La BattagLia di Legnano - ilgiornalegrandieventi.it

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anno XVii - numero 39 - 24 maggio 2011
Le Interviste
Parlano il regista Cappuccio
ed il direttore Steinberg
A Pag.
2
La storia dell’opera
Nata come lavoro “politico”
su pressione di tanti italiani
A Pag.
6
La vicenda storica
Fatti e conseguenze
dell’epico scontro tra
Città lombarde e Barbarossa
A Pag.
8e9
Il monumento
al Guerriero
Quella statua divenuta ora
simbolo dalla Lega Nord
A Pag.
11
La Roma della prima
rappresentazione
La fugace esperienza della
Repubblica Romana
A Pag.
12 e 13
La BattagLia di Legnano
d i G i u s e p p e Ve r d i
La battaglia di Legnano
2
Parlano il regista Cappuccio ed il direttore Steinberg
«La battaglia militare
diventa battaglia culturale»
A
parte il piccolo giallo sull’alternanza alla regia di questa
Battaglia di Legnano, il lavoro
in scena, firmato da Ruggero Cappuccio, è ambientato
nel deposito di un grande
museo, dove l’esultanza descritta dal libretto - del
popolo milanese per la città
appena ricostruita a seguito
delle devastazioni del 1160,
qui si trasforma nella gioiosa operazione di restauro di
tanti quadri che, visti in filigrana, testimoniano l’amore
per la propria identità culturale. «La battaglia di tipo militare si trasfigura nella battaglia
contro la negazione del nostro
patrimonio culturale», ci sottolinea il 47enne regista napoletano che molto in carriera ha lavorato con un altro
napoletano, Riccardo Muti.
«M’interessava il tratto moderno che Verdi imponeva all’opera. Oggi gli austriaci nemici
degli italiani risorgimentali sono gli italiani stessi: è una battaglia che una parte del Paese
deve fare contro l’altra parte
che distrugge il patrimonio culturale. Ogni perdita estetica, in
una Nazione che vive di queste
risorse, è una perdita anche
economica. Noi deteniamo il
70% del patrimonio musicale e
lo si disperde. Nel mondo si
parla italiano anche perché
moltissime opere liriche sono in
italiano. Al Metropolitan si
parla italiano perché c’è la musica, mentre da noi si è ridotta
l’educazione musicale nelle
scuole». La nostra domanda
è se i tagli al FUS, il Fondo
Unico dello Spettacolo, e la
protesta che li ha seguiti, abbiano ispirato questa regia.
«No, questa è nata dopo il reintegro del FUS, ma il discorso è
generico, non legato al fatto
specifico», risponde Cappuccio, al quale quest’allestimento è stato affidato tre
mesi fa dopo la rescissione
consensuale (?) dell’impegno con Lavia. «Se non ci sono i soldi ci dovrebbe essere
un’innovazione delle idee, invece niente. L’opera poi dovrebbe andare verso i giovani, invece i teatri sono visti come Santuari della noia». Tornando
allo spettacolo, «dopo la regia
dell’Elisir d’Amore, mi è stato proposto questo subentro.
Mi sono preso pochi giorni per
riflettere e vedere se mi veniva
un’idea». Certo nell’elaborazione lo ha aiutato Carlo Savi, che firma scene e costumi, il quale questo titolo
aveva curato nel 2005 per il
Teatro Aliglieri di Ravenna
e di quell’allestimento ha
messo qualcosa in più della
~ ~ La Copertina ~ ~
gaetano Previati (Ferrara 1852 – Lavagna 1920).
Un episodio della Battaglia di Legnano: La Preghiera (Part.)
Olio su tela – Museo Civico G. Sutermeister – Legnano.
Donazione Comm. Fabio Vignati.
il g iornale dei g randi eventi
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sola esperienza. Così, il primo atto si apre con lo sfondo
della Battaglia d’Anghiari di
Leonardo - l’affresco dei misteri poiché non si sa se sia
ancora sotto l’intonaco o
dietro una parete di Palazzo
Vecchio a Firenze - ripreso
dalla copia di Peter Paul Rubens, che appare in pieno restauro. «Ma su quest’immagine di fondo è un alternarsi di
dipinti d’epoche diverse che
passano nella trasparenza
dell’idea, dalla Grecia spirante sulle rovine di Missolungi di Eugène Delacroix ad altri
classici. Poi il secondo atto
guarda ad artisti contemporanei come Spender, al pari del
terzo che ha collegamenti con
Mimmo Paladino. Nel quarto
atto si torna, invece, a Caravaggio con Le Sette opere di
Misericordia. E’ un percorso
nella storia dell’arte europea
che è la nostra identità, come
lo fu nel 1176 il Carroccio per
la battaglia di Legnano e per la
storia di Milano».
Verdi nel 1848 viveva a Parigi e dopo un periodo di intensa produzione, poco voleva parlar di musica. Ma in
Italia erano momenti caldi
ed il compositore veniva da
più parti sollecitato ad appoggiare la lotta con un lavoro “politico” contro lo
straniero.
«Quest’opera mi piace molto
perché a fianco dello spirito rivoluzionario presenta pagine
dolcissime», dice Pinchas
Steinberg cui è affidata la direzione dell’orchestra. «In
questo titolo che ho diretto
un’altra sola volta a Vienna nel
1993, si sentono influssi come
Bellini, ma anche tante opere
che verranno dopo. Non mi capacito perché venga rappresentata poco. Si parla di “opera
minore”, ma questo è un insulto a Verdi. Certo non si può paragonare a Falstaff, ma è come
dire che Il Vascello Fantasma
od il Tannhäuser siano minori
rispetto a Tristano ed Isotta e
Parsifal… sono solo venuti
prima. Gli italiani non hanno
la curiosità di sapere: non esiste
solo Rigoletto o Traviata. La
perdita è loro».
and. mar.
il
giornale dei grandi eventi
Stagione 2010-2011 al Teatro Costanzi
12 – 19 aprile 2011
die entführung aus dem seraiL
(il ratto dal serraglio)
di W.A. Mozart
Gabriele Ferro
Direttore
Interpreti
Maria Grazia Schiavo, Olga Peretyatko, Charles Castronovo
24 – 31 maggio 2011
La BattagLia di Legnano
Direttore
Interpreti
di Giuseppe Verdi
Pinchas Steinberg
Dmitriy Beloselskiy, Luca Salsi, Tatiana Serjan
6 - 26 giugno 2011
Direttore
Interpreti
Bohème
di Giacomo Puccini
James Conlon
Ramòn Vargas, Vito Priante, Hibla Gerzmava
stagione estiva alle terme di Caracalla
2 luglio alle 21,30
Concerto multimedia:
immagini e suono
triLogia romana
(Fontane di Roma - Feste Romane - I Pini di Roma)
21 luglio - 10 agosto 2011
Direttore
Interpreti
tosCa
di Giacomo Puccini
Asher Fisch
Csilla Boross, Thiago Arancam e Carlo Guelfi
2 - 9 agosto 2011
Direttore
Interpreti
aida
di Giuseppe Verdi
Asher Fisch
Hui He, Walter Fraccaro, Giovanna Casolla
30 settembre – 8 ottobre 2011
eLektra
di Richard Strauss
Fabio Luisi
Direttore
Interpreti
Felicity Palmer, Eva Johansson, Melanie Diener
~~
La Locandina ~ ~
Teatro Costanzi, 24 - 31 maggio 2011
La BattagLia
diTragedia
Legnano
Lirica in 4 atti
Prima rappresentazione
Roma, Teatro Argentina, 27.I.1849
Libretto di Salvatore Cammarano
tratto dalla tragedia La Battaille de Toulouse (1828)
di François-Joseph Méry
Musica di Giuseppe Verdi
EDIZIONE CASA RICORDI, MILANO
Direttore
Regia
Scene e Costumi
con interventi di
e
Maestro del Coro
Luci
Pinchas Steinberg
Ruggero Cappuccio
Carlo Savi
Mimmo Paladino
Matthew Spender
Roberto Gabbiani
Agostino Angelini
Personaggi / Interpreti
Federico Barbarossa (B)
I° Console di Milano (B)
II Console di Milano (B)
Il Podestà di Como (B)
Rolando (Bar)
Lida (S)
Arrigo (T)
Marcovaldo (Bar)
Imelda (Ms)
Scudiero di Arrigo (T)
Araldo (T)
Dmitriy Beloselskiy
Stefano Rinaldi Miliani
Alessandro Spina
Ezio Maria Tisi
Luca Salsi 24, 26, 29, 31/
Giuseppe Altomare 28
Tatiana Serjan 24, 26, 29, 31 /
Serena Farnocchia 28
Yonghoon Lee 24, 26, 29, 31
/ Riccardo Massi 28
Gianfranco Montresor
Tiziana Tramonti
Vincenzo Di Betta 24, 26, 29 /
Refat Llehsi 28, 31
Pietro Picone
ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO DELL’OPERA
Nuovo allestimento del Teatro dell’Opera di Roma in coproduzione
con il Gran Teatre del Liceu di Barcellona
Sovratitoli a cura di Giovanni Sbaffoni
il
giornale dei grandi eventi
E
’ ambientata dentro un laboratorio di restauro di un museo, questa Battaglia di Legnano firmata dal regista Ruggero Cappuccio, il quale immagina come
“battaglia di oggi” quella contro la
negazione del nostro patrimonio
culturale. La 14ma opera verdiana è
andata in scena al Teatro dell’Opera
di Roma solo una volta, per 6 recite,
nel 1983. E pensare che essa ebbe il
suo debutto proprio nella Città
La battaglia di Legnano
Eterna, al teatro Argentina il 27 gennaio 1849, pochi giorni prima della
proclamazione della Repubblica
Romana. Il libretto, scritto da Cammarano, coniuga sentimenti patriottici di cacciata dello straniero
invasore propri del nord Italia che a
Verdi giungevano nel suo soggiorno Parigino, con elementi storici,
sentimentali e romantici, intrecciando il classico triangolo amoroso del
melodramma con l’epopea di Fede-
rico Barbarossa. La regia di questo
nuovo allestimento, realizzato in
collaborazione con il Gran Teatre
del Liceu di Barcellona, doveva essere curata da Gabriele Lavia, ma
tre mesi fa, al termine di un piccolo
giallo (Troppo costoso? Troppo politico? Altri impegni?), al suo posto
è stato chiamato Cappuccio, il quale
aveva appena terminato, sempre al
Costanzi, L’Elisir d’Amore diretto da
Bruno Campanella.
La Battaglia di Legnano per la seconda volta a Roma
L’azione negli atti I, III e IV si svolge a
Milano, quella del II atto a Como. Epoca: l’anno 1176.
La Trama
atto i – (Egli Vive!) – Il popolo milanese, nella città
ricostruita dopo la devastazione del 1160, accoglie con entusiasmo le truppe provenienti dalle varie città della Lega
lombarda: Piacenza, Novara, Vercelli, Brescia e Verona. Tra
i veronesi c’è Arrigo, reduce da una lunga prigionia, il quale
è riconosciuto dall’amico Rolando, capo dei milanesi, che lo
abbraccia dopo averlo creduto morto. Tutti giurano per la
difesa della città e la lotta contro Federico Barbarossa. Intanto Lida, moglie di Rolando, è triste per i lutti della guerra.
Un prigioniero tedesco, Marcovaldo, innamoratosi di lei,
tenta di sedurla. Ma quando l’ancella Imelda annuncia l’entrata di Rolando accompagnato dal redivivo Arrigo, Lida ha
un fremito di felicità del quale se ne accorge Marcovaldo.
Ed al momento in cui Rolando presenta la moglie al ritrovato amico è Arrigo ad essere colto da improvviso imbarazzo.
Quando un Araldo annuncia l’avvicinarsi dell’esercito del
Barbarossa, Lida ed Arrigo rimangono soli. L’uomo, già
promesso sposo di Lida l’accusa di averlo tradito con l’amico. La donna si difende dicendo che, orfana e credendolo
morto, aveva sposato l’uomo scelto per lei dal padre. Arrigo, inflessibile, la odia e decide di gettarsi in battaglia, con
la speranza di porre fine alla propria vita.
atto ii – (Barbarossa!) – Rolando ed Arrigo sono,
in veste di ambasciatori della alleanza lombarda, nella città
di Como, la quale non fa parte della Lega ma è fedele all’Imperatore. Vogliono convincere i comaschi ad impedire che
le truppe tedesche, le quali hanno già invaso i Grigioni, si
uniscano al Barbarossa. I lariani esitano a decidere, ma la risposta è data dallo stesso Barbarossa che giunge inatteso
con le avanguardie, mostrando dalla finestra il proprio esercito alle porte di Como. L’Imperatore, minaccioso, dichiara
di voler distruggere le truppe lombarde e Milano. I due am-
basciatori inneggiano invece alla liberazione dall’invasore.
atto iii – (L’Infamia !) – Nei sotterranei della Basilica di S. Ambrogio i Cavalieri della Morte, capitanati da
Arrigo, giurano di cacciare lo straniero a costo della vita.
Nel castello di Rolando, Lida ha saputo della scelta d’Arrigo
e decide di scrivergli una lettera, che consegna per il recapito ad Imelda, per chiedergli, in nome dell’antico amore, un
ultimo incontro. Rolando, prima della battaglia, si reca a salutare moglie e figlio, affidandoli ad Arrigo al quale chiede
di restare nelle retrovie. La lettera è intercettata da Marcovaldo che, per vendetta verso Lida, svela a Rolando il presunto tradimento. Intanto, Arrigo è in una torre del castello
a scrivere una lettera alla madre quando è raggiunto da Lida. L’uomo non fa neppure in tempo a dire di non aver ricevuto la missiva che giunge Rolando. La donna si cela dietro le imposte ma è scoperta. Arrigo cerca di convincere l’amico della fedeltà della moglie, chiedendo per se stesso la
morte. Ma Rolando opta per una vendetta più sottile: li rinchiude nella torre, così che Arrigo, non presentandosi in
battaglia, sia disonorato. Questi, però, decide di fuggire dalla finestra gettandosi nel fiume.
atto iV – (Morire per la Patria!) – In una piazza
di Milano davanti ad una chiesa si ode il canto dei salmi. Lida e Imelda, insieme al popolo milanese, attendono gli esiti
della battaglia. Giunge un Console ad annunciare che il nemico è stato battuto e lo stesso Barbarossa è stato ferito da
Arrigo. Si levano canti di gioia, subito interrotti da lugubri
squilli di tromba che accompagnano l’arrivo del condottiero
dei Cavalieri della Morte ferito. Accanto a lui, con aria triste,
è Rolando. Arrigo lo chiama a se e lo rassicura: morendo
non si può mentire e lui gli giura l’innocenza di Lida. Rolando commosso abbraccia la moglie e porge la mano destra all’amico, il quale spira baciando il vessillo del Carroccio,
mentre si leva un canto di ringraziamento.
3
Le Repliche
Martedì 24 maggio, h.
Giovedì 26 maggio, h.
Sabato 28 maggio, h.
Domenica 29 maggio, h.
Martedì 31 maggio, h.
20.30
20.30
18.00
17.00
20.30
L’editoriale
Giallo all’Opera
di Andrea Marini
C’è un piccolo giallo dietro
il cambio di regia di questa
Battaglia di Legnano.
Secondo il cartellone essa
doveva essere curata da
Gabriele Lavia, sostituito
però tre mesi fa dall’attuale
regista Ruggero Cappuccio,
un professionista che spesso
ha lavorato con Muti e che
al momento della proposta –
siamo a metà del febbraio
scorso – aveva appena finito
al Costanzi la regia dell’Elisir d’Amore. Recentemente il comunicato ufficiale del Teatro ha annunciato che «il sopraggiungere dell’importante impegno assunto da Lavia
presso il Teatro stabile di
Roma (l’Argentina, n.d.r.)
e la concomitante limitazione nei costi dello
spettacolo, hanno fatto sì
che di comune accordo le
parti sciogliessero l’impegno». Lavia, da noi intervistato, ha parlato di uno
«spettacolo bellissimo,
disegnato per l’Opera di
Roma, che aveva trovato
pure il consenso del
teatro di Barcellona» col
quale era co-prodotto. «Era
ideato su tre epoche, ottocentesca per le scene
romantiche, coeva all’azione storica per il Barbarossa ed attuale per il
coro, con particolari
movimenti attraverso
ponti mobili, con palcoscenici che potevano
salire e scendere. Ci
sarebbero volute persone
in più che, per questioni
amministrative, non si
potevano prendere». «In
più – ha continuato Lavia sto lavorando alla regia
dell’Attila che andrà in
scena alla Scala dal 20
giugno,
diretta
da
segue a pag. 14
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il
giornale dei grandi eventi
La battaglia di Legnano
Tatiana Serjan e Serena Farnocchia
Luca Salsi e Giuseppe Altomare
Lida, moglie di Rolando già
promessa sposa di Arrigo
Rolando, Duce milanese
A
cantare la sposa Lida saranno i soprano tatiana serjan
(24,26,29,31) e serena farnocchia (28).
tatiana serjan nata a San Pietroburgo, inizia gli studi in pianoforte
al “Musical College” della sua città
e successivamente al conservatorio
“Rimski-Korakov” di San Pietroburgo, dove si diploma. In seguito
arriva in Italia dove si perfeziona
all’Accademia delle Voci di Torino.
Nel 1994 è all’Opera Studio di San
Pietroburgo con la Traviata e con la
Bohème, nel 1996 in Cosi Fan Tutte. Il
suo debutto in Italia è al Teatro Re- Tatiana Serjan
gio di Torino nel 2002 in Macbeth
nel ruolo di Lady Macbeth. A Londra canta con la Philarmonia Orchestra, il Requiem di Verdi. Tra i recenti impegni La Tosca, e Ballo in
Maschera a Berlino e a Monaco di Baviera.
serena farnocchia, nata a Pietrasanta (LU), studia con il baritono
Gianpiero Mastromei . Nel 1995 ottiene la vittoria al prestigioso” Luciano Pavarotti Competition” a Philadelphia. Nel 1997 Riccardo Muti
la sceglie per il ruolo di donna Anna nel mozartiano Don Giovanni.
Negli anni interpreta diversi ruoli tra i quali Mimi nella Bohème, Leonora nel Tovatore, e Alice Ford nel Falstaff verdiano.
Yonghoon Lee e Riccardo Massi
Arrigo, orgoglioso guerriero
veronese
N
el ruolo di Arrigo, il
guerriero innamorato di
Lida saranno i tenori
Yonghoon Lee (24,26,29,31) e
riccardo massi (28).
Yonghoon Lee, nato a Seul (Corea del sud), si afferma a livello
internazionale in soli due anni.
Vince numerosi concorsi canori
così come è vincitore dei premi
Opera Index Vocal Competition
2005 e del Joyce Dutka Arts
Foundation (JDAF) 2005. Riceve
inoltre una borsa di studio sia
per la Seoul National University
in Corea e per il Mannes College Yonghoon Lee
of Music di New York, dove ha
proseguito gli studi vocali e musicali con il Professor Arthur Levy.
Nella stagione 2009/10 debutta alla Bayerische Staatsoper di Monaco
in Don Carlos, e alla Hamburg State Opera in Tosca. Nel 2010 è alla Lyric Opera di Chicago nella Carmen e in seguito al Metropolitan in Don
Carlos.
riccardo massi (28), nato nelle Marche nel 1985,dopo le scuole medie
si trasferisce a Milano dove si diploma all’Accademia della Scala e
continua poi gli studi a Roma con il maestro Holst. Nel 2009 alla Scala
il Don Jose della Carmen nel 2010 debutta a Salisburgo nella Tosca e
nello stesso anno si trova in Sud America come Pollione in Norma. Nel
2011 è nei Paesi Bassi come Enzo Grimaldo ne La Gioconda
5
S
aranno i baritoni Luca salsi
(24,26,29,31) e giuseppe altomare (28), ad interpretare
il ruolo del combattente Rolando.
Luca salsi nato a San Secondo
Parmense (PR) nel 1975 si diploma in canto presso il conservatorio “Arrigo Boito” di Parma, si
perfeziona con il baritono Carlo
Meliciani. Nel 1997 debutta presso il Teatro Comunale di Bologna
nella (Scala di Seta di Rossini). Nel
2000 vince il premio assoluto al
concorso “Gian Battista Viotti” di
Vercelli, inizia così un’intensa attività che lo conduce sui palco- Luca Salsi
scenici di tutto il mondo. Nella
stagione 2008/09 prende parte a diverse produzioni tra cui Il Corsaro al Festival Verdi di Parma, La Bohème, al Carlo Felice di Genova,
I Pagliacci, al teatro lirico di Cagliari e poi continua con la stagione
2009/10 interpretando con grande successo la Traviata, Falstaff, L’Elisir d’Amore, Ernani e Lucia di Lammermoor. Tra i suoi prossimi impegni vi sono: I Puritani, al Teatro Lirico di Cagliari, Attila, al Teatro
Reggio di Parma, Un ballo in maschera, alla Washington Opera, e la
Madama Butterfly, al Maggio Musicale Fiorentino e al Metropolitan
di New York.
giuseppe altomare, dopo essersi laureato in scienze politiche, inizia gli studi musicali alla “Hochschule Mozartem” di Salisburgo. Il
suo primo debutto avviene nel ruolo di Gianni Schicchi al 39° Festival Puccini di Torre del Lago. Nel 2003 partecipa al concerto di Capodanno del Quirinale trasmesso dalla RAI. Recentemente ha preso
parte alla produzione di Pagliacci al Teatro Cremlino di Mosca.
Gianfranco Montresor
Marcovaldo, il prigioniero
vendicativo
N
ei panni del giovane
Marcovaldo sarà il
baritono gianfranco
montresor, nato a Verona, dove vi debutta nel 1993 al Teatro Filarmonico nella Gattabianca di Paolo Arcà. A questa
prima interpretazione fa seguito la Carmen al San Severo
Festival e la Bohème al Teatro
Massimo di Palermo. La sua
brillante e rapida carriera lo
porta in poco tempo sui palcoscenici di tutto il mondo; nella
stagione 2004/05 debutta come Figaro nel Barbiere di Sivi- Gianfranco Montresor
glia a Seoul. Nella stagione
2005/06 partecipa ad un tour europeo di concerti con Andrea Bocelli. Nel 2007 inizia una collaborazione con il Teatro la Scala con la
nuova opera di Fabio Vacchi Teneke e prosegue nel 2008 con Il Giocatore di Prokofiev. Tra i suoi ultimi impegni Don Gregorio a Catania, Messa di gloria di Puccini a Verona, il Nabucco a Novara, Manon
Lescaut a Sofia e la Traviata a Trieste.
Pagina a cura di Mariachiara Onori – Foto di Corrado M. Falsini
6
La battaglia di Legnano
il
giornale dei grandi eventi
Storia dell’Opera
“La Battaglia”, “manifesto” musicale della
1° Guerra d’Indipendenza
L
a premiere de La Battaglia
di Legnano, il 27 gennaio
1849 al Teatro Argentina
di Roma, andò incontro ad un
successo strepitoso: spettatori
dominati da un entusiasmo irrefrenabile, sventolio impazzito di coccarde tricolori in sala,
ovazioni, applausi scroscianti,
insistenti inneggi a Verdi, che
venne chiamato alla ribalta almeno venti volte. Poco ci
mancò che la serata si tramutasse in sommossa, al grido di
«Viva l’Italia!», «Viva la Repubblica!», «Viva Verdi!». Con scene di follia che si prolungarono anche durante le recite successive, dentro e fuori il teatro:
fischi “politici” al personaggio
di Barbarossa, bis fisso dell’ultimo atto, “assalti” al compositore per strada ed addirittura
uno spettatore che in preda
all’euforia e probabilmente ai
fumi dell’alcool, cadde dalla
balconata. Vittoria, quindi, indiscutibile. Ma di chi? Del Verdi compositore o del Verdi
“patriota”?
il contesto storico
Per rispondere a domanda
tanto delicata occorre inquadrare certamente il momento
storico in cui l’opera nacque
nella mente di Verdi e in cui
venne presentata al pubblico.
Il debutto avveniva pochi
giorni prima della proclamazione della Repubblica Romana - che sarebbe stata guidata
dal triumvirato Mazzini, Saffi,
Armellini - ed alle spalle c’era
il 1848, l’anno infuocato della
prima guerra di indipendenza,
il quale, alimentato dallo spirito patriottico, avrebbe dovuto
decretare il trionfo dello spirito italiano, allontanando per
sempre l’incubo dell’asservimento straniero e distruggendo quell’ordine consolidato
nel 1815 dal Congresso di
Vienna. Cosa che poi di fatto
non avvenne, visto che con la
disfatta di Carlo Alberto a Novara, il 23 marzo 1849, la situazione precipitò e le istanze repubblicane furono soffocate
un po’ dappertutto.
Verdi visse da spettatore il pri-
amareggiato, visto che la direzione del Teatro Argentina
sembrava voler far cadere
dall’alto l’allestimento dell’opera e che pretendeva la sua
presenza la sera del debutto.
«Pare che quella Direzione abbia
fatto una grazia nell’accettare
questo spartito […] io non ho mai
fatto accettare spartiti né ho mai
ricevuto grazi e né carità da nessuno…».
Il Teatro Argentina nell'800
mo atto di questa decisiva battaglia, e per di più da lontano,
trovandosi a Parigi – viveva
nella “grande ville” dal 1847 per la messa in scena de I Lombardi alla prima crociata, trasformata per il pubblico francese
in Jerusalem. Seguì, dunque a
distanza, la discesa in campo
del re Carlo Alberto, gioì per le
vittorie di Goito e Pastrengo,
soffrì dell’atroce sconfitta di
Custoza ed assistette impotente all’esilio di molti tra i suoi
cari amici, a partire dalla contessa Clara Maffei, letterata e
patriota cui era legato da un
grande affetto. Verdi non era,
invece, un fuoriuscito: oggetto
di una certa popolarità e notorietà, egli era libero di muoversi senza dover subire i controlli della polizia.
un parto veloce
Nell’estate del ’48 si era da poco trasferito con la sua futura
compagna di vita Giuseppina
Strepponi nel villaggio di Passy, vicino a Parigi, ben più
tranquillo della Capitale francese percorsa anch’essa da un
clima “rivoluzionario” e ancora palpitante dell’insurrezione
operaia di giugno. Ed è qui che
intraprese la composizione
della Battaglia. Il contratto che
il compositore aveva firmato
con Ricordi nel maggio del
1847 non precisava né tema né
titolo dell’opera. Verdi in Italia
era già visto come il “vate” di
un certo spitito unitario ed in
molti per questo gli scrivevano. Tra questi il poeta Giuseppe Giusti che nel 1848 complimentandosi per il Macbeth lo
invita a scrivere un’opera “po-
da Parigi a roma
litica” che potesse appoggiare
Verdi partì malvolentieri da
la voglia di libertà dallo straParigi, cedendo alle rinnovate
niero. Così Verdi si decise: in
e tenaci insistenze della direun momento tanto importante
zione del teatro, e arrivò a Roper le aspirazioni sue e dei
ma alle soglie del 1849, quansuoi connazionali, il tema non
do l’Argentina aveva da poco
poteva che essere patriottico.
aperto la stagione di carnevaIn fondo era l’unico modo per
le. Fortunatamente, aveva un
lui, musicista lontano dai comcast di prim’ordine, tra cui il
battimenti, di dare il proprio
soprano Teresa De Giuli Borsi
contributo alla causa italiana.
nel ruolo di Lida, il baritono
La scelta cadde sulla “BattaFilippo Colini in quello di Roglia”, soggetto proposto dal lilando, il tenore Gaetano Frabrettista 47enne Salvatore
schini per Arrigo; sul podio,
Cammarano il quale, ispiranquell’Emilio Angelini che
dosi al dramma La bataille de
avrebbe poi diretto al Teatro
Toulouse di Joseph Méry, lo
Apollo altre due opere verdiaaveva italianizzato scegliendo
ne, Il Trovatore (1853) e Un ballo
come avvenimento chiave la
in maschera (1859). Curò come
gloriosa storia della Lega
al solito prove ed allestimenti Lombarda in lotta contro l’imne fu anche maestro al cembaperatore germanico Federico
lo per le prime tre recite - e poi
Barbarossa, storia che per altro
ripartì di corsa per la Francia,
richiamava la recentissima vaforse temendo una imminente
lorosa riscossa delle “Cinrivoluzione, ma
que giornate” di Milano
confidando di tor(marzo 1848). L’idea
nare ben presto in
di Verdi era quella di
un’Italia “nuova”.
un «dramma breve, di
Speranze deluse dalla
molto movimento, di
sconfitta di Carlo Albermoltissima passione».
to e dalla repressione
Cammarano fece attenreazionaria e, non sedere non poco il licondariamente, dalbretto definitivo e le
l’intervento
della
modifiche apportate
Francia cattolicissima,
dietro suggerimento del
che restituì Roma al
compositore arrivarono
pontefice Pio IX, absoltanto a dicembre inolbattendo la traballante
trato, tanto che Verdi,
ed un po’ fantasiosa
per fortuna già avanti
Repubblica Romana.
nella composizione del«Non parliamo di Roma!! A
lo spartito, si ritrovò coche gioverebbe!! La forza anmunque a dover inserire le
cora regge il mondo! La giuparti nuove rattopstizia? A che serve contro le
pando per il meglio.
bajonette!!».
Come se non baCon la sconfitta
stasse, il musici- Salvatore Cammarano a 51 anni in militare venne
sta era piuttosto una caricatura di Délfico
la fine dell’a-
zione propagandistica della
Battaglia, anche perché il ripristino dell’influenza austriaca
sulla penisola non favoriva la
diffusione di un’opera così “rivoluzionaria”, che fu quindi
modificata per le successive
rappresentazioni: il titolo cambiò in L’assedio di Arlem e personaggi e ambientazione furono trasferiti nelle Fiandre quasi tre secoli prima, con il “travestimento” del Barbarossa in
Duca d’Alba. Questo causò
forte rammarico in Verdi, che
più volte si ripropose di rimettere da capo mano all’opera,
ma che poi soprassedette,
mancandogli del tutto la voglia. E comunque, anche quando fu di nuovo rappresentata
in originale, dieci anni dopo al
teatro Carcano di Milano nel
corso della seconda guerra
d’indipendenza, La Battaglia
ebbe sorte infausta, perché lo
stesso giorno della prima, l’11
luglio 1859, fu firmato l’armistizio tra Napoleone III e
Francesco Giuseppe, ostacolando ancora una volta il cammino verso l’agognata unità
d’Italia.
Verdi lasciò definitivamente
Parigi a fine luglio 1849 per
tornare a Busseto in compagnia della Strepponi, ormai
ufficialmente al suo fianco, e
da qui seguì le sorti delle sue
produzioni ormai allestite in
diversi palcoscenici d’Europa.
Si mise anche a lavoro per l’opera che gli aveva commissionato il San Carlo di Napoli e
di cui aveva già ricevuto il libretto dallo stesso Cammarrano: quella Luisa Miller che
andò in scena l’8 dicembre
1849 e che porrà fine, per Verdi, ai cosiddetti “anni di galera” – tra il 1843 e il 1849 – caratterizzati da un ritmo di lavoro massacrante, quasi sempre su commissione, e da
un’ispirazione spesso poco felice, sei anni in cui nacquero
dieci titoli: oltre alla Battaglia,
I Lombardi alla prima crociata, I
due Foscari, Giovanna d’Arco,
Alzira, Attila, Il corsaro, I masnadieri, Ernani, Macbeth.
Barbara Catellani
il
giornale dei grandi eventi
La battaglia di Legnano
7
Analisi musicale
Verdi sulle barricate, con una musica
eroica e sentimentale
«S
trana cosa! Sentite maggiormente
il fremito, il rombo della rivoluzione italiana
nel Nabucco e nei “Lombardi”, scritti quando la rivoluzione era latente […] che
non in questa Battaglia di
Legnano scritta a Roma nel
1849 […]». Commentava
così il giornale Il Pungolo
(23 novembre 1861) dopo
la prima rappresentazione
scaligera della “Battaglia”.
Opera particolare nel contesto dei titoli risorgimentali verdiani, arrivata ormai alla fine di un periodo
(gli “anni di galera”) ed alla
vigilia di profondi cambiamenti nella drammaturgia
verdiana. Se non la si può
annoverare fra i capolavori di Verdi, tuttavia la “Battaglia”, scritta su un funzionale ed efficace libretto
di Salvatore Cammarano
(alla sua seconda collaborazione con il Bussetano,
dopo Alzira e prima di Luisa Miller e Il Trovatore) offre momenti interessanti
sul piano drammaturgico
e musicale.
Interessante, innanzitutto,
la Sinfonia, fra le più felici
di Verdi, concepita secondo lo schema ABA, con un
andante centrale di ispirazione belliniana e il tema
portante, nobile ed austero,
che ricorre nell’opera a cadenzare i momenti eroici.
i quattro atti
I quattro atti, come già era
accaduto in Nabucco, recano ognuno un titolo. Il primo (“Egli vive”, ambientato a Milano) è incentrato
sul ritorno di Arrigo creduto morto. Proprio ad
Arrigo è affidata una cavatina (“La pia materna mano”) che è fra le pagine liriche più eleganti della partitura. Nelle prime scene si
impone il senso marziale:
il coro patriottico iniziale e
il coro della scena III incorniciano un arco narrativo
omogeneo e compatto, che
dà una impostazione
drammaturgica precisa
all’avvio dell’opera. Con
l’arrivo in scena di Lida
anticipata da un coro femminile aggraziato e spiritoso (soprattutto apprezzabile per la leggerezza
dell’orchestrazione) irrompe nel tessuto drammaturgico l’elemento passionale
e amoroso, obbligatorio,
ma spesso alquanto convenzionale. Così è, sul piano musicale, lo scontro fra
Lida e Arrigo, anche se va
riconosciuto un alto livello
ispirativo nella
conclusione
della scena VIII
(“T’amai, t’amai
qual angelo”,
canta in uno
slancio sentimentale Arrigo).
Brevissimo il
secondo atto
(“Barbarossa”,
ambientato a
Como): un coro d’apertura,
un articolato
duetto con scena in cui Arrigo e Rolando
tentano
di
coinvolgere
Como nella lotta insurrezionale
contro
l’invasore e poi
l’imprevista apparizione
dell’odiato Barbarossa che
conduce ad un impetuoso
finale avviato dalle frementi parole dell’invasore
«Il destino d’Italia son io».
Il terzo atto (“L’infamia”,
ambientato nei sotterranei
di Sant’Ambrogio a Milano) apre con una introduzione orchestrale fosca e
cupa che rende magnificamente l’atmosfera di cospirazione che anima la
scena. Verdi appare più
geniale nella “Battaglia”
nelle parti eroico-risorgimentali piuttosto che in
quelle patetico-sentimen-
tali. E quest’atto è di forte
tensione drammatica culminante nel “Giuramento”
(«Giuriam d’Italia por fine ai
danni»), un coro di potente
effetto teatrale, genialmente incorniciato dal preludio e dal postludio orchestrale.
Nelle scene successive torna il tema sentimentale
con la presenza di Lida di
cui si può apprezzare il
concitato recitativo drammatico che conduce al
duetto con Rolando e nel
quale si ritrova una frase
musicale («Ma Dio mi vole
ad ogni costo rea») che gli
studiosi hanno indicato
come una chiara anticipazione del grandioso grido
di Violetta in Traviata
«Amami Alfredo».
Da segnalare anche il
duetto Rolando-Lida lirico: è il momento dell’addio e delle raccomandazioni intorno al figlio della
coppia e Verdi trova accenti sinceri e di sicuro impatto emotivo.
Una delle qualità più evidenti di Verdi, qui come
altrove, è la capacità di
controllare le emozioni dei
propri personaggi e di or-
ganizzare il racconto teatrale in maniera drammaturgicamente sempre efficace. Nella “Battaglia”, anche quando l’ispirazione
musicale non è superba, il
ritmo narrativo non viene
mai meno. E il terzo atto,
con i suoi continui colpi di
scena ne è una significativa dimostrazione. Così il
quadretto familiare che ci
è stato presentato nel duetto appena citato, dopo un
raffinato momento “notturno” che propone Arrigo
intento a scrivere alla madre, si spezza improvvisamente quando
Rolando scopre
(o crede di scoprire) il tradimento di Lida
innamorata di
Arrigo. Il concertato che ne
deriva è di notevole effetto.
Si giunge al
quarto
atto
(“Morire per la
Patria”) che ci
riporta nella
piazza milanese davanti al
tempio. Verdi
propone una
scena articolata
in varie strutture musicali fra
loro indipendenti e integranti. Durante
l’elaborazione dell’opera
ne aveva scritto a Cammarano: «…nel principio, avanti il tempio di S. Ambrogio,
vorrei unire insieme due o tre
cantilene differenti: vorrei per
esempio che i preti all’interno, il popolo al difuori, avesse
un metro a parte e Lida un
cantabile con un metro differente: lasciate poi a me la cura
di unirli. Si potrebbe anche
(se credete) coi preti mettere
dei versetti latini…. Fate come credete meglio, ma badate
che quel punto deve essere
d’effetto». Il pubblico, dunque ascolta un coro liturgico in sottofondo, mentre
Lida e Imelda parlano in
primo piano. Il meccanismo sarebbe stato poi ripreso con ben altro risultato drammaturgico nel Trovatore nella celebre scende
del «Miserere». Anche lì il
librettista sarebbe stato
Cammarano.
Altro motivo d’interesse
in quest’atto conclusivo è
l’atmosfera per l’attesa
dell’esito della battaglia.
Non c’è lo scontro in primo piano, c’è la preghiera
del popolo per la vittoria e
per il ritorno dei figli. E’
momento di profonda
suggestione con la tensione che si scioglie quando
squilli in lontananza annunciano la vittoria. Verdi
colloca qui un altro coro
risorgimentale, energico e
vibrante: «Dall’Alpi a Cariddi echeggi Vittoria! Vittoria risponda L’Adriaco al
Tirreno! Italia risorge vestita
di gloria! Invitta e regina
qual era sarà».
Con un altro colpo di scena, tuttavia, Verdi ci riporta dalla coralità festante
della lotta per la libertà al
dolore più intimo della
parallela storia sentimentale. L’arrivo di Arrigo
morente ripropone la vicenda amorosa e nello
stesso tempo ne offre la
soluzione più aulica e
tranquillizzante: sul punto
di spirare l’eroico guerriero, che ha saputo piegare
Barbarossa, assicura l’amico Rolando che il cuore di
Lida è «puro siccome un angelo» e aggiunge una frase
che è entrata nella letteratura librettistica come un
classico risorgimentale:
«Chi muore per la Patria, alma sì rea non ha». Rolando
si commuove, crede all’amico, perdona Lida e tutto
finisce in gloria, con il cordoglio generale e sentito
per Arrigo al quale è donato, in punto di morte, il
vessillo del Carroccio.
roberto iovino
8
La battaglia di Legnano
il
giornale dei grandi eventi
I fatti e le conseguenze dell’epico scontr
La Battaglia di Legnano: uno scontro generato d
A
lla metà dell’Ottocento, in tutti i
paesi europei, il
dilagante nazionalismo si
nutrì di immagini e miti
attinti dal passato medievale, un Medioevo letto
da tutti come un’epoca di
fede sincera e passioni ardenti. Il fenomeno si presentò più evidente in quei
Paesi che - come l’Italia tardi sono arrivati all’unificazione. Così, negli anni
che hanno visto la fine
degli Stati preunitari e la
lenta e faticosa costruzione di un comune sentire
“italiano”, una parte delle
élites intellettuali, impegnate nel risorgimento
nazionale, videro in alcuni episodi del passato un
“segno” inequivoco dell’esistenza di una coscienza nazionale e di un amor
di patria. Anche Verdi in
quest’opera ha voluto trasmettere quei sentimenti
di coesione tra diversi
Comuni lombardi che
portarono allo scontro di
Legnano del 29 maggio
1176, il quale vide la vittoria dei contingenti della
Lega lombarda, di cui le
truppe milanesi costituivano il nerbo principale,
sulla cavalleria dell’imperatore Federico I di Sve-
via, detto in seguito il
“Barbarossa”, per la corta
barba dai riflessi ramati
che ne incorniciava il volto.
Il conflitto tra l’Imperatore ed una parte delle città
dell’Italia centrosettentrionale si era manifestato
sin dai primi anni di regno di Federico, quando
questi, eletto re dai principi tedeschi nel 1152, era
sceso una prima volta in
Italia per essere incoronato imperatore dal pontefice in San Pietro, così come dalla tradizione inaugurata da Carlo Magno.
Federico era il primo imperatore, dopo circa mezzo secolo, a voler svolgere
un ruolo attivo nel Regnum Italiae, cioè in quella
parte dell’Italia centrosettentrionale, strappata da
Carlo Magno ai Longobardi ed entrata dall’inizio del IX secolo a far parte integrante dell’Impero
d’Occidente. Ma la situazione era molto cambiata
dai tempi del suo antenato Enrico IV: in Italia le
città, le più numerose e
più attive dell’Europa
dell’epoca, approfittando
della lunga assenza degli
Imperatori, si erano date
una forma di governo au-
tonomo (il Comune, guidato dai consoli). Esse miravano ad assicurarsi approvvigionamenti sicuri e
mercati sempre più ampi
per le merci prodotte, e
per questo si trovavano in
continuo conflitto tra loro. Milano era, già in
quella fase, la più potente
fra le città della pianura
padana, ma la sua egemonia era temuta ed avversata da molte delle
città di minore importanza della regione; le si opponevano strenuamente
Pavia, Como, Cremona,
mentre Lodi era stata
completamente distrutta
da Milano pochi decenni
prima della discesa di Federico in Italia.
Il Barbarossa, in un primo
momento si limitò a svolgere il suo ruolo di garante della giustizia e della
pace, come voleva la tradizione imperiale. Per
questo egli prese le difese
d’alcune realtà minori,
“oppresse” da Milano.
Ma, qualche anno più tardi, in occasione della sua
seconda discesa in Italia,
il proprio atteggiamento
mutò radicalmente. Anche sulla scorta dei suggerimenti che gli venivano dagli studiosi di dirit-
Il Barbarossa si sottomette al Papa Alessandro III (Affresco Palazzo Signoria di Siena)
to civile dello “studio” di
Bologna, ove sin dalla fine dell’XI - inizio del XII
secolo era commentato ed
insegnato il diritto romano, l’Imperatore chiese alle città di rispettare tutti i
suoi diritti sovrani. Da un
punto di vista politico Federico, nel corso della
grande assemblea convocata a Roncaglia nel novembre del 1158, chiese
di nominare – o almeno
confermare - i consoli. Ma
molto più gravose erano
le sue richieste da un
punto di vista economico.
L’Imperatore rivendicava, infatti, come diritti sovrani, tra l’altro, la riscossione di pedaggi, tasse di
mercato, il conio della
moneta, quelli che i giuristi definivano col termine
tecnico di regalia. Il Sovrano sapeva bene di non
poterne gestire direttamente l’immensa mole ed
era perciò disposto a delegare signori feudali e
città a farlo in sua vece,
purché restasse chiaro
che essi agivano per concessione sovrana.
Al di là del valore economico delle richieste, si
trattava, per i Comuni, e
soprattutto per quelli più
ricchi e dinamici, di rinunciare alle condizioni
che avevano reso possibile la loro affermazione nei
decenni precedenti. Ben
si comprende quindi la
decisione di Milano di
opporsi strenuamente alle richieste imperiali. Dopo un lungo assedio,
nell’inverno 1161-62, la
città fu costretta ad arrendersi senza condizioni: gli
abitanti dovettero abbandonare le loro case, i fossati vennero colmati, le
mura in gran parte abbattute, e Milano cadde alla
mercé della vendetta dei
suoi tradizionali nemici
(Pavia, Como, Lodi), che
la devastarono ed incendiarono. Solo alcune chiese, costruite in pietra,
sfuggirono alla rovina,
mentre la sede vescovile
veniva privata del suo
più importante tesoro
spirituale, le reliquie dei
Re Magi, che furono fatte
traslate a Colonia dall’arcivescovo di quella città,
Rainaldo di Dassel, il più
influente tra i consiglieri
dell’Imperatore.
Intanto allo scontro tra
Federico e i Comuni si intrecciava indissolubilmente il problema dello
scisma: il 7 settembre
1159, i cardinali - incapaci
di raggiungere l’unanimità - avevano eletto due
papi: Alessandro III e Vittore IV. Il pontefice canonicamente eletto e riconosciuto era Alessandro III,
il senese Rolando Bandinelli, fine canonista ed
uomo da sempre impegnato nella difesa della
“Libertà della chiesa”, sulla
linea di quanto già affermato circa un secolo prima da Gregorio VII. Questa concezione, che in
pratica subordinava il potere temporale dell’Imperatore al giudizio di quello spirituale incarnato dal
Papa, si scontrava con la
nuova idea di Impero difesa dal Barbarossa, il
quale vedeva il proprio
il
giornale dei grandi eventi
La battaglia di Legnano
9
ro tra il Barbarossa e le Città lombarde
dalla riaffermazione delle prerogative imperiali
“La battaglia di Legnano” di Amos Cassioli
potere, come quello degli
antichi imperatori cristiani - da Costantino a Giustiniano - derivare direttamente da Dio, senza la
mediazione papale. Federico riconobbe, perciò,
come vero e legittimo
pontefice l’antipapa Vittore IV, Ottaviano Monticelli, grande signore
feudale di Tivoli, imparentato alla lontana con i
re di Francia e d’Inghilterra e molto meno legato alla concezione gregoriana dei rapporti tra
Chiesa ed Impero.
La nascita della
Lega Lombarda
Negli anni successivi la
lotta tra Federico e i Comuni divenne, perciò,
anche un conflitto di portata universale ed i rappresentanti delle città italiane si presentarono,
non senza ragione, quali
i difensori del “vero Papa”, in cui onore fondarono - in posizione strategica - la città di Alessandria.
La sconfitta e l’annientamento di Milano si rivelò
presto come una vittoria
di Pirro. Anche i Comuni
che più a lungo si erano
opposi all’egemonia milanese si resero conto come la concezione che Federico aveva dei suoi diritti, che non esitava a far
valere anche nei confronti delle città a lui alleate,
rappresentava un pericolo maggiore della potenza milanese. Nella primavera del 1167, Comuni da sempre alleati dell’Impero, come Bergamo
o Cremona, si unirono
con giuramento ad altre
città per decenni loro nemiche come Brescia, invitarono Milano ad unirsi
alla “lega” e si impegnarono direttamente nella
ricostruzione della metropoli lombarda. Nel dicembre 1167 veniva costituita la Societas lombardorum, che la storiografia
conosce come “Lega lombarda”.
La Battaglia di Legnano
Per alcuni anni l’Imperatore si mantenne al di là
delle Alpi e lo scontro
venne così rimandato.
Ma le ostilità si riaprirono
nell’autunno del 1175,
quando Federico portò di
nuovo il suo esercito in
Italia, ponendo l’assedio
ad Alessandria, che non
fu però in grado di conquistare. Barbarossa si rese conto della propria debolezza, politica e militare: da una parte cercò di
avviare trattative che non
portarono però ad alcun
risultato; dall’altra, cercò
di ottenere che suo cugino, il duca di Baviera e
Sassonia Enrico il Leone,
il più potente signore tedesco, gli garantisse un
contingente di cavalieri
per la propria guerra contro i Comuni, ma questi
concesse solo un aiuto
economico.
Nel maggio 1176 si arrivò
allo scontro: la battaglia
combattuta a Legnano è
uno di pochi combattimenti campali nel pluridecennale conflitto tra Federico e i Comuni: nella
maggior parte dei casi come si è visto - erano gli
assedi a decidere il vincitore. L’Imperatore si presentava in netta inferiorità numerica, ma un’avanguardia di suoi cavalieri, scontratasi con un
contingente della Lega,
ebbe momentaneamente
la meglio. Barbarossa probabilmente si illuse di poter sconfiggere con la propria ben addestrata cavalleria pesante l’esercito avversario, formato in gran
parte da combattenti appiedati, armati di picche.
Quando però le truppe
imperiali si lanciarono
all’attacco, vennero fermate dai fanti, posti a difesa del Carroccio, il carro
su cui sventolavano le insegne delle città alleate,
mentre un gruppo di cavalieri attaccava di fianco
l’esercito di Federico. Lo
stesso cavallo dell’Imperatore, il quale partecipava personalmente alla
battaglia, pare sia stato ferito dalla picca di uno dei
fanti della Lega. Incapace
di rialzarsi, Barbarossa
venne dato per morto.
Come era consueto, alla
notizia della morte del comandante in capo, le
truppe cominciarono a
sbandarsi e la vittoria fu
pienamente della Lega.
Federico nei giorni successivi riuscì con grande
fatica a trovare riparo a
Pavia e di lì a raggiungere, come un fuggiasco, la
Germania.
Le conseguenze
della vittoria
La Battaglia di Legnano,
pur vittoriosa, non rappresentò però una totale
sconfitta di Federico.
L’anno successivo, a Venezia, egli riconobbe come legittimo pontefice
Alessandro III, allontanandolo dall’alleanza con
i Comuni, con cui venne
invece sottoscritta una
tregua di sei anni. Federico ne approfittò per regolare i conti con l’infedele
cugino Enrico, mentre
molti Comuni, allontanatosi ormai il pericolo, ri-
presero la loro tradizionale politica di inimicizia
nei confronti di Milano,
restata più o meno isolata
nella difesa della Lega.
Nel 1183, allo scadere dei
sei anni, venne firmato
un accordo, la cosiddetta
“Pace di Costanza”, che in
realtà ebbe la forma di un
privilegio generosamente
concesso dall’Imperatore
alle sue fedeli città. Barbarossa rinunciava alle
regalie che aveva cercato
di imporre a Roncaglia,
ma non alla sovranità sul
Regnum Italiae ed al suo
diritto di confermare i
consoli eletti dalle città.
Sarà questa soluzione di
compromesso a scatenare
le ostilità fra il nipote del
Barbarossa, Federico II, e
i Comuni dell’Italia centrosettentrionale in pieno
XIII secolo.
giulia Barone
Docente Storia Medievale
Facoltà di Lettere e Filosofia
Università La Sapienza - Roma
Il monumento al “Guerriero” a Legnano
10
La battaglia di Legnano
il
giornale dei grandi eventi
L’epopea della Battaglia di Legnano nella letteratura
Poeti, letterati, politici, sul Carroccio vittorioso
«…Dall’Alpe a Sicilia
ovunque è Legnano», così
recita l’Inno degli Italiani
del poeta Goffredo Mameli, quasi a sottolineare
come tutte le città d’Italia
debbano trarre insegnamento dalla splendida
vittoria della concordia e
della libertà.
Il nome di Legnano ha
ispirato i maggiori poeti,
che dedicarono rime memorabili, capaci di far rivivere momenti eroici di
quell’epoca tormentata. Il
primo dei grandi patrioti
del Romanticismo risorgimentale, Giovanni Brechet esprime i diversi
sentimenti di un esule
che, avendo in sogno rivissuto le gloriose vicende della “Lega Lombarda” orgoglioso delle antiche virtù dei padri, soffre
per la nazione incapace di
sollevarsi e di scuotersi:
«Col coglier dell’ uve, nel
mieter del grano dovunque è
una gioia, fia sempre Legnano l’altera parola che il canto
dirà! Ma, guai pe’ nipoti! se
ad essi discesa, Diventa
parola che muor non compresa. Quel giorno l’infame
dei giorni sarà». Anche se
il tono poetico delle “Fantasie” a volte si fa retorico, le parole hanno il valore di un umano e sincero messaggio dettato dalla nostalgia per la propria
terra e per gli affetti lontani, dall’odio verso gli oppressori e dalla speranza
nel riscatto del popolo.
Brechet immagina di vedere e udire in sogno uno
dei consoli a Pontida
mentre riferisce ai suoi
concittadini il piano di
guerra contro il Barbarossa: «L’han giurato li ho visti
in Pontida convenuti dal
monte e dal piano. L’han
giurato e si strinser la mano
cittadini di venti città».
Proseguendo le sue visioni poetiche, egli giunge
alla battaglia cruciale del
29 maggio: «il dolor che
h’ha fatto concordi: la concordia vincenti ne fa» e conclude il sogno: «…in Pon-
Il giuramento di Pontida di Egidio Pozzi
1176, va ricordato Giosuè
tida il suo sangue promise;
Carducci, il quale, ne Il
il suo sangue a Legnano
Parlamento inserito nella
versò».
Canzone di Legnano sostieSuccessivamente si apre
ne fortemente l’ideale di
ai suoi occhi il tripudio
un medioevo comunale e
della vittoria, nella famocombattivo che tiene vivo
sa “pace di Costanza”,
nelle riunioni del popolo
dove di fatto l’impero rilo spirito dell’antica reconosceva i privilegi delle
pubblica romana. E’ la
città lombarde e veniva
firmata la pace conquistata sul campo:
«Addio belle rive del fiume straniero, E tu, mitigato signor dell’impero, E tu, pei Lombardi la
fausta città. Tornati a
sedere su i fiumi nativi,
Compagno de’ nostri
pensier più giulivi,
Costanza, il tuo nome
perpetuo verrà». Lo
stesso tema compare
prima ancora dei moti del 1821 nel componimento in sedici ottave dedicato alla Battaglia da Luigi Monteggia. Anch’egli descrive il campo di bat- Giosuè Carducci, autore della celebre poesia
“Il Parlamento”
taglia e le fasi della lotrappresentazione comta, fino alla vittoria finale:
piuta di democrazia di«A’ Milanesi è forza allor
retta, trasferita in un lonche ceda scordando ogni tetano avvenimento storico
desco i prischi onori, e di cacon studio di aderenza ai
tene carico si veda ver Milatempi ed ai luoghi, che si
no trascinato, e tra i clamori
rispecchia anche nel linoda in città egli evviva alla
guaggio, tra arcaico e povittoria, onde immortale, o
polaresco, e nel metro,
patria, è la tua gloria». Tra
riecheggiante quello delle
le numerose poesie che
antiche canzoni di gesta:
ebbero per tema e sfondo
«Or si fa innanzi Alberto di
la gloriosa impresa del
Giussano. Di ben tutta la
spalla egli soverchia. Gli accolti in piedi al console d’intorno. Ne la gran possa de la
sua persona. Torreggia in
mezzo al parlamento: ha in
mano La barbuta: la bruna
capelliera, il lato collo e
l’ampie spalle inonda. Batte
il sol ne la chiara onesta faccia, ne le chiome e ne gli
occhi risfavilla. È la sua
voce come tuon di maggio». Il Carducci qui
raggiunge la grande
poetica: la nostalgia
dell’eroico trova finalmente la sua meta
sublime nel popolo e
nel suo condottiero e
rappresenta l’inveramento più completo
di tutto l’intimo travaglio della sua vita
di italiano e di poeta.
Con la Canzon de Legnan di cui la prima
parte è la libera traduzione de Il Parlamento carducciano,
lo storico e avvocato
Ambrogio Antonini riadatta in dialetto meneghino i versi del poeta maremmano: «Cor per el
camp el boff della vittoria, e i
sort della battaglia hinn già
segnaa per i viv, per i mort e
per la storia!».
Pure in vernacolo, infine,
si è cimentato in una Bataglia da Legnan, Ernesto Parini, uno dei piu’ noti
poeti dialettali lombardi.
Gli ideali, i simboli di
unità e fede, fecero breccia nello stesso Gabriele
D’Annunzio, nella dedica
alla memoria di Giosuè
Carducci, con una canzone commemorativa tesa a
esaltare la grande vittoria: «…Lui non traggano in
bera cui sovrasti l’usata coltre i gravi di gramaglia cavalli, addotti tra la pompa
vana: ma sul Carroccio i
buoi d’Emilia vasti che
mugghiavano in mezzo alla
battaglia, squillando sull’antenna la campana…».
Giovanni Pascoli si è ispirato al Carroccio nella
prima delle sue tre Canzoni di Re Enzio, una rapsodia solenne e con grandi
spunti epici, rivelatrice
dell’amore che il poeta
aveva per la storia medioevale Italiana. Ambientata nel 1251, La Canzone del Carroccio narra di
quando tutto il popolo si
preparò ad andare incontro ad Innocenzo IV, lungo la via Emilia, schierato
intorno al Carroccio vittorioso: «Ecco e il Carroccio e
il Popolo s’arresta; e lancie e
spade sono volte a terra. Sonate, o trombe! Squilla, o
Martinella! Inchina a lui la
pertica il Carroccio». Ancora molte composizioni
poetiche sono state dedicate agli avvenimenti
lombardi, non solo da
parte di rimatori, ma anche da importanti uomini
politici che utilizzarono le
gesta di Pontida e Legnano come canto di guerra.
Il testo dell’Inno di Garibaldi, scritto da Luigi
Mercantini, è un po’ retorico, ma Garibaldi
pensò potesse adatto per
i soldati che l’indomani
si sarebbero dovuti imbarcare per la grande
impresa «La terra dei fiori,
dei suoni e dei carmi ritorni
qual’era la terra dell’armi!
Di cento catene le avvinser
la mano, ma ancor di Legnano sa i ferri brandir».
Liv. magn.
il
giornale dei grandi eventi
La battaglia di Legnano
11
La statua di Alberto da Giussano
Di cartapesta il primo monumento alla Battaglia
«C
aprera, 28 Aprile
1874 - Cara e
Gentilissima Signora, un Monumento che ricordi la Battaglia di Legnano
vinta dalla Lega Lombarda contro il secolare nemico dell’Italia,
è un dovere di ogni Italiano – ed
è uno dei ricordi più gloriosi per
la
Patria
nostra.
Dev. mo Vostro, G. Garibaldi».
Così il leader dei Mille, forse
anche nella prospettiva del
settimo Centenario della
Battaglia, esortava la patriota legnanese Ester Martini
Cuttica a farsi promotrice
per la realizzazione del monumento a ricordo della famosa Battaglia del 29 maggio 1176. Ma già anni prima,
il 16 giugno 1862, Garibaldi
in visita a Legnano, dal balcone di casa Bossi, aveva sollecitato vigorosamente i Legnanesi: «Noi abbiamo poca
cura delle memorie degli avvenimenti patrii. Legnano manca
di un monumento per constatare il valore dei nostri antenati, e
la concordia dei nostri padri
collegatisi, i quali riuscirono a
bastonare gli stranieri appena
s’intesero… Un monumento
dovrebbe essere eretto a Legnano; ma un monumento più
grande di tutti, perché esso deve
ricordare uno dei fasti più glo-
Inaugurazione a Legnano del primo monumento al Guerriero, il 29 maggio 1876. Per questioni di fondi e di tempi la statua fu realizzata in cartapesta e gesso.
riosi della nostra storia, in cui
ebbe parte tutta l’Italia».
Con l’avvicinarsi di quel 7°
Centenario, nonostante le ristrettezze economiche ed il
rigore “fino all’osso” praticato dal governo per sanare
il bilancio pubblico, Legnano si preparò alle celebrazioni con un invito ai Sindaci di
tutta Italia a concorrere con
offerte perché «il glorioso fatto che tanto onora il nome italiano… non si vuole obliato».
Furono creati una Commissione per il Monumento ed
un Comitato per le Celebrazioni del Centenario e le donazioni (ci fu anche quella di
Enrico Butti, futuro scultore
del Guerriero) permisero di
sistemare la piazza che do-
veva ospitare il monumento,
di iniziarne il basamento affidato all’architetto Achille
Sfrontini, ma, ahimè, non furono sufficienti per la fusione in bronzo della statua
opera di Egidio Pozzi. Il basamento doveva contenere
bassorilievi con i quattro
episodi principali: la distruzione di Milano; il patto di
Pontida; la Battaglia; la pace
di Costanza.
Così il 29 maggio 1876, durante le grandi celebrazioni
per i 700 anni, effettivamente fu inaugurato un monumento, al quale vennero dedicate anche la prima pagina
de Il Secolo (28-29 maggio
1876) e la foto di copertina
de “L’Illustrazione Italiana” (4
giugno 1876). Ma, in realtà,
si trattava di un manufatto
provvisorio: il basamento,
con quattro bassorilievi realizzati in disegno su carta,
ed, in particolare, la statua,
che era soltanto un modello
in gesso e cartapesta dipinto
color bronzo.
Le manifestazioni furono,
comunque, un successo.
Presenti a Legnano le municipalità di tutte le regioni
d’Italia: quarantamila presenze, 276 rappresentanze di
corpi e associazioni, con 197
vessilli e, tra la folla, esponenti delle diverse anime risorgimentali. E tra fuochi
d’artificio, illuminazione
elettrica del campanile, mostra di prodotti locali, certamente in pochi si resero conto del materiale “improprio”
con cui era stato realizzato il
monumento. La statua rimase al suo posto… fino alle
prime piogge autunnali…
il monumento definitivo
Passarono parecchi anni prima che l’Amministrazione
Comunale nominasse nuovamente, nel 1887, un Comitato Effettivo che si occupasse del monumento, anche
col compito di raccogliere
«tutte le offerte possibili e da
qualunque parte provengano»,
affidando l’incarico della
realizzazione ad Enrico Butti, scultore di Viggiù di buona fama per essere anche
professore all’Accademia di
Brera.
E così Legnano ebbe il “suo”
monumento
definitivo,
inaugurato con grande enfasi «alle ore 14 del 29 giugno
1900», a chiusura delle celebrazioni di quell’anno per
l’anniversario della Battaglia.
La statua del Guerriero, alla
quale ancora una volta L’Illustrazione Italiana dedicò
una copertina l’8 luglio 1900
ed ora adottata anche dalla
lega Nord come proprio
simbolo, venne collocata in
Piazza Monumento e mostra
un Alberto da Giussano, leggendario Guerriero della
Compagnia della Morte, colto in «mirabile attitudine di
trionfo». Il gesto con cui innalza la spada è deciso, ma
non troppo plateale; il suo
volto è fermo, chiuso in
un’energia saldamente controllata.
Patrizia salmoiraghi
Società Arte e Storia – Legnano
Deputaz. lombarda di Storia Patria
I simboli della Battaglia di Legnano
La Croce d’Ariberto ed il Carroccio
S
imboli dalla Battaglia di Legnano sono sicuramente il Carroccio e la Croce d’Ariberto d’Intimiano. Quest’ultimo personaggio fu l’arcivescovo che resse la diocesi milanese dal 1018 al
1045 e che seppe, con la sua intelligenza pastorale
ed abilità politica, limitare lo strapotere imperiale
sui milanesi. La Croce venne donata dall’arcivescovo Ariberto alla chiesa di S. Dionigi tra il 1037 e il
1039. E’ realizzata con un’anima di legno rivestita
con una lamina di rame dipinta e dorata e misura
cm 220 x 168. La sua presenza sull’altare della chiesa di S. Dionigi rappresentò un’innovazione, collegata da una parte allo sviluppo della devozione per
l’umanità di Cristo nella sua passione e morte,
dall’altra alla recente prigionia ed umiliazione del
potente arcivescovo milanese. La raffigurazione del
Cristo in croce, introdotta nel Mille, diverrà nei secoli successivi un elemento irrinunciabile della liturgia.
Quando i Milanesi nel 1176 dovettero sostenere in
armi il proprio diritto alla libertà contro Federico
Barbarossa, subito pensarono alla figura di Ariber-
tradizione, come afferma la Cronaca di Landolfo
to e, come testimonianza della fede politica e
il Vecchio: «Allora fece in tal modo un segnale che
religiosa che egli aveva loro infuso, posero la
doveva precedere i suoi che stavano per combattere:
croce della sua tomba sul Carroccio affinché
una lunga trave, grande quanto un alfosse di monito agli avversari.
bero di nave, si ergeva in alto fissata a
Sull’antica croce lobata (i motivi
un robusto carro e portava in cima un
alle estremità dei bracci sono
pomo d’oro con due lembi pendenti di
un’aggiunta trecentesca), ora
lino bianchissimo; a metà dell’asta la veneranda croce
esposta nel Museo del Duomo di Milano, ai lati
dipinta con l’immagine del Salvatore dalle braccia aperdel Cristo sono rappresentati la Vergine e San
te guardava dall’alto la schiera di armati tutto intorno,
Giovanni e, ai piedi, lo stesso Arcivescovo con
affinché - qualunque fosse l’esito della guerra – alla sua
in mano la chiesa di S. Dionigi.
vista fossero confortati». Era uso del vincitore impaMa la vera icona della Battaglia rimane il Cardronirsi del carro avversario, quasi a togliere la
roccio, la grande macchina ferrarta che diviene
divina protezione ai nemici. Esso, infatti, era simforte simbolo intorno al quale coagulare lo spibolicamente affine all’arca dell’alleanza e doverito combattivo dei milanesi, adottato in tutti
va garantire l’invincibilità dell’esercito che la
i grandi centri della Pianura Padana, così che,
trasportava, motivo per cui la perdita
nei secoli XI-XII-XIII, le comunità
lombarde, spesso in guerra tra loro, La Croce d’Ariberto d’Intimiano del Carroccio era considerata una tragedia collettiva. Il suo carattere sacrale
ostentavano durante le battaglie ciaè evidenziato anche dal fatto che si presentava coscuna “un carro sacro” con la croce e la campana
me un altare mobile sul quale svettava il Crocefisso.
per richiamare i combattenti. Sembra che proprio
P. s.
l’arcivescovo Ariberto abbia dato inizio a questa
12
La battaglia di Legnano
il
giornale dei grandi eventi
Analisi della rivoluzione che stava
Quella Repubblica Romana, fugace tent
D
urò poco meno di 5
mesi, dal 9 febbraio
al 4 luglio 1849, l’esperienza della Repubblica
Romana, il tentativo rivoluzionario che sfruttò il
vuoto di potere creatosi a
Roma dopo l’assassinio del
Primo Ministro Pellegrino
Rossi, ucciso il 15 novembre 1848 e la successiva
precauzionale partenza,
nove giorni dopo, di Pio IX
alla volta di Gaeta, organizzata dal fedele, freddo e
lungimirante
cardinale
Giacomo Antonelli.
un prologo di democrazia
Così, dopo la sconfitta del
23 marzo 1849 di Carlo Alberto a Novara da parte
degli austriaci, molti di
quelli che saranno poi figure di primo piano del
Risorgimento, vedendo
cadere le speranze di
una liberazione dallo
straniero, confluirono
su Roma, città da
quattro mesi da una
parte in fermento e
dall’altra attonita per
l’assassinio di quel
Presidente del Consiglio accoltellato proprio
mentre saliva le scale del
palazzo della Cancelleria
per portare al vaglio del
governo riforme liberali.
Un omicidio maturato nell’ambiente rivoluzionario,
ma anche massonico-conservatore di una borghesia
che già mal aveva visto l’apertura riformista che Papa Mastai aveva manifestato fin subito dopo la
propria elezione, il 16 giugno 1846. Del gruppo d’assassini, infatti, faceva parte
Luigi Brunetti, figlio del
capopopolo Angelo, detto
Ciceruacchio, il quale agi
su mandato di Carlo Luciano Bonaparte e del deputato Pietro Sterbini che aveva
detto: «non ci fosse in Roma
un braccio ardito capace di
troncare d’un colpo la vita del
tiranno». Ed era stata proprio l’amnistia ad oltre 400
detenuti voluta dal Ponte-
sulla statua del
Marc’Aurelio in
Campidoglio.
Sull’onda degli
statuti concessi
nei vari stati italiani (Carlo Alberto promulgherà quello Albertino il 4 aprile
1948), pure il Papa il 14 aprile
concesse lo “Statuto fondamentale
pel governo temporale degli Stati
della
Chiesa”,
Scontri presso la Villa “Il Vascello” sul Gianicolo il 2 - 3 giugno 1849
mentre il popolo
in strada grida
governo dello Stato romano
pa, testimoni tutti gli am«Viva Pio IX, vivano le costisarà la democrazia pura e
basciatori, dichiarò di
tuzioni italiane dalle Alpi al
prenderà il glorioso nome di
prenderne le distanze. Primare». Così lo stesso PonteRepubblica Romana». Il sucmo atto del nuovo esecutifice, si trovò costretto nel
cessivo 12 febbraio l’Asvo, insediato il 16 novemConcistoro del 29 aprile
semblea, assumendo per la
bre, quello di indire eleziocon l’allocuzione Non seRepubblica il motto “Dio e
ni per una Costituente.
mel, a sconfessare gli enPopolo”, conferisce la cittatusiasmi patriottici, ridinanza romana a GiusepLa repubblica romana
fiutando un suo appe Mazzini, il quale giunpoggio morale e miligerà nell’Urbe il 5 marzo,
Da Gaeta, dove era riparatare
all’intervento
annunciando che «dopo la
to il 24 novembre, Pio IX
piemontese e conRoma dei Papi verrà la Roma
aprì l’anno forse più duro
dannando la guerra
del popolo» e «…una nuova
della sua vita, il 1849, con
all’Austria.
Una
epoca sorge, la quale non amla scomunica contro coloro
esplicita risposta almette il Cristianesimo, né riche avrebbero preso parte
l’invito a rinnegare la
conosce l’antica autorità». Il
alle elezioni. E’ qui ora che
propria missione avan29 marzo (tre giorni dopo
il Pontefice capisce di dozato dalle società segrela sconfitta a Novara di re
ver fare marcia indietro
te, che faceva pure nauCarlo Alberto, che viste
sulle aperture che di slanfragare quel sogno neosvanire le speranze unitacio aveva voluto. A Roma i
guelfo di porre il Papato alrie si ritirerà ad Oporto)
capipopolo si abbandonala testa della Rivoluzione
Cardinale Giacomo Antonelli,
Mazzini viene eletto Triunrono ad atti blasfemi e saitaliana. E fu proprio ciò
Segretario di Stato Pio IX (1806-1876)
viro, associando alla procrileghi con una processioche fece crescere l’opposipria dittatura Aurelio Saffi
ne beffarda condita di imzione politica verso quel
e Carlo Armellini. La riproperi e bestemmie. Le
Papa fino ad allora “liberacovava sotto la paglia, ed
voluzione romana,
elezioni del 21 e 22
le”. Ma un conto erano le
esplose a Parigi il 23 febin effetti di rogennaio elegaperture democratiche ed
braio 1848 con la caduta
mano ha pogeranno i 200
un altro trasformare il Vidella monarchia di Luigi
co: genovesi
deputati.
cario di Cristo nella banFilippo e l’instaurazione
sono MazziL’articolo 1
diera di una rivoluzione.
della Seconda Repubblica.
ni ed Avezdello statuDopo l’assassinio di PellePochi giorni prima, il 10
zana minito
della
grino Rossi, Pio IX dovette
febbraio, un’allocuzione di
stro
della
neonata Ascedere alla violenza (il QuiPio IX che si concludeva
guerra, friulasemblea Corinale venne assediato, un
«Benedite, dunque, o grande
no Dall’Ongaro
stituente, votacollaboratore del Papa ucIddio, l’Italia e conservatele
direttore
del
to nella notte
ciso da un colpo di fucile
questo dono, il più prezioso di
tra l’8 ed il 9 Moneta da Tre Bajocchi giornale ufficiaattraverso una finestra,
tutti, la fede!», era stata letta
febbraio, di- della Repubblica Romana le Monitore Romentre un cannone veniva
da molti non come una bemano, nizzardo
chiara il Papapuntato contro il portone)
nedizione all’entità geoGaribaldi fino al napoletato «decaduto di fatto e di died alla richiesta dei facinografica della penisola, ma
no Saliceti, redattore della
ritto dal governo temporale
rosi di formare un governo
come un invito alla guerra
costituzione. Insomma, le
dello Stato romano» ed al
provvisorio presieduto
verso l’Austria. Anche Roaspirazioni d’ogni parte
successivo terzo articolo
dall’avvocato Galletti, goma, dunque, s’infiammò.
d’Italia, deluse dalle sconstabilisce che «la forma del
verno dal quale però il PaTricolori furono innalzati
fice il 14 luglio 1846, per il
trigesimo della propria elezione, a divenire, malgrado le sue modeste dimensioni, la scintilla in Italia ed
in Europa di quel delirio
collettivo che avrebbe avuto il suo culmine nei moti
rivoluzionari del’48.
Si creò così il mito del “Papa liberale”, pure in seguito
ad altri atti, come la concessione della libertà di
stampa il 15 marzo ‘47 –
anch’essa con effetti contrari, vista la proliferazione
della stampa clandestina –
e, qualche mese più tardi,
la formazione di un governo con nove ministri.
Ma il fuoco rivoluzionario
il
giornale dei grandi eventi
La battaglia di Legnano
13
per nascere al debutto de “La Battaglia”
ativo rivoluzionario nella Città del Papa
sì che dalla Eterna Città nostra la luce si diffonda per l’Universo, che il mondo ammiri,
a canto del nero ed avvilito
Gesuita, il libero gigante
potere della Massoneria [...] È
in Italia, è a Roma, ove il nostro eterno avversario raccoglie
le sue ultime forze. Noi siamo
gli avamposti dell’esercito
massonico universale».
La fine della repubblica
Proclamazione della Repubblica Romana in piazza del Campidoglio
il 9 febbraio 1849
fitte piemontesi, si concentrarono per pochi mesi in
questa estemporanea avventura nata da circostanze casuali.
Primo atto del governo repubblicano è l’espropriazione dei beni ecclesiastici
che divengono “beni nazionali”. Contro i preti sorgono confraternite tutt’altro
che rassicuranti, come la
Società degli ammazzatori,
l’anconetana Compagnia
della morte, la Compagnia
de’sicari e quella Infernale di
Senigallia, città natale di
papa Mastai. Come dittatore Mazzini arriva a far uccidere chi si discosta dalla
sua linea politica o non ne
condivide le idee, espresse
già nel 1832: «Le rivoluzioni,
generalmente parlando, non si
difendono che assalendo […]
se non è guerra d’eccidio, se
non è guerra rivoluzionaria,
guerra disperata, cittadina,
popolare, energica, forte di
tutti i mezzi, che la natura
somministra allo schiavo dal
cannone al pugnale, cadrete e
vilmente!».
A Roma, in effetti, «Fra gli
inni di libertà, e gli augurii di
fratellanza erano violati i domicilii, violate le proprietà;
qual cittadino nella persona,
qual era nella roba offeso, e le
requisizioni dei metalli preziosi divenivano esca a ladronecci, e pretesto a rapinerei».
A scrivere è un insospettabile, Luigi Carlo Farini, futuro presidente del Consiglio del Regno d’Italia nel
suo Lo stato romano dall’anno 1814 al 1850. La massoneria, da parte sua, appoggia la Repubblica: «facciamo
Il cannone da 36 della Repubblica Romana, già interrato nelle sabbie di
Anzio, fu portato a Roma con le bufale e collocato sul Gianicolo dove fu
utilizzato per l'ultima difesa. Venne poi rotto da una palla francese.
Disegno di Alessandro Castelli (Museo del Risorgimento).
Pio IX, dal suo esilio di
Gaeta, sostenuto dal forte e
diplomatico Segretario di
Stato card. Antonelli,
enuncia la realtà dei fatti
nell’importante allocuzione Quibus, quantisque malorum del 20 aprile 1849, dove racconta dalle intenzioni che lo ispirarono alle
riforme, ma anche gli inganni subiti ad opera di
una parte ch’egli credette
col perdono di correggere
e di ammansire: « … i rivoluzionari affermano di volere
la fine del potere temporale
nell’intento di migliorare le
condizioni della Chiesa e renderla più libera? Ebbene, questi sono i fatti: è impedita al
Pontefice ogni tipo di comunicazione vuoi col clero, vuoi
con i vescovi, vuoi con i fedeli
di Roma; la Città si riempie di
uomini (apostati, eretici, comunisti e socialisti, come si
definiscono) provenienti da
tutto il mondo pieni di odio
nei confronti della Chiesa; i liberali si impossessano di tutti
i beni, redditi e possedimenti
ecclesiastici; le chiese sono
spogliate dei loro ornamenti;
gli edifici religiosi dedicati
ad altri usi; le monache maltrattate; i religiosi assaliti,
imprigionati ed uccisi; i pastori separati dal proprio
gregge ed incarcerati. Questa la libertà che viene realizzata. Le società segrete non
si limitano a perseguitare la
Chiesa, mettono in pericolo
l’ordine e la prosperità della
società civile: l’erario pubblico è dissipato e ridotto a nulla, il commercio interrotto e
quasi inesistente, i privati
derubati dei loro beni da co-
loro che si definiscono guide
della popolazione, la libertà e
la stessa vita di tutti i sudditi fedeli messa in pericolo».
Intorno al Papa si stringono così le Nazioni Cattoliche, Spagna e Francia in testa. E proprio Luigi Napoleone Bonaparte, congiurato che il 10 dicembre ’48
aveva assunto la presidenza della Repubblica Francese detronizzando Luigi
Filippo, decise di inviare
un contingente di truppe
comandato dal Generale
Victor Oudinot, che sbarcò
a Civitavecchia il 24 aprile.
Il primo assalto a Roma
del 30 aprile venne respinto. Poi, fallite le trattative
meno di 5 mesi era nata la
Repubblica, proclamò formalmente e mestamente la
Costituzione, articolata sul
modello francese, con 8
principi fondamentali e 69
articoli, accolta dagli applausi dei circa 200 presenti. Sulla medesima piazza,
dunque, in 150 giorni nacque e morì un’esperienza
che di fatto riportò indietro l’apertura liberale dello
Stato Pontificio. Nel pomeriggio il Generale Oudinot
entrò in Città ed alle 19,30
pubblicò il proclama che
poneva la Roma in stato
d’assedio.
La storiografia ufficiale,
dimenticando talvolta i
Casino dei Quattro Venti distrutto dopo la battaglia (1849) - Acquarello
(Museo del risorgimento)
diplomatiche con i Triunviri, all’inizio di giugno la
città cominciò ad essere attaccata di nuovo. Sul Gianicolo, tra porta San Pancrazio, il Casino dei Quattro Venti e la Villa del Vascello, gli scontri più duri,
in cui morirono duemila
uomini. Mazzini, abbandonata la carica di Triunviro, fuggì con un passaporto offertogli dagli Stati
Uniti, così come Garibaldi
il 2 luglio, ben prima dell’ingresso dei francesi. La
Repubblica, ormai allo
sbando anche per la mancanza dei vertici, si sciolse
la mattina del 3 luglio. Ma
prima un gruppo di reduci
radunati a mezzogiorno
sul Campidoglio, dove
fatti, ha per molti versi
esaltato la Repubblica Romana ed i suoi personaggi,
poiché, come ha per altre
analisi scritto Leone XIII
nella lettera Saepenumero
considerantes del 1883, «La
scienza storica è divenuta una
congiura contro la verità».
Pio IX tornerà a Roma il 12
aprile del 1850 accolto da
grida di giubilo. «Non si
udiva più – ricorda il visconte di Arlincourt, presente quel giorno – il grido
funesto delle sedizioni, ma
“Evviva Pio IX!”. Il popolo,
con ammirabile istinto che è
di lui quando non si lascia
traviare, esclamava: “Evviva il Papa! Evviva il Santo
Padre!».
andrea marini
La battaglia di Legnano
14
il
giornale dei grandi eventi
“La Battaglia” ed i controlli dei vari Stati
La continua lotta per aggirare
le rigide censure
N
ell’Ottocento, in
una Italia frazionata, ridotta a
«semplice espressione geografica» per i compositori un
problema non indifferente
era relazionarsi non con
“la” censura, ma con le
tante censure che controllavano i teatri dei regni,
dei ducati, dei principati
sparsi per la penisola.
Ciò che poteva essere accettato in una città, non lo
era in un’altra e le richieste
di mutamenti e di correzioni erano prassi quotidiana.
Incombeva, naturalmente,
il problema politico. Ma
non solo quello. Non c’entrava nulla con la politica
la richiesta di sbiancare
Otello fatta a Rossini, né di
togliere la gobba a Rigoletto inoltrata a Verdi.
N
Certo la paura di moti insurrezionali in anni sempre più tesi come quelli del
periodo risorgimentale, resero le varie censure sempre più attente e severe nel
valutare gli eventuali
“messaggi” politici insiti
nelle storie analizzate.
Così se a Parigi Offenbach
poteva permettersi il lusso
di irridere bonariamente
alla corte di Napoleone nel
suo Orfeo all’inferno (si trattava di una sorta di satira
di regime, benedetta dall’alto perché considerata
evidentemente innocua),
in Italia Verdi e colleghi
dovevano stare ben attenti
a non mettere in scena sovrani (così il Re di Hugo
divenne il Duca di Mantova in Verdi), a non fare il
minimo accenno all’attualità, a bandire ogni scostu-
onostante la non facile situazione sociopolitica, in
Siria, al Teatro Nazionale
di Damasco ha appena riscosso
grande successo l’opera italiana.
Le recite del Gianni Schicchi di Puccini, iniziate il 17 maggio, con la direzione del direttore siriano Nahel
Al Halabi, hanno conquistato il
pubblico siriano, tanto che pare
per la prima volta, verrà prodotto
anche un DVD di un’opera italiana
con sottotitoli in arabo. Presente alla “prima” il Ministro della Cultura siriano Riad Issami, noto regista
e critico. Il cast era composto da va-
matezza dalle Case dei regnanti.
Pochi problemi iniziali
La battaglia di Legnano fu,
all’inizio, tra le poche opere a non avere problemi.
Nacque nel momento più
acceso di lotta, nel pieno
del Quarantotto e fu messa
in scena al Teatro Argentina di Roma nel gennaio
del 1849, a poco più di un
mese dalla fuga del Papa
Pio IX dopo l’assassinio
del neo primo ministro
Pellegrino Rossi sulle scale
del palazzo della Cancelleria il 15 novembre 1848 e
due settimane prima della
proclamazione della Repubblica Romana (9 febbraio 1849) con a capo un
triumvirato formato da
Armellini, Mazzini e Saffi.
In queste condizioni l’opera non solo
fu accettata a scatola chiusa, ma ottenne un successo strepitoso. Cori come il
Giuramento del terzo atto («Giuriamo
d’Italia por fine ai
danni») o come il poderoso
inno del quarto («Dall’Alpi
a Cariddi echeggi vittoria»)
non potevano certo passare sotto silenzio.
Censura successiva
per “La Battaglia”
La scure della censura si
abbatté dopo sull’opera di
Verdi e Cammarano. Nel
1850 La Battaglia di Legnano
approdò al Carlo Felice di
Genova, ma negli anni
successivi il compositore
fu costretto a mutare il ti-
Collaborazione italo-siriana
Gianni Schicchi a Damasco
lidi cantanti siriani ed artisti italiani: il tenore Fabio Andreotti (Rinuccio), il baritono Stefano Meo
(Schicchi), e il bass-baritono Andrea Cionci (Simone). Il pubblico
ha potuto comprendere il libretto
tramite la proiezione di sottotitoli
in inglese ed arabo, seguendo passo dopo passo le spassose tappe
della beffa architettata da Gianni
Schicchi a danno degli avidi parenti di Buoso Donati. In un momento
come questo, l’apertura culturale
della Siria al nostro patrimonio
musicale, è un segnale certamente
costruttivo. Il giovane direttore siriano, Nahel Al Halabi, perfezionatosi in Italia, presso il Conservatorio di Genova, confida: «Ho ricevuto moltissime email di spettatori entusiasti, che non conoscevano l’opera italiana e che dopo questo Schicchi se ne
sono innamorate. Siamo all’inizio di
un nuovo percorso, anche grazie al di-
continua da pag. 2
Luisotti». Ma questo è un impegno che ha assunto successivamente, visto che inizialmente tale
regia scaligera era affidata ad Hugo de Ana e nulla lui ci ha detto degli impegni al Teatro Argentina. Dunque, a parte il rammarico di veder preferire La Scala all’Opera di Roma, c’è da
chiedersi quale era l’effettivo impegno pressante? Lo stabile romano o la regia alla Scala venuta
in corso di stagione? Inoltre, l’estate scorsa Lavia in una cena a margine del Festival di Martina
Franca, di fronte a diversi giornalisti, dopo aver pesantemente parlato del partito della Lega (tanto
da suscitare l’irritazione di alcuni “inviati” milanesi) ridendo ha espresso un commento del tipo
“chissà se la Battaglia che ho preparato per Roma me la passeranno?”. Conoscendo la
provocatorietà di certi spettacoli di Lavia e vista su questo tema la negazione un po’ scomposta
del regista al nostro quesito, la domanda sorge spontanea su quale sia il vero motivo della rottura:
realmente gli impegni o forse il tipo di regia? Se fosse la seconda ipotesi, probabilmente ben avrebbe
fatto il Teatro dell’Opera di Roma a prendere le distanze da uno spettacolo che poteva presentarsi
politicamente scorretto, che poteva far entrare prepotentemente la politica anche all’Opera. Certo
è che - se così fosse, sia per questo o per altri spettacoli - visti i tempi che viviamo, la sovraesposizione della politica, ora in scena del dibattito su questi temi ne facciamo volentieri a meno.
andrea marini
tolo in L’assedio di Arlem
dal nome della città olandese in rivolta contro Filippo II ed a trasformare Barbarossa nel Duca d’Alba
per consentire alla partitura di circolare, pur se a fatica.
Nel 1860 a Parma andò in
scena con grande clamore
di pubblico con il titolo La
sconfitta degli Austriaci, nel
1861, a Italia unificata, raggiunse con il titolo originale il San Carlo di Napoli e
la Scala di Milano.
roberto iovino
namismo e alla lungimiranza della
nuova Direzione del Teatro». La
regìa, molto apprezzata dal pubblico, è stata firmata dalla regista
irlandese Vivien Hewitt che ha
scelto scenografia e costumi rigorosamente d’epoca: «Spesso lo
Schicchi – commenta la Hewitt viene trasferito in età contemporanea,
perché la sua storia ha dei tratti sempre
attuali. Tuttavia il linguaggio toscano
e la preziosa contestualizzazione storica voluta da Puccini e da Forzano, meritano che l’ambientazione trecentesca
venga rispettata in pieno».
L. di diec.
Anticipazione
Muti e la stagione
2011 / 2012
Primi annunci per la stagione 2011 /2012, la seconda con
andamento a cavallo di due anni dopo la ripresa dell’inaugurazione sul finire dell’anno, stagione che dovrebbe
essere ufficializzata a fine settembre.
Quest’anno ad aprire il nuovo cartellone sarà il 24 novembre il Macbeth di Giuseppe Verdi diretto da Riccardo
Muti. Il direttore napoletano tornerà poi sul podio dell’Opera di Roma una seconda volta nel corso della stagione per dirigere un altro titolo verdiano su cui molto
ha lavorato, l’Attila.
Il 2013 sarà poi l’anno del bicentenario della nascita di
Verdi e già è annunciato che Muti dirigerà tre titoli del
“Bussetano” all’Opera di Roma.
il
giornale dei grandi eventi
La battaglia di Legnano
15
Presentata la nuova stagione
Grande musica a S. Cecilia con due titoli operistici:
Eugenij Onegin e Cavalleria Rusticana
L
a nuova stagione concertistica dell’Accademia di S. Cecilia sembra non portare le
tracce della crisi economica, tanta è
la ricchezza della programmazione, tanta l’abbondanza di proposte
ed idee. Eppure, solo poco tempo
fa, il Sovrintendente Cagli aveva
paventato le proprie dimissioni per
una situazione che reputava insostenibile. Da allora i tagli al FUS sono stati parzialmente reintegrati e
l’Accademia - unica Fondazione insieme alla Scala di Milano - ha raggiunto l’obiettivo di soddisfare i requisiti richiesti per accedere al nuovo regolamento per le fondazioni
virtuose, volto a garantire una
maggiore tranquillità gestionale. E’
lo stesso Cagli ad illustrare i risultati economici raggiunti: S. Cecilia è
riuscita ad incrementare gli incassi
al botteghino di circa il 20% in un
momento tanto arduo per la cultura, ed anche ad portare soddisfazioni artistiche, con i complessi dell’Accademia ormai ai massimi livelli nel mondo, come testimoniano le numerose tournée internazionali (a luglio i Proms di Londra, ad
agosto il Festival di Salisburgo).
La stagione 2011/2012
La stagione comincerà il 22 ottobre
prossimo con l’Ottava Sinfonia di
Mahler, inserita nel programma
celebrativo dedicato al grande
compositore austriaco, affidata alla
bacchetta di Antonio Pappano, con
un cast vocale di primo livello nel
quale spiccano Manuela Uhl, Sara
Mingardo e Georg Zeppenfeld.
Le due opere
Ricchissimo di appuntamenti il
mese di novembre con Valery Gergiev impegnato in ben sei serate, la
prima dedicata all’Eugenij Onegin
di Caikovsky, eseguito in forma di
concerto dai complessi del Mariinsky, le altre incentrate sulla produzione sinfonica di Mahler, con la
Terza, la Quarta, la Settima e l’Adagio dell’incompiuta Decima. Altro
titolo lirico in cartellone la Cavalleria Rusticana di Mascagni diretta da
James Conlon, protagonisti Luciana D’Intino, Aleksandrs Antonenko (che il pubblico romano ricorda grande interprete di Otello al
Teatro dell’Opera con Muti) e Roberto Frontali. Da segnalare inoltre
Claudio Abbado con l'orchestra di S. Cecilia
il concerto straordinario del 20 novembre, quando Claudio Abbado
tornerà a dirigere l’Orchestra di S.
Cecilia (per l’occasione insieme alla sua Mozart) in un programma
interamente incentrato sulla musica russa. Fra i grandi direttori
ospiti frequenti dell’Accademia da
segnalare Yuri Temirkanov, beniamino del pubblico romano, Georges Prêtre, che festeggia i 50 anni
dal suo debutto a S. Cecilia presentando la Nona di Beethoven, Donald Runnicles, impegnato in un
galà wagneriano, Lorin Maazel, alle prese con un programma intera-
mente francese, Kent Nagano e
molti altri. Riguardo alle nuove generazioni direttoriali troviamo artisti sovente presenti nella capitale,
come Harding, Matheuz e Dudamel, accanto ad altri al loro debutto
ceciliano, come Stéphane Denève,
Daniele Rustioni e André OrozcoEstrada. Di grande interesse il concerto dedicato al compositore
Franz Schmidt, quasi sconosciuto
nel nostro paese, con Fabio Luisi
sul podio impegnato nell’oratorio
Il libro dei sette sigilli, e quello per
celebrare i 70 anni di Maurizio Pollini, durante il quale il grande pia-
nista eseguirà il Concerto K 488 di
Mozart. Quasi impossibile elencare tutti i solisti presenti nella stagione sinfonica e da camera, dai
virtuosi della tastiera come Kissin,
Lonquich, Blechacz, Pogorelich,
Sokolov, Schiff, Lupu, ai maestri
del violino, quali Kavakos e Znajder, ai grandi violoncellisti, come
Brunello e Dindo. Di grande rilievo la serata liederistica affidata alla
voce straordinaria di Ian Bostridge, impegnato nel Winterreise schubertiano. Particolare attenzione
viene poi rivolta alla musica contemporanea, con alcune prime esecuzioni assolute, fra cui spicca il
Veni veni Mephostophilis commissionato dall’Accademia a Matteo
D’Amico. Sempre restando nell’ambito dell’attualità, il compositore e direttore Thomas Adés presenterà un programma nel quale,
accanto a musiche proprie, eseguirà classici di Sibelius e Caikovsky, un po’ come è accaduto quest’anno con Peter Eötvös. Un programma vasto e variegato dunque,
in grado di incontrare i gusti degli
appassionati, ma anche di chi voglia avvicinarsi per la prima volta
al meraviglioso mondo della musica classica.
riccardo Cenci
Presentata la Stagione Estiva, pensando ad un Festival
A Caracalla Tosca ed Aida. Megaspazio il prossimo anno
A
piccoli passi la stagione estiva del Teatro dell’Opera di Roma, staccandosi dal cartellone del Costanzi, vuole prendere la forma di un festival indipendente, per proporre un programma più articolato
che, accanto alla ormai consueta programmazione di
Caracalla con due opere ed un balletto di richiamo
popolare, possa offrire nell’estate romana titoli più
colti, più raffinati. Questi, che naturalmente non richiamerebbero un pubblico di massa, verrebbero
eseguiti in spazi maggiormente raccolti e suggestivi
come le antiche palestre all’interno del complesso
monumentale, dove dovrebbero essere allestite tribune capaci di 400-500 posti. Obiettivo è aumentare
l’offerta per il pubblico romano ed il numero degli
spettacoli ai quali sono legati gli indispensabili contributi del Fondo Unico dello Spettacolo. In forma di
festival, Caracalla potrebbe così accedere non ai normali contributi, ma ad un altro capitolo specifico. Per
questo, già quest’anno la platea sarà portata da 3000
a 3500 posti. Ma visto che l’opera popolare all’aperto
riesce sempre a far cassa, per il prossimo anno già si
sta pensando in grande, ad un megaspazio – potrebbe essere lo stadio olimpico o il Circo Massimo – dove proporre un solo titolo di grande richiamo per tu-
risti e melomani, da affiancare al tradizionale Calendario di Caracalla. Per quest’anno, invece, si punterà
su due opere, un balletto e due serate speciali. Si partirà il 2 luglio alle 21,30 con un concerto con proiezioni, la Trilogia Romana di Ottorino Respighi (Fontane
di Roma, Feste Romane ed I Pini di Roma), concerto diretto da Charles Dutoit. Sarà poi la volta del balletto
dal 7 al 20 luglio ore 21 con il collaudato Lago dei Cigni di Čajkovskij nella coreografia di Galina Samsova. La prima opera sarà la Tosca di Puccini dal 21 luglio al 10 agosto h. 21. Sei recite con un nuovo allestimento dirette da Asher Fisch. Nel cast Nadia Vezzù
e Csilla Boross come Tosca; Thiago Arancam e Kamen Chanev nei panni di Cavaradossi e Claudio
Otelli e Carlo Guelfi come Scarpia. Sabato 23 luglio h.
21,00 Gala Roberto Bolle and Friends . Assieme all’
Étoile della Scala ci saranno Alicia Amatriain, Jiři Bubenìček, Otto Bubenìček e Lucia Lacarra.
A chiudere la stagione estiva, dal 2 al 9 agosto h. 21
per 5 recite, l’Aida di Verdi diretta sempre da Asher
Fisch. Aida saranno Hui He e Gabriela Georgieva;
Amneris Giovanna Casolla e Renata Lamanda; Radames Walter Fraccaro e Francesco Anile.
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