I disturbi di personalità borderline nel trattamento di malattie

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Rassegne
Vol. 95, N. 6, Giugno 2004
I disturbi di personalità borderline
nel trattamento di malattie somatiche
Simone Vender, Camilla Callegari, Nicola Poloni
Riassunto. I disturbi di personalità borderline, per motivi sociali e culturali, sono molto diffusi nella società contemporanea. Sono analizzate alterazioni dei processi mentali
(impulsività e memoria) perché costituiscono fattori di rischio per il trattamento di malattie somatiche concomitanti. Sulla base di una prolungata esperienza di consulenze psichiatriche, gli autori indicano alcune linee di condotta nella pratica terapeutica di medici di base ed ospedalieri per superare difficoltà nel trattamento.
Parole chiave. Disturbo di personalità borderline, fattori di rischio, impulsività, malattia somatica, memoria, terapia.
Summary. The borderline personality disorders in medical practice: primary care and general hospital.
The borderline personality disorders are very frequent in modern society because of
cultural and social reasons. The authors analyze the disturbed mental processes (impulsiveness and memory) because they represent risk factors for the treatment of diseases.
On the base of experience of consultation-liaison psychiatry, the authors show some
guidelines in the medical practice (primary care and general hospital) in order to overcome the troubles of the treatment.
Key words. Borderline personality disorders, impulsiveness, memory, risk factors,
treatment.
Introduzione
I rapidi cambiamenti della società occidentale
contemporanea (accelerato sviluppo tecnologico, immigrazioni dalle zone meno sviluppate, rapidità delle comunicazioni, ecc.), hanno generato esperienze
di vita discordanti e frammentarie. Le organizzazioni sociali sono di scarso supporto all’integrità psico-fisica della persona, perché favoriscono incontri
fluttuanti e instabili, mentre il senso d’identità personale si fonda su parametri spazio-temporali stabili e caratteristici della cultura di appartenenza.
Accade quindi che nella vita quotidiana vi siano
rapporti interpersonali ambigui e temporanei: una
concausa è proprio l’effetto traumatico cumulativo
dell’immigrazione, dell’urbanizzazione, della mobilità, del progresso delle tecnologie e della comunicazione di massa, fenomeni che hanno prodotto una
costante erosione di valori e standard tradizionali.
L’organizzazione della sanità riproduce tale
cambiamento: i processi di parcellizzazione specialistica, di suddivisione delle competenze e delle prestazioni sono giudicati necessari per il progresso
delle diagnosi e dell’efficacia delle terapie, ma non
sempre rispondono alle esigenze di pazienti con pa-
tologie complesse. Così i sanitari, attenti alla cura
della persona malata, devono ridurre gli effetti negativi di quei processi. Lo sviluppo tecnologico infatti favorisce la moltiplicazione delle relazioni medico-paziente, con la maggiore richiesta di interventi specialistici: se alla fine degli anni ’80 ci si era
accorti dei danni indotti dalle consultazioni mediche
multiple 1, ora la clinica ci rende testimoni di questa
abitudine diffusa, che non assume una connotazione patologica perché è diventata statisticamente
normale. La temporaneità e l’ambiguità dei rapporti si osservano nella stessa relazione terapeutica,
posta di fronte a problemi nuovi di non facile soluzione, oggetto di attenzione da parte della bioetica e
della deontologia professionale.
Scopo del lavoro
L’esplicitazione di questa tesi socioculturale è il
contributo di cornice allo scopo del presente lavoro,
che è quello di aiutare colleghi impegnati nei trattamenti somatici a riconoscere e superare le difficoltà che nascono quando curano pazienti con un
disturbo di personalità borderline (BPD).
Sezione di Psichiatria, Dipartimento di Medicina e Sanità Pubblica, Università degli Studi dell’Insubria, Varese-Como.
Pervenuto il 29 aprile 2003.
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Tale disturbo è caratterizzato da instabilità affettiva e relazionale, riproducendo modelli comportamentali diffusi. Proprio per questo è stato oggetto della nostra riflessione clinica, che si fonda
su anni di pratica di consulenze psichiatriche, in
contesti universitari ed ospedalieri. Forniremo indicazioni per uscire da situazioni di impasse, allorché il paziente da collaborante si trasforma in
ostile, come succede nella maggior parte dei casi.
Epidemiologia
La prevalenza dei disturbi mentali nella medicina di base e nell’ospedale generale è molto elevata, pur essendo eterogenee le stime per le diverse modalità di riconoscimento, conseguenti alla
non diffusa attitudine dei medici nel cogliere la
sofferenza mentale, giudicata troppo spesso una
reazione alla malattia somatica. Vi sono indicatori generali invocati per valutare la diffusione dei
disturbi mentali, come la crescita continua di prescrizione e consumo di psicofarmaci; essa è un dato sicuro e affidabile sia dell’incremento delle malattie mentali sia delle difficoltà in cui medici e pazienti si trovano quando si presenta nel paziente
un disturbo della sfera emotiva ed affettiva 2.
Se l’epidemiologia delle malattie mentali è attendibile nell’ambito strettamente psichiatrico, quella
dei disturbi di personalità nei pazienti medico-chirurgici (tra i ricoverati, le percentuali oscillano tra il
2 e il 15%), è «limitata dalla scarsa chiarezza nosologica», dalla comorbilità e dal fatto che una valutazione epidemiologica di queste patologie «richiede molto tempo ed è molto costosa» 3, perché comporta indagini complesse sulla struttura psicopatologica dei
malati. Perciò non può sorprendere che tra gli studi
vi siano valori differenti: basta ricordare che la prevalenza media del disturbo borderline in una serie di
4 studi su oltre 1000 pazienti affetti da malattia mentale, ricoverati e non, è superiore a tutti gli altri disturbi, raggiungendo il 23% 3.
Nosografia
Il BPD ha avuto in psichiatria un’ampia risonanza, favorendo studi eziologici, psicopatologici
e clinici: nella medicina generale, invece, non vi è
stata particolare attenzione, nonostante l’elevata
diffusione. Infatti l’incontro con i pazienti si limita al trattamento delle malattie conseguenti ai
comportamenti impulsivi e tossicofilici, senza
una riflessione sui processi mentali patologici,
che sono fattori di rischio perché incidono sulla
compliance; l’interesse è stato scarso, nonostante
tali pazienti siano abituali frequentatori del
Pronto Soccorso per l’insaziabile bisogno di cure
ed attenzione, per la scarsa tolleranza alle frustrazioni, per una bassa soglia dell’aggressività. I
pazienti con BDP non devono essere confusi con i
soggetti che abusano di sostanze psicoattive, anche se l’impulsività e l’autodanneggiamento sono
comportamenti che li accomunano, perché la prognosi, qualora si instauri un rapporto terapeutico adeguato, è più favorevole.
È opportuno un inquadramento nosografico.
Il concetto di borderline, in psichiatria, è nato
per raggruppare casi clinici, tutt’altro che infrequenti, in cui un nucleo psicotico affiorava sotto
una superficie apparentemente nevrotica: all’inizio, con questo termine si indicava una forma morbosa al confine tra i disturbi psicotici e nevrotici.
Per molti anni il termine borderline è stato utilizzato per definire pazienti nevrotici particolarmente gravi (avendo una valenza peggiorativa rispetto all’ipotesi prognostica) o, al contrario, per
evitare di formulare una diagnosi di psicosi in soggetti che, pur presentando sintomi psicotici, avevano un funzionamento mentale ancora conservato (accezione migliorativa del termine): la descrizione della “schizofrenia pseudonevrotica” di Hoch
e Polatin 4 sintetizza e concettualizza tale posizione iniziale, precedendo l’introduzione definitiva
del termine borderline. I primi studiosi osservavano una sindrome caotica, che non rientrava nei
precedenti criteri diagnostici.
La diagnosi di borderline negli ultimi decenni ha
avuto un’imprevista e crescente popolarità, diventando sovente una sorta di cestino dei rifiuti, in cui
collocare pazienti per i quali non era formulabile altra diagnosi. Si cercò allora di caratterizzare meglio
questo gruppo, focalizzando le alterazioni nel funzionamento dell’Io, alterazioni tra cui furono indicate l’incapacità di programmare realisticamente il
futuro, la predominanza dei processi di pensiero primario, ovvero magico, su quelli di pensiero secondario, cioè razionale, e l’incapacità di difendersi da
impulsi primitivi. Dopo numerosi contributi nosografici, clinici e psicodinamici, si sono definiti i contorni, isolate le caratteristiche di questi pazienti 5 ed
ora l’aggettivo borderline definisce un disturbo di
personalità, intesa come l’insieme dei modi tipici
con i quali un individuo pensa, sente e si relaziona.
Questi modi sono considerati come strutturati, pur
consentendo un adattamento alle condizioni ambientali: se sono fissi, stereotipati e non adattativi,
provocano disfunzioni psico-sociali e costituiscono
un vero e proprio disturbo di personalità.
La nosologia contemporanea, come sostiene McGlashan 6, ha spostato il BPD tra i disturbi di personalità, elevandolo al rango di sindrome o disturbo autonomo e indipendente: vedi DSM IV-TR 7, ultima revisione del manuale diagnostico americano.
In questo sistema multiassiale, il BDP è collocato
sull’Asse II, che rileva importanti caratteristiche
di personalità maladattative e patologiche, sottolineando un’adeguata considerazione per la loro presenza, perlopiù trascurata quando l’attenzione del
clinico è diretta ai disturbi dell’Asse I (ove sono
classificati i disturbi clinici e le altre condizioni che
possono essere oggetto di attenzione clinica).
Il BPD è collocato all’interno del cluster B, insieme ai disturbi antisociale, istrionico e narcisistico. Se i disturbi del cluster A sono più vicini alla serie schizofrenica e quelli del cluster C appaiono imparentati ai disturbi nevrotici, il disturbo
borderline si colloca in un’area caratterizzata da
individui «amplificativi, emotivi o imprevedibili» 7.
S. Vender, C: Callegari, N. Poloni.: I disturbi di personalità borderline nel trattamento di malattie somatiche
Criteri operativi per la diagnosi
Alcune caratteristiche pongono costantemente
il soggetto con BPD a rischio di mettere in pericolo
la propria integrità somatica (incidenti, malattie
derivanti da comportamenti a rischio, ecc.); inoltre
le malattie sono i momenti topici in cui si svela
un’organizzazione di personalità fragile e contraddittoria, ricca di paradossi che mettono a dura prova l’instaurarsi di una relazione terapeutica.
Il DSM IV-TR stabilisce criteri operativi per la
diagnosi: particolare rilevanza assume il criterio
A, che definisce il disturbo BPD come «una modalità pervasiva di instabilità delle relazioni interpersonali, dell’immagine di sé e dell’umore e una
marcata impulsività, comparse nella prima età
adulta e presenti in vari contesti».
Di seguito sono elencati nove criteri, almeno
cinque dei quali indispensabili per effettuare la
diagnosi. Esaminandoli, si può comprendere la
pregnanza che tale disturbo riveste nella gestione
del malato quando ha una patologia somatica grave e gravosa.
Tre elementi rendono ragione dell’elevata frequenza con cui va incontro a malattie:
1. «impulsività in almeno due aree che sono potenzialmente dannose per il soggetto, quali spendere, sesso, abuso di sostanze, guida spericolata,
abbuffate;
2. ricorrenti minacce, gesti, comportamenti suicidari o comportamento automutilante;
3. rabbia immotivata e intensa o difficoltà a controllare la rabbia (per esempio, frequenti accessi di
ira o rabbia costante, ricorrenti scontri fisici)».
I restanti sei elementi diagnostici spiegano le
difficoltà nella cura di tali pazienti:
4. «sforzi esasperati di evitare un reale o immaginario abbandono;
5. un quadro di relazioni interpersonali instabili e intense, caratterizzate dall’alternanza tra gli
estremi di iperidealizzazione e svalutazione;
6. alterazione dell’identità: immagine di sé e
percezione di sé marcatamente e persistentemente instabili;
7. instabilità affettiva dovuta a una marcata
reattività dell’umore (per esempio: episodica, intensa disforia, irritabilità o ansia, che di solito durano
poche ore, e soltanto raramente più di pochi giorni);
8. sentimenti cronici di vuoto;
9. ideazione paranoide o gravi sintomi dissociativi transitori, legati allo stress».
Tratti psico-comportamentali essenziali
Nel caso in cui si verifichi uno scompenso psicopatologico depressivo, dissociativo o delirante
(vedi elementi diagnostici da 6 a 9), la terapia è
quasi sempre demandata allo psichiatra con una
richiesta di consulenza, che porta spesso ad una
presa in carico specialistica.
In questa rassegna non trattiamo tanto gli episodici scompensi psichici, quanto il confronto con
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tratti psico-comportamentali, elencati nel secondo
gruppo, connessi ad alterazioni patologiche della
personalità quali: l’incertezza dell’identità, per cui
questa è rinforzata o disturbata dal contesto ambientale, la messa in atto di meccanismi di difesa
primitivi (quali la scissione, la proiezione, l’actingout) che creano situazioni conflittuali addossando
la colpa agli altri, l’oscillazione avvicinamento/allontanamento nelle relazioni interpersonali, per
l’intensità delle emozioni sperimentate. Nonostante tutto ciò, l’esame di realtà rimane intatto 8.
Le alterazioni mentali causano comportamenti
ripetitivi, ritenuti dal paziente “giusti e giustificati”,
in realtà provocatori e distruttivi dell’intervento terapeutico. Se consideriamo che, tranne nei momenti di scompenso, i malati hanno un esame di realtà
integro, mentre la capacità di giudizio risulta compromessa per la difficoltà a valutare le conseguenze
delle azioni impulsive, ci rendiamo conto delle difficoltà a comprendere la loro ostilità. Ma tutto ciò non
porta subito ad una diagnosi psichiatrica: vale bene
per costoro la definizione di Karl Schneider: sono
persone che «soffrono e fanno soffrire» 9. L’instabilità delle relazioni interpersonali (tratto fondamentale) si esprime con azioni ed atteggiamenti manipolatori. La manipolazione è volta ad ottenere la
considerazione e la presenza di un interlocutore, anche se il suo aiuto è svalutato e squalificato, e questo differenzia il BPD dal disturbo antisociale di
personalità, che manipola per ottenere profitti, potere oppure altre gratificazioni materiali.
È comprensibile come questo tipo di personalità,
nel corso di una malattia somatica, crei problemi in
termini sia di compliance che di reazioni emotive indotte negli operatori sanitari, perché tende ad instaurare relazioni molto intense all’insegna dell’iperidealizzazione (punto 5 dei criteri diagnostici).
Due alterazioni dei processi mentali rendono
difficile lo svolgimento del compito terapeutico:
l’impulsività e la tendenza ad accumulare esperienze sfavorevoli.
IMPULSIVITÀ
È stato messo in evidenza un forte legame tra
BPD e disturbi dello spettro impulsivo, considerato
più specifico rispetto a quello esistente con le alterazioni dell’affettività 10. Pertanto dovremo sempre attenderci comportamenti impulsivi auto o eterodiretti,
a cui sono state date due interpretazioni: alcuni autori propendono per attribuire alla costituzione dei pazienti la tendenza alla scarica pulsionale, mentre per
altri questa sarebbe la risposta ad eventi storici traumatici sofferti ripetutamente nel corso degli anni 11.
In una prospettiva terapeutica, risulta più utile la seconda ipotesi. Il considerare l’impulsività
come una modalità “motoria” che il malato utilizza per raggiungere uno stato di tranquillità emotiva ed esprimere disperazione e rabbia, dovute ad
intensa frustrazione per eventi traumatici, ci consente di programmare alcune precauzioni per evitare la ripetizione.
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Tale interpretazione suggerisce anche un’evoluzione, perché i comportamenti sono considerati
estemporanei e fluttuanti, connessi ad eventi da
poco accaduti e non immodificabili.
TENDENZA AD ACCUMULARE ESPERIENZE SFAVOREVOLI
Stone 12, Huesman 13 e Van der Kolk 14 ritengono che nell’infanzia i pazienti abbiano subìto varie
forme di abuso (sessuale, fisico, psicologico), per
cui durante la crescita e nell’età adulta hanno la
tendenza a far accadere esperienze sfavorevoli e
traumatiche, inducendo negli altri aggressività.
Lo sviluppo anomalo negli anni dell’infanzia non
consentirebbe di accogliere dall’esterno atteggiamenti positivi per controbilanciare esperienze negative, a tal punto che è stata ipotizzata una particolare alterazione della memoria: l’alterazione
consisterebbe nel fatto che i pazienti «rimangono
in balìa dell’ultima impressione sensoriale sorta
all’interno di un rapporto interpersonale» 15. Anche un affettuoso rapporto di una certa durata
può essere cancellato da un’interazione vissuta come disturbante.
Tutto ciò fa già intravedere le possibili complicazioni nel trattamento, sia esso somatico o psicologico.
Problemi nella pratica terapeutica
Si presentano allora al medico impegnato nella
cura di un paziente affetto, oltre che dalla patologia somatica, anche da BPD i seguenti problemi:
a) riconoscere il disturbo e differenziarlo dalle
reazioni fisiologiche alla malattia, evitando giudizi moralistici (frequente è l’espressione condivisa:
“tanto è fatto così”);
b) riconosciuto il disturbo, adeguare le strategie
di trattamento per evitare gravi difetti della compliance;
Un secondo momento di fondamentale importanza e problematicità è quello del trattamento:
che non può essere totalmente demandato allo psichiatra, perché la relazione curante/malato rappresenta, in caso di malattia somatica, l’area privilegiata in cui si esprime la sintomatologia del BPD
e pertanto il curante generalista è investito suo
malgrado anche della responsabilità della patologia psichica.
RICONOSCIMENTO DEL DISTURBO
Ben note sono le reazioni psicologiche ad una
malattia fisica; la capacità del paziente di affrontarla, utilizzando tali risposte, è l’elemento decisivo per la guarigione o il recupero. Reazioni adattative (attese dai curanti) consentono al malato di
tollerare la patologia, le indagini strumentali, il
trattamento, i cambiamenti quotidiani della vita:
esse sono la regressione, l’idealizzazione, la prevalenza del pensiero magico, la negazione della
realtà nelle malattie gravi o terminali; più disturbanti sono modalità reattive quali l’oppositività e
l’aggressività, peraltro meno frequenti. Le reazioni psicologiche indicano un’instabilità emotiva dovuta allo stress della malattia oppure a deficit cognitivi o ad alterazioni della coscienza. Se consideriamo che esse si manifestano anche in soggetti
che reagiscono a situazioni di stress in modo maladattativo, comprendiamo come la combinazione
di reazioni normali e patologiche possa produrre
atteggiamenti, comportamenti e stati d’animo per
lo meno disarmonici e inattesi.
Esclusa la presenza di un delirium oppure di
deficit neuropsicologici, se nell’anamnesi risultano
alterazioni del comportamento fin dall’adolescenza
o dall’inizio dell’età adulta, è possibile fare diagnosi di disturbo di personalità concomitante ad
una malattia somatica. Quindi una corretta anamnesi ed un’attenta valutazione del comportamento
del paziente consentono il riconoscimento del disturbo, sulla base dei criteri prima esposti.
TRATTAMENTO DEL DISTURBO
c) mantenere un atteggiamento terapeutico
flessibile ma stabile a fronte di un tumulto emotivo del malato.
Indicazioni per il trattamento
Delineare alcune linee di condotta nel trattamento significa partire dalle alterazioni dei processi mentali, le quali evidenziano due momenti di
particolare difficoltà che il curante può incontrare
nel percorso di cura.
Un primo momento di difficoltà è rappresentato dalla capacità di riconoscere il disturbo quando
non è in corso uno scompenso psichico: il misconoscimento della specifica alterazione della personalità non rimane soltanto la dimostrazione di un’insufficiente diagnosi, bensì – nella maggioranza dei
casi – precipita difficoltà relazionali che peggiorano la prognosi della malattia somatica.
I pazienti borderline provano rabbia per essere malati, attaccando le persone che stanno accanto per sentirsi meno impotenti, meno colpevoli o spaventati; possono così diventare ostili, sospettosi ed accusatorii verso i familiari e lo staff
medico e attivare forti lotte e discussioni con coloro che li accudiscono.
Una patologia estrema, non frequente, come i
disturbi fittizi 16,17 va presa come esempio: qui il disturbo di personalità diventa addirittura il principale fattore etiologico dei sintomi, perché vi è un
bisogno patologico di collocarsi nel ruolo di malato
producendoli in modo nascosto, mimando malattie
fisiche. Molti di questi pazienti hanno un disturbo
BPD, con istanze auto-distruttive e masochistiche
che si esprimono con una dipendenza patologica
dalle strutture e dagli operatori sanitari. Queste
situazioni-limite ci aiutano a comprendere come si
costituisce una condizione patologica di dipendenza e qual è la sua evoluzione.
S. Vender, C: Callegari, N. Poloni.: I disturbi di personalità borderline nel trattamento di malattie somatiche
Infatti, quando si instaura una regressione normale, vi è la consapevole accettazione della necessità di una dipendenza dal curante per ottenere i
beneficî della relazione clinica, i quali portano al
recupero del benessere psicofisico: il miglioramento permette la riduzione della dipendenza che si è
prodotta in modo finalistico. Quando invece si instaura una regressione denominata maligna, come
accade talora nella patologia di cui ci stiamo occupando (molto evidente nei disturbi fittizi), la dipendenza – invece di diminuire nel tempo – si accentua: ogni azione diretta a soddisfare richieste di
accudimento e protezione non determina un effetto benefico ed un ricordo positivo, bensì accentua il
bisogno sempre più frenetico ed esigente, carico di
recriminazioni 18.
La regressione comportamentale causa inevitabilmente rabbia, confusione e frustrazione nei
curanti, soprattutto perché prima erano stati
idealizzati: i medici si erano sentiti i salvatori di
una persona malata (questo sentimento costituisce una forte carica positiva per chi lavora nell’area sanitaria) e quindi sono disorientati quando il paziente passa a criticare, svalutare, denigrare tutto ciò che è stato fatto per lui; per
questo ritengono che l’atteggiamento rivendicativo sia non un tratto patologico ma una scelta
contro di loro.
Queste reazioni alla malattia sono esagerate
ma anche qualitativamente patologiche, e la regressione maligna deve essere evitata o trattata.
Si è di fronte ad essa quando, una volta appurata
la correttezza ed adeguatezza del trattamento progettato e realizzato, si percepisce che la situazione
clinica sta sfuggendo di mano; in altre parole:
quando lo staff sente che sono imposti interventi
che mortificano il suo sentimento di libertà nel
realizzare le finalità assistenziali, terapeutiche e
riabilitative. E tutto ciò accade all’interno di un
contesto di cura nel quale eventi minimali scatenano reazioni sproporzionate.
Il primo passo consiste nell’esplorare i motivi
ed i significati dei comportamenti patologici, poi si
devono porre limiti con interventi, gentili ma fermi, di infermieri e terapisti, aiutati dal medico che
deve mantenere contatti con i familiari per mediare situazioni conflittuali.
Alcuni suggeriscono l’utilità di un “contratto di
comportamento”, con l’avvertenza che in questo
non interferiscano le proprie reazioni personali;
contratto che deve essere rivisto periodicamente
in base ai problemi che può creare al paziente, introducendo cambiamenti anche minimi della routine assistenziale per evitare che prenda piede la
tendenza ad accumulare esperienze sfavorevoli. Il
“contratto terapeutico”, modello sempre più consigliato nella pratica medica, stabilisce la cornice
del trattamento, la sua specificità nel caso trattato ed in qualche modo le responsabilità di ciascuno dei partecipanti; esso va formulato in modo che
non sia percepito come una semplice affermazione
unilaterale, perché è un dialogo in cui le reazioni
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del malato stanno al centro della attenzione dei
curanti. Solo così si evitano accordi superficiali e
non utili, ma anche richieste troppo onerose per i
terapeuti.
Conclusioni
Il trattamento di una malattia in soggetto con
BPD è complicato dalla presenza di alterazioni
dei processi mentali, alterazioni che causano difficoltà nel rapporto medico-paziente, diventando
così fattori di rischio importanti. Il rapporto è
messo a dura prova perché non è facile riconoscere che lo stato emotivo alterato è dovuto alla patologia del paziente, essendo, invece, considerato,
spesso, una variante della normalità, finché l’esplosione impulsiva non indica la patologia sottostante.
Nel BPD le alterazioni non rimangono confinate al paziente, ma si trasferiscono all’esterno
attraverso l’alto coinvolgimento emotivo dello
staff: dapprima idealizzato, questo è rapidamente oggetto di recriminazioni, sfide e provocazioni
che producono un’instabilità dell’adesione alle
scelte terapeutiche ed alle raccomandazioni mediche. Tutto ciò è un tratto distintivo proprio di
questa patologia, che spesso si giunge a diagnosticare allorché si sono constatate difficoltà nel
trattamento.
I compiti da espletare sono fondamentalmente
due.
a) Riconoscere l’impulsività e la tendenza ad accumulare esperienze sfavorevoli come tratti comportamentali patologici specifici.
b) Creare condizioni ambientali che siano personalizzate e non rigide, al fine di evitare una regressione comportamentale maligna.
Il trattamento di questi pazienti, così difficili
ma al giorno d’oggi così frequenti, può costituire la
cartina di tornasole idonea a rivelare la capacità
dello staff sanitario a far fronte ai nuovi compiti di
una medicina che vuole curare la persona e che sa,
quindi, valutare anche i fattori di rischio insiti nella personalità dei malati.
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Indirizzo per la corrispondenza:
Prof. Simone Vender
Via Teodorico, 8
27100 Pavia
E-mail: [email protected]
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