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FONDAZIONE INSIEME onlus.
Da Mente&Cervello del 15/3/13, <<L’INFANZIA DEL SERIAL KILLER>> di
Biagio Fabrizio Carillo (per l’autore vedi nota a fine pezzo).
Per la lettura completa del pezzo si rinvia al mensile citato.
Esiste una relazione tra gli abusi subiti durante l’infanzia e il
comportamento criminale? In altre parole, un individuo educato
alla violenza può sviluppare una sorta di “dipendenza” dal male?
Le pagine di cronaca nera ci restituiscono spesso il ritratto
di assassini efferati e insaziabili, esaltato e distorto
dall’immaginario prodotto da serie televisive con protagonisti
inquietanti.
Ma chi sono realmente i serial killer, quali sono i tratti
caratteristici della loro personalità, che vissuto hanno?
E soprattutto, sono personaggi freddi impassibili, individui
emotivamente instabili oppure persone con un vissuto traumatico?
Presso l’istituto superiore di tecniche investigative
dell’Arma dei Carabinieri è stato avviato di recente uno studio
per verificare se esistano in letteratura scientifica elementi in
grado di accreditare l’ipotesi che un omicida seriale potrebbe
essere, oltre che un individuo sicuramente disturbato, anche un
bambino che nell’infanzia abbia subito maltrattamenti e violenze.
In altre parole, esiste una relazione tra gli abusi subiti
durante l’infanzia e il comportamento criminale?
Chi può negare la possibilità che un individuo educato alla
violenza subisca danni alla capacità di esprimere le proprie
emozioni e il proprio vissuto, entrando così nel circolo vizioso
della «dipendenza dal male»?
Quasi ogni giorno sentiamo di vittime brutalmente uccise e di
ipotetiche condizioni che permettono di sviluppare la tesi del
killer seriale, dell’omicida che colpirà ancora.
Ma non si tratta di un fenomeno tipico dei nostri tempi.
Il primo caso documentato di omicidi seriali si rintraccia
infatti addirittura ai tempi dell’impero romano, passando
attraverso le vicende del maresciallo Gilles de Rais, un nobile
francese del XV secolo, per approdare nel 1610 alle torture
inflitte a più di 650 giovani ragazze da un’aristocratica
ungherese.
E come non ricordare il barbiere inglese Sweeney Todd, che
uccise più di 160 clienti tra il 1790 e il 1830, o Vincenzo
Verzeni, che, intorno al 1870 commise atti di cannibalismo,
vampirismo e necrofilia sulle sue vittime nella zona del
bergamasco, e fu studiato da Cesare Lombroso, il padre
dell’antropologia criminale.
Infine, in questa lista incompleta non possono certo mancare
il più celebre serial killer della storia, Jack lo squartatore, e
il caso italiano che più di ogni altro ha scosso le coscienze
dell’intera nazione quello del mostro di Firenze.
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PROVE MATERIALI.
Un lungo elenco di individui che hanno compiuto atti di
violenza inaudita, e che hanno anche avuto la capacità di
reiterare gli stessi atti nel tempo.
Per questo motivo, si è fatta sempre più pressante la
necessità non solo di studiare e analizzare dettagliatamente le
prove materiali presenti sulla scena del crimine, ma anche di
applicare ai casi di maggiore efferatezza le tecniche di profilo
criminale: negli anni settanta è stata l’FBI a identificare per la
prima volta le differenti tipologie di killer seriale.
La differenziazione è effettuata sulla base della scena del
crimine e dell’eventuale organizzazione del delitto -tipi
disorganizzati o tipi organizzati- oppure sulla motivazione e le
caratteristiche comportamentali che spingono l’omicida a
commettere l’assassinio: visionari, missionari, edonistici,
dominatori, angeli della morte, vedove nere e così via.
Ma cosa spinge una persona a commettere un delitto?
Quali sono i meccanismi che si innescano nella mente di un
assassino e che producono effetti tanto devastanti?
La scienza afferma che esistono correlazioni, ma non
causalità diretta, tra determinati disturbi psichici e i traumi
infantili, in particolare gli abusi sessuali.
Sono infatti evidenti e ricorrenti differenti patologie
ricollegabili all’abuso: disturbo post-traumatico da stress (tra i
disturbi d’ansia), depressione, disturbi alimentari, disturbi
sessuali, disturbi di personalità (in particolare disturbo
borderline) e disturbi dissociativi.
A questo proposito, lo psicologo francese Pierre Janet ha
sottolineato, già alla fine dell’Ottocento, l’importanza della
dissociazione nel trauma e la relativa disaggregazione dei ricordi
legati all’evento, elemento chiave per comprendere l’origine
causale del disturbo psicopatologico; nonostante tutto, la memoria
potrebbe non risultare accurata e attendibile, ma suggestionabile.
Infatti i traumi e gli abusi subiti durante l’infanzia sono
dissociati e immagazzinati dall’individuo attraverso immagini,
suoni, odori e sensazioni, perché questo materiale è vissuto come
troppo conflittuale e ansiogeno per essere ammesso e riconosciuto
coscientemente.
Si azionerebbe dunque un meccanismo di difesa, come la
dissociazione, e il materiale dissociato si potrebbe ripresentare
prevalentemente sotto forma di flashback, sogni e fantasie.
Per analizzare ipotetica questa correlazione è indispensabile
definire che cosa si intenda per comportamento abusante nei
confronti di un minore.
Nel 1962 il pediatra Henry C. Kempe, insieme a Frederic N.
Silverman, ha proposto la «sindrome del bambino battuto»
(rielaborata poi da Vincent J. Fontana nel 1964 come «sindrome del
bambino maltrattato»), all’interno della quale si ritrovano non
solo maltrattamenti di natura sessuale o violenze fisiche, ma
anche carenze affettive, nonché abusi a livello psicologico,
sinonimo di reale assoggettamento al «carnefice».
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SEGRETI E BUGIE.
Kempe descrive nel 1978 il bambino maltrattato come un
bambino sottoposto a violenze di varia natura e ad atti ripetuti
di indiscutibile gravità da parte di un congiunto o di un
ipotetico caregiver; da qui deriva la classificazione dell’abuso
nelle differenti tipologie: intrafamiliare, intradomestico, intrafamiliare extradomestico ed extrafamiliare.
Ciò che causa il trauma, oltre alla tipologia dell’abuso,
sono due specifici fattori: un forte legame di dipendenza tra
abusante e abusato, soprattutto se si parla di un genitore o di
una figura di riferimento, e l’imbroglio, che provoca confusione
tra ciò che è bene e ciò che è male, e che serve a consolidare una
posizione di dominio rispetto al bambino, necessaria soprattutto
per mantenere il segreto.
Inoltre non bisogna tralasciare i danni psicologici
conseguenti: nel 1985 i sociologi statunitensi David Finkelhor e
Angela Browne hanno pubblicato un elenco dei quattro sentimenti
che marcano in modo prevalente la psiche dei minori abusati: il
bambino sperimenta impotenza (per il mancato controllo delle
proprie scelte e per l’impossibilità di imporre la propria
volontà), tradimento (perché riceve dolore e violenza da coloro i
quali dovrebbero dare protezione e amore incondizionato),
sessualizzazione traumatica (sperimentazione di atti, conoscenze,
linguaggio incongrui e distanti dai classici percorsi evolutivi) e
stigmatizzazione (una costante sensazione di essere diverso,
marchiato e disprezzato che conduce frequentemente all’auto
isolamento.
Non si possono poi non considerare i sentimenti di vergogna e
di colpa che si sommano a quelli già elencati: la vittima si sente
la sola, unica e vera responsabile della violenza subita e degli
abusi ricevuti.
Essere oggetto di attenzioni «particolari» non solo ha un
prezzo illecito da pagare ma diventa indicativo della tipologia di
persona che si è, ovvero una persona mostruosa a cui vengono
inflitti atti di violenza mostruosi
Nel proprio immaginario la piccola vittima non potrà non
considerarsi un individuo spregevole e disgustoso.
La vergogna, la paura, la solitudine, il senso di colpa
provocano isolamento, che a sua volta impedisce di parlare e
chiedere aiuto; la reazione al trauma condiziona le relazioni
significative della vittima, che, diventata adulta, si mostra
diffidente, si sente tradita e impotente e tende quindi ad
abbandonare o a strumentalizzare gli altri, generando
inevitabilmente distanziamento ed esclusione.
LINEA DI CONFINE.
A causa della complessità di questo fenomeno è difficile
giungere a un’interpretazione univoca e sistematica dell’abuso, la
cui definizione potrebbe aiutare il personale socio-sanitario ad
affrontare il contesto di cura.
Quando la vittima non è in grado di lasciarsi aiutare possono
infatti subentrare nel tempo diverse patologie, che spaziano da
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effetti a breve termine come il disturbo post-traumatico da stress
allo sviluppo di disturbi d’ansia o di personalità e a forme di
somatizzazione.
Unendo l’interpretazione neurobiologica con quella
psicodinamica si riconosce un ruolo rilevante a tutti quegli
eventi stressanti e traumatici che comportano non solo effetti
immediati e diretti all’equilibrio psico-affettivo, ma anche
effetti a lungo termine sulla costituzione psicofisica del
soggetto.
Diversi studi hanno infatti dimostrato l’esistenza di una
correlazione tra abusi sessuali infantili subiti e lo sviluppo di
un disturbo borderline di personalità.
Questa patologia è letteralmente definibile come un disturbo
al confine tra i due sistemi di funzionamento psichico nevrotico e
psicotico -antinomia creata in passato per classificare i disturbi
mentali che appare oggi fortemente in crisi- contraddistinto da
instabilità affettiva nelle relazioni interpersonali e forte
impulsività nelle situazioni incontrollabili.
Le relazioni con gli altri sono intense, ma caratterizzate da
un’idealizzazione iniziale, tanto forte da condurre a un desiderio
costante di intimità e di vicinanza dell’altro, e da una
conseguente e rapida svalutazione del rapporto stesso, a causa di
sensazioni di trascuratezza.
Nei soggetti borderline l’umore spazia dalla tristezza
all’ansia, da irritabilità a manifestazioni di rabbia intensa e
incontrollata, espressa anche attraverso esplosioni verbali oppure
vere aggressioni fisiche; la psicologa statunitense Marsha Linehan
l’ha definito proprio come disturbo della regolazione delle
emozioni, per via della facile oscillazione da uno stato d’animo
all’altro, nonché delle emozioni intense che si sperimentano, e
che vengono espresse in modo drammatico.
I tratti caratteristici del disturbo sono la scarsa capacità
di gestione della rabbia e relazioni interpersonali caotiche
contrassegnate da una forte paura dell’abbandono, labilità
affettiva e disregolazione emotiva.
PERSONALITÀ BORDERLINE.
I criteri diagnostici per il disturbo borderline sono
elencati all’interno del DSM-IV il Manuale diagnostico e
statistico dei disturbi mentali, che lo definisce come segue:
<<Le caratteristiche essenziali di questo disturbo sono una
modalità pervasiva di instabilità delle relazioni interpersonali,
dell’immagine di sé e dell’umore e una marcata impulsività
comparse nella prima età adulta e presenti in vari contesti, come
indicato da cinque (o più) dei seguenti elementi:
** sforzi disperati di evitare un reale o immaginario
abbandono;
** un quadro di relazioni interpersonali instabili e intense,
caratterizzate dall’alternanza tra gli estremi di
iperidealizzazione e svalutazione;
** alterazione dell’identità: immagine di sé e percezione di
sé marcatamente e persistentemente instabili;
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** impulsività in almeno due aree che sono potenzialmente
dannose per il soggetto (quali spendere oltre misura, sessualità
promiscua, abuso di sostanze, guida spericolata, abbuffate e così
via);
** ricorrenti minacce, gesti, comportamenti suicidari o
comportamento automutilante;
** instabilità affettiva dovuta a una marcata reattività
dell’umore (per esempio, episodica intensa disforia o irritabilità
e ansia, che di solito durano poche ore e, soltanto più raramente
più di pochi giorni);
** sentimenti cronici di vuoto;
** rabbia immotivata e intensa o difficoltà a controllare la
rabbia (per esempio, frequenti accessi di ira o rabbia costante,
ricorrenti scontri fisici e così via);
** ideazione paranoide o gravi sintomi dissociativi
transitori, legati allo stress>>.
UNA QUESTIONE ANCORA APERTA.
Analizzando tutti questi elementi si potrebbe supporre che
l’abuso sessuale, avvenuto in un momento delicato come quello
della maturazione psichica, potrebbe modificare oppure ostacolare
lo sviluppo psicologico; in particolare tutto ciò potrebbe causare
un’alterazione della strutturazione emotivo-cognitiva del rapporto
con le figure di riferimento primarie, della capacità di controllo
degli impulsi, da cui deriverebbero instabilità emotiva, labilità
affettiva e aggressività/impulsività.
Anche se non sempre direttamente collegato e correlato alla
genesi del disturbo borderline, l’abuso infantile si associa a
livelli elevati di gravità di patologia, alla comparsa di disturbi
alimentari, alla dipendenza e all’abuso da sostanze.
Dall’analisi della letteratura scientifica emerge che
un’anamnesi positiva per un trauma subito, in particolare storie
di abuso infantili, soprattutto se reiterati e costanti nel tempo,
ha un ruolo chiave nella comparsa del disturbo borderline.
Del resto, come emerge dalle discussioni tra Joseph Breuer e
Sigmund Freud, e riportate nel volume Studi sull’isteria (1895),
<<qualsiasi esperienza che susciti una situazione penosa -quale la
paura, l’ansia, la vergogna o il dolore fisico- può agire da
trauma>>.
Il trauma, dunque, induce turbamento emotivo e sintomi
rilevanti come la depersonalizzazione, l’ideazione paranoide e la
derealizzazione, spesso riscontrabili tra i soggetti borderline
che hanno subito abusi, così come amnesie, problemi di relazione
con gli altri, flashback dolorosi, ipervigilanza, irascibilità e
sensazioni di vuoto e solitudine che spesso culminano in
comportamenti autolesivi o episodi suicidiari.
Nonostante alcune prove che sembrano andare in quella
direzione, l’eventuale relazione tra abusi subiti e messa in atto
di comportamenti omicidi è ancora un interrogativo troppo grande,
al quale diventa difficile trovare una risposta soddisfacente se
gli studi non attestano con assoluta certezza correlazioni forti.
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Del resto, non è facile per un investigatore riconoscere le
impronte digitali senza usare la lente d’ingrandimento.
L’AUTORE
BIAGIO FABRIZIO CARILLO è addetto all’ufficio addestramento dell’istituto superiore di
tecniche investigative dell’Arma dei Carabinieri e docente di criminologia e psicologia investigativa.
L’autore ringrazia Simona De Frenza per la ricerca bibliografica.