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2011
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alla memoria del nonno
Adolfo Silvestri
(1880- 1948)
FANTE d’ITALIA
combattente, mutilato
de La Grande Guerra.
Fu cosí…
…in quei giorni, a domandare al nonno perché avesse quel buchino nella
fronte sopra l’occhio destro, c’era da sentirsi rispondere : “ Niente... la guerra
... una palletta di shrapnel...”, e continuava a fumare tranquillamente
la sua pipa.
Più tardi l’imparammo la storia di quella palletta
di shrapnel...! Eccola qui, per voi, perché non
dimentichiate la guerra del nonno.
dalla nipote Gioconda Silvestri
MONUMENTO A DANTE
Eretto nel 1896 a Trento, nel cuore dell’Italia irredenta, in
memoria del grande poeta italiano. È opera dello scultore
C.ZOCCHI, ed ispirò la nota ode di Giosue Carducci del
20 settembre 1896 “Per il Monumento di Dante a Trento”
(da Rime e Ritmi ), che si chiude come segue :
Cosí di tempi e genti in vario assalto
Dante si spazia da ben cinquecento
Anni de l’Alpi su ’l tremendo spalto.
Ed or s’è fermo, e par ch’aspetti, a Trento.
“Italia” definita nei secoli.
...del bel paese là dove 'l sì suona.
( La Divina Commedia , Inferno XXXIII, 80)
Dante (1265-1321)
il bel paese
ch’ Apennin parte e 'l mar circonda e l’Alpe.
(Canzoniere, In vita di Madonna Laura, sonetto CXLVI)
Petrarca (1304-1374)
Esortazione al Principe di liberare l’Italia dai barbari.
(Il Principe, XXVI, passim )
...l’Italia è ora senza capo, senza ordine, battuta, spogliata, lacera,
corsa… in modo che, rimasta senza vita, aspetta chi sani le sue ferite e
ponga fine ai saccheggi di Lombardia, alle taglie del Reame di Napoli
e di Toscana e la guarisca di quelle sue piaghe già per lungo tempo
infistolite. Vedasi come prega Dio che le mandi qualcuno che la
redima da queste crudeltà e barbare insolenze. Vedasi ancora tutta
pronta e disposta a seguire una bandiera... Non si deve, dunque,
lasciar passare questa occasione affinché l’Italia veda dopo tanto
tempo un suo redentore...
A ognuno puzza questo barbaro dominio ! Pigli, dunque, la illustre
Casa Vostra questo assunto con quell’animo e con quella speranza con
cui si pigliano l’imprese giuste : affinché sotto la sua insegna questa
patria sia nobilitata e sotto i suoi auspici si verifichi quel
detto di Petrarca :
Machiavelli
(1469-1527)
“Virtù contro a furore
prenderà l’arme ; e fia il combatter corto ;
ché l’antico valore
negli italici cor non è ancor morto”.
( Canzoniere , canzone Italia mia CXXVIII )
VITTORIO EMANUELE III di CASA SAVOIA, RE D’ITALIA
Nacque a Napoli l’11 novembre 1869 e morí in esilio,
in Egitto, nel dicembre del 1947. Regnò dal 1900 al 1946.
Di
tanto in tanto una mano distoglie l’uomo dal suo dolce vivere
e lo confronta con la fredda morte...
Contro l’acqua che invade, contro il fuoco che divora, contro nemici
d’ogni sorta, visibili ed invisibili, perfino contro il suo simile, senza
nessuna tregua, l’uomo è chiamato a lottare : perché la lotta è una legge
che governa la vita. E la guerra – questa ineluttabile calamità – non è che
la fase acuta del dissidio che cova sotto in permanenza, cosí come
l’eruzione di un vulcano è lo sfogo visibile, spaventoso di un sempre
inquieto antagonismo
mo di forze sotterranee. Dicono poi : “È scoppiata
sco
la guerra ! ”. Nessun vocabolo sarebbe più appropriato di quello
“scoppiare”, perché la guerra, come lo scoppio , è una violenza che si
produce al di là di un punto massimo di sopporta
sopportazione.
Avvenne, dunque, che al principio di quello che noi chiamiamo secolo
ventesimo, nella nostra vecchia Europa, ne scoppiasse una – di queste
guerre – cosí grande , cosí grande , che i nostri padri finirono per
chiamarla “la grande”, “la grande guerra”. Delle guerre se n’eran fatte
tante, guerre che portavan nomi anche vistosi, ma una guerra come questa
– mondiale – non s’era vista mai.
Si viveva in pace da tant’ anni in Europa ! “Grassa pace” fu detta poi.
Le leggi erano rispettate, i listini di borsa erano tranquilli, i viaggi sicuri,
gli svaghi sereni. I sovrani d’Europa andavano d’accordo.
Sotto tanta
pace, però, covavano rivalità senza numero, e c’era anche tanto odor
di primavera in giro ! Fra tutti, un verbo nuovo, nato per i cosiddetti
“proletari”, si faceva strada : il “socialismo”. In Italia, sulle piazze si
predica il progresso, i socialisti portano un fiore rosso all’occhiello. Si
sciopera, nascono “leghe contadine”, “società operaie”. E mentre dal
polverone delle strade spuntano le prime macchine, nel cielo gli aerei
compiono i primi voli. Si leggono D’Annunzio e Pirandello. Guglielmo
Marconi sta dotando l’umanità di una nuova via di comunicazione, veloce
– dicono – come il pensiero : la radio, la via radio.
I sovrani d’Europa andavano d’accordo...
Sua Maestà Vittorio Emanuele III, Re d’Italia, con lo Zar, a Racconigi, nel 1908.
Vittorio Emanuele III posa dopo una partita di caccia con il suo ospite, l’imperatore
di Russia Nicola II (alla destra del Re d’Italia).
Dietro i due sovrani è il medico personale di Vittorio Emanuele.
***
L’architettura politica dell’Europa dell’anteguerra.
Qual era l’architettura politica dell’Europa dell’anteguerra ?
Alquanto semplice : monarchie dappertutto, eccetto in Francia e in
Isvizzera, le due sole repubbliche. A parte l’Inghilterra, signora
incontrastata, erede di tutto lo splendore vittoriano, sul continente neutrali
erano le piccole nazioni come Svezia, Norvegia, Danimarca, Olanda,
Belgio, Svizzera. A sud la Spagna e il Portogallo sonnolenti, l’Italia (con
35 milioni d’abitanti ) ancora territorialmente incompleta, ma già animata
da ambizioni di grande potenza. Inesistenti, in quel tempo, erano Irlanda,
Polonia, Finlandia, Cecoslovacchia, Lituania, Lettonia, Estonia.
Infine, una Grecia mutilata, una fragile Romania, una Bulgaria incompleta, una modesta ma irrequieta Serbia e un inconsistente Montenegro.
(Dal Montenegro veniva la Regina d’Italia – la regina Elena – che
Vittorio Emanuele III, allora Principe di Napoli, aveva sposato nel 1896).
Tutto il resto dell’Europa centrale ed orientale faceva parte di quattro
Imperi, era proprietà di quattro Imperatori.
L’Imperatore turco, Mohammed Vo, debole e vecchio, regnante su
un impero che ormai precipitava verso il suo smembramento. Nel
gergo diplomatico il suo governo si chiamava “Sublime Porta”;
ed era effettivamente una porta che chiudeva il Bosforo e i
Dardanelli, isolando la Russia dall’Occidente.
Francesco Giuseppe al suo tavolo di lavoro, negli ultimi anni di governo.
L’Imperatore Francesco Giuseppe della Casa d’Asburgo, vecchissimo,
regnava dal 1848 sull’Impero Austro-Ungarico, impero che estendeva la
sua sovranità su un territorio più grande della Germania, in continua
espansione, con oltre 50 milioni di abitanti. Comprendeva questo impero
due razze “superiori”, i Tedeschi d’Austria e i Magiari d’Ungheria, ma
l’insieme dei popoli che lo componevano si andava facendo sempre più
ingovernabile : Cechi, Moravi, Slovacchi, Ruteni, Polacchi, Romeni,
Italiani, Croati, Sloveni, Dalmati, e poi anche i Turchi col fez e le donne
velate di Mostar e di Sarajevo. Un mosaico di popoli, insomma, la cui forza
di coesione andava ormai estinguendosi.
Un altro impero era la Russia, dove regnava il simpatico, anche se
mediocre, Nicola IIo, con una moglie tedesca. La corte era un guazzabuglio di tendenze contraddittorie, retrograde e anarchizzanti, filotedesche
e panslave. Lo zar oscillava fra il rispetto dell’Alleanza con la Francia
repubblicana e la riconciliazione con la Germania imperiale.
La Germania, finalmente,
dove imperava Guglielmo IIo,
la cui madre era figlia della
Regina Vittoria d’Inghilterra.
La Germania di Guglielmo IIo
era uno spettacolo formidabile.
L’erudizione germanica suscitava, in ogni campo, l’ammirazione universale.
In Italia Croce e Gentile
orientavano la vita intellettuale italiana intorno a Hegel
e alla filosofia germanica.
Lo
studio
del
tedesco
diventava sempre più popolare
e gli studenti – quelli che
potevano – andavano in Germania a completare la loro
formazione.
Guglielmo II (1859- 1941)
Imperatore di Germania e Re di Prussia.
Salito al trono nel 1888, lanciò un proclama
al popolo nel quale affermò che il suo
diritto a regnare gli veniva da Dio.
L’impero politico e militare, creato da Bismark, aveva generato anche
un impero economico di potenza crescente. La metallurgia germanica
batteva quella inglese. La chimica era monopolio teutonico e, in genere,
tutta la scienza – con 13 premi Nobel dal 1900 – sosteneva, vivificava tutta
l’economia. La Germania poteva permettersi ora perfino l’isolamento. I
prodotti fabbricati in Germania invadevano i mercati. Ma l’Europa si
rivelava ormai troppo piccola. E la Germania, affacciatasi alla ribalta
coloniale troppo tardi, quando i migliori “lotti”erano già stati distribuiti,
non voleva rassegnarsi.
L’imperatore di Germania Guglielmo IIo in una visita al centro industriale,
fonderia e acciaieria Krupp, di Essen .
Ormai questo popolo tedesco, cosí continentale, stava percorrendo il
mondo con i suoi commerci ; i transatlantici imperiali battevano quelli
inglesi... era dunque normale e necessario che le corazzate tenessero dietro
ai piroscafi. E Guglielmo IIo si era appassionato alle navi, impazziva per le
navi. Ad un certo momento tutte le flotte militari del mondo finirono
“staccate”, meno una, quella inglese, che però vedeva ridursi di anno in
anno il suo margine di superiorità. Qualcuno sussurrò all’orecchio di
Guglielmo IIo che una simile politica navale lo avrebbe portato ad un
conflitto con l’Inghilterra. Quando poi l’imperatore visitava tutto
quell’immenso emporio arcimoderno di armi che la dinastia dei Krupp
fedelmente e devotamente gli creava, allora il diavolo gli saltava in corpo :
adesso che quella gran macchina bellica c’era, era naturale che bisognava
metterla in moto... e le occasioni, per chi le cerca, non mancano !
***
Un giorno del luglio 1911, una piccola unità da guerra tedesca va ad
ormeggiare bellicosamente nella baia di Agadir, col
pretesto di proteggere nel Marocco certi inesistenti
interessi tedeschi, ma in realtà per sfidare la Francia
“protettrice” dei Marocchini. Un gesto provocatorio,
insomma. La Francia, vicina di casa della Germania,
tanto per evitare il peggio, preferí starsene zitta e pagare
con una fetta dei suoi territori equatoriali. Ma in
Lloyd George
Inghilterra, dove quell’atto di sfida aveva suscitato
(1863-1945)
un’emozione immensa, qualcuno c’era che aveva
qualcosa da dire, precisamente Lloyd George, il quale,
nonostante fosse un pacifista, si alzò e fece un discorso
inaudito fino ad allora : la Germania sappia che la Gran
Bretagna non comprerà mai la pace al prezzo del
disonore. Suonarono quelle parole come un dado
gettato. Grande fu la reazione in Germania.
E fu nell’atmosfera creata dall’incidente di Agadir
che Sir Winston Churchill divenne Primo Lord
W.Churchill
(1874-1965)
dell’Ammiragliato.
***
In Italia, dove da tanti anni si guardava con cupidigia alle terre africane,
soprattutto a quelle che erano lí a due passi dalla Sicilia – la cosiddetta
“quarta sponda” – l’accomodamento di Agadir invogliò gl’Italiani a
tentare l’impresa libica. E in quell’anno stesso – 1911 – verso la fine di
settembre, l’Italia inviò un ultimatum alla Turchia, signora di quelle terre.
Anche il mite Pascoli, ormai alla vigilia di morire, s’infervorava al
pensiero che, infine, “la grande proletaria” – l’Italia – si era mossa.
“La grande proletaria si è mossa. Prima
ella mandava altrove i suoi lavoratori...Il
mondo li aveva presi a opra i lavoratori
d’Italia ; e più ne aveva bisogno, meno
mostrava di averne, e li pagava poco e li
trattava male... Ma la grande proletaria ha
trovato luogo per loro, una vasta regione
bagnata dal nostro mare...”
(dal discorso tenuto a Barga,il 26 nov.1911)
Giovanni Pascoli
( 1855 - 1912 )
Al teatro Balbo di Torino la cantante Gea della Garisenda interpreta
i sentimenti del Paese. Avvolta in un mantello nero, si presenta al
proscenio in penombra e intona una nuova canzone :
“ Sai dove sorrida più magico il sol ?”
poi, d’improvviso, le luci si accendono. La cantante apre il mantello
e si avanza ricoperta dal tricolore, attaccando con voce squillante :
“Tripoli ! A Tripoli !”.
Il 5 ottobre le truppe italiane, al comando dell’allora Capitano di Vascello
Umberto Cagni, sbarcano a Tripoli. Per un anno questa guerra assorbe
e prova le energie italiane. In Libia, per la prima volta nel mondo, gli
aeroplani segnano l’inizio dell’impiego bellico dell’aviazione : le prime
bombe, grosse come bottiglie, sono lanciate a mano contro il bersaglio.
Nell’insieme le cose approd
approdarono a bene ; benché Giolitti – l’allora
Primo Ministro – rimanesse alquanto perplesso circa l’efficienza della
macchina bellica italiana !
***
Cosí, con molti torbidi nei Balcani – focolaio d’interminabili discordie –
si arrivò al 1914.
Fu in quell’ anno, il 28 giugno
giugno, a Sarajevo, che accadde il funesto
fattaccio...
... l’Arciduca Ereditario d’Austria Francesco Ferdinando muore
vittima di un attentato per mano di un giovane studente bosniaco.
Gavrilo Princip
“lo studente bosniaco”
Francesco Ferdinando e la moglie
pochi minuti prima dell’attentato.
Era il fiammifero piccolo piccolo che andava a cadere nella polveriera
grande grande. In pochi giorni l’Europa divampò in un grande incendio.
Quello stesso sistema di alleanze che fino ad allora aveva ritardato la
guerra, era destinato ora a trasformarla in conflagrazione generale. In una
tragica settimana – tra il luglio e l’agosto di quel 1914 – fu un pauroso
rincorrersi di dichiarazioni di guerra dall’una all’altra capitale europea :
l’Austria alla Serbia, la Russia – amica della Serbia – all’Austria, la
Germania – amica dell’Austria – alla Russia, la Francia – amica della
Russia – alla Germania . Poi fu la volta dell’Inghilterra, non appena vide il
Belgio invaso e il Passo di Calais minacciato. In pochi giorni vennero a
trovarsi di fronte i cosiddetti Imperi Centrali ( Austria–Ungheria ,
Germania) e le Potenze dell’Intesa (Russia, Francia , Inghilterra ).
E l’Italia ? l’Italia non fu oggetto di nessuna particolare attenzione ;
perciò, lí per lí, decise di restare neutrale : il che non fece torto a nessuno.
Gl’Imperi Centrali sapevano che sarebbe stata una guerra assai breve. Lo
avevano dimostrato le autorità militari e finanziarie : gli eserciti , si
diceva , non possono sopportare a lungo i terribili effetti delle armi
moderne , e i costi favolosi di ogni giorno di guerra esauriranno ben
presto le risorse di tutti i paesi. I soldati che partivano nella gloria di
quell’agosto 1914 dovevano sapere che sarebbero stati di ritorno per
Natale. Ma... arriva Natale... passa Natale... la guerra continua !
Era cominciata con battaglie di movimento ardenti e avventurose ,
attacchi , ripiegamenti catastrofici , rovesciamenti di fronte e raddrizzamenti drammatici. Chi non ricorda – in Francia – l’ episodio della
Marna ? Poi , tutt’ a un tratto , una cosa assolutamente imprevista : la
guerra si affossa . La trincea. Una sorpresa drammatica che manda all’aria
tutti i piani.
Trincea austriaca
Trincea italiana
Agli inizi del 1915 le operazioni sono ovunque a un punto morto.
Pazzeschi attacchi che si concludevano in massacri. Migliaia di morti per
la conquista di insignificanti zolle di terreno.
***
In Italia si assisteva alla guerra con immenso imbarazzo e drammatiche
preoccupazioni. Durante i dieci mesi che precedettero la nostra entrata in
guerra, l’Italia corse fino sull’orlo della guerra civile , tanto l’opinione
pubblica, i partiti, gli ambienti diplomatici, il Parlamento, si appassionarono in discussioni e clamorosi dissensi. C’erano due correnti : quella
dei “neutralisti” e quella degli “interventisti”. Conveniva o non conveniva entrare in guerra ? E , se conveniva , da quale parte andare ?
Anche qui bisogna rifarsi alla storia per intendere gli avvenimenti.
Triplice Alleanza : Germania, Austria-Ungheria, Italia.
Triplice Intesa : Inghilterra, Francia, Russia.
L’Italia, allo scoppio della guerra , era legata agl’Imperi Centrali con un
Trattato di Alleanza che datava dal 1882. Trattato che era stato rinnovato
nel 1891, poi nel 1902, nel 1907 , fin anche nel 1912.
Questa alleanza era nata dalla necessità di assicurarsi le spalle – al
Nord – contro il nemico secolare – l’Austria – in vista di poter andare alla
pesca di qualche territorio coloniale nel Sud, come di fatto era avvenuto.
Ed era – questa Alleanza – non uno strumento di aggressione , ma di
carattere puramente difensivo. La guerra che si combatteva ora –
dichiarata
dall’Austria contro la Serbia – era invece aggressiva.
E, neanche, l’Italia era stata prima interpellata come invece l’avrebbe
dovuto essere in conformità dell’articolo 7 di detta Alleanza.
Perciò il Governo italiano, presieduto allora da Antonio Salandra ,
si era affrettato a dichiarare la neutralità , e su questo anche gl’Imperi
Centrali non ebbero niente a ridire : soluzione provvisoria questa , poiché
una vera febbre di intervento aveva preso la nazione , soprattutto i giovani.
Era quello il tempo di star affacciati alla finestra ? – si diceva – mentre
tutti si muovevano ? Si distinsero fra i propagandisti dell’intervento
Cesare Battisti , deputato di Trento al Parlamento Austriaco , Filippo
Corridoni e Benito Mussolini , allora violento agitatore socialista , il quale ,
per la questione dell’intervento , si distaccò dal partito e fondò il suo
giornale “Il Popolo d’Italia”.
C.Battisti
F.Corridoni
B.Mussolini
Bisognava prendere subito posto... ed “il nostro posto” ! E qual era il
nostro posto se fin dal lontanissimo 1848 sempre si era guerreggiato
contro l’Austria ? Per chi aveva cantato il patriota Goffredo Mameli ?
Quante volte non aveva ripetuto Mazzini “Austria delenda” ? E
quell’inno che Garibaldi considerava la sua Marsigliese , e che si
andava cantando da mezzo secolo ormai ? “va fuori d’Italia , va fuori
ch’è l’ora , va fuori, o stranier”.
Tre erano state le guerre per l’indipendenza : 1848 , 1859 , 1866. Questa
sarebbe stata la “quarta guerra” per l’indipendenza.
Si era fatta l’Italia strappandola pezzo a pezzo all’Austria e ai suoi
imparentati : era dunque chiaro che quell’Alleanza era un provvedimento di
governo , non un accordo di popoli a cui rispondesse un sincero
convincimento , una vera adesione da parte della nazione.
I Padri della Patria
I grandi uomini che guidarono gl’Italiani nel loro Risorgimento
Giuseppe Mazzini
(1805 – 1872)
Giuseppe Garibaldi
(1807-1882)
Camillo Benso di Cavour
(1810-1861)
Vittorio Emanuele II
(1820-1878)
C’era però anche – in Italia – una nutrita minoranza di neutralisti , il più
influente dei quali era Giovanni Giolitti , l’uomo che dominava da anni
la scena politica italiana.
Egli mantenne sempre le sue convinzioni neutraliste, nella persuasione
che l’impegno della guerra mondiale
fosse per l’Italia eccessivo. La spesa
di un esercito , la carenza di tradizioni
militari, l’inadeguatezza dei generali
erano le ragioni del suo convincimento .
“No alla guerra. Sarà una guerra
lunga. Parecchio si può ottenere – egli
ripeteva – restando fuori dal conflitto”.
Da quella parola “parecchio” nacque
“parecchismo” : ma ai giovani non
piaceva quell’ottenere “parecchio”
G.Giolitti (1842 - 1928)
senza muovere un dito ! Cosí Giolitti
guadagnò anche violente accuse di essere un venduto alla causa
degl’Imperi Centrali , e , per la sua incolumità personale , gli diedero una
guardia del corpo !
Intanto si negoziava. La Germania, molto prudentemente, inviò a Roma
l’ex-cancelliere principe di Bülow – la cui moglie era italiana – per
esercitare una forte pressione in senso
neutralista. Egli era venuto con due
pillole in tasca : l’una dolce, l’altra
amara.
Resterete neutrali ? A fine guerra avrete
le vostre terre irredente – come si
diceva allora – cioé le regioni di Trento
e Trieste .
Volete fare i recalcitranti ? Ristoreremo
in Italia il Potere Temporale dei Papi.
Fu l’opera di Bülow accorta ed
intelligente e poco mancò che non
von Bülow (1849 – 1929)
raggiungesse lo scopo.
Sennonché altri negoziati erano in corso – in gran segreto – a Londra.
Il Re , il cui prestigio in quel tempo era indiscusso, inclinava per
l’intervento contro gl’Imperi Centrali.
Cosí, per dirla in breve, l’Italia finí per
aderire – il 26 aprile 1915 – al Trattato
Segreto di Londra (tra Inghilterra,
Francia e Russia ), impegnandosi
l’Italia ad intervenire al loro fianco
entro un mese qualora fosse stato
assicurato un progresso territoriale
e un ampliamento coloniale. Si era
arrivati a tanto, cosí in fretta e come di
sotterfugio, perché, nel marzo precedente, il successo dei Russi contro
l’Austria sui Carpazi aveva fatto credere che la guerra fosse per finire a
Il Re
giorni e che la vittoria fosse in vista.
Bisognava, dunque, affrettarsi ad arrivare sul nemico, che si riteneva
stremato, per non essere esclusi poi dal tavolo della pace ! Ma la colomba
della pace – ahimé, anche questa volta – era assai lontana !
***
Il 3 maggio 1915 il Presidente del
Consiglio, Salandra, denuncia il Patto della
Triplice Alleanza con l’Austria-Ungheria
e Germania, chiamando quest’atto il primo
atto politico spontaneo dal tempo del
Risorgimento !
A.Salandra (1853- 1931)
***
Il 4 maggio rientra in Italia, dalla Francia,
Gabriele D’Annunzio, che, a Genova, esordisce con le sue esuberanti apostrofi :
“Beati i giovani che hanno fame e sete
di gloria, perché saranno satollati”.
G. D’Annunzio (1863- 1938)
Il giorno seguente – 5 maggio, anniversario dell’imbarco dei Mille – tiene
un discorso a Quarto : una marea innumerevole inneggia alla guerra
cantando la Marsigliese.
Il 6 maggio Gabriele D’Annunzio parla all’ Università di Genova :
gran parte dei letterati italiani si schierano a favore dell’intervento
armato contro l’Austria.
Da Genova D’Annunzio passa a Roma, ove, dal balcone dell’Hotel
Regina, fa un discorso pieno di tutte le fiamme della sua calcolata retorica.
Alludendo a von Bülow e a Giolitti, dice fra l’altro : “Intorno a noi vi
è odore di tradimento , questo tradimento si compie a Roma. Siamo sul
punto di essere venduti come un gregge vile...”. Quando poi parla al Teatro
Costanzi – sempre in Roma – dice : “Non è l’Italia una locanda, né un
museo, né un giardino per viaggio di nozze dipinto con il blu di Prussia,
l’Italia è una nazione vivente...”: lo scroscio degli applausi dura per
parecchi minuti.
La Regina Margherita – la Regina Madre – discretamente occultata
dietro le cortine, si asciuga una lagrima.
***
D’Annunzio parla al “Costanzi” contro “la vile cricca neutralista”
Intanto la febbre per la guerra monta e monta : Giolitti fa gli ultimi sforzi.
Anche al parlamento, composto per lo più di giolittiani, la stragrande
maggioranza è per la pace. Un parlamento, quando tutto è stato detto
e pesato, dovrebbe saperne più di tutti. Ma – fatto nuovo – le prerogative del Re e le agitazioni di piazza finiscono per convertire, in pochi
giorni, anche il parlamento riluttante, che, venuto intanto a conoscenza
del Trattato Segreto di Londra, dà pieni poteri al Governo “in caso di
guerra” con 407 voti contro 74, sanando cosí quella specie di colpo di
stato che il Re aveva compiuto per rendere possibile l’intervento.
Debolezza o sopraffazione ? Si disse poi che fu forzata la mano al
parlamento e che il neutralismo, cosí sconfitto, rimase come un fermento
di malcontento e di protesta in fondo alla coscienza nazionale.
***
Il 21 maggio, a Roma, centomila cittadini, sindaco e consiglieri
comunali in testa, col gonfalone dell’immortale città, si recano, fra
l’ondeggiare di mille e mille bandiere, in Piazza del Quirinale, innanzi alla
Reggia , e , acclamando al Re e alla Famiglia Reale, richiedono a una
voce la guerra liberatrice. Il grido possente ebbe eco nella Reggia, la
vetrata del balcone del Quirinale si apre : appare il Re con l’Augusta
Famiglia. Il sindaco Principe Colonna tra il delirio del popolo grida :
“Viva il Re” . Vittorio Emanuele III, offrendo al bacio del sole di Roma
il fiammante tricolore italico, risponde : “Viva l’Italia !”.
Grandiosa dimostrazione d’entusiasmo dinanzi al Quirinale
Il 23 maggio la guerra è dichiarata all’Austria. Il Re Vittorio
Emanuele III, assumendo il supremo comando delle Forze Armate,
lanciava questo proclama :
“Soldati di terra e di mare !
L’ora solenne delle rivendicazioni è suonata !
Seguendo l’esempio del mio Grande Avo, assumo oggi il comando supremo
delle forze di terra e di mare con sicura fede nella vittoria, che il vostro
valore, la vostra abnegazione, la vostra disciplina sapranno conseguire.
Il nemico che vi accingete a combattere è agguerrito e degno di voi.
Favorito dal terreno e dai sapienti apprestamenti dell’arte, egli vi
opporrà una tenace resistenza, ma il vostro slancio saprà, di certo,
superarla.
Soldati, a voi la gloria di piantare il tricolore d’Italia sui termini sacri
che natura pose a confini della Patria nostra, a voi di compiere,
finalmente, l’opera con tanto eroismo iniziata dai nostri padri !”
La grande decisione è presa,
anche se l’esercito non è pronto.
24 maggio 1915: inizio delle ostilità. Si parte. Le tradotte portano al
fronte reggimenti di mariti, di fidanzati... Ritornano di moda le parole di
una poesia del tempo del Risorgimento :
“Addio, mia bella, addio :
l’armata se ne va.
Se non partissi anch’io,
sarebbe una viltà.”
***
Le Alpi sono il maestoso teatro della nostra guerra. La linea di
combattimento è lunga oltre 600 chilometri : dal Passo dello Stelvio al
Mar Adriatico. Essa segue, con qualche variante , la linea di confine fissata
nel 1866 ed è nettamente sfavorevole ai soldati italiani che devono
attaccare il nemico su di un terreno fortificato dalla natura stessa
e munito con trincee, casematte e forti. Il fronte è diviso in due settori :
il settore trentino – in cui prevalse la tattica difensiva – e il settore
dell’Isonzo – in cui fu sempre desto invece lo spirito offensivo.
L’Italia entrava in guerra del tutto impreparata. La frontiera non era
fortificata, le artiglierie antiquate e, in genere, tutto l’equipaggiamento
largamente superato. Migliaia di fanti erano in attesa dell’uniforme !
L’Italia non aveva certo speso somme favolose a sviluppare e perfezionare il suo esercito, né aveva coltivato intensamente lo spirito combattivo, fino a creare una vera e
propria religione della forza
armata, come si era fatto invece in Germania. Però l’entusiasmo e
anche il numero degli uomini non faceva difetto ed in complesso
nel maggio 1915 la consistenza dell’esercito era tale da consentire di
entrare in guerra con fiducia.
Capo di Stato Maggiore – col nome di generalissimo
– è Luigi Cadorna. Uomo di formazione sicura, ottimo
organizzatore, dotato di una straordinaria competenza
in fatto di geografia, fortificazioni, frontiere, istruzioni
tattiche di combattimento. Di carattere piuttosto
inflessibile, il Generalissimo Cadorna s’insedia con il
suo quartiere generale nella cittadina di Udine e, per
Luigi Cadorna
evitare i dualismi – tanto esiziali, soprattutto in
(1850-1928)
tempo di guerra – caccia tutti dal quartiere generale,
cercando di divenire inaccessibile a tutti. In trenta mesi di guerra–
fino a Caporetto – non vide più di otto volte il Re e rifiutò sempre di
ricevere personalità del Governo. “Non voglio Deputati, non voglio
Senatori”, diceva costantemente.
Il Re, conformemente alle tradizioni della sua Casa, parte egli pure
per il fronte e vi rimane quasi ininterrottamente fino alla fine delle
ostilità.
***
L’inizio delle operazioni fu segnato da una rapida avanzata degl’Italiani
su tutto il fronte, liberando Ala, Cortina d’Ampezzo, Monfalcone.
Poi i fanti s’irrigidirono in una guerra di posizione.
Grave errore strategico degl’Italiani – ammisero i commentatori austriaci
a guerra ultimata – fu quello di avanzare verso Trieste e Lubiana, mentre
il trentino in quei primi giorni della guerra era sguarnito e poteva essere
facilmente conquistato. Infatti, più tardi, questo settore presenterà difese
inespugnabili e rimarrà sempre un pericoloso cuneo conficcato nello
schieramento italiano.
Sulle rive del fiume Isonzo furono scatenate, in totale, ben undici
durissime battaglie, quattro delle quali in quello stesso anno 1915.
I vantaggi territoriali erano minimi e il costo in uomini e materiali fu,
invece , altissimo a causa della forte difesa austriaca : ma, si diceva, se non
è possibile sfondare e penetrare in profondità, non bisogna però lasciar
tregua al nemico. Tener bloccato il nemico sulle Alpi e logorarlo : questo
era il compito, questa la parola d’ordine. L’Italia non è la sola
belligerante : essa deve coordinare i suoi sforzi al piano comune
d’operazioni degli eserciti alleati.
Nelle quattro sanguinose offensive del 1915 quasi 200.000
uomini furono perduti. Anche il
problema del ricovero dei feriti
diventava difficile, poiché, a
partire dalla seconda battaglia
dell’Isonzo, non ve ne furono
mai meno di 30.000 per ciclo
operativo. Fu necessario organizzare a ospedali ville private,
musei, edifici pubblici.
Anche il Quirinale, la dimora del
Re, a Roma, subí la stessa sorte,
e la sala del trono fu trasformata
in corsia di ospedale.
***
Sul cappello che noi portiamo
c’è una lunga penna nera,
che a noi serve da bandiera
su pei monti a guerreggiar. Ohilalà !
Indomita resistenza, prodigi di organizzazione,
miracoli di adattamento alle condizioni più avverse
e nelle zone più impervie, mostrarono 350.000
uomini chiamati “Alpini”, i soldati delle Alpi.
La prima leggendaria impresa compiuta dagli Alpini – durante il primo
mese di guerra – fu la conquista del Monte Nero. Essi seppero impadronirsene di sorpresa arrampicandosi su di roccia in roccia e giungendo
sulla vetta dalla parte più ardua, mentre altri che salivano da un’altra parte,
attiravano su di sé l’attenzione del nemico. Impresa che gli stessi Austriaci
definirono“un colpo maestro”. Cosí la ricordarono gli Alpini cantando :
Spunta l’alba del 16 giugno,
comincia il fuoco dell’artiglieria,
il 3° Alpini è sulla via,
il Montenero a conquistar.
Montenero, Montenero,
traditor della vita mia,
ho lasciato la casa mia,
per venirti a conquistar.
Monte Nero ( m.2245 )
.....fra le nevi eterne
***
.....
Un giorno, al servizio informazioni del Comando Supremo, a Udine,
vengono trasmesse alcune pagine scritte in lingua tedesca e rinvenute su
un ufficiale di fanteria dell’esercito austro-ungarico, morto a Doberdò, nei
primi mesi della guerra. La curiosità si avviva nella speranza di scoprirvi
qualche rivelazione utile. Invece, a traduzione ultimata, si rivelano essere
pagine di un diario personale. Pagine ricche, però, di una forte carica vitale
che sottolineano qualche aspetto dei primi mesi della guerra italiana sul
Carso. Ne stralceremo appena qualche linea.
giugno 1915 ...Ti ringrazio, Dio onnipotente, per la gioia e l’orgoglio che empiono la
mia anima al pensiero che anch’io, piccolo e ignoto servo del mio Imperatore, possa
prender parte all’esecuzione del traditore. Dio, soccorrici, perché noi combattiamo
per il diritto, per l’impero e per la fede. .....
21 giugno. S.A.Imperiale e Reale l’Arciduca Ereditario Carlo Francesco Giuseppe si
è benignamente degnato di visitare i suoi guerrieri. La mia anima freme ancora... Ho
guardato in faccia un Asburgo, ho sentito la sua voce e l’erede del più antico
e glorioso trono mi ha parlato e mi ha stretto la mano. Considero la giornata di
oggi come il più bel giorno della mia vita. Asburgo, per te vivo, per te vorrei morire. ...
16 luglio. Riceviamo l’avviso che ci sovrasta un attacco generale.
17 luglio. Tremendo bombardamento sovrumano. Un miracolo di essere ancora vivi !
...Il numero dei feriti è enorme … Gli uomini sono istupiditi dallo spavento ... ci
ritiriamo nella dolina.
18 luglio. Il cannoneggiamento si fece follemente violento nella notte. È
finita...Però, morire cosí giovane ! ...Ah Italia ! Dio punisca te, il tuo Re, il tuo popolo
traditore. Nelle prime ore del mattino il fuoco cessò di violenza...
19 luglio. Da impazzire ! Morti, feriti, perdite enormi. È finita ! Un macello senza
esempio. Uno spaventole bagno di sangue. Il sangue scorre ovunque, e tutto all’ingiro
giacciono i morti e brandelli di cadaveri, cosicché.
A questo punto il diario finisce : la morte è
giovane ufficiale devoto alla sua causa.
Dolina del Carso
venuta a prendere il
Anni dopo ritroveremo l’eco di quello stesso orrore proprio nel diario di
guerra di quell’Arciduca Ereditario Carlo Francesco Giuseppe d’Asburgo
che aveva stretto la mano al giovane ufficiale. Nelle sue “Memorie di
guerra”, parlando di Doberdò, l’Arciduca dice : “Giuro in Dio che
l’altopiano di Doberdò è la cosa più orribile che si possa
immaginare. Doberdò è un mare di fiamme e i tormenti fanno
impazzire... Doberdò è un campo di cadaveri nel quale soldati italiani
e magiari hanno scritto che cosa sia patriottismo ed eroismo”.
Carlo Io, ultimo imperatore d’Austria, morì nel 1922, nell’isola di Madera.
Mentre sulle Alpi si lotta e si muore
per la Patria, altri soffrono per non
poter fare altrettanto.
Lo scrittore Luigi Pirandello è a
Roma. Ha un figlio al fronte. Le
tradizioni risorgimentali della sua
famiglia vorrebbero che egli pure
partisse per il fronte...ma egli è già
sulla cinquantina e non ha mai
maneggiato un’arma. Allora, che fare ?
Si sfoga con la penna. Rifugiandosi
sotto il nome immaginario di Berecche,
professore di storia in ritiro, egli si
proietta lontano lontano nello spazio e
nel tempo, e medita, a modo suo, sulla
guerra.
Luigi Pirandello (1867- 1936)
“Berecche – egli racconta – quella sera s’appressa alla finestra più
vicina, siede e si mette a guardare le stelle. .....
.....
... Domani, tra mille anni, un altro
Berecche professore di storia dirà ai suoi alunni, che intorno al 1914
c’erano ancora potenti e fiorenti nel centro d’Europa due imperi : uno
detto di Germania, su cui sedeva un Guglielmo II d’una dinastia
scomparsa, che pare fosse detta degli Hohenzollern ; e detto, l’altro,
impero d’Austria, su cui sedeva vecchissimo un Francesco Giuseppe della
dinastia degli Asburgo. Erano questi due imperatori tra loro alleati e
forse entrambi, almeno a quanto si suppone per certi dati, benché a lume
di logica non paja verosimile, alleati anche col re d’Italia, un Vittorio
Emanuele Terzo della dinastia di Savoia, il quale però, almeno in
principio, mancò alla guerra che quell’imperatore di Germania, togliendo
– pare – a pretesto l’uccisione per mano dei Serbi di un tal Francesco
Ferdinando arciduca ereditario d’Austria, stupidamente mosse contro la
Russia, la Francia e l’Inghilterra, allora anche esse alleate tra loro e
potentissime, una segnatamente, l’Inghilterra, padrona in quel tempo dei
mari e d’innumerevoli colonie.
Cosí, tra mille anni – pensava Berecche – questa atrocissima guerra,
che ora riempie d’orrore il mondo intero, sarà in poche righe ristretta
nella grande storia degli uomini ; e nessun cenno di tutte le piccole storie
di queste migliaja e migliaja di esseri oscuri, che ora scompajono travolti
in essa, ciascuno dei quali avrà pure accolto il mondo, tutto il mondo in
sé e sarà stato almeno per un attimo della sua vita eterno, con questa
terra e questo cielo sfavillante di stelle nell’anima e la propria casetta
lontana lontana, e i proprii cari, il padre, la madre, la sposa , le sorelle, in
lagrime e, forse, ignari ancora e intenti ai loro giuochi, i piccoli figli,
lontani lontani. Quanti, feriti non raccolti , morenti su la neve, nel fango, si
ricompongono in attesa della morte e guardano innanzi a sé con occhi
pietosi e vani, e più non sanno vedere la ragione della ferocia che ha
spezzato sul meglio, d’un tratto, la loro giovinezza, i loro affetti, tutto per
sempre, come niente ! Nessun cenno. Nessuno saprà. Chi le sa, anche
adesso , tutte le piccole, innumerevoli storie, una in ogni anima dei milioni
e milioni di uomini di fronte gli uni agli altri per uccidersi ? Anche
adesso, poche righe nei bollettini degli Stati Maggiori : - s’è progredito,
s’è indietreggiato ; tre , quattro mila tra morti, feriti e scomparsi. E basta...
***
Gabriele D’Annunzio, invece,
dal giorno in cui si sono aperte le
ostilità non sa darsi pace. Egli sa
maneggiare le armi, sa cavalcare ,
sa anche pilotare gli aeroplani, ma,
per riguardo alla sua età (ha gia 52
anni) e per il suo prestigio come
poeta d’Italia lo si vuole distornare
dal prender parte alla guerra.
Allora egli prende la penna e
scrive al Capo del Governo : “Mi
sento incapace di comporre un
verso oggigiorno ... Come si può
parlare della mia vita preziosa e
di altre simili futilità ? Non sono
l’uomo di lettere che voi immaginate, in pantofole e calottina. Io sono un soldato e voglio
vivere come un soldato”.
Lo si accontenta, dunque, il
Poeta-soldato e gli si permetterà
di trasformarsi in combattente di
terra, di mare e di aria a suo
piacimento.
Gabriele D’Annunzio
Il poeta parte per il fronte.
Come gli uomini del Rinascimento egli mostrerà poi di saper
maneggiare cosí bene la penna che la spada. Compie voli su Trieste,
Trento, Zara, lasciando cadere volantini di incitamento alla resistenza e alla
lotta. Una volta, per evitare la contraerea, sale a oltre 4000 metri, altezza
sbalorditiva per quei tempi. Un’altra volta, in un volo, sgancia sette delle
otto bombe che porta il suo apparecchio : l’ottava gli s’incaglia fra il
carrello. Ogni sforzo per rimuoverla è inutile ; allora egli è costretto a
fare un atterraggio rasente sull’acqua del mare.
Avevano detto che D’Annunzio era un corteggiatore di belle dame
egli mostrerà, ora, di saper corteggiare anche la morte !
***
:
Arriviamo cosí alla fine di questo 1915, certamente molto lontani dai
piani iniziali, Vienna e le pianure magiare ! Nondimeno l’Italia si
è coperta di una discreta gloria. Anche altrove le cose non vanno molto
diversamente. Ormai appare chiaro che gl’Imperi Centrali hanno la scorza
dura : solo un coordinamento di tutti gli sforzi alleati, mediante offensive
d’insieme intelligentemente concordate, potrà permettere di aver ragione
dell’avversario.
Verso la fine di quell’anno viene in Italia il Maresciallo francese Joffre.
Il Re accompagna il Maresciallo in ispezione al fronte.
Joffre dichiara di non aver visto nulla di tanto arduo.
Un giorno arrivano fin nella conca di Caporetto, ove consumano una
colazione sull’erba, certo ignari di quali e quanti sacrifici sia ancora avido
l’avvenire. Ma lí, a due passi, sotto quel cielo, fra quelle vette, ci sono
i giovani – i giovani che non credono alla morte – e che cantano :
E tu, Austria, che sei la più forte,
fatti avanti se hai del coraggio ;
e se la bubba ti lascia il passaggio,
noialtri alpini fermarti saprem.
Care mamme, che tanto pregate,
non disperate pei vostri figlioli,
ché qui sull’alpe non siamo noi soli,
c’è tutta Italia che a fianco ci sta.
***
Al Teatro Balbo di Torino la cantante
Gea della Garisenda interpreta i sentimenti del Paese :
A Tripoli!
Tripoli, bel suol d’amore,
sarà italiana al rombo del cannon…
5 ottobre 1911
Occupazione di Tripoli tra l’entusiasmo popolare
e il consenso – quasi totale – della Nazione.
Cagni
a cui fu affidato
il comando del corpo
di sbarco.
Caneva
il comandante delle
truppe, ascendenti a
più di 20.000 soldati.
C’è la stampa. Luigi Barzini (a terra)
del “Corriere della sera” e Corrado Zoli
(a cavallo) del “Secolo”, 10 dic. 1911.
Piazza
il capitano pilota,
il primo a volare in
Libia, 22 ott. 1911.
C’è anche la radio ! Guglielmo Marconi e la
sua radio nella base di Tobruk, alla fine del
dic.1911.
Il monumento
ai Caduti di Tripoli,
opera dell’architetto
Armando Brasini.
Inaugurato nel 1925
dal ministro
delle Colonie
on. Di Scalea.
1911 -1912 : la Libia ? “ uno scatolone di sabbia”.
Definizione meditata e scritta da Francesco Saverio Nitti.
PAPÀ È LONTANO. Una vignetta pubblicata nel Natale 1911.
La madre, assorta, dice al bambino : “Vedi come è lontano il papà ?”
GOFFREDO MAMELI
(Genova 1827- Roma 1849)
Fu poeta : giovinetto, scriveva versi. Fu patriota : adulto, si gettò
volontario nella lotta per la libertà e per la patria. Partecipò attivamente a
manifestazioni patriottiche in diverse città d’Italia. Prese parte alle
vicende della prima guerra per l’indipendenza. Combattè sul Gianicolo
al tempo della Repubblica Romana, nel 1849 : ferito mortalmente,
l’amputazione della gamba non lo salvò dalla morte che lo colse il
6 luglio di quell’anno. Mameli è considerato il più legittimo
discepolo di Mazzini.
Il Canto degli Italiani : Fratelli d’Italia.
(scritto da G.Mameli e musicato da M.Novaro)
Fratelli d’Italia,
l’Italia s’è desta,
dell’elmo di Scipio
s’è cinta la testa ;
dov’è la Vittoria ?
le porga la chioma,
ché schiava di Roma
Iddio la creò.
Stringiamoci a coorte,
siam pronti alla morte ;
Italia chiamò.
Noi siamo da secoli
calpesti, derisi,
perché non siam popolo,
perchè siam divisi ;
raccolgaci un’unica
bandiera, una speme ;
di fonderci insieme
già l’ora suonò.
Stringiamoci …..
Uniamoci, amiamoci ;
l’unione e l’amore
rivelano ai popoli
le vie del Signore.
Giuriamo far libero
il suolo natio :
uniti, per Dio,
chi vincer ci può ?
Stringiamoci ….
...................................
Il Canto degli Italiani inizialmente cominciava con le parole “Evviva l’Italia !”
. Michele Novaro, con ampio consenso di Mameli, sostituì “Evviva l’Italia !”
con “Fratelli d’Italia”. Qual è l’origine dell’inno ?
Una sera di quel lontano 1847, in un circolo di mazziniani c’è anche,
fra gli
amici, Michele Novaro : sono intenti a scovare qualche bella musica di
carattere patriottico, quando giunge da Genova un certo Ulisse Borzino, pittore.
Entra. Saluta. Poi, rivolgendosi a Michele, cava di tasca un foglietto, glielo
porge, “Tieni”, gli dice, “te lo manda Goffredo”. Novaro prende il foglietto, lo
apre, scorre con l’occhio su quelle parole “...l’Italia s’è desta… noi non siam
popolo, perchè siam divisi… uniamoci…” .
Triste realtà di quei tempi : l’Italia non è una, è divisa in sette stati, non
segue un’unica bandiera e vive oppressa sotto il piede straniero.
Novaro si congeda dagli amici. Rincasa. Si sente ispirato dalle parole di
Goffredo. Non può dormire. Si siede al pianoforte. Strimpella fino a notte alta e
in poche ore riesce a comporre quelle note che insieme alle parole dovranno
elettrizzare tutti gl’Italiani.
L’inno è nato. “Fratelli d’Italia” piacerà anche a Verdi, che, nell’Inno delle
Nazioni, del 1862, affiderà proprio all’Inno di Mameli, e non alla Marcia
Reale, il compito di simboleggiare l’Italia.
L’inno inizia con un richiamo all’ “antico valore”, cioè, alla romanità. L’Italia
s’è desta : pronta alla guerra, cinge la testa dell’elmo di Scipione, il condottiero
romano vincitore d’Annibale a Zama.
Dov’è la Vittoria ? La dea romana, per volere divino schiava di Roma, deve
rassegnarsi al taglio della chioma, secondo l’antico costume degli schiavi di
sottostare al taglio dei capelli in segno di servitù.
L’Inno di Mameli fu cantato durante tutto il periodo risorgimentale. Divenne
provvisoriamente Inno Nazionale della Repubblica Italiana
il 12 ottobre 1946. Solo di recente è stato ammesso per legge.
“Fratelli d’Italia” è il grido concorde di un popolo che insorge contro i suoi
oppressori. È radicato ormai nella tradizione e negli affetti del popolo italiano.
È una reliquia preziosa del passato, da non dimenticare.
Michele Novaro (1822- 1885)
Michele Novaro riposa nel Cimitero di Staglieno (a Genova) vicino alla tomba
di Giuseppe Mazzini. Sul monumento funebre si leggono le parole:
Artefice di possenti armonie
ond’ebbe Italia quel canto
che ridestava nel cuor degli oppressi
la coscienza dell’antico valore.....
Trionfa in Italia l’idea unitaria.
14 marzo 1861 : il disegno di legge per la proclamazione del Regno d’Italia viene approvato dal
primo parlamento italiano, a Torino.
17 marzo 1861 : il disegno di legge ottiene la
sanzione reale.
25 marzo 1861 : ha inizio nella stessa camera la
discussione su Roma capitale.
27 marzo 1861 : memorabile discorso di Cavour
(“La stella d’Italia è Roma. Ecco la nostra stella
polare. Bisogna che la città eterna, sulla quale
venticinque secoli hanno accumulato tutte le glorie,
sia la capitale d’Italia...”).
6 giugno 1861 : ...padre Giacomo arrivò alle
cinque e mezzo con gli Olii Santi. Cavour lo
riconobbe, gli strinse la mano e disse : “Frate,
frate, libera Chiesa in libero Stato”. Furono le sue
ultime parole... giovedì 6 giugno alle ore 6 e tre
quarti del mattino il Conte rese l’anima a Dio.
William de la Rive (Vita di Cavour)
2 ottobre 1870 : Plebiscito per Roma e provincia.
La formula a cui i Romani saranno chiamati a rispondere : “Vogliamo la nostra unione al Regno
d’Italia sotto il governo monarchico e costituzionale
del Re Vittorio Emanuele II e suoi successori”.
Nella città : voti favorevoli 40.785, contrari 46.
Dopo il plebiscito il Re Vittorio Emanuele II ebbe
a dire : “Con Roma capitale ho sciolto la mia
promessa e coronato l’impresa che ventitré anni or
sono veniva iniziata dal mio magnanimo genitore”.
Giovanni Giolitti
Uno dei maggiori uomini
politici del suo tempo,
Giolitti fu cinque volte
Presidente del Consiglio.
Uomo di buon senso,
con una staordinaria capacità
di riassumere e semplificare
le questioni più compelsse.
L’on. Giovanni Giolitti (1842-1928)
Difficile la situazione internazionale dell’Italia nel 1914, costretta a destreggiarsi
tra l’Alleanza e l’Intesa, tra le sue necessità mediterranee, rese più sensibili dalla sua
presenza sull’altra sponda di quel mare, e le mai dimenticate aspirazioni
irredentistiche, alle quali l’Austria, con l’intensificata lotta contro l’elemento
italiano nella Venezia Giulia, offriva continui incitamenti. E le difficoltà di quei
tempi erano esasperate da avvenimenti d’ogni natura, come quando, nell’Estate
1912, la Triplice Intesa concentrava significativamente l’intera flotta francese in
Mediterraneo, o, nell’aprile 1913, l’Austria chiedeva al governo italiano il consenso
ad una dimostrazione contro la Serbia. Giolitti rifiutava immediatamente, precisando
che il fine dell’Italia non poteva essere che uno solo : « Evitare che avvenga una
guerra europea; e se questa avvenisse non averne la responsabilità e non esservi
implicati». E ancor più recisamente, nel successivo agosto, fondandosi sul testo
stesso della Triplice, il vecchio uomo di Stato negava all’Austria il diritto di agire
con la forza contro la sua inquieta vicina meridionale.
Per due volte, in uno stesso anno, l’Austria aveva dovuto rinunciare ai suoi
propositi di vendetta contro la piccola Serbia e l’Italia aveva qualche merito nel far
dileguare l’incubo d’un conflitto europeo. Ma quando, il 28 giugno 1914, le
revolverate dei cospiratori di Sarajevo abbatteranno, nella capitale di quella Bosnia
che era meta e sogno dell’irredentismo serbo, l’arciduca ereditario d’Austria
Francesco Ferdinando, non sarà più possibile evitare la tragedia. E nel baratro
aperto precipiterà tutto un mondo, quello che la generazione che vi aveva avuto
educazione e dimora rimpiangerà sempre, con il nobile scrittore Stefan Zweig, come
« il mondo della sicurezza e della ragione creatrice ».
(Alberto M. Ghisalberti : “L’Italia dal 1870 al 1915” ; “Addio mondo di ieri”).
24 maggio 1915 : inizio delle ostilità. Si parte.
Le tradotte portano al fronte reggimenti di mariti, di fidanzati...
Il fucile modello ’91 in dotazione ai fanti della prima guerra mondiale. Quando
la nuova arma venne collaudata dai tecnici militari, gli strateghi ne furono subito
entusiasti. “Le battaglie del futuro – essi affermarono – saranno certo corte e
micidiali”. Putroppo soltanto la seconda previsione fu esatta.
La pistola-mitragliatrice Fiat cal.9, modello 1915, accanto al cappello di un alpino.
Cannone Déport da 75/27, modello 1911, che sostituí le vecchie artiglierie con
bocche da fuoco in bronzo.
Le Alpi sono il maestoso teatro della nostra guerra.
La linea di combattimento è lunga oltre 600 chilometri : dal passo dello Stelvio al Mare Adriatico.
Settore di Trento, in cui prevalse
Settore dell’Isonzo, in cui fu sempre desto
la tattica difensiva.
lo spirito offensivo.
A. Italia : Fanteria, 157o e 158o Reggimento,
Brigata «Liguria», Maggiore, 1916.
A. Austria : Imperiali Cacciatori
4o Reggimento, Capitano, 1914.
B. Italia : Alpini, Caporale, 1917.
B. Austria : Cacciatori delle Alpi, Soldato, 1917.
tirolesi,
Estate 1917. Sul Pasubio. Il generalissimo Cadorna
si intrattiene con un ufficiale della Brigata “Liguria”.
Cadorna lasciò il comando dell’esercito italiano l’8 nov.1917 (in seguito alla rotta
di Caporetto), e fu nominato membro del Comitato consultivo militare interalleato
di Versailles, del quale fece parte per alcuni mesi. Nel 1919 governo e parlamento
lo privarono del titolo e dei possedimenti. Nel 1924 il governo fascista lo richiamò
in servizio conferendogli il grado di Maresciallo d’Italia.
“... i tratti singolari della sua figura : quasi tutti gli negano il genio, la fantasia, la
capacità di farsi amare dall’esercito ; nessuno gli contesta il carattere, la tenacia, le
doti di grande organizzatore... Meticoloso nel badare all’equipaggiamento, alle
scorte, alle munizioni, ai collegamenti logistici, pareva non accorgersi che il morale
degli uomini è un fattore altrettanto decisivo della vittoria.”
(Mario Costa : Cadorna, lo sconfitto di Caporetto)
L’Isonzo
Questo è l’Isonzo
e qui meglio
mi sono riconosciuto
una docile fibra
dell’universo
G.Ungaretti (I fiumi )
Con questo nome comprensivo si possono indicare le lotte che, dal maggio
1915 all’ottobre 1917, si svolsero nel tratto da Plezzo al mare. Anche nel
passato sulle rive dell’Isonzo furono frequenti gli scontri, perché questo fiume
rappresentava un ostacolo alle invasioni ed una difesa per la regione veneta.
“Non ho mai visto acque più cerulee di quelle dell’Isonzo ! Strano !
Mi sono chinato sull’acqua fredda e ne ho bevuto un sorso con devozione.
Fiume sacro !”
B.Mussolini (dal “Diario di guerra” )
Questa fotografia, presa su una quota del Montenero, rappresenta l’incredibile situazione nella quale si condusse
la guerra dal 1915 al 1917. Trincee scavate su picchi vertiginosi, accanto alle nevi eterne, senza la più piccola
probabilità o possibilità di modificare le linee, neanche con i più costosi attacchi. Un sanguinoso assurdo.
D’Annunzio vola su Trieste
Battaglia nei cieli
Non fu troppo ottimista il generalissimo Cadorna ?
Questo è il piano d’attacco previsto da Cadorna prima del maggio 1915.
Tre nostre armate, passando per Lubiana, dovevano giungere sulla Drava
e spingersi fino a Vienna o a Budapest.
Verso la fine del 1915
il Maresciallo francese
Joffre viene in Italia.
Cadorna accompagna
il Maresciallo
in ispezione al fronte.
Joffre dichiara
di non aver visto
nulla di tanto arduo.
Un giorno il Re
e il Maresciallo Joffre
arrivano fin nella conca
di Caporetto,
ove consumano
una colazione sull’erba,
certo ignari
di quali e quanti sacrifici
sia ancora avido
l’avvenire.
Sull’erba di Caporetto
Nel maggio del 1916 il
generale austriaco Conrad decide di
organizzare una grande offensiva
contro l’Italia sul settore trentino.
Il generale Conrad è l’avversario
numero uno dell’Italia. Egli è
ossessionato da un’idea : mettere
l’Italia fuori combattimento.
Radunati 400.000 uomini e
ingentissime quantità di materiale
bellico, dopo violentissimi bombardamenti, tenta di irrompere nella pianura veneta e di raggiungere il
Po scendendo alle spalle della massa principale dell’esercito italiano.
Questa operazione venne chiamata “Strafe Expedition” , cioé
“operazione punitiva”. E la punizione era per quel distacco dell’Italia dalla Triplice che gli Austriaci consideravano“tradimento”!
Se il generale Conrad fosse
riuscito nel suo intento, avrebbe
ripristinato i vecchi confini del
1866, sulla linea Mincio-Po ; invece dopo un parziale avanzamento al centro del settore, il generale dovette fermarsi perché
minacciato dalla posizione delle
ali italiane che “tennero duro” sul
Passo Buole e sul Pasubio. Fra
avanzamenti e ripiegamenti questa campagna costò agl’Italiani
ben 148.000 morti, agli Austriaci
100 mila.
Franz Conrad von Hötzendorf
(1852-1925)
Grande organizzatore, si rivelò deficiente stratega. È il grande nemico
dell’Italia. Ma dopo lo scacco del
giugno 1918 fu collocato a riposo.
Fu fatto prigioniero in quei giorni il patriota Cesare Battisti. Ed essendo
egli suddito austriaco che combatteva per l’Italia, fu processato a Trento
come reo di alto tradimento e impiccato.
Allo scoppio della guerra, quando l’Italia era ancora neutrale, egli aveva
scritto :
“Farei torto ai cuori gentili, se osassi
supporre che lo strazio delle madri di
Trento e Trieste crudelmente private dei
figli condotti al macello sui campi di
Galizia, non sia condiviso dalle madri
tutte d’Italia. Quanti sentono lo sdegno
verso un tale governo, devono
cooperare a ciò che esso sia cancellato
dalla faccia della terra. Contro di esso
devono sorgere i vivi e i morti d’Italia.
Coi vivi sarà, nel momento della grande
riscossa, Garibaldi.
E io mi auguro che quando la Patria
chiamerà i suoi figli alle armi per
compiere l’opera dell’eroe, tutti
gl’Italiani col cuore stesso, con lo
Cesare Battisti (1875 -1916)
stesso spirito che ebbe Garibaldi, al di
sopra di ogni interesse personale, di ogni ambizione, d’ogni meschina
gara di parte, tutti sappian rispondere : Siam pronti. Obbediamo !”.
Condivise la sorte e la gloria di Cesare Battisti un altro trentino :
Fabio Filzi. Per l’Italia essi furono altri martiri da aggiungere alla lunga
corona dei Martiri del Risorgimento.
***
Il parziale successo della “Strafe Expedition” di Conrad aveva intanto
ingenerato un po’ di panico alla Camera del Governo. Con voce scherzosa
quel panico si chiamava “fifa”, parola che entrerà proprio in quel tempo
nel vocabolario della lingua comune. Ora la Camera ricordava in che modo
era stata messa dentro la guerra. Salandra aveva avuto il torto di credere
che la guerra sarebbe stata breve e gli avvertimenti di Giolitti ritornavano
ora in mente ! Cade dunque Salandra – il quale si bisticciava anche
apertamente con Cadorna – e succede Boselli che a settantotto anni di età
non avrà voglia, si spera, di fare altrettanto.
L’arresto della minaccia sul fronte trentino fu
subito seguito da un’offensiva sul fronte
dell’Isonzo. La Terza Armata, al comando del
Duca d’Aosta, riesce a conquistare, nell’agosto di
quell’anno, la città di Gorizia. Le battaglie di
quei giorni portano i nomi delle alture
brillantemente conquistate, anche se a duro
prezzo : Sabotino, Podgora, San Michele.
Meritò, in quei giorni, la medaglia d’oro al
Il Duca d’Aosta
valore Enrico Toti : il bersagliere ciclista con
(1869-1931)
una gamba sola !
C’era là, sul San Michele, anche il nostro caro poeta Giuseppe Ungaretti.
Nato ad Alessandria d’Egitto, da genitori italiani, egli era là vestito
dell’uniforme del semplice fante, a servire la terra dei suoi padri. “Non
divenni neanche caporale, egli dice, perché non sapevo assolutamente
comandare”. In mezzo alla visione cosí disumana della morte e della
sofferenza egli afferma : “Non è bello indicare la guerra come elemento
rivelatore a un uomo di sé stesso, ma d’altra parte questo contatto costante
con la morte cieca, perigliosa, fu per me un’esperienza grandissima”.
Nelle soste, nei silenzi improvvisi del fronte, scriveva seduto per terra
i versi di quell’esperienza drammatica :
Italia
Sono un poeta
un grido unanime
sono un grumo di sogni
Sono un frutto
d’innumerevoli contrasti d’innesti
maturato in una serra
Ma il tuo popolo è portato
dalla stessa terra
che mi porta
Italia
E in questa uniforme
di tuo soldato
mi riposo
come fosse la culla
di mio padre
Giuseppe Ungaretti
Sentiamo ora dalla sua stessa voce la lettura di :
Sono una creatura
Come questa pietra
del S.Michele
cosí fredda
cosí dura
cosí prosciugata
cosí refrattaria
cosí totalmente
disanimata
Come questa pietra
è il mio pianto
che non si vede
La morte
si sconta
vivendo
***
Nella seconda metà di agosto l’Italia dichiara guerra anche alla
Germania. Questa volontà di una più stretta collaborazione con gli Alleati
venne espressa dal nuovo Governo Boselli, che, per la partecipazione di
tutti i partiti interventisti, fu detto Ministero Nazionale.
Dopo la presa di Gorizia, la guerra si stabilizzò ancora.
Intanto si combatteva anche sui mari. Anzi, fu proprio in quei giorni
d’agosto 1916 che l’Italia noverò fra i suoi figli del mare un altro martire
illustre : Nazario Sauro. Marinaio puro sangue, l’istriano Nazario Sauro
aveva prestato servizio nella marina mercantile austriaca. Allo scoppio
delle ostilità si era espatriato con grande rischio ed era divenuto Tenente di
Vascello nella Marina italiana. Pratico dei luoghi, egli diresse molte
operazioni di siluranti italiane. Ma una di queste doveva riuscirgli fatale :
essendosi il suo sommergibile incagliato sulle coste nemiche, venne
catturato, riconosciuto e impiccato a Pola. Quando l’ammiraglio Cagni, alla
testa delle navi italiane, entrò in Pola redenta, sua prima cura fu di ritrovare
la salma dell’eroe, e il martire ebbe allora la sua apoteosi.
La flotta austriaca di alto mare (come, del resto, anche quella tedesca)
sfuggiva le battaglie e restava ancorata nei porti, protetta da insormontabili
sbarramenti di mine. I caccia, gli incrociatori, i sommergibili furono i soli
a svolgere attività.
Compito dei nostri marinai era andare a colpire il nemico anche nei suoi
rifugi. Le forze navali italiane avevano le loro basi a Venezia, Brindisi
e Taranto. Imprese audacissime furono compiute da veloci, minuscole navi
a motore, create per dar la caccia ai sommergibili e chiamate con la sigla
M.A.S, che significa appunto “Motoscafo anti-sommergibile”. Gabriele
D’Annunzio – che si avventurò anche sul mare in azioni di grande valore –
non contento di quel lungo e troppo prosaico nome “Motoscafo antisommergibile”, prese un giorno la sua bacchetta magica, toccò la sigla
M.A.S. che diventò “Memento Audere Semper” , cioè “Ricordati di osare
sempre”.
Motoscafo anti-sommergibile
***
Non soltanto sulla terra e sul mare, ma anche nei cieli la guerra
moltiplica i suoi agguati.
L’undici di novembre la città di Padova è bombardata da aeroplani
austriaci : più di ottanta vittime, fra cui donne e bambini.
Un giorno, di ritorno da un volo
sopra le linee nemiche, Gabriele
D’Annunzio perde l’occhio suo destro,
che nell’atterraggio va a sbattere
contro la mitragliatrice di bordo. È
obbligato a stare in letto , con la testa
più bassa dei piedi e col pericolo di
perdere la vista. A letto, per non perder
tempo, scrive il “Notturno” che è una
delle sue opere di rilievo. Ma appena
due mesi dopo era già nei cieli,
un’altra volta, nonostante tutte le
raccomandazioni di non avventurarsi
con un occhio solo. “Ho perduto un
occhio – egli diceva – e come sarebbe
a dire ? L’altro non basta ?...Pensate
ai Cilclopi che avevano un occhio
solo e potevano compiere il loro
lavoro in qualsiasi fucina”.
***
Il ventun novembre muore Francesco Giuseppe, l’Imperatore d’AustriaUngheria.
Egli detiene un primato : 68 anni di
regno ! Per tenere insieme quella
sua numerosa, eterogenea famiglia,
quante volte non aveva dovuto fare
il duro ! guadagnandosi cosí il nomignolo
sinistro di ..... imperatore
degli impiccati !
(1830 – 1916)
Trentacinque anni prima – il 20 dicembre 1882 – aveva fatto impiccare il
ventiquattrenne triestino Guglielmo Oberdan : il primo dei martiri per
l’italianità di Trieste. “La causa di Trieste – aveva detto Guglielmo
Oberdan – ha bisogno di un martire triestino”.
Alla notizia della condanna, Giosue Carducci
aveva scritto su un periodico di Bologna :
“Italiani, facciamo un monumento a Guglielmo
Oberdan ! ...Guglielmo Oberdan ci getta la sua
vita e ci dice “Eccovi il pegno. L’Istria è
dell’Italia”. Rispondiamo : Guglielmo Oberdan,
noi accettiamo. Alla vita e alla morte.
G.Carducci
Riprendemmo Roma al Papa, riprenderemo
(1835- 1907)
Trieste all’Imperatore. A questo imperatore
degl’impiccati”.
***
Anche il 1916 se ne va lasciando in tutti i belligeranti un’impressione di
stanchezza. Sui fronti occidentali – in Francia come in Italia – le operazioni
militari assumono il carattere di lunghe battaglie di logoramento, anziché di
manovra per una rapida vittoria, giudicata impossibile. I belligeranti si
sforzano di risparmiare gli uomini aumentando l’impiego delle artiglierie e
dei mezzi blindati. Fanno la loro comparsa i primi carri d’assalto – enormi–
ma sono ancora pochi. Danno invece risultati importanti gli aeroplani da
bombardamento e da combattimento, il cui numero viene incessantemente
aumentato. La guerra sottomarina si estende a tutti i mari. Sono
grandemente aumentati nel 1916 il numero e l’impiego dei mezzi
automobilistici. Ma i mezzi motorizzati non trovano accesso dappertutto : e
ci sono tante vette, tante creste impervie ove i pezzi d’artiglieria, le
munizioni, i viveri, i pacchi dono per le feste arrivano unicamente a dorso
di mulo. Su quelle postazioni alpine, talvolta a oltre 3000 metri, non si
odono che gli uccelli rapaci, il ta-pum caratteristico dei fucili austriaci e il
rombo del cannone.
Non più coperte, lenzuola, cuscini,
non più il sapore dei caldi tuoi baci,
solo si sentono gli uccelli rapaci
fra la tormenta e il rombo del cannon .
***
Cesare Battisti il 12 luglio 1916 chiudeva sul patibolo la sua vita
dedicata, interamente e con ardore, alla lotta per gl’ideali del riscatto
nazionale e della democrazia socialista.
Nacque a Trento. Volle combattere tra gli Alpini come soldato semplice.
Col suo valore conquistò il grado di tenente. Il 10 luglio 1916, alla testa
della sua compagnia, muove all’assalto di una forte posizione nemica.
Circondato da forze soverchianti, cade nelle mani degli Austriaci.
Riconosciuto, processato come colpevole di alto tradimento, fu
condannato a morte. L’ultimo suo grido fu : “Viva l’Italia !”.
L’irredentismo
al patibolo
Guglielmo Oberdan,
il primo martire per l’italianità di Trieste, si recò
nella sua città col proposito
d’attentare alla vita dell’imperatore d’Austria, ma più
ancora, per sacrificarsi. “La
causa di Trieste – diceva–
ha bisogno d’un martire
triestino”. Catturato e processato, ammise il suo intento ed affrontò stoicamente la morte, il 20 dicembre 1882. Aveva soltanto ventiquattro anni.
Fabio Filzi, di Pisino d’Istria, attivo
irredentista. Quando iniziò la guerra
disertò dall’esercito austriaco per arruolarsi negli Alpini. Durante un’azione sul Monte Corno, egli venne
catturato con Battisti e fu come lui
impiccato nella fossa del castello del
Buon Consiglio a Trento il 12 luglio
1916.
Cesare Battisti in catene ad
Alden il 10 luglio del 1916,
poche ore dopo essere stato
catturato sul Monte Corno, in
Vallarsa. Processato per direttissima sotto l’accusa di alto
tradimento, fu condannato a
morte da un tribunale austriaco
e impiccato con Fabio Filzi la
sera del 12 luglio 1916.
Nazario Sauro
venne catturato
dagli Austriaci
sul canotto col
quale si allontanava dal suo
sommergibile
incagliato in Adriatico. Fervente assertore dell’italianità di Trieste, volontario nella Marina italiana allo
scoppio della Grande Guerra, verrà
processato e giustiziato il 10/08/1916.
Era nato a Capodistria nel 1880.
Emanuele Filiberto di Savoia
Savoia-Aosta
Il Duca d’Aosta guidò la IIIa Armata
senza mai subire sconfitte (donde
l’appellativo di Duca Invitto).
).
Riuscì a conquistare Gorizia nel 1916.
Nel 1926 fu nominato Maresciallo
d’Italia. Per sua volontàà venne sepolto
nel Sacrario Militare di Redipuglia.
Gorizia
La cittadina di Gorizia è abituale
punto di partenza per la visita dei
più interessanti campi di battaglia
della Grande Guerra. Sacri nel cuore
degli Italiani sono anche i dintorni
della città per l’aureola di gloria
e di dolore che li circonda : Monte
Santo, Podgora, San Michele,, Sabotino,
Bainsinzza,.....
Gorizia
A datare dal 1500 la cittadina di Gorizia appartenne alla Casa d’Austria :
vi fu ammessa dall’Imperatore Massimiliano Io (1459-1519).
1519). Più tardi
o
l’Imperatore Leopoldo I (1640-1705),
1705), trovandosi a soggiornare in Gorizia
– ricercata per la dolcezza del clima e la posizione incantevole – scriveva
scriv
:
“Il paese, il clima, il non sentir favellare altra lingua che l’italiano, mi fanno
scrivere anche nella medesima”..
Enrico Toti
C’è anche la medaglia d’oro Enrico
Toti…! Popolano di Roma, Enrico Toti
(1882-1916), benchè mutilato di una
gamba per infortunio sul lavoro, riuscí
con grave difficoltà a farsi arruolare nel
3º battaglione Bersaglieri ciclisti.
Cadde eroicamente a Quota 85 presso
Monfalcone il 6 agosto 1916, dopo aver
compiuto prodigi di valore : l’ultimo
gesto fu di scagliare la sua gruccia
contro il nemico.
Gli fu conferita la medaglia d’oro al
valore.
Un monumento, opera espressiva dello
scultore A.Dazzi, fu elevato nel 1922,
sul Pincio a Roma, all’eroico popolano il
cui gesto è diventato mito, leggenda,
sintesi radiosa della passione gloriosa
della Patria.
Il caporale Benito Mussolini
(1883-1945)
San Martino del Carso
Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro
Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto
Ma nel cuore
nessuna croce manca
È il mio cuore
il paese più straziato.
il 27 agosto 1916
La motivazione della nomina
a caporale
: “Per l’attività sua
esemplare, l’alto spirito
bersaglieresco e serenità d’animo ; primo
sempre in ogni impresa di lavoro
o di ardimento ; incurante dei disagi,
zelante e scrupoloso nell’adempimento
dei suoi doveri.”
Il fante Giuseppe Ungaretti (1888- 1970)
Quest’ immagine era cara al poeta :
gli ricordava i primi versi scritti sul Carso.
(di A. Selva, in Trieste )
Monumento a Guglielmo Oberdan
Guglielmo Oberdan nacque a Trieste nel 1858. Non volle prestare servizio
militare sotto la Bandiera dell’Austria. Fu condannato all’impiccagione
il 20 dicembre 1882. Appena ventiquattrenne, di bell’aspetto, si legge che
salì al patibolo sorridendo e, porgendo la testa al cappio del boia, gridò
con forza : “Evviva l’Italia ! Evviva Trieste libera ! Fuori lo straniero !”.
Oberdan è all’avanguardia di coloro che col sacrificio della vita
hanno riscattato la Patria dallo straniero e risvegliati gli animi dalla
secolare abitudine al servaggio. Nel cinquantenario della morte Mussolini
volle che gli fossero rese onoranze in ogni parte del Regno mettendolo
sull’Altare delle Glorie d’Italia.
…i mezzi motorizzati non trovano accesso dappertutto : i mezzi
d’artiglieria, le munizioni, i viveri, e i pacchi dono per le feste arrivano
unicamente a dorso di mulo...
Sono passati molti mesi dall’inizio del conflitto. Un mulo affronta i nevai
per portare doni ai soldati. Disegno di A.Beltrami (sulla “Domenica del
Corriere” ) che nel suo patriottico candore abbraccia gli sforzi dei
combattenti e di coloro che a casa ne attendono con ansia il ritorno.
La guerra parve sbizzarrirsi anche di più nel 1917.
Molti dovevano domandarsi, e non
senza ragione, se mai si sarebbe
arrivati a vedere la fine di un simile
conflitto che tendeva ad estendersi
piuttosto che a restringersi. Già
pareva un’eternità il tempo che era
durato. Quante volte l’umanità si era
sentita annunciare la propria fine senza
che questa poi si avverasse. Era
questa, forse, la catastrofe universale
foriera della fine ? Tanto valeva,
dunque, fermarla questa macchina
bellica : ma quel era il congegno
d’arresto ? dov’era ? e chi era capace
di metterlo in azione ?
Fu in
quell’anno che si parlò di “pace
bianca”, cioé, pace senza annessioni.
Fu in quell’anno che il Papa –
Bendetto XVo – parlò di “inutile
strage”.
Wilson, Presidente degli Stati Uniti
d’America, il 22 gennaio espone, in un
messaggio al senato, le proprie idee
sulle condizioni di una pace
“duratura” fondata sulla libertà delle
nazioni. Ma questa intromissione
parve un “dettato” alla Germania, la
quale rispose annunciando una lotta
ad oltranza della flotta tedesca contro
tutti i traffici marittimi, degli Alleati e
dei neutri. Gli Americani – che erano
già stati toccati, nel 1915, con la
famosa tragedia del “Lusitania” –
nell’aprile di quel 1917 si dichiarano
in guerra con la Germania.
Il Papa Bendetto XVo
(1854-1922)
Thomas Woodrow Wilson
(1856–1924)
In aprile pure, il fuoruscito Lenin arriva
alla stazione di Pietroburgo accolto dalla
banda che suona la Marsigliese.
Lenin vuole creare un uomo nuovo,
“una società comunista”.
È l’ora della Rivoluzione : “Il problema
fondamentale della Rivoluzione – dice
Lenin – è il problema del potere”.
Lenin (1870-1924)
Cosí, mentre gli Stati Uniti d’America s’immischiano negli affari
dell’Europa, la Russia se ne ritira.
***
In Italia la guerra continua col solito ritmo. Attacchi e contrattacchi
“a tutto sangue”. In maggio comincia la decima battaglia dell’Isonzo,
più vasta e più importante delle precedenti. Da Tolmino al mare,
durante tre settimane, è uno scatenarsi furibondo di uomini e di mezzi.
Migliaia di morti, migliaia di
prigionieri per raggiungere alcune
posizioni più avanzate, il Monte Santo, l’Hermada.
Nel settore trentino un’azione sull’Ortigara fa tremare, durante venti
giorni, le pendici del monte sotto gli schianti delle bombarde. Alla fine
l’Ortigara è un cimitero : circa ventimila morti, fra cui diecimila alpini
caduti in ossequio al dovere, là, abbarbicati alle rocce, vittime di quelli
che furon poi riconosciuti essere errori del nostro comando.
Per gli Alpini questa battaglia del giugno 1917 non fu mai una sconfitta :
essi la considerano anche oggi la pagina più gloriosa della loro storia.
Venti giorni sull’Ortigara senza il cambio per dismontar. ta–pum,......
L’indomani si va all’assalto:bada, alpino, a non farti ammazzar. ta–pum,..
Quando poi si discende a valle il battaglione non ha più soldà. ta–pum,...
Nella valle c’è un cimitero,cimitero di noi soldà. ta–pum, ta–pum,...
Ortigara… tristemente celebre
Ortigara, giugno 1917. Per spezzare la linea sulla quale gli Austriaci si erano fermati
alla fine della Strafe Expedition nel 1916, partirono, il 10 giugno, gli Alpini.
Conquistarono quota 2101, ma resisteva quota 2105 ; le altre difese della linea, non essendo
state occupate, permisero al nemico di sferrare i suoi attacchi.
Il giorno 19 gli Alpini, con un assalto improvviso, espugnarono la vetta dell’Ortigara
(m.2105) facendo di sè bersaglio, isolati com’erano, a tutti i mezzi di difesa del
nemico. Finalmente, la notte del 25 gli Austriaci, su posizioni dominanti, scatenarono
un bombardamento senza esempio, seguito da assalti a base di gas asfissianti
e lanciafiamme. Le eroiche truppe, mutilate, furono costrette ad abbandonare, palmo
a palmo, le conquiste splendidamente realizzate. Fu una prova di valore leggendaria.
In agosto ha inizio l’undicesima battaglia dell’Isonzo. Viene portata a
termine la conquista della fortissima posizione del Monte Santo ed
occupato tutto l’altipiano della Bainsizza. Su questo altipiano si distinsero
i Bersaglieri che agirono da cuneo sfondante.
Il Re, per tutto il tempo che la guerra durò visse con i soldati passando
da una trincea all’altra, da un posto di osservazione ad un altro, visitando
i feriti negli ospedali, distribuendo medaglie, dando consigli : onde lo
chiamarono il Re Soldato.
Siamo arrivati, cosí, alla dodicesima
battaglia dell’Isonzo, altrimenti chiamata “disfatta di Caporetto”, che, in
meno di una settimana, sembrò rendere
vani i sacrifici compiuti dagli Italiani
durante ventinove mesi di aspra guerra.
L’orgoglio ferito –a Caporetto – creò
quasi inconsciamente un’atmosfera di
mistero sulle cause che determinarono
questa rotta. Senza dubbio furono
commessi errori, poiché lo stesso
generalissimo Cadorna l’ammise apertamente. Ma difficilmente si potrebbe
occultare la dimensione reale di
Caporetto. Che, cioé, gl’Italiani stavano
là, sui confini, aggrappati a quelle Alpi,
con la tenacia del fanatico che sta
aggrappato al davanzale di una finestra, lottando disperatamente nell’intento di entrare nella casa di un forte
agguerrito.
Un momento di stanchezza, una mera fatalità avrebbero potuto rendere
vani i meriti di una pervicace costanza. Questo, purtroppo, doveva
accadere a Caporetto.
L’undicesima battaglia dell’Isonzo, la battaglia della Bainsizza, aveva
spinto troppo avanti il fronte, una decina di chilometri – non era mai
avvenuto in precedenza – ed aveva lasciato scoperto tutto il fianco sinistro
– la zona di Caporetto – dove, appunto, il nemico sfondò poche settimane
dopo.
Era vero che con la battaglia della Bainsizza l’esercito austro-ungarico
aveva manifestato segni non dubbi di cedimento, e perciò non c’era da
inquietarsi. Ma ora – chi può tutto prevedere ? – un fatto nuovo entrava
in iscena : l’intervento dei Tedeschi. Il fronte russo era crollato a causa
della Rivoluzione e gl’Imperi Centrali potevano ora riversare tutto
il peso delle loro forze sui fronti occidentali.
Nella notte del 24 ottobre, dunque, gli Austro-tedeschi, sulle posizioni
italiane fra Volzana e Caporetto, non con le masse usuali e previste, né
sulle linee previste, ma là dove gl’Italiani non erano, su direttrici nuove,
di fondovalle, con rapidi attacchi penetranti, affidati a piccoli gruppi
ben addestrati, irruppero veloci come un lampo, aiutati anche da una
nebbia bassa e persistente, e in poche ore sboccarono nella pianura senza
dar tempo alle truppe italiane di rendersi conto della realtà : onde nacquero le incertezze nei comandi, lo scompiglio, poi la disorganizzazione,
infine il caos che riduce tutto all’impotenza.
Si distinse, in quei giorni, per la sua
spregiudicata rapidità, il tenente Erwin
Rommel, la futura “volpe del deserto” , il quale
ci racconta – fra l’altro – nelle sue memorie,
di Italiani che gli venivano incontro
“completamente ignari della situazione e che
venivano sopraffatti prima ancora di potersi
difendere”.
Erwin Rommel
(1891-1944)
Cadorna, lí per lí, punto nel suo prestigio, s’affrettò a tacciare di
“vigliaccheria” la Seconda Armata. Intanto ordinava la resistenza sul
fiume Tagliamento, nella speranza che qualche circostanza improvvisa
consentisse di limitare al massimo le perdite territoriali. Poi, quando vide
che il successo ottenuto dal nemico era in grado di compromettere
strategicamente tutto il fronte fino al mare, allora ordinò la ritirata generale.
Punto d’arresto : il fiume Piave. Fu cosí che un successo locale del nemico
diventò la causa di una crisi totale.
Centinaia di migliaia di uomini dovettero indietreggiare rapidamente
decine e decine di chilometri.
“Una visione terrible, – commenta Giuseppe Ungaretti – la corsa per
arrivare ai ponti prima che saltassero, i morti, la paura, il paesaggio
sconvolto, il disordine colossale e una pioggia continua, un diluvio,
i paesi intravveduti in quel mare grigio di acqua e di fango”.
Fu duro lasciare le posizioni conquistate palmo a palmo con tante
battaglie ed abbandonare all’invasore gran parte della pianura veneta. Su
quella lunghissima, torva, bagnata processione di uomini, gli aeroplani
nemici lasciavano cadere milioni di volantini : “Italiani ! In questo
momento cosí grave per la vostra nazione, il vostro generalissimo che
è uno dei colpevoli autori di questa guerra inutile, ricorre ad uno strano
espediente per scusare lo sfacelo. Egli ha accusato il vostro esercito, il
fiore della vostra gioventù di viltà : ...il vostro generalissimo vi disonora,
vi insulta, per discolpare sé stesso !”.
Si tentava ancora una volta di mettere l’Italia in ginocchio, eliminandola
dal conflitto. Inutile parlare degli atti di disfattismo, dei disertori, che ci
furono... ma fu proprio in quell’ora più buia, quando tutto sembrava finito,
che l’Italia ritrovava sé stessa per la prima volta nella sua storia di
giovane nazione. Come ci sono facciate che nascondono delle brutture, cosí
ci sono rovesci che mettono a nudo dei valori impensati : era sotto la
scorza dal nemico cosí violentemente lacerata che si scopriva ora una
pianta giovane, sana, viva e vitale – l’Italia – . L’Italia che, nel momento
del dolore, della vergogna, usciva rinvigorita dalla sua adolescenza,
lasciando cadere la coscienza provinciale per acquistarne una collettiva,
nazionale.
Alla Camera del Governo il socialista dissidente Bissolati gridò che
avrebbe sparato nel
petto a chiunque avesse tradito o sparlato
dell’Esercito. Orlando : che ci si sarebbe ritirati a combattere fin nella
sua Sicilia se fosse stato necessario. Turati sostenne che era venuta l’ora
della concordia nazionale : “Anche per noi, Onorevole Presidente del
Consiglio, la Patria è sul Grappa” , egli disse. Giolitti abbandonò il suo
pacifismo e corse ad offrire il suo braccio. Sul giornale “Il Popolo
d’Italia”, di Benito Mussolini, si leggeva : “Oggi la Nazione deve essere
l’Esercito cosí come l’Esercito è la Nazione”.
***
Si è parlato troppo della “disfatta” di Caporetto : in verità si dovrebbe
vedere di più in Caporetto una “vittoria morale” che l’Italia seppe riportare
sopra sé stessa.
***
Cadorna ebbe il grande merito e sangue freddo – tra la bufera di quei
giorni – di saper studiare e disporre la linea del Piave con una conoscenza
da grande maestro di ogni particolare della regione ed una oculatissima
disposizione delle truppe. Egli – da meticoloso e prudente qual era e
conscio della reale consistenza di tutto il nostro apparato bellico – ci aveva
pensato già da tempo. Un giorno del 1916, movendo lentamente il suo
bastone da alpinista, aveva mostrato ai suoi ufficiali di Stato Maggiore,
cresta per cresta, paese per paese, curva per curva, tutta la linea del fiume
Piave, concludendo : “Signori, in caso di disgrazia, ci difenderemo qui”.
Egli era allora ben lontano dal pensare che quel “caso di disgrazia”
sarebbe davvero occorso !
E la disgrazia era certamente più grande del previsto : erano rimasti nelle
mani del nemico circa mezzo milione di uomini, più di tremila pezzi
d’artiglieria, un terzo delle armi portatili, gran parte del materiale
aeronautico fisso, enormi quantità di viveri, munizioni e ricambi ; poiché
il tutto, naturalmente, era ammassato lassù, in quella regione del Veneto,
vicino al fronte.
A partire dal 12 novembre di quel 1917 comincia una logorante
offensiva nemica sulle posizioni del Monte Grappa e del fiume Piave,
offensiva che dura 34 giorni. L’Italia, su una linea naturalmente forte,
fa fronte con tutto quello che ha, cioé 29 divisioni, in gran parte non
coinvolte nel disastro di Caporetto.
Dal settore trentino al mare Adriatico la disposizione delle truppe è la
seguente : 2 divisioni fino al lago Garda, poi la 1a Armata ancora intatta
con 12 divisioni, la 4a Armata con 7divisioni, la 3a Armata con 8 divisioni.
Dietro queste 29 grandi unità si schierano altre 8 divisioni di riserva,
sostenute a distanza da 11 divisioni (6 francesi, 5 inglesi ) che gli Alleati,
con generosità e non senza egoistiche preoccupazioni, hanno fatto arrivare nelle retrovie per imbastire sul fiume Mincio una linea di difesa
nel caso che la linea del Piave debba cedere.
Fu in quei giorni agonici che l’esercito italiano diede la sua prova più
convincente e segnò l’inizio di quello che gli stessi Austriaci chiamarono
“stupefacente rapidità di rinvigorimento”.
***
Un’offensiva senza precedenti fu scatenata dal nemico sulle posizioni
del Grappa. Tutta Italia guardava al Grappa come ad un filo a cui erano
legate le supreme speranze : il cedimento del Grappa avrebbe significato
l’invasione immediata della Lombardia ed il crollo psicologico
dell’esercito. “Monte Grappa” fu in quei giorni sinonimo di “Patria”.
Al monte Grappa si guardava come alla stella che guida il cammino :
Monte Grappa, tu sei la mia Patria,
sovra te il nostro sole risplende,
a te mira chi spera ed attende
i fratelli che a guardia ti stan.
Monte Grappa, tu sei la mia Patria,
sei la stella che addita il cammino,
sei la gloria, il volere, il destino
che all’Italia ci fa ritornar.
Le tue cime fur sempre vietate
per il pié dell’odiato straniero,
de’ tuoi fianchi egli ignora il sentiero
che pugnando più volte tentò.
Monte Grappa, tu sei la mia Patria,...
Monte Grappa (m.1776)
A Natale, il terzo Natale di guerra, si comincia finalmente a respirare. La
situazione è raddrizzata, la “battaglia di arresto” è vinta sul piano strategico e tattico, ma soprattutto su quello morale : l’avversario non passerà.
Mentre la speranza del riscatto sta diventando una certezza, i figlioli
e le figliole scrivono ai papà che combattono al fronte inviando gli auguri
di Buon Natale e di Buon Capodanno e di ...“tener duro !”. “Se tenete
duro voi – scrive un fante a casa – non dovete preoccuparvi, perché noi
teniamo duro”.
***
si va all’assalto…..
Il Re indaga
in un posto
di osservazione.
Il Re consegna
le ricompense
al valore
agli eroici fanti
della Brigata
Piemonte.
Il Re visita
un ospedale
da campo
nei pressi
del fronte.
Dopo Caporetto la situazione è difficile, ma non disperata.
Non appena giunto sul Piave l’esercito italiano dispone ancora di un cospicuo nerbo di forze, in gran parte non coinvolte nel
disastro di Caporetto. Da sinistra a destra si trovano 2 divisioni fino al Garda, del III° corpo d’armata, quindi la intatta Ia armata
forte di 12 divisioni, la IVa con 7 divisioni, ritiratasi senza grave contrasto dal Cadore, e la IIIa armata con 8 divisioni. Dietro
queste 29 grandi unità la nostra linea schiera 8 divisioni di riserva, sostenute a distanza da 11 divisioni franco-inglesi.
24 ottobre 1917 : la rotta di Caporetto.
La IIIa Armata si ritira quasi intatta.
Un piccolo gruppo di bersaglieri
copre la ritirata degli Italiani.
PESCHIERA sul Garda
Peschiera con Verona, Legnago e Mantova formavano il famoso quadrilatero di
fortezze austriache su cui poggiava la potenza militare dell’Austria in Italia.
(dipinse S.Tordi)
(sono presenti Lloyd George con il Capo di Stato Maggiore inglese William Robertson, il generale
sudafricano Jan Smuts, il generale Henry Hughes Wilson, il presidente Painlevé con Henri FranklinFranklin
Bouillon, ministro per la propaganda di Guerra, il generale F
Foch,
och, gl’italiani Orlando, Sonnino e
Bissolati)
8 novembre 1917 : ill RE al CONVEGNO di PESCHIERA
Gli Alleati al convegno di Peschiera erano d’opinione che dopo la rotta di Caporetto
gl’Italiani avrebbero dovuto abbandonare gran parte del Ve
Veneto – inclusa Venezia –
e creare un nuovo fronte lungo la riva sud del fiume Po.
Non tale fu la decisione del Re e dei suoi generali.
Il Re piace : lo ascoltano in silenzio. Il suo discorso è persuasivo e viene
accolto con favore. Ha comunicato la nomina del nuovo comandante in capo,
ha spiegato, senza retorica e con un linguaggio accessibile, le cause di Caporetto.
La resistenza avverràà sulla linea del Piave. Il nemico non passerà.
passer Conclude con
un’arguzia davvero insospettabile in un uomo come lui, che non ha mai dato prova
di spirito, traducendo in inglese un vecchio e significativo proverbio italiano :
“Alla guerra si va con un bastone per darle e con un sacco per prenderle”.
“Crede nella guerra e fa la guerra, fante tra i fanti vi credé anche
quando molti dubitavano,
bitavano, ma Lui a Peschiera non dubitò”.
Mussolini (dal discorso alla Camera del 6 giugno 1925)
Dopo lo sbandamento di ottobre migliaia di civili abbandonarono le loro case
per sottrarsi all’occupazione. Numerose furono in tutta Italia le iniziative
patriottiche per diffondere lo spirito di resistenza e di rivincita.
Distribuzione di indumenti ai profughi nel novembre del 1917, a Milano.
Italiani, cittadini e soldati !
Siate un esercito solo. Ogni viltà è tradimento, ogni discordia è tradimento,
ogni recriminazione è tradimento. Questo mio grido di fede incrollabile nei
destini d’Italia suoni così nelle trincee come in ogni remoto lembo della
Patria, e sia il grido del popolo che combatte, del popolo che lavora.
Al nemico che, ancora più che sulla vittoria militare, conta sul dissolvimento
dei nostri spiriti e della nostra compagine, si risponda con una sola
coscienza, con una sola voce. Tutti siam pronti a dar tutto, per la vittoria,
per l’onore d’Italia.
Quartiere Generale, 10 di novembre 1917
VITTORIO EMANUELE
GAETANO GIARDINO
(1864- 1935 )
Sottocapo di Stato Maggiore,
che organizzò la durissima
resistenza opposta dagli
Italiani sul Monte Grappa.
In tono “ paternalistico”
chiamava le truppe della
IVa Armata “i miei soldatini”.
EMILIO DE BONO
(1866- 1944)
Generale del Grappa.
Sono suoi i versi
de “LA CANZONE DEL
GRAPPA”.
Questa canzone fu eseguita
per la prima volta in onore
della IVa Armata alla
presenza del Sovrano
e delle autorità militari.
Si fa leva sui sentimenti: “ Non dimenticate la lettera al papà !”
I figliuoli e le figliuole scrivono ai papà che combattono al fronte
inviando gli auguri di Buon Natale e Buon Capodanno e di “tener duro !”...
Natale di guerra.
“Come ieri, come sempre da un mese a questa parte, piove. Oggi è Natale.
Proprio Natale. Oggi il cuore s’è inaridito come queste doline rocciose. La civiltà
moderna ci ha «meccanicizzati». La guerra ha portato sino alla esasperazione il
processo di «meccanicizzazione » della società europea. Venticinque anni fa ero
un bambino puntiglioso e violento. Alcuni dei miei coetanei recano ancora nella
testa i segni delle mie sassate. Nomade d’istinto, io me ne andavo dal mattino alla
sera lungo il fiume, e rubavo nidi e frutti. Andavo a Messa. Il Natale di quei
tempi è ancora vivo nella mia memoria. Ben pochi erano quelli che non andavano
alla Messa di Natale : mio padre e qualcun altro. Gli alberi e le siepi di biancospino lungo la strada che conduce a San Cassiano erano irrigiditi e inargentati
dalla galaverna. Faceva freddo. Le prime messe erano per le vecchie mattiniere.
Quando le vedevamo spuntare al di là della Piana, era il nostro turno. Ricordo :
io seguivo mia madre. Nella chiesa c’erano tante luci e in mezzo all’altare – in
una piccola culla fiorita – il Bambino nato nella notte. Tutto ciò era pittoresco
ed appagava la mia fantasia. Solo l’odore dell’incenso mi provocava un turbamento che qualche volta mi dava istanti di malessere insopportabile. Finalmente
una suonata dell’organo chiudeva la cerimonia. La folla sciamava. Lungo la strada,
un chiacchierio soddisfatto. A mezzogiorno fumavano sulla tavola i tradizionali
e ghiotti cappelletti di Romagna. Quanti anni e quanti secoli sono passati da
allora ? Un colpo di cannone mi richiama alla realtà. È Natale di guerra.
Nella trincea è un silenzio pieno di segrete nostalgie”.
Benito Mussolini (dal “Diario di guerra” )
“ Ho mangiato la trincea” dice il soldato Mussolini con orgoglio...
Prendi il fucile e vattene alla frontiera,
là c’è il nemico che alla frontiera aspetta.
L’anno di guerra 1918 si aprí sotto buona stella. Non che la guerra
accennasse a finire, no. Dopo il collasso della Russia, dopo il fallimento
dell’offensiva inglese nelle Fiandre, dopo la sconfitta italiana dell’ottobre,
gli eserciti degli Alleati nell’inverno- primavera 1918 erano sulla difensiva
su tutti i fronti. Tedeschi ed Austro-ungarici, invece, stavano preparando
grandi offensive, nelle quali riponevano le ultime speranze di vittoria. Ma
si presentiva che l’intervento degli Americani veniva ad arricchire gli
Alleati di risorse – in uomini e materiali – praticamente illimitate, mentre
per gl’Imperi Centrali l’anello si restringeva inesorabilmente di giorno in
giorno.
In Italia, dopo il ripiegamento del fronte,
il generalissimo Armando Diaz aveva
sostituito Cadorna ed al Governo il vecchio
Boselli aveva ceduto il posto ad Orlando.
Armando Diaz
(1861- 1928)
La riorganizzazione dell’esercito procedeva rapidamente e già nel marzo
era tale da infondere fiducia. La gran Madre Patria
caccia da sé il colpevole
torpore, fa rifluire il sangue da tutte le sue vene,
centuplica le sue forze.
“I ragazzi del 1899”
“Parti tranquillo, figlio mio : non piango.
Piangerei se ti sapessi vile”.
I ragazzi del ’99 – non
hanno ancora vent’anni –
partono
per il fronte,
vanno ad ingrossare le
linee sul Piave.
Gabriele D’Annunzio, che nel frattanto si era distinto in numerose
azioni di valore, si era attirata sulla sua testa una taglia. Gli Austriaci
avrebbero premiato con una vistosa ricompensa chi fosse riuscito a
catturare D’Annunzio, vivo o morto. Fu allora che egli decise di rispondere
con uno scherzo rimasto famoso col nome di : “La beffa di Buccari”.
L’11 febbraio, di nottetempo, tre piccole imbarcazioni, tre M.A.S,
entrano nella baia di Buccari, presso Fiume. D’Annunzio stesso racconta :
« 11 febbraio 1918. È mezzanotte. Navighiamo da quattordici ore.
Teniamo da cinque ore le acque del nemico. Gli siamo entrati nella strozza
e poi nel profondo stomaco. Siamo un pugno d’uomini sopra tre brulotti
disperati, soli, senza alcuna scorta, lontanissimi dalla nostra base, a una
sessantina di miglia dalla più potente piazza marittima imperiale... Un
allarme, e noi andiamo in perdizione. Per lasciare un segno al nemico,
portiamo con noi tre bottiglie suggellate e coronate da fiamme tricolori.
Le lasceremo a galla, stanotte, laggiù, nello specchio d’acqua incrinato,
tra i rottami e tra i naufraghi delle navi che avremo colpito. ...La
mezzanotte è passata di trentacinque minuti …Siamo dentro la baia
nemica, siamo proprio in fondo al vallone di Buccari ... Costanzo Ciano
sta ritto a prua per riconoscere i bersagli. ...Le masse di quattro piroscafi
si disegnano contro l’alture. Grido : Memento Audere Semper. È un
latino che tutti i marinai intendono... È un’ora e un quarto dopo la
mezzanotte. Ho le mie tre bottiglie sottomano pronte alla beffa : forti
bottiglie nerastre, di vetro spesso, panciute, col cartello dentro avvolto in
rotolo, scritto di mio pugno, scritto di indelebile inchiostro. Le ho
preparate io stesso, con i due sugheri da sciabica, con le tre lunghe fiamme
tricolori fermate intorno al collo dallo spago e dalla cera. In ognuna è
chiuso questo cartello di scherno : “In onta alla cautissima flotta
austriaca occupata a covare senza fine dentro i porti sicuri la gloriuzza di
Lissa, sono venuti col ferro e col fuoco a scuotere la prudenza nel suo più
comodo rifugio i marinai d’Italia, che si ridono d’ogni sorta di reti e di
sbarre, pronti sempre a osare l’inosabile. E un buon compagno, ben noto
–il nemico capitale, fra tutti i nemici nemicissimo, quello di Pola e di
Cattaro– è venuto con loro a beffarsi della taglia” ».
Le gesta di D’Annunzio agivano come un potente lievito sul morale dei
combattenti, e infiammarono l’animo di molti. Per questo il generalissimo
Diaz disse un giorno : “D’Annunzio vale una divisione ! ”.
***
Intanto nella primavera, in Francia, è cominciata la cosiddetta
“battaglia di Francia”. I Tedeschi, che vogliono aprirsi ad ogni costo
la via di Parigi, hanno avanzato paurosamente.
Il 7 maggio Foch, comandante in capo delle forze
alleate in Francia, con poteri di coordinamento (non
di comando) anche sul fronte italiano, comincia
ad esercitare pressioni su Diaz perché passi senza
ritardo all’offensiva. Diaz risponde che intende
risparmiare
le forze per resistere all’offensiva
austriaca sul Piave, che avrà luogo con ogni
F.Foch
probabilità.
(1851-1929)
Il 24 maggio Foch ritorna alla carica : Diaz resiste fermamente dicendo
che l’offensiva austriaca è imminente. Si era intanto accesa una specie
di gara in sordina fra il Comando Supremo austro-ungarico e il Comando
Supremo italiano : il primo a preparare l’offensiva, l’altro a organizzare
la difesa.
Il 9 giugno i Tedeschi arrivano a 60 chilometri da Parigi. Foch, allora,
prega Diaz di comunicargli in quale giorno intenda effettuare questo
attacco. Diaz, questa volta, non ha neanche bisogno di rispondere.
Sulla linea del Piave, infatti, nella notte del 14 giugno era cominciata la
cosiddetta “operazione valanga”.
Una cortina luminosa si stendeva dal Grappa al mare lungo tutto
il Piave : sembrava un colossale incendio.
Il cielo illuminato, i monti che si stagliavano neri contro la lampeggiante
muraglia di luce, gli alberi, le case, le strade illuminate da miriadi di razzi.
Il tambureggiante frastuono di migliaia di colpi in partenza e in arrivo.
Qui non c’erano più sottintesi : un fiume in mezzo, una sessantina di
divisioni dall’una parte e dall’altra, migliaia di cannoni, centinaia di
aeroplani dall’una parte e dall’altra...
Durante una settimana infuocata l’Austria tentò l’impossibile per
sfondare la linea del Piave e irrompere nella Lombardia.
Quella fu veramente l’ora più bella : in una settimana di sangue
e d’angoscia l’Italia riuscí a vincere la sua guerra.
La penetrazione nemica fu arrestata e il 23 giugno Diaz poté annunziare
nel suo Bollettino : “Dal Montello al mare il nemico sconfitto e incalzato,
ripassa in disordine il Piave”. Perdite ? : morirono 150 000 Austriaci,
85 000 Italiani. Fu veramente quella battaglia il principio della fine :
l’insuccesso stroncava ora tutte le speranze che gli Austriaci e i Tedeschi
potevano ancora nutrire sull’esito finale della gigantesca lotta.
Riferendosi alla battaglia del
Piave (o “operazione valanga”,
com’essi la chiamavano) il
Maresciallo
von
Hindenburg
scriverà poi : “Gli avversari sapevano al pari di noi che l’AustriaUngheria aveva gettato tutto il suo
peso nella bilancia della guerra.
Da quel momento la Monarchia
danubiana aveva cessato di essere
un pericolo per l’Italia”.
Hindenburg (1847-1933)
Capo dello Stato Maggiore
dell’esercito germanico.
Fu in quei giorni che Luigi Rizzo affondò la corazzata “Santo Stefano”.
Fu in quei giorni che cadde sul Montello il romagnolo Francesco Baracca,
il più spericolato dei piloti italiani, il quale aveva abbattuto ben 34
apparecchi nemici.
Fu in quei giorni pure – dicono – che un napoletano ( il quale aveva
l’orecchio fino ) udí le acque del Piave mormorare un ritornello : “Non
passa lo straniero. Indietro va’, straniero”.
Il Piave mormorava
calmo e placido al passaggio
dei primi fanti, il ventiquattro maggio :
l’esercito marciava
per raggiunger la frontiera,
per far contro il nemico una barriera.
Muti passaron quella notte i fanti :
tacere bisognava, e andare avanti !
S’udiva, intanto, dalle amate sponde,
sommesso e lieve il tripudiar dell’onde.
Era un presagio dolce e lusinghiero.
Il Piave mormorò :
“Non passa lo straniero !”
No ! disse il Piave. No ! dissero i fanti,
mai più il nemico faccia un passo avanti !
Il Piave a Vidòr
I mitraglieri non perdonano !
***
Vinta la battaglia difensiva del Piave, l’Italia avrebbe dovuto subito contrattaccare – cosí si espressero i commentatori austriaci a guerra ultimata –
perché gli Austriaci, appunto, erano allora in preda ad un vero smarrimento
e le posizioni erano smantellate e difettavano d’uomini. Invece il
generalissimo Diaz stimò prudente non avventurarsi per il momento.
Finí cosí anche quel mese di giugno. Venne il luglio, venne l’agosto.
Il Re premia un “ardito di guerra” nel giugno 1918.
Memorabili furono le parole del Re quel giorno in cui il Consiglio dei
Ministri aveva deciso di conferirgli la medaglia d’oro. Il Re, come soldato,
non volle mai speciali onori e in quella circostanza scrisse di suo pugno
a Boselli : “...troverei profondamente ingiusto che mi venisse una così alta
decorazione, mentre ho certamente fatto molto ma molto meno di tante
migliaia di semplici soldati ai quali non toccherà nessuna ricompensa”.
Gioacchino Volpe (Vittorio Emanuele IIIo)
Alle ore 5.30 antimeridiane del 9 agosto Gabriele D’Annunzio lascia
l’aeroporto di Treviso con una squadriglia di 8 aeroplani. Varca le Alpi
Giulie e punta in direzione di Vienna.
Non avevano, gli Austriaci, bombardato le nostre città uccidendo donne
e bambini ? Ora il Comandante pensava di effettuare un bombardamento
su Vienna, a modo suo. Dopo quattro ore di volo sulle Alpi – e le Alpi
erano ritenute un ostacolo quasi insormontabile in quei tempi – La
Serenissima (questo era il nome della squadriglia di D’Annunzio)
giunge indisturbata su Vienna, si fa a bassa quota e inonda la città con
migliaia e migliaia di volantini tricolori, dove, fra l’altro, il Poeta-soldato
dice : “Viennesi ! Imparate da questo a conoscere gl’Italiani !
Potremmo ora sganciare bombe sopra di voi ; invece lasciamo
cadere soltanto un saluto... Noi Italiani non facciamo la guerra alle
donne e ai bambini. Facciamo la guerra al vostro Governo che è
nemico della nostra libertà nazionale...
Il destino si volge verso di noi con una certezza di ferro”.....
Tutti gli aerei fecero ritorno alla base ad eccezione di uno che fu costretto,
per avaria, ad atterrare sul suolo straniero. Il volo su Vienna marcò lo zenit
delle imprese di guerra di Gabriele D’Annunzio ed ebbe vasta eco nel
mondo. Il Poeta-soldato fu da quel giorno stimato come il primo
combattente d’Italia. E gl’Italiani, da quel giorno, potevano andar fieri di
questo : che almeno una delle loro divisioni – “la divisione D’Annunzio” –
aveva raggiunto la capitale straniera !
Alla fine della guerra il Poeta-soldato si trovò coperto di medaglie,
decorazioni,onorificenze italiane e straniere, fra le quali tre medaglie
d’oro e cinque d’argento. L’Inghilterra gli conferì la Military Cross per
i suoi meriti nell’attaccare il naviglio austriaco nell’Adriatico.
A Cargnacco sul Garda si trova il
Vittoriale degli Italiani (opera dell’architetto G.C.Maroni), ultima residenza di D’Annunzio che ivi morì il
1° marzo 1938. Il Vittoriale fu donato
dal Poeta al popolo italiano il 22 dic.
1923. Nel Vittoriale sopravvive il
favoloso mondo del Poeta-soldato. Vi si
può ammirare anche il velivolo col quale
D’Annunzio compì il volo su Vienna.
Il Vittoriale è meta costante di
visitatori italiani e stranieri.
Durante tutta l’estate del 1918 le truppe, nelle retrovie, si esercitarono
a intense manovre di guadi, traghetti e ponti, prevedendo che ci sarebbe
stato da impegnarsi in un gran passaggio di fiume. Passare il Piave !
Questo era il problemaccio... anche perché il Piave è un fiume estroso, dei
più difficili nei suoi andamenti e, soprattutto, nelle sue repentine sfuriate.
Gettare i ponti sotto la mira del nemico e passare riuscendo a mantenere
le comunicazioni alle spalle, questo era il difficile. Anche gli Austriaci
erano passati in giugno, ma non essendo riusciti ad alimentare lo sforzo
mantenendo i ponti, erano stati ributtati sul fiume disastrosamente. Ora era
la volta dell’Italia. Il Re, in quei giorni, andava e veniva su quelle rive,
da un posto all’altro, interessandosi di tutto e di tutti.
Racconta lo scrittore Riccardo Bacchelli (che anch’egli partecipò
attivamente alla guerra ) : “...Un giorno il Re era venuto e s’era fermato
di passaggio fra i pontieri. Il soldato Scacerni gli era stato additato dagli
ufficiali come il più forte nuotatore della compagnia e ottimo conoscitore
del fiume, onde il Re gli aveva fatto delle domande. Gli ufficiali attorno
(c’erano anche dei generali) s’erano pentiti d’aver chiamato fuori lo
Scacerni. Infatti le domande, precise e pertinenti, l’avevano messo tanto in
vena, che di risposta in risposta s’era permesso finalmente un parere non
richiesto, e per di più in gergo militaresco :
- Il fiume, Maestà, sarà una brutta grana.
Sua Maestà aveva scrutato, con un’occhiata, il viso aperto e colorito, ad
onta d’ogni stento e fatica, dell’aitante giovine ; e penetrando che non
v’era alcuna viltà, sul volto scabro ed esercitato dai duri anni di guerra
e dall’attesa della sorte suprema, era corso un fugace sorriso :
- Lo conoscete tanto bene ?
- Chi l’ha da conoscere, se non lo conosco io, un fiume ?
Non c’era vanteria, ma tranquilla sicurezza professionale ; onde il Re tornò
a sorridere, e disse :
- È un bel tipo costui ! Ma, - soggiunse bruscamente rivolgendoglisi
daccapo, - se bisogna passarlo, ognuno farà il suo dovere, grana o no,
come dite voi.
- È una ragione che tien botta.
Dopo, superiori accigliati e compagni ridenti gli chiesero che cosa gli era
venuto in mente di dar pareri e risposte simili. Stupito, Scacerni aveva
ribattuto che le domande di Sua Maestà erano state da “persona pratica”.
- E con questo ?
- Questo, rispose, gli aveva fatto coscienza di dir la sua, da
galantuomo”.
Riccardo Bacchelli (1891-1985)
Anche Riccardo Bacchelli partecipò alla grande
guerra. “Io ero andato di mia iniziativa”,
dichiarò. “Non ero interventista, ma non ero
neanche neutralista. Avevo 24 anni e volli
partecipare... a questo sforzo enorme. Ero in
artiglieria, prima sotto-tenente poi tenente.
Nel 1917 mi trovavo sul fronte dell’Isonzo,
al comando di una batteria”.
***
Arrivò, dunque, anche quell’anno, il giorno 24 di ottobre : esattamente
l’anniversario di Caporetto. Quale giorno era più indicato di questo per
insorgere alla riscossa ? : passare coraggiosamente il Piave, ad ogni costo,
e farla finita una buona volta con lo straniero. La sorte volle proprio che
quel giorno fosse predestinato per l’inizio delle operazioni che dovevano
portare alla battaglia decisiva di Vittorio Veneto. Fu la sorte, perché il
generalissimo Diaz aveva avuto in animo di cominciare prima di quella
data, ma ne era stato dissuaso dalla stagione orribile che imperversò sul
finire di settembre e ai primi di ottobre. La pioggia continua, nemica
particolare dei trasporti, aveva reso difficile e penosa la raccolta degli
uomini, delle armi e dei materiali nei luoghi che il piano strategico
assegnava per la battaglia.
Ai primi albori di quel 24 ottobre, sotto
i riflettori che esploravano coi loro fasci
di luce, sotto il tiro delle mitragliatrici
e gli aeroplani che nel cielo esploravano
e battagliavano, le compagnie d’assalto
italiane, parte su barconi, parte su ponti
di fresco gettati, si scagliarono avanti
per raggiungere la sponda opposta del
Piave. Non le schegge di granate o le
palle di shrapnel, non il fuoco fitto colpo
su colpo, né il fiume, che di tanto in tanto
ingoiava barche ed uomini, poterono
arrestare quell’indomito slancio. “O il
Piave, o tutti accoppati !”.
Fagarè : le rovine dopo la
battaglia del giugno 1918.
Non c’era tempo da perdere : “Avanti, avanti ! Tenete il collegamento!”,
ripetevano le voci dei comandi. E le truppe avanzavano verso la riva
cespugliosa e sparivano nella campagna verso la battaglia cruenta. Undici
giorni arse quell’epica lotta !
Dapprima la battaglia ondeggiò accanita ed incerta : il fiume, dove
s’era potuto forzare, creava dappertutto alle spalle la stessa difficoltà e
la stessa minaccia : bisognava ottenere presto rinforzi, munizioni, viveri.
Gli aeroplani buttavano giù, sí, rifornimenti... ma erano pochi : più atti
a sollevare il morale che a soccorrere i bisognosi.
Il giorno 28, particolarmente, fu un giorno di crisi per la reazione
violenta degli Austriaci e la rottura dei ponti dovuta ad un rigonfiamento
improvviso delle acque del fiume. Quelli di là dal Piave conobbero la
congiuntura in cui non è più questione di vincere, né vincere o morire, ma
solamente morire per l’onore della Bandiera. Investiti da ogni parte, da
ogni parte investivano, dimenticando di mangiare, di dormire, vedendo
calare le munizioni e le forze. Il numero dei morti, nel giro di poche ore,
fu esorbitante.
Poi, il giorno 29, la speranza arrise. Altre numerose truppe poterono
passare il fiume, grazie ad un accorto aggiramento operato dal generale
Caviglia, e all’alba del 30 una colonna celere di cavalleria e di ciclisti
occupava Vittorio Veneto separando in due tronconi l’esercito austriaco
(questo, infatti, era il concetto operativo del Comando italiano : separare
le truppe del Trentino da quelle del Piave avanzando su Vittorio Veneto ).
Il generale Caviglia (1862-1945) studia un plastico delle zone di operazioni.
Nella stessa giornata del 30 una divisione di alpini punta su Belluno. Il
31 ottobre crolla la difesa austriaca del Grappa e la 4a Armata libera Feltre.
Dal 1° di novembre tutto il fronte è in movimento : il nemico è inseguito
ovunque. Il 3 novembre le truppe entrano in Trento e Udine, Trieste è
liberata dal mare. Il 4 novembre, alle ore 15, con un’ultima eroica carica
di cavalleria, si conclude la battaglia.
La vittoria, che affretta la fine della guerra, costa gravi perdite, il che
prova la tenace resistenza opposta dagli Austro-ungarici. Morti 35.000
Italiani, 1.600 Inglesi, 300 Francesi. Catturati 300.000 prigionieri e 5.000
cannoni.
A mezzogiorno di quel 4 novembre il generalissimo Diaz dirama
l’ultimo Bollettino : “La guerra contro l’Austria-Ungheria, che, sotto
l’alta guida di S.M. il Re, duce supremo, l’Esercito Italiano, inferiore per
numero e per mezzi, iniziò il 24 maggio1915, e con fede incrollabile
e tenace valore condusse ininterrottamente ed asprissima per 41 mesi,
è vinta. ...I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo,
risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano disceso con
orgogliosa sicurezza”.
Il giorno 4 novembre, a Villa Giusti, presso Padova, l’Austria firmava
l’armistizio.
P.Badoglio (1871-1956)
All’armistizio
Pietro Badoglio
firmava per l’Italia.
Villa Giusti, presso Padova
La guerra è finita. La Bandiera italiana sventola su Trento e Trieste.
Tutti si abbracciano e si baciano. Le tradotte riportano a casa i soldati
che cantano :
Abbiam terminato di fare il soldato,
or siamo borghesi... e a casa si va.
La vittoria è costata agl’Italiani
non meno di 650.000 morti sul
campo e più di un milione di
mutilati ed invalidi.
La celebra Vittorio Emanuele
Orlando : “Abbiamo la vittoria e se
non ancora la pace, abbiamo della
pace la sicura promessa ; ed è
cessato il flagello delle distruzioni
e delle morti”.
Vittorio Emanuele Orlando
(1860-1952)
Seguirono i trattati di pace. L’Italia ebbe le sue terre, chiamate fino ad
allora “irredente” ; ma, per riguardo al nuovo stato jugoslavo, dovette
rinunciare alla Dalmazia, contentandosi di Zara.
***
Poi ci fu l’impresa di Fiume, dove ancora una volta Gabriele
D’Annunzio doveva rivelare doti inattese. Un gesto che Badoglio
riteneva essere il più bello dal tempo dell’invasione della Sicilia operata
da Garibaldi.
***
Nella divisione delle colonie l’Italia non ebbe parte alcuna : solamente
nel 1925, dopo lunghe trattative, l’Inghilterra cedette una fettina di terra
stepposa e semidesertica sulla riva destra del fiume Giuba, al di là della
frontiera somala : terra che gl’Italiani chiamarono “Oltregiuba”.
Tanto spargimento di sangue, tanti morti avrebbero dovuto trovare
più comprensione e più accortezza nei governi della vittoria. L’Italia
aveva combattuto la sua guerra e , nel complesso, l’aveva combattuta bene.
Giustamente lo storico Enrico Barone scrive : “Sarebbe ben meschino ed
ottuso stratega colui che col doppio decimetro volesse giudicare soltanto
sull’entità della nostra modesta avanzata il reale contributo che noi
recavamo ai nostri Alleati”. O, come si espresse lo stesso generalissimo
Cadorna : “Il servizio che l’Italia rendeva alla causa degli Alleati era
dato dalla quantità delle forze nemiche che l’esercito italiano impegnava
distraendole da altri scacchieri”.
***
Nel dopoguerra il passaggio dallo stato di guerra a quello di pace –
sempre molto delicato – portò quella volta alla decomposizione politica e al
collasso economico. Si tentava di gettare il ridicolo sul prestigio nazionale,
si cercava di minimizzare la vittoria che aveva domandato tanti sacrifici.
Il dollaro – che costava lire italiane 6 nella seconda metà del 1918 – era
salito a lire 18 nella prima metà del 1920.
Si facevano degli scioperi tremendi :
si occupavano le fabbriche, si lasciava
morire il bestiame nelle stalle, deperire le
messi nei campi, si boicottavano i crumiri, plaghe intere erano disertate al
grido di voler la terra dai possidenti.
Tanto che il socialista Turati, invitando
alla moderazione, disse un giorno : “Se
continuiamo cosí, addio socialismo,
addio Parlamento”. Il Parlamento era
paralizzato perché nessun governo
riusciva ad ottenere una maggioranza
che fosse garanzia di serio lavoro.
Filippo Turati (1857-1932)
Nel dicembre 1919 i socialisti interruppero il discorso del Re al grido di
“Viva la repubblica socialista”, ed uscirono dalla Camera cantando
“Bandiera rossa...” : il Re – che neanche Caporetto era valso ad intimorire
– si sentí questa volta umiliato ed in pericolo. Quando vide la mala piega
che prendevano gli avvenimenti, egli credette di scegliere il minor male
affidando il Governo a Benito Mussolini. E Mussolini, chiamato ormai
dalla fiducia del Re, s’affrettò a salire al Quirinale per dire a Sua Maestà :
“Maestà, Vi porto l’Italia di Vittorio Veneto riconsacrata da una nuova
vittoria”.
Fu cosí che, in mezzo a quegli errori, a quelle esasperazioni, a quel
caos tenebroso del dopoguerra, il Fascismo apparí come una dittatura
illuminata.
Nel 1925 la battaglia della lira era vinta e l’Italia volgeva la prora
verso nuovi destini.
***
Inno al Soldato Ignoto
(autore E.A. Mario)
Il Soldato Ignoto simboleggia il sacrificio per la Patria, più nobile perché più oscuro.
1-
2-
3–
Il Carso era una prora :
prora d’Italia volta all’avvenire,
immersa ne l’aurora,
col motto in cima : “Vincere o morire”.
E intorno a quella prora si moriva,
quando alla Nave arrise la vittoria
e il nome d’ogni fante che periva
passava all’albo bronzeo della storia !
O battaglione, tu
sperduto nei meandri del destino,
mucchio senza piastrino,
eroe senza medaglia,
il nome tuo non esisteva più !
Finita la battaglia,
fu chiesto inutilmente...
Nessun per te poteva dir : Presente !
Il Piave era una diga :
file d’elmetti, siepi di fucili,
zappe e chitarre in riga...
No, generale ! i fanti non son vili ! *
La morte li freddò coi suoi miasmi,
li strinse a mille fra le ossute braccia,
li rese inconoscibili fantasmi,
ne disperdea fin l’ultima traccia.
O battaglione, tu
sperduto nei meandri del destino,
mucchio senza piastrino,
eroe senza medaglia,
il volto tuo non esisteva più !
Finita la battaglia,
tua madre inutilmente
tra i morti intatti ricercò l’Assente !
La Gloria era un abisso
che s’estendeva dallo Stelvio al mare,
ma l’occhio ardente e fisso
non si distolse : si dovea passare.
E la chiodata scarpa vi passava,
tritò l’impervio Carso a roccia a roccia,
pigiò nel Piave sacro che arrossava
sangue nemico tratto a goccia a goccia.
O battaglione, tu
ritorna dai meandri del destino !
Brilla il tuo bel piastrino
fregiato della palma :
tu sei l’eroe che non morrà mai più...
E solo la tua Salma,
ch’ è volta ad orïente,
sarà per te a rispondere : PRESENTE !
*
“ No, generale ! i fanti non son vili ! ” Un giorno il Ministro Orlando ci tenne a sottolineare : “ È bene che
il popolo sappia che l’umile soldato italiano, quello che poi doveva essere glorificato come Milite Ignoto,
ebbe nel Sovrano un difensore tenace e commosso”.
Chiudendo, cosí, questa pagina di storia nazionale che gravita tutta intorno
alla tragedia immane de “LA GRANDE GUERRA”, non ci dispiaccia, ora,
raccoglierci un istante, non per giudicare fin dove arrivò il corso fatale della
storia o l’errore degli uomini, ma per inchinarci riverenti al sacrificio di tutti
coloro che un secolo fa, in ossequio alle sacre leggi della Patria, lottarono e
morirono con la speranza nel cuore di lasciare a noi un giorno migliore.
Le terre, quelle, hanno subito e subiranno sorti diverse , ma ci restano i
nostri morti !
Nonostante i mutamenti della vita nazionale, nonostante gli inevitabili
distacchi fra generazione e generazione, c’è pur sempre una continuità ideale,
superiore, che ci lega nel nome dell’Italia, la terra dei padri, questa più
grande famiglia, la Patria.
Rendiamo, dunque, omaggio ai combattenti che intesero coronare il nostro
Risorgimento e che, dalle trincee fangose, insanguinate, seppero portare il
Tricolore a Trento, a Trieste, fino sugli estremi confini dove il “sì”suona,
avverando così l’antico sogno di Dante, Petrarca, Machiavelli.
Rendiamo omaggio a tutto il popolo che insieme ai soldati seppe sopportare
con abnegazione gravi sacrifici rivivendo nello stesso tempo quelli dei suoi
figli sulla linea del fuoco.
Per non dimenticare ci sono ancora in ogni comune d’Italia delle lapidi con
lunghe liste di nomi, ci sono, in quello che fu teatro di guerra, delle zone sacre
eloquenti nel loro mutismo, ci sono, qua e là, dei cimiteri di guerra dove le ossa
dei nostri morti, piamente raccolte, sembrano costantemente ripeterci :
“ O VIVENTI, SE PER VOI NON DURI, NON CRESCA L’AMORE,
LA GLORIA DELLA PATRIA, NOI SAREMO MORTI INVANO !”
Il generalissimo Armando Diaz
Il Duca della vittoria
Chiamato nel 1915 a far parte del Comando Supremo, si distinse per
capacità e valore. Successe a Cadorna l’8 novembre 1917.
Meno rigido e autoritario di Cadorna, il generalissimo Diaz con grande tatto
seppe tessere una rete di fiducia tra Governo, Comando Supremo e Paese.
Seppe superare la più dura fase del conflitto riuscendo a mantenersi su
quella linea Altipiani – Grappa – Piave già indicata da Cadorna per
una resistenza a oltranza.
Nel giugno 1918 respinse la grande offensiva nemica sul Piave e preparò
l’attacco supremo che doveva portare a Vittorio Veneto.
Nel 1922 fu nominato Maresciallo d’Italia.
Sui mari
Luigi Rizzo
Nacque a Milazzo nel 1887. Entrò giovanissimo
nella Marina mercantile. Passò poi nella Marina
militare. Divenne tenente di Vascello durante la
guerra. Fu decorato per vari atti di valore e nominato comandante di una squadriglia M.A.S.
Affondò la corazzata Wien nella notte fra il 9 e il
10 dic. 1917. Nel febbraio 1918, sul M.A.S. 96
effettuò con Costanzo Ciano e Gabriele D’Annunzio la famosa incursione detta La beffa di
Buccari. Il 10 giugno dello stesso anno affondò
la corazzata austriaca Santo Stefano. Lasciò il servizio attivo nella Marina nel 1920. Fu nominato
Ammiraglio e Conte di Grado. Morì nel 1951.
Il M.A.S. 15 col quale
Luigi Rizzo affondò la
“Santo Stefano” il 10
giugno 1918.
La corazzata austriaca
“Santo Stefano” affonda
presso l’isola di Premuda,
silurata da Luigi Rizzo.
Nei cieli
Le 34 vittorie di Francesco Baracca
17 16 15 14 13 12 11 10 09 08 07 06 05 04 03 02 01 -
19 agosto 1917
3 agosto 1917
31
luglio 1917
7
luglio 1917
3 giugno 1917
20 maggio 1917
13 maggio 1917
10 maggio 1917
1 maggio 1917
26
aprile 1917
11 febbraio 1917
1 gennaio 1917
25 novembre 1916
16 settembre 1916
23 agosto 1916
16 maggio 1916
7
aprile 1916
1
6
21
21
25
26
26
6
6
7
15
23
7
3
22
15
15
settembre 1917
settembre 1917
ottobre 1917
ottobre 1917
ottobre 1917
ottobre 1917
ottobre 1917
novembre 1917
novembre 1917
novembre 1917
novembre 1917
novembre 1917
dicembre 1917
maggio 1918
maggio 1918
giugno 1918
giugno 1918
- 18
- 19
- 20
- 21
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- 34
Francesco Baracca (1888-1918)
accanto all’aereo con cui ottenne la sua 28a vittoria.
Nacque a Lugo di Romagna. Proveniva dai corsi regolari dell’arma di cavalleria
della Scuola Militare di Modena. Poi ebbe contatti con l’aviazione e divenne
aviatore.
(Il “cavallino rampante” sulla fusoliera del suo velivolo serve a sottolineare la sua
provenienza dalla cavalleria). Nei suoi duelli aerei aveva abbattuto 34 apparecchi
nemici. Il 19 giugno 1918, mentre stava mitragliando a bassa quota, fu colpito in
fronte da una fucilata di un austriaco e cadde con il suo Spad presso l’abbazia
di Nervesa. Ebbe 3 medaglie d’argento, una d’oro e diverse altre decorazioni.
La leggenda del Piave.
Per il suo carattere di ineffabile mestizia unita ad un notevole sentimento
eroico, venne assunta dopo la guerra come forma di esaltazione dei caduti.
Gabriele D’Annunzio con gli aviatori della squadriglia La Serenissima che il
mattino del 9 agosto 1918 compí lo straordinario volo sulla capitale austriaca.
il volo su Vienna
Il poeta e il capitano Natale Palli sull’apparecchio della storica impresa.
Novembre 1918 : truppe austriache in ritirata su una strada del Veneto.
Per sminuire l’importanza della vittoria italiana, gli Alleati sostennero che
l’esercito austro-ungarico era ormai in dissoluzione. Le nostre perdite
dimostrano
invece che l’ultimo sforzo per raggiungere Vittorio Veneto fu
battaglia durissima.
“L’offensiva italiana di Vittorio Veneto ci ha spezzato le reni.”
(Franz Conrad von Hötzendorf).
IL FANTE IN GINOCCHIO PER LA PRIMA VOLTA,
PERCHÉ BACIA LA TERRA REDENTA.
Oltregiuba (circa 116 chilometri quadrati).
Nella divisione delle colonie l’Italia dovette accontentarsi delle
« briciole » nel gran banchetto africano.
LA FAMOSA STRETTA DI MANO
31 OTTOBRE 1922
Indossando per la prima volta in vita sua la redingote (cosí
almeno assicurano i giornali ), Benito Mussolini, “il più giovane
Presidente del Consiglio che abbia mai avuto l’Italia” (ha 39
anni), stringe la mano a Vittorio Emanuele IIIo prima di prendere
possesso del suo ufficio al Viminale. Comincia la dittatura.
L’Altare della Patria con la Tomba del Milite Ignoto.
Al centro impera la solenne figura di Roma eterna.
Era l’autunno del 1921. Nel Duomo di Aquileia una
popolana triestina, madre di un Caduto in guerra e non più
identificato, fu scelta a designare fra undici bare di soldati
sconosciuti la salma del “Milite Ignoto”. In un momento di
altissima emozione la madre s’appressa e con mano tremante
tocca una bara. Quella, e quella sola, dovrà essere trasportata a
Roma sull’Altare della Patria a simboleggiare tutti i Caduti.
Da Aquileia il treno muove sulla via di Roma. Fu un lungo
viaggio trionfale che colpì il cuore di tutti gl’Italiani : si
tacquero le fazioni politiche per far posto ad un unico
sentimento di commossa fratellanza. A Bologna fu necessario
aggiungere un secondo treno : tanti erano i fiori !
Infine, a Roma. È il 4 novembre, giorno commemorativo
della vittoria. Al Vittoriano, sotto la statua della dea Roma
è aperto il loculo che dovrà raccogliere il Milite Ignoto.
Sono le ore dieci precise : l’ora convenuta che tutta Italia
attende. Fra il suono a stormo di mille campane e il rombo
del cannone il Soldato ascende i gradini della scalea che
porta all’Altare della Patria. Militari di tutte le armi stanno
sull’attenti insieme ai rappresentanti delle nazioni straniere. In
ogni angolo d’Italia il popolo tutto partecipa alla cerimonia in
devoto raccoglimento.
Nel più religioso silenzio il Re bacia commosso la medaglia
d’oro che viene fissata sul feretro. Un soldato semplice pone sulla
bara l’elmetto del fante. La bara è ora nel loculo : la pietra
tombale viene sollevata e chiude il sepolcro su cui brilla la
semplice scritta latina “Ignoto Militi”. Al Milite Ignoto.
È qui, a questo Altare, a questa Tomba che sogliono convenire, come ad un rito, le autorità civili e militari, le personalità straniere di passaggio, le associazioni patriottiche in
occasione di solennità per affermazione di fede italiana.
OSSARIO di REDIPUGLIA
Nella zona del Carso il grandioso Ossario di Redipuglia (opera di G. Greppi e di G. Castiglioni ) ricopre
tutto il versante di un’altura ed è contorniato dai luoghi sacri ove cruente battaglie furono combattute
sul basso Isonzo. È il più vasto fra i cimiteri di guerra che esistono in Italia e nel mondo.
Oltre la salma di Emanuele Filiberto di Savoia Duca d’Aosta, l’Ossario contiene le salme di centomila Caduti.
a Padova
che per prima ebbe l’idea delle “onoranze” a Cadorna e a Diaz.
Il 15 giugno 1925, a Padova, che fu già sede del Comando Supremo durante
la guerra, nella storica sala del Palazzo della Ragione, ad ambedue i
Marescialli d’Italia, Cadorna
e Diaz, vennero solennemente consegnate
le insegne di comando alla presenza del Duca delle Puglie, delle
rappresentanze delle due Camere, di associazioni e di circa diecimila persone.
Il bastone dei Marescialli d’Italia
Il cofano per la costodia del bastone
Dopo la cerimonia un imponente corteo di migliaia di combattenti e di mutilati
sfilò fra un delirio di applausi davanti ai due artefici della Vittoria.
IL VITTORIANO
Monumento a Vittorio Emanuele IIo. Simboleggia l’apoteosi dell’Italia risorta, commemora l’unità d’Italia.
Opera di G.Sacconi, enorme mole, cominciata nel 1885 e terminata nel 1911 per il cinquantenario della
proclamazione del Regno. Al termine della scalea si eleva l’Altare della Patria : nell’edicola mediana c’è
la maestosa statua di Roma e ai suoi piedi la Tomba del Milite Ignoto.
LA GRANDE GUERRA
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