Rassegne Vol. 95, N. 6, Giugno 2004 I disturbi di personalità borderline nel trattamento di malattie somatiche Simone Vender, Camilla Callegari, Nicola Poloni Riassunto. I disturbi di personalità borderline, per motivi sociali e culturali, sono molto diffusi nella società contemporanea. Sono analizzate alterazioni dei processi mentali (impulsività e memoria) perché costituiscono fattori di rischio per il trattamento di malattie somatiche concomitanti. Sulla base di una prolungata esperienza di consulenze psichiatriche, gli autori indicano alcune linee di condotta nella pratica terapeutica di medici di base ed ospedalieri per superare difficoltà nel trattamento. Parole chiave. Disturbo di personalità borderline, fattori di rischio, impulsività, malattia somatica, memoria, terapia. Summary. The borderline personality disorders in medical practice: primary care and general hospital. The borderline personality disorders are very frequent in modern society because of cultural and social reasons. The authors analyze the disturbed mental processes (impulsiveness and memory) because they represent risk factors for the treatment of diseases. On the base of experience of consultation-liaison psychiatry, the authors show some guidelines in the medical practice (primary care and general hospital) in order to overcome the troubles of the treatment. Key words. Borderline personality disorders, impulsiveness, memory, risk factors, treatment. Introduzione I rapidi cambiamenti della società occidentale contemporanea (accelerato sviluppo tecnologico, immigrazioni dalle zone meno sviluppate, rapidità delle comunicazioni, ecc.), hanno generato esperienze di vita discordanti e frammentarie. Le organizzazioni sociali sono di scarso supporto all’integrità psico-fisica della persona, perché favoriscono incontri fluttuanti e instabili, mentre il senso d’identità personale si fonda su parametri spazio-temporali stabili e caratteristici della cultura di appartenenza. Accade quindi che nella vita quotidiana vi siano rapporti interpersonali ambigui e temporanei: una concausa è proprio l’effetto traumatico cumulativo dell’immigrazione, dell’urbanizzazione, della mobilità, del progresso delle tecnologie e della comunicazione di massa, fenomeni che hanno prodotto una costante erosione di valori e standard tradizionali. L’organizzazione della sanità riproduce tale cambiamento: i processi di parcellizzazione specialistica, di suddivisione delle competenze e delle prestazioni sono giudicati necessari per il progresso delle diagnosi e dell’efficacia delle terapie, ma non sempre rispondono alle esigenze di pazienti con pa- tologie complesse. Così i sanitari, attenti alla cura della persona malata, devono ridurre gli effetti negativi di quei processi. Lo sviluppo tecnologico infatti favorisce la moltiplicazione delle relazioni medico-paziente, con la maggiore richiesta di interventi specialistici: se alla fine degli anni ’80 ci si era accorti dei danni indotti dalle consultazioni mediche multiple 1, ora la clinica ci rende testimoni di questa abitudine diffusa, che non assume una connotazione patologica perché è diventata statisticamente normale. La temporaneità e l’ambiguità dei rapporti si osservano nella stessa relazione terapeutica, posta di fronte a problemi nuovi di non facile soluzione, oggetto di attenzione da parte della bioetica e della deontologia professionale. Scopo del lavoro L’esplicitazione di questa tesi socioculturale è il contributo di cornice allo scopo del presente lavoro, che è quello di aiutare colleghi impegnati nei trattamenti somatici a riconoscere e superare le difficoltà che nascono quando curano pazienti con un disturbo di personalità borderline (BPD). Sezione di Psichiatria, Dipartimento di Medicina e Sanità Pubblica, Università degli Studi dell’Insubria, Varese-Como. Pervenuto il 29 aprile 2003. 320 Recenti Progressi in Medicina, 95, 6, 2004 Tale disturbo è caratterizzato da instabilità affettiva e relazionale, riproducendo modelli comportamentali diffusi. Proprio per questo è stato oggetto della nostra riflessione clinica, che si fonda su anni di pratica di consulenze psichiatriche, in contesti universitari ed ospedalieri. Forniremo indicazioni per uscire da situazioni di impasse, allorché il paziente da collaborante si trasforma in ostile, come succede nella maggior parte dei casi. Epidemiologia La prevalenza dei disturbi mentali nella medicina di base e nell’ospedale generale è molto elevata, pur essendo eterogenee le stime per le diverse modalità di riconoscimento, conseguenti alla non diffusa attitudine dei medici nel cogliere la sofferenza mentale, giudicata troppo spesso una reazione alla malattia somatica. Vi sono indicatori generali invocati per valutare la diffusione dei disturbi mentali, come la crescita continua di prescrizione e consumo di psicofarmaci; essa è un dato sicuro e affidabile sia dell’incremento delle malattie mentali sia delle difficoltà in cui medici e pazienti si trovano quando si presenta nel paziente un disturbo della sfera emotiva ed affettiva 2. Se l’epidemiologia delle malattie mentali è attendibile nell’ambito strettamente psichiatrico, quella dei disturbi di personalità nei pazienti medico-chirurgici (tra i ricoverati, le percentuali oscillano tra il 2 e il 15%), è «limitata dalla scarsa chiarezza nosologica», dalla comorbilità e dal fatto che una valutazione epidemiologica di queste patologie «richiede molto tempo ed è molto costosa» 3, perché comporta indagini complesse sulla struttura psicopatologica dei malati. Perciò non può sorprendere che tra gli studi vi siano valori differenti: basta ricordare che la prevalenza media del disturbo borderline in una serie di 4 studi su oltre 1000 pazienti affetti da malattia mentale, ricoverati e non, è superiore a tutti gli altri disturbi, raggiungendo il 23% 3. Nosografia Il BPD ha avuto in psichiatria un’ampia risonanza, favorendo studi eziologici, psicopatologici e clinici: nella medicina generale, invece, non vi è stata particolare attenzione, nonostante l’elevata diffusione. Infatti l’incontro con i pazienti si limita al trattamento delle malattie conseguenti ai comportamenti impulsivi e tossicofilici, senza una riflessione sui processi mentali patologici, che sono fattori di rischio perché incidono sulla compliance; l’interesse è stato scarso, nonostante tali pazienti siano abituali frequentatori del Pronto Soccorso per l’insaziabile bisogno di cure ed attenzione, per la scarsa tolleranza alle frustrazioni, per una bassa soglia dell’aggressività. I pazienti con BDP non devono essere confusi con i soggetti che abusano di sostanze psicoattive, anche se l’impulsività e l’autodanneggiamento sono comportamenti che li accomunano, perché la prognosi, qualora si instauri un rapporto terapeutico adeguato, è più favorevole. È opportuno un inquadramento nosografico. Il concetto di borderline, in psichiatria, è nato per raggruppare casi clinici, tutt’altro che infrequenti, in cui un nucleo psicotico affiorava sotto una superficie apparentemente nevrotica: all’inizio, con questo termine si indicava una forma morbosa al confine tra i disturbi psicotici e nevrotici. Per molti anni il termine borderline è stato utilizzato per definire pazienti nevrotici particolarmente gravi (avendo una valenza peggiorativa rispetto all’ipotesi prognostica) o, al contrario, per evitare di formulare una diagnosi di psicosi in soggetti che, pur presentando sintomi psicotici, avevano un funzionamento mentale ancora conservato (accezione migliorativa del termine): la descrizione della “schizofrenia pseudonevrotica” di Hoch e Polatin 4 sintetizza e concettualizza tale posizione iniziale, precedendo l’introduzione definitiva del termine borderline. I primi studiosi osservavano una sindrome caotica, che non rientrava nei precedenti criteri diagnostici. La diagnosi di borderline negli ultimi decenni ha avuto un’imprevista e crescente popolarità, diventando sovente una sorta di cestino dei rifiuti, in cui collocare pazienti per i quali non era formulabile altra diagnosi. Si cercò allora di caratterizzare meglio questo gruppo, focalizzando le alterazioni nel funzionamento dell’Io, alterazioni tra cui furono indicate l’incapacità di programmare realisticamente il futuro, la predominanza dei processi di pensiero primario, ovvero magico, su quelli di pensiero secondario, cioè razionale, e l’incapacità di difendersi da impulsi primitivi. Dopo numerosi contributi nosografici, clinici e psicodinamici, si sono definiti i contorni, isolate le caratteristiche di questi pazienti 5 ed ora l’aggettivo borderline definisce un disturbo di personalità, intesa come l’insieme dei modi tipici con i quali un individuo pensa, sente e si relaziona. Questi modi sono considerati come strutturati, pur consentendo un adattamento alle condizioni ambientali: se sono fissi, stereotipati e non adattativi, provocano disfunzioni psico-sociali e costituiscono un vero e proprio disturbo di personalità. La nosologia contemporanea, come sostiene McGlashan 6, ha spostato il BPD tra i disturbi di personalità, elevandolo al rango di sindrome o disturbo autonomo e indipendente: vedi DSM IV-TR 7, ultima revisione del manuale diagnostico americano. In questo sistema multiassiale, il BDP è collocato sull’Asse II, che rileva importanti caratteristiche di personalità maladattative e patologiche, sottolineando un’adeguata considerazione per la loro presenza, perlopiù trascurata quando l’attenzione del clinico è diretta ai disturbi dell’Asse I (ove sono classificati i disturbi clinici e le altre condizioni che possono essere oggetto di attenzione clinica). Il BPD è collocato all’interno del cluster B, insieme ai disturbi antisociale, istrionico e narcisistico. Se i disturbi del cluster A sono più vicini alla serie schizofrenica e quelli del cluster C appaiono imparentati ai disturbi nevrotici, il disturbo borderline si colloca in un’area caratterizzata da individui «amplificativi, emotivi o imprevedibili» 7. S. Vender, C: Callegari, N. Poloni.: I disturbi di personalità borderline nel trattamento di malattie somatiche Criteri operativi per la diagnosi Alcune caratteristiche pongono costantemente il soggetto con BPD a rischio di mettere in pericolo la propria integrità somatica (incidenti, malattie derivanti da comportamenti a rischio, ecc.); inoltre le malattie sono i momenti topici in cui si svela un’organizzazione di personalità fragile e contraddittoria, ricca di paradossi che mettono a dura prova l’instaurarsi di una relazione terapeutica. Il DSM IV-TR stabilisce criteri operativi per la diagnosi: particolare rilevanza assume il criterio A, che definisce il disturbo BPD come «una modalità pervasiva di instabilità delle relazioni interpersonali, dell’immagine di sé e dell’umore e una marcata impulsività, comparse nella prima età adulta e presenti in vari contesti». Di seguito sono elencati nove criteri, almeno cinque dei quali indispensabili per effettuare la diagnosi. Esaminandoli, si può comprendere la pregnanza che tale disturbo riveste nella gestione del malato quando ha una patologia somatica grave e gravosa. Tre elementi rendono ragione dell’elevata frequenza con cui va incontro a malattie: 1. «impulsività in almeno due aree che sono potenzialmente dannose per il soggetto, quali spendere, sesso, abuso di sostanze, guida spericolata, abbuffate; 2. ricorrenti minacce, gesti, comportamenti suicidari o comportamento automutilante; 3. rabbia immotivata e intensa o difficoltà a controllare la rabbia (per esempio, frequenti accessi di ira o rabbia costante, ricorrenti scontri fisici)». I restanti sei elementi diagnostici spiegano le difficoltà nella cura di tali pazienti: 4. «sforzi esasperati di evitare un reale o immaginario abbandono; 5. un quadro di relazioni interpersonali instabili e intense, caratterizzate dall’alternanza tra gli estremi di iperidealizzazione e svalutazione; 6. alterazione dell’identità: immagine di sé e percezione di sé marcatamente e persistentemente instabili; 7. instabilità affettiva dovuta a una marcata reattività dell’umore (per esempio: episodica, intensa disforia, irritabilità o ansia, che di solito durano poche ore, e soltanto raramente più di pochi giorni); 8. sentimenti cronici di vuoto; 9. ideazione paranoide o gravi sintomi dissociativi transitori, legati allo stress». Tratti psico-comportamentali essenziali Nel caso in cui si verifichi uno scompenso psicopatologico depressivo, dissociativo o delirante (vedi elementi diagnostici da 6 a 9), la terapia è quasi sempre demandata allo psichiatra con una richiesta di consulenza, che porta spesso ad una presa in carico specialistica. In questa rassegna non trattiamo tanto gli episodici scompensi psichici, quanto il confronto con 321 tratti psico-comportamentali, elencati nel secondo gruppo, connessi ad alterazioni patologiche della personalità quali: l’incertezza dell’identità, per cui questa è rinforzata o disturbata dal contesto ambientale, la messa in atto di meccanismi di difesa primitivi (quali la scissione, la proiezione, l’actingout) che creano situazioni conflittuali addossando la colpa agli altri, l’oscillazione avvicinamento/allontanamento nelle relazioni interpersonali, per l’intensità delle emozioni sperimentate. Nonostante tutto ciò, l’esame di realtà rimane intatto 8. Le alterazioni mentali causano comportamenti ripetitivi, ritenuti dal paziente “giusti e giustificati”, in realtà provocatori e distruttivi dell’intervento terapeutico. Se consideriamo che, tranne nei momenti di scompenso, i malati hanno un esame di realtà integro, mentre la capacità di giudizio risulta compromessa per la difficoltà a valutare le conseguenze delle azioni impulsive, ci rendiamo conto delle difficoltà a comprendere la loro ostilità. Ma tutto ciò non porta subito ad una diagnosi psichiatrica: vale bene per costoro la definizione di Karl Schneider: sono persone che «soffrono e fanno soffrire» 9. L’instabilità delle relazioni interpersonali (tratto fondamentale) si esprime con azioni ed atteggiamenti manipolatori. La manipolazione è volta ad ottenere la considerazione e la presenza di un interlocutore, anche se il suo aiuto è svalutato e squalificato, e questo differenzia il BPD dal disturbo antisociale di personalità, che manipola per ottenere profitti, potere oppure altre gratificazioni materiali. È comprensibile come questo tipo di personalità, nel corso di una malattia somatica, crei problemi in termini sia di compliance che di reazioni emotive indotte negli operatori sanitari, perché tende ad instaurare relazioni molto intense all’insegna dell’iperidealizzazione (punto 5 dei criteri diagnostici). Due alterazioni dei processi mentali rendono difficile lo svolgimento del compito terapeutico: l’impulsività e la tendenza ad accumulare esperienze sfavorevoli. IMPULSIVITÀ È stato messo in evidenza un forte legame tra BPD e disturbi dello spettro impulsivo, considerato più specifico rispetto a quello esistente con le alterazioni dell’affettività 10. Pertanto dovremo sempre attenderci comportamenti impulsivi auto o eterodiretti, a cui sono state date due interpretazioni: alcuni autori propendono per attribuire alla costituzione dei pazienti la tendenza alla scarica pulsionale, mentre per altri questa sarebbe la risposta ad eventi storici traumatici sofferti ripetutamente nel corso degli anni 11. In una prospettiva terapeutica, risulta più utile la seconda ipotesi. Il considerare l’impulsività come una modalità “motoria” che il malato utilizza per raggiungere uno stato di tranquillità emotiva ed esprimere disperazione e rabbia, dovute ad intensa frustrazione per eventi traumatici, ci consente di programmare alcune precauzioni per evitare la ripetizione. 322 Recenti Progressi in Medicina, 95, 6, 2004 Tale interpretazione suggerisce anche un’evoluzione, perché i comportamenti sono considerati estemporanei e fluttuanti, connessi ad eventi da poco accaduti e non immodificabili. TENDENZA AD ACCUMULARE ESPERIENZE SFAVOREVOLI Stone 12, Huesman 13 e Van der Kolk 14 ritengono che nell’infanzia i pazienti abbiano subìto varie forme di abuso (sessuale, fisico, psicologico), per cui durante la crescita e nell’età adulta hanno la tendenza a far accadere esperienze sfavorevoli e traumatiche, inducendo negli altri aggressività. Lo sviluppo anomalo negli anni dell’infanzia non consentirebbe di accogliere dall’esterno atteggiamenti positivi per controbilanciare esperienze negative, a tal punto che è stata ipotizzata una particolare alterazione della memoria: l’alterazione consisterebbe nel fatto che i pazienti «rimangono in balìa dell’ultima impressione sensoriale sorta all’interno di un rapporto interpersonale» 15. Anche un affettuoso rapporto di una certa durata può essere cancellato da un’interazione vissuta come disturbante. Tutto ciò fa già intravedere le possibili complicazioni nel trattamento, sia esso somatico o psicologico. Problemi nella pratica terapeutica Si presentano allora al medico impegnato nella cura di un paziente affetto, oltre che dalla patologia somatica, anche da BPD i seguenti problemi: a) riconoscere il disturbo e differenziarlo dalle reazioni fisiologiche alla malattia, evitando giudizi moralistici (frequente è l’espressione condivisa: “tanto è fatto così”); b) riconosciuto il disturbo, adeguare le strategie di trattamento per evitare gravi difetti della compliance; Un secondo momento di fondamentale importanza e problematicità è quello del trattamento: che non può essere totalmente demandato allo psichiatra, perché la relazione curante/malato rappresenta, in caso di malattia somatica, l’area privilegiata in cui si esprime la sintomatologia del BPD e pertanto il curante generalista è investito suo malgrado anche della responsabilità della patologia psichica. RICONOSCIMENTO DEL DISTURBO Ben note sono le reazioni psicologiche ad una malattia fisica; la capacità del paziente di affrontarla, utilizzando tali risposte, è l’elemento decisivo per la guarigione o il recupero. Reazioni adattative (attese dai curanti) consentono al malato di tollerare la patologia, le indagini strumentali, il trattamento, i cambiamenti quotidiani della vita: esse sono la regressione, l’idealizzazione, la prevalenza del pensiero magico, la negazione della realtà nelle malattie gravi o terminali; più disturbanti sono modalità reattive quali l’oppositività e l’aggressività, peraltro meno frequenti. Le reazioni psicologiche indicano un’instabilità emotiva dovuta allo stress della malattia oppure a deficit cognitivi o ad alterazioni della coscienza. Se consideriamo che esse si manifestano anche in soggetti che reagiscono a situazioni di stress in modo maladattativo, comprendiamo come la combinazione di reazioni normali e patologiche possa produrre atteggiamenti, comportamenti e stati d’animo per lo meno disarmonici e inattesi. Esclusa la presenza di un delirium oppure di deficit neuropsicologici, se nell’anamnesi risultano alterazioni del comportamento fin dall’adolescenza o dall’inizio dell’età adulta, è possibile fare diagnosi di disturbo di personalità concomitante ad una malattia somatica. Quindi una corretta anamnesi ed un’attenta valutazione del comportamento del paziente consentono il riconoscimento del disturbo, sulla base dei criteri prima esposti. TRATTAMENTO DEL DISTURBO c) mantenere un atteggiamento terapeutico flessibile ma stabile a fronte di un tumulto emotivo del malato. Indicazioni per il trattamento Delineare alcune linee di condotta nel trattamento significa partire dalle alterazioni dei processi mentali, le quali evidenziano due momenti di particolare difficoltà che il curante può incontrare nel percorso di cura. Un primo momento di difficoltà è rappresentato dalla capacità di riconoscere il disturbo quando non è in corso uno scompenso psichico: il misconoscimento della specifica alterazione della personalità non rimane soltanto la dimostrazione di un’insufficiente diagnosi, bensì – nella maggioranza dei casi – precipita difficoltà relazionali che peggiorano la prognosi della malattia somatica. I pazienti borderline provano rabbia per essere malati, attaccando le persone che stanno accanto per sentirsi meno impotenti, meno colpevoli o spaventati; possono così diventare ostili, sospettosi ed accusatorii verso i familiari e lo staff medico e attivare forti lotte e discussioni con coloro che li accudiscono. Una patologia estrema, non frequente, come i disturbi fittizi 16,17 va presa come esempio: qui il disturbo di personalità diventa addirittura il principale fattore etiologico dei sintomi, perché vi è un bisogno patologico di collocarsi nel ruolo di malato producendoli in modo nascosto, mimando malattie fisiche. Molti di questi pazienti hanno un disturbo BPD, con istanze auto-distruttive e masochistiche che si esprimono con una dipendenza patologica dalle strutture e dagli operatori sanitari. Queste situazioni-limite ci aiutano a comprendere come si costituisce una condizione patologica di dipendenza e qual è la sua evoluzione. S. Vender, C: Callegari, N. Poloni.: I disturbi di personalità borderline nel trattamento di malattie somatiche Infatti, quando si instaura una regressione normale, vi è la consapevole accettazione della necessità di una dipendenza dal curante per ottenere i beneficî della relazione clinica, i quali portano al recupero del benessere psicofisico: il miglioramento permette la riduzione della dipendenza che si è prodotta in modo finalistico. Quando invece si instaura una regressione denominata maligna, come accade talora nella patologia di cui ci stiamo occupando (molto evidente nei disturbi fittizi), la dipendenza – invece di diminuire nel tempo – si accentua: ogni azione diretta a soddisfare richieste di accudimento e protezione non determina un effetto benefico ed un ricordo positivo, bensì accentua il bisogno sempre più frenetico ed esigente, carico di recriminazioni 18. La regressione comportamentale causa inevitabilmente rabbia, confusione e frustrazione nei curanti, soprattutto perché prima erano stati idealizzati: i medici si erano sentiti i salvatori di una persona malata (questo sentimento costituisce una forte carica positiva per chi lavora nell’area sanitaria) e quindi sono disorientati quando il paziente passa a criticare, svalutare, denigrare tutto ciò che è stato fatto per lui; per questo ritengono che l’atteggiamento rivendicativo sia non un tratto patologico ma una scelta contro di loro. Queste reazioni alla malattia sono esagerate ma anche qualitativamente patologiche, e la regressione maligna deve essere evitata o trattata. Si è di fronte ad essa quando, una volta appurata la correttezza ed adeguatezza del trattamento progettato e realizzato, si percepisce che la situazione clinica sta sfuggendo di mano; in altre parole: quando lo staff sente che sono imposti interventi che mortificano il suo sentimento di libertà nel realizzare le finalità assistenziali, terapeutiche e riabilitative. E tutto ciò accade all’interno di un contesto di cura nel quale eventi minimali scatenano reazioni sproporzionate. Il primo passo consiste nell’esplorare i motivi ed i significati dei comportamenti patologici, poi si devono porre limiti con interventi, gentili ma fermi, di infermieri e terapisti, aiutati dal medico che deve mantenere contatti con i familiari per mediare situazioni conflittuali. Alcuni suggeriscono l’utilità di un “contratto di comportamento”, con l’avvertenza che in questo non interferiscano le proprie reazioni personali; contratto che deve essere rivisto periodicamente in base ai problemi che può creare al paziente, introducendo cambiamenti anche minimi della routine assistenziale per evitare che prenda piede la tendenza ad accumulare esperienze sfavorevoli. Il “contratto terapeutico”, modello sempre più consigliato nella pratica medica, stabilisce la cornice del trattamento, la sua specificità nel caso trattato ed in qualche modo le responsabilità di ciascuno dei partecipanti; esso va formulato in modo che non sia percepito come una semplice affermazione unilaterale, perché è un dialogo in cui le reazioni 323 del malato stanno al centro della attenzione dei curanti. Solo così si evitano accordi superficiali e non utili, ma anche richieste troppo onerose per i terapeuti. Conclusioni Il trattamento di una malattia in soggetto con BPD è complicato dalla presenza di alterazioni dei processi mentali, alterazioni che causano difficoltà nel rapporto medico-paziente, diventando così fattori di rischio importanti. Il rapporto è messo a dura prova perché non è facile riconoscere che lo stato emotivo alterato è dovuto alla patologia del paziente, essendo, invece, considerato, spesso, una variante della normalità, finché l’esplosione impulsiva non indica la patologia sottostante. Nel BPD le alterazioni non rimangono confinate al paziente, ma si trasferiscono all’esterno attraverso l’alto coinvolgimento emotivo dello staff: dapprima idealizzato, questo è rapidamente oggetto di recriminazioni, sfide e provocazioni che producono un’instabilità dell’adesione alle scelte terapeutiche ed alle raccomandazioni mediche. Tutto ciò è un tratto distintivo proprio di questa patologia, che spesso si giunge a diagnosticare allorché si sono constatate difficoltà nel trattamento. I compiti da espletare sono fondamentalmente due. a) Riconoscere l’impulsività e la tendenza ad accumulare esperienze sfavorevoli come tratti comportamentali patologici specifici. b) Creare condizioni ambientali che siano personalizzate e non rigide, al fine di evitare una regressione comportamentale maligna. Il trattamento di questi pazienti, così difficili ma al giorno d’oggi così frequenti, può costituire la cartina di tornasole idonea a rivelare la capacità dello staff sanitario a far fronte ai nuovi compiti di una medicina che vuole curare la persona e che sa, quindi, valutare anche i fattori di rischio insiti nella personalità dei malati. Bibliografia 1. Frighi L, Cuzzolaro M. Danni iatrogeni da consultazioni mediche multiple. In: Pancheri P, Reda GC (ed). Disturbi iatrogeni in psichiatria. 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