anno XVii - numero 39 - 24 maggio 2011 Le Interviste Parlano il regista Cappuccio ed il direttore Steinberg A Pag. 2 La storia dell’opera Nata come lavoro “politico” su pressione di tanti italiani A Pag. 6 La vicenda storica Fatti e conseguenze dell’epico scontro tra Città lombarde e Barbarossa A Pag. 8e9 Il monumento al Guerriero Quella statua divenuta ora simbolo dalla Lega Nord A Pag. 11 La Roma della prima rappresentazione La fugace esperienza della Repubblica Romana A Pag. 12 e 13 La BattagLia di Legnano d i G i u s e p p e Ve r d i La battaglia di Legnano 2 Parlano il regista Cappuccio ed il direttore Steinberg «La battaglia militare diventa battaglia culturale» A parte il piccolo giallo sull’alternanza alla regia di questa Battaglia di Legnano, il lavoro in scena, firmato da Ruggero Cappuccio, è ambientato nel deposito di un grande museo, dove l’esultanza descritta dal libretto - del popolo milanese per la città appena ricostruita a seguito delle devastazioni del 1160, qui si trasforma nella gioiosa operazione di restauro di tanti quadri che, visti in filigrana, testimoniano l’amore per la propria identità culturale. «La battaglia di tipo militare si trasfigura nella battaglia contro la negazione del nostro patrimonio culturale», ci sottolinea il 47enne regista napoletano che molto in carriera ha lavorato con un altro napoletano, Riccardo Muti. «M’interessava il tratto moderno che Verdi imponeva all’opera. Oggi gli austriaci nemici degli italiani risorgimentali sono gli italiani stessi: è una battaglia che una parte del Paese deve fare contro l’altra parte che distrugge il patrimonio culturale. Ogni perdita estetica, in una Nazione che vive di queste risorse, è una perdita anche economica. Noi deteniamo il 70% del patrimonio musicale e lo si disperde. Nel mondo si parla italiano anche perché moltissime opere liriche sono in italiano. Al Metropolitan si parla italiano perché c’è la musica, mentre da noi si è ridotta l’educazione musicale nelle scuole». La nostra domanda è se i tagli al FUS, il Fondo Unico dello Spettacolo, e la protesta che li ha seguiti, abbiano ispirato questa regia. «No, questa è nata dopo il reintegro del FUS, ma il discorso è generico, non legato al fatto specifico», risponde Cappuccio, al quale quest’allestimento è stato affidato tre mesi fa dopo la rescissione consensuale (?) dell’impegno con Lavia. «Se non ci sono i soldi ci dovrebbe essere un’innovazione delle idee, invece niente. L’opera poi dovrebbe andare verso i giovani, invece i teatri sono visti come Santuari della noia». Tornando allo spettacolo, «dopo la regia dell’Elisir d’Amore, mi è stato proposto questo subentro. Mi sono preso pochi giorni per riflettere e vedere se mi veniva un’idea». Certo nell’elaborazione lo ha aiutato Carlo Savi, che firma scene e costumi, il quale questo titolo aveva curato nel 2005 per il Teatro Aliglieri di Ravenna e di quell’allestimento ha messo qualcosa in più della ~ ~ La Copertina ~ ~ gaetano Previati (Ferrara 1852 – Lavagna 1920). Un episodio della Battaglia di Legnano: La Preghiera (Part.) Olio su tela – Museo Civico G. Sutermeister – Legnano. Donazione Comm. Fabio Vignati. il g iornale dei g randi eventi Direttore responsabile Andrea Marini Direzione Redazione ed Amministrazione Via Courmayeur, 79 - 00135 Roma e-mail: [email protected] Editore A. M. 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Poi il secondo atto guarda ad artisti contemporanei come Spender, al pari del terzo che ha collegamenti con Mimmo Paladino. Nel quarto atto si torna, invece, a Caravaggio con Le Sette opere di Misericordia. E’ un percorso nella storia dell’arte europea che è la nostra identità, come lo fu nel 1176 il Carroccio per la battaglia di Legnano e per la storia di Milano». Verdi nel 1848 viveva a Parigi e dopo un periodo di intensa produzione, poco voleva parlar di musica. Ma in Italia erano momenti caldi ed il compositore veniva da più parti sollecitato ad appoggiare la lotta con un lavoro “politico” contro lo straniero. «Quest’opera mi piace molto perché a fianco dello spirito rivoluzionario presenta pagine dolcissime», dice Pinchas Steinberg cui è affidata la direzione dell’orchestra. «In questo titolo che ho diretto un’altra sola volta a Vienna nel 1993, si sentono influssi come Bellini, ma anche tante opere che verranno dopo. Non mi capacito perché venga rappresentata poco. Si parla di “opera minore”, ma questo è un insulto a Verdi. Certo non si può paragonare a Falstaff, ma è come dire che Il Vascello Fantasma od il Tannhäuser siano minori rispetto a Tristano ed Isotta e Parsifal… sono solo venuti prima. Gli italiani non hanno la curiosità di sapere: non esiste solo Rigoletto o Traviata. La perdita è loro». and. mar. il giornale dei grandi eventi Stagione 2010-2011 al Teatro Costanzi 12 – 19 aprile 2011 die entführung aus dem seraiL (il ratto dal serraglio) di W.A. Mozart Gabriele Ferro Direttore Interpreti Maria Grazia Schiavo, Olga Peretyatko, Charles Castronovo 24 – 31 maggio 2011 La BattagLia di Legnano Direttore Interpreti di Giuseppe Verdi Pinchas Steinberg Dmitriy Beloselskiy, Luca Salsi, Tatiana Serjan 6 - 26 giugno 2011 Direttore Interpreti Bohème di Giacomo Puccini James Conlon Ramòn Vargas, Vito Priante, Hibla Gerzmava stagione estiva alle terme di Caracalla 2 luglio alle 21,30 Concerto multimedia: immagini e suono triLogia romana (Fontane di Roma - Feste Romane - I Pini di Roma) 21 luglio - 10 agosto 2011 Direttore Interpreti tosCa di Giacomo Puccini Asher Fisch Csilla Boross, Thiago Arancam e Carlo Guelfi 2 - 9 agosto 2011 Direttore Interpreti aida di Giuseppe Verdi Asher Fisch Hui He, Walter Fraccaro, Giovanna Casolla 30 settembre – 8 ottobre 2011 eLektra di Richard Strauss Fabio Luisi Direttore Interpreti Felicity Palmer, Eva Johansson, Melanie Diener ~~ La Locandina ~ ~ Teatro Costanzi, 24 - 31 maggio 2011 La BattagLia diTragedia Legnano Lirica in 4 atti Prima rappresentazione Roma, Teatro Argentina, 27.I.1849 Libretto di Salvatore Cammarano tratto dalla tragedia La Battaille de Toulouse (1828) di François-Joseph Méry Musica di Giuseppe Verdi EDIZIONE CASA RICORDI, MILANO Direttore Regia Scene e Costumi con interventi di e Maestro del Coro Luci Pinchas Steinberg Ruggero Cappuccio Carlo Savi Mimmo Paladino Matthew Spender Roberto Gabbiani Agostino Angelini Personaggi / Interpreti Federico Barbarossa (B) I° Console di Milano (B) II Console di Milano (B) Il Podestà di Como (B) Rolando (Bar) Lida (S) Arrigo (T) Marcovaldo (Bar) Imelda (Ms) Scudiero di Arrigo (T) Araldo (T) Dmitriy Beloselskiy Stefano Rinaldi Miliani Alessandro Spina Ezio Maria Tisi Luca Salsi 24, 26, 29, 31/ Giuseppe Altomare 28 Tatiana Serjan 24, 26, 29, 31 / Serena Farnocchia 28 Yonghoon Lee 24, 26, 29, 31 / Riccardo Massi 28 Gianfranco Montresor Tiziana Tramonti Vincenzo Di Betta 24, 26, 29 / Refat Llehsi 28, 31 Pietro Picone ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO DELL’OPERA Nuovo allestimento del Teatro dell’Opera di Roma in coproduzione con il Gran Teatre del Liceu di Barcellona Sovratitoli a cura di Giovanni Sbaffoni il giornale dei grandi eventi E ’ ambientata dentro un laboratorio di restauro di un museo, questa Battaglia di Legnano firmata dal regista Ruggero Cappuccio, il quale immagina come “battaglia di oggi” quella contro la negazione del nostro patrimonio culturale. La 14ma opera verdiana è andata in scena al Teatro dell’Opera di Roma solo una volta, per 6 recite, nel 1983. E pensare che essa ebbe il suo debutto proprio nella Città La battaglia di Legnano Eterna, al teatro Argentina il 27 gennaio 1849, pochi giorni prima della proclamazione della Repubblica Romana. Il libretto, scritto da Cammarano, coniuga sentimenti patriottici di cacciata dello straniero invasore propri del nord Italia che a Verdi giungevano nel suo soggiorno Parigino, con elementi storici, sentimentali e romantici, intrecciando il classico triangolo amoroso del melodramma con l’epopea di Fede- rico Barbarossa. La regia di questo nuovo allestimento, realizzato in collaborazione con il Gran Teatre del Liceu di Barcellona, doveva essere curata da Gabriele Lavia, ma tre mesi fa, al termine di un piccolo giallo (Troppo costoso? Troppo politico? Altri impegni?), al suo posto è stato chiamato Cappuccio, il quale aveva appena terminato, sempre al Costanzi, L’Elisir d’Amore diretto da Bruno Campanella. La Battaglia di Legnano per la seconda volta a Roma L’azione negli atti I, III e IV si svolge a Milano, quella del II atto a Como. Epoca: l’anno 1176. La Trama atto i – (Egli Vive!) – Il popolo milanese, nella città ricostruita dopo la devastazione del 1160, accoglie con entusiasmo le truppe provenienti dalle varie città della Lega lombarda: Piacenza, Novara, Vercelli, Brescia e Verona. Tra i veronesi c’è Arrigo, reduce da una lunga prigionia, il quale è riconosciuto dall’amico Rolando, capo dei milanesi, che lo abbraccia dopo averlo creduto morto. Tutti giurano per la difesa della città e la lotta contro Federico Barbarossa. Intanto Lida, moglie di Rolando, è triste per i lutti della guerra. Un prigioniero tedesco, Marcovaldo, innamoratosi di lei, tenta di sedurla. Ma quando l’ancella Imelda annuncia l’entrata di Rolando accompagnato dal redivivo Arrigo, Lida ha un fremito di felicità del quale se ne accorge Marcovaldo. Ed al momento in cui Rolando presenta la moglie al ritrovato amico è Arrigo ad essere colto da improvviso imbarazzo. Quando un Araldo annuncia l’avvicinarsi dell’esercito del Barbarossa, Lida ed Arrigo rimangono soli. L’uomo, già promesso sposo di Lida l’accusa di averlo tradito con l’amico. La donna si difende dicendo che, orfana e credendolo morto, aveva sposato l’uomo scelto per lei dal padre. Arrigo, inflessibile, la odia e decide di gettarsi in battaglia, con la speranza di porre fine alla propria vita. atto ii – (Barbarossa!) – Rolando ed Arrigo sono, in veste di ambasciatori della alleanza lombarda, nella città di Como, la quale non fa parte della Lega ma è fedele all’Imperatore. Vogliono convincere i comaschi ad impedire che le truppe tedesche, le quali hanno già invaso i Grigioni, si uniscano al Barbarossa. I lariani esitano a decidere, ma la risposta è data dallo stesso Barbarossa che giunge inatteso con le avanguardie, mostrando dalla finestra il proprio esercito alle porte di Como. L’Imperatore, minaccioso, dichiara di voler distruggere le truppe lombarde e Milano. I due am- basciatori inneggiano invece alla liberazione dall’invasore. atto iii – (L’Infamia !) – Nei sotterranei della Basilica di S. Ambrogio i Cavalieri della Morte, capitanati da Arrigo, giurano di cacciare lo straniero a costo della vita. Nel castello di Rolando, Lida ha saputo della scelta d’Arrigo e decide di scrivergli una lettera, che consegna per il recapito ad Imelda, per chiedergli, in nome dell’antico amore, un ultimo incontro. Rolando, prima della battaglia, si reca a salutare moglie e figlio, affidandoli ad Arrigo al quale chiede di restare nelle retrovie. La lettera è intercettata da Marcovaldo che, per vendetta verso Lida, svela a Rolando il presunto tradimento. Intanto, Arrigo è in una torre del castello a scrivere una lettera alla madre quando è raggiunto da Lida. L’uomo non fa neppure in tempo a dire di non aver ricevuto la missiva che giunge Rolando. La donna si cela dietro le imposte ma è scoperta. Arrigo cerca di convincere l’amico della fedeltà della moglie, chiedendo per se stesso la morte. Ma Rolando opta per una vendetta più sottile: li rinchiude nella torre, così che Arrigo, non presentandosi in battaglia, sia disonorato. Questi, però, decide di fuggire dalla finestra gettandosi nel fiume. atto iV – (Morire per la Patria!) – In una piazza di Milano davanti ad una chiesa si ode il canto dei salmi. Lida e Imelda, insieme al popolo milanese, attendono gli esiti della battaglia. Giunge un Console ad annunciare che il nemico è stato battuto e lo stesso Barbarossa è stato ferito da Arrigo. Si levano canti di gioia, subito interrotti da lugubri squilli di tromba che accompagnano l’arrivo del condottiero dei Cavalieri della Morte ferito. Accanto a lui, con aria triste, è Rolando. Arrigo lo chiama a se e lo rassicura: morendo non si può mentire e lui gli giura l’innocenza di Lida. Rolando commosso abbraccia la moglie e porge la mano destra all’amico, il quale spira baciando il vessillo del Carroccio, mentre si leva un canto di ringraziamento. 3 Le Repliche Martedì 24 maggio, h. Giovedì 26 maggio, h. Sabato 28 maggio, h. Domenica 29 maggio, h. Martedì 31 maggio, h. 20.30 20.30 18.00 17.00 20.30 L’editoriale Giallo all’Opera di Andrea Marini C’è un piccolo giallo dietro il cambio di regia di questa Battaglia di Legnano. Secondo il cartellone essa doveva essere curata da Gabriele Lavia, sostituito però tre mesi fa dall’attuale regista Ruggero Cappuccio, un professionista che spesso ha lavorato con Muti e che al momento della proposta – siamo a metà del febbraio scorso – aveva appena finito al Costanzi la regia dell’Elisir d’Amore. Recentemente il comunicato ufficiale del Teatro ha annunciato che «il sopraggiungere dell’importante impegno assunto da Lavia presso il Teatro stabile di Roma (l’Argentina, n.d.r.) e la concomitante limitazione nei costi dello spettacolo, hanno fatto sì che di comune accordo le parti sciogliessero l’impegno». Lavia, da noi intervistato, ha parlato di uno «spettacolo bellissimo, disegnato per l’Opera di Roma, che aveva trovato pure il consenso del teatro di Barcellona» col quale era co-prodotto. «Era ideato su tre epoche, ottocentesca per le scene romantiche, coeva all’azione storica per il Barbarossa ed attuale per il coro, con particolari movimenti attraverso ponti mobili, con palcoscenici che potevano salire e scendere. Ci sarebbero volute persone in più che, per questioni amministrative, non si potevano prendere». «In più – ha continuato Lavia sto lavorando alla regia dell’Attila che andrà in scena alla Scala dal 20 giugno, diretta da segue a pag. 14 Chiamata gratuita per chi chiama da rete fissa, chi accede da rete mobile al servizio clienti di Poste italiane dovrà comporre il numero 199.100.160. Il costo della chiamata è legato all’operatore utilizzato ed è pari al massimo a euro 0,60 al minuto più euro 0,15 alla risposta. Con filatelia online è facile e comodo ricevere a casa i francobolli che cerchi. Vai su www.poste.it trovi comodamente tutti i francobolli e i prodotti filatelici che desideri. Acquistarli è sicuro e veloce e ti saranno recapitati in Italia e all’estero. www.poste.it Per acquisti superiori a 149,99 euro numero gratuito 803 160 la spedizione in Italia è gratuita. il giornale dei grandi eventi La battaglia di Legnano Tatiana Serjan e Serena Farnocchia Luca Salsi e Giuseppe Altomare Lida, moglie di Rolando già promessa sposa di Arrigo Rolando, Duce milanese A cantare la sposa Lida saranno i soprano tatiana serjan (24,26,29,31) e serena farnocchia (28). tatiana serjan nata a San Pietroburgo, inizia gli studi in pianoforte al “Musical College” della sua città e successivamente al conservatorio “Rimski-Korakov” di San Pietroburgo, dove si diploma. In seguito arriva in Italia dove si perfeziona all’Accademia delle Voci di Torino. Nel 1994 è all’Opera Studio di San Pietroburgo con la Traviata e con la Bohème, nel 1996 in Cosi Fan Tutte. Il suo debutto in Italia è al Teatro Re- Tatiana Serjan gio di Torino nel 2002 in Macbeth nel ruolo di Lady Macbeth. A Londra canta con la Philarmonia Orchestra, il Requiem di Verdi. Tra i recenti impegni La Tosca, e Ballo in Maschera a Berlino e a Monaco di Baviera. serena farnocchia, nata a Pietrasanta (LU), studia con il baritono Gianpiero Mastromei . Nel 1995 ottiene la vittoria al prestigioso” Luciano Pavarotti Competition” a Philadelphia. Nel 1997 Riccardo Muti la sceglie per il ruolo di donna Anna nel mozartiano Don Giovanni. Negli anni interpreta diversi ruoli tra i quali Mimi nella Bohème, Leonora nel Tovatore, e Alice Ford nel Falstaff verdiano. Yonghoon Lee e Riccardo Massi Arrigo, orgoglioso guerriero veronese N el ruolo di Arrigo, il guerriero innamorato di Lida saranno i tenori Yonghoon Lee (24,26,29,31) e riccardo massi (28). Yonghoon Lee, nato a Seul (Corea del sud), si afferma a livello internazionale in soli due anni. Vince numerosi concorsi canori così come è vincitore dei premi Opera Index Vocal Competition 2005 e del Joyce Dutka Arts Foundation (JDAF) 2005. Riceve inoltre una borsa di studio sia per la Seoul National University in Corea e per il Mannes College Yonghoon Lee of Music di New York, dove ha proseguito gli studi vocali e musicali con il Professor Arthur Levy. Nella stagione 2009/10 debutta alla Bayerische Staatsoper di Monaco in Don Carlos, e alla Hamburg State Opera in Tosca. Nel 2010 è alla Lyric Opera di Chicago nella Carmen e in seguito al Metropolitan in Don Carlos. riccardo massi (28), nato nelle Marche nel 1985,dopo le scuole medie si trasferisce a Milano dove si diploma all’Accademia della Scala e continua poi gli studi a Roma con il maestro Holst. Nel 2009 alla Scala il Don Jose della Carmen nel 2010 debutta a Salisburgo nella Tosca e nello stesso anno si trova in Sud America come Pollione in Norma. Nel 2011 è nei Paesi Bassi come Enzo Grimaldo ne La Gioconda 5 S aranno i baritoni Luca salsi (24,26,29,31) e giuseppe altomare (28), ad interpretare il ruolo del combattente Rolando. Luca salsi nato a San Secondo Parmense (PR) nel 1975 si diploma in canto presso il conservatorio “Arrigo Boito” di Parma, si perfeziona con il baritono Carlo Meliciani. Nel 1997 debutta presso il Teatro Comunale di Bologna nella (Scala di Seta di Rossini). Nel 2000 vince il premio assoluto al concorso “Gian Battista Viotti” di Vercelli, inizia così un’intensa attività che lo conduce sui palco- Luca Salsi scenici di tutto il mondo. Nella stagione 2008/09 prende parte a diverse produzioni tra cui Il Corsaro al Festival Verdi di Parma, La Bohème, al Carlo Felice di Genova, I Pagliacci, al teatro lirico di Cagliari e poi continua con la stagione 2009/10 interpretando con grande successo la Traviata, Falstaff, L’Elisir d’Amore, Ernani e Lucia di Lammermoor. Tra i suoi prossimi impegni vi sono: I Puritani, al Teatro Lirico di Cagliari, Attila, al Teatro Reggio di Parma, Un ballo in maschera, alla Washington Opera, e la Madama Butterfly, al Maggio Musicale Fiorentino e al Metropolitan di New York. giuseppe altomare, dopo essersi laureato in scienze politiche, inizia gli studi musicali alla “Hochschule Mozartem” di Salisburgo. Il suo primo debutto avviene nel ruolo di Gianni Schicchi al 39° Festival Puccini di Torre del Lago. Nel 2003 partecipa al concerto di Capodanno del Quirinale trasmesso dalla RAI. Recentemente ha preso parte alla produzione di Pagliacci al Teatro Cremlino di Mosca. Gianfranco Montresor Marcovaldo, il prigioniero vendicativo N ei panni del giovane Marcovaldo sarà il baritono gianfranco montresor, nato a Verona, dove vi debutta nel 1993 al Teatro Filarmonico nella Gattabianca di Paolo Arcà. A questa prima interpretazione fa seguito la Carmen al San Severo Festival e la Bohème al Teatro Massimo di Palermo. La sua brillante e rapida carriera lo porta in poco tempo sui palcoscenici di tutto il mondo; nella stagione 2004/05 debutta come Figaro nel Barbiere di Sivi- Gianfranco Montresor glia a Seoul. Nella stagione 2005/06 partecipa ad un tour europeo di concerti con Andrea Bocelli. Nel 2007 inizia una collaborazione con il Teatro la Scala con la nuova opera di Fabio Vacchi Teneke e prosegue nel 2008 con Il Giocatore di Prokofiev. Tra i suoi ultimi impegni Don Gregorio a Catania, Messa di gloria di Puccini a Verona, il Nabucco a Novara, Manon Lescaut a Sofia e la Traviata a Trieste. Pagina a cura di Mariachiara Onori – Foto di Corrado M. Falsini 6 La battaglia di Legnano il giornale dei grandi eventi Storia dell’Opera “La Battaglia”, “manifesto” musicale della 1° Guerra d’Indipendenza L a premiere de La Battaglia di Legnano, il 27 gennaio 1849 al Teatro Argentina di Roma, andò incontro ad un successo strepitoso: spettatori dominati da un entusiasmo irrefrenabile, sventolio impazzito di coccarde tricolori in sala, ovazioni, applausi scroscianti, insistenti inneggi a Verdi, che venne chiamato alla ribalta almeno venti volte. Poco ci mancò che la serata si tramutasse in sommossa, al grido di «Viva l’Italia!», «Viva la Repubblica!», «Viva Verdi!». Con scene di follia che si prolungarono anche durante le recite successive, dentro e fuori il teatro: fischi “politici” al personaggio di Barbarossa, bis fisso dell’ultimo atto, “assalti” al compositore per strada ed addirittura uno spettatore che in preda all’euforia e probabilmente ai fumi dell’alcool, cadde dalla balconata. Vittoria, quindi, indiscutibile. Ma di chi? Del Verdi compositore o del Verdi “patriota”? il contesto storico Per rispondere a domanda tanto delicata occorre inquadrare certamente il momento storico in cui l’opera nacque nella mente di Verdi e in cui venne presentata al pubblico. Il debutto avveniva pochi giorni prima della proclamazione della Repubblica Romana - che sarebbe stata guidata dal triumvirato Mazzini, Saffi, Armellini - ed alle spalle c’era il 1848, l’anno infuocato della prima guerra di indipendenza, il quale, alimentato dallo spirito patriottico, avrebbe dovuto decretare il trionfo dello spirito italiano, allontanando per sempre l’incubo dell’asservimento straniero e distruggendo quell’ordine consolidato nel 1815 dal Congresso di Vienna. Cosa che poi di fatto non avvenne, visto che con la disfatta di Carlo Alberto a Novara, il 23 marzo 1849, la situazione precipitò e le istanze repubblicane furono soffocate un po’ dappertutto. Verdi visse da spettatore il pri- amareggiato, visto che la direzione del Teatro Argentina sembrava voler far cadere dall’alto l’allestimento dell’opera e che pretendeva la sua presenza la sera del debutto. «Pare che quella Direzione abbia fatto una grazia nell’accettare questo spartito […] io non ho mai fatto accettare spartiti né ho mai ricevuto grazi e né carità da nessuno…». Il Teatro Argentina nell'800 mo atto di questa decisiva battaglia, e per di più da lontano, trovandosi a Parigi – viveva nella “grande ville” dal 1847 per la messa in scena de I Lombardi alla prima crociata, trasformata per il pubblico francese in Jerusalem. Seguì, dunque a distanza, la discesa in campo del re Carlo Alberto, gioì per le vittorie di Goito e Pastrengo, soffrì dell’atroce sconfitta di Custoza ed assistette impotente all’esilio di molti tra i suoi cari amici, a partire dalla contessa Clara Maffei, letterata e patriota cui era legato da un grande affetto. Verdi non era, invece, un fuoriuscito: oggetto di una certa popolarità e notorietà, egli era libero di muoversi senza dover subire i controlli della polizia. un parto veloce Nell’estate del ’48 si era da poco trasferito con la sua futura compagna di vita Giuseppina Strepponi nel villaggio di Passy, vicino a Parigi, ben più tranquillo della Capitale francese percorsa anch’essa da un clima “rivoluzionario” e ancora palpitante dell’insurrezione operaia di giugno. Ed è qui che intraprese la composizione della Battaglia. Il contratto che il compositore aveva firmato con Ricordi nel maggio del 1847 non precisava né tema né titolo dell’opera. Verdi in Italia era già visto come il “vate” di un certo spitito unitario ed in molti per questo gli scrivevano. Tra questi il poeta Giuseppe Giusti che nel 1848 complimentandosi per il Macbeth lo invita a scrivere un’opera “po- da Parigi a roma litica” che potesse appoggiare Verdi partì malvolentieri da la voglia di libertà dallo straParigi, cedendo alle rinnovate niero. Così Verdi si decise: in e tenaci insistenze della direun momento tanto importante zione del teatro, e arrivò a Roper le aspirazioni sue e dei ma alle soglie del 1849, quansuoi connazionali, il tema non do l’Argentina aveva da poco poteva che essere patriottico. aperto la stagione di carnevaIn fondo era l’unico modo per le. Fortunatamente, aveva un lui, musicista lontano dai comcast di prim’ordine, tra cui il battimenti, di dare il proprio soprano Teresa De Giuli Borsi contributo alla causa italiana. nel ruolo di Lida, il baritono La scelta cadde sulla “BattaFilippo Colini in quello di Roglia”, soggetto proposto dal lilando, il tenore Gaetano Frabrettista 47enne Salvatore schini per Arrigo; sul podio, Cammarano il quale, ispiranquell’Emilio Angelini che dosi al dramma La bataille de avrebbe poi diretto al Teatro Toulouse di Joseph Méry, lo Apollo altre due opere verdiaaveva italianizzato scegliendo ne, Il Trovatore (1853) e Un ballo come avvenimento chiave la in maschera (1859). Curò come gloriosa storia della Lega al solito prove ed allestimenti Lombarda in lotta contro l’imne fu anche maestro al cembaperatore germanico Federico lo per le prime tre recite - e poi Barbarossa, storia che per altro ripartì di corsa per la Francia, richiamava la recentissima vaforse temendo una imminente lorosa riscossa delle “Cinrivoluzione, ma que giornate” di Milano confidando di tor(marzo 1848). L’idea nare ben presto in di Verdi era quella di un’Italia “nuova”. un «dramma breve, di Speranze deluse dalla molto movimento, di sconfitta di Carlo Albermoltissima passione». to e dalla repressione Cammarano fece attenreazionaria e, non sedere non poco il licondariamente, dalbretto definitivo e le l’intervento della modifiche apportate Francia cattolicissima, dietro suggerimento del che restituì Roma al compositore arrivarono pontefice Pio IX, absoltanto a dicembre inolbattendo la traballante trato, tanto che Verdi, ed un po’ fantasiosa per fortuna già avanti Repubblica Romana. nella composizione del«Non parliamo di Roma!! A lo spartito, si ritrovò coche gioverebbe!! La forza anmunque a dover inserire le cora regge il mondo! La giuparti nuove rattopstizia? A che serve contro le pando per il meglio. bajonette!!». Come se non baCon la sconfitta stasse, il musici- Salvatore Cammarano a 51 anni in militare venne sta era piuttosto una caricatura di Délfico la fine dell’a- zione propagandistica della Battaglia, anche perché il ripristino dell’influenza austriaca sulla penisola non favoriva la diffusione di un’opera così “rivoluzionaria”, che fu quindi modificata per le successive rappresentazioni: il titolo cambiò in L’assedio di Arlem e personaggi e ambientazione furono trasferiti nelle Fiandre quasi tre secoli prima, con il “travestimento” del Barbarossa in Duca d’Alba. Questo causò forte rammarico in Verdi, che più volte si ripropose di rimettere da capo mano all’opera, ma che poi soprassedette, mancandogli del tutto la voglia. E comunque, anche quando fu di nuovo rappresentata in originale, dieci anni dopo al teatro Carcano di Milano nel corso della seconda guerra d’indipendenza, La Battaglia ebbe sorte infausta, perché lo stesso giorno della prima, l’11 luglio 1859, fu firmato l’armistizio tra Napoleone III e Francesco Giuseppe, ostacolando ancora una volta il cammino verso l’agognata unità d’Italia. Verdi lasciò definitivamente Parigi a fine luglio 1849 per tornare a Busseto in compagnia della Strepponi, ormai ufficialmente al suo fianco, e da qui seguì le sorti delle sue produzioni ormai allestite in diversi palcoscenici d’Europa. Si mise anche a lavoro per l’opera che gli aveva commissionato il San Carlo di Napoli e di cui aveva già ricevuto il libretto dallo stesso Cammarrano: quella Luisa Miller che andò in scena l’8 dicembre 1849 e che porrà fine, per Verdi, ai cosiddetti “anni di galera” – tra il 1843 e il 1849 – caratterizzati da un ritmo di lavoro massacrante, quasi sempre su commissione, e da un’ispirazione spesso poco felice, sei anni in cui nacquero dieci titoli: oltre alla Battaglia, I Lombardi alla prima crociata, I due Foscari, Giovanna d’Arco, Alzira, Attila, Il corsaro, I masnadieri, Ernani, Macbeth. Barbara Catellani il giornale dei grandi eventi La battaglia di Legnano 7 Analisi musicale Verdi sulle barricate, con una musica eroica e sentimentale «S trana cosa! Sentite maggiormente il fremito, il rombo della rivoluzione italiana nel Nabucco e nei “Lombardi”, scritti quando la rivoluzione era latente […] che non in questa Battaglia di Legnano scritta a Roma nel 1849 […]». Commentava così il giornale Il Pungolo (23 novembre 1861) dopo la prima rappresentazione scaligera della “Battaglia”. Opera particolare nel contesto dei titoli risorgimentali verdiani, arrivata ormai alla fine di un periodo (gli “anni di galera”) ed alla vigilia di profondi cambiamenti nella drammaturgia verdiana. Se non la si può annoverare fra i capolavori di Verdi, tuttavia la “Battaglia”, scritta su un funzionale ed efficace libretto di Salvatore Cammarano (alla sua seconda collaborazione con il Bussetano, dopo Alzira e prima di Luisa Miller e Il Trovatore) offre momenti interessanti sul piano drammaturgico e musicale. Interessante, innanzitutto, la Sinfonia, fra le più felici di Verdi, concepita secondo lo schema ABA, con un andante centrale di ispirazione belliniana e il tema portante, nobile ed austero, che ricorre nell’opera a cadenzare i momenti eroici. i quattro atti I quattro atti, come già era accaduto in Nabucco, recano ognuno un titolo. Il primo (“Egli vive”, ambientato a Milano) è incentrato sul ritorno di Arrigo creduto morto. Proprio ad Arrigo è affidata una cavatina (“La pia materna mano”) che è fra le pagine liriche più eleganti della partitura. Nelle prime scene si impone il senso marziale: il coro patriottico iniziale e il coro della scena III incorniciano un arco narrativo omogeneo e compatto, che dà una impostazione drammaturgica precisa all’avvio dell’opera. Con l’arrivo in scena di Lida anticipata da un coro femminile aggraziato e spiritoso (soprattutto apprezzabile per la leggerezza dell’orchestrazione) irrompe nel tessuto drammaturgico l’elemento passionale e amoroso, obbligatorio, ma spesso alquanto convenzionale. Così è, sul piano musicale, lo scontro fra Lida e Arrigo, anche se va riconosciuto un alto livello ispirativo nella conclusione della scena VIII (“T’amai, t’amai qual angelo”, canta in uno slancio sentimentale Arrigo). Brevissimo il secondo atto (“Barbarossa”, ambientato a Como): un coro d’apertura, un articolato duetto con scena in cui Arrigo e Rolando tentano di coinvolgere Como nella lotta insurrezionale contro l’invasore e poi l’imprevista apparizione dell’odiato Barbarossa che conduce ad un impetuoso finale avviato dalle frementi parole dell’invasore «Il destino d’Italia son io». Il terzo atto (“L’infamia”, ambientato nei sotterranei di Sant’Ambrogio a Milano) apre con una introduzione orchestrale fosca e cupa che rende magnificamente l’atmosfera di cospirazione che anima la scena. Verdi appare più geniale nella “Battaglia” nelle parti eroico-risorgimentali piuttosto che in quelle patetico-sentimen- tali. E quest’atto è di forte tensione drammatica culminante nel “Giuramento” («Giuriam d’Italia por fine ai danni»), un coro di potente effetto teatrale, genialmente incorniciato dal preludio e dal postludio orchestrale. Nelle scene successive torna il tema sentimentale con la presenza di Lida di cui si può apprezzare il concitato recitativo drammatico che conduce al duetto con Rolando e nel quale si ritrova una frase musicale («Ma Dio mi vole ad ogni costo rea») che gli studiosi hanno indicato come una chiara anticipazione del grandioso grido di Violetta in Traviata «Amami Alfredo». Da segnalare anche il duetto Rolando-Lida lirico: è il momento dell’addio e delle raccomandazioni intorno al figlio della coppia e Verdi trova accenti sinceri e di sicuro impatto emotivo. Una delle qualità più evidenti di Verdi, qui come altrove, è la capacità di controllare le emozioni dei propri personaggi e di or- ganizzare il racconto teatrale in maniera drammaturgicamente sempre efficace. Nella “Battaglia”, anche quando l’ispirazione musicale non è superba, il ritmo narrativo non viene mai meno. E il terzo atto, con i suoi continui colpi di scena ne è una significativa dimostrazione. Così il quadretto familiare che ci è stato presentato nel duetto appena citato, dopo un raffinato momento “notturno” che propone Arrigo intento a scrivere alla madre, si spezza improvvisamente quando Rolando scopre (o crede di scoprire) il tradimento di Lida innamorata di Arrigo. Il concertato che ne deriva è di notevole effetto. Si giunge al quarto atto (“Morire per la Patria”) che ci riporta nella piazza milanese davanti al tempio. Verdi propone una scena articolata in varie strutture musicali fra loro indipendenti e integranti. Durante l’elaborazione dell’opera ne aveva scritto a Cammarano: «…nel principio, avanti il tempio di S. Ambrogio, vorrei unire insieme due o tre cantilene differenti: vorrei per esempio che i preti all’interno, il popolo al difuori, avesse un metro a parte e Lida un cantabile con un metro differente: lasciate poi a me la cura di unirli. Si potrebbe anche (se credete) coi preti mettere dei versetti latini…. Fate come credete meglio, ma badate che quel punto deve essere d’effetto». Il pubblico, dunque ascolta un coro liturgico in sottofondo, mentre Lida e Imelda parlano in primo piano. Il meccanismo sarebbe stato poi ripreso con ben altro risultato drammaturgico nel Trovatore nella celebre scende del «Miserere». Anche lì il librettista sarebbe stato Cammarano. Altro motivo d’interesse in quest’atto conclusivo è l’atmosfera per l’attesa dell’esito della battaglia. Non c’è lo scontro in primo piano, c’è la preghiera del popolo per la vittoria e per il ritorno dei figli. E’ momento di profonda suggestione con la tensione che si scioglie quando squilli in lontananza annunciano la vittoria. Verdi colloca qui un altro coro risorgimentale, energico e vibrante: «Dall’Alpi a Cariddi echeggi Vittoria! Vittoria risponda L’Adriaco al Tirreno! Italia risorge vestita di gloria! Invitta e regina qual era sarà». Con un altro colpo di scena, tuttavia, Verdi ci riporta dalla coralità festante della lotta per la libertà al dolore più intimo della parallela storia sentimentale. L’arrivo di Arrigo morente ripropone la vicenda amorosa e nello stesso tempo ne offre la soluzione più aulica e tranquillizzante: sul punto di spirare l’eroico guerriero, che ha saputo piegare Barbarossa, assicura l’amico Rolando che il cuore di Lida è «puro siccome un angelo» e aggiunge una frase che è entrata nella letteratura librettistica come un classico risorgimentale: «Chi muore per la Patria, alma sì rea non ha». Rolando si commuove, crede all’amico, perdona Lida e tutto finisce in gloria, con il cordoglio generale e sentito per Arrigo al quale è donato, in punto di morte, il vessillo del Carroccio. roberto iovino 8 La battaglia di Legnano il giornale dei grandi eventi I fatti e le conseguenze dell’epico scontr La Battaglia di Legnano: uno scontro generato d A lla metà dell’Ottocento, in tutti i paesi europei, il dilagante nazionalismo si nutrì di immagini e miti attinti dal passato medievale, un Medioevo letto da tutti come un’epoca di fede sincera e passioni ardenti. Il fenomeno si presentò più evidente in quei Paesi che - come l’Italia tardi sono arrivati all’unificazione. Così, negli anni che hanno visto la fine degli Stati preunitari e la lenta e faticosa costruzione di un comune sentire “italiano”, una parte delle élites intellettuali, impegnate nel risorgimento nazionale, videro in alcuni episodi del passato un “segno” inequivoco dell’esistenza di una coscienza nazionale e di un amor di patria. Anche Verdi in quest’opera ha voluto trasmettere quei sentimenti di coesione tra diversi Comuni lombardi che portarono allo scontro di Legnano del 29 maggio 1176, il quale vide la vittoria dei contingenti della Lega lombarda, di cui le truppe milanesi costituivano il nerbo principale, sulla cavalleria dell’imperatore Federico I di Sve- via, detto in seguito il “Barbarossa”, per la corta barba dai riflessi ramati che ne incorniciava il volto. Il conflitto tra l’Imperatore ed una parte delle città dell’Italia centrosettentrionale si era manifestato sin dai primi anni di regno di Federico, quando questi, eletto re dai principi tedeschi nel 1152, era sceso una prima volta in Italia per essere incoronato imperatore dal pontefice in San Pietro, così come dalla tradizione inaugurata da Carlo Magno. Federico era il primo imperatore, dopo circa mezzo secolo, a voler svolgere un ruolo attivo nel Regnum Italiae, cioè in quella parte dell’Italia centrosettentrionale, strappata da Carlo Magno ai Longobardi ed entrata dall’inizio del IX secolo a far parte integrante dell’Impero d’Occidente. Ma la situazione era molto cambiata dai tempi del suo antenato Enrico IV: in Italia le città, le più numerose e più attive dell’Europa dell’epoca, approfittando della lunga assenza degli Imperatori, si erano date una forma di governo au- tonomo (il Comune, guidato dai consoli). Esse miravano ad assicurarsi approvvigionamenti sicuri e mercati sempre più ampi per le merci prodotte, e per questo si trovavano in continuo conflitto tra loro. Milano era, già in quella fase, la più potente fra le città della pianura padana, ma la sua egemonia era temuta ed avversata da molte delle città di minore importanza della regione; le si opponevano strenuamente Pavia, Como, Cremona, mentre Lodi era stata completamente distrutta da Milano pochi decenni prima della discesa di Federico in Italia. Il Barbarossa, in un primo momento si limitò a svolgere il suo ruolo di garante della giustizia e della pace, come voleva la tradizione imperiale. Per questo egli prese le difese d’alcune realtà minori, “oppresse” da Milano. Ma, qualche anno più tardi, in occasione della sua seconda discesa in Italia, il proprio atteggiamento mutò radicalmente. Anche sulla scorta dei suggerimenti che gli venivano dagli studiosi di dirit- Il Barbarossa si sottomette al Papa Alessandro III (Affresco Palazzo Signoria di Siena) to civile dello “studio” di Bologna, ove sin dalla fine dell’XI - inizio del XII secolo era commentato ed insegnato il diritto romano, l’Imperatore chiese alle città di rispettare tutti i suoi diritti sovrani. Da un punto di vista politico Federico, nel corso della grande assemblea convocata a Roncaglia nel novembre del 1158, chiese di nominare – o almeno confermare - i consoli. Ma molto più gravose erano le sue richieste da un punto di vista economico. L’Imperatore rivendicava, infatti, come diritti sovrani, tra l’altro, la riscossione di pedaggi, tasse di mercato, il conio della moneta, quelli che i giuristi definivano col termine tecnico di regalia. Il Sovrano sapeva bene di non poterne gestire direttamente l’immensa mole ed era perciò disposto a delegare signori feudali e città a farlo in sua vece, purché restasse chiaro che essi agivano per concessione sovrana. Al di là del valore economico delle richieste, si trattava, per i Comuni, e soprattutto per quelli più ricchi e dinamici, di rinunciare alle condizioni che avevano reso possibile la loro affermazione nei decenni precedenti. Ben si comprende quindi la decisione di Milano di opporsi strenuamente alle richieste imperiali. Dopo un lungo assedio, nell’inverno 1161-62, la città fu costretta ad arrendersi senza condizioni: gli abitanti dovettero abbandonare le loro case, i fossati vennero colmati, le mura in gran parte abbattute, e Milano cadde alla mercé della vendetta dei suoi tradizionali nemici (Pavia, Como, Lodi), che la devastarono ed incendiarono. Solo alcune chiese, costruite in pietra, sfuggirono alla rovina, mentre la sede vescovile veniva privata del suo più importante tesoro spirituale, le reliquie dei Re Magi, che furono fatte traslate a Colonia dall’arcivescovo di quella città, Rainaldo di Dassel, il più influente tra i consiglieri dell’Imperatore. Intanto allo scontro tra Federico e i Comuni si intrecciava indissolubilmente il problema dello scisma: il 7 settembre 1159, i cardinali - incapaci di raggiungere l’unanimità - avevano eletto due papi: Alessandro III e Vittore IV. Il pontefice canonicamente eletto e riconosciuto era Alessandro III, il senese Rolando Bandinelli, fine canonista ed uomo da sempre impegnato nella difesa della “Libertà della chiesa”, sulla linea di quanto già affermato circa un secolo prima da Gregorio VII. Questa concezione, che in pratica subordinava il potere temporale dell’Imperatore al giudizio di quello spirituale incarnato dal Papa, si scontrava con la nuova idea di Impero difesa dal Barbarossa, il quale vedeva il proprio il giornale dei grandi eventi La battaglia di Legnano 9 ro tra il Barbarossa e le Città lombarde dalla riaffermazione delle prerogative imperiali “La battaglia di Legnano” di Amos Cassioli potere, come quello degli antichi imperatori cristiani - da Costantino a Giustiniano - derivare direttamente da Dio, senza la mediazione papale. Federico riconobbe, perciò, come vero e legittimo pontefice l’antipapa Vittore IV, Ottaviano Monticelli, grande signore feudale di Tivoli, imparentato alla lontana con i re di Francia e d’Inghilterra e molto meno legato alla concezione gregoriana dei rapporti tra Chiesa ed Impero. La nascita della Lega Lombarda Negli anni successivi la lotta tra Federico e i Comuni divenne, perciò, anche un conflitto di portata universale ed i rappresentanti delle città italiane si presentarono, non senza ragione, quali i difensori del “vero Papa”, in cui onore fondarono - in posizione strategica - la città di Alessandria. La sconfitta e l’annientamento di Milano si rivelò presto come una vittoria di Pirro. Anche i Comuni che più a lungo si erano opposi all’egemonia milanese si resero conto come la concezione che Federico aveva dei suoi diritti, che non esitava a far valere anche nei confronti delle città a lui alleate, rappresentava un pericolo maggiore della potenza milanese. Nella primavera del 1167, Comuni da sempre alleati dell’Impero, come Bergamo o Cremona, si unirono con giuramento ad altre città per decenni loro nemiche come Brescia, invitarono Milano ad unirsi alla “lega” e si impegnarono direttamente nella ricostruzione della metropoli lombarda. Nel dicembre 1167 veniva costituita la Societas lombardorum, che la storiografia conosce come “Lega lombarda”. La Battaglia di Legnano Per alcuni anni l’Imperatore si mantenne al di là delle Alpi e lo scontro venne così rimandato. Ma le ostilità si riaprirono nell’autunno del 1175, quando Federico portò di nuovo il suo esercito in Italia, ponendo l’assedio ad Alessandria, che non fu però in grado di conquistare. Barbarossa si rese conto della propria debolezza, politica e militare: da una parte cercò di avviare trattative che non portarono però ad alcun risultato; dall’altra, cercò di ottenere che suo cugino, il duca di Baviera e Sassonia Enrico il Leone, il più potente signore tedesco, gli garantisse un contingente di cavalieri per la propria guerra contro i Comuni, ma questi concesse solo un aiuto economico. Nel maggio 1176 si arrivò allo scontro: la battaglia combattuta a Legnano è uno di pochi combattimenti campali nel pluridecennale conflitto tra Federico e i Comuni: nella maggior parte dei casi come si è visto - erano gli assedi a decidere il vincitore. L’Imperatore si presentava in netta inferiorità numerica, ma un’avanguardia di suoi cavalieri, scontratasi con un contingente della Lega, ebbe momentaneamente la meglio. Barbarossa probabilmente si illuse di poter sconfiggere con la propria ben addestrata cavalleria pesante l’esercito avversario, formato in gran parte da combattenti appiedati, armati di picche. Quando però le truppe imperiali si lanciarono all’attacco, vennero fermate dai fanti, posti a difesa del Carroccio, il carro su cui sventolavano le insegne delle città alleate, mentre un gruppo di cavalieri attaccava di fianco l’esercito di Federico. Lo stesso cavallo dell’Imperatore, il quale partecipava personalmente alla battaglia, pare sia stato ferito dalla picca di uno dei fanti della Lega. Incapace di rialzarsi, Barbarossa venne dato per morto. Come era consueto, alla notizia della morte del comandante in capo, le truppe cominciarono a sbandarsi e la vittoria fu pienamente della Lega. Federico nei giorni successivi riuscì con grande fatica a trovare riparo a Pavia e di lì a raggiungere, come un fuggiasco, la Germania. Le conseguenze della vittoria La Battaglia di Legnano, pur vittoriosa, non rappresentò però una totale sconfitta di Federico. L’anno successivo, a Venezia, egli riconobbe come legittimo pontefice Alessandro III, allontanandolo dall’alleanza con i Comuni, con cui venne invece sottoscritta una tregua di sei anni. Federico ne approfittò per regolare i conti con l’infedele cugino Enrico, mentre molti Comuni, allontanatosi ormai il pericolo, ri- presero la loro tradizionale politica di inimicizia nei confronti di Milano, restata più o meno isolata nella difesa della Lega. Nel 1183, allo scadere dei sei anni, venne firmato un accordo, la cosiddetta “Pace di Costanza”, che in realtà ebbe la forma di un privilegio generosamente concesso dall’Imperatore alle sue fedeli città. Barbarossa rinunciava alle regalie che aveva cercato di imporre a Roncaglia, ma non alla sovranità sul Regnum Italiae ed al suo diritto di confermare i consoli eletti dalle città. Sarà questa soluzione di compromesso a scatenare le ostilità fra il nipote del Barbarossa, Federico II, e i Comuni dell’Italia centrosettentrionale in pieno XIII secolo. giulia Barone Docente Storia Medievale Facoltà di Lettere e Filosofia Università La Sapienza - Roma Il monumento al “Guerriero” a Legnano 10 La battaglia di Legnano il giornale dei grandi eventi L’epopea della Battaglia di Legnano nella letteratura Poeti, letterati, politici, sul Carroccio vittorioso «…Dall’Alpe a Sicilia ovunque è Legnano», così recita l’Inno degli Italiani del poeta Goffredo Mameli, quasi a sottolineare come tutte le città d’Italia debbano trarre insegnamento dalla splendida vittoria della concordia e della libertà. Il nome di Legnano ha ispirato i maggiori poeti, che dedicarono rime memorabili, capaci di far rivivere momenti eroici di quell’epoca tormentata. Il primo dei grandi patrioti del Romanticismo risorgimentale, Giovanni Brechet esprime i diversi sentimenti di un esule che, avendo in sogno rivissuto le gloriose vicende della “Lega Lombarda” orgoglioso delle antiche virtù dei padri, soffre per la nazione incapace di sollevarsi e di scuotersi: «Col coglier dell’ uve, nel mieter del grano dovunque è una gioia, fia sempre Legnano l’altera parola che il canto dirà! Ma, guai pe’ nipoti! se ad essi discesa, Diventa parola che muor non compresa. Quel giorno l’infame dei giorni sarà». Anche se il tono poetico delle “Fantasie” a volte si fa retorico, le parole hanno il valore di un umano e sincero messaggio dettato dalla nostalgia per la propria terra e per gli affetti lontani, dall’odio verso gli oppressori e dalla speranza nel riscatto del popolo. Brechet immagina di vedere e udire in sogno uno dei consoli a Pontida mentre riferisce ai suoi concittadini il piano di guerra contro il Barbarossa: «L’han giurato li ho visti in Pontida convenuti dal monte e dal piano. L’han giurato e si strinser la mano cittadini di venti città». Proseguendo le sue visioni poetiche, egli giunge alla battaglia cruciale del 29 maggio: «il dolor che h’ha fatto concordi: la concordia vincenti ne fa» e conclude il sogno: «…in Pon- Il giuramento di Pontida di Egidio Pozzi 1176, va ricordato Giosuè tida il suo sangue promise; Carducci, il quale, ne Il il suo sangue a Legnano Parlamento inserito nella versò». Canzone di Legnano sostieSuccessivamente si apre ne fortemente l’ideale di ai suoi occhi il tripudio un medioevo comunale e della vittoria, nella famocombattivo che tiene vivo sa “pace di Costanza”, nelle riunioni del popolo dove di fatto l’impero rilo spirito dell’antica reconosceva i privilegi delle pubblica romana. E’ la città lombarde e veniva firmata la pace conquistata sul campo: «Addio belle rive del fiume straniero, E tu, mitigato signor dell’impero, E tu, pei Lombardi la fausta città. Tornati a sedere su i fiumi nativi, Compagno de’ nostri pensier più giulivi, Costanza, il tuo nome perpetuo verrà». Lo stesso tema compare prima ancora dei moti del 1821 nel componimento in sedici ottave dedicato alla Battaglia da Luigi Monteggia. Anch’egli descrive il campo di bat- Giosuè Carducci, autore della celebre poesia “Il Parlamento” taglia e le fasi della lotrappresentazione comta, fino alla vittoria finale: piuta di democrazia di«A’ Milanesi è forza allor retta, trasferita in un lonche ceda scordando ogni tetano avvenimento storico desco i prischi onori, e di cacon studio di aderenza ai tene carico si veda ver Milatempi ed ai luoghi, che si no trascinato, e tra i clamori rispecchia anche nel linoda in città egli evviva alla guaggio, tra arcaico e povittoria, onde immortale, o polaresco, e nel metro, patria, è la tua gloria». Tra riecheggiante quello delle le numerose poesie che antiche canzoni di gesta: ebbero per tema e sfondo «Or si fa innanzi Alberto di la gloriosa impresa del Giussano. Di ben tutta la spalla egli soverchia. Gli accolti in piedi al console d’intorno. Ne la gran possa de la sua persona. Torreggia in mezzo al parlamento: ha in mano La barbuta: la bruna capelliera, il lato collo e l’ampie spalle inonda. Batte il sol ne la chiara onesta faccia, ne le chiome e ne gli occhi risfavilla. È la sua voce come tuon di maggio». Il Carducci qui raggiunge la grande poetica: la nostalgia dell’eroico trova finalmente la sua meta sublime nel popolo e nel suo condottiero e rappresenta l’inveramento più completo di tutto l’intimo travaglio della sua vita di italiano e di poeta. Con la Canzon de Legnan di cui la prima parte è la libera traduzione de Il Parlamento carducciano, lo storico e avvocato Ambrogio Antonini riadatta in dialetto meneghino i versi del poeta maremmano: «Cor per el camp el boff della vittoria, e i sort della battaglia hinn già segnaa per i viv, per i mort e per la storia!». Pure in vernacolo, infine, si è cimentato in una Bataglia da Legnan, Ernesto Parini, uno dei piu’ noti poeti dialettali lombardi. Gli ideali, i simboli di unità e fede, fecero breccia nello stesso Gabriele D’Annunzio, nella dedica alla memoria di Giosuè Carducci, con una canzone commemorativa tesa a esaltare la grande vittoria: «…Lui non traggano in bera cui sovrasti l’usata coltre i gravi di gramaglia cavalli, addotti tra la pompa vana: ma sul Carroccio i buoi d’Emilia vasti che mugghiavano in mezzo alla battaglia, squillando sull’antenna la campana…». Giovanni Pascoli si è ispirato al Carroccio nella prima delle sue tre Canzoni di Re Enzio, una rapsodia solenne e con grandi spunti epici, rivelatrice dell’amore che il poeta aveva per la storia medioevale Italiana. Ambientata nel 1251, La Canzone del Carroccio narra di quando tutto il popolo si preparò ad andare incontro ad Innocenzo IV, lungo la via Emilia, schierato intorno al Carroccio vittorioso: «Ecco e il Carroccio e il Popolo s’arresta; e lancie e spade sono volte a terra. Sonate, o trombe! Squilla, o Martinella! Inchina a lui la pertica il Carroccio». Ancora molte composizioni poetiche sono state dedicate agli avvenimenti lombardi, non solo da parte di rimatori, ma anche da importanti uomini politici che utilizzarono le gesta di Pontida e Legnano come canto di guerra. Il testo dell’Inno di Garibaldi, scritto da Luigi Mercantini, è un po’ retorico, ma Garibaldi pensò potesse adatto per i soldati che l’indomani si sarebbero dovuti imbarcare per la grande impresa «La terra dei fiori, dei suoni e dei carmi ritorni qual’era la terra dell’armi! Di cento catene le avvinser la mano, ma ancor di Legnano sa i ferri brandir». Liv. magn. il giornale dei grandi eventi La battaglia di Legnano 11 La statua di Alberto da Giussano Di cartapesta il primo monumento alla Battaglia «C aprera, 28 Aprile 1874 - Cara e Gentilissima Signora, un Monumento che ricordi la Battaglia di Legnano vinta dalla Lega Lombarda contro il secolare nemico dell’Italia, è un dovere di ogni Italiano – ed è uno dei ricordi più gloriosi per la Patria nostra. Dev. mo Vostro, G. Garibaldi». Così il leader dei Mille, forse anche nella prospettiva del settimo Centenario della Battaglia, esortava la patriota legnanese Ester Martini Cuttica a farsi promotrice per la realizzazione del monumento a ricordo della famosa Battaglia del 29 maggio 1176. Ma già anni prima, il 16 giugno 1862, Garibaldi in visita a Legnano, dal balcone di casa Bossi, aveva sollecitato vigorosamente i Legnanesi: «Noi abbiamo poca cura delle memorie degli avvenimenti patrii. Legnano manca di un monumento per constatare il valore dei nostri antenati, e la concordia dei nostri padri collegatisi, i quali riuscirono a bastonare gli stranieri appena s’intesero… Un monumento dovrebbe essere eretto a Legnano; ma un monumento più grande di tutti, perché esso deve ricordare uno dei fasti più glo- Inaugurazione a Legnano del primo monumento al Guerriero, il 29 maggio 1876. Per questioni di fondi e di tempi la statua fu realizzata in cartapesta e gesso. riosi della nostra storia, in cui ebbe parte tutta l’Italia». Con l’avvicinarsi di quel 7° Centenario, nonostante le ristrettezze economiche ed il rigore “fino all’osso” praticato dal governo per sanare il bilancio pubblico, Legnano si preparò alle celebrazioni con un invito ai Sindaci di tutta Italia a concorrere con offerte perché «il glorioso fatto che tanto onora il nome italiano… non si vuole obliato». Furono creati una Commissione per il Monumento ed un Comitato per le Celebrazioni del Centenario e le donazioni (ci fu anche quella di Enrico Butti, futuro scultore del Guerriero) permisero di sistemare la piazza che do- veva ospitare il monumento, di iniziarne il basamento affidato all’architetto Achille Sfrontini, ma, ahimè, non furono sufficienti per la fusione in bronzo della statua opera di Egidio Pozzi. Il basamento doveva contenere bassorilievi con i quattro episodi principali: la distruzione di Milano; il patto di Pontida; la Battaglia; la pace di Costanza. Così il 29 maggio 1876, durante le grandi celebrazioni per i 700 anni, effettivamente fu inaugurato un monumento, al quale vennero dedicate anche la prima pagina de Il Secolo (28-29 maggio 1876) e la foto di copertina de “L’Illustrazione Italiana” (4 giugno 1876). Ma, in realtà, si trattava di un manufatto provvisorio: il basamento, con quattro bassorilievi realizzati in disegno su carta, ed, in particolare, la statua, che era soltanto un modello in gesso e cartapesta dipinto color bronzo. Le manifestazioni furono, comunque, un successo. Presenti a Legnano le municipalità di tutte le regioni d’Italia: quarantamila presenze, 276 rappresentanze di corpi e associazioni, con 197 vessilli e, tra la folla, esponenti delle diverse anime risorgimentali. E tra fuochi d’artificio, illuminazione elettrica del campanile, mostra di prodotti locali, certamente in pochi si resero conto del materiale “improprio” con cui era stato realizzato il monumento. La statua rimase al suo posto… fino alle prime piogge autunnali… il monumento definitivo Passarono parecchi anni prima che l’Amministrazione Comunale nominasse nuovamente, nel 1887, un Comitato Effettivo che si occupasse del monumento, anche col compito di raccogliere «tutte le offerte possibili e da qualunque parte provengano», affidando l’incarico della realizzazione ad Enrico Butti, scultore di Viggiù di buona fama per essere anche professore all’Accademia di Brera. E così Legnano ebbe il “suo” monumento definitivo, inaugurato con grande enfasi «alle ore 14 del 29 giugno 1900», a chiusura delle celebrazioni di quell’anno per l’anniversario della Battaglia. La statua del Guerriero, alla quale ancora una volta L’Illustrazione Italiana dedicò una copertina l’8 luglio 1900 ed ora adottata anche dalla lega Nord come proprio simbolo, venne collocata in Piazza Monumento e mostra un Alberto da Giussano, leggendario Guerriero della Compagnia della Morte, colto in «mirabile attitudine di trionfo». Il gesto con cui innalza la spada è deciso, ma non troppo plateale; il suo volto è fermo, chiuso in un’energia saldamente controllata. Patrizia salmoiraghi Società Arte e Storia – Legnano Deputaz. lombarda di Storia Patria I simboli della Battaglia di Legnano La Croce d’Ariberto ed il Carroccio S imboli dalla Battaglia di Legnano sono sicuramente il Carroccio e la Croce d’Ariberto d’Intimiano. Quest’ultimo personaggio fu l’arcivescovo che resse la diocesi milanese dal 1018 al 1045 e che seppe, con la sua intelligenza pastorale ed abilità politica, limitare lo strapotere imperiale sui milanesi. La Croce venne donata dall’arcivescovo Ariberto alla chiesa di S. Dionigi tra il 1037 e il 1039. E’ realizzata con un’anima di legno rivestita con una lamina di rame dipinta e dorata e misura cm 220 x 168. La sua presenza sull’altare della chiesa di S. Dionigi rappresentò un’innovazione, collegata da una parte allo sviluppo della devozione per l’umanità di Cristo nella sua passione e morte, dall’altra alla recente prigionia ed umiliazione del potente arcivescovo milanese. La raffigurazione del Cristo in croce, introdotta nel Mille, diverrà nei secoli successivi un elemento irrinunciabile della liturgia. Quando i Milanesi nel 1176 dovettero sostenere in armi il proprio diritto alla libertà contro Federico Barbarossa, subito pensarono alla figura di Ariber- tradizione, come afferma la Cronaca di Landolfo to e, come testimonianza della fede politica e il Vecchio: «Allora fece in tal modo un segnale che religiosa che egli aveva loro infuso, posero la doveva precedere i suoi che stavano per combattere: croce della sua tomba sul Carroccio affinché una lunga trave, grande quanto un alfosse di monito agli avversari. bero di nave, si ergeva in alto fissata a Sull’antica croce lobata (i motivi un robusto carro e portava in cima un alle estremità dei bracci sono pomo d’oro con due lembi pendenti di un’aggiunta trecentesca), ora lino bianchissimo; a metà dell’asta la veneranda croce esposta nel Museo del Duomo di Milano, ai lati dipinta con l’immagine del Salvatore dalle braccia aperdel Cristo sono rappresentati la Vergine e San te guardava dall’alto la schiera di armati tutto intorno, Giovanni e, ai piedi, lo stesso Arcivescovo con affinché - qualunque fosse l’esito della guerra – alla sua in mano la chiesa di S. Dionigi. vista fossero confortati». Era uso del vincitore impaMa la vera icona della Battaglia rimane il Cardronirsi del carro avversario, quasi a togliere la roccio, la grande macchina ferrarta che diviene divina protezione ai nemici. Esso, infatti, era simforte simbolo intorno al quale coagulare lo spibolicamente affine all’arca dell’alleanza e doverito combattivo dei milanesi, adottato in tutti va garantire l’invincibilità dell’esercito che la i grandi centri della Pianura Padana, così che, trasportava, motivo per cui la perdita nei secoli XI-XII-XIII, le comunità lombarde, spesso in guerra tra loro, La Croce d’Ariberto d’Intimiano del Carroccio era considerata una tragedia collettiva. Il suo carattere sacrale ostentavano durante le battaglie ciaè evidenziato anche dal fatto che si presentava coscuna “un carro sacro” con la croce e la campana me un altare mobile sul quale svettava il Crocefisso. per richiamare i combattenti. Sembra che proprio P. s. l’arcivescovo Ariberto abbia dato inizio a questa 12 La battaglia di Legnano il giornale dei grandi eventi Analisi della rivoluzione che stava Quella Repubblica Romana, fugace tent D urò poco meno di 5 mesi, dal 9 febbraio al 4 luglio 1849, l’esperienza della Repubblica Romana, il tentativo rivoluzionario che sfruttò il vuoto di potere creatosi a Roma dopo l’assassinio del Primo Ministro Pellegrino Rossi, ucciso il 15 novembre 1848 e la successiva precauzionale partenza, nove giorni dopo, di Pio IX alla volta di Gaeta, organizzata dal fedele, freddo e lungimirante cardinale Giacomo Antonelli. un prologo di democrazia Così, dopo la sconfitta del 23 marzo 1849 di Carlo Alberto a Novara da parte degli austriaci, molti di quelli che saranno poi figure di primo piano del Risorgimento, vedendo cadere le speranze di una liberazione dallo straniero, confluirono su Roma, città da quattro mesi da una parte in fermento e dall’altra attonita per l’assassinio di quel Presidente del Consiglio accoltellato proprio mentre saliva le scale del palazzo della Cancelleria per portare al vaglio del governo riforme liberali. Un omicidio maturato nell’ambiente rivoluzionario, ma anche massonico-conservatore di una borghesia che già mal aveva visto l’apertura riformista che Papa Mastai aveva manifestato fin subito dopo la propria elezione, il 16 giugno 1846. Del gruppo d’assassini, infatti, faceva parte Luigi Brunetti, figlio del capopopolo Angelo, detto Ciceruacchio, il quale agi su mandato di Carlo Luciano Bonaparte e del deputato Pietro Sterbini che aveva detto: «non ci fosse in Roma un braccio ardito capace di troncare d’un colpo la vita del tiranno». Ed era stata proprio l’amnistia ad oltre 400 detenuti voluta dal Ponte- sulla statua del Marc’Aurelio in Campidoglio. Sull’onda degli statuti concessi nei vari stati italiani (Carlo Alberto promulgherà quello Albertino il 4 aprile 1948), pure il Papa il 14 aprile concesse lo “Statuto fondamentale pel governo temporale degli Stati della Chiesa”, Scontri presso la Villa “Il Vascello” sul Gianicolo il 2 - 3 giugno 1849 mentre il popolo in strada grida governo dello Stato romano pa, testimoni tutti gli am«Viva Pio IX, vivano le costisarà la democrazia pura e basciatori, dichiarò di tuzioni italiane dalle Alpi al prenderà il glorioso nome di prenderne le distanze. Primare». Così lo stesso PonteRepubblica Romana». Il sucmo atto del nuovo esecutifice, si trovò costretto nel cessivo 12 febbraio l’Asvo, insediato il 16 novemConcistoro del 29 aprile semblea, assumendo per la bre, quello di indire eleziocon l’allocuzione Non seRepubblica il motto “Dio e ni per una Costituente. mel, a sconfessare gli enPopolo”, conferisce la cittatusiasmi patriottici, ridinanza romana a GiusepLa repubblica romana fiutando un suo appe Mazzini, il quale giunpoggio morale e miligerà nell’Urbe il 5 marzo, Da Gaeta, dove era riparatare all’intervento annunciando che «dopo la to il 24 novembre, Pio IX piemontese e conRoma dei Papi verrà la Roma aprì l’anno forse più duro dannando la guerra del popolo» e «…una nuova della sua vita, il 1849, con all’Austria. Una epoca sorge, la quale non amla scomunica contro coloro esplicita risposta almette il Cristianesimo, né riche avrebbero preso parte l’invito a rinnegare la conosce l’antica autorità». Il alle elezioni. E’ qui ora che propria missione avan29 marzo (tre giorni dopo il Pontefice capisce di dozato dalle società segrela sconfitta a Novara di re ver fare marcia indietro te, che faceva pure nauCarlo Alberto, che viste sulle aperture che di slanfragare quel sogno neosvanire le speranze unitacio aveva voluto. A Roma i guelfo di porre il Papato alrie si ritirerà ad Oporto) capipopolo si abbandonala testa della Rivoluzione Cardinale Giacomo Antonelli, Mazzini viene eletto Triunrono ad atti blasfemi e saitaliana. E fu proprio ciò Segretario di Stato Pio IX (1806-1876) viro, associando alla procrileghi con una processioche fece crescere l’opposipria dittatura Aurelio Saffi ne beffarda condita di imzione politica verso quel e Carlo Armellini. La riproperi e bestemmie. Le Papa fino ad allora “liberacovava sotto la paglia, ed voluzione romana, elezioni del 21 e 22 le”. Ma un conto erano le esplose a Parigi il 23 febin effetti di rogennaio elegaperture democratiche ed braio 1848 con la caduta mano ha pogeranno i 200 un altro trasformare il Vidella monarchia di Luigi co: genovesi deputati. cario di Cristo nella banFilippo e l’instaurazione sono MazziL’articolo 1 diera di una rivoluzione. della Seconda Repubblica. ni ed Avezdello statuDopo l’assassinio di PellePochi giorni prima, il 10 zana minito della grino Rossi, Pio IX dovette febbraio, un’allocuzione di stro della neonata Ascedere alla violenza (il QuiPio IX che si concludeva guerra, friulasemblea Corinale venne assediato, un «Benedite, dunque, o grande no Dall’Ongaro stituente, votacollaboratore del Papa ucIddio, l’Italia e conservatele direttore del to nella notte ciso da un colpo di fucile questo dono, il più prezioso di tra l’8 ed il 9 Moneta da Tre Bajocchi giornale ufficiaattraverso una finestra, tutti, la fede!», era stata letta febbraio, di- della Repubblica Romana le Monitore Romentre un cannone veniva da molti non come una bemano, nizzardo chiara il Papapuntato contro il portone) nedizione all’entità geoGaribaldi fino al napoletato «decaduto di fatto e di died alla richiesta dei facinografica della penisola, ma no Saliceti, redattore della ritto dal governo temporale rosi di formare un governo come un invito alla guerra costituzione. Insomma, le dello Stato romano» ed al provvisorio presieduto verso l’Austria. Anche Roaspirazioni d’ogni parte successivo terzo articolo dall’avvocato Galletti, goma, dunque, s’infiammò. d’Italia, deluse dalle sconstabilisce che «la forma del verno dal quale però il PaTricolori furono innalzati fice il 14 luglio 1846, per il trigesimo della propria elezione, a divenire, malgrado le sue modeste dimensioni, la scintilla in Italia ed in Europa di quel delirio collettivo che avrebbe avuto il suo culmine nei moti rivoluzionari del’48. Si creò così il mito del “Papa liberale”, pure in seguito ad altri atti, come la concessione della libertà di stampa il 15 marzo ‘47 – anch’essa con effetti contrari, vista la proliferazione della stampa clandestina – e, qualche mese più tardi, la formazione di un governo con nove ministri. Ma il fuoco rivoluzionario il giornale dei grandi eventi La battaglia di Legnano 13 per nascere al debutto de “La Battaglia” ativo rivoluzionario nella Città del Papa sì che dalla Eterna Città nostra la luce si diffonda per l’Universo, che il mondo ammiri, a canto del nero ed avvilito Gesuita, il libero gigante potere della Massoneria [...] È in Italia, è a Roma, ove il nostro eterno avversario raccoglie le sue ultime forze. Noi siamo gli avamposti dell’esercito massonico universale». La fine della repubblica Proclamazione della Repubblica Romana in piazza del Campidoglio il 9 febbraio 1849 fitte piemontesi, si concentrarono per pochi mesi in questa estemporanea avventura nata da circostanze casuali. Primo atto del governo repubblicano è l’espropriazione dei beni ecclesiastici che divengono “beni nazionali”. Contro i preti sorgono confraternite tutt’altro che rassicuranti, come la Società degli ammazzatori, l’anconetana Compagnia della morte, la Compagnia de’sicari e quella Infernale di Senigallia, città natale di papa Mastai. Come dittatore Mazzini arriva a far uccidere chi si discosta dalla sua linea politica o non ne condivide le idee, espresse già nel 1832: «Le rivoluzioni, generalmente parlando, non si difendono che assalendo […] se non è guerra d’eccidio, se non è guerra rivoluzionaria, guerra disperata, cittadina, popolare, energica, forte di tutti i mezzi, che la natura somministra allo schiavo dal cannone al pugnale, cadrete e vilmente!». A Roma, in effetti, «Fra gli inni di libertà, e gli augurii di fratellanza erano violati i domicilii, violate le proprietà; qual cittadino nella persona, qual era nella roba offeso, e le requisizioni dei metalli preziosi divenivano esca a ladronecci, e pretesto a rapinerei». A scrivere è un insospettabile, Luigi Carlo Farini, futuro presidente del Consiglio del Regno d’Italia nel suo Lo stato romano dall’anno 1814 al 1850. La massoneria, da parte sua, appoggia la Repubblica: «facciamo Il cannone da 36 della Repubblica Romana, già interrato nelle sabbie di Anzio, fu portato a Roma con le bufale e collocato sul Gianicolo dove fu utilizzato per l'ultima difesa. Venne poi rotto da una palla francese. Disegno di Alessandro Castelli (Museo del Risorgimento). Pio IX, dal suo esilio di Gaeta, sostenuto dal forte e diplomatico Segretario di Stato card. Antonelli, enuncia la realtà dei fatti nell’importante allocuzione Quibus, quantisque malorum del 20 aprile 1849, dove racconta dalle intenzioni che lo ispirarono alle riforme, ma anche gli inganni subiti ad opera di una parte ch’egli credette col perdono di correggere e di ammansire: « … i rivoluzionari affermano di volere la fine del potere temporale nell’intento di migliorare le condizioni della Chiesa e renderla più libera? Ebbene, questi sono i fatti: è impedita al Pontefice ogni tipo di comunicazione vuoi col clero, vuoi con i vescovi, vuoi con i fedeli di Roma; la Città si riempie di uomini (apostati, eretici, comunisti e socialisti, come si definiscono) provenienti da tutto il mondo pieni di odio nei confronti della Chiesa; i liberali si impossessano di tutti i beni, redditi e possedimenti ecclesiastici; le chiese sono spogliate dei loro ornamenti; gli edifici religiosi dedicati ad altri usi; le monache maltrattate; i religiosi assaliti, imprigionati ed uccisi; i pastori separati dal proprio gregge ed incarcerati. Questa la libertà che viene realizzata. Le società segrete non si limitano a perseguitare la Chiesa, mettono in pericolo l’ordine e la prosperità della società civile: l’erario pubblico è dissipato e ridotto a nulla, il commercio interrotto e quasi inesistente, i privati derubati dei loro beni da co- loro che si definiscono guide della popolazione, la libertà e la stessa vita di tutti i sudditi fedeli messa in pericolo». Intorno al Papa si stringono così le Nazioni Cattoliche, Spagna e Francia in testa. E proprio Luigi Napoleone Bonaparte, congiurato che il 10 dicembre ’48 aveva assunto la presidenza della Repubblica Francese detronizzando Luigi Filippo, decise di inviare un contingente di truppe comandato dal Generale Victor Oudinot, che sbarcò a Civitavecchia il 24 aprile. Il primo assalto a Roma del 30 aprile venne respinto. Poi, fallite le trattative meno di 5 mesi era nata la Repubblica, proclamò formalmente e mestamente la Costituzione, articolata sul modello francese, con 8 principi fondamentali e 69 articoli, accolta dagli applausi dei circa 200 presenti. Sulla medesima piazza, dunque, in 150 giorni nacque e morì un’esperienza che di fatto riportò indietro l’apertura liberale dello Stato Pontificio. Nel pomeriggio il Generale Oudinot entrò in Città ed alle 19,30 pubblicò il proclama che poneva la Roma in stato d’assedio. La storiografia ufficiale, dimenticando talvolta i Casino dei Quattro Venti distrutto dopo la battaglia (1849) - Acquarello (Museo del risorgimento) diplomatiche con i Triunviri, all’inizio di giugno la città cominciò ad essere attaccata di nuovo. Sul Gianicolo, tra porta San Pancrazio, il Casino dei Quattro Venti e la Villa del Vascello, gli scontri più duri, in cui morirono duemila uomini. Mazzini, abbandonata la carica di Triunviro, fuggì con un passaporto offertogli dagli Stati Uniti, così come Garibaldi il 2 luglio, ben prima dell’ingresso dei francesi. La Repubblica, ormai allo sbando anche per la mancanza dei vertici, si sciolse la mattina del 3 luglio. Ma prima un gruppo di reduci radunati a mezzogiorno sul Campidoglio, dove fatti, ha per molti versi esaltato la Repubblica Romana ed i suoi personaggi, poiché, come ha per altre analisi scritto Leone XIII nella lettera Saepenumero considerantes del 1883, «La scienza storica è divenuta una congiura contro la verità». Pio IX tornerà a Roma il 12 aprile del 1850 accolto da grida di giubilo. «Non si udiva più – ricorda il visconte di Arlincourt, presente quel giorno – il grido funesto delle sedizioni, ma “Evviva Pio IX!”. Il popolo, con ammirabile istinto che è di lui quando non si lascia traviare, esclamava: “Evviva il Papa! Evviva il Santo Padre!». andrea marini La battaglia di Legnano 14 il giornale dei grandi eventi “La Battaglia” ed i controlli dei vari Stati La continua lotta per aggirare le rigide censure N ell’Ottocento, in una Italia frazionata, ridotta a «semplice espressione geografica» per i compositori un problema non indifferente era relazionarsi non con “la” censura, ma con le tante censure che controllavano i teatri dei regni, dei ducati, dei principati sparsi per la penisola. Ciò che poteva essere accettato in una città, non lo era in un’altra e le richieste di mutamenti e di correzioni erano prassi quotidiana. Incombeva, naturalmente, il problema politico. Ma non solo quello. Non c’entrava nulla con la politica la richiesta di sbiancare Otello fatta a Rossini, né di togliere la gobba a Rigoletto inoltrata a Verdi. N Certo la paura di moti insurrezionali in anni sempre più tesi come quelli del periodo risorgimentale, resero le varie censure sempre più attente e severe nel valutare gli eventuali “messaggi” politici insiti nelle storie analizzate. Così se a Parigi Offenbach poteva permettersi il lusso di irridere bonariamente alla corte di Napoleone nel suo Orfeo all’inferno (si trattava di una sorta di satira di regime, benedetta dall’alto perché considerata evidentemente innocua), in Italia Verdi e colleghi dovevano stare ben attenti a non mettere in scena sovrani (così il Re di Hugo divenne il Duca di Mantova in Verdi), a non fare il minimo accenno all’attualità, a bandire ogni scostu- onostante la non facile situazione sociopolitica, in Siria, al Teatro Nazionale di Damasco ha appena riscosso grande successo l’opera italiana. Le recite del Gianni Schicchi di Puccini, iniziate il 17 maggio, con la direzione del direttore siriano Nahel Al Halabi, hanno conquistato il pubblico siriano, tanto che pare per la prima volta, verrà prodotto anche un DVD di un’opera italiana con sottotitoli in arabo. Presente alla “prima” il Ministro della Cultura siriano Riad Issami, noto regista e critico. Il cast era composto da va- matezza dalle Case dei regnanti. Pochi problemi iniziali La battaglia di Legnano fu, all’inizio, tra le poche opere a non avere problemi. Nacque nel momento più acceso di lotta, nel pieno del Quarantotto e fu messa in scena al Teatro Argentina di Roma nel gennaio del 1849, a poco più di un mese dalla fuga del Papa Pio IX dopo l’assassinio del neo primo ministro Pellegrino Rossi sulle scale del palazzo della Cancelleria il 15 novembre 1848 e due settimane prima della proclamazione della Repubblica Romana (9 febbraio 1849) con a capo un triumvirato formato da Armellini, Mazzini e Saffi. In queste condizioni l’opera non solo fu accettata a scatola chiusa, ma ottenne un successo strepitoso. Cori come il Giuramento del terzo atto («Giuriamo d’Italia por fine ai danni») o come il poderoso inno del quarto («Dall’Alpi a Cariddi echeggi vittoria») non potevano certo passare sotto silenzio. Censura successiva per “La Battaglia” La scure della censura si abbatté dopo sull’opera di Verdi e Cammarano. Nel 1850 La Battaglia di Legnano approdò al Carlo Felice di Genova, ma negli anni successivi il compositore fu costretto a mutare il ti- Collaborazione italo-siriana Gianni Schicchi a Damasco lidi cantanti siriani ed artisti italiani: il tenore Fabio Andreotti (Rinuccio), il baritono Stefano Meo (Schicchi), e il bass-baritono Andrea Cionci (Simone). Il pubblico ha potuto comprendere il libretto tramite la proiezione di sottotitoli in inglese ed arabo, seguendo passo dopo passo le spassose tappe della beffa architettata da Gianni Schicchi a danno degli avidi parenti di Buoso Donati. In un momento come questo, l’apertura culturale della Siria al nostro patrimonio musicale, è un segnale certamente costruttivo. Il giovane direttore siriano, Nahel Al Halabi, perfezionatosi in Italia, presso il Conservatorio di Genova, confida: «Ho ricevuto moltissime email di spettatori entusiasti, che non conoscevano l’opera italiana e che dopo questo Schicchi se ne sono innamorate. Siamo all’inizio di un nuovo percorso, anche grazie al di- continua da pag. 2 Luisotti». Ma questo è un impegno che ha assunto successivamente, visto che inizialmente tale regia scaligera era affidata ad Hugo de Ana e nulla lui ci ha detto degli impegni al Teatro Argentina. Dunque, a parte il rammarico di veder preferire La Scala all’Opera di Roma, c’è da chiedersi quale era l’effettivo impegno pressante? Lo stabile romano o la regia alla Scala venuta in corso di stagione? Inoltre, l’estate scorsa Lavia in una cena a margine del Festival di Martina Franca, di fronte a diversi giornalisti, dopo aver pesantemente parlato del partito della Lega (tanto da suscitare l’irritazione di alcuni “inviati” milanesi) ridendo ha espresso un commento del tipo “chissà se la Battaglia che ho preparato per Roma me la passeranno?”. Conoscendo la provocatorietà di certi spettacoli di Lavia e vista su questo tema la negazione un po’ scomposta del regista al nostro quesito, la domanda sorge spontanea su quale sia il vero motivo della rottura: realmente gli impegni o forse il tipo di regia? Se fosse la seconda ipotesi, probabilmente ben avrebbe fatto il Teatro dell’Opera di Roma a prendere le distanze da uno spettacolo che poteva presentarsi politicamente scorretto, che poteva far entrare prepotentemente la politica anche all’Opera. Certo è che - se così fosse, sia per questo o per altri spettacoli - visti i tempi che viviamo, la sovraesposizione della politica, ora in scena del dibattito su questi temi ne facciamo volentieri a meno. andrea marini tolo in L’assedio di Arlem dal nome della città olandese in rivolta contro Filippo II ed a trasformare Barbarossa nel Duca d’Alba per consentire alla partitura di circolare, pur se a fatica. Nel 1860 a Parma andò in scena con grande clamore di pubblico con il titolo La sconfitta degli Austriaci, nel 1861, a Italia unificata, raggiunse con il titolo originale il San Carlo di Napoli e la Scala di Milano. roberto iovino namismo e alla lungimiranza della nuova Direzione del Teatro». La regìa, molto apprezzata dal pubblico, è stata firmata dalla regista irlandese Vivien Hewitt che ha scelto scenografia e costumi rigorosamente d’epoca: «Spesso lo Schicchi – commenta la Hewitt viene trasferito in età contemporanea, perché la sua storia ha dei tratti sempre attuali. Tuttavia il linguaggio toscano e la preziosa contestualizzazione storica voluta da Puccini e da Forzano, meritano che l’ambientazione trecentesca venga rispettata in pieno». L. di diec. Anticipazione Muti e la stagione 2011 / 2012 Primi annunci per la stagione 2011 /2012, la seconda con andamento a cavallo di due anni dopo la ripresa dell’inaugurazione sul finire dell’anno, stagione che dovrebbe essere ufficializzata a fine settembre. Quest’anno ad aprire il nuovo cartellone sarà il 24 novembre il Macbeth di Giuseppe Verdi diretto da Riccardo Muti. Il direttore napoletano tornerà poi sul podio dell’Opera di Roma una seconda volta nel corso della stagione per dirigere un altro titolo verdiano su cui molto ha lavorato, l’Attila. Il 2013 sarà poi l’anno del bicentenario della nascita di Verdi e già è annunciato che Muti dirigerà tre titoli del “Bussetano” all’Opera di Roma. il giornale dei grandi eventi La battaglia di Legnano 15 Presentata la nuova stagione Grande musica a S. Cecilia con due titoli operistici: Eugenij Onegin e Cavalleria Rusticana L a nuova stagione concertistica dell’Accademia di S. Cecilia sembra non portare le tracce della crisi economica, tanta è la ricchezza della programmazione, tanta l’abbondanza di proposte ed idee. Eppure, solo poco tempo fa, il Sovrintendente Cagli aveva paventato le proprie dimissioni per una situazione che reputava insostenibile. Da allora i tagli al FUS sono stati parzialmente reintegrati e l’Accademia - unica Fondazione insieme alla Scala di Milano - ha raggiunto l’obiettivo di soddisfare i requisiti richiesti per accedere al nuovo regolamento per le fondazioni virtuose, volto a garantire una maggiore tranquillità gestionale. E’ lo stesso Cagli ad illustrare i risultati economici raggiunti: S. Cecilia è riuscita ad incrementare gli incassi al botteghino di circa il 20% in un momento tanto arduo per la cultura, ed anche ad portare soddisfazioni artistiche, con i complessi dell’Accademia ormai ai massimi livelli nel mondo, come testimoniano le numerose tournée internazionali (a luglio i Proms di Londra, ad agosto il Festival di Salisburgo). La stagione 2011/2012 La stagione comincerà il 22 ottobre prossimo con l’Ottava Sinfonia di Mahler, inserita nel programma celebrativo dedicato al grande compositore austriaco, affidata alla bacchetta di Antonio Pappano, con un cast vocale di primo livello nel quale spiccano Manuela Uhl, Sara Mingardo e Georg Zeppenfeld. Le due opere Ricchissimo di appuntamenti il mese di novembre con Valery Gergiev impegnato in ben sei serate, la prima dedicata all’Eugenij Onegin di Caikovsky, eseguito in forma di concerto dai complessi del Mariinsky, le altre incentrate sulla produzione sinfonica di Mahler, con la Terza, la Quarta, la Settima e l’Adagio dell’incompiuta Decima. Altro titolo lirico in cartellone la Cavalleria Rusticana di Mascagni diretta da James Conlon, protagonisti Luciana D’Intino, Aleksandrs Antonenko (che il pubblico romano ricorda grande interprete di Otello al Teatro dell’Opera con Muti) e Roberto Frontali. Da segnalare inoltre Claudio Abbado con l'orchestra di S. Cecilia il concerto straordinario del 20 novembre, quando Claudio Abbado tornerà a dirigere l’Orchestra di S. Cecilia (per l’occasione insieme alla sua Mozart) in un programma interamente incentrato sulla musica russa. Fra i grandi direttori ospiti frequenti dell’Accademia da segnalare Yuri Temirkanov, beniamino del pubblico romano, Georges Prêtre, che festeggia i 50 anni dal suo debutto a S. Cecilia presentando la Nona di Beethoven, Donald Runnicles, impegnato in un galà wagneriano, Lorin Maazel, alle prese con un programma intera- mente francese, Kent Nagano e molti altri. Riguardo alle nuove generazioni direttoriali troviamo artisti sovente presenti nella capitale, come Harding, Matheuz e Dudamel, accanto ad altri al loro debutto ceciliano, come Stéphane Denève, Daniele Rustioni e André OrozcoEstrada. Di grande interesse il concerto dedicato al compositore Franz Schmidt, quasi sconosciuto nel nostro paese, con Fabio Luisi sul podio impegnato nell’oratorio Il libro dei sette sigilli, e quello per celebrare i 70 anni di Maurizio Pollini, durante il quale il grande pia- nista eseguirà il Concerto K 488 di Mozart. Quasi impossibile elencare tutti i solisti presenti nella stagione sinfonica e da camera, dai virtuosi della tastiera come Kissin, Lonquich, Blechacz, Pogorelich, Sokolov, Schiff, Lupu, ai maestri del violino, quali Kavakos e Znajder, ai grandi violoncellisti, come Brunello e Dindo. Di grande rilievo la serata liederistica affidata alla voce straordinaria di Ian Bostridge, impegnato nel Winterreise schubertiano. Particolare attenzione viene poi rivolta alla musica contemporanea, con alcune prime esecuzioni assolute, fra cui spicca il Veni veni Mephostophilis commissionato dall’Accademia a Matteo D’Amico. Sempre restando nell’ambito dell’attualità, il compositore e direttore Thomas Adés presenterà un programma nel quale, accanto a musiche proprie, eseguirà classici di Sibelius e Caikovsky, un po’ come è accaduto quest’anno con Peter Eötvös. Un programma vasto e variegato dunque, in grado di incontrare i gusti degli appassionati, ma anche di chi voglia avvicinarsi per la prima volta al meraviglioso mondo della musica classica. riccardo Cenci Presentata la Stagione Estiva, pensando ad un Festival A Caracalla Tosca ed Aida. Megaspazio il prossimo anno A piccoli passi la stagione estiva del Teatro dell’Opera di Roma, staccandosi dal cartellone del Costanzi, vuole prendere la forma di un festival indipendente, per proporre un programma più articolato che, accanto alla ormai consueta programmazione di Caracalla con due opere ed un balletto di richiamo popolare, possa offrire nell’estate romana titoli più colti, più raffinati. Questi, che naturalmente non richiamerebbero un pubblico di massa, verrebbero eseguiti in spazi maggiormente raccolti e suggestivi come le antiche palestre all’interno del complesso monumentale, dove dovrebbero essere allestite tribune capaci di 400-500 posti. Obiettivo è aumentare l’offerta per il pubblico romano ed il numero degli spettacoli ai quali sono legati gli indispensabili contributi del Fondo Unico dello Spettacolo. In forma di festival, Caracalla potrebbe così accedere non ai normali contributi, ma ad un altro capitolo specifico. Per questo, già quest’anno la platea sarà portata da 3000 a 3500 posti. Ma visto che l’opera popolare all’aperto riesce sempre a far cassa, per il prossimo anno già si sta pensando in grande, ad un megaspazio – potrebbe essere lo stadio olimpico o il Circo Massimo – dove proporre un solo titolo di grande richiamo per tu- risti e melomani, da affiancare al tradizionale Calendario di Caracalla. Per quest’anno, invece, si punterà su due opere, un balletto e due serate speciali. Si partirà il 2 luglio alle 21,30 con un concerto con proiezioni, la Trilogia Romana di Ottorino Respighi (Fontane di Roma, Feste Romane ed I Pini di Roma), concerto diretto da Charles Dutoit. Sarà poi la volta del balletto dal 7 al 20 luglio ore 21 con il collaudato Lago dei Cigni di Čajkovskij nella coreografia di Galina Samsova. La prima opera sarà la Tosca di Puccini dal 21 luglio al 10 agosto h. 21. Sei recite con un nuovo allestimento dirette da Asher Fisch. Nel cast Nadia Vezzù e Csilla Boross come Tosca; Thiago Arancam e Kamen Chanev nei panni di Cavaradossi e Claudio Otelli e Carlo Guelfi come Scarpia. Sabato 23 luglio h. 21,00 Gala Roberto Bolle and Friends . Assieme all’ Étoile della Scala ci saranno Alicia Amatriain, Jiři Bubenìček, Otto Bubenìček e Lucia Lacarra. A chiudere la stagione estiva, dal 2 al 9 agosto h. 21 per 5 recite, l’Aida di Verdi diretta sempre da Asher Fisch. Aida saranno Hui He e Gabriela Georgieva; Amneris Giovanna Casolla e Renata Lamanda; Radames Walter Fraccaro e Francesco Anile. and. mar. www.acea.it Cento anni di know-how, una rete di acquedotti di oltre 46.000 km e acqua di qualità distribuita ogni giorno ad 8 milioni di italiani. Questa è la realtà di Acea. Una realtà all’avanguardia che fa bene all’ambiente, alla popolazione, al futuro. L’acqua, l’uomo, la tecnologia.