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Eccola qui, per voi, perché non dimentichiate la guerra del nonno. dalla nipote Gioconda Silvestri MONUMENTO A DANTE Eretto nel 1896 a Trento, nel cuore dell’Italia irredenta, in memoria del grande poeta italiano. È opera dello scultore C.ZOCCHI, ed ispirò la nota ode di Giosue Carducci del 20 settembre 1896 “Per il Monumento di Dante a Trento” (da Rime e Ritmi ), che si chiude come segue : Cosí di tempi e genti in vario assalto Dante si spazia da ben cinquecento Anni de l’Alpi su ’l tremendo spalto. Ed or s’è fermo, e par ch’aspetti, a Trento. “Italia” definita nei secoli. ...del bel paese là dove 'l sì suona. ( La Divina Commedia , Inferno XXXIII, 80) Dante (1265-1321) il bel paese ch’ Apennin parte e 'l mar circonda e l’Alpe. (Canzoniere, In vita di Madonna Laura, sonetto CXLVI) Petrarca (1304-1374) Esortazione al Principe di liberare l’Italia dai barbari. (Il Principe, XXVI, passim ) ...l’Italia è ora senza capo, senza ordine, battuta, spogliata, lacera, corsa… in modo che, rimasta senza vita, aspetta chi sani le sue ferite e ponga fine ai saccheggi di Lombardia, alle taglie del Reame di Napoli e di Toscana e la guarisca di quelle sue piaghe già per lungo tempo infistolite. Vedasi come prega Dio che le mandi qualcuno che la redima da queste crudeltà e barbare insolenze. Vedasi ancora tutta pronta e disposta a seguire una bandiera... Non si deve, dunque, lasciar passare questa occasione affinché l’Italia veda dopo tanto tempo un suo redentore... A ognuno puzza questo barbaro dominio ! Pigli, dunque, la illustre Casa Vostra questo assunto con quell’animo e con quella speranza con cui si pigliano l’imprese giuste : affinché sotto la sua insegna questa patria sia nobilitata e sotto i suoi auspici si verifichi quel detto di Petrarca : Machiavelli (1469-1527) “Virtù contro a furore prenderà l’arme ; e fia il combatter corto ; ché l’antico valore negli italici cor non è ancor morto”. ( Canzoniere , canzone Italia mia CXXVIII ) VITTORIO EMANUELE III di CASA SAVOIA, RE D’ITALIA Nacque a Napoli l’11 novembre 1869 e morí in esilio, in Egitto, nel dicembre del 1947. Regnò dal 1900 al 1946. Di tanto in tanto una mano distoglie l’uomo dal suo dolce vivere e lo confronta con la fredda morte... Contro l’acqua che invade, contro il fuoco che divora, contro nemici d’ogni sorta, visibili ed invisibili, perfino contro il suo simile, senza nessuna tregua, l’uomo è chiamato a lottare : perché la lotta è una legge che governa la vita. E la guerra – questa ineluttabile calamità – non è che la fase acuta del dissidio che cova sotto in permanenza, cosí come l’eruzione di un vulcano è lo sfogo visibile, spaventoso di un sempre inquieto antagonismo mo di forze sotterranee. Dicono poi : “È scoppiata sco la guerra ! ”. Nessun vocabolo sarebbe più appropriato di quello “scoppiare”, perché la guerra, come lo scoppio , è una violenza che si produce al di là di un punto massimo di sopporta sopportazione. Avvenne, dunque, che al principio di quello che noi chiamiamo secolo ventesimo, nella nostra vecchia Europa, ne scoppiasse una – di queste guerre – cosí grande , cosí grande , che i nostri padri finirono per chiamarla “la grande”, “la grande guerra”. Delle guerre se n’eran fatte tante, guerre che portavan nomi anche vistosi, ma una guerra come questa – mondiale – non s’era vista mai. Si viveva in pace da tant’ anni in Europa ! “Grassa pace” fu detta poi. Le leggi erano rispettate, i listini di borsa erano tranquilli, i viaggi sicuri, gli svaghi sereni. I sovrani d’Europa andavano d’accordo. Sotto tanta pace, però, covavano rivalità senza numero, e c’era anche tanto odor di primavera in giro ! Fra tutti, un verbo nuovo, nato per i cosiddetti “proletari”, si faceva strada : il “socialismo”. In Italia, sulle piazze si predica il progresso, i socialisti portano un fiore rosso all’occhiello. Si sciopera, nascono “leghe contadine”, “società operaie”. E mentre dal polverone delle strade spuntano le prime macchine, nel cielo gli aerei compiono i primi voli. Si leggono D’Annunzio e Pirandello. Guglielmo Marconi sta dotando l’umanità di una nuova via di comunicazione, veloce – dicono – come il pensiero : la radio, la via radio. I sovrani d’Europa andavano d’accordo... Sua Maestà Vittorio Emanuele III, Re d’Italia, con lo Zar, a Racconigi, nel 1908. Vittorio Emanuele III posa dopo una partita di caccia con il suo ospite, l’imperatore di Russia Nicola II (alla destra del Re d’Italia). Dietro i due sovrani è il medico personale di Vittorio Emanuele. *** L’architettura politica dell’Europa dell’anteguerra. Qual era l’architettura politica dell’Europa dell’anteguerra ? Alquanto semplice : monarchie dappertutto, eccetto in Francia e in Isvizzera, le due sole repubbliche. A parte l’Inghilterra, signora incontrastata, erede di tutto lo splendore vittoriano, sul continente neutrali erano le piccole nazioni come Svezia, Norvegia, Danimarca, Olanda, Belgio, Svizzera. A sud la Spagna e il Portogallo sonnolenti, l’Italia (con 35 milioni d’abitanti ) ancora territorialmente incompleta, ma già animata da ambizioni di grande potenza. Inesistenti, in quel tempo, erano Irlanda, Polonia, Finlandia, Cecoslovacchia, Lituania, Lettonia, Estonia. Infine, una Grecia mutilata, una fragile Romania, una Bulgaria incompleta, una modesta ma irrequieta Serbia e un inconsistente Montenegro. (Dal Montenegro veniva la Regina d’Italia – la regina Elena – che Vittorio Emanuele III, allora Principe di Napoli, aveva sposato nel 1896). Tutto il resto dell’Europa centrale ed orientale faceva parte di quattro Imperi, era proprietà di quattro Imperatori. L’Imperatore turco, Mohammed Vo, debole e vecchio, regnante su un impero che ormai precipitava verso il suo smembramento. Nel gergo diplomatico il suo governo si chiamava “Sublime Porta”; ed era effettivamente una porta che chiudeva il Bosforo e i Dardanelli, isolando la Russia dall’Occidente. Francesco Giuseppe al suo tavolo di lavoro, negli ultimi anni di governo. L’Imperatore Francesco Giuseppe della Casa d’Asburgo, vecchissimo, regnava dal 1848 sull’Impero Austro-Ungarico, impero che estendeva la sua sovranità su un territorio più grande della Germania, in continua espansione, con oltre 50 milioni di abitanti. Comprendeva questo impero due razze “superiori”, i Tedeschi d’Austria e i Magiari d’Ungheria, ma l’insieme dei popoli che lo componevano si andava facendo sempre più ingovernabile : Cechi, Moravi, Slovacchi, Ruteni, Polacchi, Romeni, Italiani, Croati, Sloveni, Dalmati, e poi anche i Turchi col fez e le donne velate di Mostar e di Sarajevo. Un mosaico di popoli, insomma, la cui forza di coesione andava ormai estinguendosi. Un altro impero era la Russia, dove regnava il simpatico, anche se mediocre, Nicola IIo, con una moglie tedesca. La corte era un guazzabuglio di tendenze contraddittorie, retrograde e anarchizzanti, filotedesche e panslave. Lo zar oscillava fra il rispetto dell’Alleanza con la Francia repubblicana e la riconciliazione con la Germania imperiale. La Germania, finalmente, dove imperava Guglielmo IIo, la cui madre era figlia della Regina Vittoria d’Inghilterra. La Germania di Guglielmo IIo era uno spettacolo formidabile. L’erudizione germanica suscitava, in ogni campo, l’ammirazione universale. In Italia Croce e Gentile orientavano la vita intellettuale italiana intorno a Hegel e alla filosofia germanica. Lo studio del tedesco diventava sempre più popolare e gli studenti – quelli che potevano – andavano in Germania a completare la loro formazione. Guglielmo II (1859- 1941) Imperatore di Germania e Re di Prussia. Salito al trono nel 1888, lanciò un proclama al popolo nel quale affermò che il suo diritto a regnare gli veniva da Dio. L’impero politico e militare, creato da Bismark, aveva generato anche un impero economico di potenza crescente. La metallurgia germanica batteva quella inglese. La chimica era monopolio teutonico e, in genere, tutta la scienza – con 13 premi Nobel dal 1900 – sosteneva, vivificava tutta l’economia. La Germania poteva permettersi ora perfino l’isolamento. I prodotti fabbricati in Germania invadevano i mercati. Ma l’Europa si rivelava ormai troppo piccola. E la Germania, affacciatasi alla ribalta coloniale troppo tardi, quando i migliori “lotti”erano già stati distribuiti, non voleva rassegnarsi. L’imperatore di Germania Guglielmo IIo in una visita al centro industriale, fonderia e acciaieria Krupp, di Essen . Ormai questo popolo tedesco, cosí continentale, stava percorrendo il mondo con i suoi commerci ; i transatlantici imperiali battevano quelli inglesi... era dunque normale e necessario che le corazzate tenessero dietro ai piroscafi. E Guglielmo IIo si era appassionato alle navi, impazziva per le navi. Ad un certo momento tutte le flotte militari del mondo finirono “staccate”, meno una, quella inglese, che però vedeva ridursi di anno in anno il suo margine di superiorità. Qualcuno sussurrò all’orecchio di Guglielmo IIo che una simile politica navale lo avrebbe portato ad un conflitto con l’Inghilterra. Quando poi l’imperatore visitava tutto quell’immenso emporio arcimoderno di armi che la dinastia dei Krupp fedelmente e devotamente gli creava, allora il diavolo gli saltava in corpo : adesso che quella gran macchina bellica c’era, era naturale che bisognava metterla in moto... e le occasioni, per chi le cerca, non mancano ! *** Un giorno del luglio 1911, una piccola unità da guerra tedesca va ad ormeggiare bellicosamente nella baia di Agadir, col pretesto di proteggere nel Marocco certi inesistenti interessi tedeschi, ma in realtà per sfidare la Francia “protettrice” dei Marocchini. Un gesto provocatorio, insomma. La Francia, vicina di casa della Germania, tanto per evitare il peggio, preferí starsene zitta e pagare con una fetta dei suoi territori equatoriali. Ma in Lloyd George Inghilterra, dove quell’atto di sfida aveva suscitato (1863-1945) un’emozione immensa, qualcuno c’era che aveva qualcosa da dire, precisamente Lloyd George, il quale, nonostante fosse un pacifista, si alzò e fece un discorso inaudito fino ad allora : la Germania sappia che la Gran Bretagna non comprerà mai la pace al prezzo del disonore. Suonarono quelle parole come un dado gettato. Grande fu la reazione in Germania. E fu nell’atmosfera creata dall’incidente di Agadir che Sir Winston Churchill divenne Primo Lord W.Churchill (1874-1965) dell’Ammiragliato. *** In Italia, dove da tanti anni si guardava con cupidigia alle terre africane, soprattutto a quelle che erano lí a due passi dalla Sicilia – la cosiddetta “quarta sponda” – l’accomodamento di Agadir invogliò gl’Italiani a tentare l’impresa libica. E in quell’anno stesso – 1911 – verso la fine di settembre, l’Italia inviò un ultimatum alla Turchia, signora di quelle terre. Anche il mite Pascoli, ormai alla vigilia di morire, s’infervorava al pensiero che, infine, “la grande proletaria” – l’Italia – si era mossa. “La grande proletaria si è mossa. Prima ella mandava altrove i suoi lavoratori...Il mondo li aveva presi a opra i lavoratori d’Italia ; e più ne aveva bisogno, meno mostrava di averne, e li pagava poco e li trattava male... Ma la grande proletaria ha trovato luogo per loro, una vasta regione bagnata dal nostro mare...” (dal discorso tenuto a Barga,il 26 nov.1911) Giovanni Pascoli ( 1855 - 1912 ) Al teatro Balbo di Torino la cantante Gea della Garisenda interpreta i sentimenti del Paese. Avvolta in un mantello nero, si presenta al proscenio in penombra e intona una nuova canzone : “ Sai dove sorrida più magico il sol ?” poi, d’improvviso, le luci si accendono. La cantante apre il mantello e si avanza ricoperta dal tricolore, attaccando con voce squillante : “Tripoli ! A Tripoli !”. Il 5 ottobre le truppe italiane, al comando dell’allora Capitano di Vascello Umberto Cagni, sbarcano a Tripoli. Per un anno questa guerra assorbe e prova le energie italiane. In Libia, per la prima volta nel mondo, gli aeroplani segnano l’inizio dell’impiego bellico dell’aviazione : le prime bombe, grosse come bottiglie, sono lanciate a mano contro il bersaglio. Nell’insieme le cose approd approdarono a bene ; benché Giolitti – l’allora Primo Ministro – rimanesse alquanto perplesso circa l’efficienza della macchina bellica italiana ! *** Cosí, con molti torbidi nei Balcani – focolaio d’interminabili discordie – si arrivò al 1914. Fu in quell’ anno, il 28 giugno giugno, a Sarajevo, che accadde il funesto fattaccio... ... l’Arciduca Ereditario d’Austria Francesco Ferdinando muore vittima di un attentato per mano di un giovane studente bosniaco. Gavrilo Princip “lo studente bosniaco” Francesco Ferdinando e la moglie pochi minuti prima dell’attentato. Era il fiammifero piccolo piccolo che andava a cadere nella polveriera grande grande. In pochi giorni l’Europa divampò in un grande incendio. Quello stesso sistema di alleanze che fino ad allora aveva ritardato la guerra, era destinato ora a trasformarla in conflagrazione generale. In una tragica settimana – tra il luglio e l’agosto di quel 1914 – fu un pauroso rincorrersi di dichiarazioni di guerra dall’una all’altra capitale europea : l’Austria alla Serbia, la Russia – amica della Serbia – all’Austria, la Germania – amica dell’Austria – alla Russia, la Francia – amica della Russia – alla Germania . Poi fu la volta dell’Inghilterra, non appena vide il Belgio invaso e il Passo di Calais minacciato. In pochi giorni vennero a trovarsi di fronte i cosiddetti Imperi Centrali ( Austria–Ungheria , Germania) e le Potenze dell’Intesa (Russia, Francia , Inghilterra ). E l’Italia ? l’Italia non fu oggetto di nessuna particolare attenzione ; perciò, lí per lí, decise di restare neutrale : il che non fece torto a nessuno. Gl’Imperi Centrali sapevano che sarebbe stata una guerra assai breve. Lo avevano dimostrato le autorità militari e finanziarie : gli eserciti , si diceva , non possono sopportare a lungo i terribili effetti delle armi moderne , e i costi favolosi di ogni giorno di guerra esauriranno ben presto le risorse di tutti i paesi. I soldati che partivano nella gloria di quell’agosto 1914 dovevano sapere che sarebbero stati di ritorno per Natale. Ma... arriva Natale... passa Natale... la guerra continua ! Era cominciata con battaglie di movimento ardenti e avventurose , attacchi , ripiegamenti catastrofici , rovesciamenti di fronte e raddrizzamenti drammatici. Chi non ricorda – in Francia – l’ episodio della Marna ? Poi , tutt’ a un tratto , una cosa assolutamente imprevista : la guerra si affossa . La trincea. Una sorpresa drammatica che manda all’aria tutti i piani. Trincea austriaca Trincea italiana Agli inizi del 1915 le operazioni sono ovunque a un punto morto. Pazzeschi attacchi che si concludevano in massacri. Migliaia di morti per la conquista di insignificanti zolle di terreno. *** In Italia si assisteva alla guerra con immenso imbarazzo e drammatiche preoccupazioni. Durante i dieci mesi che precedettero la nostra entrata in guerra, l’Italia corse fino sull’orlo della guerra civile , tanto l’opinione pubblica, i partiti, gli ambienti diplomatici, il Parlamento, si appassionarono in discussioni e clamorosi dissensi. C’erano due correnti : quella dei “neutralisti” e quella degli “interventisti”. Conveniva o non conveniva entrare in guerra ? E , se conveniva , da quale parte andare ? Anche qui bisogna rifarsi alla storia per intendere gli avvenimenti. Triplice Alleanza : Germania, Austria-Ungheria, Italia. Triplice Intesa : Inghilterra, Francia, Russia. L’Italia, allo scoppio della guerra , era legata agl’Imperi Centrali con un Trattato di Alleanza che datava dal 1882. Trattato che era stato rinnovato nel 1891, poi nel 1902, nel 1907 , fin anche nel 1912. Questa alleanza era nata dalla necessità di assicurarsi le spalle – al Nord – contro il nemico secolare – l’Austria – in vista di poter andare alla pesca di qualche territorio coloniale nel Sud, come di fatto era avvenuto. Ed era – questa Alleanza – non uno strumento di aggressione , ma di carattere puramente difensivo. La guerra che si combatteva ora – dichiarata dall’Austria contro la Serbia – era invece aggressiva. E, neanche, l’Italia era stata prima interpellata come invece l’avrebbe dovuto essere in conformità dell’articolo 7 di detta Alleanza. Perciò il Governo italiano, presieduto allora da Antonio Salandra , si era affrettato a dichiarare la neutralità , e su questo anche gl’Imperi Centrali non ebbero niente a ridire : soluzione provvisoria questa , poiché una vera febbre di intervento aveva preso la nazione , soprattutto i giovani. Era quello il tempo di star affacciati alla finestra ? – si diceva – mentre tutti si muovevano ? Si distinsero fra i propagandisti dell’intervento Cesare Battisti , deputato di Trento al Parlamento Austriaco , Filippo Corridoni e Benito Mussolini , allora violento agitatore socialista , il quale , per la questione dell’intervento , si distaccò dal partito e fondò il suo giornale “Il Popolo d’Italia”. C.Battisti F.Corridoni B.Mussolini Bisognava prendere subito posto... ed “il nostro posto” ! E qual era il nostro posto se fin dal lontanissimo 1848 sempre si era guerreggiato contro l’Austria ? Per chi aveva cantato il patriota Goffredo Mameli ? Quante volte non aveva ripetuto Mazzini “Austria delenda” ? E quell’inno che Garibaldi considerava la sua Marsigliese , e che si andava cantando da mezzo secolo ormai ? “va fuori d’Italia , va fuori ch’è l’ora , va fuori, o stranier”. Tre erano state le guerre per l’indipendenza : 1848 , 1859 , 1866. Questa sarebbe stata la “quarta guerra” per l’indipendenza. Si era fatta l’Italia strappandola pezzo a pezzo all’Austria e ai suoi imparentati : era dunque chiaro che quell’Alleanza era un provvedimento di governo , non un accordo di popoli a cui rispondesse un sincero convincimento , una vera adesione da parte della nazione. I Padri della Patria I grandi uomini che guidarono gl’Italiani nel loro Risorgimento Giuseppe Mazzini (1805 – 1872) Giuseppe Garibaldi (1807-1882) Camillo Benso di Cavour (1810-1861) Vittorio Emanuele II (1820-1878) C’era però anche – in Italia – una nutrita minoranza di neutralisti , il più influente dei quali era Giovanni Giolitti , l’uomo che dominava da anni la scena politica italiana. Egli mantenne sempre le sue convinzioni neutraliste, nella persuasione che l’impegno della guerra mondiale fosse per l’Italia eccessivo. La spesa di un esercito , la carenza di tradizioni militari, l’inadeguatezza dei generali erano le ragioni del suo convincimento . “No alla guerra. Sarà una guerra lunga. Parecchio si può ottenere – egli ripeteva – restando fuori dal conflitto”. Da quella parola “parecchio” nacque “parecchismo” : ma ai giovani non piaceva quell’ottenere “parecchio” G.Giolitti (1842 - 1928) senza muovere un dito ! Cosí Giolitti guadagnò anche violente accuse di essere un venduto alla causa degl’Imperi Centrali , e , per la sua incolumità personale , gli diedero una guardia del corpo ! Intanto si negoziava. La Germania, molto prudentemente, inviò a Roma l’ex-cancelliere principe di Bülow – la cui moglie era italiana – per esercitare una forte pressione in senso neutralista. Egli era venuto con due pillole in tasca : l’una dolce, l’altra amara. Resterete neutrali ? A fine guerra avrete le vostre terre irredente – come si diceva allora – cioé le regioni di Trento e Trieste . Volete fare i recalcitranti ? Ristoreremo in Italia il Potere Temporale dei Papi. Fu l’opera di Bülow accorta ed intelligente e poco mancò che non von Bülow (1849 – 1929) raggiungesse lo scopo. Sennonché altri negoziati erano in corso – in gran segreto – a Londra. Il Re , il cui prestigio in quel tempo era indiscusso, inclinava per l’intervento contro gl’Imperi Centrali. Cosí, per dirla in breve, l’Italia finí per aderire – il 26 aprile 1915 – al Trattato Segreto di Londra (tra Inghilterra, Francia e Russia ), impegnandosi l’Italia ad intervenire al loro fianco entro un mese qualora fosse stato assicurato un progresso territoriale e un ampliamento coloniale. Si era arrivati a tanto, cosí in fretta e come di sotterfugio, perché, nel marzo precedente, il successo dei Russi contro l’Austria sui Carpazi aveva fatto credere che la guerra fosse per finire a Il Re giorni e che la vittoria fosse in vista. Bisognava, dunque, affrettarsi ad arrivare sul nemico, che si riteneva stremato, per non essere esclusi poi dal tavolo della pace ! Ma la colomba della pace – ahimé, anche questa volta – era assai lontana ! *** Il 3 maggio 1915 il Presidente del Consiglio, Salandra, denuncia il Patto della Triplice Alleanza con l’Austria-Ungheria e Germania, chiamando quest’atto il primo atto politico spontaneo dal tempo del Risorgimento ! A.Salandra (1853- 1931) *** Il 4 maggio rientra in Italia, dalla Francia, Gabriele D’Annunzio, che, a Genova, esordisce con le sue esuberanti apostrofi : “Beati i giovani che hanno fame e sete di gloria, perché saranno satollati”. G. D’Annunzio (1863- 1938) Il giorno seguente – 5 maggio, anniversario dell’imbarco dei Mille – tiene un discorso a Quarto : una marea innumerevole inneggia alla guerra cantando la Marsigliese. Il 6 maggio Gabriele D’Annunzio parla all’ Università di Genova : gran parte dei letterati italiani si schierano a favore dell’intervento armato contro l’Austria. Da Genova D’Annunzio passa a Roma, ove, dal balcone dell’Hotel Regina, fa un discorso pieno di tutte le fiamme della sua calcolata retorica. Alludendo a von Bülow e a Giolitti, dice fra l’altro : “Intorno a noi vi è odore di tradimento , questo tradimento si compie a Roma. Siamo sul punto di essere venduti come un gregge vile...”. Quando poi parla al Teatro Costanzi – sempre in Roma – dice : “Non è l’Italia una locanda, né un museo, né un giardino per viaggio di nozze dipinto con il blu di Prussia, l’Italia è una nazione vivente...”: lo scroscio degli applausi dura per parecchi minuti. La Regina Margherita – la Regina Madre – discretamente occultata dietro le cortine, si asciuga una lagrima. *** D’Annunzio parla al “Costanzi” contro “la vile cricca neutralista” Intanto la febbre per la guerra monta e monta : Giolitti fa gli ultimi sforzi. Anche al parlamento, composto per lo più di giolittiani, la stragrande maggioranza è per la pace. Un parlamento, quando tutto è stato detto e pesato, dovrebbe saperne più di tutti. Ma – fatto nuovo – le prerogative del Re e le agitazioni di piazza finiscono per convertire, in pochi giorni, anche il parlamento riluttante, che, venuto intanto a conoscenza del Trattato Segreto di Londra, dà pieni poteri al Governo “in caso di guerra” con 407 voti contro 74, sanando cosí quella specie di colpo di stato che il Re aveva compiuto per rendere possibile l’intervento. Debolezza o sopraffazione ? Si disse poi che fu forzata la mano al parlamento e che il neutralismo, cosí sconfitto, rimase come un fermento di malcontento e di protesta in fondo alla coscienza nazionale. *** Il 21 maggio, a Roma, centomila cittadini, sindaco e consiglieri comunali in testa, col gonfalone dell’immortale città, si recano, fra l’ondeggiare di mille e mille bandiere, in Piazza del Quirinale, innanzi alla Reggia , e , acclamando al Re e alla Famiglia Reale, richiedono a una voce la guerra liberatrice. Il grido possente ebbe eco nella Reggia, la vetrata del balcone del Quirinale si apre : appare il Re con l’Augusta Famiglia. Il sindaco Principe Colonna tra il delirio del popolo grida : “Viva il Re” . Vittorio Emanuele III, offrendo al bacio del sole di Roma il fiammante tricolore italico, risponde : “Viva l’Italia !”. Grandiosa dimostrazione d’entusiasmo dinanzi al Quirinale Il 23 maggio la guerra è dichiarata all’Austria. Il Re Vittorio Emanuele III, assumendo il supremo comando delle Forze Armate, lanciava questo proclama : “Soldati di terra e di mare ! L’ora solenne delle rivendicazioni è suonata ! Seguendo l’esempio del mio Grande Avo, assumo oggi il comando supremo delle forze di terra e di mare con sicura fede nella vittoria, che il vostro valore, la vostra abnegazione, la vostra disciplina sapranno conseguire. Il nemico che vi accingete a combattere è agguerrito e degno di voi. Favorito dal terreno e dai sapienti apprestamenti dell’arte, egli vi opporrà una tenace resistenza, ma il vostro slancio saprà, di certo, superarla. Soldati, a voi la gloria di piantare il tricolore d’Italia sui termini sacri che natura pose a confini della Patria nostra, a voi di compiere, finalmente, l’opera con tanto eroismo iniziata dai nostri padri !” La grande decisione è presa, anche se l’esercito non è pronto. 24 maggio 1915: inizio delle ostilità. Si parte. Le tradotte portano al fronte reggimenti di mariti, di fidanzati... Ritornano di moda le parole di una poesia del tempo del Risorgimento : “Addio, mia bella, addio : l’armata se ne va. Se non partissi anch’io, sarebbe una viltà.” *** Le Alpi sono il maestoso teatro della nostra guerra. La linea di combattimento è lunga oltre 600 chilometri : dal Passo dello Stelvio al Mar Adriatico. Essa segue, con qualche variante , la linea di confine fissata nel 1866 ed è nettamente sfavorevole ai soldati italiani che devono attaccare il nemico su di un terreno fortificato dalla natura stessa e munito con trincee, casematte e forti. Il fronte è diviso in due settori : il settore trentino – in cui prevalse la tattica difensiva – e il settore dell’Isonzo – in cui fu sempre desto invece lo spirito offensivo. L’Italia entrava in guerra del tutto impreparata. La frontiera non era fortificata, le artiglierie antiquate e, in genere, tutto l’equipaggiamento largamente superato. Migliaia di fanti erano in attesa dell’uniforme ! L’Italia non aveva certo speso somme favolose a sviluppare e perfezionare il suo esercito, né aveva coltivato intensamente lo spirito combattivo, fino a creare una vera e propria religione della forza armata, come si era fatto invece in Germania. Però l’entusiasmo e anche il numero degli uomini non faceva difetto ed in complesso nel maggio 1915 la consistenza dell’esercito era tale da consentire di entrare in guerra con fiducia. Capo di Stato Maggiore – col nome di generalissimo – è Luigi Cadorna. Uomo di formazione sicura, ottimo organizzatore, dotato di una straordinaria competenza in fatto di geografia, fortificazioni, frontiere, istruzioni tattiche di combattimento. Di carattere piuttosto inflessibile, il Generalissimo Cadorna s’insedia con il suo quartiere generale nella cittadina di Udine e, per Luigi Cadorna evitare i dualismi – tanto esiziali, soprattutto in (1850-1928) tempo di guerra – caccia tutti dal quartiere generale, cercando di divenire inaccessibile a tutti. In trenta mesi di guerra– fino a Caporetto – non vide più di otto volte il Re e rifiutò sempre di ricevere personalità del Governo. “Non voglio Deputati, non voglio Senatori”, diceva costantemente. Il Re, conformemente alle tradizioni della sua Casa, parte egli pure per il fronte e vi rimane quasi ininterrottamente fino alla fine delle ostilità. *** L’inizio delle operazioni fu segnato da una rapida avanzata degl’Italiani su tutto il fronte, liberando Ala, Cortina d’Ampezzo, Monfalcone. Poi i fanti s’irrigidirono in una guerra di posizione. Grave errore strategico degl’Italiani – ammisero i commentatori austriaci a guerra ultimata – fu quello di avanzare verso Trieste e Lubiana, mentre il trentino in quei primi giorni della guerra era sguarnito e poteva essere facilmente conquistato. Infatti, più tardi, questo settore presenterà difese inespugnabili e rimarrà sempre un pericoloso cuneo conficcato nello schieramento italiano. Sulle rive del fiume Isonzo furono scatenate, in totale, ben undici durissime battaglie, quattro delle quali in quello stesso anno 1915. I vantaggi territoriali erano minimi e il costo in uomini e materiali fu, invece , altissimo a causa della forte difesa austriaca : ma, si diceva, se non è possibile sfondare e penetrare in profondità, non bisogna però lasciar tregua al nemico. Tener bloccato il nemico sulle Alpi e logorarlo : questo era il compito, questa la parola d’ordine. L’Italia non è la sola belligerante : essa deve coordinare i suoi sforzi al piano comune d’operazioni degli eserciti alleati. Nelle quattro sanguinose offensive del 1915 quasi 200.000 uomini furono perduti. Anche il problema del ricovero dei feriti diventava difficile, poiché, a partire dalla seconda battaglia dell’Isonzo, non ve ne furono mai meno di 30.000 per ciclo operativo. Fu necessario organizzare a ospedali ville private, musei, edifici pubblici. Anche il Quirinale, la dimora del Re, a Roma, subí la stessa sorte, e la sala del trono fu trasformata in corsia di ospedale. *** Sul cappello che noi portiamo c’è una lunga penna nera, che a noi serve da bandiera su pei monti a guerreggiar. Ohilalà ! Indomita resistenza, prodigi di organizzazione, miracoli di adattamento alle condizioni più avverse e nelle zone più impervie, mostrarono 350.000 uomini chiamati “Alpini”, i soldati delle Alpi. La prima leggendaria impresa compiuta dagli Alpini – durante il primo mese di guerra – fu la conquista del Monte Nero. Essi seppero impadronirsene di sorpresa arrampicandosi su di roccia in roccia e giungendo sulla vetta dalla parte più ardua, mentre altri che salivano da un’altra parte, attiravano su di sé l’attenzione del nemico. Impresa che gli stessi Austriaci definirono“un colpo maestro”. Cosí la ricordarono gli Alpini cantando : Spunta l’alba del 16 giugno, comincia il fuoco dell’artiglieria, il 3° Alpini è sulla via, il Montenero a conquistar. Montenero, Montenero, traditor della vita mia, ho lasciato la casa mia, per venirti a conquistar. Monte Nero ( m.2245 ) .....fra le nevi eterne *** ..... Un giorno, al servizio informazioni del Comando Supremo, a Udine, vengono trasmesse alcune pagine scritte in lingua tedesca e rinvenute su un ufficiale di fanteria dell’esercito austro-ungarico, morto a Doberdò, nei primi mesi della guerra. La curiosità si avviva nella speranza di scoprirvi qualche rivelazione utile. Invece, a traduzione ultimata, si rivelano essere pagine di un diario personale. Pagine ricche, però, di una forte carica vitale che sottolineano qualche aspetto dei primi mesi della guerra italiana sul Carso. Ne stralceremo appena qualche linea. giugno 1915 ...Ti ringrazio, Dio onnipotente, per la gioia e l’orgoglio che empiono la mia anima al pensiero che anch’io, piccolo e ignoto servo del mio Imperatore, possa prender parte all’esecuzione del traditore. Dio, soccorrici, perché noi combattiamo per il diritto, per l’impero e per la fede. ..... 21 giugno. S.A.Imperiale e Reale l’Arciduca Ereditario Carlo Francesco Giuseppe si è benignamente degnato di visitare i suoi guerrieri. La mia anima freme ancora... Ho guardato in faccia un Asburgo, ho sentito la sua voce e l’erede del più antico e glorioso trono mi ha parlato e mi ha stretto la mano. Considero la giornata di oggi come il più bel giorno della mia vita. Asburgo, per te vivo, per te vorrei morire. ... 16 luglio. Riceviamo l’avviso che ci sovrasta un attacco generale. 17 luglio. Tremendo bombardamento sovrumano. Un miracolo di essere ancora vivi ! ...Il numero dei feriti è enorme … Gli uomini sono istupiditi dallo spavento ... ci ritiriamo nella dolina. 18 luglio. Il cannoneggiamento si fece follemente violento nella notte. È finita...Però, morire cosí giovane ! ...Ah Italia ! Dio punisca te, il tuo Re, il tuo popolo traditore. Nelle prime ore del mattino il fuoco cessò di violenza... 19 luglio. Da impazzire ! Morti, feriti, perdite enormi. È finita ! Un macello senza esempio. Uno spaventole bagno di sangue. Il sangue scorre ovunque, e tutto all’ingiro giacciono i morti e brandelli di cadaveri, cosicché. A questo punto il diario finisce : la morte è giovane ufficiale devoto alla sua causa. Dolina del Carso venuta a prendere il Anni dopo ritroveremo l’eco di quello stesso orrore proprio nel diario di guerra di quell’Arciduca Ereditario Carlo Francesco Giuseppe d’Asburgo che aveva stretto la mano al giovane ufficiale. Nelle sue “Memorie di guerra”, parlando di Doberdò, l’Arciduca dice : “Giuro in Dio che l’altopiano di Doberdò è la cosa più orribile che si possa immaginare. Doberdò è un mare di fiamme e i tormenti fanno impazzire... Doberdò è un campo di cadaveri nel quale soldati italiani e magiari hanno scritto che cosa sia patriottismo ed eroismo”. Carlo Io, ultimo imperatore d’Austria, morì nel 1922, nell’isola di Madera. Mentre sulle Alpi si lotta e si muore per la Patria, altri soffrono per non poter fare altrettanto. Lo scrittore Luigi Pirandello è a Roma. Ha un figlio al fronte. Le tradizioni risorgimentali della sua famiglia vorrebbero che egli pure partisse per il fronte...ma egli è già sulla cinquantina e non ha mai maneggiato un’arma. Allora, che fare ? Si sfoga con la penna. Rifugiandosi sotto il nome immaginario di Berecche, professore di storia in ritiro, egli si proietta lontano lontano nello spazio e nel tempo, e medita, a modo suo, sulla guerra. Luigi Pirandello (1867- 1936) “Berecche – egli racconta – quella sera s’appressa alla finestra più vicina, siede e si mette a guardare le stelle. ..... ..... ... Domani, tra mille anni, un altro Berecche professore di storia dirà ai suoi alunni, che intorno al 1914 c’erano ancora potenti e fiorenti nel centro d’Europa due imperi : uno detto di Germania, su cui sedeva un Guglielmo II d’una dinastia scomparsa, che pare fosse detta degli Hohenzollern ; e detto, l’altro, impero d’Austria, su cui sedeva vecchissimo un Francesco Giuseppe della dinastia degli Asburgo. Erano questi due imperatori tra loro alleati e forse entrambi, almeno a quanto si suppone per certi dati, benché a lume di logica non paja verosimile, alleati anche col re d’Italia, un Vittorio Emanuele Terzo della dinastia di Savoia, il quale però, almeno in principio, mancò alla guerra che quell’imperatore di Germania, togliendo – pare – a pretesto l’uccisione per mano dei Serbi di un tal Francesco Ferdinando arciduca ereditario d’Austria, stupidamente mosse contro la Russia, la Francia e l’Inghilterra, allora anche esse alleate tra loro e potentissime, una segnatamente, l’Inghilterra, padrona in quel tempo dei mari e d’innumerevoli colonie. Cosí, tra mille anni – pensava Berecche – questa atrocissima guerra, che ora riempie d’orrore il mondo intero, sarà in poche righe ristretta nella grande storia degli uomini ; e nessun cenno di tutte le piccole storie di queste migliaja e migliaja di esseri oscuri, che ora scompajono travolti in essa, ciascuno dei quali avrà pure accolto il mondo, tutto il mondo in sé e sarà stato almeno per un attimo della sua vita eterno, con questa terra e questo cielo sfavillante di stelle nell’anima e la propria casetta lontana lontana, e i proprii cari, il padre, la madre, la sposa , le sorelle, in lagrime e, forse, ignari ancora e intenti ai loro giuochi, i piccoli figli, lontani lontani. Quanti, feriti non raccolti , morenti su la neve, nel fango, si ricompongono in attesa della morte e guardano innanzi a sé con occhi pietosi e vani, e più non sanno vedere la ragione della ferocia che ha spezzato sul meglio, d’un tratto, la loro giovinezza, i loro affetti, tutto per sempre, come niente ! Nessun cenno. Nessuno saprà. Chi le sa, anche adesso , tutte le piccole, innumerevoli storie, una in ogni anima dei milioni e milioni di uomini di fronte gli uni agli altri per uccidersi ? Anche adesso, poche righe nei bollettini degli Stati Maggiori : - s’è progredito, s’è indietreggiato ; tre , quattro mila tra morti, feriti e scomparsi. E basta... *** Gabriele D’Annunzio, invece, dal giorno in cui si sono aperte le ostilità non sa darsi pace. Egli sa maneggiare le armi, sa cavalcare , sa anche pilotare gli aeroplani, ma, per riguardo alla sua età (ha gia 52 anni) e per il suo prestigio come poeta d’Italia lo si vuole distornare dal prender parte alla guerra. Allora egli prende la penna e scrive al Capo del Governo : “Mi sento incapace di comporre un verso oggigiorno ... Come si può parlare della mia vita preziosa e di altre simili futilità ? Non sono l’uomo di lettere che voi immaginate, in pantofole e calottina. Io sono un soldato e voglio vivere come un soldato”. Lo si accontenta, dunque, il Poeta-soldato e gli si permetterà di trasformarsi in combattente di terra, di mare e di aria a suo piacimento. Gabriele D’Annunzio Il poeta parte per il fronte. Come gli uomini del Rinascimento egli mostrerà poi di saper maneggiare cosí bene la penna che la spada. Compie voli su Trieste, Trento, Zara, lasciando cadere volantini di incitamento alla resistenza e alla lotta. Una volta, per evitare la contraerea, sale a oltre 4000 metri, altezza sbalorditiva per quei tempi. Un’altra volta, in un volo, sgancia sette delle otto bombe che porta il suo apparecchio : l’ottava gli s’incaglia fra il carrello. Ogni sforzo per rimuoverla è inutile ; allora egli è costretto a fare un atterraggio rasente sull’acqua del mare. Avevano detto che D’Annunzio era un corteggiatore di belle dame egli mostrerà, ora, di saper corteggiare anche la morte ! *** : Arriviamo cosí alla fine di questo 1915, certamente molto lontani dai piani iniziali, Vienna e le pianure magiare ! Nondimeno l’Italia si è coperta di una discreta gloria. Anche altrove le cose non vanno molto diversamente. Ormai appare chiaro che gl’Imperi Centrali hanno la scorza dura : solo un coordinamento di tutti gli sforzi alleati, mediante offensive d’insieme intelligentemente concordate, potrà permettere di aver ragione dell’avversario. Verso la fine di quell’anno viene in Italia il Maresciallo francese Joffre. Il Re accompagna il Maresciallo in ispezione al fronte. Joffre dichiara di non aver visto nulla di tanto arduo. Un giorno arrivano fin nella conca di Caporetto, ove consumano una colazione sull’erba, certo ignari di quali e quanti sacrifici sia ancora avido l’avvenire. Ma lí, a due passi, sotto quel cielo, fra quelle vette, ci sono i giovani – i giovani che non credono alla morte – e che cantano : E tu, Austria, che sei la più forte, fatti avanti se hai del coraggio ; e se la bubba ti lascia il passaggio, noialtri alpini fermarti saprem. Care mamme, che tanto pregate, non disperate pei vostri figlioli, ché qui sull’alpe non siamo noi soli, c’è tutta Italia che a fianco ci sta. *** Al Teatro Balbo di Torino la cantante Gea della Garisenda interpreta i sentimenti del Paese : A Tripoli! Tripoli, bel suol d’amore, sarà italiana al rombo del cannon… 5 ottobre 1911 Occupazione di Tripoli tra l’entusiasmo popolare e il consenso – quasi totale – della Nazione. Cagni a cui fu affidato il comando del corpo di sbarco. Caneva il comandante delle truppe, ascendenti a più di 20.000 soldati. C’è la stampa. Luigi Barzini (a terra) del “Corriere della sera” e Corrado Zoli (a cavallo) del “Secolo”, 10 dic. 1911. Piazza il capitano pilota, il primo a volare in Libia, 22 ott. 1911. C’è anche la radio ! Guglielmo Marconi e la sua radio nella base di Tobruk, alla fine del dic.1911. Il monumento ai Caduti di Tripoli, opera dell’architetto Armando Brasini. Inaugurato nel 1925 dal ministro delle Colonie on. Di Scalea. 1911 -1912 : la Libia ? “ uno scatolone di sabbia”. Definizione meditata e scritta da Francesco Saverio Nitti. PAPÀ È LONTANO. Una vignetta pubblicata nel Natale 1911. La madre, assorta, dice al bambino : “Vedi come è lontano il papà ?” GOFFREDO MAMELI (Genova 1827- Roma 1849) Fu poeta : giovinetto, scriveva versi. Fu patriota : adulto, si gettò volontario nella lotta per la libertà e per la patria. Partecipò attivamente a manifestazioni patriottiche in diverse città d’Italia. Prese parte alle vicende della prima guerra per l’indipendenza. Combattè sul Gianicolo al tempo della Repubblica Romana, nel 1849 : ferito mortalmente, l’amputazione della gamba non lo salvò dalla morte che lo colse il 6 luglio di quell’anno. Mameli è considerato il più legittimo discepolo di Mazzini. Il Canto degli Italiani : Fratelli d’Italia. (scritto da G.Mameli e musicato da M.Novaro) Fratelli d’Italia, l’Italia s’è desta, dell’elmo di Scipio s’è cinta la testa ; dov’è la Vittoria ? le porga la chioma, ché schiava di Roma Iddio la creò. Stringiamoci a coorte, siam pronti alla morte ; Italia chiamò. Noi siamo da secoli calpesti, derisi, perché non siam popolo, perchè siam divisi ; raccolgaci un’unica bandiera, una speme ; di fonderci insieme già l’ora suonò. Stringiamoci ….. Uniamoci, amiamoci ; l’unione e l’amore rivelano ai popoli le vie del Signore. Giuriamo far libero il suolo natio : uniti, per Dio, chi vincer ci può ? Stringiamoci …. ................................... Il Canto degli Italiani inizialmente cominciava con le parole “Evviva l’Italia !” . Michele Novaro, con ampio consenso di Mameli, sostituì “Evviva l’Italia !” con “Fratelli d’Italia”. Qual è l’origine dell’inno ? Una sera di quel lontano 1847, in un circolo di mazziniani c’è anche, fra gli amici, Michele Novaro : sono intenti a scovare qualche bella musica di carattere patriottico, quando giunge da Genova un certo Ulisse Borzino, pittore. Entra. Saluta. Poi, rivolgendosi a Michele, cava di tasca un foglietto, glielo porge, “Tieni”, gli dice, “te lo manda Goffredo”. Novaro prende il foglietto, lo apre, scorre con l’occhio su quelle parole “...l’Italia s’è desta… noi non siam popolo, perchè siam divisi… uniamoci…” . Triste realtà di quei tempi : l’Italia non è una, è divisa in sette stati, non segue un’unica bandiera e vive oppressa sotto il piede straniero. Novaro si congeda dagli amici. Rincasa. Si sente ispirato dalle parole di Goffredo. Non può dormire. Si siede al pianoforte. Strimpella fino a notte alta e in poche ore riesce a comporre quelle note che insieme alle parole dovranno elettrizzare tutti gl’Italiani. L’inno è nato. “Fratelli d’Italia” piacerà anche a Verdi, che, nell’Inno delle Nazioni, del 1862, affiderà proprio all’Inno di Mameli, e non alla Marcia Reale, il compito di simboleggiare l’Italia. L’inno inizia con un richiamo all’ “antico valore”, cioè, alla romanità. L’Italia s’è desta : pronta alla guerra, cinge la testa dell’elmo di Scipione, il condottiero romano vincitore d’Annibale a Zama. Dov’è la Vittoria ? La dea romana, per volere divino schiava di Roma, deve rassegnarsi al taglio della chioma, secondo l’antico costume degli schiavi di sottostare al taglio dei capelli in segno di servitù. L’Inno di Mameli fu cantato durante tutto il periodo risorgimentale. Divenne provvisoriamente Inno Nazionale della Repubblica Italiana il 12 ottobre 1946. Solo di recente è stato ammesso per legge. “Fratelli d’Italia” è il grido concorde di un popolo che insorge contro i suoi oppressori. È radicato ormai nella tradizione e negli affetti del popolo italiano. È una reliquia preziosa del passato, da non dimenticare. Michele Novaro (1822- 1885) Michele Novaro riposa nel Cimitero di Staglieno (a Genova) vicino alla tomba di Giuseppe Mazzini. Sul monumento funebre si leggono le parole: Artefice di possenti armonie ond’ebbe Italia quel canto che ridestava nel cuor degli oppressi la coscienza dell’antico valore..... Trionfa in Italia l’idea unitaria. 14 marzo 1861 : il disegno di legge per la proclamazione del Regno d’Italia viene approvato dal primo parlamento italiano, a Torino. 17 marzo 1861 : il disegno di legge ottiene la sanzione reale. 25 marzo 1861 : ha inizio nella stessa camera la discussione su Roma capitale. 27 marzo 1861 : memorabile discorso di Cavour (“La stella d’Italia è Roma. Ecco la nostra stella polare. Bisogna che la città eterna, sulla quale venticinque secoli hanno accumulato tutte le glorie, sia la capitale d’Italia...”). 6 giugno 1861 : ...padre Giacomo arrivò alle cinque e mezzo con gli Olii Santi. Cavour lo riconobbe, gli strinse la mano e disse : “Frate, frate, libera Chiesa in libero Stato”. Furono le sue ultime parole... giovedì 6 giugno alle ore 6 e tre quarti del mattino il Conte rese l’anima a Dio. William de la Rive (Vita di Cavour) 2 ottobre 1870 : Plebiscito per Roma e provincia. La formula a cui i Romani saranno chiamati a rispondere : “Vogliamo la nostra unione al Regno d’Italia sotto il governo monarchico e costituzionale del Re Vittorio Emanuele II e suoi successori”. Nella città : voti favorevoli 40.785, contrari 46. Dopo il plebiscito il Re Vittorio Emanuele II ebbe a dire : “Con Roma capitale ho sciolto la mia promessa e coronato l’impresa che ventitré anni or sono veniva iniziata dal mio magnanimo genitore”. Giovanni Giolitti Uno dei maggiori uomini politici del suo tempo, Giolitti fu cinque volte Presidente del Consiglio. Uomo di buon senso, con una staordinaria capacità di riassumere e semplificare le questioni più compelsse. L’on. Giovanni Giolitti (1842-1928) Difficile la situazione internazionale dell’Italia nel 1914, costretta a destreggiarsi tra l’Alleanza e l’Intesa, tra le sue necessità mediterranee, rese più sensibili dalla sua presenza sull’altra sponda di quel mare, e le mai dimenticate aspirazioni irredentistiche, alle quali l’Austria, con l’intensificata lotta contro l’elemento italiano nella Venezia Giulia, offriva continui incitamenti. E le difficoltà di quei tempi erano esasperate da avvenimenti d’ogni natura, come quando, nell’Estate 1912, la Triplice Intesa concentrava significativamente l’intera flotta francese in Mediterraneo, o, nell’aprile 1913, l’Austria chiedeva al governo italiano il consenso ad una dimostrazione contro la Serbia. Giolitti rifiutava immediatamente, precisando che il fine dell’Italia non poteva essere che uno solo : « Evitare che avvenga una guerra europea; e se questa avvenisse non averne la responsabilità e non esservi implicati». E ancor più recisamente, nel successivo agosto, fondandosi sul testo stesso della Triplice, il vecchio uomo di Stato negava all’Austria il diritto di agire con la forza contro la sua inquieta vicina meridionale. Per due volte, in uno stesso anno, l’Austria aveva dovuto rinunciare ai suoi propositi di vendetta contro la piccola Serbia e l’Italia aveva qualche merito nel far dileguare l’incubo d’un conflitto europeo. Ma quando, il 28 giugno 1914, le revolverate dei cospiratori di Sarajevo abbatteranno, nella capitale di quella Bosnia che era meta e sogno dell’irredentismo serbo, l’arciduca ereditario d’Austria Francesco Ferdinando, non sarà più possibile evitare la tragedia. E nel baratro aperto precipiterà tutto un mondo, quello che la generazione che vi aveva avuto educazione e dimora rimpiangerà sempre, con il nobile scrittore Stefan Zweig, come « il mondo della sicurezza e della ragione creatrice ». (Alberto M. Ghisalberti : “L’Italia dal 1870 al 1915” ; “Addio mondo di ieri”). 24 maggio 1915 : inizio delle ostilità. Si parte. Le tradotte portano al fronte reggimenti di mariti, di fidanzati... Il fucile modello ’91 in dotazione ai fanti della prima guerra mondiale. Quando la nuova arma venne collaudata dai tecnici militari, gli strateghi ne furono subito entusiasti. “Le battaglie del futuro – essi affermarono – saranno certo corte e micidiali”. Putroppo soltanto la seconda previsione fu esatta. La pistola-mitragliatrice Fiat cal.9, modello 1915, accanto al cappello di un alpino. Cannone Déport da 75/27, modello 1911, che sostituí le vecchie artiglierie con bocche da fuoco in bronzo. Le Alpi sono il maestoso teatro della nostra guerra. La linea di combattimento è lunga oltre 600 chilometri : dal passo dello Stelvio al Mare Adriatico. Settore di Trento, in cui prevalse Settore dell’Isonzo, in cui fu sempre desto la tattica difensiva. lo spirito offensivo. A. Italia : Fanteria, 157o e 158o Reggimento, Brigata «Liguria», Maggiore, 1916. A. Austria : Imperiali Cacciatori 4o Reggimento, Capitano, 1914. B. Italia : Alpini, Caporale, 1917. B. Austria : Cacciatori delle Alpi, Soldato, 1917. tirolesi, Estate 1917. Sul Pasubio. Il generalissimo Cadorna si intrattiene con un ufficiale della Brigata “Liguria”. Cadorna lasciò il comando dell’esercito italiano l’8 nov.1917 (in seguito alla rotta di Caporetto), e fu nominato membro del Comitato consultivo militare interalleato di Versailles, del quale fece parte per alcuni mesi. Nel 1919 governo e parlamento lo privarono del titolo e dei possedimenti. Nel 1924 il governo fascista lo richiamò in servizio conferendogli il grado di Maresciallo d’Italia. “... i tratti singolari della sua figura : quasi tutti gli negano il genio, la fantasia, la capacità di farsi amare dall’esercito ; nessuno gli contesta il carattere, la tenacia, le doti di grande organizzatore... Meticoloso nel badare all’equipaggiamento, alle scorte, alle munizioni, ai collegamenti logistici, pareva non accorgersi che il morale degli uomini è un fattore altrettanto decisivo della vittoria.” (Mario Costa : Cadorna, lo sconfitto di Caporetto) L’Isonzo Questo è l’Isonzo e qui meglio mi sono riconosciuto una docile fibra dell’universo G.Ungaretti (I fiumi ) Con questo nome comprensivo si possono indicare le lotte che, dal maggio 1915 all’ottobre 1917, si svolsero nel tratto da Plezzo al mare. Anche nel passato sulle rive dell’Isonzo furono frequenti gli scontri, perché questo fiume rappresentava un ostacolo alle invasioni ed una difesa per la regione veneta. “Non ho mai visto acque più cerulee di quelle dell’Isonzo ! Strano ! Mi sono chinato sull’acqua fredda e ne ho bevuto un sorso con devozione. Fiume sacro !” B.Mussolini (dal “Diario di guerra” ) Questa fotografia, presa su una quota del Montenero, rappresenta l’incredibile situazione nella quale si condusse la guerra dal 1915 al 1917. Trincee scavate su picchi vertiginosi, accanto alle nevi eterne, senza la più piccola probabilità o possibilità di modificare le linee, neanche con i più costosi attacchi. Un sanguinoso assurdo. D’Annunzio vola su Trieste Battaglia nei cieli Non fu troppo ottimista il generalissimo Cadorna ? Questo è il piano d’attacco previsto da Cadorna prima del maggio 1915. Tre nostre armate, passando per Lubiana, dovevano giungere sulla Drava e spingersi fino a Vienna o a Budapest. Verso la fine del 1915 il Maresciallo francese Joffre viene in Italia. Cadorna accompagna il Maresciallo in ispezione al fronte. Joffre dichiara di non aver visto nulla di tanto arduo. Un giorno il Re e il Maresciallo Joffre arrivano fin nella conca di Caporetto, ove consumano una colazione sull’erba, certo ignari di quali e quanti sacrifici sia ancora avido l’avvenire. Sull’erba di Caporetto Nel maggio del 1916 il generale austriaco Conrad decide di organizzare una grande offensiva contro l’Italia sul settore trentino. Il generale Conrad è l’avversario numero uno dell’Italia. Egli è ossessionato da un’idea : mettere l’Italia fuori combattimento. Radunati 400.000 uomini e ingentissime quantità di materiale bellico, dopo violentissimi bombardamenti, tenta di irrompere nella pianura veneta e di raggiungere il Po scendendo alle spalle della massa principale dell’esercito italiano. Questa operazione venne chiamata “Strafe Expedition” , cioé “operazione punitiva”. E la punizione era per quel distacco dell’Italia dalla Triplice che gli Austriaci consideravano“tradimento”! Se il generale Conrad fosse riuscito nel suo intento, avrebbe ripristinato i vecchi confini del 1866, sulla linea Mincio-Po ; invece dopo un parziale avanzamento al centro del settore, il generale dovette fermarsi perché minacciato dalla posizione delle ali italiane che “tennero duro” sul Passo Buole e sul Pasubio. Fra avanzamenti e ripiegamenti questa campagna costò agl’Italiani ben 148.000 morti, agli Austriaci 100 mila. Franz Conrad von Hötzendorf (1852-1925) Grande organizzatore, si rivelò deficiente stratega. È il grande nemico dell’Italia. Ma dopo lo scacco del giugno 1918 fu collocato a riposo. Fu fatto prigioniero in quei giorni il patriota Cesare Battisti. Ed essendo egli suddito austriaco che combatteva per l’Italia, fu processato a Trento come reo di alto tradimento e impiccato. Allo scoppio della guerra, quando l’Italia era ancora neutrale, egli aveva scritto : “Farei torto ai cuori gentili, se osassi supporre che lo strazio delle madri di Trento e Trieste crudelmente private dei figli condotti al macello sui campi di Galizia, non sia condiviso dalle madri tutte d’Italia. Quanti sentono lo sdegno verso un tale governo, devono cooperare a ciò che esso sia cancellato dalla faccia della terra. Contro di esso devono sorgere i vivi e i morti d’Italia. Coi vivi sarà, nel momento della grande riscossa, Garibaldi. E io mi auguro che quando la Patria chiamerà i suoi figli alle armi per compiere l’opera dell’eroe, tutti gl’Italiani col cuore stesso, con lo Cesare Battisti (1875 -1916) stesso spirito che ebbe Garibaldi, al di sopra di ogni interesse personale, di ogni ambizione, d’ogni meschina gara di parte, tutti sappian rispondere : Siam pronti. Obbediamo !”. Condivise la sorte e la gloria di Cesare Battisti un altro trentino : Fabio Filzi. Per l’Italia essi furono altri martiri da aggiungere alla lunga corona dei Martiri del Risorgimento. *** Il parziale successo della “Strafe Expedition” di Conrad aveva intanto ingenerato un po’ di panico alla Camera del Governo. Con voce scherzosa quel panico si chiamava “fifa”, parola che entrerà proprio in quel tempo nel vocabolario della lingua comune. Ora la Camera ricordava in che modo era stata messa dentro la guerra. Salandra aveva avuto il torto di credere che la guerra sarebbe stata breve e gli avvertimenti di Giolitti ritornavano ora in mente ! Cade dunque Salandra – il quale si bisticciava anche apertamente con Cadorna – e succede Boselli che a settantotto anni di età non avrà voglia, si spera, di fare altrettanto. L’arresto della minaccia sul fronte trentino fu subito seguito da un’offensiva sul fronte dell’Isonzo. La Terza Armata, al comando del Duca d’Aosta, riesce a conquistare, nell’agosto di quell’anno, la città di Gorizia. Le battaglie di quei giorni portano i nomi delle alture brillantemente conquistate, anche se a duro prezzo : Sabotino, Podgora, San Michele. Meritò, in quei giorni, la medaglia d’oro al Il Duca d’Aosta valore Enrico Toti : il bersagliere ciclista con (1869-1931) una gamba sola ! C’era là, sul San Michele, anche il nostro caro poeta Giuseppe Ungaretti. Nato ad Alessandria d’Egitto, da genitori italiani, egli era là vestito dell’uniforme del semplice fante, a servire la terra dei suoi padri. “Non divenni neanche caporale, egli dice, perché non sapevo assolutamente comandare”. In mezzo alla visione cosí disumana della morte e della sofferenza egli afferma : “Non è bello indicare la guerra come elemento rivelatore a un uomo di sé stesso, ma d’altra parte questo contatto costante con la morte cieca, perigliosa, fu per me un’esperienza grandissima”. Nelle soste, nei silenzi improvvisi del fronte, scriveva seduto per terra i versi di quell’esperienza drammatica : Italia Sono un poeta un grido unanime sono un grumo di sogni Sono un frutto d’innumerevoli contrasti d’innesti maturato in una serra Ma il tuo popolo è portato dalla stessa terra che mi porta Italia E in questa uniforme di tuo soldato mi riposo come fosse la culla di mio padre Giuseppe Ungaretti Sentiamo ora dalla sua stessa voce la lettura di : Sono una creatura Come questa pietra del S.Michele cosí fredda cosí dura cosí prosciugata cosí refrattaria cosí totalmente disanimata Come questa pietra è il mio pianto che non si vede La morte si sconta vivendo *** Nella seconda metà di agosto l’Italia dichiara guerra anche alla Germania. Questa volontà di una più stretta collaborazione con gli Alleati venne espressa dal nuovo Governo Boselli, che, per la partecipazione di tutti i partiti interventisti, fu detto Ministero Nazionale. Dopo la presa di Gorizia, la guerra si stabilizzò ancora. Intanto si combatteva anche sui mari. Anzi, fu proprio in quei giorni d’agosto 1916 che l’Italia noverò fra i suoi figli del mare un altro martire illustre : Nazario Sauro. Marinaio puro sangue, l’istriano Nazario Sauro aveva prestato servizio nella marina mercantile austriaca. Allo scoppio delle ostilità si era espatriato con grande rischio ed era divenuto Tenente di Vascello nella Marina italiana. Pratico dei luoghi, egli diresse molte operazioni di siluranti italiane. Ma una di queste doveva riuscirgli fatale : essendosi il suo sommergibile incagliato sulle coste nemiche, venne catturato, riconosciuto e impiccato a Pola. Quando l’ammiraglio Cagni, alla testa delle navi italiane, entrò in Pola redenta, sua prima cura fu di ritrovare la salma dell’eroe, e il martire ebbe allora la sua apoteosi. La flotta austriaca di alto mare (come, del resto, anche quella tedesca) sfuggiva le battaglie e restava ancorata nei porti, protetta da insormontabili sbarramenti di mine. I caccia, gli incrociatori, i sommergibili furono i soli a svolgere attività. Compito dei nostri marinai era andare a colpire il nemico anche nei suoi rifugi. Le forze navali italiane avevano le loro basi a Venezia, Brindisi e Taranto. Imprese audacissime furono compiute da veloci, minuscole navi a motore, create per dar la caccia ai sommergibili e chiamate con la sigla M.A.S, che significa appunto “Motoscafo anti-sommergibile”. Gabriele D’Annunzio – che si avventurò anche sul mare in azioni di grande valore – non contento di quel lungo e troppo prosaico nome “Motoscafo antisommergibile”, prese un giorno la sua bacchetta magica, toccò la sigla M.A.S. che diventò “Memento Audere Semper” , cioè “Ricordati di osare sempre”. Motoscafo anti-sommergibile *** Non soltanto sulla terra e sul mare, ma anche nei cieli la guerra moltiplica i suoi agguati. L’undici di novembre la città di Padova è bombardata da aeroplani austriaci : più di ottanta vittime, fra cui donne e bambini. Un giorno, di ritorno da un volo sopra le linee nemiche, Gabriele D’Annunzio perde l’occhio suo destro, che nell’atterraggio va a sbattere contro la mitragliatrice di bordo. È obbligato a stare in letto , con la testa più bassa dei piedi e col pericolo di perdere la vista. A letto, per non perder tempo, scrive il “Notturno” che è una delle sue opere di rilievo. Ma appena due mesi dopo era già nei cieli, un’altra volta, nonostante tutte le raccomandazioni di non avventurarsi con un occhio solo. “Ho perduto un occhio – egli diceva – e come sarebbe a dire ? L’altro non basta ?...Pensate ai Cilclopi che avevano un occhio solo e potevano compiere il loro lavoro in qualsiasi fucina”. *** Il ventun novembre muore Francesco Giuseppe, l’Imperatore d’AustriaUngheria. Egli detiene un primato : 68 anni di regno ! Per tenere insieme quella sua numerosa, eterogenea famiglia, quante volte non aveva dovuto fare il duro ! guadagnandosi cosí il nomignolo sinistro di ..... imperatore degli impiccati ! (1830 – 1916) Trentacinque anni prima – il 20 dicembre 1882 – aveva fatto impiccare il ventiquattrenne triestino Guglielmo Oberdan : il primo dei martiri per l’italianità di Trieste. “La causa di Trieste – aveva detto Guglielmo Oberdan – ha bisogno di un martire triestino”. Alla notizia della condanna, Giosue Carducci aveva scritto su un periodico di Bologna : “Italiani, facciamo un monumento a Guglielmo Oberdan ! ...Guglielmo Oberdan ci getta la sua vita e ci dice “Eccovi il pegno. L’Istria è dell’Italia”. Rispondiamo : Guglielmo Oberdan, noi accettiamo. Alla vita e alla morte. G.Carducci Riprendemmo Roma al Papa, riprenderemo (1835- 1907) Trieste all’Imperatore. A questo imperatore degl’impiccati”. *** Anche il 1916 se ne va lasciando in tutti i belligeranti un’impressione di stanchezza. Sui fronti occidentali – in Francia come in Italia – le operazioni militari assumono il carattere di lunghe battaglie di logoramento, anziché di manovra per una rapida vittoria, giudicata impossibile. I belligeranti si sforzano di risparmiare gli uomini aumentando l’impiego delle artiglierie e dei mezzi blindati. Fanno la loro comparsa i primi carri d’assalto – enormi– ma sono ancora pochi. Danno invece risultati importanti gli aeroplani da bombardamento e da combattimento, il cui numero viene incessantemente aumentato. La guerra sottomarina si estende a tutti i mari. Sono grandemente aumentati nel 1916 il numero e l’impiego dei mezzi automobilistici. Ma i mezzi motorizzati non trovano accesso dappertutto : e ci sono tante vette, tante creste impervie ove i pezzi d’artiglieria, le munizioni, i viveri, i pacchi dono per le feste arrivano unicamente a dorso di mulo. Su quelle postazioni alpine, talvolta a oltre 3000 metri, non si odono che gli uccelli rapaci, il ta-pum caratteristico dei fucili austriaci e il rombo del cannone. Non più coperte, lenzuola, cuscini, non più il sapore dei caldi tuoi baci, solo si sentono gli uccelli rapaci fra la tormenta e il rombo del cannon . *** Cesare Battisti il 12 luglio 1916 chiudeva sul patibolo la sua vita dedicata, interamente e con ardore, alla lotta per gl’ideali del riscatto nazionale e della democrazia socialista. Nacque a Trento. Volle combattere tra gli Alpini come soldato semplice. Col suo valore conquistò il grado di tenente. Il 10 luglio 1916, alla testa della sua compagnia, muove all’assalto di una forte posizione nemica. Circondato da forze soverchianti, cade nelle mani degli Austriaci. Riconosciuto, processato come colpevole di alto tradimento, fu condannato a morte. L’ultimo suo grido fu : “Viva l’Italia !”. L’irredentismo al patibolo Guglielmo Oberdan, il primo martire per l’italianità di Trieste, si recò nella sua città col proposito d’attentare alla vita dell’imperatore d’Austria, ma più ancora, per sacrificarsi. “La causa di Trieste – diceva– ha bisogno d’un martire triestino”. Catturato e processato, ammise il suo intento ed affrontò stoicamente la morte, il 20 dicembre 1882. Aveva soltanto ventiquattro anni. Fabio Filzi, di Pisino d’Istria, attivo irredentista. Quando iniziò la guerra disertò dall’esercito austriaco per arruolarsi negli Alpini. Durante un’azione sul Monte Corno, egli venne catturato con Battisti e fu come lui impiccato nella fossa del castello del Buon Consiglio a Trento il 12 luglio 1916. Cesare Battisti in catene ad Alden il 10 luglio del 1916, poche ore dopo essere stato catturato sul Monte Corno, in Vallarsa. Processato per direttissima sotto l’accusa di alto tradimento, fu condannato a morte da un tribunale austriaco e impiccato con Fabio Filzi la sera del 12 luglio 1916. Nazario Sauro venne catturato dagli Austriaci sul canotto col quale si allontanava dal suo sommergibile incagliato in Adriatico. Fervente assertore dell’italianità di Trieste, volontario nella Marina italiana allo scoppio della Grande Guerra, verrà processato e giustiziato il 10/08/1916. Era nato a Capodistria nel 1880. Emanuele Filiberto di Savoia Savoia-Aosta Il Duca d’Aosta guidò la IIIa Armata senza mai subire sconfitte (donde l’appellativo di Duca Invitto). ). Riuscì a conquistare Gorizia nel 1916. Nel 1926 fu nominato Maresciallo d’Italia. Per sua volontàà venne sepolto nel Sacrario Militare di Redipuglia. Gorizia La cittadina di Gorizia è abituale punto di partenza per la visita dei più interessanti campi di battaglia della Grande Guerra. Sacri nel cuore degli Italiani sono anche i dintorni della città per l’aureola di gloria e di dolore che li circonda : Monte Santo, Podgora, San Michele,, Sabotino, Bainsinzza,..... Gorizia A datare dal 1500 la cittadina di Gorizia appartenne alla Casa d’Austria : vi fu ammessa dall’Imperatore Massimiliano Io (1459-1519). 1519). Più tardi o l’Imperatore Leopoldo I (1640-1705), 1705), trovandosi a soggiornare in Gorizia – ricercata per la dolcezza del clima e la posizione incantevole – scriveva scriv : “Il paese, il clima, il non sentir favellare altra lingua che l’italiano, mi fanno scrivere anche nella medesima”.. Enrico Toti C’è anche la medaglia d’oro Enrico Toti…! Popolano di Roma, Enrico Toti (1882-1916), benchè mutilato di una gamba per infortunio sul lavoro, riuscí con grave difficoltà a farsi arruolare nel 3º battaglione Bersaglieri ciclisti. Cadde eroicamente a Quota 85 presso Monfalcone il 6 agosto 1916, dopo aver compiuto prodigi di valore : l’ultimo gesto fu di scagliare la sua gruccia contro il nemico. Gli fu conferita la medaglia d’oro al valore. Un monumento, opera espressiva dello scultore A.Dazzi, fu elevato nel 1922, sul Pincio a Roma, all’eroico popolano il cui gesto è diventato mito, leggenda, sintesi radiosa della passione gloriosa della Patria. Il caporale Benito Mussolini (1883-1945) San Martino del Carso Di queste case non è rimasto che qualche brandello di muro Di tanti che mi corrispondevano non è rimasto neppure tanto Ma nel cuore nessuna croce manca È il mio cuore il paese più straziato. il 27 agosto 1916 La motivazione della nomina a caporale : “Per l’attività sua esemplare, l’alto spirito bersaglieresco e serenità d’animo ; primo sempre in ogni impresa di lavoro o di ardimento ; incurante dei disagi, zelante e scrupoloso nell’adempimento dei suoi doveri.” Il fante Giuseppe Ungaretti (1888- 1970) Quest’ immagine era cara al poeta : gli ricordava i primi versi scritti sul Carso. (di A. Selva, in Trieste ) Monumento a Guglielmo Oberdan Guglielmo Oberdan nacque a Trieste nel 1858. Non volle prestare servizio militare sotto la Bandiera dell’Austria. Fu condannato all’impiccagione il 20 dicembre 1882. Appena ventiquattrenne, di bell’aspetto, si legge che salì al patibolo sorridendo e, porgendo la testa al cappio del boia, gridò con forza : “Evviva l’Italia ! Evviva Trieste libera ! Fuori lo straniero !”. Oberdan è all’avanguardia di coloro che col sacrificio della vita hanno riscattato la Patria dallo straniero e risvegliati gli animi dalla secolare abitudine al servaggio. Nel cinquantenario della morte Mussolini volle che gli fossero rese onoranze in ogni parte del Regno mettendolo sull’Altare delle Glorie d’Italia. …i mezzi motorizzati non trovano accesso dappertutto : i mezzi d’artiglieria, le munizioni, i viveri, e i pacchi dono per le feste arrivano unicamente a dorso di mulo... Sono passati molti mesi dall’inizio del conflitto. Un mulo affronta i nevai per portare doni ai soldati. Disegno di A.Beltrami (sulla “Domenica del Corriere” ) che nel suo patriottico candore abbraccia gli sforzi dei combattenti e di coloro che a casa ne attendono con ansia il ritorno. La guerra parve sbizzarrirsi anche di più nel 1917. Molti dovevano domandarsi, e non senza ragione, se mai si sarebbe arrivati a vedere la fine di un simile conflitto che tendeva ad estendersi piuttosto che a restringersi. Già pareva un’eternità il tempo che era durato. Quante volte l’umanità si era sentita annunciare la propria fine senza che questa poi si avverasse. Era questa, forse, la catastrofe universale foriera della fine ? Tanto valeva, dunque, fermarla questa macchina bellica : ma quel era il congegno d’arresto ? dov’era ? e chi era capace di metterlo in azione ? Fu in quell’anno che si parlò di “pace bianca”, cioé, pace senza annessioni. Fu in quell’anno che il Papa – Bendetto XVo – parlò di “inutile strage”. Wilson, Presidente degli Stati Uniti d’America, il 22 gennaio espone, in un messaggio al senato, le proprie idee sulle condizioni di una pace “duratura” fondata sulla libertà delle nazioni. Ma questa intromissione parve un “dettato” alla Germania, la quale rispose annunciando una lotta ad oltranza della flotta tedesca contro tutti i traffici marittimi, degli Alleati e dei neutri. Gli Americani – che erano già stati toccati, nel 1915, con la famosa tragedia del “Lusitania” – nell’aprile di quel 1917 si dichiarano in guerra con la Germania. Il Papa Bendetto XVo (1854-1922) Thomas Woodrow Wilson (1856–1924) In aprile pure, il fuoruscito Lenin arriva alla stazione di Pietroburgo accolto dalla banda che suona la Marsigliese. Lenin vuole creare un uomo nuovo, “una società comunista”. È l’ora della Rivoluzione : “Il problema fondamentale della Rivoluzione – dice Lenin – è il problema del potere”. Lenin (1870-1924) Cosí, mentre gli Stati Uniti d’America s’immischiano negli affari dell’Europa, la Russia se ne ritira. *** In Italia la guerra continua col solito ritmo. Attacchi e contrattacchi “a tutto sangue”. In maggio comincia la decima battaglia dell’Isonzo, più vasta e più importante delle precedenti. Da Tolmino al mare, durante tre settimane, è uno scatenarsi furibondo di uomini e di mezzi. Migliaia di morti, migliaia di prigionieri per raggiungere alcune posizioni più avanzate, il Monte Santo, l’Hermada. Nel settore trentino un’azione sull’Ortigara fa tremare, durante venti giorni, le pendici del monte sotto gli schianti delle bombarde. Alla fine l’Ortigara è un cimitero : circa ventimila morti, fra cui diecimila alpini caduti in ossequio al dovere, là, abbarbicati alle rocce, vittime di quelli che furon poi riconosciuti essere errori del nostro comando. Per gli Alpini questa battaglia del giugno 1917 non fu mai una sconfitta : essi la considerano anche oggi la pagina più gloriosa della loro storia. Venti giorni sull’Ortigara senza il cambio per dismontar. ta–pum,...... L’indomani si va all’assalto:bada, alpino, a non farti ammazzar. ta–pum,.. Quando poi si discende a valle il battaglione non ha più soldà. ta–pum,... Nella valle c’è un cimitero,cimitero di noi soldà. ta–pum, ta–pum,... Ortigara… tristemente celebre Ortigara, giugno 1917. Per spezzare la linea sulla quale gli Austriaci si erano fermati alla fine della Strafe Expedition nel 1916, partirono, il 10 giugno, gli Alpini. Conquistarono quota 2101, ma resisteva quota 2105 ; le altre difese della linea, non essendo state occupate, permisero al nemico di sferrare i suoi attacchi. Il giorno 19 gli Alpini, con un assalto improvviso, espugnarono la vetta dell’Ortigara (m.2105) facendo di sè bersaglio, isolati com’erano, a tutti i mezzi di difesa del nemico. Finalmente, la notte del 25 gli Austriaci, su posizioni dominanti, scatenarono un bombardamento senza esempio, seguito da assalti a base di gas asfissianti e lanciafiamme. Le eroiche truppe, mutilate, furono costrette ad abbandonare, palmo a palmo, le conquiste splendidamente realizzate. Fu una prova di valore leggendaria. In agosto ha inizio l’undicesima battaglia dell’Isonzo. Viene portata a termine la conquista della fortissima posizione del Monte Santo ed occupato tutto l’altipiano della Bainsizza. Su questo altipiano si distinsero i Bersaglieri che agirono da cuneo sfondante. Il Re, per tutto il tempo che la guerra durò visse con i soldati passando da una trincea all’altra, da un posto di osservazione ad un altro, visitando i feriti negli ospedali, distribuendo medaglie, dando consigli : onde lo chiamarono il Re Soldato. Siamo arrivati, cosí, alla dodicesima battaglia dell’Isonzo, altrimenti chiamata “disfatta di Caporetto”, che, in meno di una settimana, sembrò rendere vani i sacrifici compiuti dagli Italiani durante ventinove mesi di aspra guerra. L’orgoglio ferito –a Caporetto – creò quasi inconsciamente un’atmosfera di mistero sulle cause che determinarono questa rotta. Senza dubbio furono commessi errori, poiché lo stesso generalissimo Cadorna l’ammise apertamente. Ma difficilmente si potrebbe occultare la dimensione reale di Caporetto. Che, cioé, gl’Italiani stavano là, sui confini, aggrappati a quelle Alpi, con la tenacia del fanatico che sta aggrappato al davanzale di una finestra, lottando disperatamente nell’intento di entrare nella casa di un forte agguerrito. Un momento di stanchezza, una mera fatalità avrebbero potuto rendere vani i meriti di una pervicace costanza. Questo, purtroppo, doveva accadere a Caporetto. L’undicesima battaglia dell’Isonzo, la battaglia della Bainsizza, aveva spinto troppo avanti il fronte, una decina di chilometri – non era mai avvenuto in precedenza – ed aveva lasciato scoperto tutto il fianco sinistro – la zona di Caporetto – dove, appunto, il nemico sfondò poche settimane dopo. Era vero che con la battaglia della Bainsizza l’esercito austro-ungarico aveva manifestato segni non dubbi di cedimento, e perciò non c’era da inquietarsi. Ma ora – chi può tutto prevedere ? – un fatto nuovo entrava in iscena : l’intervento dei Tedeschi. Il fronte russo era crollato a causa della Rivoluzione e gl’Imperi Centrali potevano ora riversare tutto il peso delle loro forze sui fronti occidentali. Nella notte del 24 ottobre, dunque, gli Austro-tedeschi, sulle posizioni italiane fra Volzana e Caporetto, non con le masse usuali e previste, né sulle linee previste, ma là dove gl’Italiani non erano, su direttrici nuove, di fondovalle, con rapidi attacchi penetranti, affidati a piccoli gruppi ben addestrati, irruppero veloci come un lampo, aiutati anche da una nebbia bassa e persistente, e in poche ore sboccarono nella pianura senza dar tempo alle truppe italiane di rendersi conto della realtà : onde nacquero le incertezze nei comandi, lo scompiglio, poi la disorganizzazione, infine il caos che riduce tutto all’impotenza. Si distinse, in quei giorni, per la sua spregiudicata rapidità, il tenente Erwin Rommel, la futura “volpe del deserto” , il quale ci racconta – fra l’altro – nelle sue memorie, di Italiani che gli venivano incontro “completamente ignari della situazione e che venivano sopraffatti prima ancora di potersi difendere”. Erwin Rommel (1891-1944) Cadorna, lí per lí, punto nel suo prestigio, s’affrettò a tacciare di “vigliaccheria” la Seconda Armata. Intanto ordinava la resistenza sul fiume Tagliamento, nella speranza che qualche circostanza improvvisa consentisse di limitare al massimo le perdite territoriali. Poi, quando vide che il successo ottenuto dal nemico era in grado di compromettere strategicamente tutto il fronte fino al mare, allora ordinò la ritirata generale. Punto d’arresto : il fiume Piave. Fu cosí che un successo locale del nemico diventò la causa di una crisi totale. Centinaia di migliaia di uomini dovettero indietreggiare rapidamente decine e decine di chilometri. “Una visione terrible, – commenta Giuseppe Ungaretti – la corsa per arrivare ai ponti prima che saltassero, i morti, la paura, il paesaggio sconvolto, il disordine colossale e una pioggia continua, un diluvio, i paesi intravveduti in quel mare grigio di acqua e di fango”. Fu duro lasciare le posizioni conquistate palmo a palmo con tante battaglie ed abbandonare all’invasore gran parte della pianura veneta. Su quella lunghissima, torva, bagnata processione di uomini, gli aeroplani nemici lasciavano cadere milioni di volantini : “Italiani ! In questo momento cosí grave per la vostra nazione, il vostro generalissimo che è uno dei colpevoli autori di questa guerra inutile, ricorre ad uno strano espediente per scusare lo sfacelo. Egli ha accusato il vostro esercito, il fiore della vostra gioventù di viltà : ...il vostro generalissimo vi disonora, vi insulta, per discolpare sé stesso !”. Si tentava ancora una volta di mettere l’Italia in ginocchio, eliminandola dal conflitto. Inutile parlare degli atti di disfattismo, dei disertori, che ci furono... ma fu proprio in quell’ora più buia, quando tutto sembrava finito, che l’Italia ritrovava sé stessa per la prima volta nella sua storia di giovane nazione. Come ci sono facciate che nascondono delle brutture, cosí ci sono rovesci che mettono a nudo dei valori impensati : era sotto la scorza dal nemico cosí violentemente lacerata che si scopriva ora una pianta giovane, sana, viva e vitale – l’Italia – . L’Italia che, nel momento del dolore, della vergogna, usciva rinvigorita dalla sua adolescenza, lasciando cadere la coscienza provinciale per acquistarne una collettiva, nazionale. Alla Camera del Governo il socialista dissidente Bissolati gridò che avrebbe sparato nel petto a chiunque avesse tradito o sparlato dell’Esercito. Orlando : che ci si sarebbe ritirati a combattere fin nella sua Sicilia se fosse stato necessario. Turati sostenne che era venuta l’ora della concordia nazionale : “Anche per noi, Onorevole Presidente del Consiglio, la Patria è sul Grappa” , egli disse. Giolitti abbandonò il suo pacifismo e corse ad offrire il suo braccio. Sul giornale “Il Popolo d’Italia”, di Benito Mussolini, si leggeva : “Oggi la Nazione deve essere l’Esercito cosí come l’Esercito è la Nazione”. *** Si è parlato troppo della “disfatta” di Caporetto : in verità si dovrebbe vedere di più in Caporetto una “vittoria morale” che l’Italia seppe riportare sopra sé stessa. *** Cadorna ebbe il grande merito e sangue freddo – tra la bufera di quei giorni – di saper studiare e disporre la linea del Piave con una conoscenza da grande maestro di ogni particolare della regione ed una oculatissima disposizione delle truppe. Egli – da meticoloso e prudente qual era e conscio della reale consistenza di tutto il nostro apparato bellico – ci aveva pensato già da tempo. Un giorno del 1916, movendo lentamente il suo bastone da alpinista, aveva mostrato ai suoi ufficiali di Stato Maggiore, cresta per cresta, paese per paese, curva per curva, tutta la linea del fiume Piave, concludendo : “Signori, in caso di disgrazia, ci difenderemo qui”. Egli era allora ben lontano dal pensare che quel “caso di disgrazia” sarebbe davvero occorso ! E la disgrazia era certamente più grande del previsto : erano rimasti nelle mani del nemico circa mezzo milione di uomini, più di tremila pezzi d’artiglieria, un terzo delle armi portatili, gran parte del materiale aeronautico fisso, enormi quantità di viveri, munizioni e ricambi ; poiché il tutto, naturalmente, era ammassato lassù, in quella regione del Veneto, vicino al fronte. A partire dal 12 novembre di quel 1917 comincia una logorante offensiva nemica sulle posizioni del Monte Grappa e del fiume Piave, offensiva che dura 34 giorni. L’Italia, su una linea naturalmente forte, fa fronte con tutto quello che ha, cioé 29 divisioni, in gran parte non coinvolte nel disastro di Caporetto. Dal settore trentino al mare Adriatico la disposizione delle truppe è la seguente : 2 divisioni fino al lago Garda, poi la 1a Armata ancora intatta con 12 divisioni, la 4a Armata con 7divisioni, la 3a Armata con 8 divisioni. Dietro queste 29 grandi unità si schierano altre 8 divisioni di riserva, sostenute a distanza da 11 divisioni (6 francesi, 5 inglesi ) che gli Alleati, con generosità e non senza egoistiche preoccupazioni, hanno fatto arrivare nelle retrovie per imbastire sul fiume Mincio una linea di difesa nel caso che la linea del Piave debba cedere. Fu in quei giorni agonici che l’esercito italiano diede la sua prova più convincente e segnò l’inizio di quello che gli stessi Austriaci chiamarono “stupefacente rapidità di rinvigorimento”. *** Un’offensiva senza precedenti fu scatenata dal nemico sulle posizioni del Grappa. Tutta Italia guardava al Grappa come ad un filo a cui erano legate le supreme speranze : il cedimento del Grappa avrebbe significato l’invasione immediata della Lombardia ed il crollo psicologico dell’esercito. “Monte Grappa” fu in quei giorni sinonimo di “Patria”. Al monte Grappa si guardava come alla stella che guida il cammino : Monte Grappa, tu sei la mia Patria, sovra te il nostro sole risplende, a te mira chi spera ed attende i fratelli che a guardia ti stan. Monte Grappa, tu sei la mia Patria, sei la stella che addita il cammino, sei la gloria, il volere, il destino che all’Italia ci fa ritornar. Le tue cime fur sempre vietate per il pié dell’odiato straniero, de’ tuoi fianchi egli ignora il sentiero che pugnando più volte tentò. Monte Grappa, tu sei la mia Patria,... Monte Grappa (m.1776) A Natale, il terzo Natale di guerra, si comincia finalmente a respirare. La situazione è raddrizzata, la “battaglia di arresto” è vinta sul piano strategico e tattico, ma soprattutto su quello morale : l’avversario non passerà. Mentre la speranza del riscatto sta diventando una certezza, i figlioli e le figliole scrivono ai papà che combattono al fronte inviando gli auguri di Buon Natale e di Buon Capodanno e di ...“tener duro !”. “Se tenete duro voi – scrive un fante a casa – non dovete preoccuparvi, perché noi teniamo duro”. *** si va all’assalto….. Il Re indaga in un posto di osservazione. Il Re consegna le ricompense al valore agli eroici fanti della Brigata Piemonte. Il Re visita un ospedale da campo nei pressi del fronte. Dopo Caporetto la situazione è difficile, ma non disperata. Non appena giunto sul Piave l’esercito italiano dispone ancora di un cospicuo nerbo di forze, in gran parte non coinvolte nel disastro di Caporetto. Da sinistra a destra si trovano 2 divisioni fino al Garda, del III° corpo d’armata, quindi la intatta Ia armata forte di 12 divisioni, la IVa con 7 divisioni, ritiratasi senza grave contrasto dal Cadore, e la IIIa armata con 8 divisioni. Dietro queste 29 grandi unità la nostra linea schiera 8 divisioni di riserva, sostenute a distanza da 11 divisioni franco-inglesi. 24 ottobre 1917 : la rotta di Caporetto. La IIIa Armata si ritira quasi intatta. Un piccolo gruppo di bersaglieri copre la ritirata degli Italiani. PESCHIERA sul Garda Peschiera con Verona, Legnago e Mantova formavano il famoso quadrilatero di fortezze austriache su cui poggiava la potenza militare dell’Austria in Italia. (dipinse S.Tordi) (sono presenti Lloyd George con il Capo di Stato Maggiore inglese William Robertson, il generale sudafricano Jan Smuts, il generale Henry Hughes Wilson, il presidente Painlevé con Henri FranklinFranklin Bouillon, ministro per la propaganda di Guerra, il generale F Foch, och, gl’italiani Orlando, Sonnino e Bissolati) 8 novembre 1917 : ill RE al CONVEGNO di PESCHIERA Gli Alleati al convegno di Peschiera erano d’opinione che dopo la rotta di Caporetto gl’Italiani avrebbero dovuto abbandonare gran parte del Ve Veneto – inclusa Venezia – e creare un nuovo fronte lungo la riva sud del fiume Po. Non tale fu la decisione del Re e dei suoi generali. Il Re piace : lo ascoltano in silenzio. Il suo discorso è persuasivo e viene accolto con favore. Ha comunicato la nomina del nuovo comandante in capo, ha spiegato, senza retorica e con un linguaggio accessibile, le cause di Caporetto. La resistenza avverràà sulla linea del Piave. Il nemico non passerà. passer Conclude con un’arguzia davvero insospettabile in un uomo come lui, che non ha mai dato prova di spirito, traducendo in inglese un vecchio e significativo proverbio italiano : “Alla guerra si va con un bastone per darle e con un sacco per prenderle”. “Crede nella guerra e fa la guerra, fante tra i fanti vi credé anche quando molti dubitavano, bitavano, ma Lui a Peschiera non dubitò”. Mussolini (dal discorso alla Camera del 6 giugno 1925) Dopo lo sbandamento di ottobre migliaia di civili abbandonarono le loro case per sottrarsi all’occupazione. Numerose furono in tutta Italia le iniziative patriottiche per diffondere lo spirito di resistenza e di rivincita. Distribuzione di indumenti ai profughi nel novembre del 1917, a Milano. Italiani, cittadini e soldati ! Siate un esercito solo. Ogni viltà è tradimento, ogni discordia è tradimento, ogni recriminazione è tradimento. Questo mio grido di fede incrollabile nei destini d’Italia suoni così nelle trincee come in ogni remoto lembo della Patria, e sia il grido del popolo che combatte, del popolo che lavora. Al nemico che, ancora più che sulla vittoria militare, conta sul dissolvimento dei nostri spiriti e della nostra compagine, si risponda con una sola coscienza, con una sola voce. Tutti siam pronti a dar tutto, per la vittoria, per l’onore d’Italia. Quartiere Generale, 10 di novembre 1917 VITTORIO EMANUELE GAETANO GIARDINO (1864- 1935 ) Sottocapo di Stato Maggiore, che organizzò la durissima resistenza opposta dagli Italiani sul Monte Grappa. In tono “ paternalistico” chiamava le truppe della IVa Armata “i miei soldatini”. EMILIO DE BONO (1866- 1944) Generale del Grappa. Sono suoi i versi de “LA CANZONE DEL GRAPPA”. Questa canzone fu eseguita per la prima volta in onore della IVa Armata alla presenza del Sovrano e delle autorità militari. Si fa leva sui sentimenti: “ Non dimenticate la lettera al papà !” I figliuoli e le figliuole scrivono ai papà che combattono al fronte inviando gli auguri di Buon Natale e Buon Capodanno e di “tener duro !”... Natale di guerra. “Come ieri, come sempre da un mese a questa parte, piove. Oggi è Natale. Proprio Natale. Oggi il cuore s’è inaridito come queste doline rocciose. La civiltà moderna ci ha «meccanicizzati». La guerra ha portato sino alla esasperazione il processo di «meccanicizzazione » della società europea. Venticinque anni fa ero un bambino puntiglioso e violento. Alcuni dei miei coetanei recano ancora nella testa i segni delle mie sassate. Nomade d’istinto, io me ne andavo dal mattino alla sera lungo il fiume, e rubavo nidi e frutti. Andavo a Messa. Il Natale di quei tempi è ancora vivo nella mia memoria. Ben pochi erano quelli che non andavano alla Messa di Natale : mio padre e qualcun altro. Gli alberi e le siepi di biancospino lungo la strada che conduce a San Cassiano erano irrigiditi e inargentati dalla galaverna. Faceva freddo. Le prime messe erano per le vecchie mattiniere. Quando le vedevamo spuntare al di là della Piana, era il nostro turno. Ricordo : io seguivo mia madre. Nella chiesa c’erano tante luci e in mezzo all’altare – in una piccola culla fiorita – il Bambino nato nella notte. Tutto ciò era pittoresco ed appagava la mia fantasia. Solo l’odore dell’incenso mi provocava un turbamento che qualche volta mi dava istanti di malessere insopportabile. Finalmente una suonata dell’organo chiudeva la cerimonia. La folla sciamava. Lungo la strada, un chiacchierio soddisfatto. A mezzogiorno fumavano sulla tavola i tradizionali e ghiotti cappelletti di Romagna. Quanti anni e quanti secoli sono passati da allora ? Un colpo di cannone mi richiama alla realtà. È Natale di guerra. Nella trincea è un silenzio pieno di segrete nostalgie”. Benito Mussolini (dal “Diario di guerra” ) “ Ho mangiato la trincea” dice il soldato Mussolini con orgoglio... Prendi il fucile e vattene alla frontiera, là c’è il nemico che alla frontiera aspetta. L’anno di guerra 1918 si aprí sotto buona stella. Non che la guerra accennasse a finire, no. Dopo il collasso della Russia, dopo il fallimento dell’offensiva inglese nelle Fiandre, dopo la sconfitta italiana dell’ottobre, gli eserciti degli Alleati nell’inverno- primavera 1918 erano sulla difensiva su tutti i fronti. Tedeschi ed Austro-ungarici, invece, stavano preparando grandi offensive, nelle quali riponevano le ultime speranze di vittoria. Ma si presentiva che l’intervento degli Americani veniva ad arricchire gli Alleati di risorse – in uomini e materiali – praticamente illimitate, mentre per gl’Imperi Centrali l’anello si restringeva inesorabilmente di giorno in giorno. In Italia, dopo il ripiegamento del fronte, il generalissimo Armando Diaz aveva sostituito Cadorna ed al Governo il vecchio Boselli aveva ceduto il posto ad Orlando. Armando Diaz (1861- 1928) La riorganizzazione dell’esercito procedeva rapidamente e già nel marzo era tale da infondere fiducia. La gran Madre Patria caccia da sé il colpevole torpore, fa rifluire il sangue da tutte le sue vene, centuplica le sue forze. “I ragazzi del 1899” “Parti tranquillo, figlio mio : non piango. Piangerei se ti sapessi vile”. I ragazzi del ’99 – non hanno ancora vent’anni – partono per il fronte, vanno ad ingrossare le linee sul Piave. Gabriele D’Annunzio, che nel frattanto si era distinto in numerose azioni di valore, si era attirata sulla sua testa una taglia. Gli Austriaci avrebbero premiato con una vistosa ricompensa chi fosse riuscito a catturare D’Annunzio, vivo o morto. Fu allora che egli decise di rispondere con uno scherzo rimasto famoso col nome di : “La beffa di Buccari”. L’11 febbraio, di nottetempo, tre piccole imbarcazioni, tre M.A.S, entrano nella baia di Buccari, presso Fiume. D’Annunzio stesso racconta : « 11 febbraio 1918. È mezzanotte. Navighiamo da quattordici ore. Teniamo da cinque ore le acque del nemico. Gli siamo entrati nella strozza e poi nel profondo stomaco. Siamo un pugno d’uomini sopra tre brulotti disperati, soli, senza alcuna scorta, lontanissimi dalla nostra base, a una sessantina di miglia dalla più potente piazza marittima imperiale... Un allarme, e noi andiamo in perdizione. Per lasciare un segno al nemico, portiamo con noi tre bottiglie suggellate e coronate da fiamme tricolori. Le lasceremo a galla, stanotte, laggiù, nello specchio d’acqua incrinato, tra i rottami e tra i naufraghi delle navi che avremo colpito. ...La mezzanotte è passata di trentacinque minuti …Siamo dentro la baia nemica, siamo proprio in fondo al vallone di Buccari ... Costanzo Ciano sta ritto a prua per riconoscere i bersagli. ...Le masse di quattro piroscafi si disegnano contro l’alture. Grido : Memento Audere Semper. È un latino che tutti i marinai intendono... È un’ora e un quarto dopo la mezzanotte. Ho le mie tre bottiglie sottomano pronte alla beffa : forti bottiglie nerastre, di vetro spesso, panciute, col cartello dentro avvolto in rotolo, scritto di mio pugno, scritto di indelebile inchiostro. Le ho preparate io stesso, con i due sugheri da sciabica, con le tre lunghe fiamme tricolori fermate intorno al collo dallo spago e dalla cera. In ognuna è chiuso questo cartello di scherno : “In onta alla cautissima flotta austriaca occupata a covare senza fine dentro i porti sicuri la gloriuzza di Lissa, sono venuti col ferro e col fuoco a scuotere la prudenza nel suo più comodo rifugio i marinai d’Italia, che si ridono d’ogni sorta di reti e di sbarre, pronti sempre a osare l’inosabile. E un buon compagno, ben noto –il nemico capitale, fra tutti i nemici nemicissimo, quello di Pola e di Cattaro– è venuto con loro a beffarsi della taglia” ». Le gesta di D’Annunzio agivano come un potente lievito sul morale dei combattenti, e infiammarono l’animo di molti. Per questo il generalissimo Diaz disse un giorno : “D’Annunzio vale una divisione ! ”. *** Intanto nella primavera, in Francia, è cominciata la cosiddetta “battaglia di Francia”. I Tedeschi, che vogliono aprirsi ad ogni costo la via di Parigi, hanno avanzato paurosamente. Il 7 maggio Foch, comandante in capo delle forze alleate in Francia, con poteri di coordinamento (non di comando) anche sul fronte italiano, comincia ad esercitare pressioni su Diaz perché passi senza ritardo all’offensiva. Diaz risponde che intende risparmiare le forze per resistere all’offensiva austriaca sul Piave, che avrà luogo con ogni F.Foch probabilità. (1851-1929) Il 24 maggio Foch ritorna alla carica : Diaz resiste fermamente dicendo che l’offensiva austriaca è imminente. Si era intanto accesa una specie di gara in sordina fra il Comando Supremo austro-ungarico e il Comando Supremo italiano : il primo a preparare l’offensiva, l’altro a organizzare la difesa. Il 9 giugno i Tedeschi arrivano a 60 chilometri da Parigi. Foch, allora, prega Diaz di comunicargli in quale giorno intenda effettuare questo attacco. Diaz, questa volta, non ha neanche bisogno di rispondere. Sulla linea del Piave, infatti, nella notte del 14 giugno era cominciata la cosiddetta “operazione valanga”. Una cortina luminosa si stendeva dal Grappa al mare lungo tutto il Piave : sembrava un colossale incendio. Il cielo illuminato, i monti che si stagliavano neri contro la lampeggiante muraglia di luce, gli alberi, le case, le strade illuminate da miriadi di razzi. Il tambureggiante frastuono di migliaia di colpi in partenza e in arrivo. Qui non c’erano più sottintesi : un fiume in mezzo, una sessantina di divisioni dall’una parte e dall’altra, migliaia di cannoni, centinaia di aeroplani dall’una parte e dall’altra... Durante una settimana infuocata l’Austria tentò l’impossibile per sfondare la linea del Piave e irrompere nella Lombardia. Quella fu veramente l’ora più bella : in una settimana di sangue e d’angoscia l’Italia riuscí a vincere la sua guerra. La penetrazione nemica fu arrestata e il 23 giugno Diaz poté annunziare nel suo Bollettino : “Dal Montello al mare il nemico sconfitto e incalzato, ripassa in disordine il Piave”. Perdite ? : morirono 150 000 Austriaci, 85 000 Italiani. Fu veramente quella battaglia il principio della fine : l’insuccesso stroncava ora tutte le speranze che gli Austriaci e i Tedeschi potevano ancora nutrire sull’esito finale della gigantesca lotta. Riferendosi alla battaglia del Piave (o “operazione valanga”, com’essi la chiamavano) il Maresciallo von Hindenburg scriverà poi : “Gli avversari sapevano al pari di noi che l’AustriaUngheria aveva gettato tutto il suo peso nella bilancia della guerra. Da quel momento la Monarchia danubiana aveva cessato di essere un pericolo per l’Italia”. Hindenburg (1847-1933) Capo dello Stato Maggiore dell’esercito germanico. Fu in quei giorni che Luigi Rizzo affondò la corazzata “Santo Stefano”. Fu in quei giorni che cadde sul Montello il romagnolo Francesco Baracca, il più spericolato dei piloti italiani, il quale aveva abbattuto ben 34 apparecchi nemici. Fu in quei giorni pure – dicono – che un napoletano ( il quale aveva l’orecchio fino ) udí le acque del Piave mormorare un ritornello : “Non passa lo straniero. Indietro va’, straniero”. Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio dei primi fanti, il ventiquattro maggio : l’esercito marciava per raggiunger la frontiera, per far contro il nemico una barriera. Muti passaron quella notte i fanti : tacere bisognava, e andare avanti ! S’udiva, intanto, dalle amate sponde, sommesso e lieve il tripudiar dell’onde. Era un presagio dolce e lusinghiero. Il Piave mormorò : “Non passa lo straniero !” No ! disse il Piave. No ! dissero i fanti, mai più il nemico faccia un passo avanti ! Il Piave a Vidòr I mitraglieri non perdonano ! *** Vinta la battaglia difensiva del Piave, l’Italia avrebbe dovuto subito contrattaccare – cosí si espressero i commentatori austriaci a guerra ultimata – perché gli Austriaci, appunto, erano allora in preda ad un vero smarrimento e le posizioni erano smantellate e difettavano d’uomini. Invece il generalissimo Diaz stimò prudente non avventurarsi per il momento. Finí cosí anche quel mese di giugno. Venne il luglio, venne l’agosto. Il Re premia un “ardito di guerra” nel giugno 1918. Memorabili furono le parole del Re quel giorno in cui il Consiglio dei Ministri aveva deciso di conferirgli la medaglia d’oro. Il Re, come soldato, non volle mai speciali onori e in quella circostanza scrisse di suo pugno a Boselli : “...troverei profondamente ingiusto che mi venisse una così alta decorazione, mentre ho certamente fatto molto ma molto meno di tante migliaia di semplici soldati ai quali non toccherà nessuna ricompensa”. Gioacchino Volpe (Vittorio Emanuele IIIo) Alle ore 5.30 antimeridiane del 9 agosto Gabriele D’Annunzio lascia l’aeroporto di Treviso con una squadriglia di 8 aeroplani. Varca le Alpi Giulie e punta in direzione di Vienna. Non avevano, gli Austriaci, bombardato le nostre città uccidendo donne e bambini ? Ora il Comandante pensava di effettuare un bombardamento su Vienna, a modo suo. Dopo quattro ore di volo sulle Alpi – e le Alpi erano ritenute un ostacolo quasi insormontabile in quei tempi – La Serenissima (questo era il nome della squadriglia di D’Annunzio) giunge indisturbata su Vienna, si fa a bassa quota e inonda la città con migliaia e migliaia di volantini tricolori, dove, fra l’altro, il Poeta-soldato dice : “Viennesi ! Imparate da questo a conoscere gl’Italiani ! Potremmo ora sganciare bombe sopra di voi ; invece lasciamo cadere soltanto un saluto... Noi Italiani non facciamo la guerra alle donne e ai bambini. Facciamo la guerra al vostro Governo che è nemico della nostra libertà nazionale... Il destino si volge verso di noi con una certezza di ferro”..... Tutti gli aerei fecero ritorno alla base ad eccezione di uno che fu costretto, per avaria, ad atterrare sul suolo straniero. Il volo su Vienna marcò lo zenit delle imprese di guerra di Gabriele D’Annunzio ed ebbe vasta eco nel mondo. Il Poeta-soldato fu da quel giorno stimato come il primo combattente d’Italia. E gl’Italiani, da quel giorno, potevano andar fieri di questo : che almeno una delle loro divisioni – “la divisione D’Annunzio” – aveva raggiunto la capitale straniera ! Alla fine della guerra il Poeta-soldato si trovò coperto di medaglie, decorazioni,onorificenze italiane e straniere, fra le quali tre medaglie d’oro e cinque d’argento. L’Inghilterra gli conferì la Military Cross per i suoi meriti nell’attaccare il naviglio austriaco nell’Adriatico. A Cargnacco sul Garda si trova il Vittoriale degli Italiani (opera dell’architetto G.C.Maroni), ultima residenza di D’Annunzio che ivi morì il 1° marzo 1938. Il Vittoriale fu donato dal Poeta al popolo italiano il 22 dic. 1923. Nel Vittoriale sopravvive il favoloso mondo del Poeta-soldato. Vi si può ammirare anche il velivolo col quale D’Annunzio compì il volo su Vienna. Il Vittoriale è meta costante di visitatori italiani e stranieri. Durante tutta l’estate del 1918 le truppe, nelle retrovie, si esercitarono a intense manovre di guadi, traghetti e ponti, prevedendo che ci sarebbe stato da impegnarsi in un gran passaggio di fiume. Passare il Piave ! Questo era il problemaccio... anche perché il Piave è un fiume estroso, dei più difficili nei suoi andamenti e, soprattutto, nelle sue repentine sfuriate. Gettare i ponti sotto la mira del nemico e passare riuscendo a mantenere le comunicazioni alle spalle, questo era il difficile. Anche gli Austriaci erano passati in giugno, ma non essendo riusciti ad alimentare lo sforzo mantenendo i ponti, erano stati ributtati sul fiume disastrosamente. Ora era la volta dell’Italia. Il Re, in quei giorni, andava e veniva su quelle rive, da un posto all’altro, interessandosi di tutto e di tutti. Racconta lo scrittore Riccardo Bacchelli (che anch’egli partecipò attivamente alla guerra ) : “...Un giorno il Re era venuto e s’era fermato di passaggio fra i pontieri. Il soldato Scacerni gli era stato additato dagli ufficiali come il più forte nuotatore della compagnia e ottimo conoscitore del fiume, onde il Re gli aveva fatto delle domande. Gli ufficiali attorno (c’erano anche dei generali) s’erano pentiti d’aver chiamato fuori lo Scacerni. Infatti le domande, precise e pertinenti, l’avevano messo tanto in vena, che di risposta in risposta s’era permesso finalmente un parere non richiesto, e per di più in gergo militaresco : - Il fiume, Maestà, sarà una brutta grana. Sua Maestà aveva scrutato, con un’occhiata, il viso aperto e colorito, ad onta d’ogni stento e fatica, dell’aitante giovine ; e penetrando che non v’era alcuna viltà, sul volto scabro ed esercitato dai duri anni di guerra e dall’attesa della sorte suprema, era corso un fugace sorriso : - Lo conoscete tanto bene ? - Chi l’ha da conoscere, se non lo conosco io, un fiume ? Non c’era vanteria, ma tranquilla sicurezza professionale ; onde il Re tornò a sorridere, e disse : - È un bel tipo costui ! Ma, - soggiunse bruscamente rivolgendoglisi daccapo, - se bisogna passarlo, ognuno farà il suo dovere, grana o no, come dite voi. - È una ragione che tien botta. Dopo, superiori accigliati e compagni ridenti gli chiesero che cosa gli era venuto in mente di dar pareri e risposte simili. Stupito, Scacerni aveva ribattuto che le domande di Sua Maestà erano state da “persona pratica”. - E con questo ? - Questo, rispose, gli aveva fatto coscienza di dir la sua, da galantuomo”. Riccardo Bacchelli (1891-1985) Anche Riccardo Bacchelli partecipò alla grande guerra. “Io ero andato di mia iniziativa”, dichiarò. “Non ero interventista, ma non ero neanche neutralista. Avevo 24 anni e volli partecipare... a questo sforzo enorme. Ero in artiglieria, prima sotto-tenente poi tenente. Nel 1917 mi trovavo sul fronte dell’Isonzo, al comando di una batteria”. *** Arrivò, dunque, anche quell’anno, il giorno 24 di ottobre : esattamente l’anniversario di Caporetto. Quale giorno era più indicato di questo per insorgere alla riscossa ? : passare coraggiosamente il Piave, ad ogni costo, e farla finita una buona volta con lo straniero. La sorte volle proprio che quel giorno fosse predestinato per l’inizio delle operazioni che dovevano portare alla battaglia decisiva di Vittorio Veneto. Fu la sorte, perché il generalissimo Diaz aveva avuto in animo di cominciare prima di quella data, ma ne era stato dissuaso dalla stagione orribile che imperversò sul finire di settembre e ai primi di ottobre. La pioggia continua, nemica particolare dei trasporti, aveva reso difficile e penosa la raccolta degli uomini, delle armi e dei materiali nei luoghi che il piano strategico assegnava per la battaglia. Ai primi albori di quel 24 ottobre, sotto i riflettori che esploravano coi loro fasci di luce, sotto il tiro delle mitragliatrici e gli aeroplani che nel cielo esploravano e battagliavano, le compagnie d’assalto italiane, parte su barconi, parte su ponti di fresco gettati, si scagliarono avanti per raggiungere la sponda opposta del Piave. Non le schegge di granate o le palle di shrapnel, non il fuoco fitto colpo su colpo, né il fiume, che di tanto in tanto ingoiava barche ed uomini, poterono arrestare quell’indomito slancio. “O il Piave, o tutti accoppati !”. Fagarè : le rovine dopo la battaglia del giugno 1918. Non c’era tempo da perdere : “Avanti, avanti ! Tenete il collegamento!”, ripetevano le voci dei comandi. E le truppe avanzavano verso la riva cespugliosa e sparivano nella campagna verso la battaglia cruenta. Undici giorni arse quell’epica lotta ! Dapprima la battaglia ondeggiò accanita ed incerta : il fiume, dove s’era potuto forzare, creava dappertutto alle spalle la stessa difficoltà e la stessa minaccia : bisognava ottenere presto rinforzi, munizioni, viveri. Gli aeroplani buttavano giù, sí, rifornimenti... ma erano pochi : più atti a sollevare il morale che a soccorrere i bisognosi. Il giorno 28, particolarmente, fu un giorno di crisi per la reazione violenta degli Austriaci e la rottura dei ponti dovuta ad un rigonfiamento improvviso delle acque del fiume. Quelli di là dal Piave conobbero la congiuntura in cui non è più questione di vincere, né vincere o morire, ma solamente morire per l’onore della Bandiera. Investiti da ogni parte, da ogni parte investivano, dimenticando di mangiare, di dormire, vedendo calare le munizioni e le forze. Il numero dei morti, nel giro di poche ore, fu esorbitante. Poi, il giorno 29, la speranza arrise. Altre numerose truppe poterono passare il fiume, grazie ad un accorto aggiramento operato dal generale Caviglia, e all’alba del 30 una colonna celere di cavalleria e di ciclisti occupava Vittorio Veneto separando in due tronconi l’esercito austriaco (questo, infatti, era il concetto operativo del Comando italiano : separare le truppe del Trentino da quelle del Piave avanzando su Vittorio Veneto ). Il generale Caviglia (1862-1945) studia un plastico delle zone di operazioni. Nella stessa giornata del 30 una divisione di alpini punta su Belluno. Il 31 ottobre crolla la difesa austriaca del Grappa e la 4a Armata libera Feltre. Dal 1° di novembre tutto il fronte è in movimento : il nemico è inseguito ovunque. Il 3 novembre le truppe entrano in Trento e Udine, Trieste è liberata dal mare. Il 4 novembre, alle ore 15, con un’ultima eroica carica di cavalleria, si conclude la battaglia. La vittoria, che affretta la fine della guerra, costa gravi perdite, il che prova la tenace resistenza opposta dagli Austro-ungarici. Morti 35.000 Italiani, 1.600 Inglesi, 300 Francesi. Catturati 300.000 prigionieri e 5.000 cannoni. A mezzogiorno di quel 4 novembre il generalissimo Diaz dirama l’ultimo Bollettino : “La guerra contro l’Austria-Ungheria, che, sotto l’alta guida di S.M. il Re, duce supremo, l’Esercito Italiano, inferiore per numero e per mezzi, iniziò il 24 maggio1915, e con fede incrollabile e tenace valore condusse ininterrottamente ed asprissima per 41 mesi, è vinta. ...I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo, risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano disceso con orgogliosa sicurezza”. Il giorno 4 novembre, a Villa Giusti, presso Padova, l’Austria firmava l’armistizio. P.Badoglio (1871-1956) All’armistizio Pietro Badoglio firmava per l’Italia. Villa Giusti, presso Padova La guerra è finita. La Bandiera italiana sventola su Trento e Trieste. Tutti si abbracciano e si baciano. Le tradotte riportano a casa i soldati che cantano : Abbiam terminato di fare il soldato, or siamo borghesi... e a casa si va. La vittoria è costata agl’Italiani non meno di 650.000 morti sul campo e più di un milione di mutilati ed invalidi. La celebra Vittorio Emanuele Orlando : “Abbiamo la vittoria e se non ancora la pace, abbiamo della pace la sicura promessa ; ed è cessato il flagello delle distruzioni e delle morti”. Vittorio Emanuele Orlando (1860-1952) Seguirono i trattati di pace. L’Italia ebbe le sue terre, chiamate fino ad allora “irredente” ; ma, per riguardo al nuovo stato jugoslavo, dovette rinunciare alla Dalmazia, contentandosi di Zara. *** Poi ci fu l’impresa di Fiume, dove ancora una volta Gabriele D’Annunzio doveva rivelare doti inattese. Un gesto che Badoglio riteneva essere il più bello dal tempo dell’invasione della Sicilia operata da Garibaldi. *** Nella divisione delle colonie l’Italia non ebbe parte alcuna : solamente nel 1925, dopo lunghe trattative, l’Inghilterra cedette una fettina di terra stepposa e semidesertica sulla riva destra del fiume Giuba, al di là della frontiera somala : terra che gl’Italiani chiamarono “Oltregiuba”. Tanto spargimento di sangue, tanti morti avrebbero dovuto trovare più comprensione e più accortezza nei governi della vittoria. L’Italia aveva combattuto la sua guerra e , nel complesso, l’aveva combattuta bene. Giustamente lo storico Enrico Barone scrive : “Sarebbe ben meschino ed ottuso stratega colui che col doppio decimetro volesse giudicare soltanto sull’entità della nostra modesta avanzata il reale contributo che noi recavamo ai nostri Alleati”. O, come si espresse lo stesso generalissimo Cadorna : “Il servizio che l’Italia rendeva alla causa degli Alleati era dato dalla quantità delle forze nemiche che l’esercito italiano impegnava distraendole da altri scacchieri”. *** Nel dopoguerra il passaggio dallo stato di guerra a quello di pace – sempre molto delicato – portò quella volta alla decomposizione politica e al collasso economico. Si tentava di gettare il ridicolo sul prestigio nazionale, si cercava di minimizzare la vittoria che aveva domandato tanti sacrifici. Il dollaro – che costava lire italiane 6 nella seconda metà del 1918 – era salito a lire 18 nella prima metà del 1920. Si facevano degli scioperi tremendi : si occupavano le fabbriche, si lasciava morire il bestiame nelle stalle, deperire le messi nei campi, si boicottavano i crumiri, plaghe intere erano disertate al grido di voler la terra dai possidenti. Tanto che il socialista Turati, invitando alla moderazione, disse un giorno : “Se continuiamo cosí, addio socialismo, addio Parlamento”. Il Parlamento era paralizzato perché nessun governo riusciva ad ottenere una maggioranza che fosse garanzia di serio lavoro. Filippo Turati (1857-1932) Nel dicembre 1919 i socialisti interruppero il discorso del Re al grido di “Viva la repubblica socialista”, ed uscirono dalla Camera cantando “Bandiera rossa...” : il Re – che neanche Caporetto era valso ad intimorire – si sentí questa volta umiliato ed in pericolo. Quando vide la mala piega che prendevano gli avvenimenti, egli credette di scegliere il minor male affidando il Governo a Benito Mussolini. E Mussolini, chiamato ormai dalla fiducia del Re, s’affrettò a salire al Quirinale per dire a Sua Maestà : “Maestà, Vi porto l’Italia di Vittorio Veneto riconsacrata da una nuova vittoria”. Fu cosí che, in mezzo a quegli errori, a quelle esasperazioni, a quel caos tenebroso del dopoguerra, il Fascismo apparí come una dittatura illuminata. Nel 1925 la battaglia della lira era vinta e l’Italia volgeva la prora verso nuovi destini. *** Inno al Soldato Ignoto (autore E.A. Mario) Il Soldato Ignoto simboleggia il sacrificio per la Patria, più nobile perché più oscuro. 1- 2- 3– Il Carso era una prora : prora d’Italia volta all’avvenire, immersa ne l’aurora, col motto in cima : “Vincere o morire”. E intorno a quella prora si moriva, quando alla Nave arrise la vittoria e il nome d’ogni fante che periva passava all’albo bronzeo della storia ! O battaglione, tu sperduto nei meandri del destino, mucchio senza piastrino, eroe senza medaglia, il nome tuo non esisteva più ! Finita la battaglia, fu chiesto inutilmente... Nessun per te poteva dir : Presente ! Il Piave era una diga : file d’elmetti, siepi di fucili, zappe e chitarre in riga... No, generale ! i fanti non son vili ! * La morte li freddò coi suoi miasmi, li strinse a mille fra le ossute braccia, li rese inconoscibili fantasmi, ne disperdea fin l’ultima traccia. O battaglione, tu sperduto nei meandri del destino, mucchio senza piastrino, eroe senza medaglia, il volto tuo non esisteva più ! Finita la battaglia, tua madre inutilmente tra i morti intatti ricercò l’Assente ! La Gloria era un abisso che s’estendeva dallo Stelvio al mare, ma l’occhio ardente e fisso non si distolse : si dovea passare. E la chiodata scarpa vi passava, tritò l’impervio Carso a roccia a roccia, pigiò nel Piave sacro che arrossava sangue nemico tratto a goccia a goccia. O battaglione, tu ritorna dai meandri del destino ! Brilla il tuo bel piastrino fregiato della palma : tu sei l’eroe che non morrà mai più... E solo la tua Salma, ch’ è volta ad orïente, sarà per te a rispondere : PRESENTE ! * “ No, generale ! i fanti non son vili ! ” Un giorno il Ministro Orlando ci tenne a sottolineare : “ È bene che il popolo sappia che l’umile soldato italiano, quello che poi doveva essere glorificato come Milite Ignoto, ebbe nel Sovrano un difensore tenace e commosso”. Chiudendo, cosí, questa pagina di storia nazionale che gravita tutta intorno alla tragedia immane de “LA GRANDE GUERRA”, non ci dispiaccia, ora, raccoglierci un istante, non per giudicare fin dove arrivò il corso fatale della storia o l’errore degli uomini, ma per inchinarci riverenti al sacrificio di tutti coloro che un secolo fa, in ossequio alle sacre leggi della Patria, lottarono e morirono con la speranza nel cuore di lasciare a noi un giorno migliore. Le terre, quelle, hanno subito e subiranno sorti diverse , ma ci restano i nostri morti ! Nonostante i mutamenti della vita nazionale, nonostante gli inevitabili distacchi fra generazione e generazione, c’è pur sempre una continuità ideale, superiore, che ci lega nel nome dell’Italia, la terra dei padri, questa più grande famiglia, la Patria. Rendiamo, dunque, omaggio ai combattenti che intesero coronare il nostro Risorgimento e che, dalle trincee fangose, insanguinate, seppero portare il Tricolore a Trento, a Trieste, fino sugli estremi confini dove il “sì”suona, avverando così l’antico sogno di Dante, Petrarca, Machiavelli. Rendiamo omaggio a tutto il popolo che insieme ai soldati seppe sopportare con abnegazione gravi sacrifici rivivendo nello stesso tempo quelli dei suoi figli sulla linea del fuoco. Per non dimenticare ci sono ancora in ogni comune d’Italia delle lapidi con lunghe liste di nomi, ci sono, in quello che fu teatro di guerra, delle zone sacre eloquenti nel loro mutismo, ci sono, qua e là, dei cimiteri di guerra dove le ossa dei nostri morti, piamente raccolte, sembrano costantemente ripeterci : “ O VIVENTI, SE PER VOI NON DURI, NON CRESCA L’AMORE, LA GLORIA DELLA PATRIA, NOI SAREMO MORTI INVANO !” Il generalissimo Armando Diaz Il Duca della vittoria Chiamato nel 1915 a far parte del Comando Supremo, si distinse per capacità e valore. Successe a Cadorna l’8 novembre 1917. Meno rigido e autoritario di Cadorna, il generalissimo Diaz con grande tatto seppe tessere una rete di fiducia tra Governo, Comando Supremo e Paese. Seppe superare la più dura fase del conflitto riuscendo a mantenersi su quella linea Altipiani – Grappa – Piave già indicata da Cadorna per una resistenza a oltranza. Nel giugno 1918 respinse la grande offensiva nemica sul Piave e preparò l’attacco supremo che doveva portare a Vittorio Veneto. Nel 1922 fu nominato Maresciallo d’Italia. Sui mari Luigi Rizzo Nacque a Milazzo nel 1887. Entrò giovanissimo nella Marina mercantile. Passò poi nella Marina militare. Divenne tenente di Vascello durante la guerra. Fu decorato per vari atti di valore e nominato comandante di una squadriglia M.A.S. Affondò la corazzata Wien nella notte fra il 9 e il 10 dic. 1917. Nel febbraio 1918, sul M.A.S. 96 effettuò con Costanzo Ciano e Gabriele D’Annunzio la famosa incursione detta La beffa di Buccari. Il 10 giugno dello stesso anno affondò la corazzata austriaca Santo Stefano. Lasciò il servizio attivo nella Marina nel 1920. Fu nominato Ammiraglio e Conte di Grado. Morì nel 1951. Il M.A.S. 15 col quale Luigi Rizzo affondò la “Santo Stefano” il 10 giugno 1918. La corazzata austriaca “Santo Stefano” affonda presso l’isola di Premuda, silurata da Luigi Rizzo. Nei cieli Le 34 vittorie di Francesco Baracca 17 16 15 14 13 12 11 10 09 08 07 06 05 04 03 02 01 - 19 agosto 1917 3 agosto 1917 31 luglio 1917 7 luglio 1917 3 giugno 1917 20 maggio 1917 13 maggio 1917 10 maggio 1917 1 maggio 1917 26 aprile 1917 11 febbraio 1917 1 gennaio 1917 25 novembre 1916 16 settembre 1916 23 agosto 1916 16 maggio 1916 7 aprile 1916 1 6 21 21 25 26 26 6 6 7 15 23 7 3 22 15 15 settembre 1917 settembre 1917 ottobre 1917 ottobre 1917 ottobre 1917 ottobre 1917 ottobre 1917 novembre 1917 novembre 1917 novembre 1917 novembre 1917 novembre 1917 dicembre 1917 maggio 1918 maggio 1918 giugno 1918 giugno 1918 - 18 - 19 - 20 - 21 - 22 - 23 - 24 - 25 - 26 - 27 - 28 - 29 - 30 - 31 - 32 - 33 - 34 Francesco Baracca (1888-1918) accanto all’aereo con cui ottenne la sua 28a vittoria. Nacque a Lugo di Romagna. Proveniva dai corsi regolari dell’arma di cavalleria della Scuola Militare di Modena. Poi ebbe contatti con l’aviazione e divenne aviatore. (Il “cavallino rampante” sulla fusoliera del suo velivolo serve a sottolineare la sua provenienza dalla cavalleria). Nei suoi duelli aerei aveva abbattuto 34 apparecchi nemici. Il 19 giugno 1918, mentre stava mitragliando a bassa quota, fu colpito in fronte da una fucilata di un austriaco e cadde con il suo Spad presso l’abbazia di Nervesa. Ebbe 3 medaglie d’argento, una d’oro e diverse altre decorazioni. La leggenda del Piave. Per il suo carattere di ineffabile mestizia unita ad un notevole sentimento eroico, venne assunta dopo la guerra come forma di esaltazione dei caduti. Gabriele D’Annunzio con gli aviatori della squadriglia La Serenissima che il mattino del 9 agosto 1918 compí lo straordinario volo sulla capitale austriaca. il volo su Vienna Il poeta e il capitano Natale Palli sull’apparecchio della storica impresa. Novembre 1918 : truppe austriache in ritirata su una strada del Veneto. Per sminuire l’importanza della vittoria italiana, gli Alleati sostennero che l’esercito austro-ungarico era ormai in dissoluzione. Le nostre perdite dimostrano invece che l’ultimo sforzo per raggiungere Vittorio Veneto fu battaglia durissima. “L’offensiva italiana di Vittorio Veneto ci ha spezzato le reni.” (Franz Conrad von Hötzendorf). IL FANTE IN GINOCCHIO PER LA PRIMA VOLTA, PERCHÉ BACIA LA TERRA REDENTA. Oltregiuba (circa 116 chilometri quadrati). Nella divisione delle colonie l’Italia dovette accontentarsi delle « briciole » nel gran banchetto africano. LA FAMOSA STRETTA DI MANO 31 OTTOBRE 1922 Indossando per la prima volta in vita sua la redingote (cosí almeno assicurano i giornali ), Benito Mussolini, “il più giovane Presidente del Consiglio che abbia mai avuto l’Italia” (ha 39 anni), stringe la mano a Vittorio Emanuele IIIo prima di prendere possesso del suo ufficio al Viminale. Comincia la dittatura. L’Altare della Patria con la Tomba del Milite Ignoto. Al centro impera la solenne figura di Roma eterna. Era l’autunno del 1921. Nel Duomo di Aquileia una popolana triestina, madre di un Caduto in guerra e non più identificato, fu scelta a designare fra undici bare di soldati sconosciuti la salma del “Milite Ignoto”. In un momento di altissima emozione la madre s’appressa e con mano tremante tocca una bara. Quella, e quella sola, dovrà essere trasportata a Roma sull’Altare della Patria a simboleggiare tutti i Caduti. Da Aquileia il treno muove sulla via di Roma. Fu un lungo viaggio trionfale che colpì il cuore di tutti gl’Italiani : si tacquero le fazioni politiche per far posto ad un unico sentimento di commossa fratellanza. A Bologna fu necessario aggiungere un secondo treno : tanti erano i fiori ! Infine, a Roma. È il 4 novembre, giorno commemorativo della vittoria. Al Vittoriano, sotto la statua della dea Roma è aperto il loculo che dovrà raccogliere il Milite Ignoto. Sono le ore dieci precise : l’ora convenuta che tutta Italia attende. Fra il suono a stormo di mille campane e il rombo del cannone il Soldato ascende i gradini della scalea che porta all’Altare della Patria. Militari di tutte le armi stanno sull’attenti insieme ai rappresentanti delle nazioni straniere. In ogni angolo d’Italia il popolo tutto partecipa alla cerimonia in devoto raccoglimento. Nel più religioso silenzio il Re bacia commosso la medaglia d’oro che viene fissata sul feretro. Un soldato semplice pone sulla bara l’elmetto del fante. La bara è ora nel loculo : la pietra tombale viene sollevata e chiude il sepolcro su cui brilla la semplice scritta latina “Ignoto Militi”. Al Milite Ignoto. È qui, a questo Altare, a questa Tomba che sogliono convenire, come ad un rito, le autorità civili e militari, le personalità straniere di passaggio, le associazioni patriottiche in occasione di solennità per affermazione di fede italiana. OSSARIO di REDIPUGLIA Nella zona del Carso il grandioso Ossario di Redipuglia (opera di G. Greppi e di G. Castiglioni ) ricopre tutto il versante di un’altura ed è contorniato dai luoghi sacri ove cruente battaglie furono combattute sul basso Isonzo. È il più vasto fra i cimiteri di guerra che esistono in Italia e nel mondo. Oltre la salma di Emanuele Filiberto di Savoia Duca d’Aosta, l’Ossario contiene le salme di centomila Caduti. a Padova che per prima ebbe l’idea delle “onoranze” a Cadorna e a Diaz. Il 15 giugno 1925, a Padova, che fu già sede del Comando Supremo durante la guerra, nella storica sala del Palazzo della Ragione, ad ambedue i Marescialli d’Italia, Cadorna e Diaz, vennero solennemente consegnate le insegne di comando alla presenza del Duca delle Puglie, delle rappresentanze delle due Camere, di associazioni e di circa diecimila persone. Il bastone dei Marescialli d’Italia Il cofano per la costodia del bastone Dopo la cerimonia un imponente corteo di migliaia di combattenti e di mutilati sfilò fra un delirio di applausi davanti ai due artefici della Vittoria. IL VITTORIANO Monumento a Vittorio Emanuele IIo. Simboleggia l’apoteosi dell’Italia risorta, commemora l’unità d’Italia. Opera di G.Sacconi, enorme mole, cominciata nel 1885 e terminata nel 1911 per il cinquantenario della proclamazione del Regno. Al termine della scalea si eleva l’Altare della Patria : nell’edicola mediana c’è la maestosa statua di Roma e ai suoi piedi la Tomba del Milite Ignoto. LA GRANDE GUERRA