riconosciuta come un fattore predittivo dell’esito a lungo termine:
Sohlberg et al.70 hanno studiato un gruppo di 35 soggetti con anoressia e bulimia nervosa, riscontrando che l’impulsività rendeva conto del 25% dei sintomi a 2-3 anni di follow-up e del 14% dei sintomi dopo 4-6 anni.
I dati finora esposti sul ruolo dell’impulsività in diverse condizioni di comorbilità fra DBP e disturbi psichiatrici di Asse I meritano di essere valutati con
grande attenzione, poiché si può concludere che l’incapacità di questi soggetti di modulare il controllo sulle proprie reazioni emotive e sulle proprie
condotte sia uno degli elementi psicopatologici che possono contribuire a
chiarire i legami che intercorrono tra i disturbi in codiagnosi, superando un
approccio meramente descrittivo.
135
PSICOPATOLOGIA DELL’IMPULSIVITÀ E
DISTURBO BORDERLINE DI PERSONALITÀ
S. BELLINO - P. ROCCA
L. MARCHIARO - L. PATRIA
F. BOGETTO
NÓOςς
soggetti con disturbi di personalità borderline o antisociale74. È stata dimostrata una correlazione negativa tra i livelli di prolattina dopo stimolazione con
agenti serotoninergici e tratti di impulsività e aggressività21,75.
I dati che hanno evidenziato il legame fra ridotti livelli di attività serotoninergica e impulsività/aggressività, hanno indirizzato l’attenzione dei ricercatori sull’individuazione di specifici geni coinvolti nella regolazione del sistema serotoninergico e potenzialmente correlati all’espressione di questi tratti comportamentali. Sono stati presi in esame i geni della triptofano idrossilasi, del trasportatore della serotonina, dei recettori 5-HT1a, 5-HT1b e 5-HT2a. Per l’allele “L”
della triptofano idrossilasi e l’allele “S” del trasportatore della serotonina sono
stati ipotizzati legami con condotte impulsive76,77, mentre il gene per il recettore 5-HT1b è stato associato con il comportamento suicidario78.
La dimensione impulsività/aggressività è stata anche messa in relazione ad
un’alterazione del sistema noradrenergico. I neuroni noradrenergici del locus
coeruleus svolgono infatti un ruolo importante nella regolazione dell’arousal
e della risposta agli stimoli esterni, per cui un incremento della trasmissione
noradrenergica potrebbe favorire condotte aggressive dirette verso l’esterno.
Alcuni dati forniscono un supporto a questa ipotesi. Nei pazienti con gioco
d’azzardo patologico è stata osservata una correlazione tra un aumento della
reattività all’ambiente e un incremento dell’attività di questo sistema neurotrasmettitoriale79. Nei pazienti con disturbo borderline di personalità l’irritabilità è positivamente correlata ad aumentati livelli di ormone della crescita
(GH) dopo stimolazione con clonidina, agonista dei recettori noradrenergici
α280. Nei pazienti con disturbi di personalità gli indici dell’attività noradrenergica presinaptica, quali la concentrazione plasmatica di noradrenalina,
sono positivamente correlati all’impulsività81.
Studi recenti hanno adottato tecniche di brain imaging per valutare gruppi di
pazienti con DBP. La Risonanza Magnetica (RM) ha permesso di rilevare
anomalie strutturali a livello dei lobi frontali e dell’ippocampo, queste ultime
particolarmente evidenti nei soggetti borderline con storia di abuso. La
Tomografia a Emissione di Positroni (PET) ha messo in evidenza alterazioni
del metabolismo a livello della corteccia prefrontale e delle vie cortico-striatali, che correlano con i tratti impulsivi, aggressivi e i comportamenti autolesivi, incluso il suicidio82. Questi dati offrono indicazioni preliminari sui correlati morfologici e funzionali della psicopatologia dell’impulsività e aprono
una linea di ricerca che potrà condurre in futuro all’individuazione di meccanismi fisiopatologici coinvolti nella patogenesi del disturbo borderline.
TRATTAMENTO FARMACOLOGICO DELLA DIMENSIONE
IMPULSIVITÀ
Per quanto riguarda la definizione di un corretto indirizzo terapeutico, è importante sottolineare che il disturbo borderline di personalità, pur richiedendo
generalmente un intervento psicoterapeutico a indirizzo psicodinamico83, è fra
i disturbi di personalità quello che più frequentemente trae giovamento dalla
farmacoterapia.
136
Farmaco specifico
Sintomi target
SSRIs e
AD analoghi
Fluoxetina, sertralina,
venlafaxina
Umore depresso, labilità dell’umore,
sensibilità al rifiuto, ansia
IMAO
Fenelzina,
tranilcipromina
Reattività dell’umore, disforia
isteroide, depressione atipica
Stabilizzatori
dell’umore
Litio, carbamazepina,
valproato
Labilità dell’umore, oscillazioni
ciclotimiche, tentativi di suicidio
Bdz
Alprazolam,
clonazepam
Ansia, agitazione psicomotoria
2:2003; 125-145
Classe
NÓOς
Tabella II. Linee-guida per il trattamento dei sintomi da sregolazione affettiva nei pazienti
con DBP.
PSICOPATOLOGIA
DEGLI IMPULSI
Il trattamento farmacologico del disturbo borderline di personalità segue principalmente un approccio di tipo dimensionale, trovando il suo razionale nei
modelli psicobiologici dei disturbi di personalità e nel modello neuro-bio-comportamentistico del temperamento. L’approccio dimensionale organizzato su
specifiche dimensioni sintomatologiche nucleari, piuttosto che su una specifica
diagnosi, sembra avere una maggiore utilità nella scelta e nel monitoraggio
della terapia farmacologica ed è stato recentemente adottato anche nelle lineeguida dell’American Psychiatric Association84, che ha distinto tre dimensioni
fondamentali su cui indirizzare l’impiego degli agenti farmacoterapici a disposizione: alterazioni cognitivo-percettive, instabilità affettiva, impulsivitàaggressività (tabella 2, 3, 4). Fra le dimensioni psicopatologiche del DBP, l’impulsività/aggressività richiede un’attenzione particolare, in quanto fattore di
rischio per il comportamento suicidario e aggressivo auto- ed etero-diretto e
deve quindi essere considerato con elevata priorità nella scelta degli agenti farmacologici. In generale, occorre comunque tenere in considerazione che il
(modificata da APA, 2001)
Tabella III. Linee-guida per il trattamento dei sintomi da discontrollo degli impulsi nei
pazienti con DBP.
Classe
Farmaco specifico
Sintomi target
SSRIs
Fluoxetina, sertralina
Irritabilità, rabbia, impulsività,
aggressività
IMAO
Fenelzina,
tranilcipromina
Irritabilità, impulsività in disforia
isteroide, rabbia
Stabilizzatori
dell’umore
Litio, carbamazepina,
valproato
Impulsività/aggressività
Antipsicotici
atipici
Clozapina
Psicoticismo, autolesionismo
Neurolettici
Aloperidolo
Rabbia acuta, ostilità, aggressività
(modificata da APA, 2001)
137
NÓOςς
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PSICOPATOLOGIA DELL’IMPULSIVITÀ E
DISTURBO BORDERLINE DI PERSONALITÀ
S. BELLINO - P. ROCCA
L. MARCHIARO - L. PATRIA
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Tabella IV. Linee-guida per il trattamento dei disturbi cognitivo-percettivi nei pazienti con
DBP.
Classe
Farmaco specifico
Sintomi target
Neurolettici
(bassa dose)
Aloperidolo, fenotiazine,
tioxanteni
Idee di riferimento/persecuzione,
ansia, impulsività, tentativi di
suicidio
Antipsicotici
atipici
Clozapina, olanzapina,
risperidone
Stessi sintomi dei neurolettici +
sintomi psicotici gravi e resistenti
(modificata da APA, 2001)
disturbo borderline è un disturbo cronico, in cui un adeguato intervento farmacoterapico può indurre solo una remissione parziale dei sintomi e un contenimento dei rischi comportamentali e dell’insorgenza di complicanze.
I protocolli attualmente disponibili sul trattamento del disturbo borderline di
personalità, in particolare le apposite linee-guida dell’American Psychiatric
Association84, indicano che i farmaci di prima scelta per il trattamento della
dimensione impulsività/aggressività sono gli inibitori selettivi del reuptake
della serotonina (SSRI), la cui efficacia è dimostrata da numerose evidenze
empiriche85-89. Questi farmaci si caratterizzano per un favorevole profilo
degli effetti collaterali, che favorisce la compliance al trattamento e determina un basso rischio in caso di overdose. L’efficacia degli SSRI nel controllo
dei comportamenti impulsivo-aggressivi sembra essere indipendente dall’azione sui sintomi depressivi ed ansiosi di questi pazienti, si manifesta rapidamente (entro pochi giorni), ma altrettanto rapidamente decresce con la
sospensione del trattamento90. La non risposta o una risposta incompleta ad
un SSRI non è predittiva di scarsa risposta a tutti gli SSRI, anzi deve indurre
a prendere in considerazione il passaggio ad un’altra molecola della stessa
famiglia91. In caso di risposta parziale o di inefficacia si può ricorrere,
soprattutto in condizioni di emergenza, al potenziamento o al passaggio ad
un neurolettico a basse dosi: i neurolettici agiscono rapidamente e determinano un immediato, anche se non specifico, controllo dell’aggressività
impulsiva92-95. Il trattamento con neurolettici è eseguito di solito per brevi
periodi (settimane, non mesi), in quanto il proseguimento e il mantenimento
della terapia con tali farmaci richiede un monitoraggio continuo per il rischio
di comparsa di discinesia tardiva96.
Altri farmaci dimostratisi efficaci nel controllo di questi sintomi sono gli inibitori delle monoaminoossidasi (IMAO) e gli stabilizzatori dell’umore (carbonato di litio, valproato e carbamazepina). Gli IMAO sono considerati di
seconda scelta per il profilo degli effetti collaterali e per le restrizioni dietetiche necessarie per garantirne la sicurezza di impiego94,96,97. Gli stabilizzatori
dell’umore sono ampiamente usati nella pratica clinica per il trattamento del
discontrollo dell’impulsività nel disturbo borderline di personalità, ma è
opportuno ricordare che le evidenze empiriche della loro efficacia sono
ancora poco numerose e spesso contrastanti98-104.
2:2003; 125-145
NÓOς
PSICOPATOLOGIA
DEGLI IMPULSI
Nei casi con aggressività impulsiva refrattaria al trattamento (soprattutto in
presenza di automutilazione o in presenza di comportamenti impulsivi connessi a sintomi psicotici) le linee-guida suggeriscono di prendere in considerazione gli antipsicotici atipici. Alcuni studi condotti nell’ultimo decennio
hanno evidenziato che la clozapina105-108 e l’olanzapina109,110 sono particolarmente efficaci nel controllo dell’aggressività e della violenza auto- ed
etero-diretta. Dalla letteratura, anche se gli studi sono ancora pochi e non
controllati, emerge anche che gli antipsicotici atipici potrebbero coprire un
più ampio spettro clinico, in particolare potrebbero essere efficaci anche per
il trattamento delle alterazioni cognitivo/percettive e dell’instabilità affettiva.
Gli antipsicotici atipici sono più facilmente tollerati rispetto ai neurolettici
per la loro scarsa propensione ad indurre effetti extrapiramidali. L’impostazione delle linee-guida dell’APA, che prende in considerazione gli antipsicotici atipici solo come ultima scelta, è probabilmente da ricondurre sia alla
necessità di un continuo monitoraggio della crasi ematica con clozapina, reso
indispensabile dal rischio di agranulocitosi, sia all’introduzione in commercio relativamente recente degli altri farmaci di questa classe, che limita il
numero degli studi in cui queste molecole sono impiegate per il trattamento
del disturbo borderline di personalità. Fino ad oggi, solo alcuni case report
hanno testato il risperidone come potenziale trattamento nel DBP, evidenziando effetti benefici su aggressività, umore e astenia111-114. In uno studio
condotto presso la nostra Struttura Complessa di Psichiatria del Dipartimento
di Neuroscienze dell’Università di Torino115, ci siamo proposti di valutare se
tale farmaco è in grado di indurre un miglioramento sintomatologico nei
pazienti affetti da questo disturbo, focalizzando principalmente la nostra
attenzione sui comportamenti impulsivo-aggressivi. Sono stati reclutati 15
soggetti (9 uomini e 6 donne) che soddisfacevano i criteri diagnostici del
DSM-IV-TR per il DBP. Per 4 pazienti è stata evidenziata anche una comorbidità in Asse II per il disturbo di personalità antisociale. I pazienti sono stati
trattati in aperto con risperidone per os per 8 settimane. Il dosaggio medio
finale di risperidone è stato 3,27 ± 0,458 mg/die. Alla fine del trattamento, è
stato riscontrato un miglioramento significativo rispetto al baseline della sintomatologia globale alla Brief Psychiatric Rating Scale (BPRS), della sintomatologia affettiva alla Hamilton Rating Scale for Depression (HAM-D), un
decremento significativo del punteggio totale dell’Aggression Questionnaire
(AQ misura specifica dell’outcome in termini di aggressività) e variazioni
sostanziali del funzionamento sociale alla Global Assessment of Functioning
(GAF) (tabella 5). Questi dati concordano con quelli di precedenti studi con
gli antipsicotici atipici clozapina e olanzapina che, a dosi basse/intermedie,
si sono dimostrati efficaci nel ridurre il comportamento auto- ed eteroaggressivo nei pazienti con DBP. Il nostro studio offre pertanto prospettive
incoraggianti circa il ruolo di risperidone nel trattamento di questo disturbo
psichiatrico comune e grave. Sono auspicabili in futuro studi in doppio
cieco, controllati con placebo, così come confronti con altri antipsicotici atipici o classi differenti di farmaci, per valutare definitivamente il rapporto
rischio/beneficio per ciascuna molecola attualmente impiegata nel trattamento del DPB.
139
NÓOςς
140
PSICOPATOLOGIA DELL’IMPULSIVITÀ E
DISTURBO BORDERLINE DI PERSONALITÀ
S. BELLINO - P. ROCCA
L. MARCHIARO - L. PATRIA
F. BOGETTO
Tabella V. Risultati di uno studio in aperto su 15 pazienti con diagnosi di DBP, trattati per 8
settimane con risperidone 1-4 mg/die.
MISURA
MEDIA
BASELINE
MEDIA
ENDPOINT
VARIAZ. %
p
BPRS
45.9 ± 3.31
36.3 ± 8.17
21
.0003
HDRS
16.5 ± 2.07
13.5 ± 2.83
18
.0025
AQ
85.1 ± 9.64
70.1 ± 16.96
18
.0057
GAF
44.7 ± 5.63
57.7 ± 12.08
29
.0008
(modificata da Rocca et al., 2002)
CONCLUSIONI
I dati che sono stati riportati e analizzati in questo lavoro indicano che l’impulsività ha un ruolo centrale all’interno di quella complessa entità clinica e
psicopatologica che è rappresentata dal disturbo borderline. La dimensione
dell’impulsività, infatti, non solo rende conto di alcuni tratti essenziali per la
caratterizzazione di questo disturbo di personalità (l’inclinazione a comportamenti potenzialmente dannosi o pericolosi per il soggetto, l’aggressività
auto ed eterodiretta, la tendenza a condotte suicidarie, la difficoltà a controllare sentimenti di rabbia eccessiva o immotivata), ma permette di fornire
un’interpretazione delle relazioni che intercorrono fra il DBP e numerosi
disturbi psichici di Asse I che si presentano in comorbilità. Più in generale,
quello che abbiamo preso in considerazione a proposito del ruolo dell’impulsività nella patologia borderline si può considerare un esempio delle opportunità esplicative di un approccio dimensionale per caratterizzare in maniera
più adeguata e approfondita il fenomeno della comorbilità, permettendo di
superare un modello esclusivamente descrittivo che risulta povero di indicazioni prognostiche e terapeutiche.
Per quanto riguarda l’individuazione dei correlati biologici dell’impulsività
nel DBP, essa risulta indispensabile per delineare i meccanismi fisiopatologici alla base di questo disturbo e soprattutto per fornire un razionale all’adozione di strategie terapeutiche mirate. Nel caso dei disturbi di personalità, il
trattamento farmacologico ha finora adottato un approccio essenzialmente
empirico che, pur proponendosi di agire su singoli cluster sintomatologici, si
è basato sull’esperienza clinica, piuttosto che su evidenze provenienti dalla
ricerca clinica e biologica. Tale limitazione deriva senza dubbio dalla notevole complessità e articolazione clinica di questa patologia, che rende difficile disporre di campioni di pazienti sufficientemente omogenei per condurre
ricerche metodologicamente valide. Tuttavia, l’attuale disponibilità di nuove
classi di farmaci, quali gli antipsicotici di seconda generazione, o di nuovi
rappresentanti di classi già da tempo in uso, come gli stabilizzatori dell’umore, comporta uno stimolo rilevante alla realizzazione di sperimentazioni con-
trollate, che permettano la raccolta di dati sistematici e conducano conseguentemente alla formulazione di linee-guida più precise e affidabili.
2:2003; 125-145
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