INDICE
Cap. 1 La belle époque e gli armamenti
1. 1
1. 2
1. 3
1. 4
1. 5
1. 6
1. 7
Le armi del XX secolo
Il Reich da Caprivi a Bethmann-Hollweg
La flotta tedesca
Two Powers Standard
Cronologia essenziale
Il documento storico
In biblioteca
Cap. 2 L’età giolittiana
2. 1
2. 2
2. 3
2. 4
2. 5
2. 6
2. 7
2. 8
2. 9
La personalità di Giovanni Giolitti
Lo sviluppo del partito socialista
I cattolici si organizzano
Il decollo industriale
Il tramonto del giolittismo
I nuovi orientamenti culturali
Cronologia essenziale
Il documento storico
In biblioteca
Cap. 3 Chiesa cattolica e secolarizzazione
3. 1
3. 2
3. 3
3. 4
3. 5
3. 6
3. 7
3. 8
3. 9
La Chiesa cattolica nel turbine delle rivoluzioni
Chiesa e liberalismo
Chiesa e socialismo
Chiesa e cultura
Pio X e la crisi del modernismo
Il problema dell’ateismo
Cronologia essenziale
Il documento storico
In biblioteca
Cap. 4 La Prima guerra mondiale
4. 1
4. 2
4. 3
4. 4
4. 5
4. 6
4. 7
4. 8
4. 9
I conflitti balcanici
L’inizio della Prima guerra mondiale
La guerra si estende oltre i confini europei
Interventisti e neutralisti in Italia
Dal maggio radioso alla dura realtà della guerra
La guerra ristagna (1915-1916)
Cronologia essenziale
Il documento storico
In biblioteca
Cap. 5 La svolta della guerra: Russia e Stati Uniti
5. 1
5. 2
5. 3
5. 4
5. 5
5. 6
5. 7
5. 8
5. 9
Matura l’intervento degli USA
Dalla rivoluzione di marzo alla rivoluzione d’ottobre in Russia
Caporetto e Cambrai
Mutamenti politici nella conduzione della guerra
Falliscono le ultime offensive austro-tedesche
La resa degli imperi centrali
Cronologia essenziale
Il documento storico
In biblioteca
Cap. 6 Il congresso di Versailles
6. 1
6. 2
6. 3
6. 4
6. 5
6. 6
6. 7
6. 8
6. 9
Le rovine della guerra
I mutamenti sociali del dopoguerra
L’avvento della società di massa
I nuovi assetti dell’economia mondiale
Il congresso di Versailles e i trattati finali
La Società delle nazioni
Cronologia essenziale
Il documento storico
In biblioteca
Cap. 7 Il nazionalismo nel Medio Oriente
7. 1
7. 2
7. 3
7. 4
7. 5
7. 6
7. 7
7. 8
7. 9
La nascita della Turchia moderna
Gli ebrei in Palestina
Il regime dei mandati in Siria, Libano, Iraq
Il petrolio dell’Arabia Saudita
Il nazionalismo in Iran
I problemi dell’Egitto
Cronologia essenziale
Il documento storico
In biblioteca
Cap. 8 La rivoluzione bolscevica in Russia
8. 1
8. 2
8. 3
8. 4
8. 5
8. 6
8. 7
8. 8
La Russia dal 1905 al 1917
Dal crollo dello zarismo alla guerra civile
Lenin, Trotzkij, Stalin
I piani quinquennali
L’URSS verso la Seconda guerra mondiale
Cronologia essenziale
Il documento storico
In biblioteca
Cap. 9 Il fascismo al potere in Italia
9. 1
9. 2
9. 3
9. 4
9. 5
9. 6
9. 7
9. 8
9. 9
Il primo dopoguerra in Italia
Si delinea il regime fascista
Patti lateranensi, cultura e organizzazioni di massa
Le teorie economiche del fascismo
La politica estera del fascismo fino al 1935
La conquista dell’Etiopia
Cronologia essenziale
Il documento storico
In biblioteca
Cap. 10 Il nazismo al potere in Germania
10. 1
10. 2
10. 3
10. 4
10. 5
10. 6
10. 7
10. 8
10. 9
La repubblica di Weimar
La carriera di Hitler
Hitler cancelliere
Esercito e industria
L’antisemitismo
La vita durante il Terzo Reich
Cronologia essenziale
Il documento storico
In biblioteca
Cap. 11 La crisi delle democrazie anglosassoni
11. 1
11. 2
11. 3
11. 4
11. 5
11. 6
11. 7
11. 8
Gli anni folli dell’America
La febbre della Borsa di Wall Street
Roosevelt e il New Deal
Tensioni sociali in Gran Bretagna
L’India di Gandhi
Cronologia essenziale
Il documento storico
In biblioteca
Cap. 12 Verso la Seconda guerra mondiale
12. 1
12. 2
12. 3
12. 4
12. 5
12. 6
12. 7
12. 8
12. 9
La guerra d’Etiopia
La crisi spagnola
La guerra civile e le brigate internazionali
I nazisti occupano l’Austria
I Sudati e la Cecoslovacchia
La Polonia
Cronologia essenziale
Il documento storico
In biblioteca
Cap. 13 La Seconda guerra mondiale
13. 1
13. 2
13. 3
13. 4
13. 5
13. 6
13. 7
13. 8
13. 9
La caduta della Francia
La Francia sotto l’occupazione nazista
L’operazione “Leone marino” e le speranze britanniche
La guerra nel Mediterraneo
La guerra in Russia
Il giorno più lungo
Cronologia essenziale
Il documento storico
In biblioteca
Cap. 14 La Seconda guerra mondiale in Oriente
14. 1
14. 2
14. 3
14. 4
14. 5
14. 6
14. 7
14. 8
14. 9
Il sogno giapponese
I militari al potere
Pearl Harbor
Indocina, Filippine, Indonesia
Da Midway a Iwo Jima
La bomba atomica
Cronologia essenziale
Il documento storico
In biblioteca
Cap. 15 La cortina di ferro e la guerra fredda
15. 1
15. 2
15. 3
15. 4
15. 5
15. 6
15. 7
15. 8
Gli anni della ricostruzione
L’Europa orientale
La preponderanza americana e la politica sovietica
Il piano Marshall e le alleanze militari
La guerra di Corea
Cronologia essenziale
Il documento storico
In biblioteca
Cap. 16 La rivoluzione cinese
16. 1
16. 2
16. 3
16. 4
16. 5
16. 6
16. 7
16. 8
16. 9
Sun Yat-sen
I Signori della guerra e Chiang Kai-shek
Mao Tse-tung
Il grande balzo in avanti
La rivoluzione culturale
Deng Xiao-ping
Cronologia essenziale
Il documento storico
In biblioteca
Cap. 17 Il Terzo Mondo
17. 1
17. 2
17. 3
17. 4
17. 5
17. 6
17. 7
17. 8
17. 9
L’Africa ex britannica
L’Africa di lingua francese
L’Africa islamica
L’Africa africana
Il Brasile
L’America ex spagnola
Cronologia essenziale
Il documento storico
In biblioteca
Cap. 18 Le superpotenze a confronto
18. 1
18. 2
18. 3
18. 4
18. 5
18. 6
18. 7
18. 8
18. 9
Krusciov e la destalinizzazione
La politica degli USA da Truman a Nixon
Giovanni XXIII e il Concilio Vaticano II
Breznev estende l’impero russo
L’America da Nixon a Reagan
Gorbaciov e il crollo dell’impero sovietico
Cronologia essenziale
Il documento storico
In biblioteca
Cap. 19 I problemi del Medio Oriente
19. 1
19. 2
19. 3
19. 4
19. 5
19. 6
19. 7
19. 8
19. 9
La nascita dello Stato di Israele
L’Egitto di Nasser
La terza guerra tra arabi e israeliani
La guerra del Yom Kippur
La rivoluzione khomeinista in Iran e la crisi irachena
Il Vicino Oriente zona d’attrito mondiale
Cronologia essenziale
Il documento storico
In biblioteca
Cap. 20 L’Europa verso l’unificazione
20. 1
20. 2
20. 3
20. 4
20. 5
20. 6
20. 7
20. 8
Gli Stati periferici d’Europa
Gran Bretagna e Irlanda
La Quinta repubblica in Francia
Le due Germanie
Le più recenti vicende italiane
Cronologia essenziale
Il documento storico
In biblioteca
Cap. 21 L’ultima rivoluzione del XX secolo
21. 1
21. 2
21. 3
21. 4
21. 5
21. 6
21. 7
21. 8
21. 9
L’ideologia marxista
Polonia, Cecoslovacca, Ungheria
La differenza Wojtyla
Conflitti in Jugoslavia
Dall’URSS alla CSI in Russia
La formazione dell’Unione europea
Cronologia essenziale
Il documento storico
In biblioteca.
Cap. 1 La belle époque e gli armamenti
Dopo gli orrori della prima guerra mondiale, i sopravvissuti che sperimentavano la
difficoltà di rimettere in marcia gli istituti politici in una società profondamente
turbata, trovarono che i primi anni del XX secolo erano stati una belle époque. Nei
fatti, il passato è sempre apparso più bello del presente con la sua prosaica
quotidianità, ma se si va un poco più a fondo si scopre che anche allora, come in ogni
epoca, furono sperimentate tensioni e difficoltà.
Fin dall'inizio del XX secolo continuò la corsa agli armamenti mettendo a punto
navi, sottomarini, mitragliatrici, artiglierie, gas venefici, impiegati in larga scala nella
Prima guerra mondiale. I governi che riempivano i loro arsenali, affermavano di agire
per garantire la pace, ma forse non si rendevano conto fin in fondo che il meccanismo
delle alleanze strette da gruppi di Stati contrapposti, che in caso di aggressione di uno
dei contraenti impegnava gli alleati all'intervento, si prestava all'estensione di ogni
conflitto locale a guerra totale, combattuta su molti fronti nello stesso momento.
Il successo conseguito dalle teorie di Clausewitz abituò gli europei a pensare che
anche le guerre del futuro sarebbero state brevi nel tempo, non avendo analizzato con
sufficiente attenzione la guerra di secessione americana, che solo in seguito apparve
per quello che realmente fu, ossia la prima guerra di logoramento tra diversi sistemi
politici ed economici.
1. 1 Le armi nel XX secolo
La caratteristica più vistosa del secolo XX è la crescita tumultuosa della tecnologia
più avanzata che ha messo a disposizione degli uomini strumenti di poderosa efficacia.
I motori a combustione interna Il motore a vapore, messo a punto verso la fine del
XVIII secolo, aveva esaurito le sue potenzialità perché difficilmente un veicolo può
superare con quel motore la velocità di circa 100 chilometri all'ora. Inoltre è pesante,
ingombrante e poco elastico, adatto per treni e navi, non certo per veicoli come
automobili e aerei. Al contrario, il motore a combustione interna utilizzante una miscela
di aria e benzina nebulizzata, può esser miniaturizzato, è molto elastico e i cilindri sono
numerosi così da trasmettere all'albero motore un movimento costantemente accelerato.
Carri armati e aerei I motori a scoppio, quando conseguirono l'affidabilità e la potenza
necessarie, furono applicati ai primi carri armati, chiamati tank perché assomigliavano a
un'autobotte, e agli aerei impiegati con compiti marginali, durante la Prima guerra
mondiale, mentre furono i protagonisti della Seconda guerra mondiale. I veicoli a
motore obbligarono gli eserciti a riarmarsi, rendendo più dispendiose le guerre.
Portaerei Quando gli aerei divennero veloci, manovrabili e abbastanza potenti per il
trasporto di bombe devastanti, si capì che le navi, comprese le corazzate, erano un facile
bersaglio degli aerei che, con un costo relativamente basso, potevano affondare
strumenti costosissimi e non facilmente rimpiazzabili a causa dei lunghi tempi di
costruzione. Le marine da guerra dovettero mutare modalità di impiego: la nave
fondamentale divenne la portaerei composta di pista di lancio, hangar, officine di
riparazione, depositi di munizioni, difesa dal resto della flotta che operava in funzione
di scorta per bloccare i sottomarini e gli aerei nemici filtrati attraverso l'ombrello
protettivo dei propri aerei da caccia.
Difesa antiaerea Come è noto, ogni arma nuova produce la progettazione e la messa a
punto della controarma. Nel caso degli aerei da bombardamento la controarma fu un
cannone molto lungo e dal tiro rapido che, per essere efficace, doveva esser comandato
da una centrale di tiro capace di compiere, nel giro di pochi secondi, una quantità
enorme di calcoli. Verso la fine della Seconda guerra mondiale fecero la loro comparsa
le prime macchine calcolatrici di grande potenza e i motori a reazione che dovevano
imprimere agli aerei una velocità supersonica per sfuggire all'intercettazione. Gli
scienziati tedeschi inventarono i razzi V1 e V2, privi di pilota, che avevano solo una
funzione terroristica perché privi di sistemi di guida precisi.
Armi nucleari La fisica atomica aveva fatto notevoli progressi nella prima parte del
secolo XX e si sapeva che era possibile sfruttare l'enome potenza derivante dalla
scissione dell'atomo di uranio. Gli USA radunarono un comitato comprendente i più
noti fisici sperimentali e già nel 1942 Fermi poté avviare la prima pila atomica in cui la
reazione nucleare avveniva in modo controllato per generare energia elettrica.
Nell'agosto 1945 due bombe atomiche furono sganciate su Hiroshima e Nagasaki. Pochi
anni dopo anche l'URSS fece esplodere le sue bombe atomiche sperimentali.
Missili La presenza di arsenali nucleari in USA e URSS, in Gran Bretagna e Francia
rese necessaria la costruzione di missili che giungessero con la necessaria precisione
sull'obiettivo nemico. In questa gara arrivarono per primi i russi che avevano avuto più
tempo per far razzia di impianti e di progettisti tedeschi al termine della Seconda guerra
mondiale e perciò furono essi che poterono mettere in orbita il primo satellite artificiale
e a far volare il primo uomo nella stratosfera. I missili avevano il compito primario di
trasportare sull'obiettivo le armi nucleari e di mettere in orbita i satelliti spia per
controllare il territorio dell'avversario.
Elettronica di precisione Lo sviluppo dei calcolatori fu travolgente e in questo campo
si ebbe un’indubbia superiorità degli USA che rimontarono il ritardo nei missili,
dotandoli di maggiore precisione. Tutti questi congegni ebbero applicazioni anche
pacifiche, ma certamente hanno innescato una frenetica corsa agli armamenti che verso
il 1975 ha visto soccombere il più debole sistema economico russo, non più in grado di
affrontare i costi crescenti degli armamenti moderni.
Internet Anche la rete di comunicazioni Internet è nata in primo luogo per scopi
militari, per permettere il flusso di informazioni anche nell’ipotesi che un attacco
avversario avesse distrutto i centri direzionali più importanti della propria nazione. Solo
quando fu completato questo armamentario, comprendente anche sottomarini atomici
sempre in navigazione per evitare l'intercettazione, i governi delle superpotenze
compresero che sia l'attacco sia la reazione avrebbero distrutto la possibilità di vita nel
mondo e perciò decisero di attuare la riduzione degli armamenti la cui distruzione,
peraltro, pone problemi di costi non molto inferiori alla loro costruzione. È un fatto che
all'inizio del secolo sia stata la Germania a iniziare la corsa agli armamenti.
1. 2 Il Reich da Caprivi a Bethmann-Hollweg
Le dimissioni del Bismarck segnarono la fine di un'epoca della politica estera
tedesca: il successore, Leo von Caprivi, era un generale stimato anche dal Bismarck e da
lui suggerito all'imperatore come il più adatto a guidare la politica tedesca.
Abbandono del trattato di Controassicurazione Eppure fu proprio il Caprivi che
lasciò cadere il Trattato di controassicurazione con la Russia, giudicato inutile dai suoi
consiglieri di politica estera. In quanto generale, il Caprivi condivideva la persuasione
dei militari che la futura guerra sarebbe stata combattuta su due fronti, contro la Francia
e contro la Russia, e che perciò l'alleanza con Austria e Italia era della massima
importanza. Nel 1892 la Triplice Alleanza fu rinnovata con particolare enfasi,
inducendo Francia e Russia a stringere tra loro l'Entente Cordiale. Il Caprivi riuscì a far
passare nel 1893 una legge in base alla quale l'esercito tedesco aumentò di oltre 80.000
soldati, anche se la durata della leva fu ridotta a due anni.
Velleitarismo di Guglielmo II Nel complesso la politica tedesca nei primi quattro anni
dopo l'allontanamento del Bismarck aveva dato risultati modesti e il "nuovo corso"
invocato da Guglielmo II appariva sfocato: l'imperatore passò da un atteggiamento filoliberale a uno fieramente antisocialista, fino al punto di meditare un colpo di Stato per
togliere di mezzo il Parlamento.
Dimissioni del Caprivi Il Caprivi mostrò senso di responsabilità e maturità politica
opponendosi a questi piani fantasiosi di Guglielmo II, ma si guadagnò anche le
dimissioni.
Intuizione di Max Weber Questi avvenimenti furono indirettamente commentati nella
lezione inaugurale tenuta da Max Weber, il maggiore sociologo di quest'epoca,
nell'università di Friburgo: egli prevedeva che la Germania sarebbe stata una grande
nazione con un imponente commercio estero, ma che la sua politica interna sarebbe
risultata problematica. Infatti, la società tedesca accoglieva con atteggiamento aperto la
tecnologia moderna, le conseguenze della potenza navale, i più recenti movimenti
artistici e letterari, conservando tuttavia una concezione dei rapporti tra cittadini e Stato
più simile a quella vigente in epoca feudale che a quella auspicabile alle soglie del XX
secolo.
Riprende l'espansione industriale Dopo la caduta del Caprivi divenne cancelliere
imperiale il principe Chlodwig von Hohenlohe-Schillingsfürst, un anziano bavarese che
fu docile esecutore degli ordini di Guglielmo II, deciso a imprimere alla Germania
quell'orientamento sfociato, più tardi, nella Prima guerra mondiale. Infatti, nel 1895
riprese la fase di rapida espansione industriale in Germania e in Europa i cui effetti non
tardarono a farsi sentire nel settore che stava maggiormente a cuore all'imperatore, la
potenza navale tedesca da adeguare al suo commercio divenuto mondiale e al suo
impero coloniale. Già una notevole fetta del commercio britannico era passata in mani
tedesche, ma i progetti per il futuro erano ancora più ambiziosi.
Ferrovie e flotta Si stava progettando una ferrovia in partenza da Berlino che,
passando per Istanbul, doveva attraversare la Turchia, la Siria, l'Iraq giungendo fino a
Bassora sul golfo Persico. Ciò avrebbe significato il controllo del petrolio mesopotamico e il patronato tedesco sugli arabi. I cantieri navali del Baltico furono potenziati,
le linee di navigazione tedesche praticavano le tariffe più basse per merci e passeggeri,
assicurando i produttori di acciaio che la loro produzione sarebbe stata assorbita per
molto tempo dalla costruenda flotta d'alto mare. Il problema della flotta tedesca è tanto
importante che gli verrà dedicato il paragrafo successivo: qui occorre sottolineare che fu
abbandonato un altro caposaldo della concezione bismarckiana, quello di non provocare
la reazione della Gran Bretagna.
Mutamenti nel governo tedesco Non fu facile imporre alla Germania una decisa
politica navale: nella discussione in Parlamento avvenuta nel 1897 i progetti di
Guglielmo II furono respinti, ma egli riuscì a cambiare sia il ministro degli esteri sia il
cancelliere, sostituiti con personaggi più morbidi nei suoi confronti. Il rimpasto
governativo portò l'ammiraglio von Tirpitz al ministero della marina, e von Bülow al
ministero degli esteri: quest'ultimo, nel 1900, assunse la carica di cancelliere imperiale.
Sviluppo delle Leghe nazionaliste Dopo la nomina di von Tirpitz la politica navale
tedesca ricevette un impulso chiaramente imperialista, anche per merito della Lega
navale, un'associazione che arrivò a contare mezzo milione di aderenti e che agì come
gruppo di pressione sull'opinione pubblica per favorire con ogni mezzo le costruzioni
navali. Accanto alla Lega navale erano sorte altre associazioni che monopolizzavano il
dibattito politico, facendogli assumere una violenza mai registrata in precedenza: c'era
una Lega coloniale tedesca per spingere il governo a espandere le colonie; la Lega
imperiale contro la socialdemocrazia agitava lo spauracchio di una pretesa assenza di
patriottismo nei socialisti; l'Associazione tedesca delle Marche orientali mirava alla
cacciata di polacchi e altri slavi presenti nella Germania orientale, che peraltro, fino a
quel momento, si erano comportati lealmente nei confronti dell'impero tedesco; la Lega
di difesa si proponeva di democratizzare l'esercito rimasto appannaggio, almeno per i
gradi elevati, della nobiltà, ma che la Lega voleva trasformare in un popolo in armi.
L'associazione più estremista fu l'Associazione pangermanica nei cui slogan entravano
suggestioni di darwinismo politico, come la necessità della lotta per assicurare la
sopravvivenza del più adatto: molte tesi dell'Associazione pangermanica formarono
quel miscuglio di ideologie popolari più o meno mitiche, certamente pseudoscientifiche,
confluite nel nazionalsocialismo. Sotto il cancellierato di Bülow, in carica fino al 1909,
e del successore Bethmann-Hollweg, in carica fino al 1917, il pangermanesimo fu
riconosciuto come fonte di disordine, ma senza che che il governo cercasse di sradicarlo.
Avventurismo della politica tedesca Analizzando la politica della Germania imperiale
durante l'epoca di Guglielmo II, si può concludere che lo Stato non era riuscito ad
adeguarsi alla mutata situazione internazionale, permettendo all'avventurismo di Guglielmo II di imporsi a danno dei reali interessi della Germania. Infatti, malgrado la
politica navale, i progetti di ferrovia tra Berlino e Bassora, e la crescente espansione
commerciale, non si assisteva in Germania al sorgere di una politica che davvero
potesse abbandonare il principio bismarckiano dell'impero "saturo". Poiché le citate
associazioni erano più il risultato che la causa della decisa sterzata in senso imperialista,
occorre ricercare la causa reale nel concreto spostamento a destra della borghesia
tedesca avvenuto nel 1906.
Sterzata a destra della borghesia tedesca In quell'anno si riformò il Cartello dei partiti
di destra: il von Bülow sciolse il Parlamento dopo che il Zentrum e i socialdemocratici
si erano opposti allo stanziamento di fondi per far fronte alle spese di guerra nell'Africa
del sud-ovest. Al Zentrum e ai socialdemocratici il Bülow contrappose la stretta alleanza
dello "spirito conservatore congiunto con lo spirito liberale", conquistando la metà dei
seggi in Parlamento: per la prima volta il cancelliere poteva contare su una maggioranza
filogovernativa.
Una gaffe di Guglielmo II Nel 1908 in Germania scoppiò lo scandalo provocato da
un'intervista di Guglielmo II al giornale inglese Daily Telegraph, concessa nel corso di
un viaggio in Gran Bretagna: nell'intervista l'imperatore esprimeva la sua amicizia per il
paese che l'ospitava, ma si lasciò sfuggire alcune imprudenti allusioni alla guerra boera
che tante discussioni aveva sollevato alcuni anni prima. L'articolo fu inviato all'esame
del von Bülow perché lo autorizzasse (in un sistema costituzionale il re deve sottoporre
le sue affermazioni politiche al primo ministro) assumendosi la responsabilità del
contenuto. Il von Bülow trasmise l'articolo al ministro degli esteri senza leggerlo.
Quando finalmente l'articolo fu letto, tanto in Gran Bretagna quanto in Germania
sollevò notevole scalpore: le critiche dei tedeschi si appuntarono contro Guglielmo II,
accusato di abuso di potere. Le giustificazioni fornite dai protagonisti, l'imperatore e il
cancelliere, risultarono impacciate finendo per incrinare la reciproca fiducia.
Bethmann-Hollweg cancelliere Nel 1909 von Bülow si dimise, sostituito da Theobald
von Bethmann-Hollweg, un personaggio tutt'altro che incolore, profondo conoscitore
dei problemi politici esteri e interni della Germania: ma in un ambiente caratterizzato da
esasperato militarismo e da spavalda sicurezza, al Bethmann-Hollweg fece difetto la
capacità di imporre le sue decisioni. Le sue energie si esaurirono nel tentativo di
mantenere in equilibrio le forze opposte che la prosperità economica tendeva a
contrapporre ulteriormente. Così la Germania si avviò verso la Prima guerra mondiale
guidata da un governo autoritario, anche se non assolutista, che non seppe né rifiutare né
accogliere le conseguenze del sistema democratico.
1. 3 La flotta tedesca
Verso il 1870 anche le costruzioni navali furono profondamente modificate da grandi
novità di ordine tecnico tali da rendere obsolete tutte le navi progettate in precedenza: la
propulsione a vapore sostituiva le vele, e il ferro sostituiva il legno degli scafi.
Le corazzate La marina britannica mise in mare, nel 1859, la Warrior, la prima nave
costruita interamente in ferro. Le vele, nonostante la loro economicità, furono
abbandonate perché gli alberi e le sartie offrivano un bersaglio troppo esteso alle artiglierie avversarie alle quali bisognava offrire il minor spazio visibile tra la linea di
galleggiamento e il bordo libero in alto. Per di più si era diffusa la persuasione che gli
scontri navali si potessero risolvere con speronamenti e fuoco di artiglierie poste a prua
e perciò in grado di sparare nella fase di avvicinamento alle navi avversarie, come era
avvenuto a Lissa.
La corazzata Duilio Nel frattempo i pezzi di artiglieria navale erano passati da 5 a 80
tonnellate di peso con una gittata di oltre dieci chilometri: simili artiglierie avevano
bisogno di una torretta che si poteva collocare solo al centro dello scafo. Intorno al
1880 le corazzate si presentavano come piattaforme corazzata con quattro grandi
torrette di artiglieria al centro dello scafo: così appariva per esempio la Duilio italiana
costruita intorno al 1876 e rimasta per qualche mese la più potente, la più difesa e la più
veloce nave da guerra esistente al mondo. Tra il 1880 e il 1890 il prezzo dell'acciaio
subì una notevole riduzione e perciò furono costruite corazze ancora più resistenti che
permisero di corazzare anche gli incrociatori.
Navi sempre più grandi Verso la fine del secolo, le navi da battaglia avevano
raggiunto un dislocamento vicino alle 15.000 tonnellate, navigavano alla velocità di 18
nodi ed erano armate di cannoni di oltre 300 millimetri di calibro. Inoltre furono inventate le mine ancorate e i siluri lanciati da torpediniere.
Il sottomarino Nel 1899 i francesi vararono il primo sottomarino in grado di navigare a
una velocità di otto nodi a 18 metri di profondità. Dopo la marina francese anche quella
inglese, comandata dall'ammiraglio John Fisher, provvide alla costruzione di
sottomarini, mentre il comando della flotta tedesca sembrò non comprendere la portata
rivoluzionaria del nuovo strumento bellico.
Il dominio del mare Intorno al 1890 il capitano di vascello americano Alfred Thayer
Mahan pubblicò un famoso corso di lezioni intitolato Influenza del potere navale nella
storia tra il 1660 e il 1873. Come dice il titolo, si trattava di una storia delle marine da
guerra, ma erano forniti criteri per il futuro indicando nella potenza navale la causa
prima della potenza nazionale. Alla fine del XIX secolo la potenza navale si poteva pa-
ragonare all'attuale potenza dell’aviazione, ritenuta capace di determinare l'esito di una
guerra. Il libro del Mahan dava per scontato che la potenza navale, il commercio estero
e le colonie fossero strettamente collegati tra loro, formando le basi indispensabili per la
prosperità nazionale. Infatti, la maggiore produzione industriale doveva essere
trasportata da una flotta mercantile che, a sua volta, doveva essere protetta dalla marina
da guerra: i prodotti commerciali erano venduti nelle colonie in cambio delle materie
prime che rialimentavano il ciclo economico. Sia la marina da guerra sia quella
mercantile esigevano basi navali che, a loro volta, avevano bisogno di protezione
militare. Guglielmo II, dopo aver letto il libro del Mahan, ne ordinò la traduzione in
tedesco e obbligò gli ufficiali a leggerlo.
La flotta tedesca La marina da guerra tedesca era stata fondata nel 1867 con compiti
limitati alla difesa costiera: perciò era composta solo di corvette e cannoniere non
corazzate. Nel 1884 il ministro della marina lamentò il fatto che quelle navi non
sarebbero servite a nulla in caso di conflitto perché più lente, più vulnerabili e incapaci
di recare offesa alle navi avversarie dotate di corazza. Quell'appello fu raccolto dai
grandi produttori di acciaio, in primo luogo Krupp. La caduta del Bismarck nel 1890
rimosse il maggiore ostacolo frapposto alla creazione di una vera marina da guerra
tedesca.
L'ammiraglio Tirpitz Guglielmo II aveva ereditato dal ramo inglese della sua famiglia
la passione per le navi e per il mare. Trovò nell'ammiraglio Tirpitz colui che seppe
tradurre in realtà i suoi sogni: per giustificare la necessità della flotta non si mancò di
porre l'accento su una situazione verificatasi al tempo del conflitto con la Francia.
Durante la guerra del 1870 la flotta francese aveva bloccato il porto di Kiel e le uscite
del Mar Baltico, impedendo ogni movimento alle navi tedesche mercantili e da guerra:
se il conflitto fosse durato più a lungo, il blocco avrebbe avuto conseguenze rovinose
per la Germania. Tale pericolo era maggiormente avvertito ora che la Germania aveva
una flotta mercantile e un impero coloniale da difendere.
Un ambizioso programma A partire dall'anno 1900 la Germania cominciò a realizzare
un piano che prevedeva la costruzione di 40 corazzate e 60 incrociatori. Per reclutare
più facilmente i marinai fu fondata la già ricordata Lega navale, un'associazione che si
proponeva di far conoscere ai tedeschi, ancora legati a una mentalità continentale, il
mare, le coste, l'arte della navigazione, rimontando il ritardo che avevano nei confronti
dei popoli marinari.
Reazione britannica La Gran Bretagna affidava da secoli la sua difesa e la supremazia
sui mari del mondo alla flotta. Si trattava di una scelta strategica chiara: rinunciare a un
potente esercito di terra a favore della flotta. La decisione tedesca di darsi una grande
flotta di navi da battaglia metteva in discussione l'equilibrio strategico europeo,
rivelando le aspirazioni della Germania. Infatti, perché accanto a un grande esercito, pur
avendo uno sviluppo costiero modesto, essa voleva anche una grande flotta? Inoltre,
come poteva provvedere la Germania a mantenere due strumenti bellici così costosi,
esercito e marina, se non aveva in vista, a breve termine, una guerra per impadronirsi
dell'Europa? Contro chi era diretta la nuova marina tedesca?
Riorganizzazione del comando navale britannico Per secoli il supremo comando
navale britannico aveva avuto come compito principale la difesa del canale della
Manica e del canale d'Irlanda contro francesi o spagnoli. Come segno visibile della
grande importanza attribuita dall'ammiragliato britannico alla crescente potenza navale
tedesca si deve ricordare il trasferimento del comando supremo della flotta britannica
dalla Manica a Scapa Flow nelle isole Orcadi col fine manifesto di controllare i
movimenti navali tedeschi in transito attraverso il canale di Norvegia. In questo modo,
la costosa flotta tedesca di superficie diveniva in gran parte inutile perché chiusa in
un'area ristretta. Troppo tardi i tedeschi si resero conto di non poter competere con la
Gran Bretagna a livello di grandi navi, e che sarebbe stato meglio affidarsi a siluranti
oppure a sottomarini in grado di mettere in difficoltà le navi di superficie avversarie.
Quando fu presa la decisione in tal senso, il momento favorevole era passato e la
situazione appariva compromessa.
Le corazzate britanniche La notizia delle ambiziose costruzioni navali tedesche aveva
fatto perdere la flemma agli inglesi. Nel 1902 essi avevano stretto un'alleanza col
Giappone che segnò la fine dello splendido isolamento britannico: al Giappone era
stato affidato il compito di difendere lo statu quo in Estremo Oriente. Inoltre
l'ammiraglio Fisher giudicò necessario il potenziamento della flotta britannica. Fu
messa in cantiere la più potente e veloce corazzata mai progettata, la Dreadnought, di
circa 18.000 tonnellate di dislocamento e, mentre il Parlamento discuteva se era
opportuno metterne in cantiere quattro o sei della stessa classe, a furor di popolo fu
deciso di costruirne otto.
La Gran Bretagna aderisce all'Intesa Nel 1903 si ebbero i primi contatti per stipulare
un'alleanza militare con la Francia. Edoardo VII compì un famoso viaggio a Parigi:
all'inizio la popolazione francese, ricordando lo scacco di Fascioda, gridava slogan ostili
nei suoi confronti: alla fine del viaggio, presa dall'entusiasmo e opportunamente
avvertita dai giornali sul significato politico della visita, la gente gridava: "Viva il nostro re". E nel 1904 l'adesione della Gran Bretagna rese triplice l'Intesa cordiale già
esistente tra Francia e Russia. A quei tempi, le alleanze militari avevano clausole
segrete, per cui crebbero le diffidenze e i timori reciproci tra i due blocchi di potenze
che si contrapponevano in Europa. Ormai in Germania ci si rendeva conto che la futura
guerra si sarebbe dovuta combattere su due fronti, a occidente e a oriente.
Il piano Schlieffen Nel 1905 il capo di stato maggiore Alfred von Schlieffen elaborò il
piano strategico che avrebbe dovuto assicurare la vittoria alla Germania nel duplice
confronto. A partire da quell'anno la politica tedesca fu più aggressiva, quasi per
saggiare la serietà dei nuovi rapporti franco-britannici così diversi dai giorni di
Fascioda.
Crisi del Marocco Nel 1905 la Germania affermò che i suoi interessi in Marocco erano
stati lesi dalla Francia. Fu convocata una conferenza internazionale ad Algeciras in
territorio spagnolo nei pressi di Gibilterra. La conferenza ebbe esito negativo per la
Germania che rimase isolata. Infatti, nel corso della conferenza, tra inglesi e francesi si
concretò il progetto di inviare in Francia, in caso di guerra, un contingente di 100.000
soldati inglesi. In questo modo, le minacce tedesche ebbero l'effetto di affrettare i
preparativi militari degli avversari.
Crisi di Agadir Nel 1911 l'invio di un contingente francese a Fez, per aiutare il sultano
del Marocco alle prese con un gruppo di ribelli, fece precipitare la situazione.
Guglielmo II inviò una nave da guerra nel porto di Agadir col pretesto di tutelare gli
interessi tedeschi. Il premier inglese Lloyd George, mediante un discorso tenuto alla
Camera dei Comuni, fece capire al governo tedesco che, in caso di conflitto, la Gran
Bretagna non avrebbe esitato a combattere a favore dell'alleato francese. Per uscire dalla
situazione salvando almeno la faccia, Guglielmo II pretese a compenso un piccolo
territorio dell'Africa francese, anche se dovette riconoscere il protettorato francese sul
Marocco. La crisi anche questa volta fu arginata ma non risolta.
1. 4 Two Powers Standard
L’entusiasmo con cui la Gran Bretagna accolse la decisione di rafforzare la flotta da
guerra può apparire incredibile ai nostri giorni. Tutti volevano per essa le navi più
grandi e più veloci: fu pertanto un brutto giorno quello in cui il Titanic, il transatlantico
ritenuto inaffondabile, gioiello dell'ingegneria navale britannica, colò a picco con quasi
2000 passeggeri a bordo nel corso del viaggio inaugurale.
La storia delle corazzate Il seguito della storia delle corazzate è ancora più strano.
Erano le navi più ambiziose, eppure hanno offerto le prestazioni meno soddisfacenti.
Lunghe fino a 200 metri, armate con le artiglierie di maggior calibro, difese alla linea di
galleggiamento da corazze spesse fino a 30 centimetri, potevano colpire bersagli fino a
18 chilometri. Tuttavia le corazzate presentavano alcuni punti deboli: consumavano
molto combustibile e perciò avevano limitata autonomia dalle basi; c'erano depositi di
munizioni con tanto esplosivo da renderle pericolose come polveriere nel caso di un
colpo avversario ben centrato. Inoltre i fumaioli erano in comunicazione con la sala
macchine e perciò, se una granata centrava un fumaiolo, poteva rendere inservibili i
motori, e una nave ferma è perduta. Quando, poco dopo la Prima guerra mondiale,
furono costruite le prime portaerei, le corazzate erano definitivamente condannate e
solamente l'ostinato conservatorismo degli ammiragli poté insistere per la loro
costruzione quando già apparivano obsolete.
La flotta britannica doppia di quelle nemiche La politica militare denominata Two
Powers Standard, adottata dalla Gran Bretagna, prevedeva che la flotta metropolitana
possedesse un numero di navi pari alla somma delle navi degli avversari coalizzati.
Questa politica di costruzioni navali costò molto denaro ai contribuenti britannici,
affrettando il declino di altri settori produttivi.
Perfezionamento delle altre armi Oltre alle navi da guerra ci furono molti altri ordigni
che entrarono in lizza in una tragica gara di efficienza bellica. Nobel, l'inventore della
dinamite, radunò una colossale fortuna con i suoi stabilimenti di esplosivi. Furono
perfezionate anche le armi convenzionali: la mitragliatrice era in grado di sparare
raffiche tanto veloci da bloccare ogni movimento di fanteria e di cavalleria in campo
aperto; il filo spinato disposto a spirale davanti alle trincee rappresentava un mezzo di
difesa molto efficace contro la fanteria. Per aggirare la superiorità della tattica difensiva
ben ancorata al terreno fu necessario inventare il carro armato che fece la sua comparsa
verso la metà della Prima guerra mondiale. L'esercito appariva così efficiente che i
politici finirono per risultare dominati dal fascino dello strumento, invece di mantenere
più a lungo la competizione sul terreno delle transazioni e dei compromessi. Nonostante
il significativo precedente della guerra civile americana, gli strateghi europei erano
convinti che la guerra si sarebbe risolta nel corso di poche settimane.
Eccessivo lustro della carriera militare In Europa nessun governo permetteva critiche
nei confronti dell'esercito. Le parate e le grandi manovre erano avvertite come una
prova di vitalità della nazione. Gli ufficiali formavano una corporazione chiusa nella
vita dello Stato: si voleva che fossero eleganti, brillanti, nobili, perdonando l'ignoranza
delle condizioni dei loro soldati, delle loro idee e aspirazioni. Le operazioni militari, in
caso di guerra, erano programmate senza tanti riguardi per la vita umana: sembrava che
i materiali fossero più importanti degli uomini. La Prima guerra mondiale non fu
preparata solo dai costruttori di armi o dai generali ambiziosi, ma anche da coloro che
non seppero pensare fino in fondo le conseguenze della valanga che si apprestavano a
mettere in moto.
Le spese militari A conti fatti, tra il 1874 e il 1896 le spese complessive delle principali
potenze europee aumentarono in media, per potenziare gli armamenti, del 50%.
L'aumento in Germania fu del 79%, in Russia del 75%, in Gran Bretagna del 47%, in
Francia del 43%, in Austria-Ungheria del 21%. Queste spese furono relativamente ben
assorbite dai paesi più industrializzati anche a causa di stretti rapporti tra potere
economico e potere politico. Per la Russia, invece, l'aumento delle spese militari fu
intollerabile e andò a detrimento di un più equilibrato sviluppo di quell'immenso paese.
La conferenza dell'Aia Lo zar Nicola II verso il 1898 propose una conferenza
internazionale da tenere all'Aia in Olanda nel maggio 1899. In quella sede il governo
russo propose una moratoria di cinque anni sui bilanci militari, la limitazione degli organici trattenuti sotto le armi in tempo di pace, restrizioni sull'uso degli esplosivi più
distruttivi. Tutte queste proposte furono respinte dai rappresentanti delle grandi
potenze. Alla fine della conferenza, per non farla fallire del tutto, fu deciso di proibire il
lancio di esplosivi da palloni volanti (non erano ancora stati inventati gli aerei da
bombardamento) ma solo per cinque anni, il tempo giudicato sufficiente per scoprire il
modo di colpire solo obiettivi militari; fu proibito l'uso di pallottole dum-dum (proiettili
dirompenti) e di gas asfissianti. All'Aia fu stabilito un tribunale permanente in grado di
risolvere sul piano giuridico le vertenze internazionali: era davvero poco per una
conferenza convocata per mettere un limite agli armamenti.
1. 5 Cronologia essenziale
1882 Con l'adesione dell'Italia, la Duplice alleanza diviene Triplice.
1883-1885 Periodo di espansione coloniale della Germania: sono conquistati Camerun,
Tanganica e Africa del sud-ovest.
1888 Muore l'imperatore Guglielmo I. Gli succede come imperatore Guglielmo II,
nipote della regina Vittoria.
1890 Il Bismarck si dimette dalla carica di cancelliere.
1900 La Germania inizia un ambizioso programma di costruzioni navali.
1902 È sottoscritto tra Giappone e Gran Bretagna un patto per delimitare le reciproche
sfere d'influenza in Estremo Oriente.
1904 Si forma, con la Gran Bretagna, la Triplice intesa comprendente Francia e Russia.
In Gran Bretagna, a furor di popolo, è approvata la legge del Two Powers Standard.
1905 Schlieffen elabora in Germania il piano d'attacco contro la Francia e la Russia,
utilizzato nel corso della Prima guerra mondiale.
1911 La crisi di Agadir rivela le tensioni esistenti tra i due blocchi di potenze
contrapposti.
1. 6 Il documento storico
Anche il Bismarck aveva pensato alla flotta tedesca. Dai Pensieri e ricordi del
Bismarck risulta che la costruzione del canale di Kiel tra il Mar Baltico e il Mare del
Nord, nel 1873 era stata osteggiata dal generale Moltke obiettando che il suo costo era
eccessivo. Mentre il Bismarck redigeva le sue memorie (1891-92), il canale di Kiel era
in fase avanzata di costruzione, ma la politica navale tedesca appariva orientata in senso
antibritannico. L'episodio accennato si inserisce nella storia dei rapporti tra il Bismarck
e l'esercito non sempre idilliaci: anche da questo documento risulta che il Bismarck
cercava sempre di salvare il principio del primato della politica sulla forza militare, al
servizio della politica e non sua padrona.
“Una delle opere alle quali avevo domandato ci si riconoscesse il diritto di
procedere, è ora, dopo lungo tergiversare, in via di esecuzione: il canale dal Mar Baltico
al Mare del Nord. Nell'interesse della potenza marittima tedesca, che allora poteva
svilupparsi solo sotto il nome prussiano io - e non io soltanto - davo un grande valore
alla costruzione del canale, come al possesso e alla fortificazione dei suoi due sbocchi.
Il desiderio di render possibile la concentrazione delle forze di mare, tagliando la lingua
di terra che separa i due mari, era, come lontano effetto dell'entusiasmo quasi morboso
del 1848 per la flotta, ancora assai vivo; ma si assopì per un certo tempo, dopo
acquistata la libera disposizione del territorio. Nei miei sforzi per risvegliare l'interesse
per quest'opera, trovai opposizione nella commissione di difesa del paese, di cui era
presidente il principe ereditario, ma capo effettivo il conte Moltke. Questi come
membro della dieta imperiale, dichiarò il 23 giugno 1873 che il canale servirebbe solo
d'estate e sarebbe militarmente di un valore dubbio; coi 40 o 50 milioni di talleri che
sarebbe venuto a costare sarebbe stato meglio costrurre una seconda flotta. Le ragioni,
che, nei miei sforzi per ottenere la decisione del re, mi venivano opposte, avevan più
peso per l'alta considerazione che godevano i circoli militari presso Sua Maestà che non
per il loro valore intrinseco. Esse si riassumevano nell'argomento che un'opera così
costosa qual era il canale, richiederebbe per esser difesa in tempo di guerra, una massa
di soldati, che non potevamo senza danno sottrarre alle truppe di terra. Si enunciava la
cifra di 60.000 uomini, da tener pronti per la difesa del canale nel caso che la Danimarca
favorisse uno sbarco nemico. Obbiettai che avremmo pur sempre dovuto coprire Kiel
colle sue costruzioni, Amburgo e la via che di là conduce a Berlino, anche se non vi
fosse alcun canale. Sotto le eccessive cure di altre questioni, e in mezzo alle svariate
lotte degli anni dopo il 1870, non potei disporre né della forza né del tempo occorrenti
per vincere la resistenza delle indicate autorità dinanzi all'imperatore; l'affare dormì
negli atti. Attribuisco l'opposizione alla gelosia militare, con cui ebbi nel 1866, nel 1870
e più tardi a sostener lotte, che più della maggior parte di tutte le altre furono penose al
mio animo.
Nei miei tentativi per ottenere il consenso dell'imperatore, avevo messo in prima
linea non tanto i vantaggi politico-commerciali quanto le considerazioni militari a lui
più accessibili. La marina militare olandese ha il vantaggio di potersi servire di canali
interni, che permettono il passaggio alle più grandi navi. Il nostro analogo bisogno di
una comunicazione per canale è grandemente accresciuto dall'esistenza della penisola
danese e dalla divisione della nostra flotta in due diversi mari. Se la nostra intera flotta
può fare una sortita dal golfo di Kiel, dalla foce dell'Elba ed eventualmente,
prolungando il canale, dell'Jahde, senza che un'armata bloccante lo sappia prima, questa
è costretta a mantenere in entrambi i mari una squadra equivalente alla nostra flotta. Per
queste e altre ragioni era mia opinione che la costruzione del canale fosse, per la difesa
delle nostre coste, più utile che l'impiegare le somme per esso occorrenti nel costruire
fortezze ed acquistare altre navi per il cui equipaggiamento i nostri mezzi non erano
illimitati. Era mio desiderio di continuare il canale dalla bassa Elba in direzione
occidentale tanto che dalla foce del Weser, dell'Jahde ed eventualmente anche della foce
dell'Ems si facessero porte di sortita che il nemico dovesse tenere in osservazione. La
continuazione occidentale del canale sarebbe relativamente meno costosa che il taglio
delle alture dello Holstein, poiché le linee da percorrere hanno un livello uniforme, ed
anche per evitare l'alta landa nella lingua di terra tra il Weser e la foce dell'Elba.
Nel caso di un blocco - presumibilmente francese - noi ci avvantaggiavamo del fatto
che l'Helgoland era coperta dalla neutralità inglese; una squadra francese non vi poteva
avere alcun deposito di carbone, ed era obbligata, per approvvigionarsi del carbone
necessario, di ritornare, a intervalli non troppo lunghi, nei porti francesi, oppure di far
andare e venire un gran numero di navi da trasporto. Ora dobbiamo difendere quello
scoglio colle nostre forze, se vogliamo impedire che i francesi in caso di guerra, vi si
stabiliscano. Quali siano le ragioni, che verso l'85 hanno indebolito l'opposizione della
commissione di difesa del paese io non so; nel frattempo il conte Moltke si era persuaso
che l'idea, da lui prima ammessa di un'alleanza tedesco-danese, è inattuabile”.
Fonte: O. von BISMARCK, Pensieri e ricordi, 3 voll., Treves, Milano 1922, vol. II, pp.
28-30.
1. 7 In biblioteca
Per la storia tedesca si consiglia di E. VERMEIL, La Germania contemporanea,
Laterza, Bari 1956. Notevole di G. MANN, Storia della Germania moderna, Sansoni,
Firenze 1964. Importante l'opera di M. STÜRMER, L'impero inquieto. La Germania
dal 1866 al 1918, il Mulino, Bologna 1986. Per la figura di Bismarck si consulti di L.
GALL, Bismarck. Il cancelliere di ferro, Rizzoli, Milano 1982. P. SCHIERA, Il
laboratorio borghese. Scienza e politica nella Germania dell'Ottocento, il Mulino,
Bologna 1986.
Cap. 2 L'età giolittiana
Tra il 1872 e il 1882 erano morti i principali artefici del Risorgimento italiano, Mazzini, Vittorio
Emanuele II e Garibaldi: anche nella vita politica italiana si operò un trapasso generazionale. Giovanni
Giolitti, nato nel 1842, non aveva preso parte direttamente ai grandi eventi culminati nell'anno mirabile,
il 1860.
Dopo gli studi di giurisprudenza, aveva percorso la carriera amministrativa all'insegna di un tenace
realismo che caratterizzò tutte le sue prese di posizione. I primi anni del nuovo secolo furono dominati
dalla forte personalità del Giolitti che guidò il decollo industriale italiano, cercando di allargare l'area
democratica per far posto alle richieste dei socialisti e dei cattolici che non si potevano più ignorare. Coi
socialisti conseguì qualche risultato fino al 1909, sperando invano che in quel partito l'ala riformista
prevalesse su quella massimalista.
Il rapporto coi cattolici fu più complesso: nel 1913, in seguito al patto Gentiloni, i cattolici si recarono a
votare, favorendo quei candidati liberali che si impegnavano a non proporre in Parlamento disegni di
legge ostili alla concezione cristiana della società. Le polemiche seguite a quelle elezioni consigliarono
di lasciare il governo ad Antonio Salandra. Nel 1914 scoppiò la prima guerra mondiale: poiché il Giolitti
fu antinterventista, il Salandra poté rimanere al governo e nel 1915 prese parte a una specie di colpo di
Stato della corona che decise l'intervento, passando sopra la volontà del Parlamento.
Il Giolitti rimase escluso dal potere fino al 1920 quando formò il suo quinto e ultimo ministero, ma
questa volta la sua consumata tattica non ebbe successo. Nel 1921 dovette dimettersi e da quel momento
si succedettero governi sempre più deboli finché un colpo di mano -la marcia su Roma-, compiuto a fine
ottobre 1922, permise a Mussolini la presa del potere. Il vecchio statista di Dronero fece ancora in tempo
a scrivere le sue memorie prima di morire nel 1928. Presto fu compresa la sua grandezza e perciò
quell’epoca fu chiamata "età giolittiana" che acquistò la luce di un’epoca felice, anche se, in realtà, non
mancarono duri contrasti.
2. 1 La personalità di Giovanni Giolitti
Giovanni Giolitti nacque a Dronero, in provincia di Cuneo, nel 1842. Poiché non prese parte
direttamente ai grandi avvenimenti del risorgimento, poté studiare cercando di rendersi conto di ciò che
era accaduto. La sua fu una carriera di tipo burocratico-amministrativo, arrivando al Consiglio di Stato e,
infine, alla Camera dei deputati.
Da Crispi a Giolitti I metodi del Crispi, autoritari e violenti nei confronti degli oppositori, potevano
essere utili in qualche situazione di emergenza, ma alla fine risultarono perdenti. Per il Giolitti,
l'opposizione era più facilmente controllabile in Parlamento che sulle piazze, e riteneva che i cittadini
potevano riunirsi in associazioni e partiti, purché mantenessero la loro azione entro i limiti stabiliti dalle
leggi. Spesso il Crispi aveva affrontato le incipienti lotte sociali e i tentativi di sciopero generale come
insurrezioni contro lo Stato, facendo proclamare la legge marziale e chiedendo l'intervento dell'esercito
per disperdere gli assembramenti perché, come il Bismarck, si ostinava a considerare il partito socialista
come un partito rivoluzionario e internazionalista, mentre in realtà il marxismo negli anni tra il 1890 e il
1900, nel clima dominato dalla cultura positivista, sembrava attestato su una linea di attesa, ossia la
sconfitta del capitalismo sarebbe avvenuta solo quando esso avesse sviluppato tutte le sue potenzialità.
Poiché l'industrializzazione in Italia appariva ancora a uno stadio incipiente, le possibilità rivoluzionarie
apparivano remote.
Giolitti cerca nuovi equilibri politici A differenza del Crispi, Giolitti comprese che l'azione del governo
italiano era stata troppo a lungo sbilanciata a favore del capitalismo bancario e industriale. Il
protezionismo, a lungo invocato da vari settori industriali, rischiava di indebolire anziché rafforzare il
sistema industriale, incapace di emanciparsi e di affrontare alla pari la concorrenza estera. Il numero degli
esclusi dai benefici del progresso aumentava ed era giunto il momento di ristabilire una maggiore equità.
Nascita del partito socialista Appena formato il suo primo ministero, il Giolitti permise la fondazione, a
Genova, del Partito dei lavoratori italiani, nel 1892 e due anni dopo il partito assunse la denominazione
definitiva di Partito socialista italiano. Le vicende del partito saranno esaminate in seguito: qui basta
ricordare che Giolitti, venuto dopo Crispi indicato come l'uomo forte, subì un contraccolpo, perché il suo
governo sembrava debole. Infatti, in Sicilia tra il 1892 e il 1894 si sviluppò il fenomeno dei fasci siciliani
(la parola "fascio" significava "associazione", "sezione"), diffusi soprattutto nella Sicilia occidentale tra i
contadini che chiedevano il rinnovo dei patti agrari. A Corleone, in provincia di Palermo, nel 1893, un
congresso dei rappresentanti dei fasci votò la piattaforma rivendicativa, e nel congresso socialista di
Reggio Emilia i capi del movimento dei fasci chiesero l'adesione al partito socialista, suscitando non
poche difficoltà di ordine teorico e pratico, perché sul continente poco si capiva di ciò che accadeva
nell'isola.
Lo scandalo della Banca romana La sconfitta politica del primo ministero Giolitti fu causata dal grave
scandalo della Banca Romana, il cui direttore generale Bernardo Tanlongo aveva compiuto irregolarità
(emissione non autorizzata di carta moneta, finanziamenti di campagne elettorali di candidati governativi,
speculazioni arrischiate che toccavano anche la famiglia del re). I radicali attaccarono a fondo,
costringendo il Giolitti a fare gravi ammissioni. L'effetto congiunto dello scandalo bancario e
dell'agitazione contadina in Sicilia, costrinse il Giolitti alle dimissioni che, proprio per il carattere
infamante, avrebbero potuto stroncare la sua carriera politica. Per parecchi anni, fino al 1901, il Giolitti
non ebbe incarichi di governo.
Caduta definitiva del Crispi Il Crispi, molto più compromesso personalmente nelle irregolarità della
Banca Romana, riebbe l'incarico di formare il nuovo governo: piegò, ricorrendo all'esercito, il movimento
dei fasci; riprese l'attività coloniale anche in funzione di diversivo dell'opinione pubblica; ebbe alle
elezioni del 1895 un buon successo ottenuto col famigerato sistema dei "mazzieri" (la collusione dei
prefetti con la malavita locale la quale conosceva, specie nel sud, i modi per costringere gli elettori a
votare nella direzione gradita al governo); ma, infine, cadde a seguito della sconfitta di Adua che metteva
in luce la povertà di mezzi, l'impreparazione militare, l'impossibilità di fare una brillante politica estera
poco compresa dalle masse popolari.
La crisi di fine secolo Dopo il 1896 si susseguirono alcuni governi di destra, guidati dal di Rudinì, dal
Pelloux e dal Saracco, che misero in luce lo scollamento esistente tra la popolazione o paese reale, e il
Parlamento o paese legale, ancora eletto da una minoranza di italiani, che non dava risposta alle attese del
paese reale. Nel 1898, a maggio, una protesta per il rincaro del pane fu giudicata dal prefetto di Milano
una rivoluzione politica. Fu proclamato lo stato d'assedio con pieni poteri assegnati al generale Bava
Beccaris, che prese a cannonate la folla, con quasi cento morti tra i manifestanti. Furono sciolti i circoli
dei socialisti e l'Opera dei Congressi che riuniva le attività dei cattolici: fino a luglio rimase in vigore il
coprifuoco: un poco alla volta ci si rese conto che la repressione era stata eccessiva, che le spese militari
erano un capestro per la nazione, che occorreva cambiare politica.
Tentazioni autoritarie Sidney Sonnino, uno dei capi liberali, aveva pubblicato all'inizio del 1897 un
articolo dal titolo significativo "Torniamo allo Statuto", sostenendo che il parlamentarismo aveva
indebolito il potere esecutivo e che perciò si doveva tornare a un'azione di governo forte e autorevole.
Ancora una volta, il modello da seguire sembrava il sistema costituzionale tedesco, nel quale il capo del
governo e i ministri erano nominati dal sovrano ed erano responsabili solo verso la corona. Queste
tentazioni autoritarie furono acuite dagli scandali bancari, dalla paura del socialismo e dell'anarchismo,
dai movimenti operai e contadini, dalla crescente vitalità del movimento cattolico e dall'autorevolezza del
papa Leone XIII le cui prese di posizione circa il problema sociale (enciclica Rerum Novarum, 1891), e la
liceità di ogni regime politico rispettoso delle esigenze spirituali dei cattolici, (enciclica Libertas
praestantissimum, 1888), sembravano minare la stabilità della monarchia e il predominio liberale. Infine,
Umberto I prese una decisione impolitica quando assegnò al Bava Beccaris un'onorificenza, in deroga al
principio che per fatti di guerra civile non si devono assegnare decorazioni.
Assassinio di Umberto I In America, un circolo di anarchici di origine italiana decise di assassinare il re
d'Italia. Fu estratto a sorte Gaetano Bresci al quale fu consegnato il denaro per il viaggio in Italia e una
pistola. Il 29 luglio 1900, il Bresci si recò a Monza, avendo saputo che il re aveva intenzione di assistere a
una manifestazione sportiva. Alla fine delle gare, mentre il re saliva in carrozza, il Bresci sparò
uccidendolo. Tutti compresero la gravità della situazione e la necessità di un governo più attento ai veri
bisogni della nazione.
Giolitti torna al governo Nel 1901, Giuseppe Zanardelli fu nominato primo ministro da Vittorio
Emanuele III, e Giolitti ebbe il ministero degli interni. Nel 1903, Zanardelli fu costretto alle dimissioni
per motivi di salute e perciò nulla impediva al Giolitti di formare il suo secondo ministero, riprendendo il
programma di attenuare l'opposizione socialista e cattolica mediante riforme per venire incontro alle
masse popolari fino a quel momento emarginate.
2. 2 Lo sviluppo del partito socialista
Le componenti ideologiche che sono confluite nella fondazione del partito socialista italiano, avvenuta a
Genova nel 1892, sono molteplici.
La componente anarchica del partito socialista In primo luogo la componente anarchica. Mikhail
Bakunin aveva avuto in Italia grande seguito: Carlo Cafiero e soprattutto Andrea Costa, il primo deputato
eletto al Parlamento nel 1882 che si dichiarasse socialista, erano stati a lungo discepoli del Bakunin.
L'anarchismo italiano fornì gli esecutori materiali di numerosi attentati, il più noto dei quali fu l'uccisione
di Elisabetta imperatrice d'Austria e di Umberto I, già ricordato.
La componente repubblicana Un'altra componente confluita nel partito socialista è quella repubblicanoanticlericale, presente soprattutto in Romagna: un tipico rappresentante potrebbe essere il padre di Benito
Mussolini, un fabbro animato da odio viscerale contro le teste coronate, tanto da dare al figlio il nome del
dittatore del Messico Juarez, che aveva fatto fucilare Massimiliano d'Absburgo.
La componente marxista Infine, c'era la componente marxista. Tuttavia, fino al 1890 il pensiero di Marx
era stato conosciuto di seconda mano, attraverso traduzioni francesi e quindi filtrato da interpretazioni
volte a far emergere la priorità francese in tema di rivoluzione sociale, ostili a Marx quando liquidava la
tradizione socialista francese come "utopia".
Dibattito sul marxismo Dopo quell'anno iniziò in Italia un approfondito dibattito sul pensiero di Marx,
letto nelle opere originali, ed esposto in un corso di lezioni universitarie da Antonio Labriola. Occorre
ricordare che quegli anni di fine secolo erano dominati dalla cultura positivista e che lo stesso Engels,
pubblicando la seconda parte del Capitale, avvertiva i lettori che molte pagine di quel libro riflettevano
situazioni ormai superate: bisognava considerare il metodo seguito da Marx, non le esemplificazioni o le
analisi parziali che potevano apparire obsolete. Si apriva perciò un ampio dibattito sul significato
profondo dell'opera di Marx.
Il socialismo scientifico Schematicamente, potremmo riassumere la questione in questi termini: se la
teoria marxiana è vera, ossia se ha colto le leggi del divenire storico alla stessa stregua delle leggi delle
scienze della natura, i partiti che si rifanno al marxismo devono limitarsi ad affrettare ciò che, prima o
poi, deve realizzarsi necessariamente. Perciò, se il proletariato avrà tutto il potere e distruggerà le classi
antagoniste, al presente i partiti socialisti devono operare una costante erosione del potere della borghesia,
acquistando più voti alle elezioni e propugnando una legislazione sociale sempre più favorevole ai lavoratori. I fautori di questa tesi sostennero sempre la necessità, per motivi tattici, di favorire in parlamento
quei partiti borghesi disposti a maggiori concessioni ai lavoratori. Col passare del tempo, i partiti
socialisti sarebbero divenuti partiti di governo e allora si sarebbe attuato il progetto marxiano di società.
Il massimalismo Ma se la teoria marxiana non è vera nel senso delle leggi fisiche, bensì è solo ideologia
che fa appello al volontarismo, e solo una rivoluzione violenta può portare al potere il proletariato, allora i
partiti socialisti devono praticare la teoria del "tanto peggio, tanto meglio", accrescendo le difficoltà di
governo dei partiti borghesi. In questo caso, le richieste dei partiti socialisti devono essere massime,
ribadite in modo implacabile, anche a costo di travolgere gli interessi delle "aristocrazie operaie", ossia di
quei lavoratori addetti a mansioni importanti dell'industria, ben pagati e orgogliosi della loro abilità
tecnica: tutto ciò venne definito massimalismo. Appare abbastanza evidente che il massimalismo si
accostava all'anarchismo, e perfino al luddismo, e che attingeva consensi nel meno evoluto ambiente
agrario, tra i braccianti privi di terra che volevano la distruzione del latifondo.
Croce Il dibattito sul marxismo in Italia fu ampio: vi parteciparono, oltre al Labriola, anche Benedetto
Croce e Giovanni Gentile, i maggiori filosofi italiani. Croce, come era suo costume, scrisse numerosi
saggi che poi raccolse in volume.
Gentile Il Gentile, invece, che si avviava a divenire professore universitario, scrisse La filosofia di Marx,
fondando la sua interpretazione sulla lettura delle Undici tesi su Feuerbach, in particolare l'undicesima:
"Finora i filosofi hanno variamente interpretato il mondo, mentre si tratta di cambiarlo". Il problema della
verità, secondo Marx, è irrilevante, perché non esiste ciò che si chiama verità quando potrebbe intralciare
un progetto rivoluzionario: è vero ciò che, in ogni momento, è funzionale al progetto rivoluzionario.
La critica di Gentile La critica del Gentile si appunta sull'internazionalismo di Marx. Secondo il Gentile,
l'internazionalismo era stato il cavallo perdente, e tutta la storia degli ultimi cinquant'anni, dal 1848 in
poi, l'aveva dimostrato. Il cavallo vincente, al contrario, era stato il nazionalismo che aveva condotto alla
riunificazione italiana e tedesca. Il nazionalismo era il cuore della filosofia idealistica di Hegel, di cui
Croce e Gentile stavano divenendo i più autorevoli interpreti, battendo l'ottuso positivismo scientifico,
incapace di interpretare la vita dello spirito assoluto che non può venir colto dagli pseudoconcetti delle
scienze della natura.
La filosofia del risorgimento italiano Occorreva perciò, una vigorosa ripresa della filosofia del
risorgimento italiano, di Gioberti e Rosmini, oggetto della tesi di laurea del Gentile. In un certo senso, la
critica gentiliana fatta a Marx è la più seria perché il filosofo tedesco non fu rifiutato a priori, perché
scomodo sul piano politico, cercando poi argomenti per giustificare il rifiuto extrateoretico. Lenin si
accorse di questa circostanza e durante il suo lungo soggiorno a Zurigo affermò che quella di Gentile era
la più significativa critica "borghese" al marxismo. Croce e Gentile si allearono in una feconda collaborazione, durata fino allo scoppio della prima guerra mondiale, di cui è assurdo sottovalutare l'importanza
culturale per la società italiana che poté liberarsi dal provincialismo, dal classicismo, dal filologismo
linguistico assunto dalla critica dopo la grande fioritura romantica.
Complessità della società italiana Era inevitabile che le componenti accennate cercassero di affermarsi
nel partito socialista italiano che ebbe una vita travagliata, perché in una società composita come quella
italiana, in cui erano presenti alcune realtà avanzate, accanto a sacche di sottosviluppo sociale e culturale
per certi versi arcaiche, non era facile incamminarsi in una sola direzione. Il partito socialista, di fronte
all'industrialismo avanzato della Lombardia e ai problemi del latifondo meridionale, passando attraverso
la miriade delle situazioni intermedie, fu incerto sulla via da prendere. Mentre il rivoluzionarismo
anarcoide poteva aver successo nell'ambiente agrario, il riformismo era la scelta obbligata degli ambienti
industrializzati; mentre l'anticlericalismo appariva una carta vincente in Romagna e in Toscana, risultava
controproducente in Sicilia, in Abruzzo, nel Veneto e in gran parte della Lombardia dove la tradizione
cattolica aveva profonde radici.
Crispi costringe i socialisti al riformismo Il partito socialista fu fondato nel 1892 a Genova, quando
Giolitti inaugurava la sua nuova politica. Tornato al potere il Crispi, riprese la persecuzione del partito
socialista per tutto il 1894, ma alle elezioni generali del 1895, i socialisti mandarono alla camera 12
deputati. Invece, le organizzazioni economiche e sindacali socialiste (leghe, cooperative, società di mutuo
soccorso, circoli) si ripresero più lentamente anche a causa delle leggi speciali emanate dal governo per
combattere il movimento dei fasci siciliani. L'autoritarismo del Crispi costrinse il partito socialista a
scegliere una posizione più transigente, ossia di alleanza operativa con i repubblicani e i radicali per
ottenere alcuni vantaggi dal sistema parlamentare. Nel 1894 il partito socialista fu sciolto e perciò Filippo
Turati dovette mettere da parte il suo massimalismo, aderendo alla Lega per la difesa della libertà,
guidata dai radicali. In seguito i socialisti milanesi, sempre per iniziativa del Turati, presentarono una lista
insieme con radicali e repubblicani alle elezioni municipali. Il massimalismo riuscì ancora a trionfare nel
corso di un congresso clandestino tenuto a Parma, ribadendo la politica intransigente: solo nelle votazioni
di ballottaggio si potevano favorire i candidati radicali o repubblicani.
Avanti! Nel 1896, fu fondato a Roma il quotidiano di partito "Avanti!", sotto la direzione di Leonida
Bissolati, un abile giornalista che assicurò al giornale una notevole tiratura. Nel 1897, la camera fu sciolta
in anticipo dal di Rudinì che indisse nuove elezioni. Il partito socialista ricevette circa 135.000 voti su
1.250.000 votanti, con 15 deputati alla Camera, quasi tutti provenienti dall'Italia settentrionale. Le
elezioni del 1897 sancirono il tramonto del Crispi, ma segnarono anche la ripresa di scioperi e agitazioni,
specie nelle campagne.
Successo degli scioperi L'ondata di scioperi in qualche caso condusse a riduzioni di orario e ad aumenti
salariali: il successo sul piano sindacale indusse il partito socialista a occuparsi maggiormente dei
"movimenti di resistenza economica" per "ottenere una seria legislazione di difesa del lavoro": come si
vede, è il preludio di un orientamento riformista.
Rincaro del pane Nel 1898 sopraggiunse la grande crisi, favorita da uno scadente raccolto del grano
dell'anno precedente e dalla guerra tra USA e Spagna per Cuba: il conflitto fece salire i noli marittimi e
quindi il prezzo del grano americano. I socialisti si batterono alla Camera per abolire il dazio sul grano di
importazione, ma il governo, ancora presieduto dal di Rudinì, non comprese la gravità della situazione. A
maggio i socialisti cercarono di pilotare il risentimento popolare chiedendo l'abolizione delle tariffe
doganali e dei dazi interni. Sicuramente i socialisti non intendevano promuovere un'insurrezione e
l'iniziativa fu del tutto spontanea e popolare.
I fatti di Milano A Milano, nel primo giorno di disordini fu proclamata la legge marziale e furono
impiegati i cannoni. Anche nel resto d'Italia ci furono numerosi morti. Il governo di Rudinì, su proposta di
Giuseppe Zanardelli, attribuì la responsabilità dei disordini a un presunto complotto di socialisti e
clericali, facendo sciogliere le organizzazioni socialiste e cattoliche promosse dall'Opera dei Congressi.
Dopo aver tentato invano di far passare cinque disegni di legge che avrebbero impresso una sterzata
autoritaria e conservatrice alla politica italiana, il di Rudinì si dimise. Il nuovo ministero fu presieduto da
Luigi Pelloux.
Governo Pelloux Il Pelloux scelse come programma di governo l'introduzione di leggi assai restrittive
della libertà di gruppi legati ai partiti di opposizione. In Parlamento, i gruppi di sinistra ricorsero anche
all'ostruzionismo, sconfiggendo il governo. Si rese necessario lo scioglimento della Camera e nuove
elezioni nel giugno 1900, che segnarono l'ulteriore avanzata dei gruppi di sinistra: 29 seggi ai
repubblicani, 34 ai radicali e 33 ai socialisti. Il Pelloux si dimise, suggerendo al re il nome di Giuseppe
Saracco come presidente del consiglio. L'ottantenne Saracco formò un governo di destra che affrontò la
crisi di fine luglio 1900 determinata dall'uccisione di Umberto I a Monza: non si fece ricorso alla
repressione perché tutti i gruppi parlamentari si dissociarono dall'assassinio.
Congresso di Roma Il partito socialista tenne a Roma, nel settembre di quell'anno, un importante
congresso per decidere la linea politica del partito dopo il successo elettorale. La tesi vincente fu il
riformismo, ossia esigere dal governo tutte le riforme compatibili con l'ordine economico esistente, ma
incalzandolo per giungere alle realizzazioni massime del programma socialista. La duplice anima del
partito socialista, che cercava di tenere in piedi un programma rivoluzionario, potenzialmente eversivo
della struttura statale; e un programma di accesso al governo mediante alleanza con i partiti di sinistra,
proponendo riforme politiche, sociali ed economiche avanzate, costituì sempre un problema per la politica
italiana, con frequenti scissioni e conflitti interni al partito stesso.
Vittorio Emanuele III Il nuovo re Vittorio Emanuele III, a differenza del padre, aveva simpatia per
Zanardelli e Giolitti: sembrava incline a regnare senza governare, ossia a non interferire troppo nelle
decisioni del Parlamento. Aveva gusti semplici e non amava mettersi in mostra come era accaduto ai
genitori.
Ripresa dell'economia Di fronte alla crescente attività dei socialisti, i liberali effettuarono il rilancio dei
principi di libero mercato, favoriti dalla ripresa dell'industria italiana che fino al 1907 conobbe una vera e
propria esplosione. Nel 1899, a Torino era stata fondata la FIAT; l'industria elettrica era in pieno
sviluppo; i numerosissimi emigrati facevano pervenire alle famiglie rimaste in patria i risparmi depositati
in libretti di risparmio alle Poste, al tasso di interesse dello 0,25%, davvero basso.
Governo Zanardelli Nel febbraio 1901, il governo Saracco si dimise. Il re incaricò Zanardelli di formare
il nuovo governo, comprendente il Giolitti agli interni. Le direttive del Giolitti ai prefetti prevedevano una
moderata libertà sindacale e il diritto di sciopero nei limiti consentiti dalle leggi, per tentare di inserire il
movimento operaio nel sistema politico e istituzionale vigente. Nel delicato settore delle ferrovie, il
Giolitti ricorse alla militarizzazione dei ferrovieri per non far interrompere quell'importante servizio.
Lavori pubblici nel Mezzogiorno Il Giolitti cercò di affrontare la questione meridionale, anche per
ottenere voti alle future elezioni: furono emanate due leggi per Napoli, per sanare i debiti del comune e
creare un grande polo di sviluppo industriale; fu decisa la costruzione del grande acquedotto pugliese e
una legge organica per lo sviluppo della Basilicata (rimboschimento, sistemazione idraulica,
consolidamento dei terreni franosi, risanamento dei centri abitati).
Ministero Giolitti Nel 1903, i rapporti del governo con i socialisti si fecero tesi: Giolitti ne approfittò per
dimettersi. Poco dopo, anche Zanardelli si dimise, e a dicembre morì. Giolitti appariva l'unico leader in
grado di guidare il nuovo ministero: propose a Filippo Turati la partecipazione dei socialisti al governo.
La proposta sembrò al partito socialista prematura. Tuttavia, i deputati socialisti in qualche occasione
votarono a favore del governo per impulso di Turati che intendeva "agevolare la naturale evoluzione" del
sistema politico verso posizioni più democratiche.
Tensioni tra i socialisti Nel 1904, il partito socialista tenne il suo congresso a Bologna, dal quale uscì
profondamente diviso tra le sue componenti fondamentali, tanto che si temeva una possibile scissione. Ma
nell'estate di quell'anno si accese il dibattito sulla possibilità di piegare lo Stato borghese mediante uno
sciopero generale. L'idea era stata dibattuta dal sindacalista francese François Pelloutier e da Georges
Sorel, ma fu respinta dalla Seconda internazionale dei lavoratori.
Sciopero generale Il 4 settembre 1904, la forza pubblica sparò contro la folla dei minatori in sciopero a
Buggerru in Sardegna, uccidendo tre dimostranti. L'indignazione fu enorme in tutta Italia. L'11 settembre
il partito socialista fece sapere che entro otto giorni avrebbe deciso se indire o meno lo sciopero generale.
Il 14 settembre in provincia di Trapani ci fu un nuovo eccidio con due morti e dieci feriti. Il giorno 16 fu
indetto lo sciopero generale in alcune province, organizzato dalle Camere del lavoro, non dal partito
socialista che appariva ancora esitante. Il giorno 18 era domenica e in molte città si tennero comizi che
proclamarono lo sciopero generale per il giorno dopo. Arturo Labriola, in un comizio a Milano, propose
che lo sciopero continuasse fino al giorno 21, estendendolo al resto d'Italia, comprese le campagne.
Direttive di Giolitti Il Giolitti affrontò lo sciopero col principio di far intervenire la forza pubblica
soltanto in caso di incidenti. Fece telegrafare ai prefetti. "Questo movimento non ha base né in un grande
sentimento nazionale, né in un grande interesse e non può durare; è una cosa effimera, è un movimento
pazzesco, non ve ne preoccupate". Giolitti ebbe ragione.
Sconfitta dei massimalisti Politicamente, lo sciopero fu una sconfitta dei socialisti massimalisti, perché
le necessità elementari della vita richiedono quel grande scambio di servizi sociali che è il lavoro, ed è
utopia dimenticare quelle esigenze fondamentali. Il Giolitti fece sciogliere il Parlamento e indire nuove
elezioni: l'estrema sinistra perse 8 seggi e tra i deputati socialisti eletti prevalevano i riformisti.
La questione delle ferrovie Giolitti, tuttavia, si trovò di fronte allo spinoso problema delle ferrovie
italiane. Le società che le avevano costruite e che le avevano in gestione vedevano diminuire i profitti.
Sarebbe occorso rinnovare il materiale ferroviario, ma le spese erano tanto elevate da esigere l'intervento
dello Stato. La polemica di quegli anni, se fosse più funzionale il controllo statale o privato sulle ferrovie,
trovava i capitalisti desiderosi di sbarazzarsi delle ferrovie per investire in settori più redditizi la
liquidazione offerta dallo Stato. Inoltre, i ferrovieri formavano il nucleo di lavoratori più battagliero e
compatto: si pensava che lo Stato potesse meglio dei privati affrontare le lotte sindacali. Il costo della
liquidazione, tuttavia, apparve troppo alto e perciò il Giolitti lasciò il governo a una combinazione
governativa guidata da un luogotenente, Alessandro Fortis.
Governo Fortis Ben presto il Fortis fu attaccato dai socialisti che lo accusarono di essere il portavoce
delle Ferrovie meridionali e che la cessione allo Stato dei trasporti pubblici fosse una pastetta. Fu
proclamato uno sciopero dei ferrovieri senza successo: infatti, il 1° luglio 1905 le reti ferroviarie Mediterranea, Sicula e Adriatica passarono sotto il controllo amministrativo del ministero dei lavori pubblici
(Ferrovie dello Stato).
Governo Sonnino Al Fortis succedette Sidney Sonnino che aveva condotto l'opposizione a Fortis e
Giolitti. Per fare il governo senza Giolitti, Sonnino dovette aprire il ministero ai radicali e cercare
l'appoggio esterno dei socialisti. La nuova maggioranza era eterogenea: bastò uno sciopero a Torino e un
contrasto sulle ferrovie per far cadere un governo privo dell'appoggio dei più potenti gruppi economici e
finanziari della nazione.
Giolitti ritorna al potere Nulla poté impedire il ritorno di Giolitti che propose un'ampia politica per il
Mezzogiorno e per le ferrovie; sviluppo dell'istruzione elementare e professionale; una legge del lavoro e
l'alleggerimento delle imposte sui consumi. Il nuovo ministero operò la riduzione della rendita del debito
pubblico dal 4% al 3,50%, un provvedimento che diminuì i debiti dello Stato, reso possibile
dall'eccezionale stabilità della lira rispetto all'oro. Poi fu effettuato il riscatto delle ferrovie Meridionali,
permettendo agli ex-proprietari (soprattutto Bastogi) fruttuosi investimenti nel settore dell'industria
elettrica.
Crisi mondiale del settore tessile Nel 1907 si profilò una grave crisi economica, causata dallo sviluppo
eccessivo dell'industria tessile seguita da fallimenti a catena, con salita del prezzo dell'oro. In Italia, la
Società Bancaria Italiana era vicina al fallimento e fu necessario costituire un consorzio per operare il
salvataggio. L'industria cotoniera perdette il primato industriale, sostituita dalle industrie meccanica,
siderurgica ed elettrica.
Congresso socialista a Roma Nell'ottobre 1906, a Roma si riunì il IX congresso del partito socialista, e
ancora una volta trionfò la corrente riformista. Tale tendenza si affermò fin verso il 1911, sostenuta dal
sindacato più importante, la Confederazione Generale del Lavoro (CGdL). Gli scioperi furono numerosi e
sanguinosi, nonostante tutto, perché anche gli industriali tendevano a organizzarsi (Confindustria).
Anticlericalismo Tra il 1906 e il 1911 ci fu una ripresa della chiassosa polemica anticlericale anche da
parte dei socialisti con la richiesta di abolire l'insegnamento del catechismo cattolico fin nelle scuole
elementari. I socialisti più intelligenti, come Turati e Salvemini, deprecarono gli eccessi cui inclinava la
rivista diretta dal socialista Podrecca, intitolata "l'Asino" e diffidavano della massoneria, che ne era
l'anima, giudicandola un'associazione borghese.
Verso la svolta del partito socialista Nel congresso del partito socialista tenuto a Milano nel 1910, in
seno ai riformisti si formarono nuove divisioni. Bissolati e Bonomi si collocarono più a destra di Turati,
mentre alla sua sinistra si collocarono Modigliani e Salvemini. Alla sinistra estrema si collocò Benito
Mussolini, per la prima volta presente a un congresso nazionale socialista in rappresentanza della
federazione di Forlì. I riformisti ancora una volta trionfarono, ma nel partito si assisteva a una crescente
insoddisfazione, al desiderio di cambiamento.
Occupazione della Libia L'occasione venne offerta dalla decisione del governo di occupare Tripolitania
e Cirenaica, ancora appartenenti all'impero turco. Infatti, nel 1911 si era creata una situazione
internazionale propizia all'Italia che difficilmente si sarebbe presentata ancora.
Campagna di opinione pubblica L'opinione pubblica era stata preparata dal 1910 da un'intensa
campagna di stampa che affermava il "bisogno" di espandere l'energia nazionale. Si era formato un
rumoroso gruppo di nazionalisti che affermavano la necessità di abbandonare il pacifismo: asserivano che
occorreva trovare uno sbocco alla crescente popolazione. Anche i poeti come d'Annunzio o il Pascoli si
misero d'impegno a celebrare gli augusti destini degli eroi che si apprestavano alla guerra.
Inizio della guerra italo-turca Quando si diffuse la notizia dell'ultimatum italiano all'impero turco del 27
settembre, di permettere l'occupazione militare di Tripolitania e Cirenaica, l'opinione pubblica interna non
rimase disorientata. I socialisti, invece, si divisero. Una parte era favorevole all'espansione coloniale,
ritenendola necessaria allo sviluppo economico del paese. La sinistra del partito, invece, fu contraria alla
guerra e proclamò un giorno di sciopero per il 27 settembre. Particolarmente violente furono le
manifestazioni in Romagna, guidate da Mussolini e Pietro Nenni, allora repubblicano. I due furono arrestati e condannati a un anno di carcere. Il congresso del partito socialista, tenuto a Milano nell'ottobre
1911, votò per acclamazione un ordine del giorno contrario alla guerra, ma il paese appariva in preda a
una specie di delirio bellicista, culminato nelle Canzoni d'oltremare del d'Annunzio, pubblicate sul "Corriere della sera".
La guerriglia Dopo la facile occupazione dei cinque porti principali da parte della flotta, cominciò una
sanguinosa guerriglia contro la quale le truppe italiane risultarono impreparate. La diplomazia
internazionale, temendo una guerra generale dei popoli balcanici contro i turchi, si mise al lavoro per
circoscrivere il conflitto e arrivare a una pace di compromesso. Giolitti, invece, forzò i tempi,
proclamando l'annessione all'Italia di Tripolitania e Cirenaica. Sul piano militare si decise di sfruttare la
superiorità navale italiana, attaccando la Turchia nell'Egeo. Il 18 aprile 1912 furono cannoneggiati alcuni
forti turchi nello stretto dei Dardanelli e poi furono occupate le isole del Dodecaneso. La successiva
conquista della fascia costiera libica rese difficile il rifornimento ai ribelli dell'interno. A Losanna, tra
luglio e ottobre, si tennero conversazioni per concludere la pace, in forza della quale Tripolitania e
Cirenaica furono rese autonome dall'impero turco, mentre l'Italia si impegnava a decretare la piena
amnistia per i ribelli. L'Italia avrebbe ritirato le sue truppe dal Dodecaneso quando tutti gli ufficiali turchi
avessero abbandonato la Libia.
Crisi della sinistra Nel partito socialista la frazione rivoluzionaria cominciò ad agitarsi di fronte alla crisi
di sfiducia presente nella sinistra. Giolitti, inoltre, aveva annunciato il suffragio universale, togliendo
un'arma ai socialisti.
Congresso di Reggio Emilia A Reggio Emilia, nel 1912, si tenne il congresso socialista che determinò la
svolta. Furono espulsi dal partito Bissolati, Bonomi e Cabrini, rei di essersi congratulati col re per lo
scampato pericolo in occasione di un attentato anarchico, ma soprattutto colpevoli di voler condurre il
partito socialista su posizioni "ministeriali", ossia di partecipazione diretta al governo. Mussolini presentò
al congresso l'ordine del giorno di espulsione dal partito, seguita dalla formazione del nuovo Partito
socialista riformista italiano che non ebbe seguito tra le masse. L'"Avanti!" ebbe Mussolini come nuovo
direttore, dal 1° dicembre 1912. Il congresso di Reggio Emilia svolse un'importante funzione anche per
quanto riguarda gli aspetti culturali. A Torino si era formato un gruppo di giovani intellettuali composto
da Angelo Tasca, Antonio Gramsci, Palmiro Togliatti, Umberto Terracini e altri, convinti che gli
insuccessi del partito si dovevano attribuire alle sue insufficienze culturali. Da questo gruppo, nel 1921,
discese il Partito comunista italiano destinato ad assumere un peso superiore a quello socialista nei
successivi eventi storici. Il tentativo di Giolitti di addomesticare il partito socialista era fallito. Un
successo superiore, ma non pieno, l'ebbe con i cattolici.
2. 3 I cattolici si organizzano
Il risorgimento aveva prodotto in Italia il problema dei cattolici, molti dei quali sostennero la
riunificazione italiana, ma rimanendo delusi dal modo in cui si realizzò.
Né eletti né elettori Subito dopo la fase acuta determinata dall'occupazione di Roma, prevalsero le tesi
radicali culminate con la decisione di non partecipare alle elezioni politiche, secondo la formula "né eletti,
né elettori".
Opera dei Congressi Dopo il 1874, i cattolici dettero vita all'Opera dei Congressi, l'organizzazione che si
proponeva di radunare un congresso quasi ogni anno per risolvere i problemi emergenti. L'Opera dei
Congressi si divise in tre sezioni, di cui la prima denominata Opere di culto cercava di dare soluzioni ai
problemi religiosi e assistenziali sorti a seguito della confisca del patrimonio ecclesiastico (per esempio,
la costruzione di nuove chiese). La seconda sezione, denominata opere sociali, aveva il compito di
risolvere i problemi affrontati dalla dottrina sociale della Chiesa, il cui punto più significativo fu
raggiunto con la pubblicazione dell'enciclica Rerum Novarum. La terza sezione, denominata Unione
elettorale, aveva il compito di preparare l'ingresso dei cattolici nella vita politica italiana, secondo il
motto "preparazione nell'astensione".
Microrealizzazioni sociali I cattolici italiani dettero vita a numerose iniziative, generalmente a carattere
locale. In alcune regioni come Veneto, Lombardia, Sicilia quelle iniziative ebbero successo, specie in
campo agricolo. Sorsero numerose casse rurali, cooperative di consumo e di produzione, banche mutue,
giornali, che non assunsero atteggiamenti rivoluzionari, pur conducendo un'opposizione al liberalismo in
qualche caso efficace. La partecipazione alle elezioni municipali permetteva di fare confronti con le
elezioni generali per stabilire l'entità potenziale delle forze cattoliche. La Santa Sede cercava di
subordinare alla propria decisione il momento dell'ingresso dei cattolici in Parlamento per collegarlo alla
soluzione della questione romana.
Clericalismo dei cattolici I governi della sinistra, avendo accentuato il carattere anticlericale della loro
azione politica, per contrasto, indussero i cattolici ad assumere un atteggiamento eccessivamente
clericale, di subordinazione alla gerarchia ecclesiastica.
Interclassismo All'interno del movimento cattolico esisteva una vasta gamma di categorie sociali che
andava dal bracciante agricolo al banchiere, uniti solo dalla stessa fede. L'Opera dei Congressi produsse
una grande fioritura di studi e di iniziative economico-sociali che non potevano sboccare in un partito
politico espressione di una sola classe. La Chiesa ha sempre concepito la politica come parte della morale,
e lo Stato come un mediatore di servizi sociali con particolare attenzione verso i più poveri e i meno
difesi. La concezione liberale, invece, pensava lo Stato come un gendarme posto a difesa del diritto di
proprietà, lasciando libere le forze economiche di svilupparsi secondo la logica del massimo profitto,
affermando che come risultato della potenza industriale e commerciale della borghesia, sarebbe
aumentata l'occupazione con benefici salariali anche per il proletariato.
Difesa della piccola proprietà Anche in Italia, i costi dell'industrializzazione furono sopportati
dall'agricoltura. Le organizzazioni cattoliche, animate da una concezione solidaristica dello sviluppo
economico, cercavano di alleviare le difficoltà dei piccoli proprietari agricoli che nessuno rappresentava
in Parlamento. Le banche, infatti, concedevano prestiti solo alle più promettenti industrie in grado di
corrispondere alti tassi d'interesse, oppure alle grandi aziende agricole che erano in grado di alimentare
l'industria di trasformazione. I piccoli proprietari che producevano per l'autoconsumo non sapevano dove
rivolgersi per avere i prestiti destinati all'impianto delle culture, all'acquisto di concimi, antiparassitari
ecc. Soprattutto al momento della vendita del raccolto i piccoli proprietari erano preda di speculatori e
della tendenza alla caduta dei prezzi agricoli, durata dal 1874 al 1896 in tutta l'Europa.
Cooperative di produzione e di consumo I cattolici crearono strutture locali, come le casse rurali per
raccogliere il piccolo risparmio da investire in migliorie agrarie; cooperative di consumo per acquistare le
scorte da cedere a prezzo di costo agli associati; cooperative di produzione per ammassare il raccolto e
venderlo a migliori condizioni di mercato. Si formarono comitati diocesani e parrocchiali animati da
notevole spirito di iniziativa, cementati dall'opposizione esterna, sostenuti da una vivace stampa che
accettava la polemica. Non partecipando alle discussioni del Parlamento, i cattolici rivolgevano la loro
attenzione alla politica locale, divenendo in qualche modo sostenitori del decentramento amministrativo,
dell'autonomia degli enti locali.
Moderatismo dei cattolici Dal 1889, fu presidente dell'Opera dei Congressi il veneziano Giovanni
Battista Paganuzzi, rimasto in carica fino al 1902. Il Paganuzzi era un esponente dell'intraprendente
gruppo veneto e la sua presidenza voleva caratterizzarsi per l'obbedienza al papa e per il mantenimento
del non expedit, ossia non partecipare alle elezioni generali; per la volontà di radunare tutti i cattolici in
una sola organizzazione, l'Opera dei Congressi; e per il proposito di allargare la base popolare del
movimento.
Le Opere sociali La seconda sezione dell'Opera, destinata alle opere sociali, fu presieduta dal 1895 al
1904 da Stanislao Medolago-Albani di Bergamo. Al congresso cattolico di Milano del 1897 risultarono
esistenti 921 società operaie, 705 casse rurali, 24 banche popolari cattoliche. In gran parte controllato dai
cattolici erano il Banco di Roma e il Banco Ambrosiano di Milano che assunsero grande importanza dopo
il 1900.
Scioglimento dell'Opera dei Congressi Dopo il congresso di Milano (1897), nell'Opera dei Congressi
cominciarono ad apparire tendenze centrifughe soprattutto per iniziativa dei giovani, nati dopo il 1870,
per i quali la questione di Roma aveva scarso significato: i giovani non capivano perché un movimento
che aveva la forza di un grande partito politico non intervenisse nella direzione del paese.
Giuseppe Toniolo Dal 1893, la "Rivista internazionale di scienze sociali", animata da Giuseppe Toniolo,
ebbe la funzione di sprovincializzare i cattolici italiani entrati in contatto con le realizzazioni dei cattolici
belgi, tedeschi e francesi. Ormai si cominciava a parlare di "democrazia cristiana" in un senso diverso dal
passato. Infatti, il termine "democrazia" era stato usato come sinonimo di rivoluzione, di sovvertimento
dell'ordine costituito, mentre ora tendeva ad assumere il significato di accettazione del sistema
parlamentare fondato sui partiti che radunano il consenso popolare per sottoporre al Parlamento il
programma promesso agli elettori.
Romolo Murri In questa direzione si muoveva il giovane sacerdote marchigiano Romolo Murri. Nel
1896 questi fondò la rivista "Vita nova" e nel 1898 la rivista "Cultura sociale", intese come centri
propulsori di idee per formare il patrimonio ideale del futuro partito di cattolici.
Tensioni tra liberali e cattolici Nel 1898, i cattolici formavano una forza politica importante e i dibattiti
apparivano tanto maturi da oltrepassare i ristretti confini del mondo cattolico: i liberali cominciarono a
temere gli sviluppi di quel movimento. Il Sonnino, nel già citato articolo Torniamo allo Statuto, riteneva i
cattolici nemici dello Stato liberale come i socialisti; il Giolitti, invece, intravedeva la possibilità di
allearsi col movimento cattolico, secondo una linea che aveva trovato pratica applicazione in numerosi
casi di elezioni amministrative, per esempio a Milano nel 1895, dove l'alleanza tra cattolici e liberali
moderati aveva battuto la coalizione di radicali e socialisti. Il divieto di partecipare alle elezioni generali
turbava i liberali suscitando il sospetto che la Santa Sede volesse accelerare la crisi dello Stato liberale,
per assumere il potere politico, e solo in seguito combattere i socialisti. Di Rudinì fece intensificare dai
prefetti la repressione delle iniziative cattoliche, cercando l'alleanza con i liberali più anticlericali.
Divisioni tra i cattolici Nel 1898, dopo i fatti di Milano, anche le organizzazioni cattoliche furono
sospese, ma fin dall'agosto cominciarono a riformarsi perché, dopo la grande paura del governo, si
comprese la tendenza moderata dell'azione dei cattolici. Nel congresso di Ferrara del 1899, i giovani
furono invitati a non prendere la parola per non accrescere le divisioni affiorate in un momento che
appariva ancora carico di tensioni. Il Murri, tuttavia, insisteva per una decisa azione contro lo Stato
liberale, mentre Filippo Meda e altri moderati lombardi sostenevano che lo Stato, purché cambiasse il suo
atteggiamento verso i cattolici, andava accettato: l'astensione dalle elezioni era un fatto transitorio e
quando fosse giunto il momento opportuno, i cattolici avrebbero utilizzato le strutture statali per attuare
una politica più equa.
Nascita dei sindacati bianchi Nel 1900, il congresso dei cattolici si tenne a Roma: anche qui si evitò la
frattura tra "vecchi" e "giovani". Dal congresso di Roma nacquero le unioni professionali ossia il nucleo
dei futuri sindacati bianchi. Il Murri ritenne giunto il momento per far nascere il partito politico, ma la
Santa Sede gli fece capire che solo il papa poteva prendere quella decisione. Infatti, nel 1901, l'enciclica
Graves de comuni annacquò il progetto del Murri, ordinando che tutta l'azione dei cattolici rientrasse
nell'alveo dell'Opera dei Congressi.
Attivismo del Murri Il Murri rispose intensificando la sua opera di organizzazione fondando un nuovo
giornale "Il domani d'Italia". Sorsero nuove associazioni sindacali, in concorrenza con quelle socialiste,
rifiutando la concezione assistenziale e caritativa della precedente azione dei cattolici in campo sociale.
L'Opera dei Congressi entrò in una fase di crisi acuta, perché o riassorbiva il movimento della
"democrazia cristiana" o si scioglieva permettendo la nascita del nuovo partito. Il Paganuzzi si dimise
perché incapace di accettare mutamenti nella direzione dell'Opera dei Congressi. Al suo posto fu
nominato Giovanni Grosoli, fondatore dell'"Avvenire d'Italia", il giornale cattolico di Bologna e del
Piccolo Credito Romagnolo. Questi fallì il tentativo di condurre il Murri su posizioni più moderate. Il
Murri stesso cercò di forzare i tempi, ma nel 1903 Leone XIII morì e gli successe il patriarca di Venezia
Giuseppe Sarto, Pio X. Il nuovo pontefice ritenne più urgente occuparsi di problemi pastorali,
preoccupato dell'integrità della dottrina cattolica. Nel 1904 la situazione divenne tanto acuta che il papa
decise lo scioglimento dell'Opera dei Congressi.
Attenuazione del non expedit Nel 1904, dopo lo sciopero generale di settembre, Giolitti aveva sciolto la
Camera e indetto nuove elezioni. Pio X, allarmato da una possibile affermazione socialista, permise
l'attenuazione del non expedit specie in quei collegi elettorali dove era più probabile la vittoria di un
candidato socialista. Si giunse così all'elezione dei primi due deputati dichiaratamente cattolici, deprecata
dal Murri che non gradiva una collocazione dei cattolici tra i moderati filogiolittiani.
Luigi Sturzo Alla fine di dicembre 1905, il sacerdote siciliano Luigi Sturzo tenne un importante discorso
a Caltagirone che appariva quasi il programma del nuovo partito di cattolici, ma poco dopo esplose la
crisi del modernismo, che sarà esaminata più avanti.
Il Murri lascia la Chiesa Il Murri personalmente non era un modernista, ma aveva accolto collaboratori
modernisti nelle sue numerose riviste: non volle accettare la condanna papale del modernismo, preferendo
abbandonare il ministero ecclesiastico. Rimase fuori della Chiesa fino a poco prima della morte, avvenuta
nel 1943.
Elezioni del 1913 Nel 1913, in Italia si tennero le prime elezioni generali a suffragio universale maschile.
Giolitti stabilì un patto d'azione col presidente dell'Unione elettorale cattolica Ottorino Gentiloni, in forza
del quale i cattolici formavano liste in comune con i liberali che si impegnavano a non votare in
Parlamento provvedimenti ostili ai cattolici. Il non expedit fu revocato: i deputati cattolici, abbastanza
numerosi, non rappresentavano la Chiesa in Parlamento, bensì solo coloro che li avevano eletti.
Nascita del Partito popolare Un partito di cattolici, abbastanza vicino alle posizioni della democrazia
cristiana del Murri, ma che si chiamò Partito Popolare Italiano per non richiamare in vita vecchi fantasmi,
si formò solo nel 1919, nel difficile momento del dopoguerra quando sembrava ormai vicina anche in
Italia la rivoluzione sociale. Il Giolitti non volle assumere la presidenza del consiglio dopo le elezioni del
1913, applicando ancora una volta la sua famosa tattica di far sbollire le polemiche elettorali mediante un
governo di transizione, riservandosi di riprendere la guida politica del paese nel momento più opportuno.
A conti fatti, anche la politica nei confronti dei cattolici non ebbe pieno successo per Giolitti. Abile per la
tattica parlamentare, per la capacità di smorzare i dibattiti ideologici, non comprese il tramonto
dell'ideologia liberale e la profondità delle attese delle masse popolari.
2. 4 Il decollo industriale
Come era avvenuto al Cavour nel decennio in cui fu al potere, anche il Giolitti ebbe la fortuna di
governare in un periodo di notevole sviluppo economico e industriale. Ci furono però anche due crisi,
quella del 1907 durata fino al 1909, e quella del 1913.
Emigrazione L'emigrazione rimase fortissima, mantenendosi su una media annua di mezzo milione di
emigrati, raggiungendo la punta massima di oltre 800.000 partenze nel periodo più acuto della crisi
economica del 1909. Il principale effetto sociale dell'emigrazione fu il miglioramento delle condizioni di
lavoro per chi rimaneva in patria perché la diminuita offerta di lavoro faceva salire i salari. Un importante
effetto economico furono le rimesse di denaro degli emigrati ai famigliari rimasti in patria. Tutto ciò
permetteva l'accumulo di valuta estera che compensava il disavanzo della bilancia commerciale. In questa
situazione ideale, l'industria italiana aveva denaro offerto dalle banche a basso tasso d'interesse.
La produzione di automobili I capitali si orientarono precocemente verso la produzione di beni di lusso,
come erano allora le automobili: oltre alla FIAT, furono fondati gli stabilimenti Alfa e Lancia. La
produzione di automobili non era effettuata in serie, come negli stabilimenti americani Ford, bensì ogni
veicolo era predisposto secondo i desideri dell'acquirente.
Industria elettrica Grande sviluppo ebbe l'industria elettrica che a sua volta stimolò l'industria mineraria
del rame. L'industria siderurgica ebbe con l'elettricità la fonte di energia che le mancava per competere
con quella delle maggiori potenze europee: grazie a Giuseppe Colombo, scienziato illustre, finanziere
avveduto e, infine, deputato e ministro, l'industria elettrica ebbe un impulso enorme e portò alla
costituzione della Edison che produceva energia elettrica sfruttando l'acqua dei fiumi che scendono dalle
Alpi. Un poco alla volta, il reddito prodotto dall'industria si avvicinò a quello prodotto dall'agricoltura.
Tuttavia, quasi tutti gli stabilimenti erano fondati nell'Italia settentrionale, dove migliorò l'istruzione
tecnica e dove le università avevano raggiunto un buon livello scientifico. Il divario tra nord e sud
tendeva ad aumentare.
Riordino finanziario Le condizioni per la ripresa industriale si realizzarono intorno al 1895, a seguito del
riordino bancario, della risalita dei prezzi agricoli e del risanamento finanziario dello Stato che permise di
attenuare la pressione fiscale. In campo monetario, la fondazione della Banca d'Italia, che divenne
l’istituto di emissione di moneta con le funzioni di tesoreria dello Stato, non permise più abusi monetari.
Nel 1894 e 1895 furono fondate la Banca Commerciale Italiana e il Credito Italiano, due banche con
presenza di capitali tedeschi che avevano come compito istituzionale il finanziamento della grande industria.
Industria siderurgica L'industria siderurgica fu concentrata in impianti a ciclo completo (altoforno,
acciaieria e laminatoio) che eseguivano a caldo le operazioni, con risparmio di energia: gli impianti di
Piombino e di Bagnoli furono i primi. La produzione di ghisa salì da 9000 tonnellate circa del 1895 a
425.000 tonnellate circa del 1913 e l'acciaio da 50.000 tonnellate a 900.000 tonnellate negli stessi anni.
Tuttavia, si importava ancora molta ghisa, acciaio e rottami di ferro.
Industria meccanica L'industria meccanica conobbe uno sviluppo ancora più promettente. A Ivrea sorse
nel 1908 la ditta Olivetti per la produzione di macchine per scrivere.
Industria tessile L'industria tessile continuò a progredire fino al 1908: la produzione di seta superò in
quell'anno i 6 milioni di chilogrammi, ma in seguito la produzione di bozzoli cominciò a declinare perché
i contadini si dedicavano ad altre coltivazioni divenute più redditizie. Anche l'industria cotoniera progredì
notevolmente fino alla crisi del 1908 che colpì soprattutto questo settore.
2. 5 Il tramonto del giolittismo
Le elezioni generali del 1913 rappresentavano un'incognita per tutti, perché raddoppiava il numero di
coloro che avevano diritto di voto. Era mantenuto il sistema del collegio uninominale che favoriva i
candidati ministeriali specie nel sud. Il fatto nuovo era la partecipazione dei cattolici.
Le elezioni del 1913 I votanti furono più di 5 milioni. Il partito socialista ottenne 52 deputati, il partito
socialista riformato 19 e inoltre 8 deputati socialisti indipendenti (in tutto 79 deputati). I deputati radicali
furono 73, i repubblicani 17. I cattolici ebbero 19 deputati propri. I liberali, in gran parte giolittiani,
furono 304. Ci furono numerose polemiche: i cattolici affermarono di aver favorito l'elezione di almeno
228 deputati liberali.
Il nuovo Parlamento Nel discorso di risposta all'indirizzo di saluto al nuovo Parlamento pronunciato da
Vittorio Emanuele III, ma scritto dal Giolitti, il Labriola dichiarò finito il sistema giolittiano perché nella
nuova camera c'erano tre fatti nuovi: la presenza di un partito nazionalista, di un gruppo di socialisti
meridionali e la presenza di socialisti rivoluzionari che avrebbero impedito la concordia delle classi
sociali, come aveva auspicato il Giolitti.
Ministero Salandra Nel marzo 1914, Giolitti decise di dimettersi terminando così il suo quarto
ministero. L'incarico fu affidato ad Antonio Salandra che escluse dal suo ministero i giolittiani più
convinti. Molti pensavano che quel governo sarebbe durato poco, ma lo scoppio della guerra alla fine di
luglio modificò la situazione politica. I socialisti, dominati dalla corrente rivoluzionaria, non potevano
esser arginati con piccole concessioni. La maggioranza aveva un carattere clientelare: molti deputati
erano disposti a passare dalla parte di chi offriva di più. Il Salandra, infine, era esponente della vecchia
destra e amava atteggiarsi a uomo forte.
Verso la guerra Gli arsenali erano vuoti in seguito alla recente guerra in Africa; il paese era in balia di
un'ondata di nazionalismo degli organi di stampa; i socialisti minacciavano una rivoluzione che poi non
avrebbero fatto. Mentre coloro che avevano votato per la prima volta s'aspettavano che qualcosa dovesse
cambiare, gli uomini di cultura si intruppavano in posizioni estremiste giudicando fallimentare la politica
un po' grigia di Giolitti. Lo scoppio della grande guerra trovò l'Italia in una situazione politica confusa,
ma che un poco alla volta si orientò verso l'intervento, non in direzione della Triplice Alleanza che
appariva un blocco conservatore, bensì in direzione della Triplice Intesa che, nonostante la presenza della
Russia, appariva più aperta alla libertà e al rinnovamento.
La cultura La funzione svolta dalle riviste letterarie del Novecento fu importante per far accettare
all'opinione pubblica quella che appariva una vera e propria sovversione delle alleanze.
2. 6 I nuovi orientamenti culturali
Con la morte del Carducci, avvenuta nel 1907, terminò la tradizione letteraria risorgimentale e
umbertina, classicista e positivista.
L'Estetica di Croce La critica letteraria italiana fu profondamente rinnovata dalla pubblicazione
dell'Estetica di Benedetto Croce, nel 1902 e con la fondazione della sua rivista "La Critica" avvenuta
l'anno dopo.
D'Annunzio L'astro più luminoso sembrava Gabriele d'Annunzio la cui multiforme opera letteraria
raggiunge in certi casi risultati altissimi, specie quando il verso tende a divenire musica. Al contrario del
Pascoli, schivo, impacciato, incapace di operare fratture con la tradizione, il d'Annunzio amò apparire
inimitabile, trasgressivo, perfino snob. Eletto deputato, dapprima si sedette all'estrema destra, poi passò
all'estrema sinistra dicendo di lasciare la morte e di andare verso la vita. Fu nazionalista al tempo della
Libia, interventista dopo lo scoppio della guerra mondiale, volontario al fronte, sempre dominato dal
gusto estetico e vitalista con cui ammantava ogni suo gesto.
Pirandello Ben più profondo fu Luigi Pirandello che appare il maggiore rappresentante della letteratura
italiana del Novecento, novelliere amaro, romanziere paradossale, drammaturgo insuperato nell'analisi del
dramma interiore di chi ha perduto ogni certezza.
Croce e Gentile L'opera filosofica di Croce e Gentile è singolarmente ampia: il Croce in particolare ebbe
una fama mondiale anche se il secondo, sul piano speculativo, appare ancora più significativo. I due
filosofi, amici fino allo scoppio della Prima guerra mondiale, seguirono poi linee divergenti che
condussero Croce ad apparire simbolo dell'antifascismo, mentre Gentile divenne il pensatore ufficiale di
quel movimento. L'opera congiunta di Croce e Gentile segnò il superamento della filosofia positivista.
Le riviste letterarie Tuttavia, l'aspetto più significativo della cultura di quegli anni fu l'apparizione di
numerose riviste che operarono a fondo nella società italiana, nel senso di una rivolta antipositivista,
spesso sfociata in atteggiamenti irrazionalisti e attivisti.
Il Leonardo Abbiamo già accennato alla rivista di Croce "La Critica". A Firenze, Giovanni Papini e
Giuseppe Prezzolini fondarono "Il Leonardo" che si propose la contestazione degli ideali, del costume
politico italiano, del socialismo, del giolittismo, dell'ordinamento statale esistente in Italia, rivelando
propensioni autoritarie e imperialiste. Sempre a Firenze, uscì "Il Regno", la rivista di Enrico Corradini, il
principale teorico del nazionalismo italiano.
La voce Nel 1908, il Prezzolini fondò "La Voce" alla quale collaborarono molti scrittori e giornalisti con
un'impronta crociana. "La Voce" assunse un tono più pacato delle due riviste precedenti, risultando
anch'essa antigiolittiana, non per partito preso, bensì suggerendo all'attenzione dei lettori i problemi del
Mezzogiorno, della scuola, della letteratura ai quali il Giolitti sembrava sordo. "La Voce" fu grande in
temi letterari, artistici, filosofici perché seppe mettere a frutto le migliori intuizioni dell'estetica crociana.
Vi scrissero Papini, Soffici, Boine, Serra, Slataper, Jahier.
Lacerba Anche in seno alla "Voce" sorsero contrasti tra i redattori, che condussero nel 1913 alla
fondazione della rivista "Lacerba" di indirizzo futurista, assai pericoloso perché quei giovani letterati
avevano la tendenza a considerare la vita come una guerra, a esaltare la monarchia guerriera e l'esercito
come le forze sane del paese, a esaltare il rischio, la velocità, il cambiamento; a disprezzare
l'internazionalismo e il pacifismo come tentativo dei deboli di imbrigliare i forti; a indicare negli ebrei i
nemici irriducibili del nazionalismo; a seguire con interesse l'Action Française, con tutto ciò che di
retorico, di vitalistico, di irrazionale essa comportava.
Il futurismo Il futurismo aveva esordito a Parigi nel 1909 col famoso manifesto pubblicato da Filippo
Tommaso Marinetti che rompeva clamorosamente col passato, cercando di ispirarsi alla società
meccanica e dinamica contemporanea, esaltando il bolide rosso, l'automobile, preferita alla Venere di
Milo, incitando a rompere con i musei e il vecchiume in essi contenuto. La guerra fu proclamata "sola
igiene del mondo".
L'idea nazionale Nel 1911 gran parte di queste idee confluirono nella rivista "L'idea nazionale" diretta da
Corradini, come organo ufficiale del nuovo partito nazionalista.
2. 7 Cronologia essenziale
1891 Il 15 maggio viene pubblicata l'enciclica Rerum Novarum
di Leone XIII dedicata al problema sociale e al lavoro.
1892 A Genova viene fondato il Partito dei lavoratori italiani, divenuto Partito socialista italiano due anni
dopo.
1892-1894 Si sviluppa in Sicilia il movimento dei fasci, associazioni di braccianti agricoli che chiedono
la revisione dei contratti di lavoro.
1896 A Milano è fondato Avanti! giornale ufficiale del partito socialista italiano.
1898 A Milano scoppia la protesta popolare per il rincaro del pane: il generale Bava-Beccaris spara con
l'artiglieria sulla folla.
1899 A Torino è fondata la fabbrica di automobili FIAT.
1900 A Monza il 29 luglio è ucciso il re Umberto I da un anarchico venuto dall'America.
1903 Giolitti forma il suo secondo ministero.
1904 Dopo alcuni scioperi con morti, è indetto lo sciopero generale che fallisce, permettendo al Giolitti di
indire nuove elezioni.
1909 A Parigi il gruppo dei futuristi guidato da Filippo Tommaso Marinetti pubblica il Manifesto dei
futuristi.
1911-1912 Scoppia la guerra tra Italia e Turchia per il possesso della Libia.
1913 Prime elezioni generali a suffragio universale maschile: in seguito al Patto Gentiloni i cattolici
vanno a votare.
2. 8 Il documento storico
Durante l'età giolittiana avvenne il vero e proprio passaggio dell'Italia alla fase dell'industrializzazione.
Quel fatto, tuttavia, allargò la divaricazione tra nord e sud rendendola ancor più avvertibile che in passato.
Il documento che segue riporta alcune osservazioni del Castronovo che dovrebbero aiutare a comprendere
la complessità dell'età industriale e la responsabilità della classe politica meridionale, qualificata dal Nitti
"qualchecosista" ossia volta a ottenere per il proprio collegio elettorale "qualche cosa" invece di pensare
in grande la trasformazione sociale ormai inderogabile.
“L'aspetto più contraddittorio del sistema industriale italiano era, in ogni caso, il netto divario che
continuava a separare le regioni dell'Italia settentrionale dal resto della penisola. Il Nord contava infatti
quasi il 68% degli esercizi industriali con due o più addetti e il 79% delle maestranze attive. Ma assai più
significativi erano i dati relativi al grado di meccanizzazione, di concentrazione delle maestranze e di
specializzazione nei diversi rami d'attività. Il censimento industriale del 1911 attribuiva infatti alle regioni
settentrionali la maggior parte degli stabilimenti con più ampie dimensioni d'impresa (ossia il 71% delle
aziende con più di cinquecento addetti e il 68% di quelle con oltre mille operai), oltre al maggior numero
dei complessi con dotazione di motori e apparecchi meccanici (il 58% del totale). Da sola la Lombardia
annoverava il 28,5% della manodopera industriale complessiva, seguita dal Piemonte con il 14,8%. Messe
insieme, Lombardia, Piemonte e Liguria, che contavano allora poco più del 27% della popolazione
italiana, avevano da sole un peso specifico uguale a tutto il resto della penisola, per l'entità delle persone
complessivamente occupate nell'industria, per il numero di imprese che impiegavano più di dieci addetti,
e per la quantità di energia consumata dalle industrie manifatturiere. Ma soprattutto, esse figuravano ai
vertici della graduatoria nei settori industriali più moderni: dall'industria metalmeccanica (dove
Lombardia, Piemonte e Liguria contavano complessivamente il 44.5% delle maestranze) alla chimica, in
cui le tre regioni del "triangolo industriale", insieme al Veneto, concentravano quasi la metà degli addetti.
Il dualismo economico fra Nord e Sud, come abbiamo visto, era preesistente all'unificazione politica del
paese, ma s'era poi accentuato nell'ultimo scorcio dell'Ottocento. E ciò non tanto per lo sfruttamento delle
risorse del Mezzogiorno da parte del Nord, come talvolta si continua a credere, ma per le limitate
possibilità di accumulazione del capitale dell'agricoltura meridionale (afflitta dalla presenza di latifondi a
coltura estensiva, da una povera pastorizia e da forme primitive di colonia parziaria in molte zone interne
e nelle isole) e per le scarse opportunità di investimenti offerte dall'economia locale al capitale straniero e
ad imprenditori di altre regioni. Lo sfruttamento delle miniere sarde, la localizzazione di qualche
stabilimento metallurgico e chimico in Umbria e negli Abruzzi, la presenza di società straniere e di case
bancarie genovesi in alcune società di servizi (tramvie, ferrovie secondarie, elettricità) appaiono fenomeni
del tutto secondari rispetto a una circostanza fondamentale, ossia alla non complementarità fra Nord e
Sud, tanto nel settore delle derrate agricole quanto nelle materie prime e alla relativa marginalità del
mercato meridionale caratterizzato da un basso potere d'acquisto.
Non si può dire d'altra parte che la sperequazione tributaria fra le varie regioni fosse tale da mettere in
moto un drenaggio di risorse dal Sud al Nord, attraverso le leve del prelievo fiscale e della spesa pubblica.
L'insuccesso della legge speciale del 1904 per lo sviluppo industriale di Napoli dimostrò, per contro,
quale grave remora continuassero a esercitare le clientele politiche meridionali. Foraggiate dalle imprese
straniere di gestione di alcuni servizi pubblici, abbarbicate al giro delle speculazioni edilizie e degli
appalti per opere di risanamento urbano o suggestionate dalle feroci campagne del "Mattino" contro la
"chimera industriale", in nome dell'agricoltura e del turismo, le più forti rappresentanze della borghesia
locale continuarono a boicottare qualsiasi progetto di modernizzazione. Non bastò in effetti la creazione
del grande impianto siderurgico di Bagnoli, o l'interesse di alcuni industriali settentrionali (fra cui Pirelli e
Salmoiraghi) per l'incremento dell'attività industriale a Napoli, a spezzare la sorda resistenza opposta a
ogni mutamento dai vecchi gruppi di interesse. Alla fine anche l'inversione della congiuntura economica
sopraggiunta dopo il 1907 contribuì a rimettere nel cassetto molti progetti”.
Fonte: V. CASTRONOVO, L'industria italiana dall'Ottocento a oggi, Mondadori, Milano 1982, pp. 114115.
2. 9 In biblioteca
La vicenda dei fasci siciliani è stata studiata da F. RENDA, I fasci siciliani 1892-1894, Einaudi, Torino
1977. Per la storia del socialismo italiano si consulti di G. MANACORDA, Il socialismo nella storia
d'Italia, Laterza, Bari 1966; e di G. ARFE', Storia del socialismo italiano (1892-1926), Einaudi, Torino
1965. Per la storia dell'anarchismo italiano si consulti di E. SANTARELLI, Il socialismo anarchico in
Italia, Feltrinelli, Milano 1959. Per la storia del movimento cattolico in Italia si consulti di A.
GAMBASIN, Il movimento sociale dell'Opera dei Congressi, Univ. Gregoriana, Roma 1958. Per la
preparazione dell'enciclica "Rerum novarum" si legga di A. DE GASPERI, I tempi e gli uomini che
prepararono la "Rerum novarum", Vita e Pensiero, Milano 1984. Inoltre di G. DE ROSA, Il movimento
cattolico in Italia dalla restaurazione all'età giolittiana, Laterza, Bari 1970. E. VERCESI, Il movimento
cattolico in Italia (1870-1922), La Voce, Firenze 1923. Per la politica estera ormai classico il libro di F.
CHABOD, Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896, Laterza, Bari 1976. Notevole di R.
ROMEO, Breve storia della grande industria in Italia, Cappelli, Bologna 1967, e di S. ZANINELLI (a
cura di), Le lotte nelle campagne dalla grande crisi agricola al primo dopoguerra: 1860-1921, CELUC,
Milano 1971. Notevole la biografia di Giolitti scritta da N. VALERI, Giovanni Giolitti, UTET, Torino
1975. F. GAETA, La crisi di fine secolo e l'età giolittiana, UTET, Torino 1982; G. ARE, Politica ed
economia nell'Italia liberale (1890-1915), il Mulino, Bologna 1975. Interessanti i saggi di R. ROMEO,
L'Italia liberale: sviluppo e contraddizioni, il Saggiatore, Milano 1987. Si consulti anche di S.F.
ROMANO, L'Italia del Novecento. L'età giolittiana, Bibliot. di storia patria, Roma 1965. Per la storia del
nazionalismo italiano si consulti di R. MOLINELLI, Per una storia del nazionalismo italiano, Argalia,
Urbino 1966. Fondamentale di S. JACINI, I risultati dell'inchiesta agraria (1884), Einaudi, Torino 1976.
Molto critico nei confronti dei metodi giolittiani è G. SALVEMINI, Il ministro della mala vita. Notizie e
documenti sulle elezioni giolittiane nell'Italia meridionale, in Opere, IV, Vol. I, Feltrinelli, Milano 1962,
pp. 73-107.
Cap. 3 Chiesa cattolica e secolarizzazione
I valori spirituali rivelano la loro importanza soprattutto quando sono sul punto di
venir perduti. Fino all'inizio del XVIII secolo la società europea fu regolata dalle
certezze della religione cristiana. Dopo quell'epoca, le strutture sociali ed economiche
di alcuni Stati furono modificate dalla rivoluzione industriale e da una non meno
importante rivoluzione culturale, l'illuminismo, che prima volle prescindere e poi
attivamente combatté la religione. Gli eccessi della rivoluzione francese furono giudicati in seguito la naturale conseguenza di una società che vuole fare a meno di Dio e
che finisce per autodistruggersi. Perciò, l'epoca postrivoluzionaria fu dominata da un
desiderio di restaurazione dei valori, e quindi anche della religione, ma intesa in senso
strumentale (alleanza trono-altare), entrata in crisi con la rivoluzione borghese e
liberale del 1848.
In Italia la questione religiosa si intrecciò con la presenza dello Stato della Chiesa e
del papa a Roma, dando vita a un problema difficile, risolto solo nel 1929.
L'ateismo, un tempo atteggiamento di un ristretto gruppo di intellettuali, è divenuto
ora ateismo delle folle solitarie del nostro tempo che risultano ancora più povere.
L'evangelizzazione del resto del mondo continuò a progredire, anche se in qualche
caso furono compiuti alcuni errori di metodo conducendo a confondere il missionario
con l'avanguardia dei colonizzatori.
3. 1 La Chiesa cattolica nel turbine delle rivoluzioni
Negli ultimi due secoli la storia ha subito un’accelerazione che ha sconvolto ogni
rapporto con la tradizione, rendendo gli uomini diffidenti se non ostili alle suggestioni
del passato. Infatti, mentre gli uomini di altre età rimanevano legati alle istituzioni che
vantavano la durata di secoli, a partire dall'illuminismo e dalla rivoluzione industriale,
gli uomini sembrano affascinati dal progetto di creare il futuro in armonia con le loro
attese di redenzione dell'umanità a partire dal progresso umano.
La secolarizzazione Per questo motivo ci sembra che il termine "secolarizzazione"
spieghi meglio di altri la grande illusione dell'uomo contemporaneo che, messo da parte
il concetto cristiano della vita, ripone totale fiducia nelle ideologie e persegue con
ostinazione la conquista del potere per imporre l'ideologia prescelta. Un risultato del
genere è possibile ottenerlo solo introducendo un concetto di giustizia soggettivo, ossia
la giustizia secondo una determinata ideologia che a sua volta cerca la propria
giustificazione nel futuro, presentato come un necessario processo scientifico, o come
risultato di un'evoluzione che è immanente alla società umana.
Illuminismo e religione Nel XVIII secolo, il trionfo della cultura illuminista modificò
profondamente l'atteggiamento dei ceti colti nei confronti della Chiesa cattolica.
L'illuminismo, in un certo senso, è la prosecuzione della spirito della riforma protestante
sul piano politico, ossia un'implacabile critica di ogni autorità e tradizione del passato di
cui non si comprendesse l'utilità. Come risultato politico della critica illuminista si ebbero le rivoluzioni americana e francese che segnarono il trionfo della borghesia e dello
spirito laico.
La rivoluzione americana Diverso fu, tuttavia, l'esito della rivoluzione americana,
perché avvenuta su un territorio sterminato, praticamente disabitato e ricco di possibilità
economiche, dalla rivoluzione francese che imboccò la strada di un tentativo di
egemonia politica della Francia sul continente europeo.
Tentativo di egemonia della Francia Tale tentativo fu contrastato e poi infranto da una
serie di coalizioni europee antifrancesi, guidate dalla Gran Bretagna e comprendenti
Austria, Prussia e Russia, che insanguinarono per un ventennio l'Europa. In qualche
modo si può dire che gli Stati Uniti rappresentano il successo della aspirazioni
illuministe, mentre l'Europa conobbe dal 1815 al 1830 un deciso tentativo di
restaurazione dell'antico regime.
La restaurazione I governi restaurati d'Europa cercarono nella Chiesa la garanzia
principale della loro sopravvivenza e perciò adottarono l'ideologia espressa nel
programma "alleanza trono-altare", a fondamento di ogni utilizzazione politica del
cristianesimo presente nella mente di quei pensatori come lo Hegel che ritenevano la
religione come una filosofia imperfetta, adatta alle menti dei più semplici.
I liberali moderati Dal 1830 al 1848 i liberali si proposero una rivoluzione moderata
che conducesse a una costituzione scritta e a un governo parlamentare, nella
convinzione di poter arrestare una rivoluzione economico-sociale giunta ormai alle porte.
Marx Marx pubblicò nel 1848 il Manifesto dei comunisti nella convinzione che, come
la borghesia aveva scalzato il vecchio regime assolutista e la nobiltà, ora fosse la volta
del proletariato che, quando avesse compreso di "poter perdere solo le proprie catene" si
sarebbe sollevato contro la borghesia attuando la dittatura del proletariato, per liquidare
le classi, dando vita a una società nuova. Il pensiero di Marx non ebbe seguito nel XIX
secolo, perché risultò smentito dai fatti che si ostinavano a non andare d'accordo con la
teoria.
Lenin Il marxismo dovette attendere la decisiva riformulazione di Lenin che lo
trasformò in ideologia della rivoluzione, condotta al successo in Russia nel 1917 a
prezzo della sconfitta del suo paese nel corso della Prima guerra mondiale, e della
successiva guerra civile che ebbe effetti apocalittici sulla società russa.
Il totalitarismo Il militarismo tedesco e la politica di costruzioni navali dell'ammiraglio
von Tirpitz sostenuto dal Kaiser Guglielmo II, provocarono la corsa agli armamenti, una
delle cause principali della Prima guerra mondiale. Dopo la sconfitta degli imperi
centrali, in Germania, in Russia, in Italia si affermarono i regimi totalitari di Hitler,
Stalin, Mussolini. La Seconda guerra mondiale segnò il tracollo dei totalitarismi di
destra (Mussolini e Hitler), mentre rafforzò il totalitarismo comunista.
Fine della guerra fredda Il successivo periodo della guerra fredda, durato fin verso il
1960, ebbe il compito di contenere la spinta espansionistica del comunismo. Verso
quella data, la Chiesa cattolica, con Giovanni XXIII, decise la convocazione del
concilio Vaticano II, per riallacciare il dialogo col mondo contemporaneo, oltre che per
completare la comprensione teologica della funzione della Chiesa, iniziata e presto
interrotta al tempo del concilio Vaticano I (1870) a seguito della guerra franco-prussiana
e dell'occupazione di Roma da parte dello Stato italiano. La questione romana fu risolta
nel 1929, mediante un concordato tra Stato e Chiesa, una soluzione tanto efficace da
superare il regime che l'aveva favorita.
Giovanni Paolo II. L'elezione al papato dell'arcivescovo di Cracovia Karol Wojtyla,
che ha assunto il nome di Giovanni Paolo II, ha chiuso un periodo di incertezze
postconciliari e ha portato al posto del successore di Pietro il primo papa slavo,
testimone della Chiesa perseguitata e della fede che nelle difficoltà ingigantisce, l'unico
leader mondiale che sappia comunicare alle folle il senso della speranza cristiana,
riscoprendo la giovinezza della Chiesa.
3. 2 Chiesa e liberalismo
La fase della restaurazione si concluse in Francia con la rivoluzione di luglio del
1830 che travolse la dinastia borbonica portando al potere la borghesia affaristica
rappresentata da Luigi Filippo d'Orléans. Nell'Europa continentale ripresero slancio i
movimenti politici guidati dai liberali.
I limiti della restaurazione La fase della restaurazione aveva conosciuto un'intensa
stagione di riflessione critica sulle rivoluzioni, di cui venne indagata la genesi e la
fenomenologia. Sul piano morale, la rivoluzione fu giudicata analoga al non serviam di
Satana e dei progenitori che non accettarono la dipendenza da Dio, cercando di
sovvertire un ordine eterno. Sul piano filosofico, la rivoluzione appariva come la
sostituzione di un ordinamento soggettivo a quello oggettivo voluto da Dio, ovvero la
sostituzione dell'utopia - un progetto riguardante il futuro da edificare con le forze
umane - alla metafisica, intesa come il progetto eterno di Dio sul mondo.
La filosofia del tradizionalismo I filosofi del tradizionalismo - de Maistre, de Bonald,
il primo Lamennais e Donoso Cortés - per certi aspetti hanno percepito meglio di altri
pensatori il mortale pericolo corso dal cristianesimo. Esagerarono invece la possibilità
di restaurare quanto era andato perduto, affidandosi alle forze politiche reazionarie
tornate al potere. Il loro fallimento, sul piano politico e sul piano culturale, dovrebbe far
riflettere sul fatto che le azioni umane sono irrevocabili e che il male va combattuto con
l’abbondanza di bene, non con impossibili ritorni al bel tempo antico. In un certo senso
il tradizionalismo dei pensatori della restaurazione è analogo al tradizionalismo dei
farisei del tempo di Cristo. Infatti, costoro finirono per tenersi legati più al loro progetto
politico che al messaggio di Cristo, particolarmente chiaro quando, rispondendo a
Pilato, affermava: "Il mio regno non è di questo mondo". In secondo luogo, la filosofia
della restaurazione offriva il destro ai pensatori della sinistra hegeliana di affermare che
la religione era il principale ostacolo che si opponeva alla rivoluzione. Quando Marx
affermò che "la religione è l'oppio dei popoli" certamente aveva in mente i progetti di
alleanza tra trono e altare promossi da pensatori ortodossi, protestanti e cattolici che si
erano concretati col patto della Santa Alleanza, ispiratore della politica europea fino al
1848.
Da Pio VII a Gregorio XVI Al contrario, i papi che si succedettero sulla cattedra di
Pietro, da Pio VII (1800-1823) a Gregorio XVI (1831-1846), ebbero di mira la
creazione di nuove basi per un'azione missionaria mondiale, per riprendere un fecondo
contatto con la cultura da riconciliare con la Chiesa, e per ripensare le relazioni della
Chiesa con gli Stati. Sulla base del concordato del 1801 stipulato con Napoleone, la
Chiesa sottoscrisse numerosi altri concordati con vari Stati europei.
Il movimento di Oxford Nel 1829 in Gran Bretagna fu abrogato il Test Act che di fatto
discriminava i cattolici inglesi facendone dei cittadini di seconda categoria. Da quel
momento si sviluppò impetuoso il movimento di Oxford che ebbe nel futuro cardinale
John Henry Newman una delle menti più luminose del secolo. Nel Saggio di una
grammatica dell'assenso, egli sostenne che quando un'idea è ben viva, non è più una
semplice questione intellettuale, bensì qualcosa che coinvolge la volontà umana: il
cristianesimo è quella grande idea che continua a plasmare, nel suo sviluppo, l'umanità.
Rosmini Una posizione del genere fu sostenuta anche da Antonio Rosmini, la cui
vicenda è della massima importanza per comprendere questo momento della storia della
Chiesa. È opportuno ripetere che il Rosmini voleva rimanere collegato al pensiero
contemporaneo, senza operare una violenta cesura che, a suo modo di vedere, avrebbe
fatto più male che bene alla Chiesa. Il momento adatto per agire gli sembrò il 1848:
pubblicò le Cinque piaghe della Chiesa e accettò la proposta di andare a Roma come
ambasciatore straordinario del regno di Sardegna per trattare un concordato con la Santa
Sede e stabilire le condizioni di una confederazione di Stati italiani: erano le idee
lanciate fin dal 1843 dal Gioberti nel suo singolare libro Del primato morale e civile
degli italiani, letto e non condannato da Pio IX quando era ancora cardinale. In realtà, il
regno di Sardegna in quel momento voleva solo le truppe dello Stato della Chiesa per
combattere la Prima guerra d'indipendenza. Pio IX aveva notevole stima per il Rosmini
e voleva crearlo cardinale e segretario di Stato, ma anche a causa delle trame del
Mazzini e dei radicali, la situazione precipitò: il papa decise di abbandonare Roma,
cercando rifugio a Gaeta nel regno delle Due Sicilie. Il Rosmini lo seguì, ma poi,
rendendosi conto che il suo progetto non era realizzabile, chiese il congedo, e nel
giugno 1849 tornò a Stresa. Durante il viaggio di ritorno ebbe notizia dell'inclusione
nell'Indice dei libri proibiti di due suoi scritti. Più tardi la sua opera filosofica fu sottoposta ad attenta valutazione, e nel 1854 fu dichiarata esente da gravi deviazioni. Il
filosofo roveretano morì il 1° luglio 1855, dopo una commovente visita del Manzoni
che tenne vivo l'ideale filosofico e politico dell'amico con gesti clamorosi: nel 1861
accettò la nomina a senatore del regno d'Italia e partecipò alla storica seduta del 17
marzo in cui Roma fu proclamata capitale d'Italia. Dieci anni dopo accettò la nomina a
cittadino onorario di Roma: senza deflettere dall'ortodossia, dimostrò un'ammirevole
libertà di giudizio nelle cose che devono essere lasciate alla responsabilità personale di
ogni credente.
La frattura del 1848 Il significato del 1848 per la storia della Chiesa è chiaro. Fallita,
nonostante la presenza del papa più conciliante, la possibilità di accordo con le idee
politiche e filosofiche del liberalismo, bisognava dimostrare i motivi di fondo,
essenzialmente religiosi, che vi si opponevano e, ancora una volta, il papa più
conciliante percorse fino in fondo il cammino che gli veniva additato.
Il dogma dell'Immacolata Dopo ampia consultazione dell'episcopato cattolico, l'8
dicembre 1854 egli proclamò il dogma dell'Immacolata Concezione di Maria, una
dottrina comune nella Chiesa, ma che da quel momento non poteva più esser discussa. Il
mondo protestante manifestò la sua riprovazione: qualche perplessità circa la
convenienza politica della decisione venne anche dal mondo cattolico legato al
liberalismo.
Il Sillabo Nel 1864, Pio IX pubblicò un documento singolare e duro, il Sillabo dei
principali errori del nostro tempo. In esso viene condannato il panteismo, il
comunismo, il nazionalismo anticristiano, la Chiesa di Stato, la morale autonoma, il
liberalismo con i suoi corollari, libertà di stampa e di opinione. La denuncia termina con
un solenne rifiuto: "Il pontefice non può e non deve riconciliarsi col progresso, né col
liberalismo, né con la civilizzazione moderna". Come sempre, occorre capirsi: Pio IX
intendeva respingere la civiltà che vuole emanciparsi dal soprannaturale; la scienza che
afferma di bastare a se stessa anche quando si fonda su postulati ostili alla rivelazione;
le teorie politiche che subordinano alla potenza dello Stato la religione; la morale non
fondata sulla legge naturale, bensì sull'arbitrio personale in balia dell'opinione pubblica;
la libertà quando si riduce a libertinaggio; la libertà di stampa quando si degrada a
calunnia.
Il concilio Vaticano I Nel 1868, Pio IX convocò per l'anno successivo il concilio
ecumenico Vaticano I che si riunì l'8 dicembre 1869. Nella bolla di convocazione non
era indicato che uno dei temi da discutere sarebbe stato la proclamazione dell'infallibilità del papa, ma la cosa era nell'aria e si sapeva anche che gli episcopati francese,
tedesco e nordamericano ritenevano prematura e impolitica una dichiarazione in tal
senso. Tra i temi dogmatici, invece, tutti erano d'accordo sulla necessità di riaffermare
la natura divina di Cristo, la storicità dell'incarnazione di Cristo per cui il Figlio di
Maria e il Figlio di Dio costituiscono l'unica Persona del Verbo incarnato, contro ogni
affermazione contraria della teologia liberale protestante, giunta fino a negare l'esistenza
storica di Cristo come uomo, e il valore di documento storico dei testi del Nuovo
testamento o l'ispirazione divina della Bibbia.
Interruzione del concilio Il concilio fu bruscamente interrotto nel luglio 1870 dallo
scoppio della guerra franco-prussiana e dall'occupazione di Roma da parte dello Stato
italiano, avvenuta nel settembre dello stesso anno. Fino a quel momento erano stati
approvati due testi fondamentali: la costituzione dogmatica Dei Filius che ribadiva la
dottrina cattolica sulla divinità di Cristo, e quello relativo all'infallibilità papale. Più
contrastata apparve la votazione del documento affermante che il papa di per sé, da solo,
senza consultazione e decisione di un concilio ecumenico, godesse di infallibilità in
materia di fede e di morale. La questione era antica. Da sempre era stato ammesso il
primato di onore e di fatto del vescovo di Roma, ma in Oriente era sempre stato
sostenuto il principio della collegialità: le decisioni del papa dovevano essere suffragate
dall'assenso dei vescovi di Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme. Nel
VII secolo le sedi di Alessandria, Antiochia e Gerusalemme decaddero a causa
dell'occupazione araba e della costante tendenza centrifuga di quelle sedi dalla
supremazia di Costantinopoli che cercava di espandersi su tutto l'Oriente. Nel 1054 si
era consumato lo scisma della Chiesa d'Oriente e da quel momento le due parti della
cristianità avevano seguito un cammino autonomo. Dopo la caduta di Costantinopoli
sotto l'impero dei turchi musulmani, anche la Chiesa d'Oriente aveva perduto la sua
vitalità, mentre era salita d'importanza la sede del metropolita di Mosca, ma in una
situazione di isolamento culturale rispetto al resto della cristianità.
La questione dell'infallibilità Dopo il concilio di Trento, il papato aveva assunto una
crescente importanza in Occidente per cui il decreto del 1870 risultava il normale
coronamento di una dottrina comune, vissuta fin dalle origini, del papa supremo maestro della Chiesa, dotato di giurisdizione universale. Si è accennato alla resistenza di una
parte dell'episcopato alla proclamazione dell'infallibilità del papa: ci furono tentativi
anche clamorosi di far recedere Pio IX dal suo progetto, affermando che c'era il pericolo
di scisma all'interno della Chiesa. Alcuni vescovi non parteciparono alla votazione
finale e perciò solo due furono i voti contrari al dogma.
L'occupazione di Roma Il 20 settembre, approfittando della sconfitta francese
avvenuta due settimane prima a Sédan, il governo italiano presieduto da Giovanni
Lanza decise l'intervento militare a Roma. Il papa aveva ordinato al generale Kanzler di
opporre una resistenza simbolica, ritirandosi nel palazzo del Vaticano dove Pio IX si
dichiarò prigioniero. Pio IX morì nel febbraio 1878, al termine del più lungo pontificato
della storia, durato quasi 32 anni. Poiché aveva manifestato il desiderio di essere sepolto
nella basilica paleocristiana di San Lorenzo al Verano, fu necessario operare il trasporto
funebre che dette luogo a spiacevoli incidenti: un gruppo di facinorosi cercò di buttare
nel Tevere la salma del papa. Il tentativo fu sventato dalle forze dell'ordine, forse
intervenute in ritardo, in omaggio a una guerra di nervi che piaceva ai liberali al potere.
La fine del potere temporale A conti fatti, la fine del potere temporale fu un bene
perché il papa si trovò libero da un onere divenuto intollerabile. Secondo il Cavour,
bisognava operare una rivoluzione moderata per impedire ai radicali di fare una rivoluzione estremista che dal piano politico sfociasse in quello sociale. La rivoluzione
moderata risultò equivoca perché da una parte rassicurava i ceti abbienti affermando che
il regime della proprietà non sarebbe stato sconvolto, mentre dall'altra dava mano libera
a personaggi come Garibaldi che avevano il compito di sollecitare le attese dei ceti
poveri che poi sarebbero state disattese. Subito fu soddisfatto il diffuso desiderio di
rivoluzionarismo verbale mediante un acceso atteggiamento anticlericale che irritò i
cattolici italiani rendendoli ostili al nuovo ordine di cose. Il regime liberale non riuscì a
concepire per la Chiesa cattolica e il suo capo una garanzia giuridica di diritto internazionale: si ostinò a considerare la Chiesa come un'associazione privata per fini di
culto che doveva rientrare nel diritto privato. Insomma, non era riconosciuto alla Chiesa
lo statuto di alta parte contraente di un patto che, in caso di revisione, avrebbe
comportato l'assenso della controparte. Per questo motivo, il concordato del 1929 fu
stipulato da un altro regime, certamente non meno ostile del precedente alla Chiesa, ma
più pronto a cogliere i vantaggi politici che la soluzione della questione romana offriva
allo Stato italiano.
3. 3 Chiesa e socialismo
L'altro grande problema affrontato dalla Chiesa nel secolo XIX fu la crescita
impetuosa del socialismo. Come era già avvenuto per il liberalismo, esiste nel
socialismo una concezione filosofica che si unisce a una teoria economica, con esiti
pratici opposti, scaturiti da una radice comune.
Centralità del lavoro umano Tale radice è la primaria importanza assunta dal lavoro
umano, la fonte di creazione continua di valore economico. Il liberalismo razionalizza lo
sfruttamento del lavoro, considerato alla stregua delle altre merci, in funzione del
capitale; il socialismo considera il lavoro umano e i valori economici che esso produce
come mezzo per attuare la presa del potere e la distruzione delle classi borghesi, così da
creare una nuova società senza sfruttatori e senza sfruttati, nella quale il lavoro
dovrebbe perdere ogni carattere di costrizione. Secondo la Chiesa, invece, entrambe
queste concezioni sono false e dannose per l'uomo, anche se l'importanza del lavoro
umano era riconosciuta come un valore autentico, presente fin dal primo libro della
Bibbia: la creazione come lavoro di Dio; il compito dei progenitori di possedere tutto il
creato, cioè lavorare; il peccato e la condanna dell'uomo a lavorare con pena per
sottomettere una natura divenuta ostile.
Il problemi della società industriale Il processo innescato dalla rivoluzione industriale
aveva trasformato il mondo determinando grandi trasferimenti di popolazione dalle
campagne alle città, da un continente all'altro, da una relativamente semplice struttura
agricola a una più complessa come quella industriale. Sorsero alcuni problemi acuti
come alcolismo, prostituzione, delinquenza organizzata, sanità, istruzione, trasporti,
abitazioni, quasi piaghe apocalittiche che si abbattevano sulla società industriale.
Trionfo delle ideologie Liberalismo e socialismo, ripetiamo, sono due teorie
economiche collegate con due ideologie dinamiche le quali ritengono di aver la chiave
di previsione dello sviluppo futuro. Il fatto nuovo è che quelle due ideologie
assumevano nei confronti della religione un atteggiamento agnostico o addirittura ostile.
Il liberalismo considera la religione un fatto di coscienza individuale che non deve avere
rilievo sociale; il socialismo, soprattutto nella versione marxiana, considera la religione
un fattore regressivo da distruggere per edificare la società nuova (ateismo positivo o
postulatorio): per compiere la rivoluzione occorre annullare la speranza cristiana. Il
supporto ideologico delle due ideologie è una filosofia del divenire, lo storicismo
assoluto di Hegel, in cui non esiste più un criterio di verità, un fondamento assoluto: è
vero ciò che trionfa; il successo, finché dura, coonesta ogni proposizione; la forza crea il
diritto; la violenza, se applicata in dosi massicce e amministrata in modo burocratico,
anonimo, è la più efficace maniera di governare; il potere è il giudice inappellabile di
ciò che è vero e di ciò che è falso. Poiché la rivoluzione industriale e le ideologie che
l'hanno interpretata si svilupparono primariamente in ambito protestante, la Chiesa
cattolica reagì in ritardo e intervenne in modo negativo, ossia rifiutando l'errore.
Quando le ideologie connesse alla realtà della trasformazione industriale raggiunsero
anche l'Europa meridionale, iniziò la fase positiva del ripensamento e della nuova
azione pastorale.
Leone XIII Il pontefice che si assunse tale compito fu Leone XIII (1878-1903), dotato
di notevole intelligenza, lungimiranza, prudenza e, insieme, audacia. Il suo nome
rimarrà per sempre legato alla Rerum novarum, l'enciclica che forma la pietra d'angolo
della dottrina sociale della Chiesa.
L'enciclica Rerum novarum In quel documento Leone XIII ribadì la condanna del
liberalismo in quanto concezione antropologica inadeguata (l'uomo ridotto a homo
oeconomicus) con una netta preponderanza dell'avere sull'essere, con la riduzione del
lavoro umano a mera merce in balia delle fluttuazioni determinate sul mercato dal
concorrere della domanda e dell'offerta.
Significato spirituale del lavoro Il lavoro umano è, invece, un fattore spirituale che
deve permettere al cristiano di imitare Cristo, conosciuto fino a trent'anni come filius
fabri, artigiano egli stesso. Il lavoro deve permettere al lavoratore "frugale e onesto" gli aggettivi possono non piacere, ma il significato appare chiaro - di vivere e di
mantenere la famiglia. Si fa obbligo, perciò, ai datori di lavoro di corrispondere ai
lavoratori il "salario giusto".
I sindacati In secondo luogo è affrontato il problema della liceità dei sindacati e del
ricorso all'arma rivendicativa dello sciopero. Leone XIII accettò la distinzione tra
"sindacati misti" di datori di lavoro e operai, secondo l'esempio delle antiche
corporazioni di arti e mestieri che riunivano in un organismo solidale capitale e lavoro,
e "sindacati puri", formati di soli operai. La preferenza va ai primi, perché assicurano un
clima di minore conflittualità, ma è dichiarata la liceità anche dei secondi.
Condanna del socialismo Si passa poi a esaminare il socialismo e anche in questo caso
è condannata l'antropologia riduttiva, la svalutazione dell'uomo ridotto a mero accidente
storico; l'enfatizzazione del concetto di classe sociale che sola sarebbe immortale; ma
soprattutto il concetto di lotta di classe fondata sull'odio, l'antitesi essenziale del
cristianesimo. È affrontato il problema della proprietà privata dei mezzi di produzione e
si riafferma tale diritto perché discende dalla legge naturale, anche se è ricordata la
dimensione sociale della proprietà, ossia il dovere di far fruttare a vantaggio di tutti ciò
che si possiede.
Il documento pontificio dette l'avvio a un'immensa quantità di studi e di realizzazioni
in qualche caso esemplari. Certamente fu colmato un ritardo intollerabile. La questione
dei sindacati misti fu lasciata cadere perché giudicati irrealizzabili. Si discusse a lungo
se il salario giusto doveva intendersi come salario personale o come salario famigliare,
corrisposto in proporzione ai membri della famiglia da sostenere, senza rendere necessario il lavoro esterno delle madri di famiglia. Sorse un sindacalismo cristiano che
non si rifaceva alle teorie marxiane e che operò soprattutto nelle campagne dove furono
create cooperative di produzione e di consumo, casse rurali, banche mutue ecc.,
spezzando il monopolio socialista della rappresentanza dei lavoratori.
Gli sviluppi della Rerum novarum Il documento di Leone XIII fu tenuto presente dai
pontefici successivi: nel 1931, Pio XI pubblicò l'enciclica Quadragesimo anno, con la
quale si sforzava di animare le forze economiche, ancora nel pieno della crisi di
recessione mondiale seguita al crollo della borsa di Wall Street del 1929, ad attuare un
progetto economico solidarista, per offrire protezione a tutti i lavoratori, anche a quelli
disoccupati. Nel 1971, Paolo VI pubblicò l’Octogesima adveniens che affrontò alcuni
problemi della società postindustriale. Nel 1981 il papa Giovanni Paolo II avrebbe
voluto rimettere nelle mani di numerosi lavoratori che si dovevano riunire il 15 maggio,
anniversario della Rerum novarum, il suo nuovo documento Laborem exercens, che
risulta una profonda riflessione teologica sul lavoro. Ne fu impedito dal noto attentato e
il documento vide la luce alcuni mesi dopo.
L'attuale crisi del marxismo Il tempo presente è il più adatto a comprendere la natura
del lavoro umano, dopo il fallimento delle due ideologie esaminate, che hanno avuto,
tuttavia, il merito di collocarlo al centro dell'attenzione. Il marxismo ha rivelato tutti i
limiti di ideologia della rivoluzione. Come teoria economica, il dirigismo statale si è
rivelato una dottrina produttrice di sprechi e di inefficienza, apertamente bandita da
quasi tutti gli Stati retti da un regime comunista che ora vogliono sperimentare il
sistema del pluralismo dei partiti e la proprietà privata. Il liberalismo ha subito
numerose metamorfosi, come è logico per una dottrina pragmatica che deve
abbandonare le teorie quando sono incapaci di spiegare i fatti. Fin dall'elezione del presidente americano Reagan si è affermata una sorta di neoliberalismo che ha ricordato lo
scopo principale dell'economia di mercato, il profitto, e non l'assistenzialismo verso gli
operai impiegati, perché il profitto permette nuovi investimenti e quindi la creazione di
altri posti di lavoro. Si è compreso perciò che occorre lavorare producendo più di quello
che si riceve sotto forma di stipendio perché, diversamente, si crea inflazione, ossia
disagio sociale, diminuzione dei posti di lavoro ecc.
3. 4 Chiesa e cultura
La conclusione del pontificato di Pio IX poteva apparire fallimentare a un uomo di
quell'epoca, ma la prospettiva offerta dalla storia dell'ultimo secolo ce lo fa apparire
fondamentale: il conflitto con il liberalismo e col marxismo ha costretto la Chiesa a
elaborare una cultura nuova per far giungere agli uomini il suo messaggio di salvezza.
La rinascita del tomismo Subito dopo il fallimento del tentativo di assimilazione del
pensiero moderno operato dal Rosmini, l'altra prospettiva era il recupero del pensiero
metafisico classico che aveva permesso la mirabile sintesi culturale del XIII secolo e la
ripresa del XVI secolo, la seconda scolastica. Alla testa di questo movimento ci furono i
Gesuiti, l'Università di Lovanio e alcuni centri di cultura che apprestarono i primi
strumenti critici. Tale lavoro, nel 1879 apparve tanto significativo che il nuovo papa
Leone XIII poté scrivere l'enciclica Aeterni Patris in cui raccomandava alle università
pontificie e ai seminari di studiare la filosofia e la teologia ad mentem divi Thomae,
ossia a partire dai risultati della sintesi di san Tommaso d'Aquino. Difficilmente si
potrebbe sopravvalutare una decisione di questo tipo. Man mano che veniva
approfondita la parabola della filosofia moderna, ci si accorgeva dell'entità della
deviazione iniziata con l'antropocentrismo rinascimentale, proseguita col soggettivismo
cartesiano che aveva creduto di trovare nel metodo matematico il fondamento assoluto
del sapere, approdando unicamente a uno scientismo riduzionista, culminato poi col
soggettivismo morale di Rousseau che distruggeva l'unico fondamento di ogni morale,
la legge naturale inscritta nella natura umana. Il frutto del soggettivismo fu la
rivoluzione, ossia il progetto di rendere buono l'uomo mediante la trasformazione delle
strutture sociali. Da due secoli si sono succedute la varie rivoluzioni che hanno ottenuto
solo il radicalismo dei rapporti umani in senso conflittuale. Il ritorno all'antropologia
classica di san Tommaso, alla metafisica di Aristotele, alla morale fondata sulla legge
naturale, ha permesso di ripercorrere le tappe della crisi, esposta in un saggio di Jacques
Maritain, I tre riformatori (Lutero, Cartesio, Rousseau), che rimane un valido profilo di
storia delle idee.
3. 5 Pio X e la crisi del modernismo
Quanto è stato detto, appare sufficiente per comprendere la natura della crisi
attraversata dalla Chiesa all'inizio del nostro secolo, riassunta col termine
"modernismo".
Limiti del positivismo Il pontificato di Leone XIII era stato caratterizzato da audaci
aperture della Santa Sede alle esigenze di una cultura in rapido accrescimento. Agli
storici fece enorme impressione la decisione di quel papa di mettere a disposizione di
tutti gli studiosi, anche i non cattolici, l'archivio segreto vaticano, una raccolta di
documenti di capitale importanza. Il pontefice indicò in quell'occasione il dovere di ogni
storico: "Non dire nulla di falso, non tacere nulla di vero". Tuttavia, l'ambiente
scientifico era dominato dal positivismo che aveva un'ingenua fede nella scienza e nel
progresso che avrebbe risolto ogni problema. Non si erano afferrate le implicazioni del
metodo scientifico che è ipotetico-deduttivo, ossia un metodo che ricava le deduzioni
logiche possibili a partire da un asserto che non è sperimentale, bensì solo un'ipotesi che
può venir sostituita da un'ipotesi più adeguata. Poiché il soprannaturale non è suscettibile di verifica sperimentale, si giunse a escludere il soprannaturale dal novero del reale.
Ansie di rinnovamento Il mondo cattolico era dominato da un'ansia di rinnovamento,
dal desiderio di mettersi al passo con la scienza del tempo senza averne compresa la
problematicità, e con la precipitazione degli ultimi venuti a contatto con la cultura, molti
ecclesiastici aderirono a una sorta di sincretismo tra la fede e la cultura del tempo.
L'americanismo I prodromi della crisi modernista si possono rintracciare in quel
complesso fenomeno chiamato "americanismo": negli USA la Chiesa cattolica si
espandeva senza entrare in conflitto dottrinale con altre confessioni religiose, in forza
della sua organizzazione e dell'efficienza delle strutture, con totale indifferenza delle
formule teoriche. Era una delle tante applicazioni del pragmatismo, secondo il quale
un'idea è vera se possiede capacità operativa, falsa quando non è più utile. Alcuni
ecclesiastici europei furono conquistati da questi metodi e pensarono a una loro
applicazione nel vecchio continente per uscire da una specie di ghetto in cui si sentivano
rinchiusi, per battere gli avversari anticlericali scavalcandoli, divenendo più
spregiudicati di loro.
Il modernismo I sintomi del modernismo si ebbero in Francia. Lo storico Louis
Duchesne affrontò la storia della Chiesa, prescindendo dalla sua origine divina e
dall'assistenza dello Spirito Santo, come se fosse una delle tante istituzioni umane.
Marcel Hébert approdò a una sorta di simbolismo fumoso: per lui, Dio era "la grande
legge idealizzatrice dell'attività universale"; Cristo era "l'immagine della perfezione che
l'uomo può sognare", formule di mera ascendenza hegeliana o feuerbachiana. A
complicare i problemi si aggiunsero le opere di un notevole filosofo provenzale,
Maurice Blondel, che non fu modernista, ma che per tutta la vita tentò di applicare il
metodo di immanenza - da non confondere con immanentismo -, ossia è mediante
l'azione che noi inveriamo la teoria: se manca l'azione a poco valgono le verità astratte.
La critica biblica Il culmine del modernismo fu raggiunto da Alfred Loisy che per tutta
la vita si occupò di critica biblica. Costui accolse i risultati della critica più radicale
opposta alle Sacre Scritture da Bauer, Strauss, Renan, Harnack che avevano negato la
divinità di Cristo e perfino la sua esistenza storica come uomo. Loisy ebbe la
presunzione di poter vincere gli avversari adottando il loro metodo, ma poi finì per
convincersi che gli avversari della fede avevano ragione. Un poco alla volta Loisy si
trovò fuori della Chiesa. Fin dal 1903, Leone XIII, mediante l'enciclica
Providentissimus Deus aveva messo in guardia gli esegeti biblici dall'accettare i criteri
interpretativi acattolici, ma il Loisy, mediante un lavoro silenzioso e l'uso di numerosi
pseudonimi, aveva continuato per la sua strada. Alla Ecole pratique des hautes études si
tenevano corsi il cui titolo era significativo: "La Genesi e i miti babilonesi", ossia il
libro della Genesi sarebbe un insieme di testi mitologici babilonesi, scoperti
nell'edizione originale qualche anno prima. Il filosofo Le Roy espose in una conferenza
dal titolo "Che cosa è un dogma?" la teoria secondo cui i dogmi sono espressioni verbali
permesse dalla lingua che si possiede e perciò, cambiando le parole, cambiano anche i
dogmi; che la fede muta a ogni generazione, perché mutano i bisogni e le aspirazioni
dell'umanità. Impossibili, dunque, le pretese della Chiesa cattolica che asserisce di
vivere oggi la stessa fede insegnata da Cristo agli apostoli e da questi trasmessa
inalterata nelle linee essenziali fino a noi.
Loisy I letterati, specie quelli dotati di scarsa attitudine speculativa come Antonio
Fogazzaro, si gettarono con entusiasmo in questa discussione. Nel 1905, il Fogazzaro
pubblicò il meno felice dei suoi romanzi, Il santo, in cui la scena culminante rappresenta
il papa, rivestito di un nero mantello per non farsi riconoscere, che si reca dal santo (i
modernisti) per imparare come guidare la Chiesa ancora dominata dallo spirito di
menzogna, dallo spirito di immobilismo, dallo spirito di dominio, dallo spirito di
avarizia. Il Loisy ritenne giunto il momento di venire allo scoperto, pubblicando
L'evangile et l'Eglise, che sollevò molto scalpore, e poi Autour d'un petit livre, in cui,
replicando ai suoi critici, sostenne che il Cristo della storia è una cosa, e il Cristo della
fede un'altra. E finalmente Le quatrième Evangile in cui affermò che il vangelo di san
Giovanni, per motivi filosofici e filologici non poteva essere un'opera della fine del
primo secolo, bensì un'opera del terzo secolo uscita dall'ambiente neoplatonico.
I principali modernisti I modernisti furono un piccolo gruppo: oltre al Loisy si
possono ricordare Tyrrel e von Hügel in Gran Bretagna, Salvatore Minocchi ed Ernesto
Buonaiuti in Italia. Avevano poi numerosi fiancheggiatori come Romolo Murri che
progettava riviste, in cui si faceva abuso di pseudonimi per far apparire il movimento
ramificato e presente a tutti i livelli della gerarchia ecclesiastica.
Pio X Dal 1903 era papa Pio X. Nato nel 1835 da famiglia di contadini a Riese in
provincia di Treviso, già da cappellano, da parroco e poi da vescovo aveva dimostrato
un'acuta sensibilità per i problemi sociali, promovendo il miglioramento delle
condizioni economiche dei suoi fedeli. Seppe dedicarsi al clero da vescovo e da papa,
privilegiando l'aspetto essenzialmente religioso della loro missione. Fin dalla prima
enciclica dopo l'elezione alla cattedra di Pietro rese noto il suo programma, instaurare
omnia in Christo. Pio X fu un pastore d'anime e ciò significa che la guida della Chiesa
è la pietà, la preghiera, non i teologi che perciò non debbono turbare la piena adesione
dei fedeli alla professione di fede con dubbi o problemi che abbiano solo una
dimensione culturale. Aveva acuta sensibilità per ciò che è cattolico e per ciò che non lo
è, e capì che era suo dovere ribadire il concetto di depositum fidei, ossia ciò che si è
ricevuto dai padri e che costituisce il patrimonio della fede si deve tramandarlo ai
posteri senza impoverirlo o adulterarlo, per desiderio di adattarsi alle categorie mentali
prevalenti in una certa epoca. Fece redigere un catechismo che rimane un modello di
chiarezza. Riportò la Messa a centro della liturgia cattolica, come ripetizione dell'unico
sacrificio operato da Cristo sulla Croce e come cena sacrificale. Riportò in onore il
canto gregoriano e volle che la liturgia avesse dignità e decoro, ritornando a fonti sicure.
La condanna del modernismo Quando il papa si rese conto che la riduzione della fede
a "istinto" soggettivo era l'unico risultato logico degli studi dei modernisti, i quali si
erano ridotti perciò a riprendere il tentativo dello gnosticismo di abbracciare tutte le
istanze della verità e la relatività di tutte le sue formulazioni, finendo per affermare la
relatività del dogma stesso, non ebbe alcuna esitazione. Scrisse di suo pugno una sorta
di Sillabo, Lamentabili sine exitu, un decreto pubblicato il 3 luglio 1907, e poi riassunse
il problema nell'enciclica Pascendi Dominici gregis, pubblicata l'8 settembre,
presentando un quadro dettagliato del modernismo. I critici si affannarono a dimostrare
che nessun modernista aveva professato tutte quelle dottrine insieme, e per alcuni versi
l'affermazione è vera. Infatti, il modernismo più che un'eresia è un modo eretico di
pensare. Inflessibile con l'errore, Pio X sapeva essere paterno con chi si piegava: ai
vescovi, a proposito dei modernisti, disse: "Se fanno un passo verso di voi, fatene due
verso di loro", secondo la nota distinzione tra l'errore e l'errante.
Conseguenze della condanna Alcuni modernisti più compromessi scelsero la via della
ribellione aperta: Murri, Minocchi, Buonaiuti, Loisy abbandonarono lo stato clericale e
in qualche caso anche la Chiesa cattolica; molti altri fecero marcia indietro, ma negli
ambienti ecclesiastici a lungo sopravvisse l'eco della vicenda producendo emarginazioni
ingiuste.
3. 6 Il problema dell'ateismo
Nell'età della secolarizzazione, il tratto più vistoso è la diffusione dell'ateismo. Sono
state descritte varie forme di ateismo.
Ateismo negativo Il primo comparso in ordine di tempo è il cosiddetto ateismo
negativo: gli illuministi, soprattutto gli autori che dettero vita all'Enciclopedia,
pensavano che la religione fosse un'invenzione dei preti; che la scienza avrebbe preso il
posto della religione e che dalle tenebre di quella che chiamavano superstizione si
sarebbe passati alla luce della ragione. Detto in termini banali, il maestro avrebbe
cacciato il parroco dal paese. Questo programma fu attuato durante la rivoluzione
francese.
Ateismo positivo La seconda forma di ateismo è chiamata ateismo positivo o
postulatorio, perché richiesto dalle ideologie rivoluzionarie. La religione fa sempre
riferimento alla vita eterna: la vita presente ha valore in sé e occorre essere attivi
creatori di bene, ma se i nostri sforzi fallissero in questa vita, verrebbero ugualmente
premiati nella vita eterna. Il cristiano, tuttavia, anche per fare il bene, non può usare
mezzi intrinsecamente cattivi come la menzogna, la violenza, il terrore, l'omicidio.
Dunque, per ottenere che alcuni uomini intraprendano l'attività rivoluzionaria, occorre
convincerli che Dio non esiste e che la remunerazione futura è una favola: l'unica
giustizia che si può ottenere sarebbe quella che si strappa ai potenti con le armi. Le
biografie dei rivoluzionari dell'Ottocento rivelano spesso una crisi di fede che sbocca
nell'ateismo.
Scienza e fede nel pensiero dell'Ottocento L'Ottocento ha conosciuto uno
straordinario sviluppo delle scienze della natura, a partire da postulati radicalmente
empirici. La chimica, la fisica, la biologia, la geologia fecero progressi meravigliosi, che
sembravano smentire e ridicolizzare qualunque concezione aperta alla trascendenza o al
soprannaturale. Cancellando ogni differenza qualitativa, il pensiero umano imboccò la
via del riduzionismo scientista: ossia, è vero solo ciò che si può spiegare o misurare a
partire dagli elementi primi conosciuti operativamente. Il positivismo fu l'ideologia
scientifica prevalente per tutto il secolo. Anche Marx sentì il bisogno di rendere più
credibile la sua ideologia rivoluzionaria, attribuendo al socialismo l'aggettivo
"scientifico". Nella prassi dell'insegnamento universitario fu normale far ricerca
partendo da un postulato implicito di ateismo: la scienza fu proclamata incompatibile
con la fede. Le furibonde discussioni, nell'epoca vittoriana, tra il vescovo anglicano
Wilberforce e i seguaci di Darwin, possono essere citate come esempio di cattive
discussioni, perché si scontravano avversari che partivano da posizioni opposte, a volte
su basi emotive. Il pericolo che una scienza particolare proclami l'assoluta eccellenza
del proprio metodo è sempre esistito: un chimico è in diritto di far affermazioni
riguardanti la chimica, ma quando pretende di esprimere una sua particolare visione del
mondo desunta dalla chimica, in genere fa cattiva chimica e cattiva filosofia. Alcuni
ecclesiastici fecero l'errore opposto, di condannare e rifiutare i risultati delle scienze,
attirando il disprezzo sulla religione. Il risultato fu l'agnosticismo o una vaga religiosità,
considerata un necessario corredo della buona educazione.
I ritardi culturali delle scienze religiose; la perdita di contatto delle masse operaie
con la Chiesa che non era riuscita a modificare tempestivamente la sua struttura o la sua
pratica pastorale; il trionfo delle ideologie rivoluzionarie che facevano dell'ateismo la
condizione del successo politico; l'appoggio offerto alla Chiesa da forze reazionarie in
funzione antirivoluzionaria; i pregiudizi delle scienze e della cultura prevalente nelle
università o nelle scuole superiori, spiegano la diffusione dell'ateismo vissuto
praticamente per semplice inedia spirituale.
I diritti del realismo Nonostante la presenza di alcuni pensatori che proponevano una
concezione tragica della vita (Nietzsche, Schopenhauer, Leopardi) il secolo XIX faceva
sperpero di ottimismo. Il mondo sembrava pieno di materie prime da saccheggiare; lo
spazio geografico appariva ancora sterminato; la tecnologia non aveva ancora rivelato i
suoi risvolti negativi - inquinamento, possibilità distruttive pari alla capacità di costruzione, esaurimento delle risorse ecc. -. Il pensiero religioso può svilupparsi solo
quando l'uomo acquista una chiara percezione dei suoi limiti e delle sue possibilità,
quando è realista. La Chiesa cattolica si assunse lo sterminato compito di ripresentare
un'antropologia fondata in Dio; la possibilità di una scienza che si arricchisce con la
fede; una tecnologia rispettosa delle esigenze razionali dell'uomo. Ma era un cammino
lungo che solo nel corso di decenni poteva dare apprezzabili risultati.
3. 7 Cronologia essenziale
1854 Dogma dell'Immacolata Concezione.
1869 Iniziano i lavori del concilio Vaticano I.
1870 Il 20 settembre Roma è occupata dalle truppe italiane. Inizia un lungo contenzioso
terminato con la conciliazione (1929).
1879 Con l'enciclica Aeterni Patris Leone XIII stabilisce che le università pontificie
riprendano lo studio della filosofia e della teologia secondo san Tommaso.
1891 È pubblicata da Leone XIII l'enciclica Rerum novarum, che contiene la condanna
del liberalismo e del socialismo.
1907 Pio X pubblica il decreto Lamentabili e l'enciclica Pascendi in cui condanna il
movimento del modernismo teologico.
3. 8 Il documento storico
Il 13 maggio 1871 il Parlamento italiano approvò la Legge delle Guarentigie. Tale
legge fu rifiutata dalla Santa Sede perché risultava una dichiarazione unilaterale di
intenzioni da parte dello Stato italiano senza garanzie di diritto internazionale. Inoltre
non era concesso alla Chiesa quel minimo di sovranità territoriale ritenuta
indispensabile per l'esercizio delle sue funzioni. Come spesso avviene in Italia, il conflitto a parole fu aspro, nei fatti si addivenne a un modus vivendi fondato sul Titolo II
del documento che segue.
“Vittorio Emanuele
per grazia di Dio e volontà della Nazione
Re d'Italia
Il Senato e la Camera dei Deputati hanno approvato, Noi abbiamo sanzionato e
promulghiamo quanto segue:
TITOLO I
Prerogative del Sommo pontefice e della Santa Sede
Art. 1 La persona del Sommo Pontefice è sacra e inviolabile.
Art. 2 L'attentato contro la persona del Sommo Pontefice e la provocazione a
commetterlo sono puniti colle stesse pene stabilite per l'attentato e per la provocazione a
commetterlo contro la persona del Re.
Le offese e le ingiurie pubbliche, commesse direttamente contro la persona del
Pontefice con discorsi, con fatti e coi mezzi indicati nell'art. 1 della legge sulla stampa,
sono punite colle pene stabilite all'art. 19 della legge stessa.
I detti reati sono d'azione pubblica e di competenza della Corte d'Assise.
La discussione delle materie religiose è pienamente libera.
Art. 3 Il Governo italiano rende al Sommo Pontefice, nel territorio del Regno, gli onori
Sovrani e gli mantiene la preminenza d'onore, riconosciutagli dai sovrani cattolici.
Il Sommo Pontefice ha facoltà di tenere il consueto numero di guardie addette alla
sua persona e alla custodia dei palazzi, senza pregiudizio degli obblighi e dei doveri,
risultanti per tali guardie dalle leggi vigenti del Regno.
Art. 4 È conservata a favore della Santa Sede la dotazione dell'annua rendita di L.
3.225.000; con questa somma, pari a quella inscritta nel bilancio romano sotto il titolo:
"Sacri palazzi apostolici, Sacro Collegio, Congregazioni ecclesiastiche, Segreteria di
Stato, e Ordini diplomatici all'estero", si intenderà provveduto al trattamento del
Sommo Pontefice, ai vari bisogni ecclesiastici della Santa Sede, alla manutenzione
ordinaria e straordinaria e alla custodia dei palazzi apostolici e loro dipendenze, agli
assegnamenti, giubilazioni e pensioni delle guardie, di cui nell'art. precedente, e degli
addetti alla Corte Pontificia e alle spese eventuali, non che alla manutenzione ordinaria
e alla custodia degli annessi musei e biblioteca e agli assegnamenti, stipendi e pensioni
di quelli che sono a ciò impiegati.
La dotazione, di cui sopra, sarà inscritta nel Gran Libro del Debito Pubblico in forma
di rendita perpetua ed inalienabile nel nome della Santa Sede, e durante la vacanza della
Sede si continuerà a pagarla, per supplire a tutte le occorrenze proprie della Chiesa
romana in questo intervallo.
Essa resterà esente da ogni specie di tassa od onere governativo, comunale o
provinciale e non potrà essere diminuita neanche nel caso che il Governo italiano
decidesse posteriormente di assumere a suo carico la spesa concernente i musei e la
biblioteca.
Art. 5 Il Sommo Pontefice, oltre la dotazione stabilita nell'art. precedente, continuerà a
godere dei palazzi apostolici vaticano e lateranense, di tutti gli edifici, giardini e terreni
annessi e dipendenti, non che della villa di Castel Gandolfo con tutte le attinenze e
dipendenze.
I detti palazzi, villa ed annessi, come pure i musei, la biblioteca e le collezioni d'arte
e d'archeologia ivi esistenti, sono inalienabili, esenti da ogni tassa o peso e da
espropriazione per causa di utilità pubblica.
Art. 6 Durante la vacanza della Sede Pontificia, nessuna autorità giudiziaria o politica
potrà, per qualsiasi causa, porre impedimento o limitazione alla libertà personale dei
Cardinali. Il Governo provvede a che le adunanze del Conclave e del Concilio ecumenico non siano turbate da alcuna esterna violenza.
Art. 7 Nessun ufficiale della pubblica autorità od agente della forza pubblica può, per
esercitare atti del proprio ufficio, introdursi nei palazzi e luoghi di abituale residenza o
temporanea dimora del Sommo Pontefice, o nei quali si trovi radunato un Conclave o un
Concilio ecumenico, se non autorizzato dal Sommo Pontefice, dal Conclave o dal
Concilio.
Art. 8 È vietato di procedere a visite, perquisizioni o sequestri di carte, documenti, libri
o registri negli uffizi e congregazioni pontificie, rivestiti di attribuzioni meramente
spirituali.
Art. 9 Il Sommo Pontefice è pienamente libero di compiere tutte le funzioni del suo
ministero spirituale e di fare affiggere alle porte delle basiliche e chiese di Roma tutti gli
atti del suddetto ministero.
Art. 10 Gli ecclesiastici, che per ragione d'ufficio partecipano in Roma all'emanazione
degli atti del ministero spirituale della Santa Sede, non sono soggetti per cagione di essi,
a nessuna molestia, investigazione o sindacato dell'autorità pubblica. Ogni persona
straniera, investita di uffizi ecclesiastici in Roma, gode delle guarentigie personali,
competenti ai cittadini italiani in virtù delle leggi del regno.
Art. 11 Gli Inviati dei Governi esteri presso Sua Santità godono nel Regno di tutte le
prerogative ed immunità che spettano agli Agenti diplomatici secondo il diritto
internazionale. Alle offese contro di loro sono estese le sanzioni penali per le offese agli
Inviati delle Potenze estere presso il Governo Italiano. Agli Inviati di Sua Santità presso
i governi sono assicurati nel territorio del regno le prerogative ed immunità d'uso,
secondo lo stesso diritto, nel recarsi al luogo di loro missione e nel ritornarne.
Art. 12 Il Sommo Pontefice corrisponde liberamente coll'episcopato e con tutto il
mondo cattolico, senza veruna ingerenza del Governo Italiano. A tale fine è data facoltà
di stabilire nel Vaticano o in altra sua residenza uffizi di posta e telegrafo serviti da
impiegati di sua scelta. L'uffizio postale pontificio potrà corrispondere direttamente in
pacco chiuso cogli uffizi postali di cambio delle estere amministrazioni, o rimettere la
propria corrispondenza agli uffizi italiani. In ambo i casi il trasporto dei dispacci o della
corrispondenza, munita del bollo dell'uffizio pontificio, sarà esente da ogni tassa o spesa
nel territorio italiano...
Art. 13 Nella città di Roma e nelle sue sedi suburbicarie i seminari, le accademie, i
collegi e gli altri istituti cattolici, fondati per l'educazione e cultura degli ecclesiastici,
continueranno a dipendere unicamente dalla Santa Sede, senza alcuna ingerenza delle
autorità scolastiche del regno.
Titolo II
Relazioni dello Stato colla Chiesa
Art. 14 È abolita ogni restrizione speciale all'esercizio del diritto di riunione dei membri
del clero cattolico.
Art. 15 È fatta rinuncia dal Governo al diritto di Legazia apostolica in Sicilia, ed in tutto
il Regno al diritto di nomina o proposta nella collazione dei benefizi maggiori. I vescovi
non saranno richiesti di prestare giuramento al Re. I benefizi maggiori e minori non
possono essere conferiti se non a cittadini del Regno, eccetto nella città di Roma e nelle
sedi suburbicarie. Nella collazione dei benefizi di patronato regio nulla è innovato.
Art. 16 Sono aboliti l'exequatur e il placet regio ed ogni altra forma di assenso
governativo per la pubblicazione ed esecuzione degli atti delle autorità ecclesiastiche.
Però, fino a quando non sia altrimenti provveduto nelle leggi speciali, di cui all'art. 18,
rimangono soggetti all'exequatur e placet regio gli atti di esse autorità, che riguardano la
destinazione dei beni ecclesiastici e la provvista dei benefizi maggiori e minori, eccetto
quelli della città di Roma e delle sedi suburbicarie. Restano ferme le disposizioni delle
leggi civili rispetto alla creazione e ai modi di esistenza degli istituti ecclesiastici ed
alienazione dei loro beni.
Art. 17 In materia spirituale e disciplinare non è ammesso richiamo od appello contro
gli atti delle autorità ecclesiastiche, né è loro riconosciuta od accordata alcuna
esecuzione coatta. La cognizione degli effetti giuridici, così di questo come d'ogni altro
atto d'esse autorità, appartiene alla giurisdizione civile. Però tali atti sono privi d'effetto,
se contrari alle leggi dello Stato od all'ordine pubblico, o lesivi dei diritti dei privati, e
vanno soggetti alle leggi penali, se costituiscono reato.
Art. 18 Con legge ulteriore sarà provveduto al riordinamento, alla conservazione e alla
amministrazione delle proprietà ecclesiastiche del regno.
Art. 19 In tutte le materie che formano oggetto della presente legge, cessa di avere
effetto qualunque disposizione ora vigente, in quanto sia contraria alla legge medesima.
Ordiniamo che la presente, munita del sigillo di Stato sia inserita nella raccolta ufficiale
delle leggi e decreti del Regno d'Italia, mandando a chiunque spetti di osservarla e di
farla osservare come legge dello Stato.
Dato a Torino, addì 13 maggio 1871”.
Fonte: Chiesa e Stato attraverso i secoli, a cura di S.Z. Ehler- J.B. Morral, Vita e
Pensiero, Milano 1958, pp. 332-337.
3. 9 In biblioteca
Per la storia della Chiesa cattolica si consulti di S. TRAMONTIN, Un secolo di
storia della Chiesa. Da Leone XIII al Concilio Vaticano II, 2 voll., Studium, Roma
1980. Per la figura di Pio X si consiglia di AA. VV., Le radici venete di san Pio X. Atti
del convegno di Castelfranco Veneto, Ivi 1986. Notevole il libro di G. SPADOLINI,
L'opposizione cattolica, Vallecchi, Firenze 1955. A. ZAMBARBIERI, Il cattolicesimo
tra crisi e rinnovamento, Morcelliana, Brescia 1979. Per la complessa figura di Romolo
Murri si consulti di M. GUASCO, Romolo Murri e il modernismo, Cinque Lune, Roma
1968. Occore sempre consultare un libro ormai classico per i rapporti tra Chiesa e Stato:
A. C. JEMOLO, Chiesa e Stato negli ultimi cento anni, Einaudi, Torino 1975. D.
SECCO SUARDO, Da Leone XIII a Pio X, Cinque Lune, Roma 1967. A.M. BAGGIO,
Lavoro e cristianesimo. Profilo storico e problemi, Città Nuova, Roma 1988.
Cap. 4 La Prima guerra mondiale
Nell'estate 1914 l'umanità si trovò implicata in un conflitto preparato da numerose
scelte politiche avvenute negli anni precedenti, in qualche caso fin dal 1870. Ma tutte
quelle concause agirono in un'unica direzione a seguito dell'attentato dei nazionalisti
serbi che uccisero l'erede al trono absburgico. Gli automatismi previsti dai trattati di
alleanza fecero precipitare quasi tutti i maggiori Stati europei in un conflitto più
radicale dei precedenti: i governi assunsero i pieni poteri, le opposizioni parlamentari
furono isolate, la mobilitazione delle forze interne per fini militari raggiunse una
completezza mai avvenuta in precedenza.
La mancata realizzazione della manovra elaborata dal generale Schlieffen fin dal
1905 per sconfiggere la Francia nel corso del primo mese dall'inizio dei combattimenti,
evitando il pericolo di fare la guerra su due fronti, rappresentò la svolta capitale degli
eventi della Prima guerra mondiale.
Per circa dieci mesi dopo l'agosto 1914 in Italia si sviluppò un acceso dibattito tra
interventisti e antinterventisti, dopo che il governo ebbe dichiarato la sua neutralità: il
dibattito, molto acceso, modificò profondamente gli schieramenti politici, dal momento
che in seno a ogni partito si era formata una fazione favorevole all'ingresso in guerra e
una contraria: le maggiori forze popolari, socialisti e cattolici, erano contrarie
all'intervento, ma alla fine prevalsero gli interventisti ed è della massima importanza
riesaminare le motivazioni addotte. Il governo scavalcò il Parlamento, travolto dalle
dimostrazioni di piazza condotte da gruppi forti dell'appoggio della stampa e di altri
mezzi di comunicazione sociale.
Appare sempre più chiara l'inadeguatezza degli alti comandi militari e degli uomini
di governo nel corso di quegli anni: eppure, gli stessi uomini che guidarono il loro
paese per tutta la durata della Prima guerra mondiale in qualche caso si trovarono al
potere anche negli anni che seguirono il conflitto, senza rendersi conto delle forze
nuove che erano intanto sorte e che più tardi avrebbero condotto il mondo alla Seconda
guerra mondiale.
4. 1 I conflitti balcanici
La penisola balcanica rimaneva il centro delle tensioni europee. La Serbia, il nucleo
più importante della successiva Jugoslavia, voleva essere il punto di riferimento degli
slavi meridionali, e quindi assunse un atteggiamento di opposizione frontale all'AustriaUngheria; i bulgari erano ancora oppressi dai turchi e con l'aiuto della Russia volevano
l'indipendenza; i turchi vedevano franare il loro impero e cercavano aiuto presso gli
imperi centrali europei.
Annessione all'Austria della Bosnia-Erzegovina Nel 1908 l'Austria fece una mossa
improvvisa che sconcertò anche i suoi alleati, Germania e Italia: la Bosnia-Erzegovina,
fino a quel momento solamente amministrata dall'Austria, fu annessa all'impero
absburgico. Poche settimane dopo i bulgari si proclamarono indipendenti dall'impero
turco. Le due decisioni erano collegate. Qualche tempo prima, infatti, il ministro degli
esteri russo e il collega austriaco si erano incontrati.
Reazione della Serbia La reazione della Serbia fu violenta, soprattutto contro quello
che sembrava il tradimento russo nei confronti delle aspirazioni slave. Ma anche la
reazione russa fu violenta quando il suo governo si rese conto che l'Austria non
l'avrebbe sostenuta nelle sue pretese di libero passaggio attraverso gli stretti.
Le mire italiane sull'Albania Il governo italiano pretese compensi per il supposto
aumento di potenza dell'Austria, e pose gli occhi sulla regione più povera dei Balcani,
l'Albania che, trovandosi sull'altra sponda del canale di Otranto, ha importanza per il
dominio dell'Adriatico. Il governo tedesco era irritato perché non era stato consultato. Il
governo turco fu tacitato con denaro sborsato dall'Austria e dalla Bulgaria. Alla fine,
dopo tanto polverone, i fatti nuovi erano una più forte opposizione serba contro l'impero
absburgico, e l'alleanza tra Bulgaria e Russia, perché il denaro versato al governo turco
dai bulgari, in realtà era russo.
Declino dell'impero turco Il declino dell'impero turco era sempre più marcato. Cipro
ed Egitto erano passati sotto amministrazione britannica; in Tunisia, Algeria e Marocco
si erano insediati i francesi; l'Italia si apprestava a occupare Tripolitania e Cirenaica ed
era già pronto l'antico nome di Libia per indicare la futura colonia; gli arabi e gli armeni
potevano da un momento all'altro fare la stessa mossa dei bulgari: scegliere un principe
e proclamarsi indipendenti.
Colpo di Stato dei Giovani Turchi Un gruppo di ufficiali turchi fondarono un
Comitato per l'unione e il progresso, abitualmente chiamato Partito dei Giovani Turchi.
Esso impose al sultano di concedere la costituzione, il Parlamento e la libertà di stampa.
Poi lo costrinsero all'abdicazione, eleggendo il fratello Maometto V che doveva
abbandonare il titolo di califfo dell'Islam, ossia di capo religioso di tutti i musulmani,
laicizzando lo Stato. Nelle loro intenzioni, il modello di Stato era quello tedesco: un
forte centralismo burocratico, una sola lingua per tutto l'impero, un solo codice: era
davvero difficile imporre quelle riforme al mosaico di popoli presenti nella penisola
balcanica.
Prima guerra balcanica Nel 1912, greci, serbi, bulgari, guidati dal primo ministro
greco Eleutherios Venizelos si unirono in una Lega balcanica che dichiarò guerra ai
turchi per scacciarli dall'Europa. La guerra fu feroce: i turchi furono aiutati solo dai fieri
ma poveri montanari albanesi. La flotta greca era piccola ma efficiente, perciò dopo una
serie di scontri sanguinosi, i turchi conservarono in Europa solo la capitale Istanbul.
Trattato di Londra Il tardivo intervento delle potenze occidentali condusse al Trattato
di Londra del 1913, che rispecchiava i rapporti di forza delle grandi potenze piuttosto
che quelli esistenti tra i nuovi Stati balcanici. La Bulgaria aveva proclamato all'inizio
della guerra le sue mire sul porto di Salonicco sul Mar Egeo, ma quando le sue truppe
arrivarono alla costa trovarono che un esercito greco l'aveva già occupato. La Bulgaria
perciò, dopo un mese dalla firma del trattato di Londra, dichiarò guerra alla Serbia e alla
Grecia. Era la seconda guerra balcanica.
Seconda guerra balcanica All'inizio le operazioni andarono bene per gli attaccanti, ma
poi essi furono sconfitti. Agli sbandati di quel combattimento era riservata una sorte
peggiore di quella dei feriti e dei prigionieri, perché un piccolo contingente di romeni
aggredì i bulgari a poca distanza da Sofia.
Trattato di Bucarest Un nuovo intervento delle potenze occidentali obbligò i
contendenti a firmare il Trattato di Bucarest (agosto 1913), che spartì la Macedonia tra
Grecia, Serbia e Romania, mentre restituì il territorio di Adrianopoli alla Turchia.
Scontenti risultarono i serbi, esclusi dall'accesso al Mar Adriatico, e i bulgari che
accusavano i russi di non averli sostenuti nel corso della guerra contro Grecia e
Romania. Di fatto, la Bulgaria si schierò contro la Russia nel corso della Prima guerra
mondiale, e altrettanto fece la Turchia che riteneva l'aiuto tedesco più efficace di quello
delle altre potenze.
Tensione tra Austria e Serbia Le due guerre balcaniche avevano minato il primo degli
imperi plurinazionali, quello turco. L'Austria avvertiva oscuramente che la tempesta si
avvicinava. Il vecchio imperatore Francesco Giuseppe, dopo le sfortunate guerre della
sua giovinezza (1859, 1866) insisteva per la pace, anche contro quei generali come
Conrad von Hetzendorf che proponevano una guerra lampo contro la Serbia per
stroncare le attività antiaustriache.
Il terrorismo balcanico Nella penisola balcanica, percorsa allora da sussulti virulenti di
nazionalismo, l'attentato e il sabotaggio erano all'apice dello sviluppo. Esistevano sorde
lotte intestine tra gruppi terroristi rivali. Il colonnello Apis, capo dei servizi segreti
serbi, era a capo della Mano Nera, il gruppo di cui faceva parte Gavrilo Princip. Il governo arrivò a mettere in guardia, in via confidenziale, il governo austriaco circa la
pericolosità della visita di Francesco Ferdinando, erede al trono absburgico, a Sarajevo,
capitale della Bosnia. Il consiglio non fu ascoltato: poiché si trattava di una visita
ufficiale, anche la moglie Sofia volle esser presente.
L'attentato Gavrilo Princip e gli affiliati della Mano Nera desideravano compiere un
assassinio clamoroso, per testimoniare al mondo l'irriducibile volontà dei serbi di
mantenere la loro indipendenza e il diritto di riunire in uno Stato gli slavi meridionali.
Sarajevo Dopo esser scesi dal treno, gli ospiti salirono su alcune automobili formando
un corteo che percorse le vie principali di Sarajevo per raggiungere il Municipio,
ascoltare il discorso di benvenuto del sindaco e poi partire per il campo delle manovre
militari. I primi due attentatori erano così emozionati che non fecero nulla. Intervenne
allora un altro attentatore che fece esplodere con una bomba un idrante. Le schegge
ferirono alcuni ufficiali al seguito di Francesco Ferdinando. Il corteo proseguì verso il
Municipio. Terminate le cerimonie di saluto, fu deciso di lasciare Sarajevo, ma dopo
aver fatto visita ai feriti in ospedale, percorrendo per prudenza una strada diversa dalla
precedente. Sofia ancora una volta non volle separarsi dal marito. L'autista non fu
avvisato del cambiamento di itinerario, e ritornò lungo le strade percorse nell'andata. A
quel punto il Princip poté esplodere due colpi di pistola. La notizia dell'attentato fece il
giro del mondo e le cancellerie si misero al lavoro per controllare gli sviluppi politici
dell'attentato. Era il 28 giugno 1914.
4. 2 L'inizio della Prima guerra mondiale
Un brivido di terrore percorse l'Europa dopo l'assassinio di Sarajevo: gli occhi erano
puntati su Vienna dove fu celebrato il funerale degli sfortunati arciduchi. Fu ordinata
un'inchiesta sui responsabili del crimine per conoscere i mandanti.
Matura l'ultimatum Francesco Giuseppe era convinto che ogni azione militare diretta
contro la Serbia avrebbe provocato l'intervento russo. Il 5 luglio l'ambasciatore austriaco
comunicò a Guglielmo II che con certezza l'assassinio era stato preparato in Serbia, e
che il suo governo era deciso a chiedere severe riparazioni al governo di Belgrado. Se
esse fossero state respinte, l'Austria avrebbe occupato la Serbia. Guglielmo II rispose
che la Russia non era preparata alla guerra, e che la Germania avrebbe prestato ogni
aiuto all’alleata. Perciò, il governo austriaco intimò a Belgrado, il 23 luglio,
l’ultimatum.
La Russia mobilita l'esercito In esso si ingiungeva a quel governo di scoraggiare ogni
propaganda nazionalista, di accettare la presenza di ufficiali austriaci per distruggere i
gruppi rivoluzionari, di punire coloro che erano implicati nell'assassinio e di
interrompere il passaggio di armi e di esplosivi in Bosnia. Il governo serbo, guidato da
Pasic, accettò le condizioni, meno quella che prevedeva la presenza di ufficiali austriaci
in Serbia, perché giudicata menomazione della sovranità nazionale. Il 26 luglio l'Austria
dichiarò che l’ultimatum era stato respinto. La Russia annunciò la mobilitazione
dell’esercito.
La Russia respinge l'ultimatum tedesco La Germania si trovava ora nella situazione
più difficile. I suoi piani prevedevano la guerra su due fronti, ma era la Francia
l'avversario più pericoloso, da sconfiggere per primo. La Germania ordinò al governo
russo di smobilitare entro dodici ore. La Russia rifiutò: era il 31 luglio. Il giorno dopo il
governo tedesco dichiarò guerra alla Russia e alla Francia.
Attacco contro la Francia Il piano Schlieffen prevedeva la sconfitta della Francia in
meno di un mese, ma per ottenere un risultato così rapido bisognava invadere il Belgio,
perché il confine franco-tedesco era montuoso, ben difeso, inadatto a rapide azioni di
aggiramento. Penetrando nel Belgio si poteva giungere a Parigi da nord, attraverso un
territorio pianeggiante. Lo schieramento tedesco era immaginato come un martello che
ruotava sul lato sinistro, mentre l'ala destra convergeva su Parigi.
Invasione del Belgio Il piano, tuttavia, aveva i suoi punti deboli, perché i governi
europei si erano impegnati a rispettare la neutralità del Belgio. Tale neutralità era una
costante della politica britannica che non tollerava, a pochi chilometri dalle sue coste, la
presenza di uno Stato potente come la Germania o come la Francia. I generali tedeschi
non avevano saputo immaginare un altro piano per sconfiggere la Francia e dovevano
sopportare lo svantaggio politico della violazione della neutralità del Belgio, sottoscritta
anche dal loro governo. Il 2 agosto, dopo aver chiesto pro forma il permesso di
attraversare il territorio belga, le truppe tedesche si misero in marcia.
Intervento britannico Fino a quel momento il governo britannico non si era mostrato
incline alla guerra, anche perché la flotta tedesca si teneva lontana dalla Manica.
L'invasione del Belgio precipitò la situazione: il 4 agosto arrivò a Berlino la
dichiarazione di guerra della Gran Bretagna. A quella data, solo l'Italia tra i sei paesi
delle due coalizioni non era entrata in guerra, spiegando per via diplomatica che la
guerra degli imperi centrali era offensiva, e che il trattato del 1882 prevedeva
l'intervento a favore degli alleati solo nel caso che fossero stati aggrediti.
La guerra L'estate era molto bella e calda: lo scoppio del conflitto fu accolto con un
senso di liberazione da parte dell'opinione pubblica. Pochi si rendevano conto che era la
fine della vecchia Europa. La maggior parte degli ufficiali e dei soldati che partivano
per il fronte in mezzo a scene di entusiasmo non avevano mai combattuto. Tutti erano
convinti che la guerra sarebbe stata breve: le armi moderne, si diceva, erano così
distruttive che l'esercito meglio condotto avrebbe vinto nel giro di poche settimane.
Propaganda di guerra La stampa e il cinema si erano alleati per offrire un'immagine
eroica della guerra. Chi rimaneva a casa provava invidia per gli eroi carichi di fiori, di
bandiere, di regali che partivano per il fronte e per l'immancabile vittoria. Anche senza
l'intervento della censura, introdotta poco dopo, i cronisti parlavano solo di successi e di
perdite inflitte al nemico.
Complessità del piano Schlieffen Il piano Schlieffen era la più grande manovra
militare mai immaginata. Più di un milione di soldati tedeschi, nello stesso tempo,
dovevano effettuare movimenti su un fronte di centinaia di chilometri: l'ala destra doveva procedere alla massima velocità consentita a soldati che camminavano quasi tutti a
piedi. I rifornimenti dovevano giungere a tempo su strade sconvolte dalle artiglierie. Era
una tattica folle nei confronti delle perdite umane, perché ogni obiettivo doveva esser
raggiunto a ogni costo, per non far fallire tutto il piano. I belgi combatterono meglio del
previsto: alcune città come Liegi e Anversa resistettero molti giorni. La propaganda di
guerra ricorse anche a menzogne per animare alla lotta: si diceva che i tedeschi
gettassero in aria i bambini belgi per colpirli a volo. L'esercito britannico sbarcò nelle
Fiandre e si avviò a prendere posizione tra l'esercito belga e quello francese. Aveva
poco più di 100.000 uomini che combatterono bene, effettuando un'ordinata manovra di
ripiegamento, mai una fuga disordinata, nel corso della quale vinsero alcuni scontri.
Modifiche al piano Schlieffen Il generale Schlieffen aveva insistito per un'ala destra
molto forte. Invece, il nipote del vincitore di Sédan che portava il suo stesso nome,
Helmut von Moltke, aveva indebolito l'ala destra per rafforzare il centro e la sinistra. Il
comandante dell'ala destra, il generale von Kluck, nell'impossibilità di compiere il semicerchio che doveva terminare a Parigi, considerando la mancanza di truppe fresche per
un eventuale assedio di Parigi, doveva scegliere: o passare a ovest di Parigi, spaccando
il contatto col centro; o passare a est di Parigi, col pericolo di ammassare le truppe su un
tratto ristretto del fronte.
Esaurimento dell'offensiva I comandanti francesi intuirono che la seconda era
l'alternativa scelta da von Kluck, costretto dall'esaurimento fisico delle sue truppe. I
soldati tedeschi avevano compiuto già da un mese marce di 20-30 chilometri al giorno,
avevano i piedi piagati, cadevano dal sonno, non erano regolarmente nutriti. Inoltre,
mancava la certezza della vittoria, perché i francesi si erano ritirati, ma non erano stati
messi in fuga e la loro artiglieria colpiva sempre un bersaglio sulle strade intasate dai
trasporti e dai rifornimenti. Con tutto ciò l'ala destra dell'esercito tedesco era arrivata a
circa 40 chilometri da Parigi, superando in molti punti la Marna, un affluente della
Senna. Il comandante supremo francese, il generale Joffre, ritenne giunto il momento
della controffensiva.
La battaglia della Marna Le truppe destinate alla difesa di Parigi, comandate dal
generale Gallieni, erano fresche, ben armate e col morale intatto. Inoltre il loro
comandante ebbe la buona idea di farle giungere sul luogo di combattimento non a
piedi, ma su veicoli a motore. Furono requisiti i taxi di Parigi, che potevano portare fino
a otto uomini. Gli autisti parigini fecero miracoli, compiendo parecchi viaggi da Parigi
al fronte nel corso della stessa notte. La battaglia fu confusa. I comandi tedeschi erano
troppo lontani senza contatto con le truppe: quando le notizie giungevano, la realtà era
mutata. La battaglia impegnò più di due milioni di soldati. Sei giorni dopo il suo inizio,
l'11 settembre, il comandante supremo tedesco von Moltke fu costretto a ritirare le sue
truppe più a nord, lungo un altro affluente della Senna, l'Aisne.
La corsa ai porti della Manica Uno spirito superiore avrebbe potuto prendere la
decisione di concludere la guerra, ma Guglielmo II non era uno spirito superiore. Nel
mese di ottobre iniziò la corsa al mare, per raggiungere le coste della Manica in
posizione di vantaggio: furono le ultime settimane di guerra di movimento, poi vinse la
logica della trincea.
La guerra di trincea Per sopravvivere occorreva scavare una stretta fenditura nel
terreno, difesa da sacchi di terra per evitare il rimbalzo delle pallottole. Con reticolati di
filo spinato e mitragliatrici sempre pronte a far fuoco, si poteva sopravvivere. Anche le
granate d’artiglieria facevano poco danno alle trincee.
Successi tedeschi nella Prussia orientale Il fronte orientale, invece, offriva ai tedeschi
migliori prospettive. Essi vinsero alcune grandi battaglie in agosto e settembre 1914,
pur essendo inferiori di forze ai russi. A Tannenberg e nella zona dei laghi Masuri, nella
Prussia orientale, interi corpi d'armata russi furono distrutti o catturati, rivelando la
disorganizzazione, l’incompetenza e la corruzione dell'impero zarista.
Guerra di logoramento A Natale la guerra non era finita e i poveri soldati, dando
prova di obbedienza, di spirito di sacrificio e di forza d'animo, erano divenuti ormai
veterani disincantati e prudenti. I campi minati e gli altri apprestamenti difensivi resero
ogni attacco molto sanguinoso. Occorreva un notevole vantaggio di artiglieria e uomini
per soverchiare la resistenza del nemico. In caso di sfondamento del fronte c'era sempre
l'amara sorpresa di scoprire un altro campo minato e un altro sistema di trincee
predisposto dietro quello conquistato con tanta fatica. Se i generali della grande guerra
avessero posseduto in misura maggiore spirito critico riconoscendo la novità del
presente conflitto rispetto a quelli precedenti, si sarebbero convinti che la guerra sarebbe
stata lunga e sarebbe stata vinta dai paesi capaci di utilizzare il sistema industriale e le
risorse più a lungo del nemico, ossia che la guerra aveva assunto l'aspetto di una
competizione in cui tutto sarebbe stato bruciato prima di ammettere la sconfitta
Una guerra totale I governi stabilirono la censura sulla stampa e perfino sulle lettere
dei soldati erano cancellate le frasi di sconforto. Furono razionati i consumi interni per
rifornire il fronte e l'industria di guerra. Si profilava la possibilità di condurre la guerra
fino al crollo di una delle parti contendenti, anche a costo di fomentare una rivoluzione
negli Stati avversari.
La ricerca di nuovi belligeranti Un'altra risorsa era di riuscire a far entrare nel
conflitto qualche paese non ancora coinvolto col potenziale militare intatto. Si sapeva
che l'Italia non navigava nella prosperità, ma forse poteva rovesciare la posizione di
stallo in cui si trovava il conflitto. Se essa fosse intervenuta a fianco dell'Austria, poteva
creare sulla frontiera francese un pericoloso saliente che avrebbe indebolito lo sforzo di
resistenza della Francia. Se, al contrario, l'Italia avesse attaccato l'Austria, si poteva
salvare la Serbia o indebolire lo sforzo austriaco in Galizia, favorendo indirettamente la
Russia. Per tutto l'inverno questi furono i problemi dibattuti dai politici per uscire dalla
situazione in cui avevano cacciato i loro popoli.
4. 3 La guerra si estende oltre i confini europei
La Gran Bretagna vantava l'alleanza del Giappone fin dal 1902.
Il Giappone I giapponesi videro una buona occasione nella guerra europea per
estendere la loro influenza politica ed economica sulla Cina, al riparo da ogni
concorrenza occidentale. Senza fatica essi s’impadronirono delle basi in Cina e negli
arcipelaghi del Pacifico conquistati dalla Germania al tempo di Bismarck. La
produzione industriale giapponese aumentò in seguito all'assenza di merci occidentali
sui mercati dell'Estremo Oriente. Per il resto della durata del conflitto il Giappone limitò
il suo intervento a un’azione di pattugliamento dei mari orientali alla caccia di navi
tedesche.
La Turchia La Turchia, allettata dai primi successi tedeschi contro i russi, ritenne di
poter conquistare le regioni del Caucaso. Il duro clima d'alta montagna e la fierezza dei
cosacchi distrussero il corpo di spedizione turco a Saricamish nel dicembre 1914. La
Turchia tentò anche la conquista delle regioni petrolifere dell'Iran, nella speranza di
interrompere il flusso di carburante verso la Gran Bretagna, ma senza successo. Inoltre,
la Turchia scorse nella guerra europea un'occasione unica per riprendere il controllo
dell'Egitto perduto da oltre un secolo, attaccando nella zona del canale di Suez. Infine,
in un sussulto di razzismo ostile alle minoranze interne, fu pianificato uno dei primi
genocidi del secolo XX, la distruzione del popolo armeno.
Il massacro degli armeni Gli armeni abitavano la regione al confine tra Russia e
Turchia, intorno al lago Van. Di religione cristiana, gli armeni avevano conservato una
spiccata identità etnica e culturale, anche dopo aver perso da secoli l'indipendenza
politica. Forti comunità armene si trovavano nelle principali città turche. Il movimento
dei Giovani Turchi, appena arrivato al potere, scatenò una prima persecuzione nel 1908,
costringendo molte famiglie ad abbandonare ogni cosa per fuggire dall'impero turco.
Approfittando della guerra, e quindi dell'assenza di controlli dell'opinione pubblica
internazionale, i turchi vollero liquidare anche le più inoffensive comunità armene,
quelle della cosiddetta Armenia minore, posta davanti a Cipro.
Marce della morte Il sistema escogitato fu di deportare gli abitanti di un villaggio dopo
l'altro, ordinando a ogni uomo di portare con sé il cibo per alcuni giorni. Cominciava
così una marcia fino all'esaurimento fisico, fino a quando veniva meno il cibo e il
denaro nelle sterminate pianure della Mesopotamia. Quando anche l'ultimo armeno era
morto, la scorta tornava indietro e ricominciava il tragico viaggio con gli abitanti di un
altro villaggio. L'ambasciatore tedesco protestò, cercando di far interrompere il
genocidio. La flotta anglo-francese operante nel Mediterraneo salvò qualche migliaio di
persone che si erano ribellate, resistendo a un regolare assedio dell'esercito turco: i
sopravvissuti furono trasportati in Egitto.
I Dominions britannici Per difendere le sue posizioni nel Vicino Oriente, la Gran
Bretagna chiese aiuto ai Dominions. Soldati australiani combatterono nella zona del
canale di Suez, l'esercito del Sudafrica si impadronì dell'Africa del sud-ovest (Namibia),
mentre in Tanganika non riuscì ad aver ragione del piccolo esercito tedesco, che si
arrese solo dopo la sconfitta tedesca nel 1918.
Battaglia delle Falkland La flotta britannica conseguì i suoi obiettivi: i mari furono
sempre aperti alla navigazione, le isole britanniche non corsero pericolo di venir invase.
Una piccola flotta tedesca, comandata dall'ammiraglio Graf von Spee, tentò la guerra
corsara nel sud America: nel novembre 1914 sorprese e distrusse al largo del Cile una
squadra inglese. Fu distaccata una più potente squadra al comando dell'ammiraglio
Sturdee, con l'ordine di annientare la squadra avversaria. Nel dicembre 1914, mentre la
squadra inglese si riforniva di carbone alle Falkland, la squadra tedesca si accostò con la
stessa intenzione. Quando il von Spee si accorse della presenza britannica in forze, fu
costretto a dare battaglia, conclusa con la vittoria britannica, prontamente sfruttata dalla
propaganda di guerra per rianimare il fronte della resistenza interna.
4. 4 Interventisti e neutralisti in Italia
Dopo l'attentato di Sarajevo, per circa venti giorni la situazione rimase fluida, poi,
verso la fine di luglio precipitò: il 28 luglio l'Austria dichiarò guerra alla Serbia; il 30
luglio la Russia decise la mobilitazione generale; il 31 luglio la Germania proclamò il
"pericolo di guerra" e ordinò alla Russia di sospendere la mobilitazione entro dodici
ore, dando alla Francia diciotto ore di tempo per decidere la neutralità in caso di guerra
tra Russia e Germania.
Neutralità italiana Il 31 luglio si riunì a Roma il consiglio dei ministri per ascoltare la
relazione di Antonino di San Giuliano, ministro degli esteri, il quale asserì che per il
momento non era possibile all'Italia entrare in guerra. Il 1° agosto avvennero altre
sedute del consiglio dei ministri, decidendo di dichiarare la neutralità dell'Italia.
Orientamento dell'opinione pubblica La dichiarazione fu bene accolta da quasi tutti
gli italiani. I pochi favorevoli all'intervento accanto agli imperi centrali - i nazionalisti e
qualche liberale di destra - non fecero breccia nell'opinione pubblica: di fronte alla
dichiarazione di neutralità, coloro che erano favorevoli agli imperi centrali si ritirarono
su una posizione di neutralità filotedesca.
Interventisti e neutralisti Fin dal 4 e 5 agosto la notizia dell'invasione tedesca del
Belgio neutrale e dell'intervento in guerra della Gran Bretagna fecero capire a molti che
la situazione era più grave del previsto, e che la decisione di rimanere neutrali poteva
dare a un successivo intervento in guerra dell'Italia un peso determinante sulle sorti del
conflitto. Anche se i partiti avevano approvato la neutralità, il modo di intenderla era il
più vario e di lì a poco sorsero due correnti di opinione, interventisti e neutralisti,
creando divisioni all'interno di ogni partito. Nel mese d'agosto le armate tedesche
conobbero successi, il piano Schlieffen sembrava sul punto di realizzarsi e di permettere
l'occupazione di Parigi, ma a settembre la battaglia della Marna ristagnò, poi ci fu la
controffensiva francese, seguita dalla corsa al mare per occupare i porti della Manica. In
seguito la guerra ristagnò divenendo una guerra di logoramento e di trincea. Queste
vicende ebbero contraccolpi anche sui gruppi italiani ostili all'Austria, perché le sue
sconfitte di fronte ai russi in Galizia erano compensate dalle vittorie tedesche nella
regione dei laghi Masuri. A Natale la situazione militare da una parte e dall'altra
appariva stabilizzata: Calais e Dunkerque rimasero in mano agli anglo-francesi, mentre
quasi tutto il Belgio e una parte delle Fiandre francesi rimasero in mano tedesca.
I gruppi politici favorevoli all'intervento Tra gl’interventisti italiani c'erano
democratici e rivoluzionari, nazionalisti e liberali. I primi a muoversi mediante la
stampa e sulle piazze furono i repubblicani, i socialisti riformisti di Bissolati e Bonomi,
la massoneria. Un gruppo di volontari fu arruolato da Peppino Garibaldi e si recò a
combattere i tedeschi nella zona delle Argonne. Interventisti furono anche alcuni
socialisti dissidenti come Gaetano Salvemini e Cesare Battisti, capo dei socialisti
trentini, deputato al parlamento di Vienna, transfuga in Italia fin dall'agosto 1914. Gli
interventisti democratici ritenevano che la guerra fosse necessaria per distruggere le
vecchie concezioni nazionaliste che impedivano il progresso europeo verso
l'internazionalismo.
Motivi dell'intervento per le sinistre Gl’interventisti rivoluzionari erano anarchici,
sindacalisti rivoluzionari come Filippo Corridoni, Alceste de Ambris, Michele Bianchi e
Benito Mussolini, divenuto interventista a ottobre. Per costoro la partecipazione alla
guerra era necessaria per colpire la reazione autoritaria e militarista; gli imperi centrali
apparivano i peggiori nemici del proletariato, ma soprattutto si sperava che la guerra
avrebbe accelerato la frattura del sistema politico-sociale imperniato sulla borghesia.
Motivi dell'intervento per le destre Gli interventisti nazionalisti affermavano che la
partecipazione alla guerra era necessaria per l'Italia se voleva conservare aspirazioni
imperialiste: il nuovo teatro d'azione doveva essere l'Adriatico da sottrarre all'Austria e
al nazionalismo slavo.
Divisione tra i liberali La maggioranza dei liberali ebbe bisogno di più tempo per
decidere il proprio schieramento. È opportuno ricordare che i liberali erano divisi in due
correnti: quella che riconosceva come capo politico il Giolitti, e quella orientata più a
destra sotto la direzione di Salandra e Sonnino. I liberali avevano difeso la Triplice
alleanza per motivi di politica interna, e non era facile attuare il repentino passaggio da
uno schieramento all'altro. Tra i liberali interventisti si segnalava Luigi Albertini,
direttore del Corriere della sera. Per alcune settimane Albertini accettò il consiglio del
governo di non creare complicazioni, ma verso la fine d'agosto, sul Corriere della sera
iniziò una campagna a favore dell'intervento in guerra contro l'Austria: anche altri
giornali liberali assunsero lo stesso orientamento.
Liberali interventisti I liberali interventisti avevano questioni di prestigio, ossia il
timore che in Europa accadessero grandi rivolgimenti senza che l'Italia vi prendesse
parte; inoltre era sorta una corrente di simpatia nei confronti del Belgio, invaso
proditoriamente, e della Francia che resisteva alla marea germanica; infine, i liberali
temevano che l'Adriatico fosse dominato dall'Austria, in caso di vittoria, o da un nuovo
Stato slavo, in caso di sconfitta austriaca, con pregiudizio degli interessi italiani.
Salandra e Sonnino pensavano, inoltre, che bisognava rafforzare il prestigio della
monarchia e impedire il ritorno al governo di Giolitti. Anche se gli interventisti, col
passare del tempo, crescevano di numero, rispetto al resto della popolazione rimasero
una minoranza, pur avendo dalla loro parte i mezzi di comunicazione sociale. Infatti,
tolto Benedetto Croce che sostenne una posizione neutralista simile a quella di Giolitti,
quasi tutti gli uomini di cultura che avevano dato vita alle riviste letterarie di inizio
secolo, Prezzolini, Salvemini, Gentile, Lombardo Radice, Volpe furono interventisti.
Liberali neutralisti Anche tra i neutralisti si potevano osservare varie sfumature. I
neutralisti liberali avevano come punto di riferimento Giolitti, che subito aveva fatto
conoscere di essere contrario all'intervento; in seguito, non avendo incarichi di governo,
rimase lontano da Roma. Giolitti aveva intuito che la guerra sarebbe stata lunga e l'esito
incerto; sapeva che l'Italia era impreparata materialmente e spiritualmente per affrontare
il conflitto; che si poteva ottenere dall'Austria, mediante trattative, ciò che si sperava di
ottenere con una guerra vittoriosa.
Neutralismo cattolico C'era poi il neutralismo cattolico, per un verso apertamente
filoaustriaco perché l'Austria appariva l'ultima potenza cattolica; per un altro verso il
neutralismo cattolico si basava sulla conoscenza delle masse contadine, ostili alla guerra
perché consapevoli che la maggior parte dei soldati era prelevata dalle campagne.
Anche tra i cattolici, tuttavia, non furono rari gli interventisti, ma costoro sul piano
politico non potevano far valere il loro peso né in una direzione né nell'altra, perché i
cattolici non avevano dato vita a un partito.
La Santa Sede contraria alla guerra Il papa Pio X era morto il 20 agosto 1914, e il
successore Benedetto XV (Giacomo Dalla Chiesa) fin dal primo documento aveva
condannato la guerra, sperando che l'Italia rimanesse neutrale. In ogni caso, per evitare
conflitti con lo Stato italiano, il papa evitò di incoraggiare il neutralismo e, dopo
l'intervento, non fu compiuto alcun passo per danneggiare i preparativi di guerra dello
Stato italiano: i vescovi invitarono i fedeli a obbedire all'autorità. Il papa rimase
neutrale: solo nel 1917 condannò la guerra con le famose parole, allora respinte da tutti,
"cessi l'inutile strage".
Neutralismo dei socialisti Neutralista si proclamò il partito socialista ufficiale, in
accordo con la risoluzione della Seconda internazionale dei lavoratori. A Parigi, un
prestigioso capo dei socialisti, Jean Jaurès, fu ucciso da un fanatico il 31 luglio 1914. Si
era battuto invano perché tutti i partiti socialisti, compresi quello francese e tedesco,
anteponessero l'internazionalismo socialista al nazionalismo borghese, ma invano: i
socialisti tedeschi votarono la concessione di crediti al loro governo; i socialisti francesi,
sotto la guida di Jules Guesde, aderirono a un governo di unione nazionale, accettando
due ministeri. La Seconda internazionale si sciolse.
Mussolini Mussolini, direttore dell'Avanti!, pubblicò un articolo intitolato "Dalla
neutralità assoluta alla neutralità attiva ed operante" cercando di dimostrare che la
neutralità assoluta si riferiva a un intervento a fianco degli imperi centrali, mentre il
neutralismo attivo si riferiva a un possibile schieramento dell'Italia accanto alla Triplice
intesa, perché esisteva il problema delle terre irredente. Subito si riunì la direzione del
partito socialista che sconfessò la presa di posizione di Mussolini, facendolo dimettere
dalla direzione dell'Avanti. Pochi giorni dopo Mussolini ricevette cospicui fondi
dall’amministratore del giornale bolognese Il resto del carlino, esponente di un gruppo
di industriali interessati alle forniture militari, i quali permisero al focoso giornalista di
far uscire, già il 15 novembre, un suo giornale, Il popolo d'Italia: poco dopo Mussolini
fu espulso dal partito socialista. Tale evento fu la conclusione di un lungo processo di
insubordinazione di Mussolini nei confronti della direzione del partito: si era creato un
certo seguito personale attirato dai modi tribunizi e fascinosi di parolaio che inventava a
getto continuo nuove formule, ma sostanzialmente perseguiva una linea di affermazione
personale, insofferente della disciplina di partito. Il popolo d'Italia aumentò la tiratura
ed ebbe sovvenzioni anche dal governo quando si orientò all'intervento, trovando utile
l'aiuto in un settore dell'opinione pubblica dove prevaleva l'astensionismo.
Trattative politiche per l'intervento Le potenze della Triplice intesa - Russia, Francia,
Gran Bretagna - fin da agosto proposero al governo italiano l'intervento al loro fianco. Il
ministro degli esteri Antonino di San Giuliano condusse le trattative segretamente nel
timore di compiere passi falsi. Come luogo delle trattative fu scelta Londra. Fu
preparato un abbozzo contenente le condizioni per l'intervento, ma le trattative si
trascinarono a lungo perché il ministro degli esteri si rendeva conto della sproporzione
tra le forze italiane e la gravità del conflitto. A metà ottobre il di San Giuliano morì:
Salandra ne approfittò per rimandare alla primavera successiva ogni decisione circa
l'intervento, iniziando invece una campagna di stampa per screditare l'operato del
Giolitti che non avrebbe provveduto alle necessità dell'esercito che perciò era impreparato: è chiaro che l'attacco era rivolto contro il neutralismo giolittiano, l'ostacolo
politico più serio per far passare l'interventismo.
Secondo ministero Salandra A novembre ci fu una breve crisi di governo risolta colla
formazione del secondo ministero Salandra: fu nominato un nuovo ministro degli esteri,
Sonnino. Al di fuori dell'ambiente strettamente politico, i più rumorosi interventisti
furono in ogni caso i futuristi, un gruppo di letterati e artisti che avevano pubblicato a
Parigi qualche anno prima un Manifesto del futurismo interessante per capire la
confusione delle idee di chi pretendeva d'essere la parte pensante della nazione. L'Italia
riviveva in ritardo la febbre bellicista delle prime settimane di guerra.
Croce e Gentile I due pensatori più autorevoli, Croce e Gentile, si divisero. Il primo,
nominato senatore, fu contrario all'intervento perché la cultura che più ammirava era
quella tedesca e una guerra contro la Germania gli faceva l'effetto di un matricidio. Il
Gentile fu interventista per coerenza con la sua filosofia: se reale è tutto ciò che si
afferma e vince, e se la guerra è il crogiolo e la matrice del futuro, non ci si può
escludere dal dovere di operare attivamente a favore del futuro. Chi non fa la guerra non
produce storia.
4. 5 Dal maggio radioso alla dura realtà della guerra
Lo scoppio della guerra europea ebbe immediate ripercussioni economiche sul
debole sistema industriale italiano: aumentarono i prezzi al consumo, l'inflazione ebbe
un'impennata, alcune merci scomparvero dal mercato, molti depositi di denaro furono
ritirati dalle banche, le ferrovie furono intasate del richiamo di tanti soldati.
Difficoltà economiche Gli Stati già entrati in guerra restrinsero l'invio di materie prime
all'estero: l'Italia dipendeva quasi totalmente dalle forniture di carbone straniero, e fin da
agosto il di San Giuliano fece sapere alla Gran Bretagna che l'intervento italiano in
guerra era impensabile se non continuava il flusso di carbone britannico, pari a circa
l'85% dei consumi italiani. La risposta britannica fu positiva, ma i prezzi crebbero.
Molti emigrati tornarono dall'estero aumentando il numero dei disoccupati, ma a partire
da novembre 1914 molte industrie incrementarono la produzione perché lo Stato
italiano iniziò il riarmo, necessario anche in caso di neutralismo.
Interventismo degli industriali Nei primi mesi del 1915 la maggior parte degli
industriali si schierò a favore dell'intervento. Infatti, la dipendenza del sistema
industriale-economico italiano da quello anglo-francese era superiore alla dipendenza da
quello degli imperi centrali. Notevoli capitali tedeschi erano stati investiti nella Banca
Commerciale e nel Credito Italiano: dalla Germania giungevano le forniture di
macchinari elettrici e tessili; dall'Austria quasi tutto il legname; ma dalla Gran Bretagna,
dai suoi Dominions e dalla Francia giungevano quasi tutte le materie prime come
carbone, ferro, cotone, gomma, fosfati ecc. che gli imperi centrali non potevano fornire.
Giolitti conferma il neutralismo Dal novembre 1914 la Turchia entrò in guerra a
fianco degli imperi centrali, un motivo in più per il governo italiano di rimandare alla
primavera 1915 ogni decisione. A dicembre ci fu la seduta del Parlamento per il voto di
fiducia a Salandra: Giolitti riconfermò il suo neutralismo. A dicembre la Germania
cambiò il suo ambasciatore a Roma inviando il principe Bernhard von Bülow che conosceva bene l'Italia: si pensava che sarebbe riuscito a ottenere dall'Austria concessioni
per mantenere neutrale l'Italia. A gennaio ci fu un terremoto nella Marsica con la
distruzione di Avezzano e la morte di circa 30.000 persone: i soccorsi furono tardivi e la
disorganizzazione delle ferrovie apparve di infausto auspicio in vista di una
mobilitazione dell'esercito italiano. Si parlava di accordi tra Giolitti e von Bülow, e
perciò Giolitti fu costretto a scrivere una lettera con l'affermazione, divenuta in seguito
famosa, che "nelle attuali condizioni d'Europa, parecchio possa ottenersi dall'Austria". Il
termine "parecchio" scatenò gli interventisti che accusarono Giolitti di ostacolare il
governo. A febbraio ci furono manifestazioni dei neutralisti, mentre fallivano le
trattative con l'Austria per negoziare la neutralità in cambio di Trento e Trieste.
Riprendono le trattative di Londra Il 1° marzo iniziarono le trattative a Londra per
l'intervento a fianco della Triplice intesa, sollecitate dall'attacco britannico ai Dardanelli
che, in caso di riuscita, avrebbe tolto importanza all'intervento italiano contro l'Austria.
Il governo di Vienna, all'ultimo momento, volle riprendere le trattative, ma sul porto di
Trieste fu irremovibile e perciò il fallimento apparve definitivo. Nello stesso tempo, a
Londra, proseguirono le trattative con l'Intesa: l'Italia chiedeva, a guerra finita,
l'annessione del Trentino, dell'Alto Adige, di Trieste, dell'Istria fino al Quarnaro, e la
Dalmazia fino al fiume Narenta con le isole adiacenti. La richiesta della Dalmazia
sollevò opposizioni da parte della Russia, paladina dei diritti degli slavi, ma il Sonnino
insistette per venire incontro alle attese dei nazionalisti che conservavano atteggiamenti
imperialisti. Era previsto anche lo smembramento dell'Albania tra l'Italia e la Serbia.
Infine, in caso di spartizione della Turchia, era chiesta la concessione del bacino
carbonifero di Adalia, e compensi coloniali nel caso che Gran Bretagna e Francia si
impadronissero delle colonie tedesche in Africa. Come si vede, molte clausole del patto
di Londra ipotecavano il futuro o erano generiche, cioè atte a permettere interpretazioni
contraddittorie.
Agitazioni di piazza Mentre a Londra si svolgevano queste trattative, sulle piazze
italiane continuavano le manifestazioni pro e contro l'intervento in guerra dell'Italia: il
31 marzo una manifestazione neutralista organizzata dai socialisti si concluse con
numerosi arresti da parte della polizia. Al contrario, la manifestazione interventista
guidata nelle stesse ore da Mussolini poté svolgersi senza interruzioni. L'11 aprile a
Roma e a Milano si svolsero altre manifestazioni neutraliste, e a Milano fu ucciso un
operaio, per cui il 14 aprile fu proclamato lo sciopero generale cittadino. Per il 1°
maggio Salandra vietò cortei e comizi, ma il partito socialista invitò i lavoratori a
festeggiare ugualmente la ricorrenza, dandole un carattere antinterventista: il partito
socialista rimaneva una grande forza politica ma senza avere un peso determinante sulla
questione della guerra. Il patto di Londra era già stato firmato in gran segreto il 25
aprile, lasciando un mese di tempo al governo italiano per dichiarare la guerra.
Matura l'intervento Giovanni Giolitti rimase in Piemonte fino al 9 maggio: anch'egli
era stato tenuto all'oscuro delle trattative, ma gli amici presenti nel governo gli fecero
capire qualcosa. Il governo di Salandra era ancora incerto sul modo di comunicare al
paese il conflitto. Il 5 maggio fu inaugurato il monumento dei Mille sullo scoglio di
Quarto presso Genova donde era partita la spedizione di Garibaldi per la Sicilia. Fu
scelto come oratore ufficiale Gabriele d'Annunzio e si sapeva che il discorso sarebbe
stato interventista. Con tutto ciò, fu deciso che alla cerimonia assistessero anche il re e il
primo ministro, che così avrebbero dato una specie di sanzione ufficiale alle idee del
d'Annunzio. Quando il governo ebbe il testo del discorso, fu deciso che nessun ministro
sarebbe stato presente, e quindi neppure il re. Si disse che quella decisione fosse dipesa
da un intervento dell'ultima ora dell'ambasciatore tedesco von Bülow con l'annuncio di
nuove importanti concessioni da parte austriaca: l'università italiana a Trieste insieme
con lo statuto di città libera; il Trentino di lingua italiana; l'Albania e altre concessioni.
Sonnino rispose negativamente, denunciò la Triplice alleanza considerando insufficienti
le concessioni. Il 7 maggio il consiglio dei ministri fu informato del patto di Londra.
L'apertura della Camera fu rimandata fino al 20 maggio. La decisione di portare l'Italia
in guerra fu presa da Sonnino, da Salandra e dal re, e fu colpo di Stato perché la
maggioranza degli italiani era neutralista.
Tentativo del Giolitti Giolitti fu spinto dagli amici politici (circa trecento deputati e un
centinaio di senatori gli fecero pervenire il loro biglietto da visita dopo il suo ritorno a
Roma per fargli intendere che erano con lui) a prendere posizione contro l'intervento.
Giolitti non sapeva quanto il re Vittorio Emanuele III si fosse compromesso, inviando
telegrammi in Gran Bretagna, in Francia e in Russia annuncianti la decisione italiana:
Giolitti non intendeva far cadere il governo Salandra e assumere la direzione di un
nuovo governo, perché avrebbe inferto un grave colpo alla monarchia, e da buon
piemontese non se la sentiva di arrivare fino a quel punto. Quando il re ricevette
Giolitti, il giorno dopo il suo arrivo a Roma, gli annunciò che era pronto ad abdicare.
Anche il Salandra fece sapere al re di esser pronto a dimettersi, se il re giudicava utile al
paese il cambio di indirizzo politico, forse pensando che il patto di Londra impegnasse
solo il suo governo e non l'Italia. Dopo un giro di consultazioni il Salandra si accorse di
non avere un solido seguito parlamentare e perciò il 13 maggio si dimise. Giolitti non
volle formare il nuovo governo e non poté indicare alcun altro leader in grado di
assumersi quella responsabilità. Il 16 maggio il re Vittorio Emanuele III respinse le
dimissioni di Salandra, mentre nel paese si scatenavano le dimostrazioni a favore
dell'intervento con una violenza che finì per piegare il Parlamento. Sul piano giuridico
non c'era nulla da eccepire, ma nella sostanza si trattò di un colpo di Stato contro il
Parlamento e la maggioranza di italiani che quel Parlamento avevano eletto.
Riprendono le manifestazioni di piazza A Milano le manifestazioni furono
egemonizzate da Mussolini e da Filippo Corridoni; a Roma il protagonista fu
d'Annunzio che provocò contro Giolitti una polemica dai toni beceri, degenerata in
pestaggi e vandalismi. Ancora una volta le manifestazioni dei neutralisti furono
boicottate, mentre le forze dell'ordine apparivano benevole nei confronti degli interventisti. Il partito socialista fu costretto a scegliere la via più impolitica: né aderire né
boicottare.
Giolitti ritorna in Piemonte Il 18 maggio Giolitti ritornò in Piemonte, desistendo dalla
battaglia senza aspettare il voto del Parlamento, mentre Salandra chiedeva i pieni poteri
per il governo in caso di guerra. Il 24 maggio i soldati passavano la frontiera iniziando
la terribile avventura durata fino al 4 novembre 1918, con oltre 650.000 morti.
Significato politico dell'interventismo L'interventismo, espressione di una minoranza,
riuscì a battere la maggioranza perché quest'ultima non seppe riunire le sue forze:
giolittiani, cattolici e socialisti non avevano raggiunto nel decennio precedente l’unità
d'azione. Le forze che promossero l'intervento erano ibride, dai nazionalisti di estrema
destra ai sindacalisti rivoluzionari di Mussolini, passando attraverso i liberali
conservatori di Salandra e Sonnino.
4. 6 La guerra ristagna (1915-1916)
Il generale Luigi Cadorna ebbe il comando supremo effettivo dell'esercito, mentre il
re Vittorio Emanuele III, comandante nominale, lasciò Roma e la famiglia, stabilendosi
presso il quartier generale di Udine. Numerosi intellettuali, favorevoli all'intervento, si
arruolarono come volontari. Il d'Annunzio scelse l'aviazione che gli permise di
realizzare clamorose imprese, abilmente propagandate.
Guerra all'Austria-Ungheria Il governo italiano denunciò l'alleanza con Austria e
Germania, dichiarando guerra solo all'Austria-Ungheria. Dopo i primi giorni di facile
avanzata in pianura, l'esercito italiano fu bloccato dall'esercito austriaco che aveva avuto
il tempo di prepararsi con artiglierie e mitragliatrici difficili da snidare. Il fronte correva
dall'Adamello in Valcamonica, raggiungeva il lago di Garda, seguendo poi il corso delle
montagne fino a Monfalcone. Anche sul fronte italiano i soldati, dopo aver incontrato
una difesa insuperabile, furono costretti a scavare trincee, cercando di difendersi dal
freddo e dall'acqua. Gli echi festosi del maggio radioso divennero un lontano ricordo.
Cadorna, lontano dal fronte, iniziò una tragica serie di battaglie dell'Isonzo, seguendo la
tattica degli altri comandanti: attacchi frontali di fanteria, preparati dal fuoco
dell'artiglieria. Se tutto andava bene si guadagnavano alcune centinaia di metri, finché ci
si imbatteva in un'altra fila di trincee altrettanto difficili da superare.
La guerra di posizione Le operazioni militari programmate dall'Intesa non andarono
meglio sugli altri fronti negli anni 1915-1916. Gli attacchi tedeschi si ostinavano a
infrangere la difesa francese a Ypres nelle Fiandre, dove furono impiegati in grande
scala i gas asfissianti; e a Verdun, una fortezza che si incuneava nel dispositivo militare
tedesco, difesa dai francesi come se tutto dipendesse da quella battaglia. Vi morirono
700.000 francesi obbedendo al generale Pétain che aveva proclamato: "Non
passeranno". I caduti tedeschi furono altrettanto numerosi.
Sbarco di Gallipoli Nell'aprile 1915 gli inglesi tentarono uno sbarco sulla penisola di
Gallipoli che domina lo stretto dei Dardanelli. Il progetto era ambizioso perché prevedeva di sconfiggere la Turchia, riaprendo le comunicazioni via mare con la Russia,
bisognosa di assistenza tecnica per continuare a lottare. In astratto il piano era
intelligente, e Winston Churchill non mancò di difenderlo per tutta la vita: si voleva
colpire il ventre molle degli imperi centrali, sconfiggendo per primo l'alleato più debole.
Ma le truppe turche erano guidate da un brillante generale tedesco, Liman von Sanders,
e da un generale turco che dopo la guerra assumerà il compito di far rinascere la nazione
turca, Mustafà Kemal. Dopo perdite terribili da entrambe le parti, alla fine del 1915 il
contingente britannico, formato da truppe australiane e neozelandesi, fu ritirato.
Le operazioni militari del 1916 Per tutto il 1916, dopo un inverno terribile,
ricominciarono inutili offensive e controffensive. Sul mare ci fu un unico grande
scontro tra la flotta tedesca e quella britannica, al largo delle coste danesi. Dopo aver
speso tanto denaro, la Germania esitava a rischiare la sua flotta che rimase nei porti.
Tuttavia, almeno un tentativo si doveva farlo. L'ammiraglio von Scherer decise di
effettuare alcune puntate nel Mare del Nord per attirare in un tranello la flotta
britannica. La tattica era di inviare in ricognizione una squadra e di ritirarla non appena
avvistata. Alle spalle, il resto della flotta doveva attaccare la flotta britannica lanciata
all'inseguimento. Il primo scontro a fuoco fu favorevole ai tedeschi che affondarono tre
navi da battaglia inglesi: erano le 18.30 del 31 maggio 1916 quando la flotta tedesca
avvistò la flotta britannica dell'ammiraglio Jellicoe. La pronta fuga tedesca fu favorita
dalle tenebre, dalla nebbia e dal fumo delle esplosioni. Von Scherer ordinò un attacco da
parte di navi siluranti che rallentarono i movimenti della flotta britannica. Jellicoe
ordinò una manovra delle sue grandi navi tendente a collocarle tra la flotta tedesca e i
porti da cui era partita, per dare battaglia il giorno dopo, ma la confusione creata dalle
piccole navi siluranti tedesche fu tale che von Scherer riuscì a filtrare tra le navi
britanniche come attraverso i denti di un pettine.
La battaglia dello Jutland A conti fatti, dal punto di vista tattico la vittoria fu tedesca
perché erano state inflitte perdite maggiori di quelle subite. Dal punto di vista strategico
la vittoria fu britannica perché da quel momento la flotta tedesca non lasciò le basi, e la
Gran Bretagna conservò il dominio del mare, sia pure solo in superficie, perché i
sottomarini tedeschi rimasero il flagello del naviglio mercantile.
L'offensiva austriaca in Italia Sul fronte italiano, nel dicembre 1915, dopo la sconfitta
della Serbia, il comandante supremo austriaco Conrad von Hetzendorf aveva ideato una
grande offensiva nel settore posto tra l'Adige e il Brenta, ossia sull'Altopiano di Asiago.
Il Conrad non ricevette dal comandante supremo tedesco Falkenhayn nove divisioni
tedesche in sostituzione di quelle austriache che sarebbero state trasportate sul fronte
italiano: infatti il Falkenhayn stava preparando la grande offensiva di Verdun che nelle
sue intenzioni doveva mettere fuori combattimento la Francia e aprire la strada di Parigi.
Sfondamento sull'altopiano di Asiago Il generale Conrad volle ugualmente condurre,
nella primavera del 1916, la sua Strafexpedition, ossia la spedizione punitiva contro
l'antica alleata: ritirò 14 divisioni dagli altri fronti, e il 15 maggio iniziò una grande
offensiva sull'altopiano di Asiago. Il Cadorna non aveva intuito le mosse
dell'avversario, tutto preso dal problema organizzativo della grande battaglia dell'Isonzo
per conquistare Gorizia. Perciò sull'altopiano di Asiago la difesa italiana non fu
rafforzata, e quando iniziò un fuoco di artiglieria di inusitata intensità, alle truppe
italiane non rimase altra possibilità che di arretrare, permettendo all'esercito austriaco di
superare per la prima volta la frontiera stabilita nel 1866. Il Cadorna dovette prendere
d'urgenza alcuni provvedimenti: concentrò in pianura, tra Padova e Vicenza, un'armata
di riserva per contrattaccare se gli austriaci arrivavano in pianura, poi sostituì i generali
responsabili dello sfondamento del fronte. Verso i primi giorni di giugno una gigantesca
offensiva del generale Brusilov sul fronte russo inflisse una grave sconfitta all'esercito
austriaco schierato in Galizia e Bucovina, per cui il Conrad non proseguì l'offensiva
sull'altopiano di Asiago, giunta ormai in fase di esaurimento verso la metà di giugno.
Ministero Boselli La Strafexpedition ebbe conseguenze politiche perché provocò la
caduta del governo Salandra la cui debolezza nei confronti del paese e del Parlamento
era divenuta palese. Fu scelta la formula, già sperimentata in Francia, di un ministero di
unità nazionale formato dai gruppi che avevano voluto l'intervento: primo ministro fu
Paolo Boselli, decano della Camera, liberale di destra, una figura scialba. Il nuovo
ministero entrò in carica il 19 giugno: c'erano sei ministri liberali, cinque costituzionali
di sinistra, due socialriformisti (Bissolati e Bonomi), un repubblicano e un cattolico
(Meda) entrato nel ministero a titolo personale. I ministri più rappresentativi erano
Sonnino, Vittorio Emanuele Orlando e Bissolati.
Conquista di Gorizia Al fronte le cose andavano meglio: il 9 agosto fu conquistata
Gorizia, un avvenimento che risollevò il prestigio di Cadorna, entusiasmando il paese. Il
27 agosto fu dichiarata guerra anche alla Germania, nello stesso giorno in cui la
Romania dichiarava guerra agli imperi centrali. La Romania fu sconfitta nel giro di tre
mesi, un successo attribuito al nuovo comandante in capo dell'esercito tedesco, il
maresciallo Hindenburg che aveva sostituito il generale Falkenhayn.
Parità tra le forze contrapposte Il bilancio militare del 1916 si chiudeva in sostanziale
parità tra i due blocchi di potenze contrapposte, che avevano subito uguali perdite
umane e finanziarie. La guerra, tuttavia, sembrava volgere a favore dell'Intesa perché i
suoi membri avevano il controllo dei mari e quindi potevano attingere viveri e materiali
strategici al mercato americano che, di fatto, divenne arbitro del conflitto. Tutti
ritenevano che il 1917 sarebbe stato l'anno risolutivo del conflitto mondiale.
4. 7 Cronologia essenziale
1912 A ottobre inizia la prima guerra balcanica, terminata col congresso di Londra. La
Turchia è costretta a cedere i possessi europei.
1913 Tra giugno e agosto divampa la seconda guerra balcanica tra i vincitori. Bulgaria e
Serbia sono ridimensionate.
1914 A Sarajevo in Bosnia è assassinato l'arciduca Francesco Ferdinando con la moglie
Sofia.
1914 Il 23 luglio è inoltrato alla Serbia un ultimatum austriaco giudicato inaccettabile.
Inizia la grande guerra.
1914 Il 26 agosto termina la battaglia di Tannenberg con la sconfitta delle armate russe.
1914 Tra il 5 e l'11 settembre si sviluppa la battaglia della Marna sul fronte occidentale:
i tedeschi non riescono a impadronirsi di Parigi.
1914 A novembre, una squadra tedesca al comando dell'ammiraglio Graf von Spee al
largo del Cile sconfigge una squadra inglese.
1914 A dicembre, presso le isole Falkland, von Spee è sconfitto da superiori forze
inglesi.
1915 Sbarco inglese sulla penisola di Gallipoli per impadronirsi degli stretti:
l'operazione fallisce.
1915 Il 24 maggio l'Italia entra in guerra accanto alle potenze dell'Intesa.
1916 Da febbraio a luglio si sviluppa la battaglia di Verdun: i soldati caduti sono quasi
un milione e mezzo.
1916 Il 31 maggio al largo dello Jutland avviene l'unica battaglia navale tra la flotta
inglese e quella tedesca. Per terra si sviluppano le offensive di Conrad in Italia e di
Brusilov in Galizia.
1916 A dicembre l'esercito romeno è sconfitto dai tedeschi.
4. 8 Il documento storico
L'ultimatum, nel vissuto dei popoli, è l'ultimo tentativo di composizione di un
conflitto prima di passare alle armi. Dopo l'attentato di Sarajevo, avvenuto il 28 giugno,
il 20 luglio il governo austriaco inviò l'ultimatum che segue. I punti giudicati
inaccettabili da parte del Governo serbo furono il 5° e il 6°.
“L'I.R. Governo si vede costretto ad esigere dal Governo serbo un'assicurazione
ufficiale che esso condanna la propaganda rivolta contro l'Austria-Ungheria...Al fine di
dare a questi impegni un carattere solenne, il R. Governo serbo pubblicherà sulla prima
pagina del suo organo ufficiale del 26 luglio la seguente dichiarazione:
Il Governo reale di Serbia condanna la propaganda diretta contro l'Austria-Ungheria,
ossia l'insieme di quelle tendenze che mirano, in ultimo, a distaccare dalla Monarchia
austro-ungarica territori che le appartengono, e deplora sinceramente le conseguenze
funeste di queste azioni delittuose. Il Governo reale serbo è dolente che ufficiali e
funzionari serbi abbiano partecipato a tale propaganda e abbiano compromesso con ciò
le relazioni di buon vicinato a cui il Governo reale si era impegnato con la sua dichiarazione del 31 marzo 1909. Il Governo reale, che disapprova e respinge ogni idea ed
ogni tentativo d'ingerenza nel destino degli abitanti di qualsiasi parte dell'AustriaUngheria, considera come suo dovere avvertire formalmente gli ufficiali e i funzionari e
tutta la popolazione del Regno che, d'ora in poi, procederà col massimo rigore contro le
persone che si rendessero colpevoli di simili azioni, che esso porrà ogni sforzo nel
prevenire e reprimere.
Il Governo reale serbo s'impegna inoltre:
1. A sopprimere ogni pubblicazione che ecciti all'odio e al dispregio della Monarchia o
sia in genere diretta contro l'integrità territoriale di essa;
2. A sciogliere immediatamente la "Narodna-Odbrana", a sequestrare tutti i suoi mezzi
di propaganda e a procedere nello stesso modo contro le altre società ed associazioni
della Serbia che svolgono una propaganda contro l'Austria-Ungheria;
3. Ad eliminare senza indugio dalla scuola pubblica ogni persona ed ogni mezzo
didattico che serva o possa servire ad alimentare la propaganda contro l'AustriaUngheria;
4. Ad allontanare dal servizio militare e dall'amministrazione tutti gli ufficiali e i
funzionari colpevoli di propaganda contro l'Austria-Ungheria;
5. Ad accettare la collaborazione in Serbia di rappresentanti dell'I.R. Governo per la
repressione del movimento sovversivo diretto contro l'integrità territoriale della
Monarchia;
6. Ad aprire un'inchiesta giudiziaria contro i partecipi al complotto del 28 giugno che si
trovino in territorio serbo; organi delegati dall'I.R. Governo parteciperanno alle indagini
relative;
7. A procedere con ogni urgenza all'arresto del maggiore Voija Tankosic e di Milan
Ciganovic, funzionario serbo, i quali risultano compromessi dai risultati dell'indagine;
8. Ad impedire con efficaci misure la partecipazione di funzionari serbi al traffico
illecito di armi e di esplosivi attraverso la frontiera; a licenziare e a punire severamente i
funzionari di frontiera che a Schabatz e a Loznica avevano facilitato l'uscita agli autori
del delitto di Sarajevo;
9. A fornire all'I.R. Governo spiegazioni sulle ingiustificabili dichiarazioni di alti
funzionari serbi in Serbia e all'estero i quali non hanno esitato, dopo l'attentato del 28
giugno, malgrado la loro posizione ufficiale, ad esprimersi in alcune interviste in modo
ostile all'Austria-Ungheria;
10. A notificare senza indugio all'I.R. Governo l'esecuzione delle misure contemplate
nei punti precedenti.
L'I.R. Governo attende la risposta del Governo reale al più tardi fino a sabato 25
c.m., ore 6 pomeridiane”.
Fonte: E. ANCHIERI, Antologia storico-diplomatica, I.S.P.I., Milano 1941, pp. 349350.
4. 9 In biblioteca
Per la storia militare della prima guerra mondiale si consulti di B.H. LIDDEL
HART, La prima guerra mondiale 1914-1918, Rizzoli, Milano 1972. Notevole di A.J.P.
TAYLOR, Storia della prima guerra mondiale, Vallecchi, Firenze. N. VALERI, Da
Giolitti a Mussolini, il Saggiatore, Milano 1967. Sul problema della neutralità si
consulti di A. MONTICONE, La Germania e la neutralità italiana, il Mulino, Bologna
1971. Di notevole interesse di G. DE ROSA, L'intervento dell'Italia nella prima guerra
mondiale. Testi, documenti, memorie, Libr. Scient., Napoli 1967, e di AA. VV., Il
trauma dell'intervento 1914-1919, Vallecchi, Firenze 1968. Per gli aspetti militari si
consulti di P. PIERI, L'Italia nella prima guerra mondiale, Einaudi, Torino 1963 e di
J.A. THAYER, L'Italia e la grande guerra, 2 voll., Vallecchi, Firenze 1969; M.
FERRO, La Grande guerra, Mursia, Milano 1972; A. GIBELLI, La prima guerra
mondiale, Einaudi, Torino 1975. Per la situazione dei cattolici di fronte alla guerra si
consulti di AA. VV., Benedetto XV, i cattolici e la prima guerra mondiale, a cura di G.
Rossini, Cinque Lune, Roma 1963.
Cap. 5 La svolta della guerra: Russia e Stati Uniti
Il 1917 rappresenta una svolta decisiva nella guerra mondiale. In quell'anno, infatti,
si concreta il bipolarismo, ossia la formazione di due superpotenze quanto a
popolazione, territorio, eserciti, materie prime e industrie, che col passare del tempo si
sarebbero spartite il mondo in due sfere d'influenza.
La Germania ritenne necessario impiegare i sottomarini per affondare in modo
indiscriminato le navi da carico dirette in Gran Bretagna, nel tentativo di prendere per
fame quel paese. Gli Stati Uniti impedirono quella possibilità per motivi umanitari, per
affinità culturali, per interessi economici: perciò, in modo efficace e rapido
trasformarono la loro industria che, nel corso del 1918, contribuì in misura
determinante alla sconfitta degli imperi centrali. Da quel momento gli USA divennero il
punto di riferimento obbligato della politica mondiale.
La Russia, fin dall'inizio del 1917, fu travolta dalla rivoluzione politica che accelerò
la disfatta militare e la caduta del regime zarista. I bolscevichi, a novembre, assunsero
le responsabilità di governo, instaurando un nuovo regime. La Russia era una nazione
caratterizzata da violenti contrasti: immensa, ricca di materie prime, ma governata da
una classe dirigente incapace di mediare la pressione culturale proveniente dall'estero
e di restituire vitalità alla propria tradizione.
Sul fronte italiano, verso la fine d'ottobre 1917, le truppe austriache, aiutate da un
contingente tedesco, sfondarono il fronte, infliggendo la dura sconfitta di Caporetto
all'esercito italiano. A centinaia di migliaia si contavano i prigionieri, a migliaia i
cannoni perduti, numerosi i depositi di viveri e vestiario saccheggiati dai soldati austriaci. La falla del fronte fu tamponata mediante una ritirata fino al fiume Piave che
con Montello e Monte Grappa formò la nuova linea difensiva. Per stanchezza e fame gli
austriaci non riuscirono a sfruttare la vittoria, e quando nel giugno 1918 tentarono
una nuova offensiva cozzarono contro una solida barriera.
Sul fronte occidentale, dopo l'uscita dei russi dalla guerra, i tedeschi furono sul
punto di trionfare, ma le vittorie della primavera, per quanto clamorose, non furono
risolutive. Infine, entrarono in linea le divisioni americane che dal luglio 1918
affrettarono la sconfitta tedesca. A novembre i combattimenti cessarono su tutti i fronti.
5. 1 Matura l'intervento degli USA
Dopo il 1916 tutti gli eserciti impegnati in guerra conobbero serie crisi di sfiducia a
causa della durata dei combattimenti, delle difficili condizioni di alimentazione,
dell'inflazione che erodeva il potere d'acquisto dei salari, dell'evidente inutilità di tante
perdite di vite umane.
Cresce la protesta Il potere d'intervento dei governi nella vita civile, attraverso la
censura dei giornali e della corrispondenza tra soldati e famigliari, divenne maggiore.
La stampa parlava solo di vittorie, ma le famiglie ricevevano comunicazioni sempre più
frequenti di caduti. Nelle trincee e nelle retrovie i soldati parlavano del ritorno alla vita
civile esprimendo il convincimento che molte cose dovevano cambiare. Il desiderio di
farla finita induceva alcuni ad automutilarsi per esser avviati all'ospedale, ma i tribunali
di guerra infliggevano per questi casi anche la pena di morte per diserzione. Si parlava
con rancore di quelli che erano rimasti a casa, perché giudicati indispensabili all'industria di guerra, quasi che fossero dei privilegiati, mentre costoro, sottoposti a ritmi di
lavoro eccessivi, riversavano ogni responsabilità su chi era al fronte. Si facevano progetti di riforme agrarie per risarcire le sofferenze patite in guerra.
Impiego delle donne nell'industria Il richiamo degli uomini sotto le armi rese
necessario l'impiego massiccio delle donne nell'industria e nei servizi, perfino nelle
fabbriche di esplosivi, un fatto che comportò profondi mutamenti nel costume sociale,
variazioni della composizione e dei ruoli nella famiglia, decadimento morale specie nei
grandi centri urbani. Il mondo cambiava in fretta, e non sempre in meglio. Si parlava di
superprofitti di guerra, di industriali che avevano raddoppiato l'estensione delle loro
fabbriche, che vivevano in mezzo al lusso sfacciato perché avevano trovato nel sistema
delle forniture militari una miniera d'oro.
Crolla il morale egli eserciti I soldati al fronte ebbero esitazioni, soprattutto quando la
dura disciplina non teneva conto del loro stato d'animo. L'esercito francese fu sul punto
di crollare e quello britannico dovette accollarsi una fetta più grande del fronte
occidentale. L'esercito italiano e l'esercito russo conobbero nel corso del 1917 una
specie di sciopero militare, un crollo improvviso di fiducia che non si può spiegare solo
con motivi tecnici: anche per questi fatti si attendeva nel corso del 1917 il verificarsi di
eventi definitivi.
Fallimento delle grandi offensive Nel corso del 1916 erano fallite le grandi offensive:
quella russa condotta dal generale Brusilov in Galizia; quella tedesca condotta nel
settore di Verdun; quella austriaca sull'altopiano di Asiago. Ludendorff, capo dello stato
maggiore tedesco, era giunto alla conclusione che si poteva vincere la guerra solamente
interrompendo l'afflusso di rifornimenti diretti in Gran Bretagna, e impose a Guglielmo
II e al governo tedesco guidato da Bethmann-Hollweg di approvare la sua proposta di
guerra sottomarina indiscriminata. Il governo tedesco esitò a lungo prima di intraprendere quel passo estremo. Infatti, nel 1915 l'affondamento del transatlantico Lusitania
aveva provocato serie complicazioni internazionali perché, tra i circa 1200 passeggeri,
c'erano un centinaio di cittadini statunitensi. I sottomarini di allora erano piccoli,
dovevano emergere per lanciare i siluri ed erano scarsamente armati per combattere in
superficie contro navi da guerra. Perciò, le navi mercantili, specie quelle che
navigavano isolate, erano il bersaglio preferito.
Guerra sottomarina indiscriminata Dal 1° febbraio 1917 la Germania proclamò la
guerra sottomarina indiscriminata contro il naviglio di superficie intorno alle isole
britanniche senza riguardo per la nazione di appartenenza delle navi. Tutti sapevano che
ciò avrebbe significato la guerra da parte degli USA, ma i generali tedeschi pensavano
di aver ragione della Gran Bretagna prima dell'arrivo in Europa dei soldati americani.
Il sistema dei convogli Nel giro di pochi mesi il numero delle navi affondate crebbe
paurosamente: nell'aprile 1917 gli alleati persero quasi un milione di tonnellate di
naviglio: ogni quattro navi che partivano una era affondata. La Gran Bretagna si trovò
costretta a razionare i viveri destinati alla popolazione civile: aveva scorte per sei
settimane, poi sarebbe stata la fame se non giungevano rifornimenti nei suoi porti.
Lentamente si risolse il problema dei sottomarini ricorrendo a convogli di numerose
navi difese da cacciatorpediniere che potevano affrontare i sottomarini; ad aerei che
avvistavano dall'alto i nemici in agguato; a sbarramenti di mine e alle bombe di profondità.
La situazione economica La situazione economica non era meno drammatica. Italia,
Francia e Russia erano fortemente indebitate verso la Gran Bretagna che, a sua volta,
era indebitata verso gli USA: la sconfitta dell'intesa avrebbe significato l'annullamento
dei debiti per l'impossibilità di pagarli. Quando i tedeschi affondarono alcune navi
americane, il governo di Woodrow Wilson si ritenne aggredito e dichiarò guerra alla
Germania: era il 6 aprile 1917.
Intervento in guerra degli USA Perché gli USA abbandonarono la loro politica di non
intervento nelle questioni europee, ossia la dottrina di Monroe che aveva guidato da
quasi un secolo la politica estera americana?
La guerra totale È opportuno ricordare che la Prima guerra mondiale fu scatenata dai
governi, ma divenne ben presto una guerra di popoli che profusero le loro energie nel
conflitto. Molti comprendevano che era in pericolo la sopravvivenza della democrazia e
della libertà. La propaganda di guerra, che invitava ad arruolarsi nell'esercito e a sottoscrivere i prestiti nazionali, presentava una possibile vittoria tedesca come la sicura
distruzione della civiltà e della democrazia. Fu anche troppo facile attribuire ai tedeschi
inguaribili tendenze militariste, spinte fino al punto di distruggere l'Europa.
La libertà di navigazione Fin dall'inizio della loro storia indipendente i cittadini
americani hanno controllato i governi col peso dell'opinione pubblica. Il presidente
possiede amplissimi poteri, ma ogni quattro anni il suo mandato scade, e ogni due anni
ci sono le elezioni di medio termine che rinnovano per un terzo un ramo del Congresso
e per intero l'altro ramo. Il presidente non può fare una politica che preveda tempi
lunghi, perché agli elettori deve offrire fatti, non parole. Se la stampa e i mezzi di
comunicazione sociale approvano la sua linea politica, il presidente può sperare nella
rielezione, ossia su un mandato che al massimo dura otto anni. Perciò i presidenti degli
USA non possono ordinare attacchi di sorpresa o promuovere guerre aggressive, perché
per indurre i cittadini alle armi occorre la chiara indicazione di un aggressore e del
pericolo che corrono le istituzioni o gli interessi americani: la libertà di navigazione è
uno dei punti fermi dell'ideologia americana.
Effetti della guerra sull'economia americana Allo scoppio della guerra del 1914,
l'opinione pubblica americana era in prevalenza neutralista, anche se le simpatie degli
intellettuali andavano verso la Gran Bretagna per le affinità di cultura esistenti tra i due
paesi. Ma negli USA c'era anche una forte minoranza di cittadini di origine tedesca e
irlandese che frenava ogni spostamento politico a favore dell'Intesa. La Gran Bretagna
fece acquisti massicci di materiali destinati all'industria di guerra, e di viveri per la
popolazione. L'afflusso del denaro inglese procurò notevoli vantaggi economici
all'America, soprattutto nel settore dei prodotti agricoli, contribuendo a rinsaldare i
legami tra i due paesi. Il blocco navale intorno alla Germania impedì, al contrario, ogni
contatto anche solo economico degli USA con quel paese. Il governo tedesco cercò di
impedire ai militari l'uso indiscriminato dei sottomarini, ossia la proclamazione del
controblocco destinato ad affamare la Gran Bretagna, che però colpiva la libertà di
navigazione dei paesi estranei al conflitto.
Errata valutazione del potenziale americano Il comando militare tedesco, soprattutto
il Ludendorff, più influente anche del suo diretto superiore Hindenburg, scatenò una
campagna politica volta a far accettare da parte del governo l'uso indiscriminato della
guerra sottomarina. Commise l'errore di sottovalutare la capacità della nazione
americana di mobilitare in tempi brevi la sua industria. Nel 1917 erano ormai divenuti
cospicui gli interessi materiali e spirituali americani che sarebbero stati travolti dalla
vittoria tedesca. La sconfitta di Gran Bretagna e Francia avrebbe portato la frontiera
tedesca sull'Atlantico, una prospettiva poco allettante per gli americani. Il crollo della
Russia zarista e l’arrivo al potere dei bolscevichi faceva intravedere un altro regime
ostile alle democrazie occidentali, spingendo anche per questo verso all'intervento. Nel
corso di quell'anno tutti si chiedevano: arriveranno in tempo i soldati americani?
Mobilitazione dell'industria degli USA Quando le riserve monetarie britanniche
furono esaurite, il governo americano aprì crediti per 500 milioni di dollari al mese. Il
sistema produttivo statunitense si mobilitò: le fabbriche furono ingrandite e la produzione pianificata per ottenere il massimo di efficienza dal momento che il governo
acquistava ogni genere di merci utili al conflitto. Herbert Hoover, più tardi presidente,
pianificò lo sforzo industriale.
L'esercito degli USA Milioni di giovani passarono la visita militare. L'Università di
Chicago approntò i test attitudinali per smistarli nei vari corpi e servizi per i quali
avevano maggiori talenti naturali. In enormi campi di addestramento le reclute erano
preparate per affrontare i pericoli dei combattimenti, simulando il terreno su cui
avrebbero operato. Praticamente dal nulla fu creato un esercito che superò i due milioni
di soldati.
I rifornimenti americani arrivano in Europa Alla flotta fu affidato il compito di
scortare i convogli di navi mercantili lungo le coste americane, dall'America
meridionale fino a New York e da quel porto fino all'Islanda. A partire dall'Islanda la
scorta militare era assunta dalla marina britannica. Questo sistema ridusse le perdite di
naviglio alleato, infliggendo perdite sempre più gravi ai sottomarini tedeschi. Sul piano
militare le premesse della sconfitta tedesca del 1918 vanno cercate nell'impossibilità di
arrestare il flusso dei rifornimenti americani verso l'Europa. Nella primavera del 1918 il
contingente americano comandato dal generale John Pershing assunse la difesa di un
ampio settore del fronte, tra gli inglesi e i francesi. Gran parte del materiale bellico
dell'intesa era americano, anche se il comando supremo fu affidato al generale francese
Foch.
5. 2 Dalla rivoluzione di marzo alla rivoluzione di ottobre in Russia
Fin dal dicembre 1916 era apparso chiaro che in Russia stavano maturando eventi
drammatici: il paese stava per soccombere sotto lo sforzo richiesto dalla guerra, il cibo
scarseggiava e i trasporti apparivano inadeguati per rifornire il fronte e le città
industriali.
Crisi dello zarismo La corruzione dell'apparato governativo cresceva e perfino a corte
il disfattismo era diffuso da uno strano personaggio, Gregorij Rasputin, protetto dalla
zarina Alessandra che in lui scorgeva la possibilità di salvezza per il figlio Alessio.
Rasputin era una spia tedesca e forse era pagato per indurre lo zar a terminare la guerra.
Nel dicembre 1916 Rasputin fu ucciso da una congiura di nobili, ma la sua morte non
produsse alcun cambiamento: al contrario, l'opinione pubblica russa conobbe che anche
a corte era arrivata la corruzione.
Collasso dell'esercito russo Dopo il fallimento dell'offensiva di Brusilov in Galizia e
Bucovina, l'esercito russo era entrato in una fase di collasso. Il terribile inverno del 1917
fece il resto. Gran parte dell'industria russa era concentrata nelle due capitali
Pietrogrado e Mosca.
Scioperi Intorno all'8 marzo cominciarono scioperi e dimostrazioni di operai delle
fabbriche di quelle due città, con fraternizzazioni tra operai e soldati inviati a mantenere
l'ordine. A quei primi avvenimenti non presero parte i partiti rivoluzionari, bensì solo i
partiti costituzionali presenti nella Duma, Ottobristi (liberali) e Cadetti (radicali).
Lo zar abdica Il 12 marzo questi due partiti dettero vita a un governo provvisorio, e già
il 15 marzo lo zar Nicola II abdicò. La Russia cessò d'essere una monarchia autocratica:
la scelta del futuro regime fu affidata a un'assemblea costituente. In Occidente il
cambiamento costituzionale fu accolto dapprima con un senso di liberazione, perché il
governo zarista appariva imbarazzante agli altri membri dell'Intesa: se, come sosteneva
Wilson, la Russia si avviava a divenire uno Stato liberale retto da un governo costituzionale, il fronte unico contro gli imperi centrali assumeva l'aspetto di una lotta delle
democrazie contro l'assolutismo: si trattava di un'illusione perché la rivoluzione liberale
di marzo non risolse alcun problema.
Cessa il fronte orientale Rimandando più avanti la trattazione analitica della
rivoluzione russa, qui basta accennare agli avvenimenti necessari per spiegare l'uscita
dalla guerra della Russia. Il primo governo provvisorio, presieduto dal principe di
L'vov, compì l'errore di continuare la guerra. Il governo tedesco pose a disposizione di
Lenin, che si trovava a Zurigo, un treno per rientrare in patria.
Lenin Lenin era la guida prestigiosa del partito bolscevico, l'unico davvero
rivoluzionario esistente in Russia, in grado di operare nella clandestinità. Appena giunto
a Pietrogrado, Lenin lanciò la famosa parola d'ordine che sorprese perfino i compagni di
partito, i quali, secondo la dottrina marxista, attendevano il fallimento del governo
borghese, per attuare la dittatura del proletariato: la parola d'ordine fu "la terra ai contadini" per affrettare lo sfacelo dell'esercito e la fine della guerra. Il governo provvisorio
di L'vov durò poco, sostituito da un governo presieduto da Kerenskij, un socialista
rivoluzionario che cercò di radunare le ultime riserve in Russia per tentare una suprema
offensiva.
Kerenskij In estate Lenin compì un prematuro tentativo di rivoluzione, represso
dall'esercito, e perciò dovette rifugiarsi in Finlandia. Anche Kerenskij aveva commesso
l'errore di far proseguire la guerra senza prendere atto dello sfacelo dell'esercito
duramente battuto dai tedeschi. Brusilov fu esonerato dal comando e l'esercito si
sbandò: i soldati tornavano a casa per occupare i latifondi dei nobili, mentre Kerenskij
cercava invano la formula politica per governare un paese in preda all'anarchia.
La rivoluzione d'ottobre Il 25 ottobre (7 novembre del nostro calendario), i
bolscevichi guidati da Lenin, Trotzkij e Stalin occuparono la sede della Duma
dichiarandola decaduta: lo slogan scelto fu "tutto il potere ai Soviet", la geniale trovata
di Lenin per permettere una qualche forma di governo per trattare la pace con i tedeschi.
Armistizio di Brest-Litovsk Il 15 dicembre a Brest-Litovsk fu firmato l'armistizio, e
subito cominciarono le trattative, durate fino al marzo 1918, nel corso delle quali Lenin
accettò di sottoscrivere ogni richiesta del governo tedesco. Esso richiese l'abbandono
della Finlandia, degli Stati baltici, della Polonia e dell'Ucraina dove erano collocate
quasi tutte le industrie russe e la maggior parte delle sue risorse alimentari. Anche in
questa occasione Lenin trovò la parola d'ordine adatta: "Tanto peggio tanto meglio",
intendendo che l'enormità delle concessioni fatte ai tedeschi ne rendeva impossibile il
mantenimento al tavolo della pace. Infatti, i nemici più pericolosi per Lenin erano in
quel momento i generali che, alla guida di soldati allo sbando, avevano iniziato la guerra
civile, la cui posta in gioco era il governo della Russia.
Offensiva tedesca sul fronte occidentale Fin dal dicembre 1917 il comando militare
tedesco iniziò il trasferimento dei soldati vittoriosi a Oriente sul fronte occidentale per
sferrare in primavera la suprema offensiva contro gli eserciti alleati prima che il grosso
dell'esercito statunitense facesse sentire il suo peso, annullando la superiorità numerica
conseguita in quel momento dall'esercito tedesco.
5. 3 Caporetto e Cambrai
Le notizie provenienti dalla Russia stimolarono nei paesi in guerra una ventata di
ribellione tra le masse popolari sottoposte dai loro governi ai grandi sacrifici richiesti
dalla guerra, e tra i soldati al fronte molti dei quali provavano il desiderio di imitare i
soldati russi che si erano ribellati ai loro ufficiali abbandonando il fronte.
Crisi militare in Francia e in Italia La tensione fu massima negli eserciti francese e
italiano. Infatti, il generale Nivelle, nuovo comandante supremo sul fronte occidentale,
non comprese l'opportunità di tirare in lungo i combattimenti, dal memento che il tempo
lavorava a favore dell'Intesa: anche per sostenere la Russia, volle scatenare un'offensiva
primaverile che si risolse in un disastro. L'esercito francese giunse vicino al collasso: ci
furono più di 20.000 casi di ammutinamento. L'esercito inglese dovette assumere il peso
maggiore delle operazioni militari, mettendo in campo un esercito rinnovato e
agguerrito nel settore di Ypres e Passchendaele nelle Fiandre.
Crisi degli alti comandi in Italia In Italia, dopo la presa di Gorizia, era sorto un
conflitto tra gli alti comandi, in particolare tra Cadorna e Capello, fatto oggetto
quest'ultimo di una campagna di stampa troppo elogiativa, per affrettare un
cambiamento al vertice dell'esercito, sostituendo Cadorna che sembrava troppo
autoritario, insensibile all'aspetto politico della guerra nei confronti dell'opinione
pubblica.
Appello di Benedetto XV Nell'agosto 1917 il papa Benedetto XV, sconvolto dalle
notizie provenienti da ogni parte, lanciò un appello per la pace culminato con l'invito "di
giungere quanto prima alla cessazione di questa lotta tremenda, la quale, ogni giorno di
più apparisce inutile strage". I governi dell'intesa censurarono quelle parole giudicate
disfattiste.
Caporetto L'esercito tedesco era fortunato in autunno: in quella stagione nel 1915 era
stata liquidata la Serbia; nel 1916 era stata la volta delle Romania; nel 1917 sembrava
venuto il turno dell'Italia. Qui verso la fine d'ottobre si era reso evidente un varco nello
schieramento italiano nella zona di Caporetto. Tra il 12 maggio e il 15 settembre
l'esercito italiano aveva compiuto inutili attacchi frontali sulla linea dell'Isonzo senza
risultati; analogo insuccesso nel Trentino dove la cima del monte Ortigara fu
conquistata e poi perduta con spreco di uomini e materiali. Verso il 18 settembre
Cadorna dette ordine di sospendere le operazioni offensive perché si aveva l'evidenza di
un grande afflusso di forze nemiche.
Truppe tedesche sul fronte italiano L'esercito austriaco aveva accusato notevoli
perdite ed era giudicato possibile il tracollo in caso di nuova offensiva italiana simile a
quella dell'estate. Il comando austriaco pianificò una controffensiva autunnale che, per
avere successo, esigeva la partecipazione di ingenti truppe tedesche. Da principio il
generale Ludendorff non fu favorevole al disegno perché l'eventuale sconfitta dell'Italia
non era giudicata sufficiente a costringere le altre potenze dell'intesa ad abbandonare la
guerra: più tardi decise di inviare un generale a ispezionare il terreno.
Lo sfondamento Tra Plezzo e Tolmino lo schieramento italiano appariva debole: lo
sfondamento era possibile e se si sfruttava la vittoria si poteva dilagare nella pianura
friulana attraverso le valli dello Judio e del Natisone. Per attuare il progetto fu costituita
un'apposita armata, composta di sette divisioni tedesche e di otto austriache, al comando
del generale tedesco von Below. Invece di seguire la fallimentare tattica dello scontro
frontale, i tedeschi avevano messo a punto la nuova tattica dell'infiltrazione, che
consisteva in una rapida puntata nelle retrovie dell'avversario per rendere difficili le sue
comunicazioni. L'ordine del Cadorna di apprestare uno schieramento difensivo, dimostra che i grandi movimenti di truppe nemiche erano stati notati, ma sembra che alcuni
comandanti italiani li abbiano sottovalutati. In ogni caso, per la durata di un mese il
Cadorna non fece seguire a quell'ordine altre disposizioni per la difesa: in particolare
appariva troppo disperso lo schieramento della II armata del generale Capello, le cui
unità erano sparpagliate lungo un fronte troppo esteso.
Mancato intervento dell'artiglieria Alle 2 e 30 del 24 ottobre tutta l'artiglieria austrotedesca iniziò un violento bombardamento, scarsamente contrastato dall'artiglieria
italiana, perché il generale Badoglio aveva diramato l'ordine di attendere il suo comando
prima di sparare: quel comando non giunse a causa dell'interruzione delle linee
telefoniche e della nebbia che impediva le segnalazioni ottiche. Sembra che il Badoglio
avesse ideato una specie di trappola: far avanzare le fanterie nemiche per batterle con
l'artiglieria.
Crisi militare italiana Gli austro-tedeschi avanzarono lungo il fondovalle e
raggiunsero Tolmino facendo precipitare nella confusione i comandi italiani. Verso la
sera del 24 ottobre Cadorna si rese conto della gravità della situazione: pensò a un
ripiegamento fino al Tagliamento. Senza conoscere del tutto la situazione, Cadorna
diffuse l'illazione che la responsabilità della sconfitta andava attribuita al disfattismo dei
socialisti. In verità, la sconfitta era di natura militare, ossia errori di valutazione tattica
che si sommavano alla precisione e tempestività dell'azione nemica.
La rotta Il 25 ottobre si diffuse tra i soldati italiani il panico, la sensazione di trovarsi in
balia dei nemici, che la guerra era perduta. Le armi furono gettate ai margini delle
strade; i reparti si mescolarono alla rinfusa, cercando di arrivare a una qualche posto di
ristoro per avere la forza di proseguire la fuga. Cadorna abbandonò l'idea di ritirarsi fino
al Tagliamento, scegliendo come linea di arresto il fiume Piave, ancorandosi ai due
massicci del Monte Grappa e dell'altopiano di Asiago. Il giorno 28 ottobre gli austrotedeschi occuparono Udine: la sede del comando supremo italiano fu trasferita a
Padova. Il 9 novembre la ritirata si concluse con 11.000 morti e 280.000 prigionieri, con
la perdita di gran parte delle artiglierie. I soldati sbandati, circa 350.000, furono rincorsi
in ogni parte della penisola. Terminata quella drammatica ritirata, il generale Luigi
Cadorna fu rimosso dal comando e inviato a Versailles per prendere parte a un comitato
interalleato col compito di coordinare lo sforzo bellico dell'intesa. Al posto di Cadorna
fu chiamato il generale Armando Diaz che sembrava più umano nei rapporti coi
subordinati, più incline a una guerra difensiva con risparmio di vite umane. Come
sottocapi ebbe i generali Giardino e Badoglio. La responsabilità del secondo non era
emersa e più tardi fu coperta dal presidente del consiglio Orlando, perché nel frattempo
Badoglio aveva condotto le truppe italiane alla vittoria.
Stabilizzazione del fronte Dopo lo sfondamento di Caporetto, gli austro-tedeschi
sferrarono un grande attacco in due riprese, dal 10 al 26 novembre e dal 4 al 23
dicembre: anche gli alleati rimasero stupiti dalla capacità di resistenza dimostrata dalle
divisioni italiane che non si erano sbandate. Fu richiamata la classe militare dei
giovanissimi, nati nel 1899, per colmare i vuoti. Invece, le divisioni tedesche furono
ricondotte sul fronte occidentale per preparare la grande offensiva prevista per la primavera del 1918.
Ministero Orlando Nello stesso giorno dell'attacco austriaco era stato formato un
nuovo governo in sostituzione di quello presieduto da Boselli. Il nuovo primo ministro
era Vittorio Emanuele Orlando che ordinò la sostituzione di Cadorna. Appena fu chiara
l'entità della sconfitta italiana, i governi di Parigi e di Londra affrettarono l'invio di sei
divisioni francesi e di quattro inglesi, concentrate in Lombardia tra Brescia e Mantova
per parare un possibile sfondamento della linea del Piave. Quelle dieci divisioni non
entrarono in combattimento e non furono determinanti per la difesa del Piave, ma
certamente affrettarono la formazione di un comando supremo unificato per condurre la
guerra in modo più organico.
Compaiono i carri armati Mentre sul fronte italiano avveniva il disastro di Caporetto,
nelle Fiandre l'esercito inglese stava preparando un attacco secondo modalità nuove.
Infatti, il 20 novembre presso Cambrai fecero la loro comparsa in massa i carri armati,
già sperimentati l'anno precedente sulla Somme. Il carro armato nacque come risposta ai
reticolati di ferro spinato, alle trincee e alle mitragliatrici. Infatti, il goffo veicolo a
motore poteva schiacciare coi suoi cingoli i reticolati, superare le trincee senza cadervi
dentro e, mediante la corazza di acciaio, resistere alle mitragliatrici. A Cambrai i carri
armati furono usati in massa, seguiti dalla fanteria per sfruttare il successo tattico: in
questo modo si poteva ridare mobilità ai combattimenti, facendo superare ai generali
l'ottusa prassi degli attacchi frontali. Anche l'aviazione compì passi da gigante: gli aerei
nel corso del conflitto erano migliorati e ora servivano per la ricognizione, per attacchi a
depositi di munizioni, per bombardamenti sulle città. Anche per mezzo di queste novità
dell'armamento si può dire che il 1917 fu l'anno della svolta della guerra.
5. 4 Mutamenti politici nella conduzione della guerra
Dopo la battaglia di Verdun, il generale Falkenhayn fu sostituito da Hindenburg e
Ludendorff: costoro decisero di compiere offensive limitate su un unico fronte. Per il
1917 si era deciso di attestare l'esercito del fronte occidentale su una linea più razionale,
chiamata linea Hindenburg, e di mantenersi sulla difensiva, per permettere il successo
dell'offensiva condotta sul fronte orientale dove avvenne il tracollo dell'esercito russo.
Ristrutturazione dell'esercito francese Il comandante francese Nivelle compì l'errore
di attaccare la linea Hindenburg nella Champagne. Fin dal primo giorno dell'attacco,
l'esercito francese entrò nella crisi culminata negli ammutinamenti del mese di maggio.
Al posto di Nivelle fu chiamato l'eroe di Verdun, Henri-Phlippe Pétain che decise di
ritirare le truppe su posizioni meno esposte, poi visitò le novanta divisioni ascoltando le
lamentele dei soldati. Il risultato fu il miglioramento del rancio, turni di riposo e di
licenza più frequenti, la riduzione dell'attività dei tribunali militari. Infine, un tratto
maggiore del fronte fu affidato all'esercito inglese che in quell'anno ebbe il maggior
numero di caduti.
Lloyd George premier Alla vigilia della crisi risolutiva anche i governi francese e
inglese furono cambiati. In Gran Bretagna la guerra era iniziata sotto il governo liberale
di Herbert H. Asquith, già al potere da sei anni. Asquith non aveva il temperamento
adatto per mobilitare la nazione: il potere fu assunto da David Lloyd George, divenuto
nel 1915 ministro dei rifornimenti, nel 1916 ministro della guerra e alla fine dell'anno
primo ministro. Nel 1916 il governo inglese era formato da conservatori.
Clemenceau primo ministro Quando la Francia era entrata in guerra era al governo la
sinistra moderata con René Viviani: nel fervore bellicista delle prime settimane il
consiglio dei ministri era stato allargato a tutti i partiti che avevano dato vita all'Union
sacrée. Quando però l'esercito francese dette segni di cedimento si ricorse alla guida di
Georges Clemenceau, il noto radicale. Clemenceau assunse poteri quasi dittatoriali
mettendo a tacere i disfattisti e trattando con pugno di ferro i socialisti che suggerivano
l'armistizio. Lloyd George e Clemenceau avevano in comune il radicalismo e la
propensione a servirsi dell'appoggio dei conservatori e di quei militari che mostrassero
di avere idee originali sulla strategia da seguire. Nell'ultimo anno di guerra rinacque il
patriottismo, ma questa volta esso nascondeva il predominio dei nazionalisti a oltranza,
un fatto che avrà notevoli ripercussioni al tavolo delle trattative.
Orlando primo ministro Anche in Italia era avvenuto qualcosa del genere. Il nuovo
governo Orlando aveva molti ministri già presenti nel governo Boselli, ma il primo
ministro aveva maggiori capacità politiche e c'era la presenza di Francesco Saverio
Nitti, al tesoro, per imprimere un vigoroso indirizzo alla politica economica e
finanziaria del paese: occorreva ricostruire l'esercito dopo la disfatta di Caporetto, per
migliorare la disciplina e il morale dei soldati.
5. 5 Falliscono le ultime offensive austro-tedesche
Ludendorff superò la riluttanza di Guglielmo II e del governo ad avventurarsi nel
tentativo di sconfiggere la Francia mediante uno sforzo supremo in cui si doveva
profondere tutto ciò che la Germania aveva a disposizione. Si sapeva che nell'estate
1918 sarebbero finite le risorse umane e materiali da immettere nei combattimenti:
verso quella data la guerra doveva finire perché l'arrivo dell'esercito degli USA avrebbe
reso preponderante la potenza degli alleati.
Offensiva tedesca ad Amiens Per quattro mesi, a partire dal marzo 1918, Ludendorff
vibrò una serie ininterrotta di colpi di maglio, prima su Amiens, un grande nodo
ferroviario, nel tentativo di dividere l'esercito inglese da quello francese: approfittando
di una fitta nebbia, il 21 marzo i tedeschi avanzarono cinque chilometri. Una settimana
dopo il fronte si era spostato di sessanta chilometri. In quell'occasione fu decisa la
nomina di un comandante supremo degli eserciti alleati perché c'erano state accuse di
reciproca scorrettezza tra inglesi e francesi. La scelta cadde sul generale Ferdinand
Foch, uomo di fiducia di Clemenceau. Per alcune settimane il compito di Foch fu di
parare i rudi colpi inferti da Ludendorff, riuscendo a mantenere il possesso di Amiens. Il
secondo attacco tedesco fu vibrato a Ypres ad aprile: in questo caso il Ludendorff non
poté sfruttare il successo iniziale per mancanza di truppe di riserva. Il terzo attacco fu
vibrato contro il Chemin des Dames lungo l'Aisne, tenuto dal generale Pétain: il 27
maggio i tedeschi penetrarono per 27 chilometri, raggiungendo ancora una volta la
Marna.
Entra in azione l'esercito americano Le ultime offensive rivelarono che il nemico
disperava della vittoria. Il 4 giugno gli americani entrarono per la prima volta in azione
nei pressi di Chateau-Thierry. Nella seconda settimana di giugno Ludendorff ordinò una
nuova offensiva a Compiègne, poi fece ridurre l'intensità degli attacchi per preparare
l'ultima battaglia che rivelò agli alleati la crisi tedesca. L'attacco fu portato a ovest di
Reims lungo la Marna, ma finì presto perché Foch predispose un duro contrattacco: la
seconda battaglia della Marna fu un successo alleato (19 luglio). A partire da quel
momento l'iniziativa fu sempre di Foch, culminata l'8 agosto quando tutto l'esercito tedesco cominciò a cedere. Il piano di Foch fu di non concedere tregua ai tedeschi in
ritirata per impedire che potessero formare una linea difensiva. L'attacco fu iniziato
dagli inglesi ad Amiens che avanzarono 12 chilometri; poi attaccarono gli americani a
Saint-Mihiel a sud di Verdun. A metà settembre i tedeschi furono costretti ad
abbandonare la linea Hindenburg.
Crolla il fronte dei Balcani Il 28 settembre Ludendorff ebbe una grave crisi di nervi
determinata dalle notizie che gli giungevano dal fronte dell'Europa orientale, dove il
generale Franchet d'Espéray aveva sconfitto la Bulgaria, liberato la Serbia, arrivando a
minacciare l'Ungheria. Il fronte balcanico degli imperi centrali era crollato mettendo
fuori combattimento la Turchia. Ludendorff chiese all'allibito Guglielmo II di proporre
un armistizio immediato.
Sfondamento di Vittorio Veneto Alla fine d'ottobre anche l'esercito italiano aveva
sfondato il fronte a Vittorio Veneto. Nei dieci mesi precedenti l'esercito italiano si era
mantenuto sulla difensiva, impegnato nell'arduo compito di ricostruire le sue forze.
Mentre le divisioni franco-inglesi svolsero una funzione marginale, più importanti
furono le massicce importazioni di cereali, carbone, ferro, minerali non ferrosi ecc.
perché nel corso della ritirata erano stati abbandonati molti depositi di viveri e quasi
tutto il parco di artiglieria.
Ultimo tentativo austriaco Durante l'offensiva tedesca della primavera del 1918 i
comandanti italiani non accettarono le proposte alleate di sferrare un'offensiva sul fronte
italiano, e fu una decisione saggia perché, pur risultando ormai stremato da quattro anni
di combattimenti, l'esercito austriaco fu ancora in grado di preparare un raduno delle sue
forze iniziando un'offensiva prevista per il 15 giugno.
La battaglia del solstizio L'attacco questa volta non giunse inaspettato. L'artiglieria
italiana ebbe il tempo di modificare il suo schieramento e qualche ora prima dell'attacco
nemico scatenò un fuoco di controbatteria risultato demoralizzante per gli attaccanti, in
grado di riportare qualche successo sul monte Ortigara e sugli Altipiani, ma senza
riuscire a passare in massa il Piave. La sensazione della sconfitta cominciò a diffondersi
nell'esercito austriaco, all'interno del quale la forte componente ungherese cominciò a
premere per il ritorno in patria a difesa dei propri confini.
La vittoria del Piave La vittoria del Piave suscitò grande entusiasmo in Italia: per di
più, il 10 giugno era stata affondata nelle acque di Premuda la corazzata austriaca Santo
Stefano. I nazionalisti premevano per una pronta offensiva generale. Per attuare quel
piano il comando italiano aveva chiesto l'invio di truppe americane sul fronte del Piave,
ma la proposta fu bocciata dal generale Foch, convinto che quelle truppe erano
necessarie per sconfiggere i tedeschi. Diaz e Badoglio, da parte loro, preferivano tenersi
sulla difensiva: cambiarono parere solo quando gli avvenimenti in Francia lasciavano
prevedere un rapido crollo.
5. 6 La resa degli imperi centrali
Il 20 settembre, come si è ricordato, era capitolata la Bulgaria, affrettando il crollo
della Turchia, battuta in Siria e in Palestina.
I Quattordici punti di Wilson I governi tedesco e austriaco decisero di rivolgersi al
presidente americano Wilson per ottenere un armistizio sulla base dei principi enunciati
sin dall'inizio del 1918 in un discorso al Congresso del presidente americano (i famosi
Quattordici punti). Questa mossa degli imperi centrali accelerò la loro disfatta perché
fece crollare il fronte interno: non aveva più senso battersi se il governo stesso avanzava
proposte di armistizio.
Trasformazione dell'impero absburgico Nel 1916 era morto il vecchio imperatore
Francesco Giuseppe. Il nipote Carlo aveva fatto iniziare trattative segrete col governo
francese. Quelle trattative erano fallite, costringendo il nuovo imperatore a compiere
una visita a Guglielmo II per tranquillizzarlo circa la fedeltà austriaca. Il 16 ottobre
l'Austria operò una tardiva trasformazione dell'impero in Stato federale nel quale ogni
gruppo etnico avrebbe ricevuto l'autonomia politica. Wilson confermò il riconoscimento
effettuato nei confronti di un consiglio nazionale cecoslovacco e sostenne il diritto
all'indipendenza degli jugoslavi, accelerando la disgregazione della monarchia
danubiana ormai incapace di controllare i movimenti indipendentisti delle nazionalità
presenti nell'impero, in particolare i magiari.
Premesse politiche di Vittorio Veneto In Italia molti ebbero la sensazione che la
guerra volgesse al termine e che bisognava affrettarsi a infliggere una sconfitta sul
campo prima che sopraggiungesse l'armistizio togliendo la possibilità di disporre di
territori da utilizzare nelle trattative come merce di scambio. Nitti era convinto che la
fine della guerra fosse vicina ma non prossima: temeva un colpo di coda austriaco, in
ciò sostenuto dal generale Diaz, già propenso per conto suo a non tentare avventure. Fu
raggiunto un compromesso consistente nell'effettuare un'offensiva prudente per creare le
premesse della vittoria, rimandata alla primavera del 1919.
Lo sfondamento di Vittorio Veneto L'ultima battaglia sul fronte italiano iniziò il 24
ottobre con un grande bombardamento di artiglieria, mentre alcuni reparti passavano il
Piave. Dapprima la resistenza austriaca apparve tenace, poi a partire dal 28 ottobre
iniziò la manovra italiana tendente a spezzare in due tronconi lo schieramento
avversario. Il 29 ottobre l'VIII armata raggiunse Vittorio Veneto, mentre la X si
attestava sul fiume Livenza. Gli austriaci furono costretti a lasciare la zona del Monte
Grappa permettendo agli italiani di dilagare nel Friuli e nel Cadore. Il 3 novembre le
truppe italiane entravano in Trento, mentre un reparto di bersaglieri sbarcava a Trieste:
nello stesso giorno a Villa Giusti presso Padova avvenne la firma della resa austriaca
che sarebbe divenuta operante nel pomeriggio del 4 novembre.
Il crollo tedesco Dopo il tracollo dell'esercito austriaco anche la resistenza tedesca era
impossibile: non c'erano più riserve di soldati e il rapporto di forze era nettamente
favorevole agli alleati. La sconfitta dell'Austria lasciava esposta la Baviera e un
possibile attacco sul suolo nazionale. Nell'ultima settimana circa 300.000 tedeschi erano
caduti prigionieri, e in Germania il disfattismo aveva compiuto passi da gigante: il 3 novembre i marinai della flotta si erano ammutinati a Kiel, rifiutandosi di salpare per una
missione senza speranza. Il giorno 7 novembre scoppiò la rivoluzione in Baviera. Il 9
novembre Guglielmo II abdicò, recandosi in Olanda. In Germania fu proclamata la
repubblica con un governo provvisorio presieduto dal socialista Ebert che compì
l'ultimo atto della guerra in Occidente: la resa dell'esercito ai vincitori e l'armistizio
firmato all'interno di un vagone ferroviario nella foresta di Compiègne.
5. 7 Cronologia essenziale
1917 Il 1° febbraio la Germania ricorre alla guerra sottomarina indiscriminata.
1917 Il 15 marzo lo zar Nicola II di Russia abdica. Inizia un periodo difficile per la
Russia a causa del disfattismo interno.
1917 Il 6 aprile gli USA dichiarano guerra alla Germania mentre gli affondamenti di
navi mercantili raggiungono punte gravissime.
1917 Dopo la rotta di Caporetto, a novembre, la linea di difesa italiana si attesta sul
fiume Piave.
1918 Con la pace di Brest-Litovsk la Russia esce dal conflitto.
1918 Il 4 novembre cessano i combattimenti sul fronte italiano in seguito alla resa
austriaca.
1918 L'11 novembre anche l'esercito tedesco si arrende.
5. 8 Il documento storico
È un luogo comune ripetere che gli americani sono ingenui in questioni di politica
estera. Forse è meglio dire che il metodo democratico, operante fin dall'inizio della
storia degli USA, obbliga i suoi presidenti a impiegare le categorie mentali possedute
dai loro elettori e che perciò le guerre devono assumere l'aspetto di una crociata ideale:
esse sono un mezzo doloroso necessario per ristabilire la giustizia e la possibilità di
convivenza dei popoli nel mondo. I Quattordici punti, enunciati in un discorso al
Congresso dell'8 gennaio 1918, dovevano spiegare agli americani perché i loro figli
combattevano in Europa.
“Noi siamo entrati in questa guerra a causa delle violazioni al diritto che ci
riguardano direttamente e rendono impossibile la vita del nostro popolo a meno che non
siano riparate e il mondo sia assicurato per sempre che non si ripeteranno. Perciò in
questa guerra, non domandiamo nulla per noi, ma il mondo deve esser reso adatto a
viverci; e in particolare deve esser reso sicuro per ogni nazione pacifica che, come la
nostra, desidera vivere la propria vita, stabilire liberamente le sue istituzioni, essere
assicurata della giustizia e della correttezza da parte degli altri popoli del mondo come
pure essere assicurata contro la forza e le aggressioni egoistiche. Tutti i popoli del
mondo hanno in realtà lo stesso nostro interesse, e per conto nostro vediamo molto
chiaramente che, a meno che non sia fatta giustizia agli altri, non sarà fatta a noi. Perciò
il programma della pace del mondo è il nostro stesso programma; e questo programma,
il solo possibile, secondo noi è il seguente:
1. Pubblici trattati di pace, conchiusi apertamente, dopo i quali non vi siano più accordi
internazionali privati di qualsivoglia natura; ma la diplomazia procederà sempre
francamente e pubblicamente.
2. Libertà assoluta di navigazione sui mari, al di fuori delle acque territoriali, sia in
tempo di pace che in tempo di guerra, salvo il caso che i mari siano chiusi totalmente o
parzialmente con un'azione internazionale in vista dell'esecuzione di accordi
internazionali.
3. Soppressione, nei limiti del possibile, di tutte le barriere economiche e stabilimento di
condizioni commerciali uguali per tutte le nazioni che consentono alla pace e si
associano per mantenerla.
4. Garanzie sufficienti date e prese che gli armamenti nazionali saranno ridotti
all'estremo limite compatibile con la sicurezza interna del paese.
5. Composizione libera, in uno spirito largo ed assolutamente imparziale, di tutte le
rivendicazioni coloniali, fondata sul rigoroso rispetto del principio che, nel regolare
tutte le questioni di sovranità, gli interessi delle popolazioni interessate dovranno avere
ugual peso delle domande eque del Governo il cui titolo si dovrà definire.
6. Evacuazione di tutti i territori russi e regolamento di tutte le questioni concernenti la
Russia, in guisa da assicurare la migliore e la più larga cooperazione delle altre nazioni
per fornire alla Russia l'occasione opportuna di fissare, senza ostacoli né imbarazzi, in
piena indipendenza, il suo sviluppo politico e nazionale; per assicurarle una sincera
accoglienza nella Società delle Nazioni libere sotto un governo che essa stessa avrà
scelto; per assicurarle infine il massimo aiuto, qualunque possa essere o quale essa
potrebbe desiderare. Il trattamento riservato alla Russia dalle nazioni sue sorelle durante
i mesi prossimi sarà la pietra di paragone che rivelerà la buona volontà e la comprensione di queste nazioni per i bisogni della Russia, a prescindere dai loro propri
interessi e dalla loro intelligente simpatia.
7. Il mondo intero sarà d'accordo che il Belgio debba essere evacuato e restaurato,
senza alcun tentativo di limitare la sovranità di cui fruisce alla stregua delle altre nazioni
libere. Nessun atto meglio di questo servirà a ristabilire la fiducia delle nazioni nelle
leggi stabilite e fissate per reggere le loro reciproche relazioni. Senza questo atto di
riparazione, la struttura e la validità di tutte le leggi internazionali sarebbero per sempre
infirmate.
8. Tutto il territorio francese dovrà esser liberato, e le parti invase dovranno essere
interamente ricostruite. Il torto fatto alla Francia dalla Prussia nel 1871, per quanto
concerne l'Alsazia-Lorena, che ha turbato la pace del mondo per quasi cinquant'anni,
dovrà esser riparato, affinché la pace possa essere ancora una volta assicurata
nell'interesse di tutti.
9. Una rettifica delle frontiere italiane dovrà esser effettuata secondo le linee di
nazionalità chiaramente riconoscibili.
10. Ai popoli dell'Austria-Ungheria, di cui desideriamo salvaguardare il posto tra le
nazioni, dovrà esser data al più presto la possibilità di uno sviluppo autonomo.
11. La Romania, la Serbia, il Montenegro dovranno essere evacuati; saranno ad essi
restituiti quei loro territori che sono stati occupati. Alla Serbia sarà accordato un libero
accesso al mare, e le relazioni fra i diversi Stati balcanici dovranno esser fissate
radicalmente sulle ispirazioni delle Potenze, secondo linee stabilite storicamente.
Garanzie internazionali di indipendenza politica, economica e d'integrità territoriale
saranno fornite a questi Stati.
12. Alle parti turche del presente Impero ottomano saranno assicurate pienamente la
sovranità e la sicurezza, ma le altre nazionalità che vivono attualmente sotto il regime di
questo Impero devono, d'altra parte, godere una sicurezza certa di esistenza e potersi
sviluppare senza ostacoli; l'autonomia deve esser loro data. I Dardanelli saranno aperti
in permanenza e costituiranno un passaggio libero per le navi e per il commercio di tutte
le nazioni sotto garanzie internazionali.
13. Uno Stato polacco indipendente dovrà esser costituito, comprendente i territori
abitati da nazioni incontestabilmente polacche, alle quali si dovrebbe assicurare un
libero accesso al mare; l'indipendenza politica, economica e l'integrità territoriale di
queste popolazioni saranno garantite da una Convenzione internazionale.
14. Una Società generale delle nazioni dovrebbe esser formata in virtù di convenzioni
formali aventi per oggetto di fornire garanzie reciproche di indipendenza politica e
territoriale ai piccoli come ai grandi Stati.”
Fonte: E. ANCHIERI, Antologia storico-diplomatica, I.S.P.I., Milano 1941, pp. 362370.
5. 9 In biblioteca
Fra le molte ricostruzioni storiografiche della rivoluzione russa si consulti di W.H.
CHAMBERLIN, Storia della rivoluzione russa, 3 voll., il Saggiatore, Milano 1967; e di
R. GAUCHER, 1917. L'anno della rivoluzione russa, Mondadori, Milano 1967. Si
consulti anche di C. HILL, Lenin e la rivoluzione russa, Einaudi, Torino 1965. Sulla
figura di Trotzkij si legga di I. DEUTSCHER, Il profeta armato, Longanesi, Milano
1965. Si consulti anche di G. KATKOV, Russia 1917: La rivoluzione di febbraio,
Laterza, Bari 1969; M. REIMAN, La rivoluzione russa dal 23 febbraio al 25 ottobre,
Laterza, Bari 1965; E.H. CARR, La rivoluzione bolscevica, Einaudi, Torino 1968; M.
FERRO, La rivoluzione del 1917, Mursia, Milano 1974. Per conoscere Lenin si consulti
di L. FISHER, Vita di Lenin, 2 voll., Mondadori, Milano 1967.
Cap. 6 Il congresso di Versailles
La pace risulta stabile se il vincitore opera con giustizia e lungimiranza, in modo da
togliere le cause di attrito tra gli Stati che hanno dato vita al conflitto. A Versailles di
giustizia ce ne fu poca e di lungimiranza ancor meno. I vincitori portarono al tavolo
delle trattative l'odio, le paure e i propositi di rivalsa contro i nemici, avvelenando il
futuro. Ai vinti fu attribuita la responsabilità morale del conflitto appena terminato; poi
fu fatto l'inventario dei beni materiali e delle vite distrutte, tradotto in somme di denaro
astronomiche che si voleva estorcere ai vinti con ogni mezzo; infine si fece l'errore di
non ammettere al tavolo delle trattative i nuovi governi, attribuendo loro le colpe dei
vecchi governi spazzati via. Fu anche troppo facile presentare all'opinione pubblica dei
paesi sconfitti le clausole dei trattati come un'imposizione arbitraria, un Diktat da
eludere ogni volta che se ne presentasse l'occasione.
Ma anche i vincitori cominciarono a manifestare divergenze di vedute sul modo di
amministrare la pace. La Gran Bretagna anelava a risolvere i suoi problemi economici
e sociali anche in relazione al suo vasto impero; la Francia era ossessionata dai problemi della sicurezza e dal pericolo di risurrezione del militarismo tedesco; gli USA
rivelarono i limiti di una fiducia illimitata nei confronti degli istituti della democrazia
parlamentare uniti a un affarismo economico cieco di fronte ai nazionalismi sorti in
ogni angolo d'Europa. A Versailles i problemi politici risolti risultarono pochi rispetto
ai nuovi problemi creati da un dopoguerra reso inquieto da una grave crisi economica
che rendeva la pace ancora carica di tensioni.
La creatura prediletta da Wilson, la Società delle Nazioni, che avrebbe dovuto
risolvere i contrasti tra gli Stati mediante arbitrato, funzionò poco e male. L'insuccesso
delle decisioni prese dal congresso di pace di Versailles fu così grave che appena
vent'anni dopo il mondo precipitò in un conflitto ancora più grave di quello appena
concluso.
6. 1 Le rovine della guerra
Tutti sono concordi nell'affermare che ogni guerra produce una forte accelerazione
del costume sociale perché nel giro di pochi mesi si compiono trasformazioni che in
tempo di pace avrebbero richiesto il trascorrere di molti anni.
Trasformazioni indotte dalla guerra La grande guerra, iniziata sotto la spinta delle
idee prevalenti nel XIX secolo per vendicare l'onore nazionale offeso dagli attentatori di
Sarajevo, poteva apparire ai partiti socialisti aderenti alla Seconda internazionale come
una guerra borghese da cui i proletari dovevano astenersi. Anche a Lenin, chiuso nella
biblioteca cantonale di Zurigo, la guerra appariva come la fase suprema del capitalismo
entrato definitivamente in crisi.
Aumento del potere dei governi Nel corso del lungo conflitto i governi assunsero
maggiori poteri: imbavagliarono la stampa con la censura per tenere alto il morale sia
dei soldati al fronte sia della popolazione civile che doveva assicurare la produzione di
guerra; assunsero il controllo diretto di molte industrie nazionali per far fronte agli
enormi consumi di viveri, vestiario e munizioni per l'esercito; costrinsero la popolazione
civile a comprimere i consumi mediante tessere annonarie; ricorsero a molte restrizioni
della libertà personale (confino, carcerazione di presunti nemici interni) per impedire il
contatto col nemico. Nel corso dell'anno 1917 quasi tutti i governi dovettero fare
aperture ai partiti di opposizione ammettendoli a responsabilità di governo per
imbrigliare ancor meglio le masse popolari rese inquiete dai grandi avvenimenti
maturati in Russia. Nell'ultima fase della guerra i nazionalisti più accesi ripresero la
guida politica dei governi e perciò costoro guidarono le delegazioni al congresso di
Versailles che doveva decidere le condizioni della pace.
I problemi del dopoguerra La smobilitazione dei soldati, che si contavano a milioni,
pose problemi delicati, perché molti tra loro non avevano un mestiere qualificato o un
lavoro in armonia con le loro attese. Ancora più delicata la situazione degli ufficiali di
complemento, abituati dalla guerra a una condizione di relativo prestigio, mentre la
prospettiva della vita civile appariva oscura e incerta. Nell'ultima fase del conflitto
erano proliferati in seno agli eserciti alcuni corpi speciali come gli arditi in Italia:
costoro godevano di numerosi vantaggi personali perché impiegati in situazioni di
estremo pericolo nelle quali occorreva sangue freddo, sprezzo del rischio, spietata
crudeltà. Abituati al pericolo, gli ex arditi portarono anche nella vita civile la violenza
cui si erano abituati. A milioni i contadini tornavano a casa prestando fede all'ingenua
convinzione che avrebbero ricevuto in proprietà la terra dei grandi latifondi. Nel corso
del 1919 si formarono in tutti gli Stati europei associazioni dei reduci di guerra che in
qualche caso tentarono di trasformarsi in partiti politici, oppure davano il loro appoggio
elettorale alle forze politiche che proponevano un programma favorevole agli ex
combattenti.
Estensione del diritto di voto Il diritto di voto fu esteso a tutti i cittadini, in qualche
caso anche alle donne, adottando per la nomina dei deputati il sistema proporzionale,
per esempio in Germania e in Italia.
Le perdite di vite umane Il bilancio dei morti nella grande guerra apparve mostruoso:
anche le cifre più prudenti rivelano che la Germania ebbe circa due milioni di morti;
altrettanti la Russia; la Francia quasi un milione e mezzo; l'impero britannico circa un
milione; l'Italia oltre 680.000; gli USA almeno 100.000. I soldati feriti furono almeno
20 milioni: per tutti costoro fu necessario provvedere a pensioni e altri benefici che
gravarono sui bilanci statali. La crisi del dopoguerra fu terribile: in Germania e Austria
la gente moriva di fame. Per di più nell'inverno tra il 1918 e il 1919 infierì un'epidemia
di influenza, chiamata spagnola, che fece un numero di vittime pari ai caduti al fronte.
La durezza delle clausole di pace imposte ai vinti fu causata anche dall'accumulo di
risentimento avvenuto nei quattro anni di conflitto.
6. 2 I mutamenti sociali del dopoguerra
Le distruzioni della guerra ebbero tuttavia il compito di rendere indilazionabili alcuni
cambiamenti politici che accogliessero i profondi mutamenti sociali già in atto fin
dall'inizio del secolo.
Aspetto dell'Europa L'Europa appariva divisa in tre zone abbastanza nettamente
caratterizzate: a est del fiume Elba predominava ancora l'economia rurale, con scarsi
progressi dell'industrializzazione, mentre era sviluppata la coscienza nazionale su base
etnica. L'Europa orientale appariva arretrata rispetto a quasi tutti i paesi occidentali. I
paesi nord-occidentali, comprendenti Scandinavia, Gran Bretagna, Paesi Bassi, Francia,
Germania, Svizzera apparivano industrializzati, caratterizzati da popolazione urbana, da
sistemi efficienti di credito, da buoni trasporti, da notevole accumulo di capitali da
investire, da alto tenore di vita. La terza area comprendeva il sud d'Europa, ossia Grecia,
Italia, Spagna e Portogallo: presentava uno sviluppo intermedio tra i primi due gruppi di
Stati.
Trasformazioni sociali Le trasformazioni sociali furono complesse e differenziate
secondo le varie aree geografiche e per comodità si possono raggruppare in due classi:
la prima comprende l'aumento e la mobilità della popolazione; lo sviluppo delle città e
delle comunicazioni; la formazione di nuove categorie di lavoratori e di nuovi ceti. La
seconda classe di trasformazioni riguarda, invece, l'accrescimento di produzione e di
distribuzione della ricchezza resa disponibile dal progresso tecnologico; i consumi e gli
usi cui fu devoluta la nuova ricchezza; l'affermarsi nella società di concetti come
giustizia e sicurezza sociale. Si tratta della distinzione tra mutamenti strutturali e
mutamenti funzionali che, se non viene impiegata rigidamente, permette di comprendere
i profondi mutamenti sociali resi manifesti dal cambiamento di carattere e di
composizione della famiglia in quest'epoca.
Popolazione e mobilità sociale Nella prima metà del secolo XX la popolazione
mondiale è cresciuta di circa un miliardo di persone. Fino al 1940 lo squilibrio
demografico tra l'Europa e gli altri continenti non era ancora tale da modificare il
rapporto di forza perché la quota europea rispetto a quella mondiale scese solo dal 20 al
18% (esclusa la Russia). Nel primo ventennio del secolo il tasso di incremento della
popolazione europea era superiore al resto del mondo; nel secondo ventennio la
situazione si è rovesciata. Il fattore demografico va tenuto presente per comprendere il
declino dell'egemonia europea. All'interno dell'Europa il saggio demografico di
incremento era basso nell'Europa nord-occidentale, mentre era più alto nell'est e nel sud.
Questo squilibrio si poteva rilevare dal flusso migratorio: dopo il 1896 l'aliquota
maggiore di emigranti proveniva dall'est e dal sud europeo in un crescendo culminato
nell'anno 1913. In seguito gli USA e altri paesi di lingua inglese posero drastiche
riduzioni all'immigrazione nei loro territori. La guerra mondiale e gli sconvolgimenti
politici che l'accompagnarono produssero migrazioni all'interno dell'Europa: da uno a
due milioni di persone abbandonarono la Russia; dalla Polonia fuggirono in Germania
circa 700.000 coloni tedeschi; l'Ungheria ricevette almeno 400.000 profughi dai territori
che un tempo le erano appartenuti; tra Grecia e Turchia ci fu uno scambio ingente di
popolazione; dalla Germania nazista e dalla Spagna dopo il 1936 fuggirono decine di
migliaia di profughi. La Francia era la meta preferita dagli immigrati perché era poco
popolata e perché i suoi governi non facevano opposizione ai rifugiati: il numero degli
stranieri, per ogni 10.000 abitanti, salì da 267 nel 1901 a 691 nel 1936.
All'interno di ogni paese avvenne un trasferimento di popolazione dalle campagne
alle città: le aree più urbanizzate erano la Gran Bretagna e l'Olanda, poi venivano
l'Italia, la Germania, il Belgio e la Francia: ciò significa che la popolazione delle
campagne diminuiva in numero assoluto, pur incrementando la produzione agricola
mediante l'impiego di macchine, mentre aumentavano gli addetti all'industria e alle
attività terziarie (commercio, libere professioni, servizi).
Sviluppo delle città e delle comunicazioni Intorno alle città più grandi si formarono
sobborghi, quartieri dormitorio, da cui sciamavano, usufruendo di più efficienti mezzi di
trasporto, i lavoratori che si recavano sui posti di lavoro. Naturalmente questi
insediamenti cresciuti così rapidamente, dal punto di vista sociale furono i più inquieti, i
più influenzati dai mezzi di propaganda, i più esposti ad alimentare la criminalità e i
disordini di piazza nei periodi di crisi. In ogni caso sono le masse urbane che hanno
fornito alle organizzazioni sindacali e ai partiti socialisti la possibilità di costringere i
governi ad attuare le riforme sociali. Nel Novecento sono praticamente tramontate le
rivolte contadine.
Prima del 1914, tra la vita di campagna e la vita di città c'erano differenze molto più
forti che ai giorni nostri. Praticamente tutti i contadini erano tagliati fuori dal mondo (a
eccezione del servizio militare), prima della diffusione dell'automobile e della radio.
Dopo il 1920 l'agricoltura si meccanizzò e i contadini hanno finito per assumere
comportamenti comuni agli abitanti di città. Peraltro i cittadini avevano buoni motivi
per rimpiangere alcuni aspetti della vita di campagna e ciò spiega la diffusione dello
scautismo, che praticava l'ideale del ritorno alla natura, favorito dalle ferrovie e dalle
automobili.
La formazione di nuove categorie di lavoratori I mutamenti della struttura sociale in
qualche modo attenuarono l'antica contrapposizione tra operai e padroni, dirigenti e
professionisti. I ruoli tendevano a moltiplicarsi rendendo la società sempre più complessa e sempre più interdipendenti i lavoratori. Aumentarono gli operai specializzati,
formanti una vera e propria aristocrazia operaia, i tecnici in possesso di cultura specifica
e i professionisti. Per la formazione di questi quadri si dovette estendere l'istruzione
professionale: molti poteri decisionali passavano agli operai inquadrati nei sindacati, e
dai proprietari d'azienda ai dirigenti e ai manipolatori dell'opinione pubblica.
I lavoratori addetti all'industria, intorno al 1910, erano il 48% in Gran Bretagna, il
40% in Germania, il 33% in Francia, il 30% negli USA. Nel 1936 gli addetti
all'industria in Italia erano ancora solo il 30% mentre il 40% erano impiegati in agricoltura, contro il 35% in Francia e il 6% in Gran Bretagna.
Negli anni Trenta una serie di motivi fecero acuire i contrasti sociali tra capitalisti e
lavoratori. In Francia si levarono accuse da parte dei partiti di sinistra contro le 200
famiglie che detenevano gran parte delle banche, dell'industria, delle attività minerarie
del paese. In Germania i maggiori capitani d'industria e i finanzieri favorirono l'avvento
del nazismo. In Spagna il conflitto sociale produsse lo scontro tra conservatori e fronte
popolare che sfociò nella guerra civile. Dovunque trionfò il nazionalismo che invocava
misure protezionistiche a favore dell'industria nazionale e vasti programmi di lavori
pubblici per far fronte alla crisi economica.
Produzione e distribuzione della ricchezza Dopo il 1920 i governi europei si
proposero di impiegare l'incremento del reddito nazionale per migliorare il tenore di vita
almeno di alcune categorie sociali. Non è facile trovare indici sicuri e univoci per misurare il tenore di vita di una popolazione: uno dei più significativi è quello della
mortalità infantile che indirettamente informa sulle condizioni igieniche, sanitarie,
alimentari di una popolazione. Nel 1901 la mortalità infantile, entro il primo anno di
vita, in Gran Bretagna era del 142 per mille; nel 1922 questo tasso era sceso all'82 per
mille e nel 1932 era del 67 per mille. La mortalità infantile in Francia era del 161 per
mille nel 1902; del 97 per mille nel 1920; dell'80 per mille nel 1930. Negli altri paesi
europei la mortalità infantile rimase molto più alta, ma si dimezzò negli anni tra il 1930
e il 1950, un segno che la ricchezza prodotta veniva impiegata per fini sociali.
Anche la vita media si allungò di circa tre anni e mezzo ogni decade dopo il 1900, e
anche questo fatto significa che l'igiene, l'alimentazione più varia, l'acqua potabile, gli
ospedali ecc. avevano fatto significativi progressi. L'industrializzazione, l'espansione
degli scambi mondiali, i progressi dell'agricoltura e dei trasporti furono determinanti per
il miglioramento complessivo delle condizioni di vita anche se tali miglioramenti
apparivano disuguali tra le varie regioni d'Europa: si calcola che nel 1938 il reddito
individuale medio era di 378 dollari in Gran Bretagna, 367 in Olanda, 236 in Francia,
127 in Italia, 80 in Grecia. Anche in questo caso le differenze del reddito annuo pro capite si adeguavano al diverso sviluppo tra le tre parti d'Europa. Negli stessi anni
avvennero la riduzione della giornata lavorativa, l'anticipo dell'età pensionabile,
l'allungamento dell'istruzione obbligatoria.
Consumi e impiego della ricchezza prodotta Se le risorse crebbero, diminuì tuttavia la
sicurezza della proprietà. Nella prima metà del XX secolo ci furono guerre immani,
rivoluzioni, crisi economiche che sconvolsero l'assetto della proprietà. Al termine della
Prima guerra mondiale crollarono gli imperi russo, absburgico, turco travolgendo le
aristocrazie e i ceti possidenti. In Russia la terra, le industrie, la finanza furono requisite
dal partito comunista. In Germania la svalutazione del 1923 mandò in rovina le
categorie che vivevano di rendita, e dopo il 1933 i patrimoni degli ebrei furono
confiscati. Nell'Europa orientale i partiti comunisti arrivati al potere dopo la Seconda
guerra mondiale seguirono la via indicata dall'esempio sovietico, trasformando l'assetto
della proprietà in modo tale da provocare un'altra ondata di profughi che partivano quasi
senza nulla.
Non è facile indicare la categoria sociale che globalmente abbia acquisito maggiore
ricchezza. I proprietari terrieri furono meno colpiti dall'inflazione e meno danneggiati
dalla svalutazione della moneta rispetto a coloro che vivevano a reddito fisso, ma furono
più esposti alla confisca del patrimonio. Gli industriali, i commercianti e gli addetti ai
trasporti soffrirono per la depressione dell'economia mondiale, per la distruzione degli
impianti per cause belliche, ma nello stesso tempo avventurieri e speculatori radunarono
patrimoni colossali. I salariati industriali e agricoli soffrirono per la disoccupazione: nel
1930 in Germania c'erano 5 milioni di disoccupati, saliti a 6 nel 1932, mentre nello
stesso anno i disoccupati erano in Gran Bretagna circa 3 milioni. La Francia, meno
legata al commercio internazionale, non conobbe disoccupazione di massa.
Giustizia e sicurezza sociale La prosperità che il progresso tecnologico procurò
all'Europa ebbe come rovescio della medaglia l'accrescimento di sofferenze, privazioni,
stenti. Inoltre la ricchezza di alcuni rendeva ancora più intollerabile la povertà di altri.
Crebbe perciò dopo il 1920 la richiesta di intervento dello Stato perché garantisse una
maggiore giustizia e tutelasse meglio la vita dei cittadini dai rischi della miseria.
La richiesta di maggiore giustizia sociale esigeva di portare a termine la rivoluzione
democratica del secolo XIX che aveva ottenuto il diritto di voto e l'estensione dei diritti
civili a tutti i cittadini. Significava inoltre attenuare le disuguaglianze sociali, attaccando
i possessori delle ricchezze estreme per mettere rimedio alle povertà estreme. In terzo
luogo occorreva aprire l'accesso agli studi superiori e alle carriere più prestigiose di tutti
i capaci e meritevoli. Infine bisognava proteggere l'individuo e la famiglia dai rovesci
della società industriale e dell'economia mondiale, troppo fluttuante, mediante
provvidenze che potevano rimediare alle malattie, alla vecchiaia, agli incidenti di
lavoro, alla disoccupazione. La spinta verso la maggiore giustizia e verso la sicurezza
sociale divenne massima soprattutto dopo la Seconda guerra mondiale conducendo a
quello che viene definito lo Stato assistenziale.
6. 3 L'avvento della società di massa
Intorno al 1900 numerosi Stati europei avevano concesso il suffragio universale
maschile.
Estensione del diritto di voto I francesi con più di 21 anni avevano ottenuto il diritto di
voto fin dal 1870; i tedeschi ebbero lo stesso diritto nel 1871; i belgi nel 1893; gli
olandesi nel 1896. Nel 1907 il suffragio universale maschile fu introdotto in Austria e
l'anno dopo in Turchia. Nel 1912 fu la volta dell'Italia. Poi cominciarono a votare anche
le donne: nel 1918 in Gran Bretagna, nel 1919 in Germania, nel 1945 in Francia, nel
1946 in Italia. In Svizzera le donne hanno ottenuto il diritto di voto solo nel 1971, ma
non sembra che nel frattempo abbiano sofferto molto, perché in quel paese anche gli
uomini che vanno a votare sono pochi.
Pensioni e assegni famigliari Dopo il 1920 i governi dovettero impegnarsi a
conquistare il voto femminile e ciò può spiegare i programmi volti ad assegnare le
pensioni alle vedove, agli anziani e a prevedere maggiore riconoscimento al lavoro delle
casalinghe mediante gli assegni famigliari. Inoltre le varie legislazioni dovettero
ampliare la gamma dei lavori accessibili alle donne, arrivando un poco alla volta alla
parificazione dei diritti in tutte le professioni. Tutto ciò ebbe ripercussioni sulla struttura
e composizione della famiglia europea: da una parte avvenne il passaggio dalla famiglia
patriarcale tipica della società contadina del passato, alla famiglia nucleare (genitori e
figli) in una piccola casa urbana; dall'altro il numero dei figli si ridusse all'interno di
ogni famiglia in seguito all'attività di lavoro della madre, al desiderio di maggior tempo
libero, viaggi, vacanze. In genere, la famiglia è divenuta meno autoritaria al suo interno,
ma anche più fragile perché il disagio di un solo membro mette in crisi tutti gli altri che
non hanno più a disposizione la forza protettiva del clan. Anche per questo motivo
occorreva una società assistenziale per fornire numerosi servizi per far fronte a ogni
emergenza della famiglia nucleare (scuole materne, servizi pediatrici, scuole a tempo
pieno ecc.) e gli assegni famigliari che dovrebbero accrescere le risorse della famiglia in
proporzione ai bisogni. Le due guerre mondiali e la disoccupazione di massa dopo il
1929 indebolirono l'autorità paterna in famiglia, più dei provvedimenti dei legislatori.
La famiglia La sociologia della famiglia è disciplina complessa, meno dipendente dal
potere politico di quanto si creda. In ogni caso la famiglia rimane la società umana
meno costosa, più semplice e autosufficiente: per di più, dal punto di vista economico la
famiglia è la migliore struttura per realizzare risparmi, anche tacendo il fatto che
nessuna struttura pubblica potrà dare reale affetto a coloro che vi ricorrano.
Scuola I due settori in cui l'intervento statale fu più determinante sono la scuola
pubblica e la previdenza sociale. Il numero degli analfabeti discese vistosamente,
mentre l'istruzione secondaria e tecnica si diffuse, e nuove università furono fondate un
po' ovunque. Spesso lo Stato cercò di imporre ai giovani mediante la scuola statale una
visione dei valori funzionale al potere come avvenne in Germania, in Italia e in Russia,
generando conflitti tra Stato e confessioni religiose.
Gli strumenti della comunicazione di massa I partiti democratici ritenevano che la
diffusione dell'istruzione, la stampa libera, il moltiplicarsi di biblioteche e di altre
opportunità offerte da una società aperta avrebbero prodotto innalzamento culturale,
maggiore libertà e responsabilità crescente da parte dei cittadini. In realtà questi
successi della democrazia comportavano una specie di doppio effetto: da una parte
realizzavano maggiore democrazia; dall'altra producevano i germi dei regimi che si
proponevano di distruggere la democrazia, facendo leva sulle masse mediante la
propaganda. La novità non consisteva nell'estrema facilità della gente di venir
soggiogata dai vari messaggi - un fenomeno comune a tutte le epoche - né che il nazionalismo fiero e bellicoso suscitasse l'entusiasmo popolare, bensì la prontezza con cui
grandi masse urbane si sottomettevano a una pressione ideologica proposta mediante la
pubblicità e la stampa, la radio e il cinema, unita all'importanza crescente di questi
strumenti di comunicazione ora che esisteva il suffragio universale. I traumi della guerra
mondiale furono amplificati dai mass media.
Si restringe l'area della democrazia Tra le due guerre si poteva avere l'impressione,
esclusi i paesi di lingua inglese, che la democrazia regredisse di fronte al progresso delle
dittature. Il sistema a partito unico, arrivato al potere nella Russia sovietica, in
Germania, in Italia e in quasi tutti i paesi dell'est europeo, utilizzò a fondo i nuovi mezzi
di comunicazione per incanalare gli impulsi irrazionali della masse.
Manipolazione delle masse La manipolazione andava dallo sport alle mode più varie,
dalla musica leggera ai balli, ma fu utilizzata anche per rendere popolare il riarmo e le
guerre coloniali, l'odio per certi popoli stranieri e il disprezzo per la Società delle
Nazioni, l'aumento della produttività e il successo dei piani quinquennali.
Le assicurazioni sociali Già dalla fine del secolo XIX negli Stati europei, meno la
Russia e gli Stati balcanici, era stato attuato un sistema organico di assicurazioni sociali.
Tra il 1880 e il 1890 Bismarck aveva istituito per tutti gli operai un sistema di
previdenza contro malattie, infortuni sul lavoro e vecchiaia, esteso nel 1911 a molte
altre categorie di lavoratori. In quello stesso anno in Gran Bretagna fu promulgata una
legge che istituiva un'assicurazione nazionale contro le malattie e anche contro la
disoccupazione. In Austria, Svizzera, Italia si ottenne qualcosa del genere intorno al
1890. La Francia rese obbligatoria l'assicurazione sociale nel 1928.
Servizi sociali Infine, in quasi tutte le grandi città furono completati impianti per
l'acqua potabile portata in tutte le case, gas, elettricità, trasporti urbani, ospedali, mercati
rionali, uffici di collocamento, impianti sportivi, parchi pubblici, scuole ecc.
amministrati con criteri sociali dai municipi.
Tassazione I governi, soprattutto durante la guerra, avevano esteso la sfera dei loro
interventi nei servizi pubblici e sociali, esigendo dai cittadini maggiori contributi
finanziari per far fronte alle accresciute spese pubbliche. Poiché le imposte indirette
incontravano crescente ostilità da parte degli elettori, furono aumentate le imposte
dirette promovendo accertamenti più rigorosi dei redditi e dei patrimoni, inasprite le
tasse di successione, istituite imposte addizionali per le fasce superiori di reddito,
innalzate le tasse sugli incrementi di valore delle aree edificabili, confiscate le terre non
coltivate ecc. Certamente si può affermare che le due guerre mondiali hanno abituato le
popolazioni a pagare più tasse che in passato, e certamente una quota significativa di
reddito passò dai ricchi ai poveri, così come le popolazioni si abituarono a un crescente
intervento dello Stato nelle questioni economiche tanto da far parlare di un declino delle
teorie liberiste.
Consumi di massa L'aumento del reddito nazionale e la crescente quota destinata ai
ceti medi e agli operai incrementarono le spese voluttuarie e i consumi di massa che
caratterizzano la nuova società. Il tempo libero aumentò, quasi tutti i lavoratori ebbero
un periodo di ferie pagate; incrementarono i prodotti standardizzati, le catene di negozi,
i supermercati, le vendite a rate, il consumo di alcolici e tabacco, i divertimenti, gli
spettacoli sportivi, le scommesse.
Divertimenti di massa Dopo il 1920 il film muto, e dopo il 1929 il film parlato
attirarono folle di spettatori e certi attori come Stan Laurel, Oliver Hardy, Charlie
Chaplin divennero universalmente noti. Furono costruiti cinema con migliaia di posti:
nel 1937 in Italia c'erano 9000 sale cinematografiche con posti a sedere per 3.500.000
spettatori. La passione per il ballo non fu minore e perciò si costruirono sale con grande
incremento del consumo di bevande gassate, alcune delle quali raggiunsero una
diffusione mondiale. Gli stadi furono resi necessari dalla diffusione degli sport di
squadra come il calcio. Le scommesse fiorirono in modo impressionante trascinando
con sé una vivace stampa popolare che dava largo spazio alla pubblicità, ricavando da
essa la possibilità di abbassare il prezzo di vendita dei giornali. Si trattava di stampa
strillata che doveva continuamente creare miti per tenere desta l'attenzione dei volubili
lettori.
Sport Lo sport divenne per la prima volta dopo il 1920 uno spettacolo di massa. Alcuni
tornei come le olimpiadi erano già sorti fin dal 1896; la coppa Davis di tennis fu istituita
nel 1900; la Coppa del mondo di calcio fu lanciata a Parigi nel 1904; il Tour de France
per ciclisti iniziò nel 1903 e poi via via si aggiunsero sempre nuovi tornei. Quando le
automobili cominciarono a far sognare velocità da capogiro furono istituiti i Gran premi
che mettevano in palio capitali ingenti, dal momento che un successo importante faceva
piovere ordini di acquisto sulla ditta costruttrice del veicolo vincente. Per seguire gli
avvenimenti sportivi furono istituiti giornali specializzati, mentre i cronisti inventavano
alla radio un linguaggio immaginifico per permettere agli ascoltatori di "vedere" ciò che
accadeva in campo. Lo sport, per chi lo praticava a livello agonistico, divenne una
professione nuova mentre tra la folla si affermava il fenomeno del tifo sportivo che
assunse aspetti nazionalisti quando si cominciò ad attribuire alla nazione i successi
ottenuti dai suoi atleti: in Italia e in Germania i regimi totalitari assegnavano alle vittorie
sportive il compito di galvanizzare le folle a favore del regime che aveva fatto
guadagnare quelle medaglie.
6. 4 I nuovi assetti dell'economia mondiale
Fino al 1914 l'Europa aveva sfruttato la sua posizione di egemonia mondiale culturale, politica, economica -. La parte più significativa d'Europa era formata da Gran
Bretagna, Germania, Francia, avendo in mezzo a loro i tre piccoli Stati di Olanda Belgio
e Lussemburgo: i primi tre paesi, nell'età del ferro e del carbone, producevano il 93%
del carbone, il 78% dell'acciaio e l'80% dei macchinari europei.
Dominio dell'Europa Gli Stati ricordati avevano esteso la loro sovranità su gran parte
dell'Africa, dell'Asia, dell'Oceania. Ci si era già resi conto che esistevano due Stati
extraeuropei - Giappone e Stati Uniti - in fase di crescita accelerata, ma fino al 1914 non
si aveva l'impressione che il sistema economico potesse venir sconvolto e l'Europa
perdesse la centralità. La sterlina e le altre monete forti d'Europa erano ancorate all'oro,
ossia i pagamenti avvenivano in valuta o in oro. Dalla City di Londra si poteva
controllare lo scenario economico mondiale: un qualunque privato, senza sottostare a
controlli, poteva trasferire capitali da una parte all'altra del mondo, poteva acquistare o
vendere su qualunque piazza, le compagnie d'assicurazione operavano su scala
mondiale al punto che molti finivano per scambiare questa sicurezza economica con
l'ordine etico che la provvidenza avrebbe assegnato all'uomo bianco, possibilmente
anglosassone e protestante.
Imperialismo economico Le colonie inviavano alla madrepatria le materie prime,
ricevendo manufatti, macchinari, servizi: poco importava il corrispettivo di sofferenze,
povertà disperata, sottosviluppo delle popolazioni coloniali, perché il primo assioma
della scienza economica di allora era la completa separazione tra politica ed economia: i
governi dovevano occuparsi solo dell'ordine pubblico mentre gli affari dovevano esser
lasciati al libero gioco della domanda e dell'offerta. Noi, col senno di poi, sappiamo che
quel sistema non poteva durare a lungo e che l'imperialismo economico dell'Europa
aveva i giorni contati.
Pianificazione economica in Germania Bastarono pochi mesi di guerra per far capire
che nessuno Stato belligerante era in grado di infliggere agli avversari il colpo di grazia
e che perciò vincitore sarebbe stato chi avesse saputo organizzare il sistema produttivo
in modo da sopportare più a lungo degli avversari l'usura del conflitto. Fin dal 1915 il
governo tedesco pianificò la produzione di armi, di tessili, di viveri e dei surrogati per
sostituire le merci che il blocco navale britannico impediva di ricevere dal resto del
mondo. Walther Ratenau predispose la pianificazione generale dell'economia tedesca
che fino al 1918 resse all'assedio intorno alla Germania. La pianificazione tedesca del
periodo di guerra non comportò la distruzione del sistema capitalistico basato sul profitto, bensì solo l'orientamento della spesa pubblica e un accurato sistema di controllo di
costi e di prezzi.
Disordine economico in Russia La Russia zarista, invece, pur avendo in teoria il
regime più assolutista d'Europa, non seppe orientare il proprio sforzo produttivo e in più
commise errori grossolani nel corso della mobilitazione, assegnando all'esercito il 37%
degli operai e delle altre forze produttive, col risultato che la produzione di ferro e di
carbone diminuì, l'agricoltura non ottenne i raccolti del 1913, munizioni e fucili non
arrivarono al fronte causando lo sfacelo della società civile, la sconfitta militare, la
rivoluzione politica.
L'economia di guerra nell'intesa In Francia, Gran Bretagna e Italia l'organizzazione
dell'economia di guerra ebbe successo, anche se questi paesi ebbero la fortuna di non
vedere interrotti i loro trasporti navali. Terminato il conflitto, i paesi vincitori si
affrettarono a smantellare le strutture amministrative dell'economia pianificata.
Sembrava che la prosperità fosse inseparabile dalla completa libertà di intrapresa economica, dalla libertà di mercato, ma senza tener conto che le finanze di tutti i paesi europei
erano oppresse dai debiti: i governi di Germania, Austria, Ungheria, Turchia, Bulgaria
erano pesantemente gravati dalle riparazioni di guerra calcolate in misura arbitraria;
Francia, Italia e quasi tutti i governi europei erano indebitati con la Gran Bretagna, la
quale a sua volta era fortemente indebitata con gli USA.
John M. Keynes Faceva parte della delegazione britannica al congresso di Versailles
John Maynard Keynes, un giovane economista che comprese per primo l'errore di
imporre alla Germania pesi economici impossibili da sopportare. Non essendo stato
ascoltato, dette le dimissione dall'incarico e scrisse un libro dal contenuto esplosivo: Le
conseguenze economiche della pace (1919). Nel suo libro, Keynes attaccava Lloyd
George e Wilson, affermando che l'impossibilità di pagare le riparazioni di guerra da
parte della Germania avrebbe provocato il crollo dell'economia mondiale. In seguito il
Keynes, dalla sua cattedra di economia di Cambridge, continuò a occuparsi di problemi
monetari, di politiche economiche idonee a permettere la ricostruzione di un sistema di
scambi internazionali affidabile.
Keynes critico dell'economia classica Fin verso gli anni Trenta il Keynes poteva esser
considerato un economista di scuola ortodossa, sia pure dotato di notevole capacità di
penetrazione nelle questioni economiche più attuali. Ma dopo il crollo della borsa di
Wall Street del 1929, e dopo la grande recessione durata fin oltre il 1932, il Keynes
divenne il maggiore esponente di una nuova scuola economica fortemente critica nei
confronti della scuola classica.
Necessità di orientare la spesa pubblica Analizzando le cause della recessione
mondiale degli anni intorno al 1930 Keynes dimostrò che, mantenendo ferme le leggi
dell'economia politica classica (assoluta libertà di mercato, prezzi determinati dalla domanda e dall'offerta ecc.) era possibile che l'equilibrio venisse ristabilito, ma senza
ottenere il pieno impiego delle forze la lavoratrici, una circostanza grave sotto il profilo
sociale, perché i disoccupati potevano rappresentare una forza dirompente della società,
se manovrati da qualche demagogo. Perciò, per ottenere il pieno impiego delle forze
lavoratrici il governo doveva promuovere la spesa pubblica per fini sociali (strade,
parchi pubblici, ripristino dell'ambiente naturale ecc.) in modo da creare un volano atto
a trascinare l'iniziativa privata, creando nuovi posti di lavoro. Perciò, secondo questa
teoria il pieno impiego può venir conseguito solo se il governo e la banca centrale
incoraggiano l'investimento di capitali in nuovi beni, mantenendo basso il costo del
denaro e investendo molte risorse in opere pubbliche, anche a costo di provocare una
leggera inflazione. Queste idee furono divulgate in un libro famoso Teoria generale
dell'impiego, interesse e moneta del 1936 che attaccava a fondo gli economisti classici e
quei politici come Herbert Hoover, presidente degli USA fino al 1932, i quali di fronte
al collasso dell'economia mondiale attendevano un'automatica ripresa degli investimenti
e la riattivazione degli scambi senza l’intervento dei governi nelle questioni
economiche. Il Keynes fu ascoltato dal presidente americano Franklin D. Roosevelt il
quale lanciò il programma di forte intervento governativo, che va sotto il nome di New
Deal, e che è il maggior successo di quel presidente.
Keynes e l'economia di guerra In patria il Keynes fu criticato finché la Seconda guerra
mondiale pose ancora una volta alla Gran Bretagna il problema della sopravvivenza
sotto i bombardamenti di Hitler. In qualità di consigliere dello scacchiere, Keynes ebbe
grandi responsabilità per l'organizzazione delle finanze di guerra. Nel 1944 partecipò
alla conferenza di Bretton Wood in Canada dove furono gettate le basi del Fondo Monetario Internazionale e della Banca mondiale per stabilizzare i cambi e permettere la
ricostruzione dei rapporti economici mondiali, dopo che era tramontata l'idea della parità aurea con la moneta circolante. L'affidabilità di una moneta non è più garantita
dall'equivalente aureo posseduto dalla banca centrale, bensì è garantita dal sistema
sociale e industriale in grado di produrre beni che possono venir acquistati dai
possessori di quella moneta.
L'economia pianificata Mentre l'Occidente era sconvolto dalla crisi economica,
nell'Unione Sovietica veniva operato uno straordinario esperimento economico, la
pianificazione totale dell'economia sopprimendo la logica del profitto privato e dei
prezzi determinati dal gioco della domanda e dell'offerta sul mercato. Semplificando al
massimo, il sistema si potrebbe descrivere in questi termini. Un ufficio centrale di
pianificazione determina le esigenze individuali in viveri, vestiario, servizi ecc., poi
moltiplica queste esigenze per il numero degli abitanti di ogni provincia e ordina di
rifornire i punti vendita con le merci previste. Ai lavoratori è assegnato un salario
equivalente alle merci e servizi per loro previsti (si conserva il denaro perché più pratico
della consegna diretta delle merci, ma si tratta di denaro che non è scambiato con altre
valute e non può acquistare beni e servizi diversi da quelli previsti dalla pianificazione).
Assolte le esigenze minime della sopravvivenza dei cittadini, lo Stato poteva dedicare le
risorse sopravanzanti alla costruzione di una nuova società, per estendere la rivoluzione
ecc. Ora noi sappiamo che i piani quinquennali hanno procurato gravi distorsioni nello
sviluppo economico dell'Unione Sovietica, disservizi, sprechi, corruzione, assenza di
merci essenziali nei punti di vendita ecc.
6. 5 Il congresso di Versailles e i trattati finali
La conferenza di Versailles iniziò ufficialmente il 18 gennaio 1919. Era presente il
presidente degli USA Woodrow Wilson, il premier britannico David Lloyd George, il
presidente del consiglio francese Georges Clemenceau, il presidente del consiglio
italiano Vittorio Emanuele Orlando oltre ai rappresentanti di altre venti nazioni di tutti i
continenti. All'interno di questa folta rappresentanza si formò un Consiglio dei dieci
formato da due delegati per ognuna delle cinque grandi potenze (le quattro citate più il
Giappone).
I lavori della conferenza di Versailles È opportuno ricordare che i lavori di Versailles
furono condizionati dagli avvenimenti contemporanei, in particolare dalla guerra civile
in Russia e dalla rivoluzione degli spartachisti in Germania. Alla ventata di ottimismo
diffusasi subito dopo l'armistizio di novembre era subentrata la dura realtà di un'Europa
indebolita, affamata, senza carbone, attanagliata dall'epidemia di febbre spagnola. Fino
a marzo i lavori non fecero progressi finché iniziarono conversazioni informali alla
presenza dei soli quattro "grandi" Clemenceau, Lloyd George, Wilson e Orlando.
Il problema del confine franco-tedesco I lavori raggiunsero il punto critico quando la
Francia avanzò pretese sulla Renania tedesca: oltre all'Alsazia-Lorena, Clemenceau
pretendeva il bacino carbonifero della Saar e la trasformazione del territorio a ovest del
Reno in uno Stato cuscinetto ostile alla Germania. Wilson e Lloyd George si opposero a
quest'ultima richiesta che avrebbe riproposto sotto mutato segno l'errore compiuto dalla
Germania nel 1871 con l'annessione dell'Alsazia-Lorena. Fu deciso di far amministrare
il territorio della Saar da un organismo della Società delle Nazioni, tenendo un plebiscito dopo quindici anni per decidere a quale Stato assegnare il territorio conteso. La
Francia chiese: a) assicurazioni di immediato intervento inglese e americano nel caso di
aggressione da parte della Germania; b) smilitarizzazione della Renania per la
profondità di almeno 50 chilometri dal confine francese; c) occupazione per quindici
anni della sponda occidentale del Reno da parte di truppe francesi. Il 22 aprile queste
condizioni furono accettate dai quattro grandi. Poi fu convocato un rappresentante
tedesco, Brockdorff-Rantzau per presa d'atto dell'accordo intervenuto comprendente una
pesante penalità finanziaria: la risposta del diplomatico tedesco fu che la cifra indicata
era di gran lunga superiore a ogni possibilità di pagamento da parte della Germania e
che l'accordo violava lo spirito e la lettera dei Quattordici punti di Wilson. Gli alleati
risposero con la minaccia di riprendere i combattimenti.
Trattato di pace con la Germania Il 28 giugno 1919 nel salone degli specchi di
Versailles i plenipotenziari tedeschi firmarono il lungo trattato - circa 400 articoli - che
nessuno in Germania considerava equo e che subito si cercò di aggirare. Tra le clausole
più significative si possono ricordare: la cessione di Alsazia-Lorena alla Francia; la
cessione dei distretti di Eupen e Malmédy al Belgio; assicurazioni circa l'indipendenza
dell'Austria; la cessione dell'Alta Slesia alla Cecoslovacchia; cessione della Posnania e
di un tratto della Prussia orientale alla Polonia per creare un corridoio di accesso al
Baltico: Danzica assumeva lo statuto di città libera sotto la protezione della Società
delle Nazioni; il distretto di Memel doveva passare alla Lituania. A conti fatti la
Germania perdeva circa il 13% del suo territorio con 7 milioni di abitanti. Perse anche le
colonie e le navi mercantili superiori a 1600 tonnellate di stazza.
Disarmo della Germania Il trattato di Versailles conteneva molti articoli riguardanti il
disarmo della Germania: fu abolita la coscrizione obbligatoria (era concesso un esercito
con leva a lungo termine di soli 100.000 uomini) senza artiglieria pesante e senza carri
armati. La marina tedesca fu ridotta al minimo con navi che non potevano superare il
dislocamento di 10.000 tonnellate; i sottomarini e l'aviazione militare furono proibiti del
tutto. Il governo tedesco era obbligato a deferire a tribunali internazionali i criminali di
guerra e doveva assumere la responsabilità morale della guerra appena finita.
Ostilità suscitata dal trattato La stampa tedesca iniziò subito una rabbiosa polemica
avversa alle condizioni di pace definite inaccettabili, un Diktat che non rispettava i
Quattordici punti. Inoltre le clausole erano troppo numerose e avrebbero richiesto troppi
controlli se davvero gli alleati avessero voluto farle rispettare.
Gli altri trattati di pace A settembre fu reso noto il trattato con l'Austria firmato a
Saint-Germain; a novembre il trattato di pace con la Bulgaria firmato a Neuilly; nel
giugno 1920 il trattato di pace firmato al Trianon con l'Ungheria, ritardato dal tentativo
di rivoluzione comunista guidato da Bela Kun (marzo-luglio 1919) terminato con la
reazione di destra guidata dall'ammiraglio Horty. In pratica questi trattati ridisegnavano
la carta politica dell'Europa centrale perché l'impero absburgico fu diviso in una mezza
dozzina di Stati piccoli, con pochi abitanti, dalla vita economica incerta.
Austria L'Austria veniva ridotta alla sola popolazione di lingua tedesca, circa sei
milioni di abitanti di cui un terzo concentrato nella capitale Vienna. La provincia di
Bolzano venne ceduta all'Italia nonostante avesse popolazione di lingua tedesca, mentre
l'Austria mantenne la regione a est di Vienna chiamata Burgenland, benché fosse abitata
da cittadini di origine ungherese.
Ungheria L'Ungheria fu la nazione maggiormente mutilata perché a nord lasciava la
Slovacchia alla nuova repubblica di Cecoslovacchia formata da Boemia, Moravia e
Slovacchia; a est cedette la Transilvania, con una forte minoranza magiara, alla
Romania che fu ingrandita anche con cessioni di territorio nel Banato, in Bucovina e in
Bessarabia.
Bulgaria La Bulgaria perdette l'accesso al Mar Egeo attraverso la Tracia ceduta alla
Grecia, e la Dobrugia ceduta alla Romania che risultò lo Stato maggiormente favorito
insieme con la Polonia ritornata indipendente. La Polonia spinse le proprie
rivendicazioni fino in Ucraina sostenendo una guerra contro l'URSS.
Problemi aperti Questo, in breve, il lavoro compiuto dalle delegazioni di pace riunite a
Versailles. Non fu un lavoro brillante, ma forse non si poteva fare molto di più in una
situazione resa incandescente dal nazionalismo esasperato dalle piccole nazionalità
dell'est europeo. L'impero absburgico era riuscito a collegare un mosaico di nazionalità
che si erano già ribellate nel 1848: la sconfitta militare del 1918 non permetteva di
tenere uniti gruppi così rissosi posti tra due colossi come la Germania e l'URSS, per il
momento prostrati ma in possesso di notevole potenziale militare, politico ed
economico. Fin dal 1919 comparve un movimento federalista europeo, ma si trattava di
un progetto prematuro. Anche il principio di autodeterminazione dei popoli non fu
applicato a favore dei tedeschi, per esempio nella zona dei Sudeti, e in Austria quando si
fece divieto di unione con la Germania.
Jugoslavia Non molto vitale apparve la riunione di Croazia e Slovenia, Bosnia ed
Erzegovina con la Serbia e il Montenegro nel nuovo Stato chiamato Jugoslavia, accolto
con molta simpatia in Francia e Gran Bretagna, con freddezza in Italia che scorgeva in
quello Stato il suo maggior pericolo.
La questione di Fiume La questione di Fiume complicò ulteriormente il trattato di
pace: infatti il 19 settembre 1919 il d'Annunzio aveva compiuto un colpo di mano
occupando quella città che il trattato di pace assegnava alla Jugoslavia, mentre in Italia
si diffondeva la sensazione che il contributo italiano alla vittoria degli alleati fosse stato
svilito, e che nella spartizione dell'impero coloniale tedesco all'Italia fossero state
concesse solo briciole di secondaria importanza.
Isolazionismo degli USA Tornato Wilson in America e colpito poco dopo da paralisi,
la politica degli USA finì per orientarsi verso il tradizionale isolazionismo: perfino la
Società delle Nazioni, la proposta più originale avanzata da Wilson per assicurare la
pace al mondo, non fu accettata dalla nuova maggioranza repubblicana. Si ebbe così
l'assurdo di una pace pattuita secondo le direttive di un presidente americano dalla quale
per primo si dissociava il suo paese.
La questione delle riparazioni Fonte di infinite discussioni furono le clausole del
trattato di Versailles circa l'ammontare e i modi di pagamento delle riparazioni che la
Germania doveva agli alleati. Nel 1921 le riparazioni di guerra furono fissate nella cifra
di 6.600.000 sterline pari a 132 miliardi di marchi-oro: la Germania, dietro minaccia di
occupazione della Ruhr, accettò di pagare la prima rata di un miliardo di marchi-oro. Gli
statisti alleati finirono per subordinare il pagamento dei loro debiti verso gli USA al
ricevimento delle riparazioni tedesche. Qualche economista americano comprese per
tempo che la Germania non avrebbe pagato mai quella somma favolosa, e consigliò alle
autorità del suo paese di considerare i prestiti agli alleati europei come spese di guerra
chiudendo la questione. Wilson e ancor più il suo successore Calvin Coolidge non
furono d'accordo: nel 1922 fu nominata una commissione che studiò un piano di
ammortamento del debito previsto in 25 anni al tasso del 4,25% annuo. La Gran
Bretagna fece conoscere ai suoi alleati europei che le dovevano 1300 milioni di sterline;
alla Russia che le doveva 650 milioni di sterline e alla Germania che le doveva 850
milioni di sterline. Il debito della Gran Bretagna verso gli USA era di 850 milioni di
sterline: le richieste americane costringevano la Gran Bretagna a insistere presso gli
alleati per avere quanto le era dovuto.
L'occupazione francese della Ruhr La Francia decise di rivalersi sulla Germania dove
nel frattempo l'inflazione era cresciuta in misura tale da costringerla a interrompere il
pagamento delle riparazioni per non andare incontro alla bancarotta. La Francia volle
garanzie in natura, e nel 1923 inviò le sue truppe nella Ruhr, in contrasto con la Gran
Bretagna che non approvò la decisione. Il governo tedesco ritenne conveniente
contrapporre una resistenza passiva alla Francia, preferendo il caos dell'inflazione al
pagamento delle riparazioni. Il marco non ebbe più quotazione e l'economia tedesca
apparve paralizzata: fu questa del 1923 la vera e propria rivoluzione sociale della
Germania, non quella del 1918, perché innumerevoli patrimoni privati si volatilizzarono.
Il Putsch di Monaco Un segno preoccupante della confusione fu il tentato Putsch della
birreria di Monaco organizzato da Hitler nell'autunno di quell'anno. A settembre era
stato formato un nuovo governo tedesco presieduto da Gustav Stresemann che appariva
moderato. Gli alleati e gli USA decisero di aprire un'inchiesta condotta da una
commissione presieduta dal generale americano Dawes.
Il piano Dawes Nell'agosto 1924 fu approvato il piano Dawes, ma per permettere alla
Germania di ridare slancio alla sua economia e così pagare i debiti ai vincitori fu
necessario accordarle un prestito, in grande misura americano, di 800 milioni di marchioro che permise ai tedeschi di far fronte ai loro impegni fino al 1929. Poi giunse la
grande depressione dell'economia mondiale: anche l'ingarbugliata vicenda delle
riparazioni, fonte di risentimenti che avvelenarono l'atmosfera del dopoguerra, fu
travolta dalla crisi mondiale dell'economia.
6. 6 La Società delle Nazioni
A fondamento dei trattati di pace conclusi al termine della Prima guerra mondiale
c'era il patto della Società delle Nazioni, sostenuto e difeso con ammirevole tenacia dal
presidente americano Wilson, convinto che le innegabili imperfezioni presenti nel testo
dei trattati sarebbero state risolte mediante un arbitrato internazionale.
La Società delle Nazioni Si possono avanzare riserve su quell'organismo, sprovvisto di
poteri effettivi, fondato su una concezione idealistica dei rapporti tra gli Stati, ma va
tenuta presente la sete di giustizia del mondo intero che prendeva coscienza della follia
della guerra come mezzo per regolare i rapporti internazionali; la sfiducia dei ceti
popolari verso le classi dirigenti che avevano condotto il mondo in un conflitto di
inaudita gravità; la speranza che la vigorosa democrazia americana, fondata sul
controllo degli atti politici dei suoi governanti da parte dell'opinione pubblica, potesse
far tramontare i metodi fondati sulla diplomazia segreta, sulla politica di potenza, sul
militarismo. Il fallimento della Società delle Nazioni ha permesso alla successiva
Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) di correggere alcuni degli errori più vistosi
del primo tentativo di bandire la guerra come mezzo per risolvere le questioni
internazionali.
Struttura della Società delle Nazioni La Società delle Nazioni aveva l'aspetto esteriore
di una costituzione sprovvista di facoltà di governo, aperta ai suggerimenti
dell'esperienza. Era un'associazione di Stati sovrani che si impegnavano a collaborare in
vista di determinate finalità: la sua efficienza dipendeva dalla buona fede dei membri
partecipanti. La Società delle Nazioni era concepita come un organismo più politico che
giuridico, e rispondeva al concetto britannico di "concerto delle Nazioni", ossia
un'associazione che prevedeva periodici incontri per discutere l'atteggiamento comune
da assumere di fronte a una determinata emergenza. Le grandi potenze tenevano un
segretario permanente a Ginevra assumendo alcune responsabilità di fronte al resto del
mondo.
Gli organi della Società delle Nazioni In origine, membri della Società delle Nazioni
erano i firmatari dei trattati di pace e alcuni Stati invitati ad aderire al patto. Era prevista
un'assemblea con rappresentanza degli Stati membri; un consiglio più limitato e un
segretariato permanente. Il consiglio era formato dai rappresentanti delle grandi potenze
più altri quattro rappresentanti di Stati minori, più tardi portati a undici, a rotazione.
L'assemblea divenne l'organo dominante anche perché controllava il bilancio. La sede si
trovava nella città di Ginevra.
Il Consiglio della Società delle Nazioni Il consiglio poteva radunarsi rapidamente e
perciò era più idoneo per le azioni immediate divenendo una specie di comitato
esecutivo. In genere le decisioni dovevano esser prese all'unanimità, meno le questioni
procedurali per le quali bastava la maggioranza: in caso di conflitto, le parti in causa
erano ininfluenti sul voto da parte del Consiglio e dell'Assemblea. I risultati delle
discussioni non erano deliberativi, bensì consigli o raccomandazioni aventi un certo
valore morale, non direttamente pratico per la mancanza di strumenti propri per far
rispettare le decisioni.
Il segretariato della Società delle Nazioni Il segretariato era una novità importante
perché doveva essere assistito da funzionari fedeli alla Società delle Nazioni e non allo
Stato di provenienza.
Corte di giustizia Uno dei primi atti del Consiglio fu l'insediamento di una corte di
giustizia internazionale permanente, nominata nel 1921, col compito di risolvere le
questioni poste dall'interpretazione dei trattati di pace e dei patti vigenti. Se le parti in
causa lo desideravano, la sentenza della corte diveniva obbligatoria: i giudici erano
eletti dall'Assemblea e dal Consiglio. Alcuni articoli del patto erano mere dichiarazioni
di principio come l'Art. 10 in forza del quale i membri si impegnavano "a promuovere e
rispettare da aggressioni esterne l'integrità territoriale e l'indipendenza politica di tutti i
membri della Società delle Nazioni": in caso di aggressione gli Stati membri dovevano
"deliberare quali fossero i mezzi idonei per adempiere quest'obbligo".
Arbitrato e sanzioni In molte questioni la Società delle Nazioni doveva esercitare una
funzione di arbitrato nelle controversie col compito di far osservare la pace. Gli Stati
membri si impegnavano a non ricorrere alla guerra prima di aver tentato o la
composizione del conflitto ricorrendo alla corte permanente di giustizia, o di aver fatto
ricorso all'arbitrato del Consiglio, dopo un'inchiesta che accertasse i fatti. Se uno Stato
membro non ottemperava all'ordine di astenersi dalla guerra prima che fossero trascorsi
tre mesi dalla decisione giudiziaria o dall'arbitrato, subiva la pena dell'interruzione di
ogni rapporto commerciale e finanziario con gli altri Stati del mondo.
Assenza degli USA Ancor prima di iniziare a operare la Società delle Nazioni fu
disertata dagli USA, il cui senato si rifiutò di ratificare i trattati di pace. L'assenza degli
USA, i più tenaci assertori della libertà di navigazione su tutti i mari, toglieva dal
novero delle sanzioni da adottare ai danni degli Stati colpevoli di aggressione, il blocco
navale dei loro porti per impedire di ricevere rifornimenti strategici.
La Germania esce dalla Società delle Nazioni La crisi della Società delle Nazioni
iniziò con la crisi economica del 1930. In quell'anno il partito nazista risultò secondo
per importanza in Germania, la quale aveva chiesto il posto di membro permanente al
Consiglio della Società delle Nazioni. La Francia, sempre alla ricerca di sicurezza, non
voleva accordare lo statuto di uguaglianza alla Germania rispetto alle altre grandi
potenze. Perciò nel 1933 la Germania, ormai guidata da Hitler, uscì dalla Società delle
Nazioni.
Il Giappone esce dalla Società delle Nazioni Nel 1931 il Giappone aggredì la Cina in
Manciuria: il rappresentante giapponese a Ginevra riuscì a porre il veto alla condanna di
aggressione giapponese. Fu inviata sul luogo una commissione di inchiesta che
procedette lentamente. Quando stava per profilarsi la condanna a carico del Giappone, il
governo di quel paese decise l'uscita dalla Società delle Nazioni: chiaramente il sistema
non funzionava quando una delle parti in causa era una grande potenza decisa a ottenere
con qualunque mezzo ciò che si era proposta.
L'Italia esce dalla Società delle Nazioni L'ultimo colpo inferto al sistema di sicurezza
elaborato con tanta fatica dalla Società delle Nazioni fu opera dell'Italia con la guerra
d'Etiopia del 1935-36. Nel dicembre 1934 nell'oasi di Ual Ual alla frontiera con la
Somalia erano avvenuti incidenti. L'Italia cominciò ad ammassare truppe che
chiaramente preludevano all'invasione dell'Etiopia la quale chiese la convocazione
urgente del Consiglio della Società delle Nazioni. Poiché la Germania aveva denunciato
proprio in quel momento le clausole restrittive per il suo riarmo, Francia e Gran
Bretagna fecero in modo di ritardare il più a lungo possibile il giudizio di condanna
dell'aggressione italiana in Etiopia per non scontentare troppo Mussolini. Costui, a sua
volta, pensava che la Società delle Nazioni non avrebbe osato condannare apertamente
il suo operato per motivi politici. Mussolini fece male i suoi calcoli: in Gran Bretagna si
stavano avvicinando le elezioni e il ministro degli esteri Hoare ritenne di dover
dichiarare che la Gran Bretagna era d'accordo con la Società delle Nazioni nel
condannare un'evidente aggressione. Il ministro degli esteri francese Laval, con estrema
esitazione fece la stessa dichiarazione: la Società delle Nazioni istituì un comitato per
decidere le sanzioni ai danni dell'Italia. In realtà le sanzioni furono applicate con mano
leggera, nel tentativo, fallito, di evitare che l'Italia si gettasse nelle braccia della
Germania. Nel luglio 1937 le sanzioni furono revocate, ma nel dicembre dello stesso
anno l'Italia uscì dalla Società delle Nazioni. Scoppiata la Seconda guerra mondiale, a
Ginevra continuarono a sopravvivere le strutture amministrative della Società delle
Nazioni in attesa che la fine del conflitto permettesse la fondazione di un istituto più
adatto a risolvere le crisi internazionali.
6. 7 Cronologia essenziale
1919 A gennaio inizia la conferenza di Versailles. A giugno è firmato il trattato di
Versailles con la Germania e del Trianon con l'Ungheria; a settembre il trattato di SaintGermain con l'Austria e a novembre il trattato di Neuilly con la Bulgaria.
1921 Si insedia la Corte internazionale di giustizia dell'Aia.
1923 La Francia occupa la Ruhr. Il marco tedesco crolla.
1924 È approvato il piano Dawes che fissa le rate delle riparazioni tedesche.
1929 Crollo della borsa di Wall Street.
1931 Il Giappone aggredisce la Cina in Manciuria e poi esce dalla Società delle
Nazioni.
1932 Franklin D. Roosvelt è eletto presidente degli USA. Lancia il piano del New Deal.
1933 La Germania esce dalla Società delle Nazioni.
1935 L'Italia inizia la guerra in Etiopia: sono inflitte le sanzioni economiche.
1937 L'Italia esce dalla Società delle Nazioni.
6. 8 Il documento storico
Il documento che segue riporta una lucida riflessione di Wiston Churchill sulle
clausole del trattato di Versailles. Il riarmo della Germania iniziò subito dopo quel
trattato di pace, ingiusto anche per ammissione dei vincitori e quindi incapace di
fondare una pace duratura.
“Il giorno dell'armistizio le armate germaniche si erano ritirate in perfetto ordine.
"Hanno combattuto bene" disse il maresciallo Foch, generalissimo delle forze alleate,
cinta la fronte di lucenti allori; e aggiunge, da soldato: "Lasciate che conservino le
armi". Ma chiese che la frontiera francese fosse spostata d'ora innanzi sul Reno. La
Germania poteva venir disarmata, il suo sistema militare infranto, le sue fortezze
smantellate; la Germania poteva venir immiserita, soffocata a poco a poco sotto la
richiesta di smisurate indennità, cadere preda di faide intestine: ma in dieci o vent'anni
tutto ciò sarebbe finito. La potenza indistruttibile di "tutte le tribù germaniche" sarebbe
risorta e i fuochi inestinguibili della Prussia guerriera avrebbero fiammeggiato ancora
una volta. Ma il Reno, il profondo e vasto Reno dal rapido corso, quando fosse stato
fortificato e difeso dall'esercito francese, sarebbe divenuto tale barriera e scudo, da
permettere a intere generazioni di francesi di respirare liberamente sotto la sua
protezione. I sentimenti e i concetti di quel mondo di lingua inglese, senza il cui aiuto la
Francia sarebbe caduta, erano assai diversi. Le clausole territoriali del trattato di
Versailles lasciarono la Germania intatta, in modo che essa rimase il più vasto blocco
razzialmente omogeneo d'Europa. Il maresciallo Foch, quando seppe che il trattato di
pace era stato firmato, osservò con singolare preveggenza: “Questa non è la pace: è un
armistizio di vent'anni” .
La clausole economiche del trattato erano così sciocche e maligne da risultare
ovviamente futili. La Germania venne condannata a pagare un favoloso ammontare di
riparazioni; queste forme di Diktat rivelavano la collera dei popoli vincitori e la loro
illusione che una qualsiasi nazione o comunità vinta potesse mai pagare tributi così
ingenti da compensare il costo di una guerra moderna.
Le moltitudini rimasero immerse nell'ignoranza delle più semplici verità
economiche, e i loro capi, in cerca di voti, non osarono disingannarle, mentre i giornali,
com'è d'uso, rispecchiavano le opinioni prevalenti e davano loro maggior forza. Poche
voci si levarono per spiegare che il pagamento delle riparazioni può venir attuato
soltanto col lavoro e col trasporto materiale di merci con carri ferroviari da territorio a
territorio, con navi sulle distese marine; e che all'arrivo di tali merci nel paese che le
richiede, le industrie nazionali, quando non si tratti di società primitive e rigidamente
controllate, ne risentono turbamento e danno. In pratica, e ora anche i russi se ne sono
resi conto, l'unico sistema di depredare una nazione vinta è quello di asportarne tutti i
beni mobili cui si aspira, oppure di deportare come schiavi permanenti o temporanei una
data quantità di uomini. Ma anche il profitto ricavato da simili metodi non può venir
messo in rapporto col costo della guerra. Tra le grandi autorità nessuno ebbe lo spirito,
l'ascendente o la capacità di prescindere dalla follia pubblica, necessari per dichiarare
agli elettori questi fatti brutali e fondamentali; e d'altra parte, anche se si fosse trovato
qualcuno capace di farlo, il popolo non gli avrebbe prestato fede. Gli alleati trionfanti
insistevano nell'asserire che avrebbero spremuto la Germania fino all'ultima goccia:
tutto ciò ebbe enorme influenza sulla prosperità del mondo e provocò particolari
reazioni spirituali nella razza germanica.
In ogni modo, queste clausole non entrarono mai in vigore. Al contrario, mentre le
Potenze vincitrici si appropriarono beni germanici per un ammontare di circa 1000
milioni di sterline, pochi anni più tardi gli Stati Uniti e, in buona parte, la Gran Bretagna
concessero alla Germania un prestito superiore a 2000 milioni di sterline; il quale
prestito le permise di riparare i danni causati dalla guerra. Siccome questo
comportamento di palese magnanimità era sempre accompagnato dalle dolenti
vociferazioni delle popolazioni vittoriose e dalla promessa dei loro uomini di Governo
che la Germania avrebbe pagato "sino all'ultimo centesimo", non ci si poteva
logicamente aspettare di raccogliere in compenso una messe di gratitudine o di buona
volontà. I generosi prestiti che gli Stati Uniti concessero all'Europa e in particolare alla
Germania, fecero sì che questa pagasse, o fosse soltanto in grado di pagare, le ultime
indennità che le vennero estorte. In realtà, durante i tre anni dal 1926 al 1929, gli Stati
Uniti ricevettero in tutto, come pagamento dei debiti di guerra, circa un quinto del
denaro che andavano prestando alla Germania, senza speranza di venir ripagati.
Comunque tutti sembravano soddisfatti di tale stato di cose, e avevano l'aria di pensare
che potesse protrarsi in eterno.
La storia definirà folli simili accordi, che cooperarono a creare la maledizione della
guerra e la bufera economica di cui si vedrà più innanzi. La Germania chiese prestiti a
tutti, inghiottendo con avidità qualsiasi credito che le venisse generosamente offerto.
Una errata impressione sentimentale di donare aiuto ai vinti, unita all'alto interesse
fornito da tali crediti, spinse gli investitori inglesi a parteciparvi, sia pure su scala più
ridotta di quella adottata dagli Stati Uniti. Così la Germania, contro i mille milioni di
danni che pagò in una forma o nell'altra, rinunciando ai capitali e alla valuta nelle
nazioni straniere e facendo giochi di prestigio con gli enormi prestiti americani,
guadagnò i duemila milioni di sterline concessile dagli Stati Uniti. Tutto ciò forma una
triste e complicata storia di idiozie, per scrivere la quale molto faticoso lavoro fu necessario e molti valori morali andarono perduti.
La seconda grande tragedia fu il completo smembramento dell'impero austroungarico a opera dei trattati di Saint Germain e del Trianon. Per secoli questa
identificazione del Sacro Romano Impero aveva offerto comunanza di vita, vantaggi
commerciali e sicurezza a un gran numero di popoli, nessuno dei quali ebbe più tardi la
forza o la vitalità di resistere isolato alla pressione della risorta Germania. Tutte queste
razze desideravano sfuggire all'unione organica federale o imperiale e l'incoraggiare tali
aspirazioni era considerato una politica liberale. La balcanizzazione dell'Europa sudorientale procedeva rapida, apportando una relativa espansione alla Prussia e al Reich
germanico, che sebbene stremato e danneggiato dalla guerra non aveva subito
mutamenti territoriali e manteneva una sufficiente forza di pressione. Non esiste uno
solo tra i popoli o le province che costituivano l'impero degli Absburgo che non abbia
pagato l'indipendenza con quei tormenti che gli antichi poeti e teologi riservavano ai
dannati. La città di Vienna, capitale di una tradizione e di una cultura così a lungo
difese, punto di confluenza di tante strade, fiumi e ferrovie, rimaneva spoglia e
affamata, come un grande emporio al centro di una regione immiserita, i cui abitanti
sono per la maggior parte emigrati”.
Fonte: W. CHURCHILL, La seconda guerra mondiale, Mondadori, Milano 1965, pp.
12-15.
6. 9 In biblioteca
Il libro classico dell'economia del Novecento è di J.M. KEYNES, Teoria generale
dell'occupazione e della moneta, UTET, Torino 1978. Sulla conferenza di pace e le sue
conseguenze si consulti di L. VALIANI, La dissoluzione dell'Austria-Ungheria, il
Saggiatore, Milano 1966; A. TORRE, Versailles. Storia della conferenza di pace,
I.S.P.I., Milano 1940; e di F. CURATO, La conferenza della pace (1919-1920), I.S.P.I.,
Milano 1942.
Cap. 7 Il nazionalismo nel Medio Oriente
La sconfitta degli imperi centrali travolse anche l’impero turco. Il progetto del
presidente Wilson, di offrire a ogni gruppo etnico la possibilità di proclamare la
creazione di uno Stato autonomo, introdusse molti elementi di instabilità nei Balcani e
nel Vicino Oriente. Si comprende perciò come la Turchia sia stata sul punto di venir
smembrata tra le varie etnie che la compongono: il territorio abitato in prevalenza da
arabi doveva formare un nuovo grande Stato, ma gli interessi economici francobritannici indussero a sospendere il progetto di uno Stato arabo unito. Inoltre esisteva
fin dall'inizio del secolo il problema ebraico rappresentato dalla presenza di alcune
centinaia di migliaia di profughi ebrei, giunti da ogni parte d'Europa, insediati in
Palestina, ricchi di spirito imprenditoriale e di vitalità culturale, una circostanza che li
avrebbe messi in grado di imporre l'egemonia sugli arabi.
La scoperta del petrolio nella penisola araba rappresenta un evento importante per
la storia del XX secolo: il grande sviluppo della motorizzazione per scopi civili e
militari aveva fatto del petrolio la principale fonte di energia, prendendo il posto tenuto
dal carbone, ma a differenza di quest'ultimo le maggiori riserve di petrolio si trovano in
Iran, Iraq e Arabia Saudita, ossia fuori dei confini europei creando una delicata rete di
dipendenze e di conflitti politici.
La vicenda degli ebrei vissuti a lungo nella diaspora e che nel secolo XX hanno
formato uno Stato rappresenta un altro evento importante, ma è ancora più
stupefacente che una nazione in possesso di una grande tradizione di cultura come la
Germania abbia potuto abbracciare un'ideologia rozza e incivile come il nazismo in
grado di programmare la distruzione fisica degli ebrei. È perciò lecito sospettare che
Hitler e Mussolini si siano proclamati difensori degli arabi mirando al controllo della
produzione di petrolio nel Vicino Oriente da impiegare come arma strategica contro le
democrazie occidentali ritenute politicamente esaurite. Nel presente capitolo verrà
esaminata la situazione politica del Vicino Oriente fino al termine della Seconda guerra
mondiale anticipando alcuni eventi storici esaminati con più attenzione nei capitoli
successivi.
7. 1 La nascita della Turchia moderna
La sconfitta dell'impero plurinazionale turco nel Vicino Oriente creò un vuoto di
potenza che i vincitori si affrettarono a riempire.
La Turchia perde i territori arabi La perdita del Nordafrica e dei territori del
crescente fertile - Iraq, Libano, Palestina, Siria - forse era stata un vantaggio perché
tenere il controllo turco su territori in preda alla guerriglia nazionalista avrebbe richiesto
mezzi superiori ai profitti derivanti dall'occupazione.
Il pericolo di smembramento della Turchia I turchi si ribellarono, invece, all'idea di
perdere parti del loro territorio nazionale, una soluzione ventilata dai vincitori che nel
1918 occupavano il porto di Costantinopoli, mentre truppe britanniche circondavano la
città isolandola dal resto del territorio nazionale. Anche se i governi francese e italiano
mostravano interesse ad alcune regioni turche, il pericolo maggiore veniva dalla Grecia
che poteva vantare diritti su Costantinopoli e sulla Turchia europea (Tracia), contando
sulla presenza di una consistente minoranza di greci nelle città turche dell'Egeo.
La guerra greco-turca Il primo ministro Eleutherios Venizelos si era dimostrato molto
intraprendente nel corso delle guerre balcaniche del 1912-1913. Con l'appoggio di
Wilson e di Lloyd George, inviò truppe per occupare la città e la provincia di Smirne. Il
re di Grecia Costantino era, invece, meno prudente del suo ministro: spinto dal
nazionalismo si mise alla testa dell’esercito, penetrando in territorio turco.
Mustafà Kemal Da principio i turchi non avevano né esercito né generali: le pretese
greche produssero e l'uno e gli altri. Durante l'attacco di Gallipoli del 1915 si era messo
in luce il generale Mustafà Kemal i cui contrattacchi avevano fatto fallire lo sbarco
inglese. Kemal comprese che l'attacco greco aveva come obiettivo la distruzione dello
Stato turco. Poiché la capitale era isolata dal resto del paese, e il sultano Maometto VI
non aveva potere reale, il partito nazionalista di Kemal scelse una nuova capitale e
cambiò regime anche a costo di scatenare la guerra civile.
Ankara nuova capitale Come capitale fu scelta la cittadina di Ankara, posta all'interno
dell'Anatolia lontano dalle truppe inglesi e greche, in posizione difendibile. Là fu
convocata un'Assemblea nazionale che dichiarò decaduta la monarchia (gennaio 1920).
Per un po' di tempo ci furono due governi turchi che scatenarono la guerra civile. Se il
trattato di Sèvres (agosto 1920) fosse stato accettato, la Turchia sarebbe risultata smembrata tra Curdistan, Grecia, Francia e Italia, e perciò l'assemblea nazionale rifiutò di
sottoscrivere il trattato. Nel gennaio 1921 a Inonu l'esercito di Kemal sconfisse l'esercito
del sultano. Francia e Gran Bretagna si affrettarono a modificare le condizioni del
trattato di Sèvres a vantaggio della Turchia, ma ancora una volta Kemal rifiutò il
trattato: i governi occidentali affidarono all'esercito greco la soluzione del problema.
Virtuale dittatura di Kemal I greci continuarono ad avanzare arrivando fino a
circondare l'esercito turco di Ismet, il migliore generale di Kemal che fece ritirare le
truppe turche fino al fiume Sakarya. L'Assemblea nazionale aveva già affidato il potere
a Kemal rendendolo di fatto un dittatore col compito di salvare la Turchia. Tutto il
paese fu organizzato per la guerra: ogni materiale di qualche utilità poteva esser
requisito per l'esercito senza diritto a rimborso.
La battaglia di Sakarya L'attacco greco lungo il fiume Sakarya fu sanguinoso. Le
truppe turche fermarono i greci per tre settimane finché il 24 agosto 1921 i greci
decisero di ritirarsi per l'impossibilità di sfondare. Dopo la battaglia di Sakarya l'esercito
greco si disgregò mentre quello turco acquistava l'iniziativa. Nel settembre 1922 i turchi
lanciarono l'attacco definitivo contro l'esercito greco che si sbandò dandosi alla fuga. Il
9 settembre Kemal entrò nella città di Smirne che stava bruciando, mentre i greci si
gettavano in mare con ogni mezzo.
Riconoscimento del nuovo governo turco Anche il governo francese si affrettò a
riconoscere il nuovo governo di Kemal. Costantino di Grecia, invece, abdicò mentre
Maometto VI, l'ex sultano turco, andava in esilio. Il trattato di Sèvres fu cancellato e
sostituito col trattato di Losanna. Il fiume Maritza segnò il confine tra Grecia e Turchia
europea; gli stretti tornavano sotto la sovranità turca; nessuno straniero poteva vivere in
Turchia se non pagava le tasse e obbediva alla legge turca: questa disposizione segna la
fine delle capitolazioni, ossia dei privilegi accordati ad alcuni governi stranieri o a
individui che operavano in territorio turco e che potevano chiedere di esser giudicati da
tribunali del proprio paese.
Scambi di popolazione La parte più dura del trattato riguardava il destino delle
minoranze: fu deciso un gigantesco scambio di popolazione per cui più di un milione di
greci dovettero lasciare la Turchia, mentre circa 450.000 turchi lasciavano il territorio
greco, occupando le fattorie e i campi abbandonati dai profughi greci.
Le riforme di Kemal Kemal era idolatrato dal suo popolo, tanto da ricevere
l'appellativo di Ataturk (padre dei turchi). Era uno di quei rari personaggi per i quali il
potere non è il fine, bensì un mezzo indispensabile per realizzare riforme a lungo
meditate e ritenute indispensabili per lo sviluppo civile della nazione. La vittoria sui
greci in gran parte si doveva ascrivere all'entusiasmo religioso, allo spirito di sacrificio
propiziato dalla religione musulmana. Ma Kemal Ataturk era ostile agli usi e costumi
imposti dall'Islam ai cittadini, ossia meditava una radicale laicizzazione dello Stato
come era avvenuto nell'Europa occidentale fin dal tempo della Riforma.
Abolizione del califfato Nel 1924 Kemal abolì definitivamente il titolo di califfo, di
capo spirituale dei credenti musulmani. Ci furono resistenze stroncate con la violenza
nel Curdistan, la regione più religiosa del paese: la rivolta del Curdistan che dura ancora
ai giorni nostri, è complicata dal fatto che quell’etnia è divisa tra Turchia, Iran, Iraq
dando vita a minoranze inquiete nei tre paesi.
Abolizione dei caratteri arabi nella scrittura Nel 1926 fu abolita la scrittura del turco
con caratteri arabi, sostituiti da un alfabeto latino di 28 segni. Ancora una volta i
musulmani reagirono considerando un affronto fatto al Corano il fatto di scriverlo in
caratteri latini. Kemal ordinò l’adozione dei nuovi caratteri, dando egli stesso l'esempio
con un giro dimostrativo per insegnare l'impiego della nuova scrittura. I turchi avevano
come copricapo nazionale il fez, un berrettino cremisi di forma troncoconica, divenuto
simbolo dei tradizionalisti.
Abolizione del fez Kemal fece promulgare una legge che proibiva il fez, giudicato
ridicolo. Ci furono alcune esecuzioni capitali a carico di quei nazionalisti che osarono
difendere il fez. Fu scoraggiato anche l'uso del velo che le donne musulmane dovrebbero usare quando vanno in pubblico. Kemal si fece fotografare con la moglie che non
portava il velo, ma non arrivò a votare una legge che lo proibisse. In ogni caso nel 1926
le donne ebbero la parità di diritti rispetto agli uomini, compreso il voto e l’eleggibilità
al parlamento. Fu adottato il calendario gregoriano; per i pesi e le misure fu adottato il
sistema metrico decimale; furono aboliti i nomi geografici di origine greca. Infine ogni
turco doveva avere, oltre al nome proprio, un cognome che si trasmette ai discendenti
alla maniera europea.
Morte di Kemal Kemal Ataturk morì nel 1938. La Turchia evitò di farsi coinvolgere
dalla Seconda guerra mondiale perché doveva ancora rimarginare le ferite della guerra
civile. Da allora l'opinione pubblica internazionale ha modificato le sue opinioni
riguardo ai turchi: considerati per secoli come l'essenza della crudeltà, dell'inefficienza e
dell'ignoranza: i turchi appaiono oggi come un popolo socialmente inquieto, ma stabile
nei rapporti politici internazionali.
7. 2 Gli ebrei in Palestina
Il dramma degli ebrei ha origini lontane, fin dal 70 d.C. allorché le legioni romane
guidate da Tito Flavio espugnarono Gerusalemme, distruggendo il tempio e disperdendo
in una diaspora mondiale i sopravvissuti. Per quasi due millenni gli ebrei hanno
mantenuto vive le loro tradizioni religiose e culturali, evitando l'integrazione con i
popoli presso i quali vivevano.
Theodor Herzl Certamente è sempre esistita l’aspirazione degli ebrei al ritorno nella
terra dei padri, ma il progetto rimase un sogno finché il giornalista austriaco Theodor
Herzl (1860-1904) si pose a capo di un vigoroso movimento politico che assunse il
nome di Sionismo. Nell'impero absburgico, soprattutto a Vienna, serpeggiava un tenace
antisemitismo che nell'Europa orientale, in Polonia e in Russia, assunse i caratteri della
persecuzione violenta. In quei paesi, infatti, la comunità ebraica contava alcuni milioni
di persone parlanti una lingua singolare lo yiddish che ha per base un dialetto tedesco
arricchito di termini ebraici e slavi. In quei paesi erano frequenti i pogrom, tumulti
antiebraici, promossi a volte dalle autorità che permettevano il saccheggio dei negozi e
delle abitazioni ebraiche come valvola di sfogo delle ricorrenti crisi economiche.
Antisemitismo Dopo il 1880 l'antisemitismo cominciò a serpeggiare anche in Francia in
seguito a crisi bancarie che ebbero come protagonisti alcuni banchieri ebrei subito
accusati di scarso patriottismo. L'antisemitismo in Francia raggiunse il culmine nel
corso del caso Dreyfus: alla lugubre cerimonia di degradazione e di espulsione
dall'esercito francese del capitano Dreyfus assistette anche lo Herzl in qualità di
corrispondente di un giornale viennese. Fu un'esperienza indimenticabile per Herzl che
già l'anno dopo, il 1896, pubblicava un opuscolo che funge da pietra d'angolo del
sionismo, Lo Stato ebraico. La tesi di fondo dell'opuscolo è che l'integrazione degli
ebrei con la popolazione dello stato ospitante sarebbe di gran lunga la soluzione più
auspicabile, ma che di fronte alla crescente intolleranza antisemita l'integrazione era
impossibile. Gli ebrei minacciati nella vita e negli averi erano perciò costretti a formare
un proprio Stato concentrandosi in un territorio abitato in prevalenza da ebrei. È bene
chiarire subito che Herzl non aveva alcuna particolare simpatia per la religione e per le
tradizioni ebraiche più peculiari, che non desiderava la rinascita della lingua ebraica
come lingua nazionale del nuovo Stato: egli avrebbe desiderato una comunità che si
reggesse sui principi del liberalismo in pacifica convivenza con gli arabi di Palestina
che sarebbero divenuti cittadini a pieno titolo del nuovo Stato ebraico-palestinese.
L'agenzia ebraica Per impulso dello Herzl il sionismo divenne un movimento
mondiale grazie alle sue qualità di infaticabile organizzatore, di abile diplomatico e
propagandista del nuovo progetto. Nell'agosto 1897 fu convocato a Basilea in Svizzera
il primo congresso mondiale del sionismo durante il quale fu resa pubblica la decisione
di creare in Palestina una patria per il popolo ebreo da difendere con l'aiuto del diritto
pubblico. Il modo prescelto fu l'acquisto di terre da parte di un'Agenzia ebraica, una
società finanziaria che raccoglieva fondi in tutto il mondo, facendoli amministrare dai
Rothschild di Parigi. Le terre così acquistate furono proclamate eterna e inalienabile
proprietà del popolo ebreo, su cui furono fondate fattorie e fabbriche sostenute dal
lavoro di immigrati provenienti soprattutto dall'Europa orientale. Herzl si fece ricevere
dal sultano turco chiedendogli la concessione di un documento che favorisse
l'autonomia della nuova comunità ebraica, dipendente per gli affari internazionali
dall'impero turco, facendo balenare l'opportunità per la Turchia di contrapporre al
nascente nazionalismo arabo, il nazionalismo ebraico in funzione equilibrante. Herzl fu
ricevuto anche dallo Zar Nicola II al quale prospettò la possibilità di disfarsi dei
socialisti ebrei presenti in Russia che così avrebbero cessato la loro attività antizarista.
Adesione britannica ai progetti di Herzl Herzl tuttavia trovò buona accoglienza solo
in Gran Bretagna e perciò decise di trasferire la sede amministrativa dell'Agenzia
ebraica a Londra. Di fronte alle difficoltà sorte in Palestina il governo britannico
propose al movimento sionista la cessione di un territorio in Uganda, ma i sionisti
rifiutarono perché solo l'antica patria conservava una forza d'attrazione risolutiva per gli
emigranti. In ogni caso il settimo congresso del sionismo celebrato nel 1905 escluse di
considerare progetti di colonizzazione al di fuori della Palestina. La morte improvvisa
dello Herzl, avvenuta nel 1904, fece spostare la direzione politica del sionismo da
Vienna a Colonia e poi a Berlino, anche se il gruppo più folto di sionisti viveva in
Russia.
Problemi interni al sionismo È opportuno ricordare che i sionisti raccoglievano il
consenso di un piccolo numero di ebrei della diaspora, molti dei quali desideravano il
ritorno nella terra promessa ma sotto la guida di un movimento religioso, non laico
come quello promosso dallo Herzl; altri ebrei preferivano la situazione della diaspora e
la difesa di una cultura popolare di minoranza come quella realizzata dai gruppi parlanti
lo yiddish; altri ancora avevano formato un partito socialista ebraico e propendevano
verso metodi rivoluzionari marxisti. Gli ebrei religiosi avrebbero desiderato la ripresa
della religione ebraica in stretta osservanza della legge mosaica, costringendo lo Herzl a
ribadire che il sionismo era un movimento neutro dal punto di vista religioso.
Immigrazione dalla Russia Il fallimento della rivoluzione russa del 1905 fu seguito da
un'ondata di pogrom che indussero molti ebrei dell'Europa orientale a trasferirsi in
Palestina dove dettero vita a fattorie collettive, il noto esperimento del Kibbuz. I nuovi
venuti pretesero l'allontanamento degli arabi e l'uso della lingua ebraica.
La dichiarazione Balfour Nel 1908 in Turchia andò al potere il gruppo nazionalista dei
Giovani turchi, certamente più ostili del governo precedente a ogni concessione politica
che prevedesse l'autonomia delle minoranze etniche presenti nell'impero turco. Così ci
si avviò verso la Prima guerra mondiale che rappresentò una svolta per il problema
palestinese. Gran Bretagna e Turchia, infatti, combatterono in campi avversi: i sionisti,
forti delle simpatie inglesi manifestate negli anni precedenti, trasferirono la sede
dell’organizzazione in Gran Bretagna proprio nel momento in cui i sionisti dell'Europa
orientale erano travolti dalla rivoluzione bolscevica in Russia. Come leader del
movimento emerse Chaim Weizmann il quale ottenne da Lord Arthur James Balfour,
ministro degli esteri britannico, la nota dichiarazione del 2 novembre 1917: il governo
britannico considerava con favore la formazione di un focolare nazionale ebraico in
Palestina, senza pregiudizio dei diritti religiosi e civili delle comunità non ebraiche di
Palestina. La lettera contenente la dichiarazione era diretta a Lord Rothschild che
amministrava a Londra le finanze dell'Agenzia ebraica.
La legione ebraica Il governo britannico si era deciso a quel passo, che pure era in
contrasto con analoghe promesse fatte agli arabi, per avere l'appoggio degli ebrei di
tutto il mondo, in particolare quelli presenti negli USA, e per avere l'appoggio militare
degli ebrei di Palestina che potevano dar man forte alle truppe britanniche poste a difesa
del canale di Suez. I sionisti esultarono pensando che nessuno poteva impedire la
formazione di uno Stato ebraico in Palestina, mentre la dichiarazione accennava solo al
fatto che in Palestina sarebbe sorto un focolare nazionale per gli ebrei. Negli ultimi mesi
della guerra in Medio Oriente gli ebrei formarono la Legione ebraica posta agli ordini
del generale Allenby che sconfisse i turchi in Palestina e in Siria.
Il regime dei mandati fiduciari La Società delle Nazioni aveva proposto a Versailles
una nuova figura del diritto internazionale che va sotto il nome di mandato fiduciario.
Esso consiste nel fatto che un paese sviluppato assume la rappresentanza, di fronte alla
comunità delle Nazioni, di un certo territorio in attesa che le forze indigene si
sviluppino fino a permettere l'autogoverno e l'indipendenza. C'era in Wilson una fiducia
illimitata nel parlamento, nella rappresentanza diplomatica, nella funzione della stampa
libera, nei partiti che si sarebbero alternati al potere secondo la volontà espressa dal
popolo mediante libere elezioni. Ma ciò è possibile solo quando lo sviluppo sociale e
politico di una nazione ha raggiunto una notevole maturità. La società araba era ancora
allo stato tribale, con forti tensioni tra gruppi etnici diversi, anche quando essi si
trovavano riuniti sullo stesso territorio. La conferenza di pace di Versailles affidò
Libano e Siria alla Francia, Palestina e Iraq alla Gran Bretagna. La dichiarazione
Balfour divenne il preambolo di una serie di decisioni amministrative destinate ad
accogliere nuovi contingenti di immigranti ebrei, ribadendo che ciò non doveva
significare la subordinazione della popolazione araba agli ebrei.
La fondazione dell'università ebraica di Gerusalemme Nel corso degli anni tra le
due guerre mondiali il sionismo concentrò i suoi sforzi per allargare gli insediamenti
rurali e urbani in ogni luogo della Palestina in cui si trovassero terre in vendita, pagate
spesso a un prezzo superiore a quello di mercato pur di affrettare gli insediamenti. Se i
primi immigrati erano soprattutto contadini, dopo la guerra giunsero molti intellettuali
tanto che nel 1925 fu inaugurata l'Università ebraica di Gerusalemme.
Aumentano gli ebrei di Palestina In quell'anno gli ebrei di Palestina arrivarono a
108.000 persone; nel 1935 erano circa 300.000. Tel Aviv, fondata nel 1909 come
sobborgo di Jaffa, nel 1935 aveva un popolazione di circa 100.000 abitanti ed era un
promettente centro di sviluppo industriale, alimentato da capitali dell'ebraismo
internazionale. Ad Haifa nel 1925 era stato inaugurato un prestigioso istituto
tecnologico in grado di formare una classe di tecnici competenti. Gli arabi temevano
l'imminente creazione di uno Stato ebraico: dalla loro parte avevano solo una crescente
popolazione, ma nessun istituto culturale, nessun finanziamento, nessuna prospettiva
politica. I capi del sionismo si sforzavano di assicurare gli arabi che mai essi e la loro
proprietà sarebbero stati conculcati, cercando di porre le premesse per la creazione di
uno Stato di Palestina comune alle due etnie; altri capi, invece, i cosiddetti revisionisti,
proponevano la creazione di un forte Stato ebraico dotato di esercito per sottomettere gli
arabi palestinesi o farli emigrare. Scoppiarono alcune rivolte arabe.
Inizio dei disordini tra ebrei e arabi La prima è quella del 1929 e prese il nome dal
muro del pianto. Sotto la moschea di Omar si trovano le fondamenta dell'antico tempio
ebraico dove ancor oggi sostano gruppi di pellegrini ebrei: si decise di costruire una
parete per separare il luogo destinato agli uomini da quello delle donne. Il gran muftì di
Gerusalemme, il capo dei musulmani della città, interpretò il gesto come tentativo di
usurpazione di quel luogo sacro da parte degli ebrei. Ci furono alcune uccisioni che
provocarono reazioni a catena. Nel 1935 e poi fino al 1939 la tensione fu così acuta da
degenerare quasi in guerra aperta.
Continua l'immigrazione L'arrivo di ebrei continuava secondo modi più o meno legali,
come quello di farsi passare per turisti insediandosi poi in qualche località. Quando
Hitler prese il potere in Germania, gli arabi ritennero di poter fare in piccolo ciò che in
Germania si faceva in grande stile. Il capo della comunità ebraica Chaim Weizmann non
amava la violenza, ma non poté impedire che tra gli ebrei si formassero alcuni
raggruppamenti paramilitari come l'Irgun, la Hagana, e lo Stern che praticavano un
terrorismo non meno feroce di quello degli avversari.
Il governo britannico proibisce l'immigrazione Nel 1938 il governo britannico prese
atto della volontà araba di osteggiare uno Stato ebraico in Palestina: l'immigrazione fu
proibita del tutto da parte dell'amministrazione britannica proprio nel momento in cui
era più giustificata, per non perdere la simpatia degli arabi, divenuti sensibili agli
allettamenti nazisti. Le autorità britanniche repressero le insurrezioni arabe e i tentativi
di penetrazione nella regione di emissari tedeschi. Le commissioni di inchiesta inviate
in Palestina elaborarono schemi di soluzione del conflitto, ma la richiesta che arabi e
sionisti si accordassero per convivere in Palestina non aveva più senso.
La questione palestinese davanti all'ONU Le persecuzioni che gli ebrei subivano in
Germania da parte del regime nazista favorirono le aspirazioni estreme dei sionisti
palestinesi: nel 1942 una conferenza sionista celebrata a New York votò la proclamazione immediata di uno Stato ebraico esteso su tutta la Palestina e la fine di ogni
restrizione all'immigrazione di perseguitati ebrei. Alla fine della seconda guerra
mondiale, la questione palestinese fu affidata all'ONU, la nuova organizzazione
internazionale che aveva sostituito la Società delle Nazioni. L'assemblea dell'ONU
propose nel novembre 1947 la formazione di due Stati, uno arabo e uno ebraico,
prevedendo per Gerusalemme lo statuto di città libera, dato il suo carattere di città santa
per ebrei, musulmani e cristiani.
La nascita dello Stato di Israele Quella risoluzione fu respinta dagli arabi e perciò gli
ebrei proclamarono da parte loro la formazione dello Stato di Israele il giorno stesso
della partenza delle truppe britanniche da Gerusalemme, il 14 maggio 1948, inizio della
prima guerra tra arabi e israeliani.
7. 3 Il regime dei mandati in Siria, Libano, Iraq
È difficile sottrarsi all'impressione che Francia e Gran Bretagna abbiano operato con
grande doppiezza nei confronti degli arabi. Finché durò la Prima guerra mondiale, la
necessità di aiuto per sconfiggere la Turchia alleata con gli imperi centrali spinse i
governi occidentali a promesse non mantenute a vittoria raggiunta.
Tentativo di Faisal in Siria In Siria l'emiro Faisal aveva formato un esercito arabo che
combatté agli ordini del generale Allenby: Faisal verso la fine del 1918 aveva
conquistato Damasco. Subito Faisal formò un governo, mentre la Francia occupava
Beirut e la zona costiera del Libano. Nel marzo 1920 un congresso nazionale siriano
elesse Faisal re di Siria. Costui nominò un primo ministro, Hashim al-Atasi, adottando
una costituzione democratica per la Siria che doveva comprendere anche Palestina e
Transgiordania.
Mandato francese in Siria La conferenza di Sanremo nell'aprile 1920 decise invece di
applicare nel Vicino Oriente il regime mandatario assegnando Siria e Libano alla
Francia; Iraq e Palestina alla Gran Bretagna. Il generale francese Gouraud fu inviato in
Siria in qualità di alto commissario con l'ordine per i siriani di riconoscere la sua
autorità. I siriani respinsero la richiesta e si preparavano alla guerra, ma furono sconfitti:
i francesi entrarono in Damasco, e Faisal abbandonò il paese. Nel luglio 1922 la Società
delle Nazioni ratificò il regime mandatario sulla regione.
Stato del Libano La Francia aveva già eretto il 1° settembre 1920 lo Stato del Libano
nei confini dell'antico sangiaccato turco abitato da popolazione in prevalenza cristiana:
al sangiaccato cristiano furono uniti alcuni distretti di popolazione in maggioranza
musulmana che subito protestò contro la separazione dalla Siria.
Sistemazione amministrativa della Siria La Siria stessa fu divisa in quattro province
che dovevano reggersi autonomamente: Damasco, Aleppo, Jabal Druso e Alawis con
capitale Latakia. Il sangiaccato di Alessandretta fu reso autonomo. Le province di
Damasco e Aleppo furono riunite nello Stato di Siria, mentre Beirut divenne la sede
dell'alto commissario francese: inutile dire che quella sistemazione della regione dette
luogo a violente dimostrazioni dei nazionalisti arabi rimasti delusi.
Lotta per l'indipendenza La lotta per l'indipendenza iniziò nel Jabal Druso nel luglio
1925 sotto la direzione del sultano al-Atrash: ad agosto i drusi erano arrivati in vista di
Damasco. Le truppe francesi repressero la rivolta solo nel 1927, dopo un
bombardamento di Damasco. La legge marziale a Damasco fu abrogata nel 1928 con
promessa di nuove elezioni per l'assemblea costituente. Le elezioni furono vinte dal
partito nazionalista che nel 1930 votò una nuova costituzione per la Siria che sarebbe
entrata in vigore alla fine del mandato francese: erano previste elezioni ogni quattro
anni e un presidente che rimaneva in carica per cinque; elettori erano tutti gli uomini al
di sopra dei vent'anni.
Mancata unificazione tra Siria e Libano Il regime mandatario proseguì fino al 1936
in mezzo a frequenti tumulti provocati dai nazionalisti. Nel frattempo la tensione nel
Mediterraneo orientale era cresciuta a causa della guerra d'Etiopia scatenata dall'Italia.
La Gran Bretagna fu costretta a fare concessioni all'Egitto, inducendo la Francia a fare
altrettanto nei confronti della Siria: una delegazione presieduta da Hashim al-Atasi fu
inviata a Parigi dove fu sottoscritto un trattato di amicizia tra Francia e Siria. Tale
trattato, tuttavia, disattese una richiesta siriana, la riunificazione con il Libano, con cui
la Francia siglò un trattato separato.
Alessandretta alla Turchia Nel 1937, in seguito a trattative tra Francia e Turchia, il
sangiaccato di Alessandretta con popolazione in prevalenza turca, fu reso autonomo;
l'anno dopo il sangiaccato assunse il nome turco di Hatay e nel 1939, nonostante le
proteste siriane, la provincia di Hatay ottenne l'annessione alla Turchia.
Indipendenza di Libano e Siria Nel 1938 il parlamento francese annunciò che per il
momento non intendeva ratificare il trattato siro-francese del 1936: subito il presidente e
il governo siriano si dimisero costringendo l'alto commissario Puaux a sospendere la
costituzione del 1930. Scoppiata la seconda guerra mondiale, dopo la sconfitta francese
e la formazione del governo collaborazionista di Vichy, l'alto commissario francese
Puaux pose la Siria agli ordini di Pétain. I capi arabi, ritenendo prossimo il crollo della
Gran Bretagna, cercarono appoggio presso le potenze dell'Asse, ma i loro calcoli si
rivelarono errati. Nel 1941 il governo di Vichy permise alle truppe tedesche l'uso di
aeroporti in Siria per attaccare gli inglesi in Iraq. Il governo britannico esaminò il
progetto di proclamare l'indipendenza di tutti gli arabi ordinando al generale Henry
Maitland Wilson di cacciare i francesi dal levante (1941). Nel 1945 un nuovo tentativo
della Francia di tornare in Libano e in Siria fu stroncato dalla Gran Bretagna la quale
affidò all’ONU il compito di stabilire l'assetto della regione: rappresentanti di Siria e
Libano furono invitati a San Francisco, all'assemblea generale delle Nazioni Unite, con
implicito riconoscimento dell'indipendenza dei due paesi.
Il mandato britannico in Iraq Anche in Iraq, durante la prima guerra mondiale, erano
state fatte numerose promesse di indipendenza nazionale onde avere il supporto del
nazionalismo arabo contro la Turchia. Finita la guerra, prevalse l'idea che la regione non
fosse matura per l'indipendenza e che occorresse sottoporla al regime mandatario sotto
un alto commissario britannico (1920). La reazione irachena fu immediata: la ribellione
divampò lungo l'Eufrate e si rese necessario l'invio di truppe britanniche per domarla.
Nel novembre 1920 il vecchio capo religioso Abd ur-Rahman al-Gailani fu messo a
capo di un Consiglio di Stato comprendente rappresentanti delle tribù irachene. Questo
governo provvisorio doveva pacificare la regione; stabilire frontiere con Turchia e
Arabia Saudita; provvedere al riordino amministrativo; votare per l'assemblea costituente.
L'emiro Faisal in Iraq Capo dello Stato divenne l'emiro Faisal che, come visto in
precedenza, era stato cacciato dalla Siria. Nel giugno 1921 Faisal giunse a Bassora e ad
agosto fu incoronato re dell'Iraq a Baghdad, avendo come primo ministro Abd urRahman al-Gailani. Faisal non ebbe la vita facile: dovette affrontare i problemi creati
dai contrasti religiosi tra Sciiti e Sunniti; favorire l'equilibrio tra i nazionalisti e l'alto
commissario britannico; impedire che arabi e curdi si scontrassero.
Indipendenza dell'Iraq Nel 1922, l'alto commissario britannico stroncò la resistenza
dei nazionalisti iracheni deportando i principali capi. L'assemblea nazionale costituente
irachena fu eletta nel 1924: nei due anni seguenti fu dibattuta davanti alla Società delle
Nazioni la questione della provincia di Mossul, reclamata dalla Turchia. Finalmente,
dopo il cambio di governo in Gran Bretagna, fu annunciato che per il 1932 si prevedeva
la presentazione dell'Iraq alla Società delle Nazioni e quindi l’indipendenza, a patto che
fossero garantiti i diritti delle minoranze, l'osservanza delle leggi internazionali e la
giustizia amministrativa.
Ghazi I Il re Faisal morì a Berna nel 1933. Gli successe il figlio Ghazi I molto giovane.
Costui si guadagnò una troppo facile fama ordinando il massacro di un gruppo di siriani
sconfinati nell'alto Iraq, ma non aveva esperienza e non seppe mantenere buoni rapporti
tra i vari gruppi etnici e religiosi del paese. L'instabilità politica crebbe e l'esercito
cominciò a interferire col governo civile: mentre il governo turco sotto Kemal Ataturk
diveniva più forte, quello iracheno rivelava crescente debolezza. Nel 1936 il capo
dell'esercito bombardò Baghdad. Da allora i colpi di Stato si susseguirono a ripetizione
anche se la situazione economica non era disastrosa, grazie ai crescenti introiti del
petrolio. Nel 1939 il re Ghazi I morì lasciando un figlio di cinque anni.
Formazione della Lega araba I rapporti politici con la Gran Bretagna peggiorarono
nel 1940 e l'anno dopo sembrò giunto il momento di escludere la presenza britannica
dalla regione, cosa che avrebbe permesso la cacciata degli ebrei dalla Palestina. Dopo
aver ricevuto la promessa di aiuti militari tedeschi dalle basi aeree siriane, il governo
iracheno fece circondare con l'artiglieria i campi di aviazione britannici. Il comandante
inglese respinse l'ultimatum facendo bombardare le postazioni di artiglieria irachena: a
Baghdad tornò il reggente e il primo ministro Nuri as-Said, scacciati in precedenza da
un colpo di Stato. Per il resto della guerra l'Iraq partecipò alle operazioni militari contro
le forze dell'asse permettendo il passaggio attraverso il suo territorio dei rifornimenti
destinati all'URSS. Durante la guerra Nuri as-Said cercò di affrettare la riunione di
Palestina, Libano e Transgiordania con la Siria, formando nel 1945 la Lega araba con
l'Egitto.
Nel 1947 ci furono in Iraq le elezioni che condussero alla carica di primo ministro lo
sciita Salih Jabr. Nel 1948 anche le truppe irachene presero parte alla prima guerra tra
arabi e israeliani: la sconfitta propiziò il ritorno al potere di Nuri as-Said che tuttavia
non assicurò al paese l'attesa stabilità.
7. 4 Il petrolio dell'Arabia Saudita
È difficile sottrarsi all'impressione che i guai dell'Iraq siano stati causati in primo
luogo dal petrolio, estratto da compagnie straniere che pagavano crescenti diritti di
estrazione del prezioso elemento. È naturale che il gruppo etnico in grado di mandare al
potere il suo leader potesse assicurarsi i vantaggi del potere che poi si poteva mantenere
solo per mezzo della corruzione.
Arabia Saudita In Arabia Saudita, almeno fino al 1932, non fu scoperto il petrolio e
perciò quel grande paese in gran parte desertico poté rimanere sotto il regime patriarcale
dei discendenti di Saud, l'emiro rimasto al potere dopo la fine del regime turco. Nel
1927 il re Abdul Aziz II, figlio di Saud, portò a termine l'unificazione della penisola
araba riunendo i due regni del Higiaz e del Neged. Il mutamento politico fu nominale
perché nel paese non fu introdotto un regime democratico come si tentò in Siria e in
Iraq. Fino a quando il re Abdul Aziz II non completò il progetto il paese rimase isolato
dal resto del mondo a causa della sua povertà - le uniche entrate erano rappresentate dai
pellegrini in visita alle città sante della Mecca e di Medina - e dei suoi sterminati
deserti. Gli unici Stati che mantenevano relazioni con l'Arabia Saudita erano Turchia e
Gran Bretagna. La conquista del Higiaz col porto di Gedda favorì scambi internazionali.
L'Arabia Saudita esce dall'isolamento Abdul Aziz II comprese che il progresso e la
stabilità del regime dipendevano da buoni rapporti con le potenze occidentali, le sole
che potevano fornirgli tecnologia. Non esitò pertanto a temperare i costumi puritani e
xenofobi del nativo Neged accettando gli atteggiamenti più aperti degli abitanti delle
province costiere.
Rivolta dei conservatori Nel 1929 ci fu un tentativo di rivolta contro Abdul Aziz II
accusato di favorire il rilassamento dei costumi: la ribellione che minacciava guerra
all'Iraq e alla Gran Bretagna fu schiacciata. Da quel momento l'attenzione di Abdul Aziz
II si indirizzò allo sviluppo del paese e ai rapporti internazionali. Il re d'Arabia volle
mantenere in completa indipendenza il suo paese, cercando di rafforzare la supremazia
sull'Islam. A patto che venissero rispettati questi due obiettivi, Abdul Aziz II fu pronto a
stabilire contatti con ogni Stato, rispettando le novità che i rapporti internazionali
facevano giungere anche in Arabia: per esempio l'uso del tabacco, l'ascolto della
musica, i viaggi in aereo che il puritanesimo islamico proibiva.
L'Arabia saudita entra nella Lega araba Nel 1934 ci fu una guerra di frontiera contro
lo Yemen conclusa con una pace onorevole. Nel 1945 l'Arabia saudita entrò nella Lega
araba divenendone subito uno dei membri più equilibrati.
Saud IV Nel 1952 Abdul Aziz II celebrò i cinquant'anni di regno, morendo l'anno dopo.
Gli successe il figlio Saud IV che favorì la costruzione di strade, ferrovie, porti,
aeroporti, scuole, ospedali, moschee, palazzi senza alcun riguardo per problemi di finanze, dato che il petrolio sembrava coprire ogni spesa. In quegli anni gli americani
rafforzarono la loro presenza in Arabia dopo che gli inglesi ebbero perduto la loro
preminenza a causa della protezione accordata ai territori periferici dell'Arabia: Yemen,
Oman, Emirati arabi e Qatar.
Faisal Nel 1958 il re Saud IV trasferì i suoi poteri al fratello Faisal che introdusse nel
paese un regime di austerità dopo anni di spese folli. I peggiori esempi di
amministrazione irresponsabile furono tolti via, incrementando le spese per le
infrastrutture. Resistenze di tipo famigliare costrinsero Saud IV ad allontanare il fratello
dal potere, riprendendolo nelle sue mani.
Il petrolio Tutto in Arabia dipende dal petrolio. Fin dal 1923 Abdul Aziz II aveva
concesso a compagnie petrolifere inglesi il compito di effettuare prospezioni, ma
l'abbondanza del petrolio iracheno fece rimandare la ricerca. Nel 1933 le prospezioni
furono compiute con successo dalla Standard Oil di California che costituì la Aramco
(Arabian American Oil Company), una società comprendente quattro colossi petroliferi
americani. Nel 1938 il petrolio fu trovato in quantità immensa, ma fino al 1945 la guerra
impedì di sfruttarlo. Nel 1945 fu completata la raffineria di Ras Tamura, la più grande
di quell'epoca. Nel 1950 fu costruito un oleodotto che, attraverso la Giordania e la Siria,
arriva a Sidone nel Libano. Nel 1951 fu scoperto il petrolio al largo di Safaniyah nel
Golfo persico e poi nel deserto di Rub al Khali dove fu trovata anche l'acqua. Nel 1950 i
diritti sul petrolio estratto salirono al 50% a favore dell'Arabia. Da quel momento le
scoperte non si contano più, facendo dell'Arabia Saudita il maggiore produttore di
petrolio al mondo con Kuwait, USA, Venezuela e Russia.
7. 5 Il nazionalismo in Iran
Più complessa la vicenda dell'Iran, un grande paese musulmano ma non arabo, la cui
storia è plurimillenaria, in conflitto per l'indipendenza con l'impero turco e con quello
russo, ancor oggi al centro delle tensioni del Medio Oriente.
L'Iran nel XIX secolo Nel corso del secolo XIX l'Iran non aveva subito l'influsso
dell'Occidente nella stessa misura dell'impero turco. L'esercito iraniano rimaneva debole
e arretrato, incapace di resistere ad attacchi dall'esterno e poco adatto a reprimere i
movimenti interni. Lo scià Nasir ad-din (1848-1896) chiamò ufficiali russi nel 1879 per
addestrare una brigata di cosacchi, rimasta fino al tempo dello scià Riza (1925-1941)
l'unica unità militare relativamente moderna.
Penetrazione economica in Iran La posizione geografica dell'Iran non poteva sottrarlo
alle influenze politiche europee. Russia e Gran Bretagna si fronteggiavano in Iran come
nel resto dell'Asia centrale, ciascuna impedendo all'avversaria di fare progressi in quel
paese. L'economia europea non conosceva frontiere: finanzieri e commercianti
entrarono in Iran portando il telegrafo e altre novità occidentali. In Iran l'unica
possibilità per il governo di assicurarsi entrate finanziarie era la concessione in regime
di monopolio dello sfruttamento delle ricchezze del paese. Si cominciò col tabacco, la
cui produzione e vendita finì in mani inglesi (1890). Quella concessione sollevò in Iran
una grande protesta fomentata dai mercanti e dagli usurai locali. Costoro furono
appoggiati dagli ulama, i capi religiosi sciiti la cui acquiescenza all'autorità politica non
è mai stata completa: infatti, gli sciiti attendono il ritorno del dodicesimo discendente
del califfo Alì, scomparso nell'infanzia, ma che verrà per restaurare nel mondo la
giustizia conculcata dagli usurpatori. Nel frattempo la volontà dell'Imam occulto viene
espressa dai teologi che conoscono le scritture islamiche nella loro interezza. Per di più
alcuni santuari sciiti si trovano in Iraq, dove ci si poteva rifugiare e organizzare la resistenza contro lo scià. Nella protesta del tabacco gli ulama fecero ricorso alla loro
influenza: boicottarono il tabacco proibendone l'uso. Inconsciamente essi lottavano
contro gli usi e costumi occidentali ritenuti in grado di snaturare l'Islam.
Protesta contro la concessione del monopolio In Iran esisteva anche un piccolo
gruppo di funzionari filoccidentali che però temevano la reazione religiosa e si
sforzavano di far apparire le idee occidentali come presenti nelle scritture islamiche. I
filoccidentali presero spunto dalla protesta del tabacco per chiedere una limitazione dei
poteri dello scià. Mercanti, religiosi sciiti e progressisti si unirono contro lo scià
costringendolo a revocare la concessione del monopolio agli inglesi. Lo scià Nasir addin fu ucciso nel 1896. Sotto il suo successore Muzaffar ad-din (1896-1907) l'Iran
continuò a indebitarsi con l'estero e perciò furono necessarie nuove tasse che a loro
volta fecero aumentare la febbre politica. Si formarono sette segrete che si proponevano
di affrettare la rivoluzione, incoraggiate dalla sconfitta russa contro il Giappone
avvenuta nel 1905 e dalla successiva rivoluzione in Russia il cui governo fu costretto a
concedere alcune riforme. Una serie di incidenti costrinsero lo scià nel 1906 a concedere
la costituzione e a convocare un parlamento.
Disordini a base tribale Nel 1907 lo scià Muzaffar ad-din morì lasciando il trono al
figlio Muhammed Alì (1907-1909) decisamente ostile al parlamento. Il mantenimento
dell'ordine pubblico si dimostrò un compito difficile ora che lo scià non aveva più il potere assoluto e il Parlamento non aveva ancora acquistato l'autorità necessaria per far
valere la sua volontà: le varie tribù si armarono iniziando una guerra civile, rifornite di
armi da russi e inglesi. Un primo ministro fu ucciso e un altro fu destituito dallo scià
che, a sua volta, fu eliminato da un attentatore. Il 1907 fu un anno importante per la
storia iraniana. Russia e Gran Bretagna, infatti, preoccupate per la crescente vitalità tedesca, decisero di chiudere il loro contenzioso in Iran, Afghanistan e Tibet dichiarando
di mantenere indipendenti quei paesi come Stati cuscinetto. Nel giugno 1908 lo scià
sciolse il Parlamento e abrogò la costituzione, ma la rivolta di alcune città tra cui Tabriz
e Ispahan portò alla conquista di Teheran, alla deposizione dello scià e all'elezione del
figlio dodicenne Ahmed. Verso la fine del 1909 fu eletto un secondo Parlamento mentre
il paese era in preda all'anarchia. Lo scià deposto cercò di tornare al potere ma fu
sconfitto accrescendo la confusione. I russi inviarono un ultimatum al governo iraniano,
costringendolo a sospendere la costituzione. Nel 1914 Ahmed, divenuto maggiorenne,
tentò la convocazione del terzo Parlamento, ma ormai era alle porte la guerra mondiale.
I tedeschi e i turchi cercarono di far intervenire dalla loro parte l'Iran contro la Russia,
ma bastò una minaccia di invasione per far fallire ogni progetto bellicoso dell'Iran.
Riza Khan La guerra e il difficile dopoguerra portarono al tracollo l'economia iraniana.
In quei difficili frangenti si mise in luce un militare, Riza Khan, che riuscì a farsi
proclamare scià nel 1925, rimanendo al potere fino alla sua deposizione avvenuta nel
1941, governando con metodi dittatoriali. Quegli anni furono cruciali per l'Iran: lo scià
Riza riuscì a disarmare le tribù riunendo tutti i soldati in un esercito posto ai suoi ordini;
impose la vita sedentaria ai nomadi; impostò la prima e fondamentale rete di
comunicazioni, strade e ferrovie; istituì un regolare servizio postale; iniziò
l'industrializzazione del paese (zucchero, cemento, tessili); riformò l'istruzione pubblica
ottenendo buoni risultati nell'Università di Teheran nella quale insegnarono professori
europei: per attuare queste riforme fu importante l'esempio turco che suggerì la via da
percorrere.
Orientamento filonazista di Riza L'Iran seguì con preoccupazione gli eventi che
condussero alla Seconda guerra mondiale, perché la sua debolezza militare non gli
permetteva di reggere l'urto coi potenti vicini. Verso la fine del 1939 si percepiva che
l'opinione pubblica era favorevole alle democrazie occidentali, mentre la politica dello
scià propendeva per la Germania e per l'Italia, soprattutto dopo il cedimento occidentale
al convegno di Monaco nel 1938. Peraltro la Germania aveva assunto il terzo posto per
ordine di importanza nel commercio estero iraniano e la propaganda nazista puntava le
sue carte sull'occupazione dell'Iran per attaccare la Gran Bretagna nel Vicino e Medio
Oriente.
L'Iran durante la seconda guerra mondiale Nel 1941 sia i russi da nord sia i
britannici da sud entrarono in Iran, costringendo lo scià Riza ad abdicare a favore del
figlio Mohammed Riza, educato in Europa, che annunciò di voler governare da sovrano
costituzionale. Nel 1942, Gran Bretagna URSS e Iran conclusero un trattato di alleanza
che prevedeva l'integrità del territorio iraniano e la partenza delle truppe di occupazione
alleate entro sei mesi dal termine del conflitto contro la Germania. La ferrovia
transiraniana si rivelò in quegli anni di fondamentale importanza per rifornire l'URSS di
armi e viveri. Il petrolio iraniano apparve indispensabile per la conduzione della guerra,
ma il denaro che entrava nel paese produsse inflazione, spingendo il governo iraniano a
cercare di sottrarsi ai suoi alleati: come interlocutore privilegiato fu scelto il governo
degli USA, considerato più disinteressato.
La fine della seconda guerra mondiale segnò anche in Iran la fine della supremazia
anglo-francese sostituita dall'influenza americana che cercava di contenere la spinta
dell'URSS.
7. 6 I problemi dell'Egitto
Anche l'Egitto è stato al centro di una civiltà plurimillenaria, essenzialmente
agricola, dipendente dalle piene del Nilo che irrigavano i campi permettendo di
mantenere una numerosa popolazione.
Il canale di Suez Resosi indipendente di fatto dall'impero turco fin dai primi anni del
XIX secolo, l'Egitto conobbe un'improvvisa prosperità in seguito all'apertura del canale
di Suez (1869) attirando l’attenzione delle potenze occidentali che cercavano di
controllarlo. In seguito a bancarotta del governo egiziano, la Gran Bretagna acquistò il
pacchetto azionario della Compagnia del Canale di Suez in possesso dell'Egitto e poi,
nel 1882, occupò il paese per parare analoga mossa della Francia. Nel 1883 la Gran
Bretagna promosse l'istituzione di un consiglio legislativo per limitare i poteri assoluti
del khedivé (viceré) egiziano. Nel 1914 l'occupazione dell'Egitto fu trasformata in
protettorato. Terminata la guerra, iniziarono moti nazionalisti contro gli inglesi: nel
1922 il governo britannico riconobbe l'indipendenza dell'Egitto, pur mantenendo truppe
a difesa del canale. Fino al 1914, nominalmente, l'Egitto aveva fatto parte dell'impero
turco, e il suo sovrano portava il titolo di khedivé concesso dal sultano di Costantinopoli, mutato in quello di Malik (re) nel 1922 per rendere manifesta la nuova
dignità.
Fallisce il regime democratico Dal 1917 era re d'Egitto Fuad II noto per le propensioni
autoritarie. Fuad II riuscì a togliere alla progettata costituzione molti elementi
democratici: anche così modificata la costituzione egiziana deluse le aspettative riposte
in essa. Il motivo va cercato nel fatto che gli istituti rappresentativi occidentali non
riuscirono a dar vita a un governo costituzionale e responsabile. Le elezioni
rispecchiavano la volontà della fazione che per ultima aveva preso il potere.
Il partito Wafd Le elezioni del 1923 furono vinte dal partito Wafd, un movimento
populista fondato da Zaghlul Said, colui che aveva guidato l'opposizione contro il
protettorato inglese. Zaghlul Said dapprima ebbe l'appoggio del re Fuad II, ma commise
l'errore di esigere eccessivo potere e in capo a un anno fu costretto alle dimissioni. Fuad
II si affrettò a sciogliere il Parlamento e a indire nuove elezioni che dovevano dare un
orientamento ostile al Wafd. In realtà, il partito del re e il Wafd ebbero un numero di
deputati pressoché pari e perciò il Parlamento si riunì una sola volta e poi fu sciolto.
Intervenne l'alto commissario britannico per obbligare il governo egiziano a tenere
nuove elezioni per l'anno 1926: il Wafd vinse le elezioni, ma Zaghlul Said, inviso alle
autorità britanniche, non divenne primo ministro. Tale incarico fu affidato a Nahhas che
entrò in conflitto con gli inglesi e perciò licenziato. Il successore Mohammed Mahmud
governò per un anno senza convocare il Parlamento. Nel 1929 in Gran Bretagna andò al
potere il partito laburista che si propose, tra l'altro, la normalizzazione dei rapporti
anglo-egiziani: perciò Mohammed Mahmud fu licenziato a sua volta, e si tennero nuove
elezioni con maggioranza per il Wafd. Anche il nuovo governo non riuscì a stabilire
buoni rapporti con la Gran Bretagna: re Fuad II decise perciò di governare direttamente
senza Parlamento dal 1931 al 1936.
Fine della monarchia egiziana Nel 1936 ancora una volta la Gran Bretagna volle
riprendere i negoziati con un governo egiziano espressione della maggioranza: quando
risultò che la maggioranza era assegnata ancora una volta al partito Wafd con cui gli inglesi non volevano trattare, la situazione giunse a un vicolo cieco. Nel 1936 morì il re
Fuad II e gli successe il figlio minorenne Faruq che assunse i pieni poteri nel 1937
quando fu dichiarato maggiorenne. Anche Faruq fu ostile al partito Wafd e perciò fece
dimettere Nahhas richiamando al potere Mohammed Mahmud che riuscì a far eleggere
un Parlamento ostile al Wafd. Tale Parlamento rimase in carica fino al 1942 quando la
Gran Bretagna, preoccupata delle simpatie naziste di Faruq, lo obbligò a indire le
elezioni, vinte dal partito Wafd che riportò al potere Nahhas. La legislazione ebbe
termine naturale nel 1950, ma già nel 1952 avvenne un colpo di Stato militare guidato
dal colonnello Nasser che pose termine sia alla monarchia sia al regime parlamentare.
Il nazionalismo arabo L'esame dei principali avvenimenti politici accaduti nei paesi
arabi rende manifesto il fatto che quegli Stati presentavano una configurazione sociale
inadatta alla democrazia parlamentare. La presenza del petrolio o di una posizione
geografica che non poteva esser abbandonata senza pericolo delle potenze occidentali,
richiese continui interventi militari e politici anche per arrestare la penetrazione
dell'URSS nella regione. Ma così facendo il nazionalismo arabo divenne ancora più
virulento, portando al potere regimi a partito unico che, sulla scorta dell'esempio egiziano, si affermarono anche negli altri paesi arabi.
7. 7 Cronologia essenziale
1882 La Gran Bretagna occupa l'Egitto.
1897 Primo congresso del sionismo a Basilea.
1905 Nel corso del VII congresso del sionismo la Palestina è scelta come unica zona in
cui insediare uno Stato sionista.
1914 L'occupazione britannica si trasforma in protettorato sull'Egitto.
1917 Dichiarazione di Lord Balfour favorevole a un focolare nazionale ebraico in
Palestina.
1920 Il generale Kemal convoca ad Ankara l'Assemblea nazionale che dichiara
decaduto il regime del sultano. È rifiutato il trattato di Sèvres.
1920 La Francia dà vita allo Stato del Libano, staccato dalla Siria.
1920 La Gran Bretagna ottiene il mandato fiduciario sull'Iraq.
1921 L'esercito di Kemal sconfigge l'esercito del sultano. Ad agosto l'esercito turco
sconfigge i greci lungo il fiume Sakarya.
1922 La Gran Bretagna concede l'indipendenza all'Egitto.
1925 Riza Khan diviene scià dell'Iran.
1927 Il re Abdul Aziz II riunifica i regni dell'Arabia Saudita.
1938 Il governo inglese prende atto della volontà araba di impedire la formazione di uno
Stato ebraico in Palestina.
1942 Trattato di amicizia tra URSS, Gran Bretagna e Iran.
1945 Si costituisce la Lega araba comprendente Iraq, Palestina, Libano, Transgiordania,
Siria, Egitto e Arabia Saudita.
1947 L'ONU propone la formazione di due Stati in Palestina, uno arabo e uno ebraico.
Gli arabi rifiutano.
1948 Prima guerra arabo-israeliana.
1952 Il colpo di Stato del colonnello Nasser pone fine alla monarchia in Egitto.
7. 8 Il documento storico
La prima guerra mondiale ha impresso una notevole spinta alla crescita del
nazionalismo arabo che il governo inglese si affrettò a utilizzare per aver ragione dei
turchi, alleati degli imperi centrali. Il documento che segue è ricavato dal noto libro di
T. E. Lawrence, I sette pilastri della saggezza che non è propriamente una fonte storica,
ma che appare utile come introduzione ai problemi del mondo arabo.
“Una prima difficoltà nel movimento arabo stava nel definire gli Arabi stessi. Popolo
composto d'elementi molteplici, il loro nome era andato cambiando lentamente di
significato col passare degli anni. C'era un paese, l'Arabia. Ma nel nostro caso non contava. Ed una lingua, l'arabo. Qui stava il punto. Parlavano arabo in Siria, in Palestina, in
Mesopotamia e nella grande penisola chiamata Arabia sulle carte. Prima delle conquiste
musulmane, quelle regioni erano state sede di numerosi popoli, tutti di lingua affine
all'arabo, dette semitiche con un termine scorretto come la maggior parte dei termini
scientifici. Comunque l'arabo, l'assiro, il babilonese, il fenicio, l'ebraico, l'aramaico, il
siriaco erano lingue imparentate. Le tracce d'influenze comuni subite nel passato, o
persino d'una comune origine, venivano rafforzate dalla nostra conoscenza di usi ed
aspetti dei popoli asiatici di lingua araba ai nostri giorni: vari come un campo di
papaveri e tuttavia essenzialmente affini. Si potevano chiamarli cugini con perfetta
proprietà - cugini ben consci, anche se con rammarico, della propria parentela.
Giudicate con tale criterio, le regioni asiatiche di lingua araba formano suppergiù un
parallelogramma. Il lato settentrionale da Alessandretta traversava la Mesopotamia,
giungendo fino al Tigri. Il lato sud costeggiava l'Oceano Indiano, da Aden a Muscat. A
ovest il parallelogramma era delimitato dal Mediterraneo, dal canale di Suez e dal Mar
Rosso fin giù ad Aden; ad est dal Tigri e dal Golfo Persico fino a Muscat. Questo
territorio, grande quanto l'India, costituiva la patria dei popoli semitici. Nessun'altra
razza aveva potuto mantenervisi, nonostante i tentativi svariati d'Egiziani, Ittiti, Filistei,
Persiani, Greci, Romani, Turchi, Franchi. Tutti, alla fine, erano stati frantumati, ed i loro
frammenti assorbiti dalle forti caratteristiche della razza semitica. Alla loro volta, alcuni
gruppi semitici spintisi fuori della propria area, erano scomparsi nel mondo circostante.
Egitto, Algeria, Marocco, Malta, la Sicilia, la Spagna, la Cilicia e la Francia avevano
assorbito in epoche diverse colonie semitiche fino a cancellarne la memoria. Soltanto a
Tripoli d'Africa e nel miracolo eterno degli Ebrei, gruppi lontani dalla terra d'origine,
avevano salvato una parte della propria identità.
L'origine di questi popoli dava da fare alle accademie. Ma per comprendere la rivolta
contavano di più le loro diversità politiche e sociali immediate - diversità non
comprensibili se non studiandone la geografia.
La loro patria si suddivideva in parecchie grandi regioni, le cui differenze fisiche
rilevanti imponevano usi diversi agli abitanti. A occidente, da Alessandretta a Aden, il
parallelogramma era chiuso da una catena di montagne, detta Siria a nord, poi,
procedendo verso sud, Palestina, Midian, Hejaz, finalmente Jemen. Pur non superando
l'altezza media della catena i tremila piedi, qualche singola vetta toccava tuttavia i dieci
e i dodicimila. I monti che si affacciavano ad ovest, abbondavano d'acqua per piogge e
nubi dal mare e, in generale, erano densamente popolate.
Anche il lato sud era formato di una serie di colline a popolazione numerosa,
prospiciente l'Oceano Indiano. Il lato est s'iniziava con la pianura alluvionale della
Mesopotamia, ma da Basra in giù un litorale piano, detto prima Kuwait e poi Hasa,
giungeva fino a Gattar. Gran parte della pianura era abitata. Queste colline e distese
popolate cintavano un golfo arido e deserto, al cui centro stava un gruppo di oasi ricche
d'acqua e d'abitanti: Kasim e Aridh. Queste erano il vero centro d'Arabia: ne
presentavano lo spirito originario, ne mantenevano viva e cosciente l'individualità. Il
deserto le lambiva, tutt'intorno, garanzia contro ogni contaminazione.
Il deserto che assolvendo tale funzione intorno alle oasi foggiava il carattere
dell'Arabia, si mostrava di varia natura. A sud delle oasi si presentava come un mare
impraticabile di sabbia, fin quasi alla popolosa fascia costiera dell'Oceano Indiano,
escludendola dalla storia d'Arabia e da ogni influenza sulla morale e sulla politica araba.
Il Hadramauth - così si chiamava la costa meridionale - toccava piuttosto la storia delle
Indie Orientali. Più che l'Arabia richiamava alla mente Giava. Il deserto di Nejd, ad
ovest delle oasi, fino alle colline del Hejaz, era coperto di pietrisco e lava, e da poca
sabbia. Una distesa pietrosa, non molto dissimile correva ad est delle oasi, fino al Kuwait, interrotta tuttavia da tratti di sabbia cedevole, che rendevano difficile la strada. A
nord una distesa vastissima di ciottoli e lava succedeva ad una stretta cinta sabbiosa,
occupando tutta la regione fra il limite orientale della Siria e la riva dell'Eufrate inizio
della Mesopotamia.
Questo piano desertico praticabile per uomini e automezzi rese possibile l'esito felice
della rivolta araba”.
Fonte: T.E. LAWRENCE, I sette pilastri della saggezza, Bompiani, Milano 1949, pp.
19-20.
7. 9 In biblioteca
Di notevole interesse per i problemi che concernono il petrolio di G. DE ROSA- R.
LIZZUL, L'avventura del petrolio, Morcelliana, Brescia 1964. F. CATALUCCIO, La
questione d'Oriente: lotte di nazionalità e interesse di potenze, in AA.VV., Nuove
questioni di storia contemporanea, vol. II, Marzorati, Milano 1977, pp. 1467-1534.
Cap. 8 La rivoluzione bolscevica in Russia
L'avvenimento più rilevante del XX secolo è l'avvento al potere di un regime
comunista in Russia. Le dottrine economiche e sociali di un pensatore tedesco, Karl
Marx, fornirono l'ideologia ufficiale del nuovo impero sovietico. Tra quelle dottrine ve
n'era una che prevedeva un periodo di violenza parossistica, la dittatura del
proletariato, mirante alla distruzione della struttura borghese della società fondata
sulla proprietà privata dei mezzi di produzione materiale della vita: per ottenere questo
fine occorreva distruggere le classi sociali che avevano guidato lo sviluppo della
società nel passato. Ma per realizzare un compito di quelle dimensioni bisognava
indurire il cuore, non provare alcuna pietà e perseguire lo scopo con inflessibile
determinazione.
Già durante la rivoluzione francese e poi durante il breve episodio della Comune di
Parigi c'erano stati precedenti che potevano giustificare il ricorso alla crudeltà: infatti,
gli immortali principi dell'89 avevano prodotto la ghigliottina; la rivoluzione d'ottobre
produsse il GULag, il campo di lavoro forzato che obbliga i nemici di classe a edificare
il socialismo a costo della propria vita, scontando una pena inflitta non a seguito di
reati personali, ma perché si era nati in una famiglia di possidenti, o perché si era
frequentata l'università, o si era fedeli alla Chiesa ortodossa.
Quando la repressione esaurì i nemici di classe, essa si rivolse contro i promotori
della rivoluzione, lasciando sopravvivere un ristretto gruppo dirigente su cui dominava
Stalin, vera incarnazione del dispotismo asiatico. Stalin decretò l'edificazione del
socialismo in un solo paese posto a guida della rivoluzione mondiale. Il riarmo tedesco
colse Stalin in un momento di crisi del suo paese, durante la terribile "purga" di tutti i
dirigenti comunisti tra il 1936 e il 1938 che lasciò l'esercito russo senza comandanti
esperti. Di fronte alla debolezza e alle incertezze dimostrate dalle potenze occidentali
ad aderire all'alleanza col governo sovietico - presentato per tanti anni come l'essenza
del male - Stalin non esitò a stipulare un trattato di non aggressione con la Germania
nazista, pur di avere qualche anno di respiro. Ma così facendo l'URSS permise a Hitler
di far guerra alla Polonia, scatenando la seconda guerra mondiale.
8. 1 La Russia del 1905 al 1917
Dal 1894 era al potere in Russia lo zar Nicola II, l'ultimo sovrano della dinastia
Romanov, un uomo incapace di imprimere alla politica russa una sterzata tale da
scongiurare la rivoluzione.
Formazione del ceto borghese Sotto il regno del padre Alessandro III era stato fatto
qualche progresso nella lotta contro il terrorismo anarchico, ma ora l'opinione pubblica
chiedeva riforme democratiche che, come primo effetto, portarono alla ripresa del
terrorismo. Il fatto nuovo degli ultimi vent'anni era la formazione di un ceto borghese
posto tra la massa dei contadini e il piccolo numero di famiglie nobili, circa 30.000, che
ancora controllavano buona parte della terra.
Iniziano le agitazioni operaie Nei primi anni del suo regno Nicola II aveva compiuto
un notevole sforzo per sfruttare le ricchezze naturali della Russia: la ferrovia transiberiana aveva convogliato gran numero di persone nella sterminata Siberia aprendola alla
colonizzazione stabile; erano state create numerose scuole; erano sorti alcuni grandi
stabilimenti siderurgici e aperte miniere di carbone; il ministro delle finanze Witte era
riuscito a stabilizzare il rublo di carta aumentando le imposte dirette. Le riforme di
Witte furono la premessa per lo sviluppo dell'industria, concentrata in alcuni centri
importanti come Mosca, Pietroburgo e il bacino del Donetz, ma col sorgere dei centri
industriali, che fecero passare il numero degli operai da circa 380.000 a quasi 3 milioni,
cominciarono anche le agitazioni operaie ben presto monopolizzate dai partiti socialisti.
Mancato sviluppo delle campagne Sempre durante il regno di Nicola II furono
compiuti alcuni grandi interventi di bonifica e di irrigazione, ma il Witte riteneva che
solo l'industria potesse produrre accrescimento della ricchezza del paese. Il mondo
contadino gli sembrava impenetrabile, bloccato dall'antica dipendenza dei contadini
dalla comunità di villaggio che impediva la creazione di un ceto medio rurale formato
da contadini trasformati in liberi imprenditori.
Il sistema della obscina Dopo la fallita rivoluzione del 1905, l'unica riforma agraria,
attuata in Russia prima della rivoluzione bolscevica, fu realizzata da Piotr Stolypin nel
1906. Come è noto, gran parte della terra coltivata che non apparteneva alla nobiltà, era
proprietà collettiva del villaggio (obscina) che assegnava a rotazione i campi ai
contadini: il basso livello culturale di costoro, i sistemi arcaici di coltivazione, l'assenza
di macchine agricole avevano per conseguenza la bassa produttività. Le eccedenze
agricole destinate all'esportazione provenivano dai grandi latifondi nobiliari i quali
peraltro non riuscivano, a causa delle resistenze dei contadini alle innovazioni, ad
attuare la meccanizzazione dell'agricoltura e quindi la trasformazione capitalistica delle
campagne.
La riforma agraria Con la riforma agraria di Stolypin i contadini potevano uscire dalla
obscina ottenendo la proprietà della terra che avevano in uso: divenuti liberi agricoltori
potevano partecipare all'elaborazione dell'autogoverno locale (zemstvo). I conservatori
videro in questa timida riforma la fine delle "tradizioni russe" che a loro sembrava la
fine del mondo e degli istituti slavi, sostenuti in questo atteggiamento dai più retrivi tra i
contadini che non guardavano con simpatia a quella iniziativa perché sembrava
obbligarli ad assumere responsabilità personali non gradite.
Indebolimento del regime autocratico Nonostante le opposizioni, la riforma agraria di
Stolypin passò: nel 1915 erano già circa 5 milioni i contadini usciti dalla obscina e
divenuti liberi agricoltori. I gruppi rivoluzionari avversarono la riforma perché
temevano che la progettata rivoluzione venisse disinnescata: in ogni caso, nel 1911
Stolypin fu assassinato. Gli attentati di matrice anarchica continuavano a segnare un
crescendo impressionante. I terroristi davano prova di buona organizzazione e di
disprezzo della morte: si mantenevano ricorrendo a "espropri proletari" ai danni di uffici
postali, banche e chiese.
Debolezza delle correnti liberali Apparentemente lo Stato russo era un'autocrazia
assoluta, ma in realtà esso si indeboliva a vista d'occhio oscillando tra cedimenti e
improvvisi irrigidimenti che all'estero apparivano anacronistici. I liberali russi miravano
a ottenere una costituzione di tipo occidentale anche se non sapevano spiegare come
sarebbero riusciti a difenderla dal prevedibile attacco delle forze rivoluzionarie.
Patto d'azione dei partiti russi Nel 1903 lo storico liberale Miljukov partecipò a una
riunione dei partiti socialisti russi tenuta a Parigi: da quell'incontro scaturì un accordo
tra tutte le componenti dell'opposizione all'autocrazia zarista.
La guerra russo-giapponese Nel 1904 la distruzione di alcune navi russe a Port Arthur
operata dalla flotta giapponese, scatenò la guerra tra i due paesi: la posta in gioco era il
controllo della Corea. La disfatta per terra e per mare dei russi si susseguirono fino alla
decisiva sconfitta di Tsushima dove la flotta del Baltico fu affondata. Il governo russo
aveva intrapreso quella guerra per riportare una facile vittoria da dare in pasto
all'opinione pubblica: quando accadde il contrario, il governo fu costretto a concedere
alcune riforme.
La rivoluzione del 1905 La rivoluzione iniziò con una riunione del zemstvo di
Pietroburgo nel novembre 1904. In quella occasione fu chiesta al governo l'abolizione
del confino come misura amministrativa e l'inviolabilità del domicilio privato; la libertà
di religione, di stampa e di riunione; la parità del godimento dei diritti politici. Il
governo non comprese la gravità della situazione politica ed esitò prima di concedere
qualcosa, irritando tutti i gruppi all'opposizione, dai liberali ai socialisti. Verso l'inizio
del 1905 a Pietroburgo iniziò un grande sciopero operaio e il 9 gennaio si formò un
corteo che intendeva portare allo zar una petizione popolare: il corteo procedeva
cantando inni religiosi (gli unici conosciuti da tutti) e portando i ritratti dello zar e della
zarina. A capo del corteo si trovava il pope Gapon, uno strano personaggio che cercava
di realizzare un programma di socialismo cristiano: costui fu ucciso l'anno dopo da un
socialista-rivoluzionario che lo accusava d'essere una spia. I cosacchi di guardia al
Palazzo d'inverno aprirono il fuoco contro i dimostranti uccidendone un centinaio. La
vicenda del 9 gennaio produsse enorme impressione nel paese accrescendo il panico
prodotto dalle disfatte militari in oriente.
La corazzata Potëmkin Sulla corazzata Potëmkin alla fonda nel porto di Odessa, i
soldati ammutinati avevano innalzato la bandiera rossa; nelle università divampava la
rivolta studentesca; nelle campagne erano prese d'assalto le case dei possidenti; le
banche erano saccheggiate per finanziare il movimento rivoluzionario; i tipografi
rifiutavano di stampare i fogli governativi mentre si moltiplicavano i giornali socialisti.
Il Soviet di Pietroburgo Nell'autunno del 1905 gli scioperi e le agitazioni raggiunsero
il culmine: a Pietroburgo, oltre il governo che appariva indebolito, era in funzione il Soviet ossia il Consiglio dei delegati operai che dirigeva gli scioperi prendendo decisioni
politiche al di sopra dei partiti, come se fosse un governo di riserva pronto ad assumere
il potere quando il governo ufficiale si fosse screditato del tutto. Witte consigliò allo zar
di reprimere la rivoluzione o di concedere la costituzione.
La costituzione del 1905 Il 17 ottobre 1905 lo zar concesse la costituzione, riuscendo a
ottenere un poco di tregua. Ci furono anche dimostrazioni controrivoluzionarie: poiché
numerosi intellettuali ebrei avevano preso parte alla rivoluzione, la reazione assunse
spesso l'aspetto di sanguinosi pogrom ai danni delle comunità ebraiche i cui membri
intensificarono l'emigrazione in Palestina. La costituzione accelerò la formazione dei
partiti politici russi che si possono suddividere in tre principali gruppi.
I partiti marxisti Il primo gruppo comprendeva i marxisti che ufficialmente si
chiamavano Partito socialdemocratico operaio russo (esdaki dalle iniziali S D)
cresciuti di numero nel decennio dell'industrializzazione tra il 1890 e il 1900. I marxisti
erano repubblicani per quanto riguarda il piano istituzionale. Il partito marxista si divise
in vari gruppi: c'era il Bund formato dai socialisti ebrei durante il congresso di Minsk
del 1897; poi veniva il gruppo degli "economisti" che proponeva, almeno per il
momento, di mettere da parte le agitazioni politiche per ottenere miglioramenti dei
salari: perciò appoggiavano solo gli scioperi aventi carattere economico, seguendo la
tattica dei "revisionisti" come Bernstein; infine c'era la fazione dei bolscevichi dominata
da Lenin che ottenne la direzione del partito nel corso del congresso di BruxellesLondra. In quell'occasione la maggioranza dei delegati operai accettò la proposta di
Lenin di costituire un piccolo partito formato di uomini totalmente dedicati alla causa
rivoluzionaria, retto da una disciplina ferrea che non discuteva gli ordini del capo. Ostili
a questo progetto erano i menscevichi, favorevoli a un partito di massa in grado di
giungere al potere radunando un grande seguito al momento delle elezioni.
I socialisti rivoluzionari Il secondo grande raggruppamento era formato dai socialisti
rivoluzionari, chiamati anche eser dalle iniziali del loro partito S R, e che fino al 1917
furono i protagonisti degli attentati più vistosi ai danni dell'autocrazia: costoro erano gli
eredi del populismo anarchico, insuperabili nella fase meramente distruttiva del vecchio
regime, ma incapaci di elaborare un programma coerente da realizzare in caso di
vittoria.
I liberali Il terzo gruppo era formato dai liberali chiamati anche cadetti dalle iniziali del
nome del partito C D (costituzionale democratico). Costoro propendevano per una
monarchia costituzionale a somiglianza di quelle occidentali, anche se accettarono la
repubblica quando il progetto monarchico apparve irrealizzabile. Tra i cadetti e il
governo si collocavano gli ottobristi, ossia coloro che propugnavano un più cauto
liberalismo.
La duma Subito dopo la concessione della costituzione del 1905 i cadetti entrarono in
conflitto con gli ottobristi chiedendo alla Duma appena eletta l'abolizione del Consiglio
di Stato e della pena di morte, oltre l'espropriazione di una parte della proprietà terriera.
Peraltro la prima Duma fu sciolta poco dopo la sua convocazione perché era entrata in
conflitto aperto col governo. La seconda Duma, eletta nel 1907, fu sciolta anch'essa
poco dopo perché si era rifiutata di concedere l'autorizzazione a procedere contro i
membri socialisti accusati dal governo di "complotto". Come è chiaro, l'autocrazia
zarista, sconfitta nel 1905, tentava di riprendere gli antichi poteri. La nuova legge
elettorale emanata dal governo scontentò tutti i partiti, ma permise di eleggere una
Duma più obbediente ai voleri del governo, rimanendo in carica fino al termine naturale
della legislatura (1912), seguita da un'altra Duma anch'essa filogovernativa. Gli attentati
e gli scioperi durarono fino al 1914 quando la Russia entrò in guerra contro gli imperi
centrali, un conflitto che ebbe l'appoggio dell'opinione pubblica a differenza dell'infelice
guerra contro il Giappone.
Progresso materiale della Russia Nel corso del regno di Nicola II la popolazione russa
era passata da 123 a 173 milioni di abitanti; la produzione di frumento era raddoppiata;
anche la zootecnia aveva conosciuto un rapido sviluppo con beneficio della produzione
agricola che poteva contare su un maggiore impiego di fertilizzante. Importazioni ed
esportazioni erano aumentate: se quella congiuntura favorevole fosse durata più a lungo
era lecito aspettarsi il "decollo industriale", ossia quel complesso di interazioni tra
agricoltura, industria, commercio, credito ecc. che permettono la rialimentazione del
ciclo produttivo. I bambini che andavano scuola erano passati da tre a oltre sette milioni
per cui era lecito attendersi che anche le iscrizioni alle scuole superiori e all'università
sarebbero aumentate in misura considerevole.
La cultura russa Per quanto riguarda l'alta cultura la Russia zarista non aveva nulla da
invidiare all'Europa più colta: fino al 1910 visse il patriarca della letteratura russa,
Tolstoj il creatore del romanzo epico moderno. Vladimir Solovjov aveva creato una
poesia intessuta di accenni profetici. La poetessa Anna Achmatova seppe riprodurre
l'atmosfera rarefatta, scrivendo brevi liriche che sono un prodigio di raffinata sensibilità.
Anton Cechov aveva dato alla Russia un modello insuperato di teatro, e la perfezione
della novella in grado di condensare in poche pagine le situazioni più complesse.
Certamente la letteratura russa all'inizio del secolo aveva perduto l'epica grandezza dei
maggiori scrittori del XIX secolo: prevalevano gli influssi del decadentismo occidentale
avvertibili nei versi di Aleksandr Blok.
La filosofia russa In filosofia Nikolaj Berdjaev aveva tentato la conciliazione tra
marxismo e neokantismo, approdando infine a una concezione cristiana della vita, così
come aveva fatto Sergej Bulgakov rivelando l'acuta tendenza russa all'utopismo e
all'amara costatazione che "i benefattori dell'umanità diventano inevitabilmente i suoi
carnefici" (S.L. Frank). Certamente l'intelligencija russa fornì un notevole contributo
alla causa rivoluzionaria. Le idee di libertà elaborate in occidente erano giunte in ritardo
in Russia e avevano trovato l'ambiente sociale incapace di accoglierle. Molti intellettuali
russi perciò elaborarono programmi per "salvare il mondo" scavalcando il problema
posto dal ritardo della società russa: una cultura raffinata si scontrava col torpore,
l'apparente immobilità dei mondo contadino ritenuto in grado di sconfiggere qualunque
sforzo di trasformazione. Da ciò forse trae origine il progetto di Lenin di operare sulla
società russa una cruenta operazione chirurgica che mettesse da parte la pietà per
sconfiggere la componente asiatica, il fatalismo dell'anima russa.
8. 2 Dal crollo dello zarismo alla guerra civile
L'asse portante della politica estera russa fino alla rivoluzione era la cooperazione
con la Francia che forniva i mezzi finanziari necessari allo sviluppo industriale russo.
Anche con la Gran Bretagna erano migliorati i rapporti dopo la spartizione dell'Iran in
distinte zone d'influenza e dopo aver accettato che l'Afghanistan e il Tibet rimanessero
indipendenti con la funzione di Stati cuscinetto tra i due imperi.
La Russia in guerra L'attentato di Sarajevo produsse in Russia un moto di opinione
pubblica favorevole alla guerra, condiviso anche dai liberali convinti che la vittoria
dell'intesa avrebbe favorito l'instaurazione di un vero regime parlamentare anche in
Russia. L'inizio dei combattimenti fu vittorioso nei confronti dell'esercito austriaco: i
generali Brusilov e Russkij conquistarono Leopoli e gran parte della Galizia austriaca,
ma nella Prussia orientale, nella zona dei laghi Masuri le truppe russe comandate dal
generale Rennenkampf furono sconfitte nell'agosto 1914. Nell'autunno dello stesso
anno, l'entrata in guerra della Turchia aggravò la situazione russa, rimasta difficile per
tutto l'anno 1915, anche se il fronte settentrionale si era stabilizzato intorno a Riga e
Dvinsk.
L'offensiva del 1916 L'anno 1916 sembrava rivelarsi più fortunato per i russi che
riuscirono a sfondare nella Galizia orientale obbligando i tedeschi ad accorrere in aiuto
dell'alleato austriaco. Nel corso di quell'anno cominciò a farsi concretarsi il pericolo di
collasso dello Stato e dell'economia russa troppo fragile per sostenere uno sforzo così
prolungato. Dopo l'inizio della guerra la produzione industriale per scopi militari
crebbe, ma senza arrivare a coprire neppure le prime necessità: dal 1914 al 1917 furono
costruiti circa 3 milioni di fucili, ma nello stesso periodo c'erano sotto le armi più di 15
milioni di soldati.
L'affare Rasputin Dopo le paurose sconfitte del primo anno di guerra, costate circa 3
milioni e mezzo di soldati morti o prigionieri, entrarono nella Duma uomini come
Miljukov e L'vov appartenenti al partito liberale (cadetti): essi chiesero allo zar di
formare un governo che godesse la fiducia del paese. Nicola II si oppose e sciolse la
Duma.
La rivoluzione liberale L'8 marzo 1917 - secondo il nostro calendario - a Pietrogrado
furono proclamati numerosi scioperi. L'inflazione aveva raggiunto limiti insopportabili
senza che gli stipendi venissero adeguati. Le donne fecero una dimostrazione per le
strade (era la festa della donna) e nel trambusto furono saccheggiati alcuni negozi, ma
nel complesso la situazione non sembrava sfuggita di mano alla polizia. Il giorno
successivo gli scioperanti ruppero i cordoni di polizia, raggiungendo il centro della città
per protestare contro la fame. Il 10 marzo tutti gli operai erano in sciopero: disarmarono
la polizia cercando di fraternizzare con i soldati. I cosacchi, ritenuti fedelissimi allo zar,
non caricarono la folla; nelle caserme si tennero assemblee per decidere se i soldati
dovevano o meno sparare contro i dimostranti. Il 12 marzo i soldati distribuirono armi
alla popolazione, circondando il Palazzo d'inverno, la residenza ufficiale dello zar. Fu
deciso di richiamare dal fronte alcuni reparti dell'esercito, ma i ferrovieri impedirono
che giungessero fino a Pietrogrado. Gli operai elessero Soviet (consigli) di rappresentanti, proponendo ai soldati di fare altrettanto. Infine fu assalita la fortezza di
Schlüsserburg, una specie di Bastiglia russa, per liberare i prigionieri politici.
Formazione di un governo liberale Il 14 marzo fu formato un nuovo governo
presieduto dal principe di L'vov composto di liberali (cadetti), senza i socialistirivoluzionari, eccettuato Kerenskij che a titolo personale assunse il ministero della
giustizia. Allo zar Nicola II fu ingiunto di abdicare a favore dello zarevic Alessio:
Nicola II preferì abdicare a favore del fratello, il granduca Michele, perché il figlio era
ancora un bambino e per di più gravemente malato.
La guerra continua C'è il dubbio fondato che il governo di L'vov fosse illegale perché
istituito dopo l'abdicazione dello zar e perché sostenuto da una Duma che non aveva
funzioni politiche bensì solo consultive, e per di più era già stata sciolta dallo zar.
Anche il Soviet di operai e soldati, che svolgeva una funzione di governo parallela a
quella della Duma, non aveva titoli legali per assumere il potere. Il governo di L'vov
volle tener fede agli impegni militari verso gli alleati e fece proseguire la guerra, una
decisione che affrettò il tracollo finale della Russia.
I Soviet di operai e di soldati Il Soviet era composto di delegati eletti dagli operai delle
fabbriche e dai soldati delle caserme di Pietrogrado. Tali delegati non avevano precisi
mandati e potevano esser sostituiti secondo il vario mutare degli umori della base. La
prima decisione del Soviet fu di controllare l'esercito, spingendo i soldati a destituire i
loro ufficiali, nominando rappresentanti che si unissero ai delegati operai in un solo
Soviet.
Primo governo L'vov La conquista del potere da parte dei bolscevichi avvenne in
quattro fasi ciascuna delle quali durò circa due mesi. Nella prima durata dal 15 marzo al
16 maggio, il governo formato da conservatori e cadetti fece accettare la sua autorità
imponendo alla Russia una politica moderata.
Secondo governo L'vov Nella seconda fase, durata dal 16 maggio al 15 luglio, si formò
un secondo governo presieduto ancora da L'vov, ma al quale parteciparono anche i
socialisti che però furono respinti dalla base che li accusava di moderatismo per l'appoggio fornito ai cadetti.
Prematura rivoluzione bolscevica Nella terza fase, che va dal 16 luglio al 12
settembre, la Russia assistette a un tentativo di rivoluzione e a uno di controrivoluzione,
entrambi falliti. Infatti, a luglio i bolscevichi tentarono di prendere il potere, ma furono
sconfitti dai socialisti-rivoluzionari che indussero l'esercito a reprimere il prematuro
tentativo. Il governo di L'vov cadde, sostituito da uno presieduto dal Kerenskij.
Rivoluzione bolscevica Nella quarta fase, dal 12 settembre al 6 novembre, le due ali
dello schieramento - liberali e socialisti - abbandonarono Kerenskij, permettendo ai
bolscevichi di avere la maggioranza al Soviet e poi di imporsi alla Duma e al governo,
travolti come un castello di carte.
Lenin I bolscevichi erano una esigua minoranza all'inizio della rivoluzione, ma
possedevano una ferrea organizzazione che sembrava sapere che cosa si doveva fare. I
bolscevichi erano guidati da Lenin (Vladimir Ili'ic Uljanov), un uomo che univa in sé
una puntigliosa cultura, peraltro con forti propensioni burocratiche, e doti organizzative,
eloquenza sensibile al valore degli Slogan e sorprendenti doti di tattica per trovare la
strada del potere. I menscevichi, i marxisti che non accettavano la guida di Lenin,
avevano capi abili, ma nessuno che potesse paragonarsi a Lenin, e per più Trotzkij nel
luglio 1917 lasciò la fazione menscevica e si unì ai bolscevichi, accettando le tesi di
Lenin.
8. 3 Lenin, Trotzkij, Stalin
Lenin effettuò un'importante revisione delle teorie di Marx.
Il leninismo Infatti secondo costui, prima di realizzare la dittatura del proletariato, si
doveva passare attraverso la fase del capitalismo borghese. Lenin, invece, intuì che il
potere poteva venir assunto subito dal proletariato, riuscendo a imporre le sue vedute
agli altri compagni di partito. Così facendo, introdusse in una teoria rigida un deciso
volontarismo, affermando che si può ottenere tutto ciò che si persegue con inflessibile
determinazione.
Stato e rivoluzione Queste valutazioni furono esposte da Lenin in un opuscolo intitolato
Stato e rivoluzione (1917), in cui lanciò anche il progetto della Terza internazionale dei
lavoratori comunisti in sostituzione della Seconda internazionale socialista che avrebbe
tradito il metodo della lotta di classe e l'obiettivo di conseguire la dittatura del
proletariato.
L'esercito russo verso la disfatta Il 1° luglio maturò la disfatta dell'esercito russo. I
bolscevichi accusarono il governo di corruzione e di inefficienza. Il governo accusò i
bolscevichi di propaganda disfattista al servizio dello stato maggiore tedesco. Il 19
luglio il governo ordinò l'arresto di Lenin e degli altri capi bolscevichi; il 31 luglio il
generale Kornilov fu nominato comandante supremo al posto del generale Brusilov.
Tuttavia i bolscevichi erano ancora tanto forti da far cadere il governo L'vov. Kerenskij
divenne primo ministro ma il suo partito non era in grado di offrirgli un sostegno
determinante: si affrettò a convocare per il 25 agosto una conferenza di Stato a Mosca
per rafforzare il suo governo.
Tentativo controrivoluzionario Il 3 settembre l'esercito russo subì una nuova sconfitta
e i tedeschi occuparono gli Stati baltici (Estonia, Lettonia, Lituania). Ancora nuove
accuse tra governo e bolscevichi. Kornilov inviò truppe a Pietrogrado, deciso a spazzare
via sia i bolscevichi sia il governo Kerenskij. Quest'ultimo armò le guardie rosse e
chiese aiuto ai bolscevichi. Il 12 settembre Kornilov, disobbedito dalle truppe, fu
destituito e arrestato, mentre Kerenskij assumeva anche il comando supremo dell'esercito.
Trotzkij presidente del Soviet di Pietrogrado Mentre avvenivano questi drammatici
fatti Lenin, da luglio nascosto in Finlandia, decise che era giunta l'ora della rivoluzione
proletaria. Trotzkij fu eletto alla presidenza del Soviet di Pietrogrado accentuando la
dipendenza di Kerenskij dai bolscevichi. Il 23 ottobre il comitato centrale bolscevico
votò a maggioranza la risoluzione di ricorrere all'insurrezione armata che doveva essere
il frutto non solo di una decisione del Soviet ma anche di un comitato militare
rivoluzionario (in caso di insuccesso la colpa sarebbe ricaduta su quest'ultimo, lasciando
liberi i bolscevichi di ritentare).
I bolscevichi al potere Nella notte tra il 6 e il 7 novembre alcuni reggimenti
dell'esercito occuparono il Palazzo di Tauride, sede della Duma, la stazione e altri punti
strategici. Kerenskij era fuggito al fronte per cercare truppe fedeli al governo che,
rimasto a Pietrogrado, fu catturato al completo nel Palazzo d'inverno. L'8 novembre
esisteva già un nuovo governo con Lenin alla presidenza, Trotzkij agli affari esteri e
Stalin alle nazionalità (il coordinamento delle varie etnie russe).
La Russia esce dalla guerra I bolscevichi cercarono l'appoggio dei contadini,
distribuendo la terra delle grandi proprietà. Furono nazionalizzate le banche e i trasporti,
ma non ancora le fabbriche. I bolscevichi erano convinti che il loro esempio sarebbe
stato seguito dai proletari degli altri paesi e che la guerra si sarebbe conclusa per
collasso interno di tutti gli eserciti combattenti, una previsione risultata errata. Più tardi
ci furono rivoluzioni in Germania, in Austria e in Ungheria che proclamarono la
repubblica, ma per intanto la Russia si trovò isolata e dovette capitolare ai tedeschi,
firmando il trattato di Brest-Litovsk che le sottraeva le province più ricche.
Lenin e la guerra civile In questa difficilissima situazione Lenin dimostrò abilità
politica. Infatti le concessioni fatte ai tedeschi erano troppo grandi per risultare durature.
Non potendo far altro cedette tutto ciò che gli fu chiesto, per concentrarsi nel compito di
battere i nemici interni e così mantenersi al potere. Lenin vinse dure resistenze interne
per far accettare un trattato ritenuto vergognoso. Peraltro, da una parte non poteva
resistere e dall'altra non voleva mantenere in vita un esercito non ancora guadagnato alla
causa del bolscevismo, che poteva mettere in pericolo la rivoluzione appena effettuata.
Col trattato di Brest-Litovsk gli Stati baltici, la Polonia e l'Ucraina passarono sotto
amministrazione tedesca.
Interventi occidentali in Russia Quando i tedeschi cominciarono a sfruttare le riserve
di grano dell'Ucraina, in Francia e in Gran Bretagna si ebbe il timore che quella
circostanza potesse prolungare la guerra e quindi fu esaminato il progetto di riaccendere
il conflitto anche sul fronte orientale per distogliere truppe tedesche dal fronte
occidentale. Era stata armata una divisione di cechi e slovacchi - prigionieri di guerra
ostili all'Austria-Ungheria - inquadrata da ufficiali francesi. Queste truppe si
impadronirono di un tratto di ferrovia lungo la transiberiana combattendo contro i
comunisti accusati di favorire con il loro comportamento la guerra dei tedeschi contro
l'intesa. Gli americani inviarono truppe in Siberia orientale e altrettanto fecero i
giapponesi. Reparti inglesi e americani sbarcarono ad Arcangelsk nel Mar Bianco. Si
trattava di piccoli contingenti senza piani ben definiti. Quando il conflitto terminò nel
novembre 1918 non si poteva giustificare la presenza sul suolo russo di quelle truppe
che non intervennero in modo determinante. Certamente i governi occidentali fornirono
armi e rifornimenti alle fazioni antibolsceviche.
Massacro della famiglia dello zar Nel corso di questa fase confusa si colloca il
massacro dell'ex zar, della zarina e dei figli nella fortezza di Ekaterinburg negli Urali,
decisa dalle guardie rosse locali a seguito di voci circa l'arrivo imminente di truppe
"bianche".
Termina la guerra civile Nel corso del 1919 i bolscevichi trionfarono quasi ovunque
sulle forze anticomuniste ancora attive. Nel 1920 vinsero anche nella Siberia orientale e
nel Caucaso dove Denikin, un generale zarista al comando di truppe bianche, aveva
continuato a resistere.
Guerra russo-polacca Nel 1920 scoppiò la guerra russo-polacca. Durante i lavori del
congresso di Versailles i russi non erano stati rappresentati. Poiché i polacchi si
mostrarono insoddisfatti del tracciato del loro confine orientale, la cosiddetta linea
Curzon che correva pressappoco lungo l'attuale confine tra Polonia e Russia,
avanzarono assurde pretese territoriali su regioni che erano state polacche fino al XVII
secolo, ma che da quel tempo erano appartenute alla Russia. L'esercito polacco scatenò
un'improvvisa offensiva, giunta fino al fiume Dnepr, culminata con l'occupazione di
Kiev. La controffensiva dell'Armata Rossa portò i russi fin quasi a Varsavia, brillantemente difesa dal generale Pilsudski. La guerra si concluse con la pace di Riga nel marzo
1921 e quell'accordo durò fino al 1939. Il nuovo confine era più favorevole ai polacchi
di quanto prevedesse la linea Curzon.
L'Armata Rossa Nel novembre 1920 l'Armata Rossa sconfisse le ultime sacche di
resistenza zarista rappresentata dalle forze di Wrangel arroccate in Crimea. La guerra
civile aveva offerto il pretesto per rafforzare l'Armata Rossa e quindi le strutture tradizionali dello Stato. Lenin lanciò la campagna compendiata dallo slogan "tutto il potere
ai Soviet", annullando qualunque progetto di assemblea costituente o di libere elezioni.
Il regime da lui fondato doveva basarsi sui Soviet formati dai delegati di un unico
partito che assunse il nome di "Partito comunista bolscevico" depositario di tutto il
potere politico.
Riconoscimento internazionale del nuovo regime Gli Stati baltici strinsero rapporti
diplomatici con la Russia, e altrettanto fece la Finlandia. La Gran Bretagna siglò un
accordo commerciale nel 1921 che di fatto significava il riconoscimento del governo
russo, seguita dalla Germania, dall'Austria, dall'Italia e da molti altri paesi.
Nuova politica economica Nel 1921 la Russia appariva un paese prostrato, i
rifornimenti di viveri alle città erano precari, ovunque c'era fame e distruzione. Lenin
ritenne necessario fare qualche concessione al sistema capitalistico lanciando la sua
nuova politica economica (NEP), che si riduceva a lasciar fare ai privati, secondo la
logica di mercato, le operazioni economiche ritenute più vantaggiose. I contadini
divenuti proprietari si misero al lavoro, vendendo i loro prodotti a prezzi superiori ai
costi sostenuti: ciò permetteva di realizzare un margine di guadagno, investito per
acquistare strumenti agricoli più perfezionati, cosa che si sarebbe tradotta in un aumento
della produzione e quindi nella successiva diminuzione dei prezzi di mercato. I
bolscevichi, invece, ritenevano di avere nei proprietari terrieri (Kulaki) i loro più
irriducibili avversari.
La struttura del regime leninista La base del potere del partito comunista era formata
dall'Armata Rossa, dalla polizia segreta (CEKA), dal Soviet degli operai dell'industria.
Il Partito comunista voleva realizzare l’industrializzazione per fare dell'URSS un paese
potente, capace di competere con le nazioni capitaliste.
Il socialismo in un solo paese Fallito il tentativo di rivoluzione mondiale, occorreva
assicurare almeno il successo della rivoluzione in Russia. Perciò fu proposta la Terza
Internazionale dei lavoratori, comprendente solo quei partiti che accettassero la guida di
Mosca (Comintern). La rivoluzione mondiale fu rimandata a tempi più favorevoli,
perché l'obiettivo più urgente era la creazione del socialismo in un solo paese.
La creazione dell'URSS L'altro grande problema era rappresentato dalle nazionalità
non russe presenti nell'URSS. Oltre a 3 milioni e mezzo di ebrei, esistevano almeno 15
grandi nazionalità nell'Asia e nell'Estremo Oriente. Stalin ebbe il compito di dar vita
all'unione di repubbliche nazionali senza mettere in crisi la compattezza di quello che
era stato il grande impero zarista. Ne venne a capo con la proclamazione dell'Unione
delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS, 1922). Stalin organizzò in ogni
repubblica il partito bolscevico, mettendovi a capo individui di sua piena fiducia. Si
procurò così un potere personale immenso che poteva esser minacciato solo dal potere
di Trotzkij, a capo dell'Armata Rossa.
Conflitto di potere tra Stalin e Trotzkij Perciò, quando nel 1924 Lenin morì, era
inevitabile un conflitto tra i due contendenti. Nel giro di due anni Trotzkij fu esonerato
dai suoi incarichi, espulso dal partito e infine anche dall'URSS. Nel 1941 fu assassinato
per ordine di Stalin che non sopportava nemmeno l'esistenza fisica dei suoi avversari.
Mentre il trotzkismo era la teoria che proponeva la rivoluzione permanente e quindi
l'aiuto sovietico ai movimenti rivoluzionari presenti nel mondo, quando Stalin ebbe
tutto il potere, ripropose la teoria del "Centralismo democratico", ossia l'edificazione del
socialismo nel solo paese guida, nessun aiuto alla rivoluzione comunista in Cina, la
nazionalizzazione della terra, la distruzione della classe contadina dei Kulaki e il primo
piano quinquennale per attuare l'industrializzazione dell'URSS (1928-1932).
La nazionalizzazione della terra Vale la pena di ricordare come avvenne la
nazionalizzazione della terra. Nel 1928 fu dichiarato finito l'esperimento della NEP; i
mezzi di produzione materiale della vita dovevano esser conferiti allo Stato. Per le
campagne furono istituite le Stazioni Macchine e Trattori (STM), ossia vennero
assegnati macchinari agricoli ed esperti per la loro manutenzione a ogni distretto della
Russia. Tali servizi, tuttavia, non potevano venir utilizzati dai privati, bensì solo dalle
fattorie collettive (Kolkoz). I contadini proprietari non potevano acquistare macchine
agricole, anche se avessero avuto il denaro, e neppure prenderle in affitto dalle STM. Se
non volevano arare a mano i loro campi dovevano cederli alla più vicina fattoria collettiva, chiedendo di venirvi accolti come operai agricoli. Tra il 1928 e il 1932 avvenne
la collettivizzazione forzata delle terre: furono anni tremendi per l'agricoltura sovietica.
Carestia I contadini ridotti alla fame, macellarono e consumarono gli animali che
possedevano: nel giro di quegli anni il patrimonio zootecnico dell'URSS s ridusse a un
terzo: i bovini passarono da 70 milioni di capi a circa 38 milioni. La conseguenza fu che
non c'era latte nemmeno per i bambini e poco concime per i campi. La produzione di
frumento crollò anche a causa delle teorie genetiche di Lysenko, un biologo che negava
valore alla genetica occidentale, sforzandosi, senza successo, di applicare la teoria
lamarckiana al grano invernale che avrebbe dovuto trasformarsi in grano primaverile.
Purtroppo il grano rifiutò di adattarsi all'ambiente e alla teoria genetica russa,
provocando una carestia paurosa, aggravata dalla deportazione in Siberia di gran parte
degli addetti all'agricoltura, ossia delle persone che conoscevano le tecniche di
coltivazione.
Stalin Stalin era temuto e forse odiato da Lenin che non riuscì a sbarazzarsi di lui.
Astuto, sospettoso, violento, ma anche energico, ostinato, resistente alla fatica, Stalin
riuscì a conquistare tutto il potere, mantenuto saldamente in pugno fino alla morte. Fin
dal 1922, vivente ancora Lenin, furono organizzati i campi di lavoro forzato, i GULag
che, a partire dalle isole Solovecki nel Mar Bianco si estesero come le metastasi di un
cancro sull'intero territorio dell'URSS. Gli oppositori, reali o presunti, del regime
sovietico, furono condannati al lavoro in quei campi, decimati dal freddo, dalla fame,
dal terrore. Il numero degli internati morti nei campi di concentramento risultò superiore
a qualunque esempio del passato.
8. 4 I piani quinquennali
"Noi siamo cinquanta o cento anni indietro rispetto ai paesi avanzati e dobbiamo
colmare il divario in dieci anni. O noi ci riusciamo o loro ci schiacceranno", disse Stalin
in un famoso discorso del 1931. Fin dal dicembre 1927, nel corso del XV° Congresso
del partito comunista russo era stato deciso di attuare il Gosplan, il primo piano
quinquennale per lo sviluppo dell'economia sovietica.
L'ideologia stalinista La dottrina di Marx prevedeva un percorso che doveva condurre
il proletariato alla conquista del potere politico in modo ineluttabile, per trapasso
naturale, così come la maturità segue la giovinezza. Lenin comprese che il processo sarebbe stato troppo lento se lasciato a se stesso e perciò decise di favorirlo con la
violenza e con la potenza militare che lo Stato-guida del comunismo era in grado di
promuovere. L'URSS doveva diventare al più presto la massima potenza industriale,
dato che le guerre moderne si combattono con i prodotti dell'industria. Chi poteva
fornire l'accumulo primario di capitali necessari all'industria? Evidentemente solo
l'agricoltura.
La trasformazione dell'agricoltura russa Nei paesi occidentali l'agricoltura aveva
assolto con successo tale funzione perché fin dall'inizio della rivoluzione industriale
essa si era perfezionata, producendo sempre più cibo a costi minori, dal momento che
macchinari e concimi esigevano meno addetti. In Russia, invece, l'agricoltura si trovava
ancora a uno stadio arcaico, perché c'erano troppi contadini e la produzione era
modesta. Inoltre le aziende agricole o erano troppo estese e perciò non tollerate dal
regime, o troppo piccole per cui il prodotto non superava il livello della sussistenza.
Infine occorreva al regime che i prezzi agricoli fossero bassi per tenere bassi i salari
degli operai e per esportare grano con cui pagare le attrezzature industriali necessarie
all'URSS nella fase di avviamento della sua industria. Per tutti questi motivi fu deciso di
confiscare la terra; di deportare i contadini proprietari che opponevano resistenza (furono definiti "elementi socialmente nocivi"), e di dar vita a fattorie collettive e a fattorie
statali che avrebbero dovuto coltivare la terra con metodi scientifici e con l'impiego di
macchine fornite dalla Stazioni Macchine e Trattori.
Sviluppo della burocrazia Fu creata un'ampia burocrazia che, almeno all'inizio,
appesantì ancor più la situazione delle campagne perché i contadini preferivano non
seminare grano piuttosto che venderlo allo Stato ai prezzi fissati dal governo. Il grano
che raggiungeva le città diminuì dal 25 al 13%, provocando carestie. La colpa fu
attribuita ai kulaki, accusati di imboscare il grano per far salire il prezzo. Fu
incoraggiato l'esproprio di terre da parte di contadini poveri ai danni delle grandi proprietà, ma il conferimento della terra alle fattorie collettive, all'inizio, fu lasciato libero,
anche se i contadini più lungimiranti avevano capito che i bei tempi erano finiti. Nel
1929 le fattorie collettive erano salite a 57.000 e comprendevano un milione di famiglie.
Nell'estate dello stesso anno Stalin decise di passare ai metodi costrittivi e in dicembre
annunciò: "Siamo passati da una politica di isolamento delle tendenze speculative dei
kulaki a una politica di liquidazione dei kulaki come classe". Nell'inverno del 1930 metà
delle fattorie sovietiche erano confluite nei kolkoz.
Deportazione dei kulaki Per arrestare il fenomeno di disgregazione del mondo
contadino, dopo il 1934 fu concesso ai lavoratori agricoli un orto famigliare e qualche
animale da cortile. Le perdite maggiori di bestiame avvennero nel Kazakistan, dove
andò perduto oltre l'80% di tutto il bestiame. Anche se per gli uomini non furono fatte
statistiche, almeno sette milioni di contadini furono uccisi o deportati in pieno inverno
in Siberia. In Ucraina, la terra del grano, ci fu una terribile carestia negli anni 1932 e
1933, con migliaia di morti per fame: tuttavia l'URSS continuava a esportare enormi
quantitativi di grano per non interrompere il suo processo di trasformazione industriale.
Il primo piano quinquennale L'obiettivo considerato più importante era lo sviluppo
dell'industria. Il primo piano quinquennale prevedeva di triplicare la produzione
dell'industria pesante - petrolio, carbone, acciaio - e di raddoppiare la produzione degli
altri settori. La richiesta di energia elettrica era colossale per cui si dovette prevedere
l'installazione di centrali elettriche acquistate dagli USA. Dopo cinque anni di lavoro
spasmodico la produzione era cresciuta del 118%; la battaglia contro l'analfabetismo fu
vinta e numerose università furono create praticamente dal nulla, frequentate da studenti
spesso privi delle più elementari conoscenze, ma anche animati da un fervore e da un
desiderio di apprendere che supplivano le carenze di base.
Decentramento dell'industria L'industria fu decentrata su tutto il vasto paese e gli
stabilimenti furono edificati accanto alle materie prime, in particolare lungo la catena
degli Urali. Agli operai la battaglia della produzione fu presentata come un'epopea
patriottica, con premi di produzione per chi lavorava di più: il minatore Stakanov ebbe
l'onore di eternare il suo nome nel termine "stacanovista" da attribuire a chi lavora senza
risparmio di forze. Sembra che in 18 ore consecutive abbia estratto quasi 120 quintali di
carbone da solo. Stakanov è morto di recente: la "trasparenza", divenuta la parola
d'ordine in Russia, ha ammesso che tutta quella vicenda era una montatura pubblicitaria
e che lo Stakanov ne ebbe la vita distrutta. Infatti ci furono molti aspetti negativi in
quell'attivismo: le condizioni di vita della popolazione e soprattutto alcuni beni fondamentali come la casa, il riposo, le vacanze furono messi da parte, causando disagi che
nessun operaio del mondo occidentale avrebbe tollerato. Inoltre il primo piano
quinquennale risentì della fretta, della faciloneria con cui fu progettato: molti obiettivi
non erano realistici e il tempo di realizzazione fu ridotto da cinque a quattro anni.
Il secondo piano quinquennale Il secondo piano quinquennale, dal 1932 al 1937 fu più
concreto e gli obiettivi risultarono conseguiti all'80%. Sul finire di quel periodo si
fecero sentire gli effetti negativi della grande "purga" voluta da Stalin: essa fece
scomparire i dirigenti più capaci il cui posto fu occupato da una schiera di personaggi
meno competenti e più fanatici, provenienti dai quadri del partito invece che dalle
fabbriche, esasperando la burocrazia presente nella vita russa.
Le purghe nel partito I successi in campo industriale, ottenuti nonostante le carestie e
le altre terribili privazioni cui fu sottoposta tutta la società russa, fecero affiorare un
diffuso malcontento perché il regime socialista non sembrava risolvere le contraddizioni
in cui era caduto il regime precedente. Gli oppositori "di destra" criticavano i modi
sbrigativi e violenti della collettivizzazione della terra. Gli oppositori "di sinistra" identificati con i trotzkisti - criticavano la teoria staliniana del socialismo in un solo
paese. Stalin decise di accomunare i nemici di destra e di sinistra presentandoli in
blocco come ostili al partito comunista, in combutta con i nemici esterni dell'URSS.
Il culto della personalità Dopo il 1934 Stalin fu oggetto di un vero e proprio culto
della sua personalità, per la quale furono innalzati il maggior numero di monumenti
dedicati a un vivente. Nessuna iperbole sembrava eccessiva per celebrare il grande capo
la cui diffidenza verso i collaboratori non si placò se non quando furono in gran parte
eliminati. La giustizia sovietica si prestò al gioco, montando una serie di processi
spettacolari in cui gli imputati si autoaccusavano di complotti e di altri reati che
comportavano la pena di morte, spesso per sottrarsi alla tortura.
Assassinio di Kirov All'indomani del XVII Congresso del Partito comunista del 1934,
il 1° dicembre a Leningrado fu assassinato Sergej Kirov, da tutti considerato secondo
solo a Stalin. La polizia segreta ebbe l'ordine di cercare la rete di un possibile
complotto, mentre l'uccisore fu subito preso e giustiziato. Stalin cercò di compromettere
ogni possibile oppositore al suo regime anche se risultava estraneo a quell'omicidio.
Caddero alcuni personaggi famosi, tra cui la cosiddetta opposizione di Sinistra
composta da Kamenev, Zinov'ev e molti altri accusati di complotto. Anche il capo della
polizia segreta Yagoda fu imprigionato e sostituito col meno scrupoloso Yezov. Nel
1937 fu la volta di Karl Radek e di molti comandanti dell'esercito come i marescialli
Gamanrik e Tukacevskij. Nel 1938 fu il turno dei cosiddetti oppositori di destra come
Bukarin, Rykov e altri. Dei 1966 delegati al XVII Congresso riunito nel 1934, 1108
furono imprigionati o uccisi e solo 59 presero parte al successivo congresso. Ai livelli
più bassi del partito, il numero dei deportati nei campi di lavoro raggiunse cifre
stupefacenti.
La nuova Costituzione dell'URSS In mezzo a quell'atmosfera di terrore, nel dicembre
1936 fu promulgata la nuova costituzione definita da Stalin la più democratica del
mondo in sostituzione di quella del 1922. Le repubbliche federate divennero undici:
Russia, Ucraina, Bielorussia, Azerbaigian, Georgia, Armenia, Turkmenistan,
Uzbekistan, Tagikistan, Kazakistan e Kirkizistan. Il Soviet supremo fu diviso in due
assemblee: Soviet delle Nazionalità e Soviet dell'Unione. Il Comitato Centrale
Esecutivo aveva tutto il potere decisionale quando il Congresso del partito non era in
sessione. Fu modificato il sistema elettorale con l'introduzione del voto segreto; il
Soviet delle Nazionalità e il Soviet dell'Unione ricevettero membri eletti direttamente.
La politica estera sovietica Man mano che cresceva il potere di Stalin anche la sua
influenza sulla politica estera dell'URSS divenne sempre maggiore fino a culminare
verso il termine della seconda guerra mondiale. I commissari (ministri) agli esteri
furono Cicerin, Litvinov e Molotov. Il primo seppe tradurre in accordi politici l'abilità,
l'intelligenza e la duttilità di Lenin che si proponeva di far accettare dall'Occidente il
nuovo regime succeduto allo zarismo, per prendere tempo e compiere la trasformazione
in potenza industriale dell'URSS. Litvinov fu il promotore di una politica di patti
bilaterali di non aggressione con le piccole nazioni dell'est europeo e con le potenze
occidentali che, dopo il riarmo nazista in Germania, avevano interesse a creare una
trama di relazioni difensive. In questa linea si comprende la formazione dei fronti
popolari in Spagna e in Francia, consistente nella collaborazione offerta dai partiti
comunisti occidentali ai governi che si opponevano al fascismo.
8. 5 L'URSS verso la Seconda guerra mondiale
Una costante della politica russa fin dal tempo degli zar era di rivolgersi all'Asia tutte
le volte che l'espansione russa si arrestava nella direttrice della penisola balcanica.
Rapporti tra Russia e Cina Dopo la proclamazione del socialismo in un solo paese
l'interesse dell'URSS fu attratto dalla Cina in cui era in corso una grande rivoluzione. Il
partito nazionalista cinese Kuomintang, guidato da Chiang-Kai-shek enunciava ideali
che non sembravano in contrasto con quelli della Terza internazionale. La sua ala
sinistra, guidata da Mao-Tse-tung, fu attirata dal comunismo trovando spazio politico
soprattutto nelle grandi città di Shangai e Canton. Per un po' di tempo il Kuomintang e i
comunisti combatterono fianco a fianco per liberare la Cina dal predominio straniero,
ma era chiaro che ognuna delle due fazioni faceva il doppio gioco, in attesa di
soppiantare l'altra. Verso la fine degli anni Venti apparve chiaro che i nazionalisti si
erano serviti dell'appoggio dei comunisti e che ormai cercavano con ogni mezzo di
stroncare la loro organizzazione.
Lo scontro tra Stalin e Trotzkij Fu proprio la questione cinese il pretesto dello scontro
supremo tra Stalin e Trotzkij: dopo la mancata rivoluzione dell'Occidente veniva meno
anche la speranza di successo di una rivoluzione comunista in Cina, costringendo Stalin
a una politica di estrema prudenza.
Crisi economica e potere della destra La crisi economica del 1929 non accrebbe la
speranza di una ripresa rivoluzionaria in occidente. Solo in Spagna si sfaldò il regime
autoritario di Primo de Rivera, producendo la caduta della monarchia e la diffusione di
un movimento rivoluzionario di matrice anarco-sindacalista. Anche in Germania si
delineava una grande crisi politica e sociale, accompagnata da forte disoccupazione, ma
il partito comunista, pur aumentando i consensi, fu scavalcato dall'impetuosa crescita
del partito nazista di Hitler.
I nazisti al potere in Germania I dirigenti sovietici, vittime di una interpretazione
rigida del materialismo storico, avevano calcolato che l'inflazione e la crisi economica
avrebbero prodotto la proletarizzazione del ceto medio tedesco spingendolo a sinistra,
mentre avvenne il contrario. I nazisti concentrarono nelle loro mani tutti i poteri politici
ed economici, passando sopra apparentemente agli interessi privati, proponendo un
socialismo di destra che si alimentava del terrore prodotto dalla rivoluzione bolscevica,
agitata come uno spauracchio per accrescere i consensi.
La politica estera sovietica Nella nuova situazione il governo sovietico comprese
l'opportunità di prendere le distanze dalla Terza internazionale, ridotta di peso e di
importanza: Litvinov poté firmare trattati di non aggressione tra l'URSS e la Francia, la
Polonia, l'Italia e la Piccola Intesa. Nel 1933 l'URSS fu riconosciuta anche dagli USA
che fornirono attrezzature industriali. Con l'aumento di potere di Hitler, che pose in
primo piano il riarmo tedesco, l'URSS cominciò a sentirsi minacciata e ancora una volta
modificò la propria politica estera: nel 1935 concluse un trattato di mutua assistenza con
la Francia, ricalcando la politica dei tempi di Alessandro III. Seguì l'accordo con la
Cecoslovacchia, e la politica dei Fronti popolari che si attuò in Francia e in Spagna.
Accordo Ribbentrop-Molotov Alla vigilia della seconda guerra mondiale l'URSS
appariva isolata, mentre la Germania era in pieno slancio fiancheggiata dall'Italia e dal
Giappone. Al convegno di Monaco nel settembre 1938, l'URSS non fu invitata. A
partire da quel momento la fortuna politica di Litvinov cominciò a calare: Stalin decise
di prendere parte direttamente all'elaborazione della politica estera sovietica. Nella
primavera del 1939 Molotov divenne commissario agli esteri dell'URSS, cominciando
una serie di colloqui commerciali con la Germania, ben presto divenuti contatti politici.
Hitler colse l'occasione di battere in velocità le potenze occidentali che avevano iniziato
analoghi contatti politici e militari col regime sovietico. In due giorni, il 23 e 24 agosto
1939, il ministro degli esteri tedesco Ribbentrop stipulò a Mosca un trattato di non
aggressione con l'URSS comprendente un protocollo segreto che prevedeva la
spartizione della Polonia e la virtuale consegna all'URSS, come sua sfera d'influenza,
della Finlandia e degli Stati baltici.
Spartizione della Polonia Non appena Hitler ebbe scatenato l'aggressione in Polonia,
Stalin fece occupare dall'Armata Rossa alcune regioni strategiche della Finlandia e gli
Stati baltici; più tardi man mano che la Germania estendeva il suo potere, cominciò a
rivendicare la Bulgaria e la Bucovina da togliere alla Romania, irritando anche Hitler.
Tuttavia Hitler aveva solo rimandato il suo attacco contro il bolscevismo. L'URSS nella
prima fase della guerra subì una disfatta, ma non fu prostrata e a partire dal 1943 fu in
grado di ribaltare le sorti del conflitto.
8. 6 Cronologia essenziale
1904 Inizia la guerra russo-giapponese terminata con la sconfitta della Russia nella
battaglia di Tsushima del maggio 1905.
1905 A gennaio una manifestazione popolare a Pietroburgo si conclude con una strage.
Il governo è costretto a indire elezioni per la Duma.
1906 Stolypin introduce una riforma agraria in Russia per trasformare la proprietà di
villaggio in poderi affidati a liberi agricoltori.
1914 Ad agosto e settembre l'esercito russo subisce alcune disfatte a Tannenberg e nella
zona dei laghi Masuri.
1916 L'esercito zarista sfonda in Galizia contro gli austriaci ma non può sfruttare la
vittoria.
1917 L'8 marzo inizia la rivoluzione a Pietrogrado: in una settimana il regime zarista
cade. È proclamata la repubblica.
1917 Il 7 novembre Lenin assume il potere in Russia: a dicembre sigla l'armistizio di
Brest-Litovsk con cessione di Stati baltici, Ucraina e Polonia alla Germania.
1919 Guerra civile in Russia tra l'Armata Rossa e gli eserciti bianchi comandati da
generali zaristi. Viene proclamata la Terza internazionale.
1920 Guerra russo-polacca per stabilire il confine tra i due Stati.
1921 Inizia il periodo della NEP, la Nuova Politica Economica.
1924 Morte di Lenin. Stalin nel giro di due anni assume tutto il potere.
1928 È chiuso il periodo della NEP. Stalin decide la collettivizzazione della terra. È
lanciato il primo piano quinquennale.
1933 Grande carestia in tutta la Russia con milioni di morti e di deportati in Siberia.
1934 A Leningrado è assassinato Sergej Kirov. Stalin inizia la grande purga terminata
solo nel 1938.
1939 Patto Ribbentrop-Molotov e inizio della Seconda guerra mondiale.
8. 7 Il documento storico
Dopo la caduta dell'autocrazia zarista e la formazione del governo liberale del
principe di L'vov, Lenin si preparò a compiere la sua rivoluzione. Le tesi di aprile
rappresentano il programma d'azione che prevede di affrettare la sconfitta della Russia e
di tutte le forze socialiste, giudicate scioviniste e difensiste: con questi termini si
bollavano coloro che esitavano ad accettare la tesi che la sconfitta della propria patria
fosse il prezzo da pagare per assicurare la vittoria al proprio partito. Interessante
l'accenno finale al cambiamento del nome del partito, fin allora conosciuto come
socialdemocratico, per prendere le distanze dal socialismo che, secondo Lenin, avrebbe
fatto causa comune con la borghesia per difendere un ideale di patria che in quel
momento si apprestava a distruggere.
“TESI
1. Nel nostro atteggiamento verso la guerra, la quale - sotto il nuovo governo L'vov e
consorti - rimane incondizionatamente, da parte della Russia, una guerra imperialista di
brigantaggio, non è ammissibile nessuna benché minima concessione al "difensismo"
rivoluzionario.
A una guerra rivoluzionaria che realmente giustifichi il difensismo rivoluzionario, il
proletariato cosciente può dare il suo consenso soltanto alle seguenti condizioni: a)
passaggio del potere nelle mani del proletariato e degli strati più poveri della
popolazione contadina che si mettono dalla sua parte; b) rinuncia effettiva, e non a
parole, a qualsiasi annessione; c) rottura completa, effettiva, con tutti gli interessi del
capitale.
Data l'innegabile buona fede di vasti strati delle masse, che sono per il difensismo
rivoluzionario e accettano la guerra come una necessità e non per spirito di conquista,
dato che essi sono ingannati dalla borghesia, ostinatamente, pazientemente, mostrando il
legame indissolubile fra il capitale e la guerra imperialista, dimostrando che non è
possibile metter fine alla guerra con una pace meramente democratica, e non imposta
colla forza, senza abbattere il capitale.
Organizzazione della più vasta propaganda di questi concetti nell'esercito
combattente.
Fraternizzazione.
2. La peculiarità dell'attuale momento in Russia consiste nel passaggio dalla prima
tappa della rivoluzione, che, a causa dell'insufficiente coscienza ed organizzazione del
proletariato, ha dato il potere alla borghesia -alla seconda tappa, che deve dare il potere
al proletariato e agli strati poveri dei contadini.
Da una parte, questo passaggio è caratterizzato dal massimo di legalità (fra tutti i
paesi belligeranti, la Russia è, oggi, il paese più libero del mondo) e, d'altra parte,
dall'assenza di violenza contro le masse e, infine, dall'atteggiamento inconsapevolmente
fiducioso delle masse verso il governo dei capitalisti, dei peggiori nemici della pace e
del socialismo.
Questa peculiarità c'impone di saperci adattare alle condizioni particolari del lavoro
del partito fra le immense masse proletarie appena destate alla vita politica.
3. Non appoggiare in alcun modo il governo provvisorio; dimostrare la completa falsità
di tutte le sue promesse, soprattutto di quelle concernenti la rinuncia alle annessioni.
Smascherare questo governo invece di "esigere" (ciò che è inammissibile e semina
illusioni) che esso, governo di capitalisti, cessi di essere imperialista.
4. Riconoscimento del fatto che il nostro partito è una minoranza e, finora, una piccola
minoranza, nella maggior parte dei Soviet deputati degli operai, di fronte al blocco di
tutti gli elementi opportunisti piccolo-borghesi, sottomessi all'influenza borghese sul
proletariato: dai socialisti populisti e dai socialisti-rivoluzionari al Comitato
d'organizzazione (Ckheide, Tsereteli, ecc.) a Steklov, ecc.
Spiegare alle masse che i Soviet dei deputati operai sono la sola forma possibile di
governo rivoluzionario e che, per conseguenza, il nostro compito, finché questo governo
sarà sottomesso all'influenza della borghesia, può consistere soltanto nella spiegazione
paziente, sistematica, perseverante - particolarmente adattata ai bisogni pratici delle
masse - degli errori della loro tattica.
Finché saremo in minoranza, faremo un lavoro di critica e di spiegazione degli errori,
sostenendo in pari tempo la necessità del passaggio di tutto il potere statale ai Soviet dei
deputati operai, affinché le masse, sulla base dell'esperienza, possano liberarsi dei loro
errori.
5. Niente repubblica parlamentare - ritornare ad essa dopo i Soviet dei deputati operai
sarebbe un passo indietro - ma repubblica dei Soviet dei deputati operai, dei braccianti e
dei contadini in tutto il paese, dal basso in alto.
Soppressione della polizia, dell'esercito e del corpo dei funzionari.
Salario ai funzionari - tutti eleggibili e revocabili in qualunque momento - non
superiore al salario medio d'un buon operaio.
6. Nel programma agrario trasferire il centro di gravità nel Soviet dei deputati dei
salariati agricoli.
Confiscare tutte le terre dei grandi proprietari fondiari.
Nazionalizzare tutte le terre del paese e metterle a disposizione dei Soviet locali dei
deputati dei salariati agricoli e dei contadini poveri. Fare di ogni grande tenuta (da 100 a
300 desiatine circa, secondo le condizioni locali e secondo le decisioni delle istituzioni
locali) una azienda modello coltivata per conto della comunità e sottoposta al controllo
dei Soviet dei deputati dei salariati agricoli.
7. Fusione immediata di tutte le banche del paese in una unica banca nazionale, posta
sotto il controllo dei Soviet dei deputati operai.
8. Come nostro compito immediato, non l'"instaurazione" del socialismo, ma, per ora
soltanto il passaggio al controllo della produzione sociale e della ripartizione dei
prodotti da parte dei Soviet dei deputati operai.
9. Compiti del partito: a) congresso immediato del partito; b) modificare il programma
del partito e principalmente: 1. sull'imperialismo e sulla guerra imperialista; 2.
sull'atteggiamento verso lo Stato e sulla nostra rivendicazione dello "Stato-Comune"; 3.
correggere il programma minimo invecchiato; c) Cambiare il nome del partito.
10. Rinascita dell'Internazionale. Prendere l'iniziativa della creazione di
un'Internazionale rivoluzionaria contro i socialsciovinisti e contro il centro”.
Fonte: LENIN, Opere scelte, Edizioni in lingue estere, Mosca 1947, p. 713-716.
8. 8 In biblioteca
Molto importante di M. GELLER- A. NEKRIC, Storia dell'URSS dal 1917 a oggi.
L'orgia al potere, Rizzoli, Milano 1984. Notevole anche per i pregi stilistici di V.
STRADA, Tradizione e rivoluzione nella rivoluzione russa, Einaudi, Torino 1980. Si
consulti anche di G. VON RUNCH, Storia della Russia sovietica, Comunità, Milano
1965. Di notevole interesse di M. AGURSKY, La Terza Roma. Il nazionalbolscevismo
in Unione Sovietica, il Mulino, Bologna 1989. Per la storia del regime bolscevico si
consulti di L.D. SHAPIRO, L'opposizione nello Stato sovietico. Le origini
dell'autocrazia comunista (1917-1922), la Nuova Italia, Firenze 1962. Per i riflessi in
Italia della rivoluzione bolscevica si consulti di S. CARETTI, La rivoluzione russa e il
socialismo italiano (1917-1921), Nistri-Lischi, Pisa 1974. Per i riferimenti generali alla
storia russa si consulti di N.V. RJASANOVSKIJ, Storia della Russia, Garzanti, Milano
1965.
Cap. 9 Il fascismo al potere in Italia
I vent'anni che separano le due guerre mondiali furono resi inquieti da profondi
rivolgimenti sociali - l'avvento della società di massa - che i governi cercarono di
orientare in vario modo. Abbiamo esaminato la rivoluzione bolscevica in Russia che
domina per importanza sulle altre rivoluzioni, spesso deviandole da quello che poteva
essere il loro corso naturale. In Italia il fermento sociale fu sollecitato da una vivace
cultura idealistica che in collegamento con miti risorgimentali, si avviò in direzione del
nazionalismo. Paradossalmente, proprio la vittoria nella grande guerra accese
nell'opinione pubblica un cumulo di attese che i negoziatori di Versailles non potevano
far valere sul piano politico. Il ministero presieduto da Orlando fu costretto alle
dimissioni non riuscendo a respingere le critiche provenienti da ogni parte. Fu
sostituito da un ministero guidato da Francesco Saverio Nitti che indisse nuove elezioni
politiche adottando il sistema elettorale proporzionale in sostituzione del collegio
uninominale. Le elezioni del 1919 sancirono il tramonto del liberalismo e il successo
dei partiti di massa, socialisti e popolari, favoriti dal nuovo sistema elettorale. Nel 1920
Giolitti fu chiamato a formare il suo ultimo ministero, durato un anno, mentre nel paese
cresceva la violenza delle squadre fasciste. Le dimissioni del Giolitti, avvenute nel
1921, resero manifesta la grave crisi dello Stato liberale. Poiché i socialisti non
avevano la forza parlamentare per esprimere un governo da loro presieduto, si
concretò la possibilità di un colpo di Stato del partito fascista con l'assenso di Vittorio
Emanuele III, realizzato dopo la marcia su Roma in una situazione di apparente
legalità. Subito dopo aver ricevuto l'incarico di formare il nuovo governo, Mussolini si
fece attribuire i pieni poteri per introdurre una nuova legge elettorale. Anche a seguito
di brogli elettorali la cui denuncia costò la vita al deputato socialista Giacomo
Matteotti, nel 1924 il partito fascista ottenne una larga maggioranza che permise a
Mussolini di realizzare il suo progetto politico.
La successiva evoluzione del regime fascista dipese in gran parte da eventi di
politica estera. La crisi economica iniziata nel 1929 indusse il regime fascista a
pianificare l'economia italiana secondo modelli dirigisti, culminati con il programma di
autarchia industriale, una decisione in qualche modo sollecitata dalle sanzioni
economiche votate dalla Società delle Nazioni per l'aggressione italiana in Etiopia. Per
evitare l'isolamento, Mussolini si accostò alla Germania di Hitler, finendo per
sottoscrivere quel Patto d'acciaio che indusse l'Italia a entrare in guerra nel 1940.
9. 1 Il primo dopoguerra in Italia
Si è già detto quanto fosse inquieta la situazione politica e sociale in Italia per tutta la
durata dei lavori del congresso di Versailles. L'Italia aveva ricevuto le province di
Trento e Bolzano; la Venezia Giulia con Trieste e l'Istria, ma nessuna colonia e niente
denaro in conto riparazione dei danni di guerra. Il governo, retto ancora da partiti di
stampo liberale e borghese, non appariva sensibile alle nuove istanze delle masse e subì
una grave perdita di prestigio. Il primo ministro Vittorio Emanuele Orlando rassegnò le
dimissioni sostituito da Francesco Saverio Nitti, rimasto al potere fino al giugno 1920.
L'avventura di Fiume La situazione politica divenne più complicata quando il 12
settembre 1919 Gabriele d'Annunzio, guidò l'occupazione della città di Fiume,
proclamando una reggenza del Quarnaro durata circa quindici mesi. D'Annunzio per
tutto quel tempo dimostrò l'incapacità del governo italiano di far rispettare la propria
volontà di fronte a un esiguo gruppo di persone decise a tutto. Solo verso la fine di
dicembre del 1920 Giolitti ordinò di sparare sui ribelli costringendoli ad abbandonare la
città. Il successivo trattato di Rapallo, stipulato nel 1923 con la Jugoslavia, assegnò
all'Italia la città di Fiume.
Progresso del partito socialista La difficile situazione economica e la diffusa
scontentezza si tradussero in un aumento del consenso popolare per il Partito socialista.
Gli iscritti al partito salirono da 50.000 di prima della guerra a circa 200.000; gli iscritti
alla Confederazione generale del Lavoro (CGL), da circa mezzo milione passarono a
circa due milioni, sempre nel 1919. Gli scioperi e le manifestazioni per le strade delle
città non si contavano. Alle elezioni politiche del novembre 1919 per il rinnovo del
Parlamento i socialisti ebbero 156 seggi, mentre nella legislatura precedente ne avevano
la metà. Il successo elettorale sembrava grave perché nel congresso di Bologna,
celebrato poche settimane prima delle elezioni, il Partito socialista aveva respinto le
posizioni riformiste e aveva chiesto l'ingresso nella Terza internazionale dei lavoratori,
seguendo la linea rivoluzionaria suggerita da Mosca.
Debolezza del governo Le occupazioni abusive di terreni agricoli da parte di reduci dal
fronte erano numerose e il governo non aveva la forza di impedirle, ponendo i
proprietari terrieri in una situazione insostenibile: costoro erano disposti a favorire
qualunque partito che promettesse il mantenimento dell'ordine e la fine degli scioperi.
Il Partito popolare Un altro fatto nuovo caratterizzante le elezioni del 1919 fu la fine di
ogni divieto alla partecipazione dei cattolici alle elezioni politiche. Nel gennaio 1919, il
sacerdote siciliano Luigi Sturzo aveva esposto il programma del nuovo Partito Popolare:
esso non era un partito confessionale, alle dipendenze della gerarchia ecclesiastica,
tuttavia si proclamava rispettoso dei princìpi cristiani. Il Partito Popolare Italiano ebbe
un buon numero di deputati (100) desiderosi di sconfiggere le punte di anticlericalismo
presenti nei partiti di ispirazione liberale, ancora una volta stretti intorno a Giovanni
Giolitti.
I fasci di combattimento Sempre nel 1919, il 23 marzo, a Milano erano stati fondati i
Fasci di combattimento, quello che allora sembrava un confuso raggruppamento
comprendente le posizioni di un sindacalista come Bianchi, accanto a quelle di un
militare monarchico come de Vecchi, o di un futurista, poeta e scrittore come Marinetti.
Il capo riconosciuto era Benito Mussolini, noto come giornalista e oratore in grado di
agitare le masse insoddisfatte. Alle elezioni del 1919 Mussolini ricevette a Milano meno
di 5000 voti, e il suo partito non mandò deputati al Parlamento. Invece, negli anni 1920
e 1921 il movimento fascista crebbe fino a contrastare con successo il potere tenuto fino
a quel momento dai liberali.
Ultimo ministero Giolitti Nel 1920, nel mese di giugno, Giolitti formò il suo ultimo
governo. Subito dopo il voto di fiducia affrontò uno sciopero di circa mezzo milione di
lavoratori che protestavano contro la serrata delle industrie metallurgiche. La vicenda
sembrava preludere a un tentativo rivoluzionario di tipo sovietico. Durante l'inverno
precedente industriali e proprietari terrieri si erano rivolti a Mussolini, finanziando le
sue squadre d'azione guidate da alcuni ras locali come Balbo a Ferrara, Grandi a
Bologna, Farinacci a Cremona che si ponevano alla testa di spedizioni punitive.
Lo squadrismo I socialisti avevano il monopolio degli uffici di collocamento (Camere
del Lavoro) e miravano a stabilire la regola dell'imponibile di manodopera, ossia un
certo numero di braccianti stabili per ogni azienda agricola: tale imponibile risultò superiore alle reali necessità di molte aziende agricole, specie quelle che non avevano
bestiame. I terreni a grano o a vigneto richiedono numerosi lavoratori solo in certe
stagioni, ma se si impone di mantenere nei tempi morti i braccianti che occorrono nei
momenti di punta, l'economia dell'azienda risulta compromessa. Perciò si comprende
perché le spedizioni punitive prendessero di mira le Camere del Lavoro, i sindacalisti
(rossi o bianchi) e le amministrazioni comunali delle zone agricole come Cremona,
Mantova, Ferrara, Bologna...
Si scatena la violenza Le modalità di quelle spedizioni erano molto odiose. Alcuni
autocarri noleggiati dai fascisti trasportavano un certo numero di camicie nere in un
piccolo centro agricolo. I locali della Camera del Lavoro erano messi a soqquadro e i
registri bruciati. Le persone che tentavano di difendersi venivano bastonate o costrette a
bere olio di ricino. Gli autori di quei misfatti ripartivano prima che la polizia avesse il
tempo di intervenire. In molti casi le autorità di polizia, i prefetti, i questori, ritardavano
ad arte il loro intervento, o per la presenza di qualche potente personaggio tra i fascisti
aggressori, o per il desiderio di far abbassare la cresta ai socialisti: nel corso di quegli
anni molti democratici sottovalutarono la gravità del fenomeno. Anche una personalità
come Croce pensava al fascismo come a una malattia della giovane democrazia italiana
che sarebbe passata, immunizzando il corpo sociale da quelle intemperanze. Col passare
del tempo gli obiettivi dei fascisti aumentarono d'importanza. Tra il 1920 e il 1922 ci
furono circa 3000 socialisti uccisi contro circa 300 fascisti morti negli scontri. A
Bologna gli squadristi attaccarono con bombe il consiglio comunale disperdendo i
consiglieri. Il governo non volle impiegare l'esercito e le forze di polizia: quando lo
fece, come a Sarzana nel giugno 1921, si vide che era possibile sconfiggere i fascisti (in
quell'occasione circa 500 fascisti furono messi in fuga nella cittadina appenninica dalle
forze dell'ordine).
L'occupazione delle fabbriche a Torino Il governo non seppe o non volle andare fino
in fondo per arrestare la violenza privata che ebbe il potere di arrestare il progresso delle
forze socialiste. Nel settembre 1920 ci fu l'occupazione delle fabbriche FIAT a Torino
con un tentativo di autogestione della produzione seguendo il modello sovietico,
peraltro fallito. In conseguenza di ciò, nel gennaio 1921 nel corso del Congresso di
Livorno, il partito della sinistra italiana si spaccò dando vita a un partito socialista a
tendenza riformista e al Partito Comunista Italiano (PCI) a tendenza rivoluzionaria.
Elezioni del 1921 Nel maggio 1921 ci furono nuove elezioni politiche rese necessarie
dall'impossibilità di formare un governo stabile. I fascisti conobbero una notevole
affermazione (35 deputati); i nazionalisti di estrema destra ebbero 10 deputati; il blocco
nazionale di Giolitti 135. Il Partito Popolare ebbe 107 deputati; i socialisti risultarono
123, i comunisti 15 e i riformisti di sinistra 29. Ancora una volta risultò difficile formare
un governo dal momento che destra, centro e sinistra avevano forze pressoché uguali.
Giolitti tentò di formare un governo di centro destra con la presenza determinante dei 35
deputati fascisti: il tentativo durò da maggio a giugno. Per quel periodo Mussolini cercò
di frenare le frange estremiste del suo partito proponendo una sorta di pacificazione
nazionale, ma i ras non obbedirono a Mussolini, che ritenne necessario dare le
dimissioni dalla direzione del partito. Tuttavia non resistette a lungo nei ranghi, e già a
novembre accettò di riprendere la direzione del partito promettendo che la lotta contro
socialisti e comunisti sarebbe continuata.
La lotta politica si radicalizza La difficile situazione economica incoraggiava
l’accentuazione della lotta tra destra e sinistra. I debiti di guerra e le spese per la
ricostruzione provocarono la svalutazione della moneta e la crescita dei prezzi di
almeno il 50% rispetto all’anteguerra, ma i salari non erano cresciuti nella stessa misura.
Gli operai scioperavano e occupavano le fabbriche, ma davanti avevano gli industriali
che si erano rafforzati assumendo atteggiamenti rigidi nei confronti delle richieste
operaie. I socialisti minacciavano una rivoluzione che poi non fecero, offrendo l'esca
perché i fascisti attuassero la loro rivoluzione conservatrice.
Governi sempre più deboli Dal dicembre 1921 all'ottobre 1922 continuarono sia le
violenze fasciste sia l'alternarsi di governi dalla vita brevissima. L'ultimo governo
presieduto da Giolitti cadde nel giugno 1921. Il successore, Ivanoe Bonomi, un socialista riformista, formò un governo comprendente anche radicali e popolari che si dimise
nel febbraio 1922. Occorsero quattro settimane al re per convincere un oscuro
personaggio, Luigi Facta, ad accettare di formare il governo che cadde durante l'estate
per l'uscita dei ministri del Partito Popolare. Il 1° agosto il Facta riebbe l’incarico perché
nessun leader di prestigio accettò di bruciarsi.
Fallisce lo sciopero socialista Il giorno della presentazione del secondo governo Facta
il paese era paralizzato da uno sciopero di protesta contro le violenze fasciste. Quello
sciopero fu un errore dei socialisti, perché era anche troppo facile presentarlo come la
premessa della rivoluzione. I fascisti si dettero da fare per farlo cessare: il 2 agosto
aggredirono gli scioperanti ad Ancona, Livorno e Genova; il 3 agosto a Milano
attaccarono la tipografia dell'Avanti! distruggendo le macchine e incendiando l'edificio;
poi fu la volta dell'aula del consiglio comunale invasa dai fascisti per ascoltare il
d'Annunzio che celebrava quelle tristi giornate. Poiché i tranvieri milanesi proseguivano
lo sciopero, alcuni fascisti si misero alla guida dei mezzi di trasporto pubblico.
Congresso straordinario del partito fascista Il 13 agosto il Partito Fascista celebrò un
congresso straordinario stabilendo di prendere il potere. Furono proposte nuove elezioni
per accrescere il numero dei deputati. L'8 ottobre anche i liberali tennero il congresso
del loro partito, decidendo di rifondarsi "guardando fermamente a destra" ossia di
giungere a un accomodamento con i fascisti.
La monarchia e l'esercito Mussolini doveva superare due ostacoli: il re e l'esercito.
Nella famiglia di Vittorio Emanuele III c'era la madre, la regina Margherita che rivelava
simpatie per il fascismo. Il cugino, il duca d'Aosta, era considerato un eroe di guerra ed
era vicino ai nazionalisti di estrema destra. È lecito pensare che il re temesse un'alleanza
del duca d'Aosta con i fascisti per sostituirlo sul trono. L'esercito mostrava qualche
cedimento, ma nel complesso era fedele al re.
Mussolini e d'Annunzio Il rapporto di Mussolini con d'Annunzio era complesso, un
misto di rivalità e ammirazione. Il poeta abruzzese era l'unica personalità che potesse far
ombra a Mussolini perché più colto, più eloquente, più ammirato come eroe di guerra.
Si sapeva che Facta e d'Annunzio erano amici e che stavano progettando un grande
raduno a Roma per il 4 novembre, anniversario della vittoria. In quella occasione poteva
maturare il progetto di un forte governo di centro-destra guidato da Giolitti.
Apertura di Mussolini al regime monarchico Alla fine di settembre 1922 Mussolini
fece una serie di discorsi nell'Italia settentrionale. A Udine disse chiaramente: "Il nostro
programma è di governare l'Italia". Aggiunse che i fascisti potevano essere tutto: per la
monarchia e per la repubblica; per il capitale e per il lavoro; per la pace e per la guerra.
In questo modo il re era avvertito che non si intendeva complottare contro di lui se cedeva con le buone.
Il progetto di marcia su Roma Giolitti ebbe numerosi incontri: si progettava un
governo di unità nazionale per indire nuove elezioni nella primavera successiva.
Mussolini accettò di far parte di questa combinazione, ma a patto che la coalizione si
formasse prima del 4 novembre e che le elezioni fossero indette in una data più vicina.
Intanto governo e fascisti si preparavano allo scontro. Il 16 ottobre i capi fascisti
studiarono un piano per compiere la marcia su Roma. I quadrumviri (Balbo, Bianchi,
De Bono, De Vecchi) dovevano guidare la marcia. Mussolini stava giocando d'azzardo
perché conosceva la debolezza del suo partito in caso di ricorso alla forza.
Le pretese dei fascisti Facta chiese a Diaz e a Badoglio, ossia ai comandanti più
prestigiosi dell'esercito, se esso avrebbe fatto il suo dovere in caso di sommossa a
Roma. Badoglio rispose che una dozzina di arresti avrebbe risolto ogni cosa. Tra il 19 e
il 25 ottobre la guarnigione di Roma fu rafforzata e perciò l'esercito poteva presidiare i
punti strategici. A Napoli fu convocato un nuovo congresso del Partito fascista:
Mussolini pretese per il suo partito cinque ministeri, compreso quello degli esteri, e
affermò che la presa del potere era questione di giorni se non di ore. Infine furono
avviate verso Roma le colonne fasciste il giorno 28 ottobre. Mussolini tornò a Milano
per continuare dalla città lombarda i contatti con Giolitti. De Vecchi, Grandi e Ciano si
recarono a Roma per gli ultimi preparativi comunicando a Facta, a Salandra e al re che
erano sul punto di prendere il potere con la forza se erano respinte le proposte di
Mussolini.
Il re non firma il decreto di Stato d'assedio I ministri di Facta volevano dare le
dimissioni, ma il re le respinse. Nella notte tra il 27 e il 28 ottobre i fascisti si
impadronirono del potere in molte città. Facta ebbe un colloquio con Vittorio Emanuele
III alle due e trenta di notte nel corso del quale gli propose di stabilire lo stato d'assedio
mediante manifesto da pubblicare la mattinata seguente. Alle cinque del mattino il
governo approvò il testo del manifesto che cominciò a esser conosciuto verso le otto: lo
stato d'assedio, il conferimento del potere all'esercito per ristabilire l'ordine con la forza,
sarebbe entrato in vigore alle dodici in tutta l'Italia. Alle nove del mattino il manifesto
era già stato affisso nelle strade di Roma. I circa 20.000 fascisti in marcia furono fermati
a circa otto chilometri da Roma da poche centinaia di poliziotti: solo circa 5000 erano
arrivati a destinazione, ma affamati, bagnati da una pioggia insistente e pochissimo
armati.
Mussolini primo ministro Alle nove del mattino Facta tornò dal re per la firma al
proclama dello stato d'assedio e la legge marziale, ma la firma gli fu rifiutata: ciò
comportava le dimissioni di Facta a seguito di un vero e proprio colpo di Stato del
sovrano. Si è discusso a lungo su questa faccenda che ha grande importanza per gli
avvenimenti successivi. Il re si rivolse a Salandra che offrì quattro ministeri ai fascisti.
Mussolini il 29 ottobre rifiutò la proposta e poi prese il treno della notte per Roma. Il 30
ottobre le camicie nere sfilarono sotto il Quirinale e poi raggiunsero l'albergo in cui
Mussolini era alloggiato. Una chiamata telefonica del re lo raggiunse con l'incarico di
formare il nuovo governo.
9. 2 Si delinea il regime fascista
Il 16 novembre 1922 la Camera dei deputati votò la fiducia al primo governo
presieduto da Mussolini, governo che, come i precedenti, scaturiva da una coalizione di
partiti: ne facevano parte fascisti, nazionalisti, popolari, socialisti riformisti.
Pieni poteri a Mussolini Il 25 novembre il re affidò a Mussolini i pieni poteri per
ristabilire l'ordine con scadenza il 31 dicembre 1923. Nel corso di quell'anno Mussolini
realizzò l'erosione delle basi democratiche dello Stato italiano.
La milizia fascista Nel gennaio le squadre d'azione furono legalizzate sotto il nome di
Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (MVSN). Mussolini aveva così una
specie di esercito personale di almeno 300.000 individui che avevano giurato fedeltà
alla sua persona, non a quella del re. Poi Mussolini sostituì i funzionari più importanti
come il capo della polizia, i prefetti, i sindaci.
Nuova legge elettorale maggioritaria A luglio 1923 prima che terminasse l'anno dei
poteri eccezionali, Mussolini fece presentare alla Camera una nuova legge elettorale che
avrebbe profondamente modificato la composizione del futuro Parlamento. Si trattava di
una legge maggioritaria per cui il partito che avesse raggiunto almeno il 25% dei voti,
avrebbe ricevuto 2/3 dei seggi in Parlamento, mentre gli altri partiti dovevano
distribuire tra loro il rimanente terzo di seggi. Il Parlamento veniva così messo in grado
di governare ma è vero che, approvata in quel momento, la legge appariva l'artificio di
comodo proposto dai sicuri vincitori delle elezioni.
Sconfitta del Partito Popolare La discussione parlamentare segnò una grave sconfitta
politica per il Partito Popolare. Infatti esso era ostile ad accettare il sistema
maggioritario proprio perché aveva conosciuto la sua rapida espansione in
concomitanza con la legge elettorale del 1919 caratterizzata dal sistema proporzionale.
Mussolini si propose di spaccare il Partito Popolare e ci riuscì ricorrendo al duplice
sistema di alternare qualche concessione con violente campagne di stampa contro gli
avversari che osavano resistergli. Le concessioni furono la promessa di soluzione della
questione romana mediante il riconoscimento della Santa Sede come alta parte
contraente di un trattato; e il salvataggio del Banco di Roma che versava in cattive
acque a causa di speculazioni sbagliate (il Banco di Roma sosteneva molte iniziative dei
cattolici italiani e fungeva da capofila dei numerosi istituti di credito sorti al tempo
dell'Opera dei Congressi). La campagna di stampa fu rivolta contro Luigi Sturzo,
segretario del Partito Popolare, che dovette dimettersi dalla carica di segretario del
partito poco prima che iniziasse alla Camera la discussione sulla nuova legge elettorale.
Elezioni del 1924 Con l'appoggio di Giolitti, di Salandra e di altri capi prestigiosi del
periodo liberale, la legge maggioritaria si apprestava a dare tutto il potere a Mussolini,
almeno per una intera legislatura. Le elezioni ebbero luogo nell'aprile 1924: come
previsto i fascisti ebbero 375 seggi, i popolari 39, i socialisti riformisti 24, i socialisti
22, i comunisti 19.
Ripresa dell'economia Nei primi due anni di potere Mussolini fu favorito dalla ripresa
economica italiana: il prodotto interno lordo (la somma dei valori prodotti da
agricoltura, industria e servizi) aumentò soprattutto per merito delle esportazioni che nel
1925, per la prima volta dopo il 1913, superarono il livello raggiunto in quell'anno.
Anche per motivi di immagine, il governo presieduto da Mussolini decise il salvataggio,
oltre che del Banco di Roma, anche del Banco di Sconto e dell'Ansaldo: in cambio della
liquidazione dei propri debiti quelle aziende cedettero una parte del pacchetto azionario
a un ente statale (in qualche modo si andava prefigurando l'IRI di cui si parlerà più
avanti).
Diminuiscono gli scioperi In quei due anni gli scioperi diminuirono da 552 con
420.000 scioperanti nel 1922, a circa 200 con 66.000 scioperanti nel 1923: tuttavia i
sindacati CGdL e CIL, rispettivamente socialista e cattolico, rimasero abbastanza
importanti, specie nei grandi centri. Il sindacalismo fascista cercava di far avanzare
l'idea che sia i datori di lavoro sia gli operai dovessero confluire in un'unica
rappresentanza chiamata "corporazione", ma per il momento l'idea non sembrava buona
ai rappresentanti degli interessi agrari e industriali (Confagricoltura e Confindustria) che
di fronte a sé avevano rappresentanze di operai divise e indebolite dalle violenze
squadriste.
Delitto Matteotti Il 30 maggio 1924 nella nuova Camera si svolse la prima importante
discussione. Prese la parola anche il segretario del Partito Socialista Italiano, Giacomo
Matteotti, il quale denunciò la violenza e i brogli elettorali dei fascisti, proponendo di
rimandare la convalida di molte nomine a deputato. Il 10 giugno 1924 Matteotti fu
aggredito da cinque individui, spinto in una macchina e, con tutta probabilità, subito
ucciso e frettolosamente sepolto a una ventina di chilometri da Roma. Le cose non
andarono nel verso desiderato dagli assassini e già il giorno 12 giugno fu arrestato il
capo della banda, Dumini, già tristemente noto in Toscana per operazioni squadriste.
Ma chi era il mandante del delitto?
La secessione dell'Aventino È noto che in casi del genere non si può sperare di trovare
un documento scritto che contenga un ordine tanto compromettente, ma con sicurezza si
può dire che Mussolini era a conoscenza di quel triste progetto. Il 27 giugno i deputati
di minoranza decisero di abbandonare le sedute della Camera (secessione
dell'Aventino). Alcuni ministri si erano dimessi per favorire una politica di unità
nazionale. Mussolini operò un rimpasto del suo governo, affidando a Federzoni il
ministero degli interni: costui era un nazionalista vicino all'ambiente di corte. De Bono,
invece, fu costretto a dimettersi dalla carica di direttore della polizia. I giornali
d'opposizione avevano ancora un grande potere e, di fatto, per circa sei mesi riuscirono
a paralizzare il governo di Mussolini, ma senza riuscire a suscitare forze politiche in
grado di opporsi a Mussolini: i socialisti, infatti, erano divisi al loro interno e il re non
intendeva ricorrere all'esercito per governare la nazione.
La censura della stampa Federzoni prese energicamente in pugno il problema
dell'ordine pubblico, riuscendo a scongiurare una minacciata seconda ondata di
violenza squadrista, ma imbrigliando anche la stampa di opposizione al fascismo
mediante una legge che dava facoltà ai prefetti di diffidare i gerenti dei giornali e di
introdurre la censura. In caso di due diffide il giornale preso di mira doveva chiudere.
Esilio di Luigi Sturzo A novembre, alla riapertura della Camera Giolitti si schierò con
l'opposizione a causa della legge sulla stampa; gli aventiniani intensificarono una
campagna giornalistica sui retroscena del delitto Matteotti; De Bono fu accusato di
correità con gli assassini. Si stava sviluppando una manovra politica tendente a unire i
deputati fascisti moderati con l'opposizione liberale, per dare vita a un nuova
maggioranza. Il 29 dicembre cominciò a venir pubblicato sul "Mondo" il memoriale di
Cesare Rossi, già segretario alla presidenza di Mussolini, probabilmente estraneo
all'affare Matteotti, ma scelto come capro espiatorio in luogo di Mussolini: si riteneva
che il memoriale potesse far luce sulla responsabilità di Mussolini. A tutta questa
campagna, in ogni caso mal coordinata, Mussolini rispose col ricorso alla violenza. Il 30
dicembre chiese (o impose) al governo di dargli la delega per i pieni poteri; il 31
dicembre fece concentrare a Firenze parecchie migliaia di squadristi e nei giorni
successivi analoghi raduni furono tenuti a Bologna, Pisa, Siena. Tutto ciò formò la
premessa del duro discorso di Mussolini tenuto alla Camera il 3 gennaio 1925 nel corso
del quale disse: "Dichiaro qui, al cospetto di questa assemblea e al cospetto di tutto il
popolo italiano, che io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto
quanto è avvenuto". Accusò l'opposizione aventiniana di aver male interpretato la
moderazione del governo minacciando di scatenare in modo brutale lo squadrismo
fascista.
Mussolini si rafforza L'impressione prodotta dal discorso fu terribile perché tolse
all'opposizione ogni iniziativa: neppure gli aventiniani seppero contrapporre una
qualche resistenza a Mussolini, il quale, invece, riuscì ad assicurarsi il favore del re e
dell'esercito, con l'appoggio della grande industria e delle banche, nominando Alfredo
Rocco ministro della giustizia, rimasto in carica fino al 1932: costui era un ex
nazionalista monarchico. A febbraio Roberto Farinacci fu nominato segretario del
Partito Nazionale Fascista, un altro segno che si stava per giungere allo scontro con i
comunisti e con l'opposizione aventiniana. Ad aprile Mussolini fece dimettere il
ministro della guerra assumendo la titolarità anche di quel ministero. Nel luglio 1925 ci
fu un ulteriore rimpasto di governo con la sostituzione dei ministri delle finanze e
dell'economia nazionale per fronteggiare una grave crisi economica e monetaria.
Crisi monetaria Tale crisi fu determinata dal crollo del valore della lira rispetto al
dollaro e alla sterlina. Il danno di immagine che poteva venire al fascismo indusse
Mussolini a occuparsi di economia nei modi vistosi da proconsole onnipotente che gli
erano caratteristici. La diminuzione del valore della lira determinò l'aumento dei prezzi
interni e perciò nella primavera del 1925 ci furono scioperi, mentre la Borsa conosceva
un rialzo che il governo volle frenare con provvedimenti poco graditi agli industriali.
Prestito americano all'Italia Per motivi di politica interna gli USA ritennero
opportuno stabilizzare la situazione monetaria italiana: perciò fin da luglio la Banca
Morgan di New York concesse un prestito per difendere la lira. Fu stabilito un dazio di
importazione sul frumento nella speranza di incrementare quel tipo di coltivazione,
rendendo autosufficiente l'Italia. Il provvedimento fu presentato dell'opinione pubblica
come "battaglia del grano".
Stabilizzazione della moneta Tra l'ottobre 1925 e il gennaio 1926 furono siglati a
Washington e Londra due importanti documenti che prevedevano il rimborso del
prestito di guerra nei confronti dei due paesi. Un altro prestito della Banca Morgan
permise di stabilizzare il mercato dei cambi. L'effetto negativo della stabilizzazione
della lira fu la minore competitività delle merci italiane e quindi fallimenti e disoccupazione.
Riduzione dei salari reali A quegli effetti perversi della stabilizzazione della lira il
regime rispose con una riduzione dei salati attuata nel 1927: tale risultato fu reso possibile dalla sconfitta dei sindacati e dallo sviluppo del sindacalismo fascista che tenne
desta l'attenzione dei lavoratori con una nuova dottrina circa il lavoro che va sotto il
nome di "corporativismo", esaminato in seguito.
Politica e demagogia La battaglia del grano e la stabilizzazione della lira furono i primi
due esempi di campagne propagandistiche del regime fascista: è interessante notare
come due problemi tecnici (la convenienza economica di importare grano o di produrlo;
di svalutare o rivalutare la moneta) furono trasformati in battaglie ideali per rendere
autosufficiente l'Italia in vista di una guerra futura. Naturalmente, la battaglia del grano
aveva senso solo se sulla stessa estensione di terreno si produceva più grano: al contrario, avvenne che molti contadini coltivarono a grano terre in precedenza adibite ad altre
coltivazioni altrettanto importanti, col risultato che se la produzione media per anno del
frumento passò da 50 milioni di quintali intorno al 1925 a 75 milioni di quintali degli
anni intorno al 1936, ciò avvenne a scapito di carne e latticini che furono importati in
maggiore quantità: però così facendo Mussolini aveva unito al suo regime una intera
categoria di operatori economici.
Si configura il regime fascista Sempre nel corso del 1925, vero anno chiave per il
consolidamento del regime fascista, la stampa fu totalmente imbrigliata; la massoneria
fu posta fuori legge perché Mussolini temeva i centri di potere estranei al suo; sostituì i
sindaci eletti con podestà scelti dal suo partito; fece modificare lo Statuto albertino
accrescendo i poteri del primo ministro, configurando così un nuovo istituto, la
Diarchia avente a capo il re e il primo ministro, non più responsabile verso il
Parlamento, bensì verso il sovrano, rimasto capo nominale dello Stato.
Fine dell'opposizione legale al regime Nel 1928 Mussolini modificò la legge elettorale
abolendo di fatto il suffragio universale. La lista dei candidati doveva esser sottoposta al
Gran Consiglio del fascismo che ne avrebbe designati 400: gli elettori potevano
accettare o respingere in blocco i candidati. Alle successive elezioni tenute nel marzo
1929, dopo il successo conseguito dal regime con la firma dei Patti Lateranensi, non
esisteva più in Italia un’opposizione legale al regime di Mussolini. In quell'anno i più
noti capi dei partiti d’opposizione come Sturzo, Turati, Nenni, Saragat, Nitti, Togliatti,
Rosselli ecc. erano andati in esilio. Altri, come Amendola o Gobetti, erano morti in
seguito a pestaggi. Gramsci era in prigione con circa duemila compagni di partito.
Consensi al regime dall'estero Dall'estero giungevano numerosi attestati di simpatia
verso il duce, come amava farsi chiamare Mussolini, sensibile soprattutto ai commenti
della stampa inglese che apprezzava l'ordine ristabilito sulle linee ferroviarie, la fine
degli scioperi, la stabilità della moneta che favoriva la sterlina ecc. All'estero i fuorusciti
italiani non furono presi troppo sul serio, almeno fino al 1936, perché bisticciavano tra
loro mentre in Italia la gente sembrava soddisfatta e punto desiderosa di tornare alla
situazione difficile del dopoguerra.
9. 3 Patti lateranensi, cultura e organizzazioni di massa
Il punto più alto delle fortune politiche di Mussolini fu raggiunto l'11 febbraio 1929:
in quel giorno furono firmati i Patti lateranensi comprendenti un Concordato tra Stato e
Chiesa, un Trattato e una Convenzione finanziaria.
Mussolini e i cattolici Mussolini otteneva un prestigio personale immenso di fronte ai
cattolici italiani e di fronte ai cattolici del resto del mondo, per aver saputo concludere
onorevolmente la disputa che opponeva la Santa Sede e lo Stato italiano fin dai tempi
del risorgimento. Dalla Santa Sede Mussolini otteneva la fine di ogni appoggio al
Partito Popolare, l'unico che sembrava avere una buona capacità di resistenza al
fascismo, eccettuato il Partito comunista che agiva nella clandestinità. Mussolini aveva
già chiesto lo scioglimento delle associazioni scautistiche che minacciavano il
monopolio dell'educazione dei giovani da parte dello Stato fascista, e aveva ridotto le
attività dell'Azione cattolica a mere attività di culto senza rilievo sociale e politico.
I Patti lateranensi La Santa Sede otteneva l'inserimento di un'ora di religione
settimanale nelle scuole medie e superiori; gli effetti civili del matrimonio celebrato in
chiesa - ossia non occorreva più recarsi in municipio per il matrimonio civile -: i parroci
divenivano ufficiali di stato civile e ottenevano dallo Stato un piccolo stipendio; Roma
veniva proclamata città santa e lo Stato si impegnava a mantenere un decoro esterno per
non offendere la sensibilità religiosa dei pellegrini; negli edifici pubblici e nelle aule
scolastiche si doveva appendere un Crocifisso.
La Convenzione finanziaria La Convenzione finanziaria, oltre alla congrua per i
parroci, prevedeva sgravi fiscali per le istituzioni ecclesiastiche, 750 milioni in contanti
e un miliardo di lire in titoli di Stato, in conto riparazioni per la confisca del patrimonio
della Chiesa. Il cattolicesimo tornava così a essere la religione dello Stato mentre la
Santa Sede rientrava in possesso di uno Stato della Città del Vaticano, di dimensioni
simboliche ma con gli attributi a esso inerenti: territorio, diplomazia, posta, telegrafo,
radio ecc. Certamente Mussolini non poteva trattare la Chiesa come un'associazione
privata per fini di culto, e si precludeva la possibilità legale di scatenare una per-
secuzione contro la Chiesa, come fece Hitler in Germania. Mussolini era agnostico in
fatto di religione e anche anticlericale, ma capì che nessun regime poteva affermarsi in
Italia se non risolveva la questione religiosa. I liberali e gli anticlericali rimasero urtati:
ma i primi non avevano più un grande seguito nelle masse e i secondi si consolarono
con gli screzi che di lì a poco sorsero tra il regime fascista e la Chiesa: nel 1931 gli
squadristi attaccarono le sedi dell'Azione cattolica distruggendo documenti e attrezzature per impedire ogni attività politica dei cattolici.
Tramonto del liberalismo Gli anni tra il 1925 e il 1929 furono impiegati da Mussolini
per distruggere il regime liberale e per costruire il nuovo regime fascista. Nel
cambiamento andarono perdute alcune conquiste democratiche avvenute nell'età
giolittiana (libertà sindacali, libertà di sciopero, libertà di stampa e di associazione ecc.)
sostituite da un regime fortemente autoritario.
Legge sulle associazioni Mussolini cominciò con una legge del gennaio 1925 che
disciplinava le associazioni obbligandole a fornire il nome dei soci, gli statuti, le finalità
ecc. ai prefetti: con questa legge si voleva colpire la massoneria che, infatti, di lì a poco
si sciolse. A novembre la polizia fascista disse di aver scoperto un complotto per
attentare alla vita di Mussolini, ideato dal deputato socialista Tito Zaniboni,
prontamente arrestato: in conseguenza il Partito Socialista Unitario fu sciolto. Il
Corriere della sera e la Stampa, ossia i giornali a maggiore tiratura, furono costretti a
cambiare direttore e linea redazionale, ossia furono resi filogovernativi.
Le leggi speciali Infine furono approvate alcune leggi che istituivano un tribunale
speciale per giudicare coloro che avessero attentato alla vita del re o del capo del
governo, per procedere allo scioglimento dei partiti e delle associazioni contrarie al
fascismo, per infliggere il confino di polizia ai sospetti di attività sediziose. Queste leggi
furono suggerite da Alfredo Rocco: ebbero il potere di accentuare il carattere autoritario
dello Stato italiano senza abrogare, almeno formalmente, lo Statuto albertino. La legge
più importante fu quella che ampliava le prerogative del capo del governo, nominato e
revocato solo dal capo dello Stato, il re. I ministri erano nominati e revocati dal re su
proposta del capo del governo, e i ministri non erano responsabili davanti al Parlamento
bensì davanti al capo del governo.
Burocratizzazione del partito fascista Nel 1926 fu nominato segretario del partito
fascista, al posto di Farinacci, Augusto Turati, un personaggio che appariva più
equilibrato del predecessore sempre tentato da atteggiamenti radicali e personalistici. La
nuova nomina significava che il partito doveva assumere un atteggiamento più
disciplinato nei confronti di Mussolini che così emergeva come figura pressoché unica
in seno al fascismo: tutti gli altri divenivano gerarchi ossia esecutori di ordini secondo
una rigorosa gerarchia paragonabile a quella militare: fu una burocratizzazione del
partito dal quale furono espulsi i membri compromessi dalle violenze squadriste.
L'ideologia fascista Non è facile descrivere l'ideologia fascista perché essa non era
all'inizio una visione del mondo coerente e razionale. Non era una filosofia della storia e
della società frutto di una riflessione organica, nonostante i tentativi compiuti da
Giovanni Gentile che aveva cercato di fare del fascismo l'inveramento della filosofia
italiana del risorgimento, la quale avrebbe vittoriosamente criticato, e quindi superato, il
marxismo.
Una cultura vitalista Le vicende della guerra avevano gettato il discredito sulla cultura
precedente, travolgendo il positivismo, il liberalismo, la democrazia, l'umanitarismo, il
socialismo della Seconda internazionale. Al loro posto si erano affermati orientamenti
spesso confusi e contraddittori come il sindacalismo rivoluzionario, il nazionalismo, il
futurismo, le avanguardie artistiche del Novecento, le dottrine politiche di Gaetano
Mosca che sosteneva la necessità di nuove élites o classi dirigenti, e le idee di Georges
Sorel sull'efficacia dei "miti" da proporre alle masse per scatenarne la violenza
rivoluzionaria: si trattava di valori nuovi che contraddicevano i valori borghesi rimasti
dominanti fino alla grande guerra.
Il fascismo alla ricerca di un'immagine Il fascismo adottò in modo più o meno
coerente tutti quegli spunti dando il primato a una sorta di attivismo insofferente di ogni
vincolo esterno. Dopo il successo della marcia su Roma si sentì il bisogno di individuare le linee di una dottrina più organica, anche per spiegare al mondo che cosa era il
fascismo, dando vita a un aspro dibattito all'interno del partito vincitore tra un'ala
sinistra e un'ala destra. La crisi seguita al delitto Matteotti raffreddò un poco quelle
discussioni, facendo trionfare la linea sostenuta da Gentile, da Rocco e da Bottai ostile
all'intransigenza di Farinacci che, infatti, fu estromesso dalla segreteria del partito.
Il fascismo secondo Croce e secondo Gentile Nel 1925 Gentile firmò il Manifesto
degli intellettuali fascisti, cui Croce replicò col Manifesto degli intellettuali antifascisti.
I due filosofi partivano da posizioni comuni, l'idealismo neohegeliano, ma come si vede,
approdarono a esiti pratici opposti. In un certo senso Gentile era filosoficamente più
coerente perché se è reale tutto ciò che si attua, e il fascismo si era attuato, occorreva
aderire al fascismo. Croce, invece, sosteneva la tesi che il fascismo fosse un errore
contro la cultura, una specie di malattia dello spirito, e che il fascismo sarebbe stato
nella storia d'Italia una parentesi nello sviluppo della democrazia liberale, un incubo
notturno che ci abbandona dopo il risveglio.
L'Enciclopedia Italiana Il Gentile offrì un'importante giustificazione teorica del
fascismo che favorì l'adesione al regime di un notevole gruppo di intellettuali: sotto la
sua direzione fu pubblicata l'Enciclopedia Italiana, un'opera di indubbio valore
scientifico. Il Gentile fino alla morte fu autorevole nell'ambiente universitario e molti
suoi allievi raggiunsero un buon livello scientifico.
Alfredo Rocco Alfredo Rocco indirizzò il regime fascista in senso conservatore e
autoritario promovendo la riforma del Codice penale in linea con le sue vedute di uno
Stato in lotta con tutti gli altri per garantirsi la sopravvivenza e la conquista del "posto al
sole". Accanto all'idealismo di Gentile e al nazionalismo di Rocco influirono
sull'elaborazione dell'ideologia fascista anche altre componenti culturali, ma tutto
considerato il successo del regime fu assicurato dagli intellettuali trasformisti e
conformisti che si erano affrettati a stare dalla parte del vincitore di turno, perché
occorre guadagnarsi da vivere - dicevano - riservandosi la facoltà di abbandonarlo
quando le sue fortune vacillassero.
La riforma della scuola Per l'organizzazione della cultura grande importanza ebbe la
riforma della scuola italiana, soprattutto al livello della scuola superiore, nella quale fu
introdotto l'esame di Stato. Gentile, in accordo con la sua concezione filosofica
idealistica, accentuò il carattere umanistico del ginnasio-liceo classico, inteso come
fucina donde doveva uscire la classe dirigente del paese, assegnando agli altri indirizzi
di studio il compito di formare i quadri intermedi della società. Il regime fascista volle
irreggimentare la scuola mediante libri di testo appositamente predisposti, mediante la
richiesta di un giuramento di fedeltà al regime da parte degli insegnanti, ma soprattutto
col monopolio dell'educazione dei giovani.
L'organizzazione della gioventù Fin dal 1926 fu fondata l'Opera Nazionale Balilla che
doveva inquadrare i ragazzi dagli otto ai dodici anni avvalendosi dell'opera di insegnanti
di educazione fisica addestrati per ottenere dai ragazzi un precoce avviamento ad attività
premilitari. Nel 1929 furono organizzati i Fasci giovanili per i giovani dai diciotto ai
ventuno anni, affiancati ai Gruppi Universitari Fascisti già operanti presso le università
da molti anni. Nel 1937, per risolvere vari conflitti di competenza e per imprimere una
più decisa svolta in senso militarista, fu istituita la Gioventù Italiana del Littorio, alle
dipendenze del segretario del partito fascista per affrettare la formazione militare dei
giovani che aveva dato risultati modesti: in questo senso si comprende perché le
associazioni scautistiche erano state sciolte fin dal 1926 e perché il regime avesse scatenato nel 1931 una campagna contro l'Azione cattolica, costringendola a limitare la sua
azione ad attività religiose. L'Opera Balilla, i Fasci giovanili, la Gioventù Italiana del
Littorio dovevano trasformare gli italiani in guerrieri desiderosi di battersi rinnovando
l'impero di Roma.
Accademia d'Italia Per dare lustro al regime Mussolini istituì anche l'Accademia
d'Italia: sotto la presidenza di Guglielmo Marconi, furono nominati 60 scienziati,
letterati e artisti di chiara fama, a imitazione degli immortali dell'Accademia di Francia
che da secoli onorava con quel titolo le personalità più in vista della nazione.
Stampa radio cinema Il regime tuttavia preferiva dedicare le sue attenzioni ai mezzi di
comunicazione di massa, in primo luogo alla stampa che dal 1926 fu totalmente
imbrigliata dai prefetti. Il sistema scelto era quello della velina ossia la distribuzione di
un comunicato di stampa che doveva servire da falsariga per stendere i commenti graditi
al regime. In quegli anni si svilupparono anche le trasmissioni radiofoniche e il cinema.
Nel 1928 fu fondato l'Ente italiano audizioni radiofoniche (EIAR) sostenuto dallo Stato
e operante in regime di monopolio. Il cinema italiano aveva avuto un certo successo fin
da prima della guerra, ma non aveva saputo evolversi secondo i gusti del pubblico che,
dopo la guerra, preferiva i film americani. Nel 1924 il regime decise di stimolare la
produzione di film italiani creando l'Istituto Luce che fino al 1943 produsse
documentari e cinegiornali ceduti gratuitamente a tutte le sale: il pubblico che assisteva
ai film Luce era più numeroso dei lettori di giornali o dei radioascoltatori, e perciò
questo divenne il mezzo preferito dal regime per la propaganda politica.
9. 4 Le teorie economiche del fascismo
Il fascismo non ebbe una rigorosa concezione dei fatti economici come il marxismo:
il regime fascista aveva bisogno di successi anche in campo economico, e pur di averli
era pronto a far propria ogni teoria.
Empirismo economico del fascismo All'inizio fu accettato il sistema economico
liberistico che fino al 1925 sembrava condurre a una sempre maggiore espansione
dell'economia. Seguì nel 1926 una breve crisi monetaria bloccata da prestiti contratti
con gli USA e la Gran Bretagna a sostegno della lira che fu addirittura rivalutata, con
danno per le esportazioni. Nel 1929, dopo un anno di relativa ripresa economica,
sopraggiunse a ottobre la crisi dell'economia mondiale iniziata col crollo della Borsa di
Wall Street a New York e poi estesa a macchia d'olio nel resto del mondo, mentre
nell'URSS era lanciato il primo piano quinquennale che sembrava l'inizio di un'economia pianificata capace di far a meno della logica di mercato per determinare i
prezzi delle merci.
La crisi economica L'ondata di crisi arrivò in Italia un poco più tardi rispetto a paesi
come la Germania che esportavano soprattutto in direzione degli USA. I crediti
internazionali furono congelati: nel 1931 il presidente americano Hoover propose la moratoria per un anno dei debiti di guerra per non aggravare la situazione della Germania
che, di fatto, dopo quell'anno sospese ogni pagamento del debito di guerra. La crisi fu
grave perché interruppe la collaborazione internazionale e ogni paese finì per agire per
proprio conto, arrivando al massimo a stipulare accordi bilaterali per scambi di merci di
pari valore.
Aumenta la disoccupazione In Italia la crisi comportò un aumento della
disoccupazione passata da 300.000 unità nel 1929 a 1.300.000 nel 1933, peraltro
inferiore rispetto alla cifra dei disoccupati tedeschi, ma pur sempre elevata per un
sistema economico fragile come quello italiano. Il governo fascista, per problemi di
immagine, decise di salvare dal fallimento una parte dell'industria italiana, ordinando la
riduzione di salari e stipendi oscillante tra l'8 e il 10%.
IRI Il secondo provvedimento fu il salvataggio di alcune banche come il Credito
Italiano e la Banca Commerciale, ricorrendo al nuova Istituto di Ricostruzione
Industriale (IRI), un ente di diritto pubblico che rilevava una consistente quota del
pacchetto azionario delle banche in difficoltà che a loro volta cedevano all'IRI le azioni
delle aziende momentaneamente in crisi, ma ritenute vitali e suscettibili di tornare in
attivo dopo la crisi. In questo modo lo Stato, attraverso l'IRI, divenne il massimo
proprietario di banche, industrie e servizi che continuavano a esser amministrati
secondo criteri privatistici, ma evitando la disoccupazione e altre tensioni sociali tipiche
dei periodi di crisi. I gruppi finanziari non si opposero al massiccio intervento dello
Stato nell'economia perché trovarono conveniente l'esistenza di una specie di camera di
decompressione che permetteva di accollare allo Stato le perdite, assegnando i profitti ai
privati. In ogni caso l'IRI si rivelò una formula fortunata tanto da sopravvivere al regime
che l'aveva proposta.
Il corporativismo Il regime fascista dopo il 1930 menò gran vanto della nuova
organizzazione del lavoro che andava sotto il nome di corporativismo. Dopo aver
soppresso il diritto di sciopero e i sindacati liberi occorreva offrire ai lavoratori nuove
garanzie giuridiche per difendere i loro diritti. Fu scelta la formazione di un certo
numero di corporazioni che dovevano costituire l'organizzazione unitaria della
produzione, rappresentandone integralmente gli interessi, sia dei datori di lavoro sia
degli operai. Tali corporazioni, in numero di ventidue, dovevano risolvere nel proprio
seno i conflitti di lavoro e tutte insieme, mediante rappresentanti, dovevano entrare nella
nuova Camera che assunse il nome di Camera dei fasci e delle corporazioni. Sembrava
questo il modo di superare la concezione della lotta di classe tra proprietari e lavoratori,
essendo divenuti gli uni e gli altri a pari titolo creatori di valori economici che
ricadevano a vantaggio di tutti. In pratica le corporazioni furono consigli in seno ai quali
le organizzazioni fasciste dei datori di lavoro e dei lavoratori ebbero rappresentanza
paritetica per realizzare l'autogoverno di un intero settore produttivo, conciliando
l'interesse degli individui e dello Stato. Si parlò molto di questo nuovo esperimento, ma
alla prova dei fatti funzionò poco e male, risultando molto più efficiente la Confindustria che operava con più duttilità e con maggiore conoscenza dei problemi tecnici
dell'economia.
L'autarchia In ogni caso, dopo la grande crisi del 1929, Mussolini ritenne esaurito il
modello economico borghese e cercò di sviluppare interventi in economia in cui lo Stato
fosse protagonista. Più tardi, dopo le sanzioni economiche decise dalla Società delle
Nazioni al tempo della guerra d'Etiopia, Mussolini accentuò la necessità di rendere
autarchica la produzione italiana, ossia di rendere indipendente il paese dai mercati
internazionali per non rimanere paralizzati dal blocco di esportazioni e importazioni in
caso di guerra, una prospettiva sempre più prossima a causa dei successi di Hitler: si
stava preparando un'economia di guerra, impostata già in tempo di pace.
9. 5 La politica estera del fascismo fino al 1935
Già quarant'anni prima dell'avvento del fascismo al potere i governi liberali avevano
cercato di attuare un impero coloniale in Africa. Durante l'età giolittiana un piccolo ma
rumoroso partito nazionalista aveva riproposto le conquiste coloniali culminate con
l'occupazione della Libia, più costosa delle conquiste compiute in Somalia e in Eritrea.
Dopo l'inizio della Prima guerra mondiale, parte dei soldati presenti nelle colonie furono
ritirati per inviarli sul fronte contro l'Austria.
Ripresa delle guerre coloniali Uno dei primi atti del fascismo fu la ripresa delle guerre
coloniali condotte con largo impiego di mezzi moderni, aerei e colonne motorizzate che
stroncarono la guerriglia locale. Nel corso di queste operazioni si mise in luce il
colonnello Graziani, gradito al regime per la sua risolutezza nel comandare la
repressione condotta a termine verso il 1932. Verso quella data passò in primo piano la
questione dell'Etiopia dove erano scoppiati aspri conflitti tra fazioni rivali terminati col
trionfo di Tafuri, divenuto imperatore d'Etiopia col nome di Hailé Selassié (1930).
L'episodio di Corfù Fino al 1933 il regime fascista era l'unico in Europa in cui fossero
presenti alcune caratteristiche come la tendenza al totalitarismo, ossia all'assorbimento
della società civile da parte dello Stato, il nazionalismo esasperato, l'antiparlamentarismo con la creazione di un partito unico ecc. Tuttavia, nel corso di quegli
anni il regime fascista fu abbastanza cauto. Nel 1923, a seguito dell'eccidio compiuto ai
danni di una missione militare italiana guidata dal generale Tellini mentre era impegnata
in Grecia a stabilire il confine tra quel paese e l'Albania, Mussolini ordinò alla flotta di
occupare l'isola di Corfù esigendo l'indennizzo di 50 milioni (di allora). L'inchiesta
giudiziaria non riuscì a far luce su autori e mandanti del crimine. Il rilievo dato da
Mussolini all'incidente di Corfù apparve un avvertimento a Jugoslavia e Grecia perché
non interferissero con i piani italiani circa l'Albania.
Trattato di Fiume Nel 1924 a Roma fu firmato il patto italo-jugoslavo che stabiliva la
sovranità italiana su Fiume e il suo porto: il patto fu seguito da un trattato di amicizia e
da accordi commerciali. Nel 1925 iniziarono contrasti con la Francia, accusata di offrire
generosa accoglienza ai profughi antifascisti.
Patto di Locarno Sempre in quell'anno fu firmato il patto di Locarno tra Francia,
Germania, Gran Bretagna, Belgio e Italia in base al quale Italia e Gran Bretagna
divenivano garanti della decisione presa da Francia e Belgio da una parte, Germania
dall'altra, di non modificare i confini stabiliti dal trattato di Versailles: per alcuni anni,
almeno fino alla crisi del 1929, lo spirito di Locarno appianò le tensioni europee tanto
che nel 1926 la Germania fu accolta nella Società delle Nazioni.
La politica balcanica di Mussolini Nel corso del 1927 Mussolini accentuò una politica
mirante a isolare sul piano internazionale la Jugoslavia approfittando dei contrasti
interni tra le etnie croata e macedone ostili al predominio serbo. Altri aiuti furono
concessi dal governo italiano all'Ungheria ansiosa di rivedere i propri confini con la
Cecoslovacchia, e all'Albania dove il capo feudale Ahmed Zogu, nel 1928, fu nominato
re d'Albania col nome di Zog I: era un regno poverissimo praticamente sostenuto dal
denaro italiano. Come si vede, si tratta di operazioni caute ma orientate nel senso della
revisione dei trattati di Versailles che il governo fascista continuava a considerare iniqui
nei confronti dell'Italia (la vittoria mutilata): detto in altri termini, da una parte l'Italia
sembrava desiderosa di conservare l'ordine sociale esistente in Europa (aspetto
conservatore o di destra del fascismo), dall'altra rivelava una carica distruttiva nei confronti dell'ordine internazionale a causa del nazionalismo, del culto della violenza e
della guerra presenti nell'ideologia fascista.
Nuovo orientamento della politica estera italiana Nei primi mesi del 1929 il regime
fascista ottenne il massimo dei consensi, sia interni sia internazionali, per aver risolto la
questione romana coi Patti lateranensi, ma nell'ottobre di quell'anno iniziò la crisi
economica che incrinò la fiducia nei confronti del liberalismo economico come fonte di
benessere, e della democrazia come prassi di governo. Dal 1929 al 1932 fu ministro
degli esteri Dino Grandi, molto più giovane di Mussolini e perciò indicato come
possibile successore del duce. Grandi cercò di accentuare l'avvicinamento dell'Italia agli
USA e alla Gran Bretagna, anche se proprio in quell'anno erano andati al potere i
laburisti con Mac Donald. Tuttavia in USA e Gran Bretagna la difficile situazione
economica costrinse i governi a concentrarsi sulla politica interna: nel 1932 le elezioni
americane furono vinte dai democratici guidati da Franklin D. Roosevelt che per
qualche anno pose in secondo piano i problemi internazionali.
Hitler al potere in Germania La grande crisi economica nel gennaio 1933 portò al
potere Adolf Hitler, subito schierato su posizioni ostili alla Società delle Nazioni la cui
politica pacifista era opposta a quella desiderata da Hitler. Grandi dovette lasciare il
ministero degli esteri, sostituito dallo stesso Mussolini che guardava con un misto di
timore e di speranza il nuovo regime tedesco, desideroso di approfittare di ogni
spiraglio che permettesse all'Italia di espandersi in Europa (Albania, Jugoslavia) e in
Africa (Etiopia).
La politica estera nazista Hitler provava una certa simpatia personale per Mussolini di
cui imitò qualche atteggiamento, ma la politica tedesca rivelò subito un orientamento
verso il settore orientale (Austria, Ungheria, Cecoslovacchia e Polonia) giudicato vitale
dalla politica italiana per la propria sicurezza. Ciò produsse un avvicinamento tra Italia e
Francia perché il governo di quest'ultima vide nel dittatore italiano un possibile
mediatore con Hitler. Costui rivelò nel giugno 1933 l'intenzione di abbandonare la
conferenza internazionale sul disarmo e la Società delle Nazioni. Nel 1934 iniziò la
grave crisi austriaca, perché Hitler aveva posto l'Anschluss (riunificazione) tra Germania
e Austria come prima tessera del suo nuovo ordine europeo. Mussolini indusse il
cancelliere austriaco Dollfuss a eliminare il partito socialdemocratico, fascistizzando
l'Austria che così avrebbe avuto come naturale protettore il governo italiano. Hitler fu
indotto a cercare l'incontro con Mussolini, avvenuto nel giugno 1934 a Venezia, peraltro
senza successo.
Hitler capo dello Stato e del governo Il 30 giugno 1934 avvenne quella terribile faida
interna al partito nazista, terminata con l'eliminazione delle SA (Sturm Abteilungen
ovvero milizie volontarie guidate dal nazista di sinistra Röhm). Poco dopo morì il
vecchio presidente della Germania Hindenburg, permettendo a Hitler di assumere anche
le funzioni di Capo dello Stato, oltre che di capo del governo, cosa che a Mussolini non
riuscì perché sulla sua strada ebbe sempre Vittorio Emanuele III. Nel luglio 1934 Hitler
fece compiere un colpo di Stato in Austria che causò la morte di Dollfuss, ma il
tentativo risultò prematuro e in Austria andò al potere Schuschnigg, sostenuto da
Mussolini, che fece schierare al Brennero e a Tarvisio quattro divisioni di alpini,
costringendo Hitler a rimandare l'Anschluss.
Concessioni francesi all'Italia Tra il 1934 e il 1935 i rapporti tra Francia e Italia
migliorarono perché da parte francese avvenne la cessione di un vasto tratto di deserto
da annettere alla Libia e di un altro tratto del Corno d'Africa da annettere all'Eritrea.
Una clausola importante del trattato affermava che la Francia non aveva altri interessi in
Etiopia ad eccezione della ferrovia Gibuti-Addis Abeba, di sua proprietà. Il ministro
degli esteri Laval fu largo di promesse nei confronti del governo italiano per quanto
riguardava l’occupazione di quello Stato, pur di avere dalla sua parte l'Italia per
contrastare l'espansionismo di Hitler in Europa.
Conferenza di Stresa Nell'aprile 1935 la Francia convocò a Stresa una conferenza
internazionale per arginare l'imperialismo della Germania nazista: Mussolini si mostrò
ancora abbastanza saggio per capire da che parte veniva il pericolo per l'Europa, ma le
mire coloniali sull'Etiopia fecero deviare le attenzioni di Mussolini dalla scena europea.
9. 6 La conquista dell'Etiopia
La tempesta si addensava in Africa. La sconfitta italiana avvenuta ad Adua in Etiopia
nel 1896, bruciava ancora.
Etiopia Quel paese era uno dei pochi Stati africani indipendenti: Mussolini volle farlo
entrare nell'orbita di potere dell'Italia. Nel 1923 l'Italia aveva proposto l'entrata dell'Etiopia nella Società delle Nazioni; nel 1928 aveva firmato con quel paese un trattato di
amicizia, ma era chiaro che si trattava di preliminari in attesa di un pretesto per un
futuro intervento militare che l'imperatore Hailé Selassié cercava di evitare con ogni
mezzo.
Incidente di Ual Ual Nel dicembre 1934 avvenne l'episodio dell'oasi di Ual Ual che si
trovava in territorio etiopico, ma che l'Italia pretendeva di utilizzare. Alcuni soldati
italiani furono uccisi: Mussolini pretese le scuse ufficiali e adeguate riparazioni, come
era avvenuto nel caso di Corfù. L'Etiopia ottenne, invece, di far svolgere una inchiesta
da parte della Società delle Nazioni.
Mussolini cerca appoggi internazionali Nel frattempo Mussolini condusse sondaggi
per conoscere le intenzioni di Francia e Gran Bretagna mentre in modo molto scoperto
erano ammassate truppe in Eritrea e Somalia in misura eccessiva per una semplice
azione di frontiera. Nell'aprile 1935, durante la conferenza di Stresa, il ministro degli
esteri britannico Antony Eden propose la composizione del conflitto: il suo governo era
disposto a cedere all'Etiopia un corridoio in direzione del Mar Rosso passante attraverso
la Somalia britannica, se l'Etiopia cedeva all'Italia parte dell'Ogaden, abitato da
popolazioni di origine eritrea.
Sanzioni economiche contro l'Italia Mentre si svolgevano queste trattative era giunto
in Eritrea un esercito di cinque divisioni di camicie nere al comando del generale De
Bono e di cinque divisioni regolari al comando del generale Graziani. In luglio,
all'assemblea della Società delle Nazioni fu presentata la tesi conciliante che né l'Italia
né l'Etiopia avevano la responsabilità degli incidenti avvenuti. Ad agosto ci fu un incontro tra rappresentanti di Italia, Francia e Gran Bretagna con proposta per l'Italia di
esercitare sull'Etiopia una sorta di protettorato economico, ma Mussolini interruppe le
trattative perché voleva la guerra, iniziata il 3 ottobre 1935. Il giorno 4 fu occupata
Adua, il giorno 7 la Società delle Nazioni condannò l'aggressione italiana e votò l'applicazione delle sanzioni economiche nei confronti dello Stato aggressore, ossia nessun
membro doveva vendere armi e materiali strategici all'Italia. Tuttavia, petrolio, carbone,
ferro e acciaio furono esclusi dalle sanzioni e non fu chiuso il canale di Suez da cui
passava il flusso dei rifornimenti.
Debolezza delle potenze occidentali La Gran Bretagna inviò la squadra navale posta a
difesa delle isole britanniche (Home Fleet) nella rada di Alessandria in Egitto: il mondo
condannò l'aggressione italiana. Hitler approfittò delle incertezze della politica
britannica per inviare truppe in Renania che a norma del trattato di Versailles doveva
rimanere smilitarizzata (7 marzo 1936). Il nuovo fatto era più grave, per la pace, dell'invasione dell'Etiopia, perché avveniva al confine con la Francia. Mussolini poté godere
maggiore tranquillità: il 5 maggio le sue truppe entrarono in Addis Abeba e quattro
giorni dopo fu proclamato l'impero italiano in Africa. I morti in combattimento erano
stati circa 1500, ma la pacificazione del paese costò molte altre perdite. I caduti etiopi
furono molto più numerosi.
All'opinione pubblica italiana la conquista dell'Etiopia sembrò un grande successo.
Noi sappiamo che le spese furono superiori ai profitti; che era follia conquistare imperi
proprio nel momento in cui altri imperi, ben altrimenti fondati, declinavano; che la
corruzione degli apparati coloniali cominciava a trapelare rivelando il vuoto
dell'ideologia fascista. Il punto più alto delle fortune del fascismo segnò anche l'inizio
della sua discesa: poiché la potenza di Hitler era stata accresciuta dall'avventurismo
fascista, all'Italia non restava altra possibilità che mettersi al rimorchio della Germania
nazista.
9. 7 Cronologia essenziale
1919 A gennaio è fondato il Partito Popolare; a marzo sono fondati i Fasci di
combattimento; a settembre d'Annunzio dà inizio all'occupazione di Fiume, durata fino
al Natale 1920.
1921 Alle elezioni politiche si registra l’affermazione del partito fascista. Il Parlamento
non ha una maggioranza in grado di governare.
1922 A fine ottobre, dopo la marcia su Roma, Vittorio Emanuele III conferisce a
Mussolini l'incarico di formare il nuovo governo.
1923 A giugno è approvata la nuova legge elettorale maggioritaria.
1924 Gravi brogli elettorali la cui denuncia costa la vita al deputato socialista Giacomo
Matteotti. Crisi del movimento fascista.
1925 Mussolini si rafforza eliminando gli avversari politici, costretti all'esilio.
1929 A febbraio sono firmati i Patti lateranensi tra Stato italiano e Chiesa cattolica,
chiudendo il contenzioso aperto sessant'anni prima.
1932 La creazione dell'IRI permette a numerose aziende di superare la crisi economica
mediante l'intervento dello Stato.
1934 Mussolini fa schierare quattro divisioni al Brennero per impedire l'ingresso dei
nazisti in Austria.
1935 Alla conferenza di Stresa Mussolini cerca l'appoggio di Francia e Gran Bretagna
per la conquista dell'Etiopia. La guerra inizia il 3 ottobre.
1936 A maggio è completata l'occupazione dell'Etiopia, ma le sanzioni hanno spinto
l'Italia all'alleanza con la Germania.
9. 8 Il documento storico
Mussolini aveva una profonda propensione per le adunate oceaniche: mediante una
ben dosata regia, riusciva a comunicare con la folla. Nel documento che segue, del 9
maggio 1936, viene annunciato agli italiani il ritorno dell'impero sui colli fatali di
Roma. Che la realtà fosse ben diversa e che l'impero pochi anni dopo sarebbe andato in
rovina non era una facile previsione in quel momento, certamente il più alto della
fortuna del fascismo all'interno della nazione.
“Ufficiali! Sottufficiali! Gregari di tutte le Forze Armate dello Stato in Africa e in
Italia! Camicie Nere della Rivoluzione! Italiani e Italiane in patria e nel mondo!
Ascoltate!
Con le decisioni che tra pochi istanti conoscerete e che furono acclamate dal gran
Consiglio del Fascismo, un grande evento si compie: viene suggellato il destino
dell'Etiopia, oggi 9 maggio, quattordicesimo anno dell'era fascista.
Tutti i nodi furono tagliati dalla nostra spada lucente e la vittoria africana resta nella
storia della patria integra e pura come i legionari, caduti e superstiti, la sognavano e la
volevano. L'Italia ha finalmente il suo Impero. Impero fascista perché porta i segni
indistruttibili della volontà e della potenza del Littorio romano; perché questa è la meta
verso la quale durante quattordici anni furono sollecitate le energie prorompenti e disciplinate delle giovani, gagliarde generazioni italiane. Impero di pace, perché l'Italia
vuole la pace per sé e per tutti, e si decide alla guerra soltanto quando vi è forzata da
imperiose incoercibili necessità di vita. Impero di civiltà e di umanità per tutte le
popolazioni dell'Etiopia.
Questo è nella tradizione di Roma, che, dopo aver vinto, associava i popoli al suo
destino.
Ecco la legge, o italiani, che chiude un periodo della nostra storia e ne apre un altro,
come un immenso varco aperto su tutte le possibilità del futuro:
1. I territori e le genti che appartenevano all'Impero d'Etiopia sono posti sotto la
sovranità piena e intera del Regno d'Italia.
2. Il titolo di Imperatore viene assunto per sé e per i suoi successori dal Re d'Italia.
Ufficiali! Sottufficiali! Gregari di tutte le Forze Armate dello Stato, in Africa e in
Italia! Camicie Nere! Italiani e Italiane!
Il popolo italiano ha creato col suo sangue l'Impero. Lo feconderà col suo lavoro e lo
difenderà contro chiunque con le sue armi.
In questa certezza suprema levate in alto, legionari, le insegne, il ferro e i cuori a
salutare, dopo quindici secoli, la riapparizione dell'Impero sui colli fatali di Roma. Ne
sarete voi degni? (La folla prorompe in un formidabile "Sì").
Questo grido è come un giuramento sacro che vi impegna davanti a Dio ed innanzi
agli uomini, per la vita e per la morte!
Camicie Nere! Legionari! Saluto al re!”
Fonte: B. MUSSOLINI, Opera omnia, a cura di E. e D. Susmel, vol. XXVII, La Fenice,
Firenze 1959, pp. 268-269.
9. 9 In biblioteca
Per la storia dell'Italia fascista si consulti di L. SALVATORELLI- G. MIRA, Storia
d'Italia nel periodo fascista, Einaudi, Torino 1974. Molto più ricco di quanto compaia
nel titolo, si consulti di R. DE FELICE, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, 2
voll., Mondadori, Milano 1977. Per le vicende del Partito Popolare, si consulti di G. DE
ROSA, Il partito popolare italiano, Laterza, Bari 1969. Utilissimo come saggio
memorialistico di E. LUSSU, Marcia su Roma e dintorni, Einaudi, Torino 1976.
Notevole il libro di A. ROVERI, Le cause del fascismo (Italia e Germania), il Mulino,
Bologna 1985. Molto importante di A. TASCA, Nascita e avvento del fascismo, 2 voll.,
Laterza, Bari 1982. Si consulti anche di R. VIVARELLI, Il dopoguerra in Italia e
l'avvento del fascismo, Ricciardi, Napoli 1967; G. DE ROSA, La crisi dello Stato
liberale in Italia, Studium, Roma 1964.; G. SALVEMINI, Le origini del fascismo in
Italia, Feltrinelli, Milano 1961. Per il delitto Matteotti notevole di G. ROSSINI, Il
delitto Matteotti fra Viminale e Aventino, il Mulino, Bologna 1964. Per la conoscenza di
Mussolini ci sono i volumi di R. DE FELICE, Mussolini il rivoluzionario; Mussolini il
fascista (2 voll.); Mussolini il duce (2 voll.), Einaudi, Torino 1965 e segg. Per alcuni
aspetti insuperato di F. CHABOD, L'Italia contemporanea (1918-1948), Einaudi,
Torino 1961. Per la politica estera del fascismo si consulti di G. RUMI, Alle origini
della politica estera fascista, Laterza, Bari 1968. Si consulti anche di P. ALATRI, Nitti,
d'Annunzio e la questione adriatica, Feltrinelli, Milano 1976. Interessante di C.
CASUCCI (a cura di), Interpretazioni del fascismo, il Mulino, Bologna 1989. Si
consulti anche di G. GERMANI, Autoritarismo, fascismo e classi sociali, il Mulino,
Bologna 1975 e di P. CANNISTRARO, L'organizzazione del fascismo. Fascismo e
mass-media, Laterza, Bari 1975. G. TURI, Il fascismo e il consenso degli intellettuali, il
Mulino, Bologna 1981.
Cap. 10 Il nazismo al potere in Germania
La distrazione, il non rendersi conto di ciò che realmente avviene, può divenire una
colpa imperdonabile. Churchill, all'inizio della sua Storia della seconda guerra
mondiale parlò di imprevidenza, di bontà d'animo, di ingenuità dei popoli di lingua
inglese che permisero al malvagio, a Hitler e alla sua banda, di riarmarsi.
Il pacifismo a tutti i costi che dettò la politica estera di Francia e Gran Bretagna tra
il 1933 e il 1939; l'isolazionismo degli Stati Uniti che non seppero essere all'altezza
della responsabilità mondiale che la loro potenza economica esigeva; il desiderio di
rivalsa dei militari tedeschi che subito dopo la sconfitta si misero all'opera per
ricostruire l'antica potenza della loro corporazione amata più della giustizia;
l'avventurismo politico di Mussolini che riteneva di poter fare una politica di potenza
con la propaganda e col vuoto roboante dei suoi discorsi, divisero l'Europa e permisero
alla folle astuzia di Hitler di costruire la sua ragnatela di colossali menzogne.
Rimane un problema di difficile soluzione spiegare perché fu possibile il formarsi di
un groviglio di progetti così aberranti in seno al continente che appariva la culla della
civiltà. È un fatto che non venne preso sul serio quel lungo, delirante soliloquio che è
Mein Kampf, in cui Hitler aveva condensato i suoi progetti: la solidarietà tra nazioni
ugualmente minacciate non condusse a progettare un'azione comune per schiacciare
sul nascere un movimento chiaramente aberrante nelle premesse, nei fini che si
proponeva, nei mezzi che impiegava.
Sappiamo che la schizofrenia differisce dalla follia perché la seconda è incoerente,
mentre la prima ha un suo apparente rigore interno. Infatti, fino al 1939 Hitler guidò la
politica del suo paese in modo coerente: con poche perdite conseguì successi al di là
delle attese dei suoi generali. Rimane un fatto non facilmente spiegabile che persone
colte, in grado di ascoltare buona musica, con eccellente preparazione culturale si
siano fatte condurre da un ex caporale che non dialogava quasi mai, ma solo inveiva,
rivelando una personalità psicopatica.
10. 1 La repubblica di Weimar
In Germania pochi volevano davvero la repubblica nel 1918. A settembre
Ludendorff ebbe una crisi di sconforto che lo indusse a comunicare al governo di poter
resistere solo per 48 ore. Poi si riprese e si vide che l'esercito tedesco non era prossimo
al collasso. Il cancelliere von Hartling si era già dimesso.
Caduta del secondo Reich Gli subentrò Maximilian del Baden che persuase il Kaiser
ad abdicare rifugiandosi in Olanda (9 novembre 1918): il disegno del nuovo cancelliere
era trasparente, ossia presentarsi ai vincitori con una Germania purgata dalle aspirazioni
militariste e autoritarie, pronta ad accettare i Quattordici punti di Wilson.
La repubblica di Weimar Già il 25 novembre, infatti, fu convocata una conferenza dei
rappresentanti dei Länder per stabilire le modalità di un'Assemblea nazionale
costituente. Nel febbraio 1919 a Weimar, una cittadina della Turingia dalle splendide
tradizioni culturali, fu presentata la nuova costituzione. Nel frattempo c'era stato un
ammutinamento della flotta di stanza a Kiel; la Baviera si era proclamata autonoma e
qualcuno desiderava che divenisse indipendente; i comunisti avevano tentato di introdurre la dittatura del proletariato a Berlino; Ebert, capo dei socialisti (SPD) aveva
sostituito Maximilian del Baden al governo.
Fallimento del colpo di Stato comunista La rivolta dei comunisti guidati da Karl
Liebknecht e da Rosa Luxenburg fu schiacciata in una settimana dall'esercito che, se
non amava i socialisti e la repubblica, amava ancor meno i comunisti. L'enorme massa
dei reduci, senza lavoro e dominati dallo strano sentimento di esser stati colpiti a
tradimento da nemici interni, confluì in formazioni paramilitari (Freikorps), sempre
pronti a intervenire là dove si credeva ci fosse un nemico da stanare.
La costituzione di Weimar Il 31 luglio 1919 fu promulgata la nuova costituzione frutto
delle forze moderate. Il presidente era eletto dal popolo e durava in carica sette anni. Il
presidente sceglieva il cancelliere, ossia il capo del partito di maggioranza al
Parlamento (Reichstag), che formava il consiglio dei ministri. Il presidente poteva
sospendere la costituzione e sciogliere il Reichstag in caso di comprovate difficoltà di
governo. Il Senato (Reichsrat) era formato di delegati dei 18 Länder (regioni) che
formavano la Germania.
Instabilità politica I deputati del Reichstag erano eletti ogni 4 anni secondo un sistema
rigorosamente proporzionale. Il sistema, come abbiamo visto per l'Italia, favoriva la
moltiplicazione dei partiti: ce ne furono per la durata della repubblica di Weimar
almeno una dozzina: i governi potevano governare solo formando coalizioni la cui unità
era precaria. In caso di difficoltà politiche acute si doveva ricorrere a nuove elezioni: nel
corso di 14 anni ce ne furono nove. I partiti più forti erano il socialista (SPD), il
Zentrum (cattolici), il liberale di destra (DVP).
Gli oppositori della repubblica La repubblica di Weimar ebbe sempre, all'interno,
nemici irriducibili che si proponevano di distruggerla: a parte i nazisti che non fecero
mai mistero delle loro intenzioni, c'erano i monarchici, in particolare gli Junker dell'est,
e gli ufficiali dell'esercito.
Tentati colpi di Stato Infine occorre ricordare due tentativi di insurrezione,
direttamente o indirettamente collegati con l'esercito: il Putsch diretto da Kapp e von
Lüttwitz del marzo 1920 a Berlino fallì solo a causa di uno sciopero generale
proclamato dai sindacati. I promotori della fallita insurrezione ebbero pene leggere,
perché i giudici erano in maggioranza legati all'estrema destra. Il Putsch della birreria
avvenuto a Monaco tra l'8 e l'11 novembre 1923, guidato da Hitler, ancora sconosciuto
fuori dalla Baviera, e da Ludendorff, conosciuto da tutti, era prematuro e fallì solo
perché l'esercito non si fidava di Hitler. Il successivo processo fu trasformato da Hitler
in una tribuna che gli permise di finire sui giornali di tutto il mondo, rendendo noto il
programma del nuovo partito nazionalsocialista. Anche in questo caso i giudici
mostrarono la loro parzialità infliggendo pene ridicole. Hitler rimase in una prigione
piuttosto confortevole fino al Natale 1924, approfittando del tempo a sua disposizione
per scrivere Mein Kampf, un libro che qualche anno dopo fu venduto a milioni di copie.
Stabilizzazione della moneta Nel 1924 ci furono due elezioni generali, a maggio e a
dicembre, indette per far accettare il piano Dawes per la stabilizzazione della moneta,
l'unico modo per uscire dalla crisi economica.
Hindenburg presidente della repubblica Nel 1925 ci furono le elezioni per il
presidente della repubblica in seguito alla morte di Ebert. Il vincitore doveva ricevere la
maggioranza assoluta dei voti (50% più uno), ma nessuno dei candidati ebbe quella
maggioranza al primo turno. Al secondo turno il rifiuto dei comunisti di votare a favore
del candidato di centro condusse all'elezione del candidato delle destre, il maresciallo
Paul von Hindenburg. Con ciò la politica tedesca si spinse ancor più in direzione
autoritaria e conservatrice.
Rinasce il militarismo tedesco Nel settembre 1927 il maresciallo Hindenburg inaugurò
un monumento a Tannenberg nella Prussia orientale, e in quell'occasione celebrò la
fedeltà dell'esercito, respingendo la responsabilità tedesca circa lo scoppio della grande
guerra: tornava così ad affacciarsi lo spettro del militarismo tedesco. Le elezioni del
1929 furono vinte dai socialisti che fecero approvare il nuovo piano Joung, risoltosi in
una diminuzione dei debiti di guerra decisa dal governo USA per rafforzare la debole
democrazia tedesca.
Nuova crisi di governo Quando il cancelliere Hermann Müller si rese conto che il
presidente non l'avrebbe sostenuto affidandogli i pieni poteri per introdurre una
legislazione sociale che attirasse consensi al proprio governo di centro, si dimise. Fu
incaricato il capo del Zentrum Heinrich Brüning che formò il governo escludendo i
socialisti della SPD. Costui non aveva la maggioranza in Parlamento e perciò il bilancio
statale fu approvato ricorrendo a decreto presidenziale.
Successo elettorale di Hitler Alle successive elezioni del 1930, provocate dalla crisi
economica e dalla necessità di disporre di una maggioranza parlamentare, avvenne il
fatto nuovo che precipitò la Germania nell'abisso. Gli elettori si divisero tra un'estrema
destra guidata da Hitler a una strepitosa affermazione elettorale (107 deputati, il
secondo partito alle spalle del partito socialista che ebbe 143 deputati), e un'estrema
sinistra rappresentata dai comunisti con 77 deputati.
Rielezione di Hindenburg Nel 1932 ci furono le elezioni presidenziali. Hitler raccolse
11 milioni di voti, Hindenburg 18 milioni e Thalmann, candidato dei comunisti, 5
milioni. Nel successivo ballottaggio Hindenburg sconfisse Hitler con un margine di 6
milioni di voti.
Nuovo successo elettorale dei nazisti Il tentativo di Brüning di riportare ordine nelle
finanze sempre più disastrate dello Stato, che contava circa 6 milioni di disoccupati, si
concluse con le sue dimissioni. La Germania era tormentata dalle formazioni paramilitari di Hitler, le famigerate Sturm Abteilungen (SA), una specie di esercito privato
dell'aspirante dittatore. Le elezioni del luglio 1932 fecero passare il partito nazista al
primo posto con 230 deputati, ma nessuno degli altri partiti accettava Hitler alla carica
di cancelliere, e Hitler non accettava di partecipare ad alcun governo se non come
cancelliere.
Von Papen cancelliere Formò un governo di minoranza Franz von Papen, un intrigante
opportunista già in difficoltà a settembre. Perciò si resero necessarie nuove elezioni nel
novembre 1932. I nazisti perdettero un certo numero di seggi, scendendo a 196 deputati;
i comunisti ne guadagnarono alcuni arrivando a 100 deputati; i socialisti ne ebbero 121.
Von Papen si dimise il 17 novembre; Hitler rifiutò il cancellierato perché Hindenburg
non era disposto ad accettare un governo che facesse a meno del Parlamento e che
operasse mediante decreti legge.
Tentativo di governo del generale Schleicher Venne allora allo scoperto il candidato
dell'esercito Kurt von Schleicher, un generale che si proponeva di riuscire là dove von
Papen e Hitler avevano fallito. La situazione politica ed economica era paurosa. Ormai
non c'era alcun freno al dilagare della violenza delle SA. L'unica via d'uscita sembrava
quella di affidare il compito di formare il governo a Hitler, cercando di imbrigliarlo con
le strutture di una costituzione che nessuno amava e che tutti desideravano mutare.
10. 2 La carriera di Hitler
Hindenburg disprezzava "il piccolo caporale austriaco", ma il vecchio
feldmaresciallo aveva più di 85 anni e non sempre era lucido, mentre Hitler ne aveva
poco più della metà.
Adolf Hitler Era nato in una squallida famiglia a Brunau sull'Inn nel 1889, proprio al
confine con la Baviera. Il padre era un impiegato di dogana che, andato in pensione, si
trasferì a Linz per mandare a scuola il figlio, nella speranza di farne un impiegato
statale. A scuola, Hitler andava male e, naturalmente, la colpa era dei professori. A
proposito dell'avviamento al lavoro del futuro dittatore in famiglia ci furono liti fino al
1903 quando il padre morì. Nel 1905 Hitler riuscì a terminare gli studi inferiori. In
seguito, per due o tre anni, non fece nulla, ossia si fece mantenere dalla madre: l'idea di
provvedere al proprio mantenimento col lavoro non gli piaceva molto. Preferiva vagabondare e leggere libri, a preferenza quelli di storia tedesca e di mitologia germanica.
Nel 1907 e poi ancora l'anno seguente, tentò di iscriversi all'Accademia di belle arti per
diventare pittore o architetto, ma senza successo. Nel 1908 morì anche la madre.
Hitler a Vienna Il giovane Hitler si trasferì a Vienna dove visse di espedienti, cercando
alloggio al dormitorio pubblico e facendo qualche lavoro saltuario, come dipingere
paesaggi e vedute della città che copiava dalle cartoline. Continuava a leggere molto
apparendo estremamente timido e privo di amici. A Vienna maturò un odio viscerale per
la monarchia absburgica e per gli ebrei, e una passione altrettanto viscerale per la
musica di Wagner e per la Germania militarista e ariana. Vienna era città socialista,
percorsa da fremiti di ribellione, da ansie di cambiamento. Imparò ad apprezzare le
istituzioni come l'esercito e l'impero britannico, si rese conto della forza travolgente che
posseggono certi miti se si ha l'eloquenza necessaria per imporli alle folle. Perciò
imparò anche a disprezzare la folla che si fa condurre ovunque la conduca un abile
demagogo. Soprattutto imparò a disprezzare gli ebrei che subivano la loro sorte di
discriminati senza ribellarsi. Tutte queste sensazioni furono rafforzate dalla lettura della
peggior stampa antisemita che circolava nelle biblioteche di quel tempo.
Hitler a Monaco Nel 1913 Hitler lasciò Vienna, povero e oscuro come vi era giunto,
per trasferirsi nella sua patria ideale, la Germania. Sembra certo che Hitler se ne sia
andato per non fare il servizio militare. Visse qualche mese a Monaco: quando nel luglio 1914 scoppiò la guerra, si arruolò volontario nell'esercito tedesco. Fu ferito due
volte guadagnandosi la croce di ferro al valore. Fece anche un po' di carriera perché
raggiunse il grado di caporale.
Hitler informatore dell'esercito Il giorno dell'armistizio, l'11 novembre 1918, fu il
peggiore della sua vita: pianse, imprecò, giurò di vendicarne l'onta. Tutto il suo mondo
fantastico, libresco, colmo di odio e di disprezzo sembrò venir meno. Tornato a Monaco
poté rimanere nell'esercito perché era stato un soldato modello e i superiori non lo
mandarono a intrupparsi tra i relitti umani senza mestiere e affamati che la guerra aveva
prodotto in quantità. A Monaco c'era stato un tentativo di formare una repubblica di tipo
sovietico, presto stroncato. Hitler fornì informazioni sulle persone compromesse nel
tentativo, ossia fece la spia. Un giorno ascoltò un tale che, nel corso di una conferenza,
aveva parlato a favore degli ebrei: Hitler si alzò e parlò a lungo contro gli ebrei,
ottenendo il suo primo trionfo da oratore.
Le origini del nazionalsocialismo Nel settembre 1919 il dipartimento politico
dell'esercito gli ordinò di occuparsi di un piccolo gruppo che si autodefiniva partito dei
lavoratori tedeschi e che, stranamente, non era di sinistra. Partecipò a una riunione del
piccolo partito e poi prese la parola, scagliandosi contro un malcapitato che aveva
proposto l'unificazione della Baviera con l'Austria, abbandonando il Reich tedesco.
Parlò in modo tanto irruente che il fondatore di quel partito di sette iscritti, Anton
Drexler, si congratulò con lui invitandolo a iscriversi. Queste sono le origini del
nazionalsocialismo. Le riunioni erano tenute nel retrobottega di una trattoria di Monaco
e fu qui che capitò Ernst Röhm, un capitano dell'esercito violento e depravato che poi
sarà a capo delle SA o camicie brune e che Hitler farà assassinare il 30 giugno 1934.
Conobbe anche un giornalista, Dietrich Eckart, un alcolizzato che tuttavia intravide le
qualità carismatiche di Hitler.
Hitler agitatore politico Ben presto cominciarono riunioni più numerose e Hitler
dispiegò in pieno il suo talento di tribuno prolisso, violento, immaginoso, che sapeva
rivolgersi alle classi inferiori facendo leva sui loro risentimenti. Nell'estate del 1920
Hitler era ormai un maestro della propaganda. C'era un programma che prevedeva la
rinascita della grande Germania, la denuncia del trattato di Versailles, la distruzione
della democrazia, l'eliminazione degli ebrei, la guerra al bolscevismo. C'era un'ideologia
fondata sulla violenza e sull'odio verso gli avversari. C'erano infine i simboli: la svastica
e la bandiera nero-argento che cominciò a sfilare per le vie di Monaco.
Lo staff di Hitler Nel 1921 Hitler era il capo indiscusso del partito nazista, non solo
come oratore ma anche come organizzatore e mente politica del movimento. A questo
punto cominciarono ad affluire anche i denari da parte di qualche industriale scontento
dei sindacati e della democrazia, e un giornale il "Völkischer Beobachter" che
diffondeva le idee naziste. Arrivarono anche nuove personalità come Rudolf Hess e
Hermann Göring, quest'ultimo un asso dell'aviazione tedesca, in possesso di numerose
conoscenze nell'ambiente aristocratico, precluso a Hitler a causa delle sue origini più
che modeste. Poi arrivò Alfred Rosenberg, un mezzo russo che si atteggiava a scrittore,
subito accolto da Hitler a causa delle sue accese teorie razziste sulla pretesa superiorità
degli ariani su ogni altra razza; e Julius Streicher, un depravato che pubblicava storie
assurde su pretesi omicidi rituali degli ebrei. Pare strano che la nazione più colta
d'Europa sia finita nelle mani di mezze culture come quelle appena delineate.
Il disordine tedesco Hitler visse in un momento caotico, anzi solo a questa circostanza
dovette la possibilità di emergere fino al trionfo del 1933. La Baviera era percorsa da
fremiti di nazionalismo e molti volevano lo sganciamento da Berlino. L'occupazione
francese della Ruhr accrebbe nel 1923 l'irritazione e l'irrequietezza: l'inflazione e la
disoccupazione facevano il resto.
Il Putsch della birreria L'8 novembre 1923 Hitler decise che l'ora di agire era giunta.
Verso le nove di sera nella Bürgerbräukeller, la grande birreria di Monaco, i capi del
governo di Baviera erano riuniti. Hitler temeva che volessero proclamare la
ricostituzione del regno di Baviera sotto qualche principe della casa di Wittelsbach.
Fece piazzare una mitragliatrice all'ingresso e avanzò nella sala con una pistola in
pugno. Poi proclamò che il ministero bavarese era destituito e che era stato formato un
nuovo governo nazionale pronto a marciare su Berlino. Affermò che le SA avevano già
occupato i punti strategici di Monaco e che l'esercito era con lui. Infatti in quel
momento comparve Ludendorff, di gran lunga l'eroe di guerra più ammirato. L'arrivo
del Ludendorff non poteva essere più opportuno. La riunione si sciolse con la
sensazione che il Putsch avesse avuto successo. Durante la notte le SA dovevano
occupare le caserme, ma non ci riuscirono perché i soldati rimasero fedeli al governo di
Berlino. Perciò si profilava la guerra civile che anche Hitler non desiderava. Ludendorff
propose una sorta di marcia con 3000 aderenti alle SA verso il centro di Monaco, ma la
polizia non si fece conquistare neppure dalla presenza di Ludendorff. A un certo punto
cominciarono a fischiare le pallottole e tutti si gettarono per terra, anche Hitler, mentre
molti fuggirono. Ludendorff fu arrestato, Göring e Hess si rifugiarono in Austria, gli
altri capi nazisti furono arrestati.
Hitler compone Mein Kampf Il processo, invece di seppellire Hitler e il suo
movimento, gli dette risonanza nazionale e perfino mondiale: tutti, anche a Berlino,
conoscevano ora il suo nome e il suo programma. In carcere Hitler scrisse Mein Kampf:
il libro non fu preso in considerazione dai governi delle democrazie occidentali.
Sembrava un centone di fantasie geopolitiche assolutamente privo di senso. In primo
luogo, scriveva Hitler, bisognava saldare i conti con la Francia perché quella nazione
era stata il principale ostacolo all'unificazione dei tedeschi. Dopo la sconfitta della
Francia, la Germania doveva espandersi a Oriente, a spese della Russia. Infatti, la
Germania aveva bisogno di uno spazio vitale che esisteva solo in quella direzione. Il
bolscevismo al potere in Russia non era altro che una manifestazione dell'ebraismo
internazionale e sarebbe caduto insieme con la distruzione degli ebrei. Naturalmente
andavano recuperate le minoranze tedesche presenti a Oriente della Germania: in primo
luogo l'Austria, poi i Sudeti della Cecoslovacchia e infine i tedeschi che abitavano nella
Polonia occidentale e a Danzica.
La dittatura Per la politica interna era prevista la fine del regime democratico e
l'instaurazione del principio del capo (Führer), ossia la dittatura. All'economia non era
dedicata molta attenzione perché Hitler non si intendeva di problemi economici. La sua
penna volava, invece, quando trattava problemi connessi con la razza: gli ariani non
dovevano mescolare il loro sangue con quello delle razze inferiori, che dunque
andavano segregate, schiavizzate e distrutte. Il concetto di razza doveva divenire la
preoccupazione centrale della politica per poter edificare il prossimo Reich tedesco che
sarebbe durato mille anni.
Le teorie razziste Nei primi mesi dopo la pubblicazione il libro non fu molto venduto.
Dopo la presa del potere divenne una specie di libro obbligatorio: era regalato ai giovani
sposi, come un tempo si faceva con la Bibbia. Hitler non aveva inventato da solo tutte
quelle follie. Riteneva di esser stato preceduto da Nietzsche che con i suoi ambigui
aforismi aveva parlato della superiorità della "bestia bionda"; della necessità del
rovesciamento di tutti i valori; della rivolta contro la morale degli schiavi imposta dal
cristianesimo ecc., cogliendo solo un aspetto del tutto marginale del pensiero tragico di
quel pensatore. Per quanto riguarda la questione della razza, esistevano due precedenti:
Joseph Arthur de Gobineau e Huston Stewart Chamberlain. Le teorie di quei due
scrittori sarebbero rimaste confinate tra le rarità erudite se Hitler non avesse tentato di
metterle in pratica con maniacale ostinazione. De Gobineau sosteneva la superiorità
degli ariani e la conservazione del più puro arianesimo nei tedeschi, che quindi
sarebbero per natura i dominatori del mondo. Chamberlain era figlio e nipote di
ammiragli inglesi: ammirava a tal punto i tedeschi da chiedere la cittadinanza di quel
paese sposando la figlia di Wagner. In un ponderoso libro intitolato Basi del XX secolo
costui si sforzò di dimostrare che solo i tedeschi avevano le carte in regola per divenire i
dominatori del mondo.
10. 3 Hitler cancelliere
Alla fine del gennaio 1933 anche il tentativo di governo compiuto da Kurt von
Schleicher ebbe termine e a Hindenburg non rimaneva altra scelta che affidare il
governo a Hitler.
Hitler cancelliere Gli fu messo accanto il generale von Blomberg come capo
dell'esercito e ministro della difesa. Hitler non aveva ancora la maggioranza assoluta di
seggi al Reichstag, ma non aveva alcun desiderio di fare un governo di coalizione col
Zentrum. Ancora una volta fece sciogliere il Parlamento e indire nuove elezioni
politiche, "le ultime per i prossimi cento anni" come disse ai suoi seguaci. Scatenando le
SA e contrastando gli altri partiti con tutti i mezzi offerti dallo Stato, riuscì ad avere il
45% dei voti e 288 deputati; i comunisti ne ebbero 81; i socialisti 120 e il Zentrum 74:
furono chiaramente elezioni scandalose. Göring, divenuto ministro degli interni di
Prussia, arruolò molti nazisti nella polizia, con l'ordine di impiegare le armi per
espletare i loro compiti.
Incendio del Reichstag Nel frattempo era avvenuto un fatto simbolico: il 27 febbraio il
Parlamento di Berlino era stato distrutto da un incendio. Fu arrestato un comunista
olandese, uno squilibrato, prontamente condannato a morte come autore materiale
dell'incendio. In realtà erano stati i nazisti di Göring a compiere il misfatto, almeno per
la parte più rilevante. Hitler colse l'occasione per far dichiarare fuori legge il partito
comunista.
Pieni poteri a Hitler La prima legge fatta votare da Hitler fu il conferimento dei pieni
poteri a se stesso per la durata di quattro anni, con la possibilità di sospendere il
Parlamento e di far trattati con le potenze straniere. Poi costrinse il partito socialista a
sciogliersi; i sindacati furono aboliti e il loro patrimonio confiscato dallo Stato
all'indomani di una grande celebrazione del 1° maggio; a luglio il partito di centro fu dichiarato illegale. Anche il partito nazionalista si sciolse. Il 14 luglio il partito nazista era
rimasto l'unico legale.
Scioglimento delle SA Nel partito nazista c'era una componente di sinistra confluita
soprattutto nelle SA di Röhm. Costui pretendeva di passare alla realizzazione della
rivoluzione sociale ed economica dopo aver vinto quella politica. Hitler aveva altri
progetti e perciò attese il momento adatto per liberarsi dello scomodo camerata. Il 30
giugno 1934, dopo aver mandato in vacanza le sue vittime, in quella che fu chiamata la
"notte dei lunghi coltelli", Hitler in persona guidò la soppressione di tutti i suoi possibili
antagonisti. Röhm e Strasser furono fucilati; von Schleicher e la moglie fecero la stessa
fine; per ammissione di Hitler le vittime della strage furono 77, ma in realtà furono alcune centinaia.
Morte di Hindenburg Nel frattempo Hindenburg si andava lentamente spegnendo. Il
1° agosto 1934, dopo aver stretto coi militari un patto che dava loro carta bianca per il
riarmo in cambio della facoltà di cumulare le cariche di capo dello Stato e di cancelliere,
Hitler fece promulgare una legge che gli assegnava il nuovo titolo di Führer e
cancelliere del Reich. Il giorno dopo Hindenburg morì all'età di 87 anni e Hitler gli
succedette con poteri assoluti.
Hitler e il cristianesimo In precedenza, nel 1933, il governo aveva firmato un
concordato con la Chiesa cattolica. Hitler fece qualche concessione, ma solo in vista di
distruggere il partito di centro che si era opposto alla nazificazione dei cattolici. Hitler
non aveva alcuna formazione religiosa e il suo violento antisemitismo si estendeva a
Gesù, perché ebreo, e alla morale di fratellanza universale che aveva predicato. Anche
nei confronti dei protestanti non fu tenero: il pastore Niemöller si era opposto
all'accentramento delle confessioni protestanti sotto un "vescovo del Reich" filonazista,
dando vita a sua volta a una "Chiesa confessionale" che non accettava la
discriminazione razziale. Hitler fece arrestare Niemöller e, dopo un processo da cui
risultò la sua innocenza, lo fece internare in campo di concentramento fino alla fine
della guerra.
Pio XI condanna il nazismo Anche la Chiesa cattolica si rese conto che la vita
ecclesiastica risultava ogni giorno più oppressa. Nel marzo 1937 il papa Pio XI fece
giungere ai vescovi tedeschi una lettera enciclica intitolata "Mit brennender Sorge"
(Con vivissima preoccupazione), in cui era esposta la chiara condanna dei principi e dei
metodi nazisti. La lettera fu letta in numerose chiese, ma solo nel corso della prima
Messa del 19 marzo, perché subito la Gestapo, la polizia segreta, intervenne
sequestrandola. Ormai all'interno della Germania non c'era più alcuna voce che potesse
opporsi alle prepotenze naziste e Hitler ritenne di potersi dedicare a quello che
considerava il compito della sua vita: fare una guerra totale per imporre all'Europa la
sua volontà.
10. 4 Esercito e industria
Fin da quando prese il potere nel gennaio 1933, Hitler aveva in programma lo
sviluppo industriale della Germania.
Hitler e gli industriali Nel corso di una importante riunione dei maggiori industriali
tedeschi col nuovo cancelliere costoro ricevettero la ferma assicurazione che lo Stato
avrebbe acquistato tutta la loro produzione e che il ciclo produttivo non doveva temere
alcun intralcio da parte dei sindacati. I grandi gruppi monopolistici come Krupp e
Farben; i grandi cartelli del carbone e dell'acciaio; le imprese di costruzioni stradali e i
cantieri navali si misero febbrilmente al lavoro. Non ci furono più scioperi; gli operai
cominciarono a lavorare nove ore al giorno invece di otto; i salari non furono aumentati
nonostante l'aumento del costo della vita; la disoccupazione, anche per l'inizio di fatto
del servizio militare obbligatorio, tendeva a diminuire.
Lavori pubblici Nel giro di quattro anni la Germania ebbe una rete di autostrade
costruite in cemento, giudicata la migliore esistente al mondo. Gli armamenti, dapprima
tenuti segreti, erano in cima alle preoccupazioni: il materiale in dotazione all'esercito
divenne modernissimo, anche in seguito alla sperimentazione pratica resa possibile
dall'intervento tedesco nella guerra civile spagnola. Per non dipendere da materie prime
fornite dal commercio internazionale, l'industria chimica tedesca arrivò a produrre
benzina sintetica partendo dal carbone e da altri elementi presenti sul territorio
nazionale e così avvenne per la gomma sintetica.
Hitler e i militari I militari diffidavano ancora di Hitler che per loro rimaneva un rozzo
caporale austriaco, tuttavia le loro richieste erano accolte e spesso Hitler andava al di là
delle loro richieste. L'ammiraglio Raeder ricevette i fondi confiscati ai sindacati per
costruire nuove navi. Il trattato di Versailles vietava di costruire navi superiori a 10.000
tonnellate di dislocamento: l'ostacolo fu aggirato costruendo navi entro quei limiti ma
con prestazioni dei modelli superiori (corazzate tascabili) e, soprattutto, sottomarini. A
partire dal 1935 non si tennero in alcun conto le clausole del trattato di pace sfidando le
potenze occidentali.
Miopia dei generali Il 5 novembre 1937 Hitler tenne una riunione segreta coi massimi
dirigenti industriali e militari annunciando le sue direttive per la guerra giudicata ormai
prossima. La nazione doveva prepararsi per uno sforzo supremo. "La storia avrà solo
pochi esempi di nazioni che, in tempo di pace, abbiano organizzato deliberatamente e
sistematicamente tutta la loro forza economica in funzione delle necessità di guerra,
come fu costretta a fare la Germania nel periodo tra le due guerre mondiali", disse il
generale Thomas, capo di stato maggiore per l'economia militare. Esercito e industriali,
prestandosi al gioco di Hitler, dimostrarono di aver la vista corta e di non aver
compreso la vera causa della sconfitta tedesca nel corso della prima guerra mondiale,
ossia la potenza industriale americana che si sarebbe messa al servizio del mondo libero
in caso di guerra.
Una economia di guerra in tempo di pace Il conflitto, ormai innescato, avrebbe
distrutto l'esercito tedesco e la sua tradizione orgogliosa. Hitler mise in scacco chi,
anche per mestiere, doveva avere maggiore pratica con la pianificazione, ossia con la
valutazione realistica del rischio e quindi dei profitti e delle perdite. Peraltro gli anni tra
il 1934 e il 1938, gli unici di relativa pace nel corso del Terzo Reich, videro la ripresa
dell'economia tedesca perché i programmi di riarmo mobilitarono l'industria nazionale.
La tassa esorbitante di mille marchi per chi si recava all'estero scoraggiò i viaggi che
sono la grande passione dei tedeschi: i denari così risparmiati furono impiegati
nell'acquisto di materie prime. Il ministro dell'economia Schacht superò in modo
brillante i problemi finanziari mediante un'oculata politica economica che orientava la
spesa pubblica non in direzione dei consumi bensì degli investimenti produttivi.
Ordine in luogo di democrazia Tutto l'immenso lavoro compiuto dai tedeschi nei
pochi anni di vita del Terzo Reich non si può spiegare solo con l'esame di una
personalità per tanti versi patologica come quella di Hitler. Nel 1988 il presidente del
Parlamento federale tedesco fu costretto alle dimissioni per aver affermato che Hitler
dette alcuni anni di tranquillità alla Germania. Quell'affermazione era storicamente
esatta, ma politicamente inopportuna: è vero infatti che Hitler poté contare per qualche
anno sul consenso dei tedeschi esasperati dalla cecità politica dei negoziatori della pace
di Versailles; dall'assurdità del progetto di far pagare ai tedeschi il costo della grande
guerra; dall'incapacità della classe politica che aveva dato vita alla repubblica di
Weimar di assicurare ai tedeschi una efficiente democrazia. L'esempio offerto dal
regime di Mussolini divenne contagioso: in Italia i partiti politici erano stati disciolti; i
sindacati erano stati addomesticati e resi funzionali al partito unico mirante a
identificarsi con lo Stato; i giovani erano stati inquadrati nelle associazioni di massa del
partito; la produzione agraria e industriale sembrava aumentare; i danni della grande
crisi del 1929 sembravano assorbiti. Il conto da pagare per tutto ciò era la distruzione
della democrazia, ma i tedeschi avevano fatto una pessima esperienza della democrazia
e a molti di loro sembrò che il baratto tra ordine, disciplina, pieno impiego da una parte,
e democrazia dall'altra fosse un affare conveniente. Noi, col senno di poi, sappiamo
invece che fu un pessimo affare e che tra le colpe del fascismo c'è anche quella di aver
offerto un esempio devastante, condotto fino alle estreme conseguenze dal popolo
tedesco.
10. 5 L'antisemitismo
Come si è detto, non è stato Hitler a inventare la teoria della razza: una parte della
cultura del secolo passato aveva spinto in quella direzione. Hitler aggiunse di suo
l'antisemitismo, immaginando che gli ebrei promovessero una campagna di inquinamento delle razze superiori e cercassero di impadronirsi delle risorse economiche
del mondo, minando la volontà di resistenza dei popoli contro l'internazionalismo
bolscevico.
Persecuzione degli ebrei Appena nominato cancelliere Hitler scatenò una insistente
persecuzione antiebraica. Tutti gli ufficiali dell'esercito di origine ebrea furono rimossi.
Fu proclamato il boicottaggio dei negozi appartenenti a ebrei fin dall'aprile 1933. Gli
impiegati statali ebrei furono licenziati senza che la magistratura avanzasse riserve.
Nelle università fu introdotto l'insegnamento di teorie razziali che a qualunque persona
in grado di pensare appaiono aberranti, ma nessun uomo di cultura si ribellò. Furono
cacciati dalla Germania un fisico come Einstein o uno scrittore come Thomas Mann
perché la loro presenza era sentita come troppo palese smentita della pretesa inferiorità
della razza ebraica. Nel 1935 a Norimberga furono votate leggi che permettevano di
espellere da ogni impiego anche chi avesse un solo nonno ebreo. Furono vietati i
matrimoni misti tra ariani ed ebrei. Nel 1938 tutti gli ebrei dovevano far registrare le
loro proprietà, sotto pena di confisca immediata del patrimonio dei trasgressori. In
rappresaglia per l'uccisione di un ufficiale addetto all'ambasciata tedesca di Parigi,
ucciso da un ragazzo ebreo di 16 anni, ci fu in tutta la Germania "la notte dei cristalli": i
negozi appartenenti a ebrei furono presi d'assalto e saccheggiati; le loro scuole, case,
sinagoghe distrutte: molti furono uccisi. Inoltre, gli ebrei non potevano esercitare il
commercio, andare a teatro, guidare l'automobile o anche frequentare le scuole
pubbliche. La comunità ebraica dovette pagare una somma favolosa semplicemente per
aver il diritto di rimanere in vita; fu introdotta una tassa speciale su ogni patrimonio
superiore al livello di sussistenza. Quei pochi che ne avevano la possibilità
abbandonarono la Germania. Durante la guerra, nonostante la preoccupazione di tanti
fronti di combattimento, Hitler si riservò il tempo e i mezzi per realizzare la "soluzione
finale" del problema ebraico.
I Lager di sterminio La storia dei campi di concentramento è nota, ma occorre non
dimenticarla. La perdita della memoria storica è il primo obiettivo dei dittatori,
qualunque sia il loro orientamento politico. Purtroppo le grandi menzogne passano più
facilmente di quelle piccole e occorre molta vigilanza critica su se stessi per evitare
qualunque pregiudizio etnico e sociale.
10. 6 La vita durante il Terzo Reich
Sotto Hitler la Germania fu trasformata in un operoso formicaio. Il controllo sui
singoli divenne efficiente e spietato. Ci si doveva salutare alzando il braccio e gridando
Heil, Hitler. A tutto provvedeva lo Stato, perfino ai viaggi e alle vacanze. Fu creata una
colossale organizzazione, Kraft durch Freude per far divertire i tedeschi e al tempo
stesso indottrinarli. Tutto ciò che si pubblicava doveva passare attraverso la censura.
Anche pittori e scultori dovevano attenersi ai canoni estetici stabiliti dal regime. Il
cinema venne tanto radicalmente imbrigliato che perfino i capi nazisti, quando erano in
vena di divertirsi, si facevano proiettare i film americani di Hollywood.
Rosenberg ministro della cultura L'educazione pubblica fu il campo preferito per
esperimenti su larga scala. Rosenberg fu nominato ministro per la scienza, l'arte e
l'istruzione. Hitler era uno studente fallito e perciò si comprende in parte il suo odio e la
sua insofferenza per gli intellettuali. In linea con i principi nazisti, furono riscritti i libri
di testo, e Mein Kampf divenne l'infallibile testo che dava l'orientamento alla pedagogia.
Gli insegnanti furono "riciclati" imponendo loro la frequenza a corsi intensivi sui
principi razziali. I risultati di questi interventi furono spesso deleteri: il numero degli
studenti universitari si dimezzò e ciò che imparavano era ridicolo se non si suppliva con
lo studio personale.
La gioventù hitleriana Nel 1936 furono messe fuori legge le associazioni giovanili e il
loro patrimonio confiscato per assegnarlo a un'immensa organizzazione, la
Hitlerjugend. Tutti i giovani dai 6 ai 18 anni furono inquadrati dal regime. I genitori che
si opponevano erano passibili di condanna. Dai 6 ai 10 anni i bambini erano Pimpf:
ciascuno aveva il suo libretto che registrava i progressi in atletica, campeggio e storia
nazista. A 10 anni c'era un esame per passare al Jugenvolk: vi si rimaneva fino ai 14
anni, dopo aver prestato il giuramento di servire Hitler. A 14 anni il ragazzo passava
alla Hitlerjugend e vi rimaneva fino ai 18 anni, poi c'era il lavoro o l'esercito. Anche le
ragazze erano educate più o meno allo stesso modo e a 18 anni dovevano fare un anno
di lavoro in una azienda agricola (Landjahr).
Le scuole militari I ragazzi più promettenti erano inviati alle scuole "Adolf Hitler", agli
"Istituti politici nazionali" e ai "Castelli dell'Ordine" dove si viveva alla spartana,
ripristinando gli antichi ordinamenti educativi prussiani e così coltivare lo spirito
militare. Si studiavano scienze razziali, si faceva molto sport e si prendeva coscienza
della presunta necessità di espandersi a Oriente sui territori slavi per conquistare lo spazio vitale necessario alla Germania. Di fatto era stata esautorata la famiglia come
responsabile dell'educazione. Lo Stato era divenuto tutto e il cittadino apparteneva allo
Stato, cioè a Hitler che sapeva tutto, che vinceva sempre, che decideva per tutti.
La formazione delle SS La vita nel Terzo Reich era dominata da un'immensa paura.
Dopo la liquidazione delle SA era cresciuta l'importanza delle Schutz Staffeln - SS - che
raccoglievano i più fanatici nazisti. Costoro avevano ricevuto un armamento comprendente anche carri armati, artiglieria e aviazione. Onnipresente era la temibile Geheimnis
Staat Polizei (Gestapo) in grado di controllare ogni movimento dei cittadini per
rintracciare i possibili oppositori del regime.
10. 7 Cronologia essenziale
1919 Nel settembre è fondato il partito nazionalsocialista al quale aderisce in seguito
anche Hitler.
1920 A marzo un tentativo di restaurazione monarchica, complici anche i militari, è
sventato dai sindacati.
1923 A Monaco fallisce nel mese di novembre il Putsch della birreria: Hitler è
imprigionato.
1925 Il feldmaresciallo Hindenburg è eletto presidente della repubblica dai partiti di
destra.
1929 Successo socialdemocratico alle elezioni. È approvato il piano Joung per regolare
la questione delle riparazioni di guerra.
1932 Hindenburg è rieletto alla presidenza della repubblica. Nello stesso anno le elezioni politiche danno la maggioranza ai nazisti.
1933 Hitler riceve alla fine di gennaio l'incarico di formare il nuovo governo. Nei mesi
successivi scioglie tutti i partiti e i sindacati.
1934 Il 30 giugno Hitler distrugge l'opposizione interna al suo partito mandando a morte
Röhm. Dopo la morte di Hindenburg, avvenuta ad agosto, Hitler assume la carica di
capo dello Stato.
1937 Pio XI condanna il nazismo con l'enciclica Mit brennender Sorge.
1937 Il 5 novembre Hitler comunica segretamente ai militari le sue decisioni circa il
futuro conflitto.
1938 Dopo la "notte dei cristalli" sono inasprite le leggi antisemite preludenti alla
soluzione finale, ossia la distruzione fisica degli ebrei.
10. 8 Il documento storico
Il documento che segue riporta alcune pagine da Mein Kampf di Hitler: è un brano di
prosa tipico di un autodidatta che, quando ha conquistato un nucleo di idee, non
desidera metterlo in discussione, bensì imporlo mediante una retorica un po' pomposa
che moltiplica gli aggettivi. L'accenno finale all'esaltazione dei posteri dovrebbe mettere
in guardia gli aspiranti dittatori a non tentare profezie.
“Il primo dovere d'un movimento basato su una concezione razzista del mondo è
quello di fare in modo che la nozione dell'essenza e dello scopo dell'esistenza dello
Stato assuma una forma chiara e unitaria.
Bisogna anzitutto riconoscere questo, che lo Stato non rappresenta un fine ma un
mezzo. Esso è la premessa della formazione di una superiore civiltà, ma non è la causa
di questa. La causa è riposta solo nella presenza d'una razza idonea alla civiltà.
Quand'anche si trovassero sulla Terra centinaia di Stati-modello, nel caso che si
spegnesse l'Ario portatore di civiltà non sussisterebbe nessuna civiltà rispondente
all'altezza spirituale degli odierni popoli superiori. Si può andare ancor oltre e dire che il
fatto della formazione di Stati non escluderebbe punto la possibilità dell'annientamento
del genere umano se andassero perdute le facoltà intellettuali superiori e l'elasticità, in
conseguenza della mancanza di una razza che le porti in sé.
Se, per esempio, oggi la superficie della Terra fosse scossa da un fatto sismico, e
dalle onde dell'oceano si sollevasse un nuovo Himalaia, una sola crudele catastrofe
annienterebbe l'umana civiltà. Nessuno Stato potrebbe più sussistere; sarebbero infranti
tutti i vincoli dell'ordine, frantumati i documenti d'un'evoluzione millenaria, la Terra
sarebbe un unico grande cimitero inondato dall'acqua e dal fango. Ma se da questo
orribile caos si salvassero anche solo pochi individui d'una determinata razza capace di
civiltà, la Terra, sia pure dopo migliaia di anni, quando si fosse calmata conserverebbe
testimonianza d'una umana forza creatrice. Solo la distruzione dell'ultima razza capace
di civiltà e degli individui che la compongono apporterebbe alla Terra la desolazione
definitiva. Viceversa vediamo, dagli esempi stessi che il presente ci offre, che
formazioni statali ai loro inizi per la mancanza di genialità nei portatori della loro razza
non seppero conservare questi ultimi. Come grandi varietà di animali preistorici
dovettero cedere ad altre e sparirono senza lasciar traccia, così anche l'uomo deve
cedere, se gli manca una determinata forza spirituale, la quale sola gli fa trovare le armi
necessarie alla propria conservazione.
Non lo Stato in sé crea una determinata altezza di civiltà; esso può solo conservare la
razza che è condizione di quell'altezza. In caso diverso lo Stato può continuare a
sussistere, come tale, per secoli, mentre, perché non gli fu vietata una mescolanza di
razze, la capacità di cultura e la vita d'un popolo condizionata da questa hanno già da
lungo tempo sofferti profondi mutamenti. Lo Stato odierno, per esempio, può, come
meccanismo formale, seguitare per secoli ad esistere, ma l'intossicazione razziale del
corpo della nostra nazione opera una decadenza culturale che già oggi si rivela
spaventosa.
Così, la premessa dell'esistenza d'un'umanità superiore non è lo Stato ma la nazione,
sola capace di addurla.
Questa capacità è sempre presente, ma deve essere destata all'azione pratica da
determinate condizioni esteriori. Le nazioni, o meglio, le razze dotate di qualità creatrici
portano in sé, latenti, queste condizioni, anche se, in un dato momento, sfavorevoli
circostanze esterne non permettono alle loro buone disposizioni di realizzarsi. È una
incredibile stoltezza il rappresentare come barbari i Germani dei tempi anteriori al
cristianesimo. Non furono mai tali. Ma la asprezza del loro clima nordico li costrinse a
condizioni di vita ostacolanti lo sviluppo delle loro forze creatrici. Se fossero giunti
nelle miti terre del sud e nel materiale di popoli inferiori avessero trovato le prime risorse tecniche, la capacità di cultura sonnecchiante in essi avrebbe prodotto una
splendida fioritura, come avvenne, per esempio, ai Greci. Ma questa stessa forza
primordiale, creatrice di civiltà, non dipende solo dal clima nordico. Un lappone, trasferito nel sud, non sarebbe, più di un eschimese, creatore di civiltà. No, questa
meravigliosa facoltà di creare è donata precisamente all'Ario, sia ch'egli la porti in sé
sonnecchiando o sia che la desti alla vita, secondo che le circostanze favorevoli glielo
permettono o una matrigna Natura glielo vieta.
Da ciò segue questa nozione: lo Stato è un mezzo per raggiungere un fine. Il suo fine
consiste nella conservazione e nell'incremento d'una comunità conducente una vita
fisica e morale omogenea. Questa stessa conservazione include l'esistenza d'una razza e
con ciò permette il libero sviluppo di tutte le forze sonnecchianti in questa razza. Una
parte di queste servirà sempre in prima linea alla conservazione della vita fisica, mentre
l'altra promoverà la continuazione dello sviluppo intellettuale. In realtà però, l'una delle
parti crea le premesse dell'altra.
Gli Stati che non servono a questo scopo sono fenomeni mal riusciti, sono aborti. Ciò
non è mutato dal fatto della loro esistenza, così come il successo d'un'associazione di
filibustieri non può giustificare la pirateria o la rapina.
Noi nazionalsocialisti, quali campioni d'una nuova concezione, non dobbiamo mai
metterci sul fumoso e per di più falso "terreno dei fatti". Altrimenti non saremmo più i
campioni d'una nuova grande idea ma i "coolies" dell'odierna menzogna. Dobbiamo
distinguere con la massima nettezza fra lo Stato che è un recipiente, e la razza che è il
contenuto. Questo recipiente ha un senso solo se è capace di sostenere e salvaguardare il
contenuto; in caso diverso non ha valore.
Lo scopo supremo dello Stato nazionale è quello di conservare quei primordiali
elementi di razza che, quali donatori di civiltà, creano la bellezza e la dignità
d'un'umanità superiore. Noi Ari in uno Stato possiamo solo raffigurarci l'organismo vivente di una nazione: organismo che non solo assicura la durata di questa nazione, ma la
conduce alla suprema libertà sviluppandone le capacità spirituali e ideali.
Ciò che oggi si vuol far passare per Stato non è altro che l'aborto di gravi aberrazioni
umane, e ha per conseguenza indicibili patimenti.
Noi nazionalsocialisti sappiamo di essere ostili, nel mondo odierno, a questa
concezione, e siamo bollati come rivoluzionari. Ma il nostro pensiero e le nostre azioni
non debbono affatto dipendere dal plauso o dalla disapprovazione del tempo nostro, ma
dai nostri obblighi verso una verità che abbiamo riconosciuto. Dobbiamo convincerci
che i posteri, meglio giudicandoci, non solo comprenderanno la nostra condotta ma la
troveranno giusta e la esalteranno”.
Fonte: A. HITLER, La mia battaglia, 2 voll. Bompiani, Milano 1941, vol. II, pp. 27-31.
10. 9 In biblioteca
Per la storia della repubblica di Weimar si consulti di E. EYCK, Storia della
repubblica di Weimar (1918-1933), Einaudi, Torino 1966. Insuperato rimane il libro di
W.L. SHIRER, Storia del Terzo Reich, Einaudi, Torino 1963. Per la storia dei rapporti
tra grande industria e potere politico in Germania si consulti di W. MANCHESTER, I
cannoni dei Krupp. Storia di una dinastia 1587-1968, Mondadori, Milano 1970. Per il
problema dell'interpretazione del nazismo si legga di R. SAAGE, Le interpretazioni del
nazismo, Liguori, Napoli 1982. Per la vicenda della distruzione delle SA si può
consultare di M. GALLO, La notte dei lunghi coltelli, Mondadori, Milano 1971.
Notevole per l'abbondanza di informazioni il lavoro di K.D. BRACHER, La dittatura
tedesca. Origini, struttura, conseguenze del nazionalsocialismo in Germania, il Mulino,
Bologna 1983. Di non facile lettura ma fondamentali i libri di G. L. MOSSE, Le origini
culturali del Terzo Reich, il Saggiatore, Milano 1968; La nazionalizzazione delle masse.
Simbolismo e movimenti di massa in Germania dalle guerre napoleoniche al Terzo
Reich, il Mulino, Bologna 1983. Notevole di E. COLLETTI, La Germania nazista,
Einaudi, Torino 1962. Ottimo di K. HILDEBRAND, Il Terzo Reich, Laterza, Bari 1983.
Notevole il libro di H. SCHULZE, La repubblica di Weimar. La Germania dal 1917 al
1983, il Mulino, Bologna 1985.
Cap. 11 La crisi delle democrazie anglosassoni
Nel periodo tra le due guerre solo i popoli di lingua inglese sembravano possedere
istituzioni politiche stabili, quelle in cui le libertà civili erano meglio salvaguardate. Il
compatto blocco statunitense e l'impero britannico difeso da una marina ritenuta
invincibile, apparivano formazioni politiche in grado di arginare qualunque spinta
eversiva nei confronti della libertà.
Tuttavia, dopo il 1930 quei due pilastri sembravano poggiare su piedi d'argilla. Il
sasso in grado di far crollare il gigante USA sembrava poter essere la grande
depressione economica che iniziò nell'ottobre 1929, raggiungendo il culmine nel 1933.
L'impero britannico, invece, non poté trasformarsi in una vasta area di libero scambio,
e quindi i vincoli dei dominions con la madrepatria si allentarono; per di più la Gran
Bretagna attraversò una grave crisi sociale al suo interno che distolse i suoi governi
dall'occuparsi più attivamente di politica estera. Le due maggiori potenze anglosassoni
adottarono una politica di appeasement, fatta di concessioni pratiche perché i governi
di Germania e Giappone, dopo aver soddisfatto alcune ambizioni, si ritenessero
appagati rinunciando a scatenare un conflitto più vasto. Questo fu l'errore di
valutazione più grave dei popoli di lingua inglese, perché la guerra dovettero
combatterla ugualmente, contro un nemico che nel frattempo si era rafforzato.
I regimi totalitari commisero un errore di valutazione presumendo di poter tanto
facilmente superare la potenza statunitense e britannica, ma è altrettanto vero che
questi due paesi rivelarono in modo drammatico la crisi che li travagliava: mentre la
stampa dei paesi liberi rivelava in modo plateale la natura dei loro problemi
economici, la stampa addomesticata dalla censura dei paesi sotto regime dittatoriale
finiva per ampliare la portata reale della crisi degli avversari, inducendo l'opinione
pubblica a pensare che la prossima guerra sarebbe stata breve e vittoriosa.
11. 1 Gli anni folli dell'America
Gli USA, al termine della prima guerra mondiale, erano divenuti la maggiore
potenza economica del mondo. Il presidente Wilson si trovava a disagio, diviso com'era
tra i compiti sterminati che gli imponeva una politica estera a respiro mondiale, e il
frenetico affarismo interno rivolto all'espansione economica.
Mancata ratifica della politica di Wilson Il Senato americano rifiutò di ratificare la
politica estera di Wilson e così gli USA non entrarono nella Società delle Nazioni.
Durante il giro elettorale, mentre Wilson cercava affannosamente di difendere il suo
operato davanti a elettori fortemente tentati di isolazionismo, fu colpito da trombosi e il
partito democratico perse le elezioni. Il successore fu il repubblicano Warren Harding
(1920-1923) che non portò a termine il mandato presidenziale. Gli successe il
vicepresidente Calvin Coolidge (1923-1928), ben presto rivelatosi inadatto a una carica
tanto impegnativa. Migliore per qualità personali si dimostrò il successore di Coolidge,
Herbert Hoover (1928-1932), un ingegnere minerario che al tempo della mobilitazione
dell'industria aveva guidato l'ufficio di pianificazione.
Il proibizionismo Negli USA, alla fine della guerra, si stava dibattendo uno strano
problema. Poiché, come è noto, l'abuso di alcolici produce molti guai, alcuni Stati
dell'Unione scelsero di divenire asciutti, ossia di proibire la fabbricazione, la vendita e il
consumo di bevande alcoliche. Quando gli Stati asciutti furono in maggioranza,
chiesero di introdurre un emendamento nella Costituzione americana che vietasse su
tutto il territorio statunitense il consumo di bevande alcoliche. A parte la considerazione
che l'abuso non toglie l'uso, occorre ammettere che nessuna legge poteva rendere sobrio
un intero popolo, data anche la facilità con cui è possibile produrre bevande alcoliche.
Gli alcolisti si organizzarono e i gangster impiantarono una rete di produzione e di
distribuzione di alcolici che procurò loro guadagni illeciti di favolosa entità.
Rapporti tra USA e Giappone Non meno incerta fu la politica estera degli USA. I
problemi maggiori venivano dall'Estremo Oriente, dal Giappone che continuava a
crescere sia sul piano economico sia su quello militare. Gli USA sostenevano in
Estremo Oriente la politica della porta aperta, ossia della piena libertà di commercio per
tutti nel rispetto degli Stati e dei governi esistenti. I presidenti americani scelsero le
mezze misure, proponendo una conferenza internazionale per limitare gli armamenti
navali. Il rapporto delle navi da guerra tra USA, Gran Bretagna, Giappone doveva
conservare la proporzione 5-5-3. Tenendo presente la piccolezza del Giappone e la
concentrazione dei suoi interessi in Estremo Oriente, dati di fatto che accrescevano
l'importanza della flotta giapponese, la proposta era sensata. Inoltre USA e Gran
Bretagna s'impegnavano a non rafforzare le loro basi in Estremo Oriente: ciò accresceva
l'importanza della flotta giapponese, divenuta la più importante e potente di quell'area.
Ma i militari al potere in Giappone non furono soddisfatti. I generali di stanza in
Manciuria provocarono incidenti in quell'area e nel 1932 crearono lo Stato fantoccio del
Manchukuo. Cina e Giappone, gli Stati coinvolti nel conflitto, appartenevano alla
Società delle Nazioni, che inviò osservatori e condannò l'aggressione giapponese ma
senza far altro, perché nessuno aveva intenzione di scatenare un conflitto per far
rispettare i diritti sovrani della Cina.
Il Giappone attacca la Cina Il 7 luglio 1937 avvenne l'incidente del Ponte Marco Polo
presso Pechino, tra truppe cinesi e truppe giapponesi che facevano esercitazioni. La
Cina dovette presentare scuse ufficiali benché fosse il paese aggredito, ma ciò non servì
perché i giapponesi occuparono tutte le aree economicamente più interessanti della Cina
meridionale. Il governo nazionalista di Chiang-Kai-shek dovette ritirarsi nella città di
Chungking, diviso tra la lotta contro i comunisti guidati da Mao-Tse-tung e i giapponesi
invasori.
La questione dei debiti di guerra Altro problema di politica internazionale
maldestramente affrontato dagli USA fu la questione dei debiti di guerra. Tutti gli Stati
europei erano pesantemente indebitati con gli USA, ma ciascuno di loro era a sua volta
creditore nei confronti della Germania sconfitta. I governi interessati vollero unire due
questioni per sé indipendenti. Forse gli USA avrebbero tratto maggior profitto da una
generale cancellazione dei debiti, ma si trattava di una misura difficile da presentare
all'opinione pubblica interna.
Dal piano Dawes al Piano Joung La Gran Bretagna doveva agli USA 4 miliardi di
dollari, ma aveva concesso crediti agli alleati per 10 miliardi e mezzo. La Francia
doveva 7 miliardi di dollari agli USA, ma aveva concesso crediti agli alleati, soprattutto
alla Russia, per 3 miliardi e mezzo. L'Italia doveva agli USA 5 miliardi di dollari. Tutti i
debitori girarono la loro cambiale alla Germania. Il governo americano cercò una via
d'uscita insediando un comitato di esperti presieduto da Charles Dawes nel 1924. Le
conclusioni del comitato Dawes furono che per prima cosa si doveva permettere alla
Germania di pagare i suoi debiti stabilizzando la sua moneta, ma per ottenere questo
risultato occorreva restituire alla Germania i suoi impianti industriali e le sue miniere.
Perciò la Francia dovette ritirare le sue truppe dalla Ruhr. Poi occorreva fare alla
Germania il prestito necessario per le spese di avviamento della produzione. Per uno dei
tanti paradossi della storia, la Germania iniziò la sua ricostruzione industriale a spese
degli USA. Il governo tedesco fino al 1928 pagò le rate del debito, poi il denaro
americano finì e finirono anche i pagamenti dei debiti di guerra. Nel 1929 fu insediato
un nuovo comitato presieduto da Joung che fissò una nuova rateizzazione del debito di
guerra. Però quello fu anche l'anno della crisi: nel 1931 i pagamenti furono interrotti per
l'impossibilità di effettuarli. Fu proposto un anno di moratoria dal presidente Hoover,
ma nel 1933 il nuovo governo tedesco guidato da Hitler non riconobbe alcun impegno
dei governi precedenti. Nel 1934 gli americani, ormai a corto di pazienza, approvarono
il Johnson Act, che vietava ulteriori prestiti ai governi stranieri morosi.
11. 2 La febbre della Borsa di Wall Street
Gli anni dal 1920 al 1929 furono chiamati gli anni folli dell'America: furono davvero
folli. Gli USA sembravano presi da una febbre affaristica per la quale tutto sembrava
possibile.
Squilibri di crescita Gli impianti industriali creati in tutta fretta per le esigenze
belliche, trasformarono la loro produzione e inondarono il mercato interno di beni di
consumo ritenuti in grado di rendere piacevole la vita. Innanzitutto le automobili, anzi la
seconda automobile in ogni famiglia, visto che la prima l'avevano tutti; poi il telefono e
gli elettrodomestici; infine la casa delle vacanze. Si trattava di oggetti costosi e perciò si
diffuse il sistema delle vendite a rate: si fa un po' di sacrificio ogni mese, ma si ha subito
ciò che si desidera.
Previdenza, banche, bilancia commerciale Il sistema industriale ha bisogno di
continui finanziamenti che si ottengono con la vendita di titoli azionari in Borsa.
Tuttavia, per la crescita ordinata della società civile occorrono alcuni riferimenti sicuri,
per esempio un sistema previdenziale in grado di affrontare crisi o recessioni
economiche sempre possibili. Occorre un regolamento del sistema bancario che
imponga a ogni istituto di credito di tenere liquida una quota dei depositi, o investita in
beni immobili. Infine occorre che la bilancia commerciale con l'estero sia in equilibrio,
ossia che ci siano clienti in possesso di dollari da spendere in America. Gli USA in
quegli anni facevano tutto il contrario.
Sovrapproduzione industriale e agricola La guerra aveva stimolato il settore
industriale cresciuto a dismisura, e il settore agricolo che produceva molte più derrate di
quelle occorrenti al consumo interno. Poiché tutto il mondo era indebitato con gli USA,
ogni paese cercò nel dopoguerra di divenire autosufficiente almeno nel settore dei
prodotti agricoli. I contadini americani avevano coltivato cereali in ogni spazio libero,
anche nei terreni poco adatti. Alcuni anni di siccità e l'erosione dell'humus fertile
spazzato via da tempeste di vento, rovinarono intere regioni e molti agricoltori fallirono
perché non potevano più pagare le rate dei macchinari acquistati. Per di più i prezzi
agricoli avevano la tendenza al ribasso a causa dell'eccesso di produzione rimasta
invenduta.
Affarismo delle banche Le banche, allettate dal successo degli affari di Borsa,
investirono i depositi in attività di rischio: quando il settore industriale cominciò a non
tirare più, le banche dovettero mettere in vendita le loro azioni per far fronte alla
richiesta di restituzione dei depositi.
Speculazioni edilizie La facilità di spostamento permessa dalle automobili e dagli aerei
creò la frenesia delle vacanze. La Florida, rimasta fino a quel momento un'immensa
distesa di paludi e acquitrini, fu requisita da speculatori che acquistavano chilometri di
spiaggia, costruivano un aeroporto, rivendendo per somme elevate la zona così
valorizzata ad altri gruppi di speculatori che creavano qualche altra struttura e
rivendevano con profitti favolosi in una corsa frenetica che non sembrava terminare.
Il venerdì nero di Wall Street La crisi che covava da molto tempo, arrivò con la
violenza di un uragano. Il 24 ottobre 1929, il famoso venerdì nero, nella più importante
Borsa valori del mondo, sita in Wall Street a New York, non c'erano compratori bensì
solo venditori di azioni. Il corso dei titoli crollò, numerose banche fallirono a catena, le
industrie più deboli chiusero: i disoccupati dopo alcune settimane si contavano a
milioni.
La grande depressione Mancando un sistema previdenziale si dovettero aprire mense
per poveri davanti alle quali si formavano file lunghe interi isolati. Le automobili
rimanevano ferme perché i proprietari non avevano il denaro della benzina, i treni
viaggiavano vuoti per mancanza di passeggeri. Nel 1932 i disoccupati erano saliti a 12
milioni mentre il governo, fedele ai principi liberisti, non faceva nulla. Chi aveva denaro
appariva timoroso di investirlo.
La crisi si estende La crisi americana non rimase confinata in America. In Europa la
nazione più colpita fu la Germania perché viveva dei prestiti americani e perché
esportava quasi metà della sua produzione industriale negli USA. Tra il 1929 e il 1932 i
disoccupati tedeschi arrivarono alla cifra di 5 milioni, e Hitler poté effettuare la presa
del potere, perché i disoccupati, in luogo di aderire ai partiti di sinistra, votarono per lui.
Gli Stati latino-americani che avevano un'agricoltura spesso basata su un unico
prodotto, venduto in prevalenza negli USA, andarono vicini alla bancarotta: il caffè
brasiliano fu impiegato, mescolato con bitume, per pavimentare le strade, nel vano
tentativo di far alzare il prezzo di quello che rimaneva; la carne argentina non trovava
acquirenti e così il cacao africano o lo zucchero di Cuba; l'Australia non poté vendere la
sua lana e il Giappone o la Cina la loro seta. L'URSS, invece, lanciava il suo primo
piano quinquennale e alcuni osservatori ritenevano prossima una rivoluzione politica
negli USA, paragonabile a quella che aveva sconvolto la Russia nel 1917.
11. 3 Roosevelt e il New Deal
Il sistema politico americano, al contrario, superò la prova. Hoover si ripresentò alle
elezioni del 1932, ma incontrò un avversario insuperabile nel democratico Franklin
Delano Roosevelt.
F. D. Roosevelt Costui apparteneva a una ricca famiglia e aveva frequentato le scuole
più prestigiose d'America. Durante la guerra, al tempo della presidenza di Wilson,
Roosevelt aveva ricoperto la carica di vicesegretario della marina da guerra, acquistando
una certa esperienza in questioni navali. Nel 1921 il futuro presidente fu colpito da
poliomielite, perdendo l'uso delle gambe, ma con mirabile costanza, riuscì a superare la
menomazione: si fece applicare una serie di tubi metallici che gli permettevano di stare
in piedi senza far uso di stampelle. Nel 1928 Roosevelt fu eletto governatore di New
York e quattro anni dopo giunse alla Casa Bianca, con una maggioranza che equivaleva
a un plebiscito.
Il New Deal Roosevelt aveva molti vantaggi su Hoover. In primo luogo non era
prigioniero di una concezione totalmente liberista, secondo la quale il governo non deve
intervenire nelle questioni economiche, nei conflitti di lavoro, nei piani di sviluppo della
nazione. Egli sapeva che lo Stato possiede mezzi enormi di intervento là dove
l'iniziativa privata esita o non ritiene di trovare incentivi allettanti. Inoltre aveva il dono
di saper comandare: non aveva solo autorità, era autorevole. Si circondò di persone
capaci e dette vita a numerosi staff di collaboratori abbastanza onesti e appassionati alla
causa. Il nuovo presidente fece ampio ricorso alle trasmissioni radio per informare
l'opinione pubblica: faceva discorsi semplici, definiti "chiacchiere accanto al
caminetto". Nel più famoso dei suoi discorsi disse: "Noi dobbiamo avere paura solo
della nostra paura". Fin dai discorsi da candidato aveva augurato a sé e ai cittadini
americani una nuova possibilità - New Deal -: quelle parole divennero il programma del
suo primo mandato presidenziale.
Fine della convertibilità del dollaro in oro Appena insediato alla Casa Bianca, nel
marzo 1933, cominciarono alcuni mesi di frenetica attività legislativa per prestare le
prime cure d'urgenza all'economia americana. Il primo provvedimento fu l'abolizione
della convertibilità in oro del dollaro. Fino a quel momento i pagamenti potevano
avvenire in dollari o in oro, valutato 35 dollari l'oncia. Ma lo Stato aveva bisogno di far
fronte a molte spese e non poteva acquistare oro da seppellire a Fort Knox (il tesoro
americano), accettando implicitamente le teorie di J. M. Keynes. Supponendo che la
notizia avrebbe allarmato molti risparmiatori inducendoli a ritirare dalle banche i loro
dollari per trasformarli in oro, il Presidente fece chiudere le banche e tenne uno dei suoi
famosi discorsi accanto al caminetto. Disse che nessun sistema bancario era in grado di
reggersi se tutti i clienti andavano a ritirare i loro risparmi nello stesso momento. Il suo
governo garantiva che il denaro dei cittadini era più sicuro in banca che sotto il
materasso. La gente capì e non ci fu la corsa al ritiro dei risparmi.
Opere pubbliche Per attuare i suoi progetti Roosevelt creò alcuni enti di diritto
pubblico che ricevettero una certa somma da investire in un determinato settore. Non
sempre le scelte furono felici e il risultato un successo, tuttavia molta gente per alcuni
mesi ricevette uno stipendio e cominciò a spenderlo facendo lavorare altre persone: per
mettere in moto un volano occorre superare l'attrito di partenza, poi il volano favorisce
il movimento stesso. Venne creata una Federal Emergency Relief Administration
(FERA) col compito di costruire opere pubbliche. Molte migliaia di operai furono
assunti per costruire aeroporti, strade, scuole, parchi pubblici e campi sportivi. Venne
finanziata l'industria dello spettacolo che poté assumere circa 25.000 attori, scrittori e
produttori cinematografici.
Difesa dell'ambiente Numerosi Civilian Conservation Corps (CCC) dettero lavoro a
migliaia di ragazzi in cerca di prima occupazione per riforestare, costruire difese contro
l'erosione fluviale, creare bacini di raccolta delle acque di piena, valorizzare i parchi
nazionali, ripulire i boschi e così via. Quei ragazzi furono sottratti alle periferie urbane e
messi a lavorare in ambienti naturali suggestivi, con la coscienza di fare qualcosa di
utile per la comunità.
Trasformazione dell'agricoltura L'Agricultural Adjustement Act (AAA) operò una
profonda trasformazione dell'agricoltura americana. Molti contadini che avevano
abbandonato i campi perché i ricavi erano inferiori ai costi, poterono tornare nelle loro
fattorie, perché lo Stato aveva rilevato i loro debiti e non esigeva interessi. Naturalmente
i contadini si impegnavano a modificare le loro coltivazioni sotto la guida di esperti
agronomi, per produrre ciò che veniva chiesto dal mercato, permettendo un guadagno.
Energia elettrica La più famosa delle realizzazione del New Deal fu la Tennessee
Valley Authority (TVA). Il fiume Tennessee è un grande affluente dell'Ohio, dal corso
capriccioso, ricco d'acque in primavera, quasi asciutto d'estate, estremamente rovinoso
quando è in piena perché tra la sorgente e la foce c'è un notevole dislivello. La TVA era
un organismo interstatale e ciò coinvolgeva molti governi locali. Le proteste dei singoli
Stati furono tacitate e fu decisa la costruzione di 25 dighe che formarono 25 laghi in
grado di regolare il flusso dell'acqua e di produrre enormi quantità di energia elettrica,
ceduta a basso prezzo alle industrie che si stabilivano lungo la valle del Tennessee.
Altre due grandi dighe furono costruite sul fiume Columbia, in seguito criticate perché
hanno deturpato il paesaggio, ma anche molto utili per l'energia elettrica prodotta.
Consuntivo del primo quadriennio Si deve ripetere che non tutte le iniziative del New
Deal ebbero successo. Si era lavorato con troppa precipitazione; i progetti non furono
tutti riguardosi verso l'ambiente naturale; alcune iniziative furono bocciate dalla Corte
Suprema perché incostituzionali, ma a conti fatti, al termine del primo quadriennio di
Roosevelt non esisteva più la situazione catastrofica del 1933, l'anno peggiore della
grande depressione.
Rielezione Roosevelt si ripresentò alle elezioni del 1936 e fu rieletto con una
maggioranza ancora più schiacciante. Tuttavia il grande sforzo per la ripresa economica
concentrò le energie americane sui problemi di politica interna. Le difficoltà americane
incoraggiarono il Giappone e la Germania a intraprendere una politica di aggressione in
Cina e nell'Europa centrale, sottovalutando la capacità di ripresa del sistema americano.
Hitler e Mussolini pensavano di aver irrobustito e virilizzato i loro popoli, mentre le
democrazie dell'Occidente, secondo loro, erano cadute in balia di insanabili conflitti
interni: quella diagnosi risultò errata.
11. 4 Tensioni sociali in Gran Bretagna
Dopo aver costatato perché dal 1920 al 1936 gli USA non si occuparono in modo
efficace di politica internazionale, occorre esaminare perché anche la Gran Bretagna
non poté farlo.
Depressione del dopoguerra Per fare una brillante politica estera occorrono strumenti
costosi come l'esercito, la marina, l'aviazione. La sistematica distruzione di ricchezza
avvenuta nel corso della Prima guerra mondiale aveva lasciato tutti, vincitori e vinti,
molto impoveriti: anche la Gran Bretagna dovette ridimensionare, nel duro periodo che
separa le due guerre mondiali, il tenore di vita cui erano abituate le classi sociali elevate.
Tramonto dell'impero britannico Dopo varie conferenze imperiali, nel 1931 lo
Statuto di Westminster dichiarò Australia, Nuova Zelanda, Canada e Unione
Sudafricana indipendenti all'interno di un Commonwealth delle nazioni britanniche. Era
fallito il progetto di un mercato di libero scambio nell'area della sterlina, insieme col
progetto di introdurre una tariffa del 10% sulle merci provenienti dai paesi terzi. Le
cause del fallimento di tale progetto andavano cercate nella necessità per la Gran
Bretagna di acquistare viveri dalla Danimarca a un prezzo notevolmente inferiore di
quello che si sarebbe dovuto pagare alla vicina Irlanda, e al fatto che gli Stati del
Commonwealth temevano di non poter sviluppare una propria industria se avessero
continuato ad acquistare i prodotti britannici.
Conflitti sociali Durante la guerra c'era stata una tregua sindacale tra datori di lavoro e
operai. Appena terminato il conflitto ci furono in Gran Bretagna notevoli aumenti del
costo della vita cui seguirono molti scioperi perché gli stipendi non si erano adeguati:
nel corso del 1919 si calcola che ogni giorno ci siano stati almeno 100.000 operai in
sciopero. I sindacati in quel momento erano ricchi perché avevano accumulato i
contributi volontari degli operai nel corso degli anni di guerra, e perciò potevano
sostenere gli scioperanti. Tuttavia, nel 1921 avvenne una caduta della richiesta di merci
da parte del mercato mondiale, inducendo gli industriali a imboccare una politica che
prevedeva la diminuzione dei salari e l'aumento dell'orario di lavoro. I sindacati furono
costretti a mettersi sulla difensiva.
Le miniere di carbone Il settore in cui la crisi era più acuta era quello delle miniere di
carbone, un prodotto di base per l'industria britannica. Nel corso della guerra le miniere
appartenenti a società private erano state unificate sotto il controllo statale, ossia
nazionalizzate. Dopo la guerra il governo decise di restituire le miniere
all'amministrazione privata: il sindacato dei minatori cercò, invece, di imporre il
mantenimento del sistema statale. Infatti c'erano alcune miniere molto produttive che
potevano pagare buoni salari, ma c'erano anche miniere in via d'esaurimento o con
macchinari obsoleti che, a parità di lavoro prestato, offrivano salari meno elevati. Il
sindacato dei minatori cercò l'alleanza con i sindacati dei ferrovieri e dei trasportatori,
ma quando il 15 aprile 1921 fu proclamato lo sciopero concordato, la federazione dei tre
sindacati si scisse, e i minatori si trovarono soli a far lo sciopero. Nel frattempo il
prezzo del carbone era crollato da 115 a 24 scellini la tonnellata.
Sciopero generale Il 4 maggio 1926 iniziò un memorabile sciopero generale. Molte
categorie appoggiarono lo sciopero dei minatori paralizzando la vita economica della
Gran Bretagna. Le fabbriche rimasero chiuse, i trasporti urbani e le ferrovie non
funzionavano, i giornali non venivano stampati: furono assicurati solo i servizi
essenziali (alimentazione e sanità). Il governo, deciso a non cedere, rispose mobilitando
l'esercito: i soldati dovevano guidare i mezzi pubblici e assicurare il rifornimento di
cibo. Winston Churchill, in quel momento Cancelliere dello Scacchiere (equivalente al
nostro ministero delle finanze) nonostante lo sciopero dei tipografi riuscì a far
pubblicare "The British Gazette", un giornale governativo. La federazione dei sindacati
fu costretta a replicare con un giornale dei lavoratori, "The British Worker", per
respingere le accuse del governo di mirare a scardinare il Parlamento, promovendo una
rivoluzione di tipo sovietico. Il governo dell'URSS naturalmente parteggiava per i
lavoratori: il governo britannico ritenne di subire intromissioni indebite nei propri affari
interni e perciò ruppe le relazioni diplomatiche con l'URSS. Il premier Stanley Baldwin
fece numerosi discorsi alla radio, mentre il partito laburista e i sindacati non poterono
accedere a quel potente mezzo di comunicazione. Ci furono incidenti: gruppi di
lavoratori cercarono di boicottare i veicoli dei militari, ma nel complesso non si arrivò a
sparare e non ci furono morti.
Revoca dello sciopero Nella seconda settimana di sciopero generale i lavoratori
sembravano avere la meglio, ma improvvisamente, il 12 maggio la federazione dei
sindacati revocò lo sciopero, affermando di aver ricevuto assicurazioni circa il problema
dei minimi salariali per tutte le categorie dei lavoratori. Probabilmente i sindacati erano
spaventati dell'arma che avevano impugnato e temevano un effetto destabilizzante. I
minatori, che si erano affrettati a comunicare che nessun accordo era intervenuto col
governo, furono lasciati soli a continuare lo sciopero per altri sei mesi. Alla fine furono
piegati dall'esaurimento dei fondi sindacali. Nel 1927 il governo fece approvare il Trade
Disputes Act che dichiarava illegali gli scioperi di solidarietà. La prolungata chiusura
delle miniere di carbone determinò l'abbandono di quelle meno produttive, e circa
250.000 minatori si trovarono disoccupati.
Il primo governo laburista Il costo dello sciopero per i sindacati fu di circa 4 milioni
di sterline; negli anni successivi il loro potere contrattuale fu molto basso. Tuttavia
crebbe l'interesse per la politica da parte dei lavoratori che si orientarono in
maggioranza verso il partito laburista, divenuto la maggiore forza politica accanto al
partito conservatore: anche in Gran Bretagna la vita politica tendeva a radicalizzarsi.
Nelle elezioni del 1923 i laburisti ricevettero 191 seggi, e nel gennaio 1924 fu insediato
il primo governo laburista guidato da Ramsey Mac Donald, che tuttavia dipendeva
dall'appoggio essenziale del partito liberale, perché i conservatori avevano ancora la
maggioranza relativa.
Governo di unità nazionale Il secondo governo Mac Donald ebbe la sfortuna di
coincidere con la grande depressione del 1929: il suo governo cadde nel 1931 quando
decise tagli sulla spesa pubblica, in particolare la diminuzione del sussidio di
disoccupazione: i sindacati e il suo stesso partito lo considerarono un traditore tanto che
poté restare al potere solo a patto di formare un governo di unità nazionale in cui erano
presenti ministri di tutti i partiti.
Tramonto dell'aristocrazia Furono anni duri per tutti gli abitanti delle isole
britanniche. Molti patrimoni di antica data andarono in rovina e dispersi. La vita
brillante dei ceti aristocratici finì; le grandi case di campagna furono svendute; le cacce
alla volpe con centinaia di cavalieri cessarono; in qualche caso il nobile di campagna
trasformava il suo castello in museo facendo da guida ai turisti che volentieri pagavano
il biglietto d'entrata pur di avere una guida tanto competente; le categorie meno
fortunate erano malnutrite e peggio abbigliate; le case fredde; l'orgoglio di quella che
nella generazione precedente era stata la più potente nazione del mondo era a terra.
Declino dell'industria cantieristica Il sussidio di disoccupazione era stato previsto e
calcolato supponendo un massimo del 5% di disoccupati. Per molti anni la grande crisi
comportò un tasso di disoccupazione doppio, e intere regioni, come quelle del nord
legate ai cantieri navali, furono dichiarate zone depresse.
Crisi degli alloggi L'altro grande problema inglese tra le due guerre, dopo la
disoccupazione, fu la crisi degli alloggi. Per la durata della guerra non furono costruite
case. Molti alloggi, inoltre, furono dichiarati inabitabili perché malsani. Non si costruiva
perché i salari dei lavoratori erano troppo bassi per poter pagare affitti reali ossia tali da
remunerare le spese di costruzione. Nel 1919 fu votato lo Housing Act, una legge che
metteva a disposizione delle amministrazioni locali una certa somma di denaro per
costruire case popolari, cedute a basso affitto, ma gli alloggi costruiti non risolsero il
problema per intero. Nel 1930 il governo propose una legge per risanare le case
malsane: se gli occupanti degli slums accettavano la demolizione delle loro catapecchie,
dimostrando di poter pagare in futuro un ragionevole affitto, ricevevano un nuovo
alloggio, generalmente una casetta a schiera con un minuscolo giardino, perché i britannici non amano i condomini. Nel 1939 questo programma di edilizia popolare fu
interrotto dallo scoppio della guerra.
Maggiore equità sociale Certamente la vita inglese fra le due guerre non ha conosciuto
solo problemi. Ci fu una distribuzione del reddito nazionale più equa di quanto
avvenisse nell'età vittoriana; la gente, a eccezione dei disoccupati, era meglio nutrita e
abbigliata, certamente meglio assistita, specie i bambini che ricevevano latte e cibo
gratuito a scuola. Tuttavia la Gran Bretagna rimase oppressa, come gli USA, dai
problemi di politica interna e non prestò sufficiente attenzione ai programmi di Hitler e
Mussolini: si pensava che bastasse rabbonirli con qualche concessione, mentre il
risultato fu di permettere il loro riarmo che poi fu rivolto contro le indifese democrazie.
11. 5 L'India di Gandhi
Abbiamo detto che i quattro dominions più importanti - Canada, Australia, Nuova
Zelanda, Unione Sudafricana - nel 1931, con lo Statuto di Westminster, si erano resi di
fatto indipendenti. Ciascuno d'essi perseguiva ormai interessi locali, adottando una
politica economica e sociale dettata dagli interessi nazionali: anche per questo motivo
cadde il progetto di un'area di libero scambio tra i paesi del Commonwealth. Nello
stesso periodo l'Irlanda (Eire), sia pure a caro prezzo, si era totalmente svincolata dal
sistema britannico.
La dichiarazione Montagu Durante la Prima guerra mondiale il governo britannico,
per avere l'aiuto di truppe indiane, spiegò che la guerra era combattuta per la
democrazia contro l'assolutismo: fu deciso di concedere l'autogoverno all'India. Nel
1917 il viceré Edwin Montagu rilasciò la storica dichiarazione in cui spiegava agli
indiani il significato della presenza britannica: condurre l'India a un governo
responsabile. Non diceva quando era previsto l'insediamento di tale governo.
Gandhi L'indipendenza indiana deve molto a uno dei personaggi più singolari del
secolo XX, Gandhi, giustamente soprannominato Mahatma (grande anima).
La formazione di Gandhi Mohandas Karamchand Gandhi nacque nel 1869 nello Stato
di Pordanbar nell'India occidentale. Apparteneva alla casta tradizionalista dei Bania
(commercianti). A 13 anni sposò una bambina, come usava allora, e più tardi partì per
Londra, per gli studi di giurisprudenza. Dopo tre anni abbastanza infelici trascorsi in
Inghilterra, dove vestiva alla maniera occidentale cercando di farsi accettare in una
società che lo considerava un cittadino di seconda categoria, conseguì la laurea e tornò
in India per esercitare la professione di avvocato. Non ebbe molto successo e perciò nel
1893 si trasferì in Sudafrica, dove esisteva una numerosa colonia indiana. In Sudafrica
trovò il razzismo che discriminava non solo i negri, ma anche gli indiani. Un incidente
ebbe un peso determinante per il resto della sua vita. Aveva acquistato un biglietto di
prima classe e sedeva in un vagone di prima classe, abbigliato da perfetto gentleman
inglese. Quando giunse il controllore si sentì dire che non poteva stare in prima classe,
nonostante il biglietto regolare, perché era indiano. Gandhi rispose che non intendeva
lasciare il suo posto e che avrebbero dovuto trascinarlo via di peso. Alla prima stazione
fu quello che fece il controllore. Da quel momento Gandhi si votò alla causa di far
cessare per i suoi connazionali quell'intollerabile discriminazione.
Satiagraha La prima idea di Gandhi fu che un tale scopo non poteva esser frutto della
violenza, perché essa genera altra violenza. Riscoprì il significato del termine
"satiagraha" che si può tradurre con "forza della verità", un convincimento generato
dall'evidenza di una verità che fa superare i pregiudizi. Gandhi spiegò che non era
"resistenza passiva", l'arma dei deboli. "Satiagraha" era l'arma dei forti che non
dovevano abusare della loro forza. Non odio perciò verso i nemici, bensì compassione
per la loro ignoranza. Partendo da questo principio che viveva e insegnava ai suoi
seguaci Gandhi conquistò una preminenza indiscussa in seno al movimento nazionale
indiano.
Ritorno di Gandhi in India Nel 1915 Gandhi tornò in India, dove fondò numerose
ashram, ossia comunità in cui si viveva poveramente, dedicandosi alla preghiera, allo
studio e al lavoro manuale. Fin dagli ultimi anni di permanenza in Sudafrica Gandhi
aveva cominciato a vestire una specie di lenzuolo, filato e tessuto da lui stesso con un
semplice telaio a mano e con la ruota del filatore. Infatti, Gandhi era convinto che la
società europea, con i suoi agi e le sue fabbriche, era destinata a finire nella violenza e
nello sfruttamento dei poveri. L'India, invece, doveva essere una nazione di villaggi in
cui ciascuno doveva provvedere ai bisogni essenziali, senza grandi industrie e senza
città, ma anche senza le discriminazioni tradizionali tra le caste indiane.
Il Partito del Congresso diventa un partito di massa Nel 1917 cominciò l'intervento
di Gandhi nella vita politica del suo paese. Nello Stato di Bihar Gandhi prese le difese
dei contadini contro i proprietari agrari. Quando il governo di quello Stato decise di
espellerlo come turbatore dell'ordine, Gandhi rispose che era pronto ad accettare la pena
prevista per il suo reato: alla fine del processo risultò il vincitore e i contadini con lui.
Nella città industriale di Ahmedabad in cui c'erano conflitti tra operai e datori di lavoro
iniziò uno sciopero della fame, deciso a non recedere finché non si giungesse a un
accordo. Ancora una volta vinse e l'accordo fu stipulato. Il successo dell'azione di
Gandhi si doveva a questi gesti semplici ma anche tali da attirare al movimento
nazionale indiano non solo i rappresentanti delle classi medie che avevano dato vita al
Partito del Congresso, ma anche gli operai e i contadini. Solo in questo modo il Partito
del Congresso divenne un partito di massa.
Nehru e Patel Alcuni capi come Jawaharlal Nehru, il futuro primo ministro, padre di
Indira Gandhi, e Sardar Vallabhbhai Patel, l'organizzatore del partito, divennero suoi
discepoli e collaboratori, ma senza assumere la parte più radicale del programma di
Gandhi, ossia quella specie di ritorno utopistico a una società contadina senza città e
senza industrie.
Incidente di Amrittsar Nel 1919 il movimento sembrava sul punto di trionfare. Il
governo britannico allargò l'area dell'autogoverno, specie nelle province, ma fu votata
anche una legge per stroncare le opposizioni troppo vivaci. Per protestare contro questa
legge Gandhi propose un hartal, ossia uno sciopero di protesta nel corso del quale ogni
indiano doveva rimanere in casa propria e meditare in silenzio sulla triste condizione
degli indiani. Purtroppo non tutti avevano capito la satiagraha e in molte località ci
furono disordini. Gandhi revocò l'hartal per evitare spargimento di sangue, ma troppo
tardi. Nella città di Amrittsar nel Punjab il comandante inglese perse il controllo della
situazione e fece sparare sulla folla: ci furono 379 morti e un migliaio di feriti.
Gandhi e i musulmani Gandhi cercò di guadagnarsi i musulmani facendo superare le
loro diffidenze verso il Partito del Congresso. Approfittò di una circostanza legata alla
politica mediorientale della Gran Bretagna: promise ai musulmani che avrebbe lottato
perché la Gran Bretagna non dividesse l'impero turco e non facesse abrogare la carica di
califfo dell'Islam, molto rispettata in India. Così avvenne nella conferenza di Nagpur del
1920 nel corso della quale fu approvata la proposta di Gandhi di attuare la non
cooperazione con gli inglesi e la divisione dell'India in regioni che avessero lo stesso
linguaggio, non diversa religione.
La disobbedienza civile Nel 1922 Gandhi fu arrestato e condannato a sei anni di
prigione. Ne uscì dopo due anni, perché Gandhi in prigione faceva più danno alla Gran
Bretagna di quando era in libertà. Nel 1929 la situazione del dominio britannico in India
appariva critica. Fu ordinato al viceré Irwing di studiare un compromesso per stabilire i
modi di attuazione dell'autogoverno. Il partito del Congresso si divise tra fautori della
gradualità e coloro che volevano subito l'autogoverno. Gandhi stava dalla parte dei
secondi. Per affrettare l'indipendenza Gandhi scelse la strada della disobbedienza civile:
se tutto un popolo non obbediva, il governo britannico in India sarebbe caduto.
La marcia del sale Il sale, come avviene in molti Stati, era un monopolio, ossia la
produzione e la vendita era esercitata in esclusiva da un organismo statale. Gandhi
propose che nessun indiano acquistasse il sale, bensì lo ottenesse da sé per evaporazione
dell'acqua marina. Organizzò una marcia dimostrativa verso il mare, distante circa 400
chilometri, compiuta con alcune migliaia di persone nel 1930. Ci furono incidenti e,
quantunque il governo britannico avesse deciso di non occuparsi della cosa, dovette far
intervenire la polizia per sedare i tumulti. Nel maggio 1930 Gandhi fu di nuovo
arrestato come istigatore della manifestazione.
Conferenza di Londra Ancora una volta il governo britannico si rese conto che senza
Gandhi come interlocutore non si poteva far nulla, anche se con Gandhi come
interlocutore non si poteva discutere. Lord Irwing fece uscire di prigione Gandhi,
ottenendo che si recasse a Londra per prendere parte a una tavola rotonda in qualità di
rappresentante del Partito del Congresso, ma non dei musulmani e dei prìncipi degli
Stati interni dell'India ancora semindipendenti. La conferenza non dette risultati
apprezzabili (1931).
Nuovo arresto di Gandhi Nel gennaio 1932 Gandhi fu di nuovo arrestato. La
campagna di disobbedienza civile era fallita e il governo britannico aveva proposto un
nuovo schema per preparare l'autogoverno. Toccava ora al Partito del Congresso fare
qualche concessione, poiché le proposte britanniche apparivano ragionevoli. Il Partito
del Congresso prese parte alle elezioni del 1937 per nominare molti governi provinciali
in India. Gandhi non partecipò alle elezioni dicendo di volersi dedicare a riforme sociali
ed economiche.
La Lega musulmana Le elezioni del 1937 spaventarono i musulmani perché videro
operarsi una pericolosa spaccatura tra le due comunità religiose. Da quell'anno i
musulmani si strinsero compatti intorno alla Lega musulmana guidati Muhammed Ali
Jinnah (1876-1948), ostile alla politica seguita dal Partito del Congresso. Dal 1940 la
Lega musulmana cominciò a chiedere un proprio Stato abitato da musulmani per il
quale fu coniato il nome di Pakistan dalla lettera iniziale delle tre province più
importanti di Punjab, Kashmir, Sind.
La Seconda guerra mondiale Poi venne la guerra. Il Giappone tentò di conquistare
l'India: la Gran Bretagna fu costretta a fare l'estrema concessione, ossia l'autogoverno
appena terminata la guerra. Gandhi rispose di no: l'autogoverno doveva venir concesso
subito. Gandhi finì come altre volte in prigione; i musulmani, invece, assecondarono lo
sforzo militare britannico, guadagnando simpatie per il loro futuro Stato.
L'indipendenza dell'India Terminato il conflitto, la Gran Bretagna governata dai
laburisti di Clement Attlee, il vincitore delle elezioni del 1945, decise di affrettare i
tempi dell'indipendenza. Gandhi e il governo britannico erano contrari alla formazione
di due Stati indipendenti, perché temevano i contrasti che sarebbero sorti tra loro, ma
Jinnah ebbe la meglio. Il 15 agosto 1947 fu proclamata la fine del dominio britannico e
la formazione degli Stati di India e Pakistan, uno strano Stato quest'ultimo formato di
due parti, una a Occidente e una a Oriente dell'India.
Morte di Gandhi Pochi mesi dopo, il 30 gennaio 1948, il vecchio saggio, dopo aver
terminato un altro digiuno e dopo aver subito già un attentato, mentre si recava al luogo
di preghiera fu ucciso a colpi di pistola da un giovane hindù che gli rimproverava di
aver permesso la divisione del paese in due Stati. Il corpo di Gandhi fu cremato e le sue
ceneri sparse nel Gange per raggiungere la pace in seno al tutto simboleggiato dal mare.
11. 6 Cronologia essenziale
1885 Nasce in India il partito del Congresso indiano.
1906 I musulmani in India danno vita alla Lega musulmana.
1920 Nel corso del congresso di Nagpur Gandhi lancia la campagna di non
collaborazione con la Gran Bretagna.
1926 Il 4 maggio inizia in Gran Bretagna un imponente sciopero generale.
1927 Il governo britannico dichiara illegali gli scioperi di solidarietà.
1929 Crollo della Borsa di Wall Street: inizia una grande recessione dell'economia
mondiale.
1931 Il Giappone invade la Manciuria e crea lo Stato fantoccio del Manchukuo.
1932 Negli USA è eletto presidente Franklin D. Roosevelt che lancia il programma del
New Deal.
1937 Incidenti provocati in Cina dal Giappone e occupazione delle coste cinesi.
1940 I musulmani indiani propongono la creazione di uno Stato musulmano, il Pakistan.
1947 Il 15 agosto avviene la proclamazione di due Stati sovrani nel subcontinente
indiano, India e Pakistan.
1948 Un fanatico hindù uccide Gandhi.
11. 7 Il documento storico
Il documento che segue fa da introduzione ai discorsi e ai documenti di Roosevelt
dal 1937 al 1940, ossia al tempo del suo terzo mandato presidenziale: esso riassume i
principali aspetti del New Deal con l'indicazione degli obiettivi conseguiti.
“Nel 1932 un governo di uomini disposti a far nulla fu sconfitto alle elezioni
presidenziali. Esso non aveva voluto o potuto impiegare l'enorme potere collettivo e le
grandi risorse di cui disponeva per far fronte al disastro sociale ed economico derivante
da un'economia squilibrata, incapace ed iniqua. Il vasto programma di ricostruzione e di
riforme iniziato dalla nuova amministrazione il 4 marzo 1933 era stato approvato in
modo schiacciante nelle elezioni (di medio termine) del 1934 e in quelle (per la
presidenza) del 1936. All'indecisione e alla negazione il Governo federale aveva
sostituito l'azione. Aveva fornito a tutti i gruppi di cittadini un'ampia assistenza, invece
di circoscrivere favori finanziari e vantaggi economici sui pochi in cima alla piramide
sociale nella speranza che essi ne avrebbero fatto cadere qualche briciola sui molti
assiepati sul fondo. Si era adoperato per aiutare gli agricoltori ad ottenere prezzi decenti
per i loro prodotti e una parte equa del reddito nazionale, a preservare il suolo, a salvare
le loro case dalle vendite giudiziarie, ad acquistare i fondi da loro coltivati, a proteggerli
dalle devastazioni delle inondazioni e della siccità; in breve, ad accrescere la loro
sicurezza e a dar loro il modo di comprare i manufatti dell'industria in tutti gli Stati
Uniti, fornendo così possibilità di occupazione ai lavoratori delle città e delle campagne.
Tra il '33 e il '37, il Governo federale aveva adottato anche un ampio programma
inteso a proteggere i lavoratori e le lavoratrici dallo sfruttamento di coloro che, se
avessero potuto, li avrebbero fatti lavorare a salari di fame e per orari lunghissimi; a
dare, insomma, ai lavoratori quella dignità, quel rango e quella porzione di reddito
nazionale cui essi avevano diritto. Per attuare questo programma, erano state emanate
leggi che garantivano ai lavoratori il diritto di negoziare coi datori di lavoro; che
salvaguardavano il loro diritto di associazione e proibivano l'adozione di misure
discriminatorie motivate dall'esercizio di legittime attività sindacali da parte dei loro
destinatari; che impedivano una concorrenza spietata tra i lavoratori permettendo agli
imprenditori di tutti i settori dell'industria di stipulare accordi tendenti a fissare salari
minimi e orari massimi per i loro dipendenti, e abolendo in tali settori il lavoro dei
fanciulli; che prevedevano procedure miranti ad assicurare una soluzione pacifica ed
equa delle controversie di lavoro e a render così, in qualche misura, meno necessario il
ricorso agli scioperi e alle serrate; che introducevano l'assicurazione contro la
disoccupazione in modo da fornire ai senza lavoro un minimo di sostentamento; che
rimovevano lo spettro dell'ospizio per i poveri attraverso la previsione di pensioni e altre
misure assistenziali nei confronti dei lavoratori anziani.
Per proteggere gli investitori erano state poste delle norme che richiedevano onestà,
lealtà e pubblica divulgazione dei fatti nella compravendita dei titoli e nell'impiego del
denaro altrui; inoltre era stato stabilito un sistema di assicurazione federale dei depositi
bancari per tutelare i risparmi del cittadino comune. A vantaggio di talune industrie
d'interesse nazionale che si trovavano in difficoltà (così quelle del petrolio e del carbone
bituminoso), il Governo era intervenuto per riportare ordine e regolarità là dove
prevalevano solo il caos e la più spietata concorrenza. Queste industrie erano d'interesse
nazionale non solo a causa della grande quantità di capitale investitovi e del gran
numero di lavoratori in esse occupati, ma anche perché sfruttavano ricche risorse
naturali, necessarie alla vita quotidiana del popolo e alla difesa militare e navale del
paese.
Per salvare altre grandi risorse naturali dall'esaurimento e per accrescerle
nell'interesse di tutto il popolo americano, il nuovo Governo si era dedicato, fin dal
1933, a sviluppare intere regioni come la vallata del Tennessee; a trasformare l'energia
idrica in elettricità a buon mercato che la gente avrebbe usato nelle case, nelle botteghe,
nei fondi, con grandi costruzioni come quelle di Grand Coulee e Bonneville sul fiume
Columbia e in molti altri luoghi; a raccogliere le risorse nazionali di acqua e usarle per
l'irrigazione di terre aride con grandi dighe come a Fort Peck e con centinaia di dighe
minori e di serbatoi in tutto il paese; a preservare le foreste e il suolo e ad impedire le
inondazioni.
E per la protezione dei cittadini americani in generale, tra il 1933 e il 1937, erano
state adottate leggi dirette a salvare le case ipotecate dalle vendite giudiziarie; a fornire
di abitazioni decenti le famiglie a basso reddito; a favorire e a sostenere
finanziariamente la costruzione e la riparazione delle case private; a ridurre la
concorrenza sleale nel mondo degli affari; a proteggere i consumatori di energia
elettrica da tariffe inique e da altre pratiche oppressive; a metter fuori legge il lavoro dei
fanciulli; ad adempiere all'obbligo incombente sullo Stato di fornire cibo, abiti e rifugio
ai disoccupati bisognosi del paese, dando lavoro a coloro che non ne trovassero presso
le imprese private.
Queste e infinite altre attività da parte del Governo federale costituirono il nuovo
modo di affrontare i problemi che l'età industriale aveva posto ai centotrenta milioni di
abitanti degli Stati Uniti. Questo era il New Deal all'opera, il sistema per cui il popolo
aveva votato nel 1932 e ancora nel 1934.”
Fonte: Il pensiero politico dell'età di Roosevelt, a cura di F. Mancini, il Mulino,
Bologna 1962, pp. 69-72.
11. 8 In biblioteca
Di notevole interesse di J.B. DUROSELLE, Da Wilson a Roosevelt. La politica
estera degli Stati Uniti dal 1913 al 1945, il Mulino, Bologna 1963. Sullo stesso tema
W.E. LEUCHTENBERG, Roosevelt e il New Deal, Laterza, Bari 1968; A.M.
SCHLESINGER, L'età di Roosevelt, il Mulino, Bologna 1969. Per la crisi del 1929 si
legga di J.K. GALBRAITH, Il grande crollo. La crisi economica del 1929, Etas
Kompas, Milano 1966; M. STORACI, La crisi del '29, Zanichelli, Bologna 1983.
Cap. 12 Verso la Seconda guerra mondiale
Costatata la debolezza delle democrazie occidentali, Mussolini e Hitler allargarono
la loro attività dall'ambito della politica interna a quello della politica internazionale.
Il Giappone aveva dato virtuale inizio alla Seconda guerra mondiale con l'invasione
della Manciuria nel 1931 e con l'occupazione delle parti costiere della Cina nel 1937.
L'Italia di Mussolini anelava a riparare la "vittoria mutilata" della Prima guerra
mondiale, occupando l'Etiopia nel corso di una guerra che all'interno riscosse notevoli
consensi, e che all'estero non fu efficacemente contrastata, a eccezione delle blande
sanzioni della Società delle Nazioni.
Hitler approfittò della guerra d'Etiopia per denunciare il trattato di Versailles,
notificando ai vincitori che il suo paese non avrebbe pagato alcuna riparazione, poi
fece entrare il suo esercito in Renania senza reazioni da parte franco-britannica (marzo
1936).
A metà luglio 1936 in Spagna la situazione politica precipitò aprendo una lunga e
sanguinosa guerra civile. Mussolini e Hitler intervennero in misura massiccia a favore
dei nazionalisti spagnoli guidati da Franco, mentre al governo repubblicano arrivarono
gli aiuti di Stalin e le brigate internazionali sostenute dalle democrazie occidentali. Nel
marzo 1937 un corpo di spedizione italiano, forte di almeno quattro divisioni, fu
gravemente sconfitto a Guadalajara, segnando l'inizio di una crescente iniziativa da
parte di Hitler nella politica europea.
Il riarmo tedesco continuava senza ostacoli sul piano internazionale. Tra il marzo e
l'aprile 1938, Hitler occupò l'Austria, riducendola a provincia del Reich tedesco. Subito
dopo provocò in Cecoslovacchia la ribellione dei Sudeti: a settembre le potenze
occidentali capitolarono a Monaco, consegnandogli virtualmente quel paese. Nel 1939
fu sollevato il problema di Danzica e di Memel, due distretti abitati da numerosi
cittadini tedeschi. Nell'agosto 1939 Hitler strinse un patto di non aggressione con
l'URSS, e il 1° settembre attaccò la Polonia. Questa volta Francia e Gran Bretagna
mobilitarono l'esercito dichiarando guerra alla Germania, ma non avendo provveduto
al riarmo, dovettero limitarsi a guardare dalle loro fortificazioni i tedeschi che distruggevano in poche settimane la Polonia, insieme con l'esercito russo accorso per
assicurarsi la sua parte di bottino.
12. 1 La guerra d'Etiopia
Dopo gli incidenti di Ual Ual, gli ammassamenti di truppe in Eritrea e Somalia al
confine con l'Etiopia fecero capire al mondo che la guerra era vicina.
La preparazione diplomatica della guerra Nel gennaio 1935 Pierre Laval, ministro
degli esteri francese in visita a Roma, cedette una parte della Somalia francese e le
azioni investite dal suo paese nelle ferrovie abissine. In aprile, durante la conferenza di
Stresa, Anthony Eden, in rappresentanza del governo britannico, propose una
composizione del conflitto: agli etiopi il suo governo avrebbe ceduto un corridoio verso
il Mar Rosso attraverso il territorio della Somalia britannica se l'Etiopia cedeva all'Italia
una parte dell'Ogaden, abitato in prevalenza da eritrei. Nel corso delle trattative era
giunto in Eritrea un esercito di cinque divisioni regolari al comando del generale
Graziani e altre cinque di camicie nere al comando del generale De Bono, oltre alle due
divisioni di truppe coloniali di stanza in Eritrea. In luglio, nell'assemblea della Società
delle Nazioni la commissione di inchiesta affermò che né Etiopia, né Italia erano
responsabili degli incidenti di Ual Ual. Ad agosto ci fu un incontro tra Italia, Francia e
Gran Bretagna: fu proposto all'Italia di esercitare una sorta di protettorato economico
sull'intera regione, ma Mussolini decise la guerra.
Inizia la guerra La guerra iniziò il 3 ottobre 1935, movendo dall'Eritrea: il giorno 4 fu
occupata Adua; il 7 la Società delle Nazioni condannò l'aggressione italiana e votò
l'applicazione delle sanzioni economiche nei confronti del paese aggressore, ossia
nessun membro della Società delle Nazioni doveva vendere armi e materiali strategici
all'Italia. Tuttavia, petrolio, carbone, ferro e acciaio furono esclusi dalle sanzioni e non
fu chiuso il canale di Suez, attraverso il quale passavano i rifornimenti.
Termina la guerra d'Etiopia La Gran Bretagna inviò una squadra navale ad
Alessandria in Egitto. Hitler nel corso della stessa crisi approfittò delle incertezze della
politica estera britannica per inviare truppe nella Renania che doveva rimanere
smilitarizzata: era il 7 marzo 1936. Il nuovo avvenimento era ritenuto più grave
dell'invasione in Etiopia, perché accadeva al confine con la Francia, catalizzando
l'attenzione della politica internazionale. Mussolini poté godere così di maggiore
tranquillità: il 5 maggio le sue truppe entrarono in Addis Abeba e quattro giorni dopo
avvenne l'annessione dell'Etiopia all'impero italiano. I morti in guerra erano stati circa
1500, ma la pacificazione del paese costò molte altre perdite. I caduti etiopi furono
molto più numerosi.
Consenso dell'opinione pubblica italiana Per l'opinione pubblica italiana la conquista
dell'Etiopia era un grande successo. Noi sappiamo ora che le spese furono molto
superiori ai profitti; che era follia conquistare imperi proprio mentre altri imperi, meglio
fondati, si sgretolavano; che la corruzione e l'inefficienza del partito e della burocrazia
nelle colonie cominciavano a trapelare; che la guerra europea era affrettata anche da
quella crisi.
Fallimento delle sanzioni economiche Le sanzioni economiche potevano avere effetto
solo se tutti gli Stati si fossero astenuti dal commerciare col paese colpito dalle sanzioni:
ma in un mondo che aveva pochi acquirenti e in cui il sistema industriale conosceva una
crisi di sovraproduzione, ognuno si chiudeva nel suo egoismo trovando sempre società
di comodo per esportare i materiali ufficialmente interdetti. Le sanzioni economiche
votate dalla Società delle Nazioni contro l'Italia non ebbero alcun effetto.
Il programma di autarchia Mussolini lanciò un fantomatico programma di autarchia,
ossia produrre o sostituire tutto ciò che l'Italia non aveva ricorrendo alle risorse
nazionali. Si inventarono le automobili alimentate con carbone di legna; le donne sposate furono invitate a donare la loro fede nuziale allo Stato; il cotone fu sostituito con
fibre sintetiche; il tè e il caffè furono sostituiti col karkadé, un infuso di foglie che
venivano dall'Etiopia. Tuttavia, questi provvedimenti erano pretesti per tenere occupata
l'opinione pubblica. Per mettere in ginocchio l'Italia bastava tagliare il petrolio, il ferro,
il carbone e l'acciaio, o chiudere il canale di Suez. Mussolini comprese che le sanzioni
applicate in quel modo erano un salvagente tesogli dalle democrazie occidentali, ma
preferì l'alleanza con Hitler. A conti fatti, le sanzioni economiche contro l'Italia
sortirono l'effetto contrario a quello sperato, rafforzarono l'adesione degli italiani a
Mussolini. Questi si affrettò a stringere rapporti politici con Hitler, che lo indusse ad
assumere i suoi modi rozzi e perfino le tesi razziali che fino a quel momento non
avevano avuto un peso rilevante nell'ideologia fascista.
L'esercito tedesco in Renania Nel corso del 1936 Hitler fece il suo esordio nella
politica internazionale sfruttando da buon giocatore la situazione di incertezza creata
dall'intervento in Africa del dittatore italiano. Per tutto il 1935 Hitler aveva accelerato il
riarmo e la costruzione di opere pubbliche. L'anno dopo si convinse di poter iniziare la
soluzione dei problemi indicata in Mein Kampf: far risorgere il Reich tedesco,
cancellando l'onta del trattato di Versailles. La regione posta tra il Reno e il confine
francese non doveva esser presidiata dall'esercito: per l'ordine pubblico dovevano
bastare le ordinarie forze di polizia. Contro l'opinione dei militari, Hitler decise di
inviare truppe regolari. Scelse una giornata festiva perché si era convinto che i britannici
non avrebbero interrotto il loro week-end in campagna. Il 7 marzo alcuni reggimenti
rientrarono nelle caserme della Renania. Il governo francese non volle intraprendere
alcuna operazione senza l'assenso britannico. Il ministro degli esteri Bonnet volò a
Londra per consultazioni con il governo inglese. Questo non aveva lo stesso timore del
governo francese verso l'esercito tedesco. Chamberlain praticava una politica di pace a
tutti i costi e uscì con l'affermazione che "dopotutto i tedeschi erano entrati nel giardino
dietro casa loro". Hitler tirò un respiro di sollievo, i suoi generali più prudenti subirono
un'umiliazione, i tedeschi si riversarono nelle strade acclamando il loro dittatore,
Mussolini ebbe l'impressione che le disprezzate democrazie avessero fatto il loro tempo.
Conseguenze dell'operazione in Renania La crisi, dopo la fase acuta, si sgonfiò. Hitler
e Mussolini si convinsero di poter alzare la posta in gioco della futura crisi; le piccole
nazioni balcaniche diffidarono della protezione franco-inglese, ossia di due paesi che
provvedevano così malamente ai loro interessi; il consenso interno verso i regimi
dittatoriali si rafforzò.
12. 2 La crisi spagnola
La Spagna non aveva preso parte attiva alla Prima guerra mondiale, ma ne subì gli
effetti.
Il separatismo catalano Nel corso del conflitto la regione di nord-est, la Catalogna,
aveva sviluppato le industrie tessili e meccaniche, ma con l'industria si era sviluppato
anche un vivace movimento operaio raggruppato in due sindacati: la Confederación
Nacional del Trabajo (CNT) di ispirazione anarchica, e l'Unión General de
Trabajadores (UGT) di ispirazione socialista. La Catalogna, inoltre, era percorsa da un
tenace movimento separatista che aveva di mira l'autogoverno della regione. Il governo
centrale reprimeva, a volte ottusamente, le aspirazioni catalane, alienandosi anche quei
ceti che, per interessi economici, potevano essergli utili.
L'anarchismo spagnolo Il governo di Alfonso XIII (1902-1931) fu tragico. Nel 1909 a
Barcellona, la seconda città della Spagna, ci fu una settimana di violenze con venti
chiese e trenta conventi incendiati. Questo accanimento contro la Chiesa cattolica si
spiega con lo straordinario sviluppo del movimento anarchico che in Catalogna arrivò a
formare un partito con grande seguito popolare.
Origini dell'anarchismo L'anarchismo fu introdotto in Spagna da un italiano, Giuseppe
Fanelli, amico di Mazzini e Garibaldi, deputato al Parlamento italiano. A partire dal
1868 il Fanelli fondò in Spagna numerosi circoli anarchici e diresse la produzione di
abbondante stampa rivoluzionaria che trovò un ambiente favorevole. I suoi seguaci
cominciarono a distruggere gli obiettivi più facili, gli edifici di culto. L'anarchismo e il
socialismo si diffusero anche nel resto della Spagna, economicamente molto più povera
della Catalogna.
Braccianti e latifondisti La proprietà della terra rappresentava un altro problema.
Prevalevano gli enormi latifondi di proprietari assenteisti, coltivati da braccianti
poverissimi ingaggiati solo al tempo dei grandi lavori di semina e di raccolta. L'agricoltura era estensiva: prevalevano le coltivazioni della vite, dei cereali e l'allevamento di
pecore che non richiedono molta mano d'opera. Mancavano fertilizzanti, acqua per
l'irrigazione, strutture commerciali e industriali per valorizzare i prodotti, ossia
investimenti per modernizzare l'agricoltura. I braccianti aspiravano alla proprietà della
terra e prestavano ascolto alle promesse anarchiche e socialiste che spesso si
confondevano nella loro mente.
Sconfitte militari in Marocco Nel 1921 si aggiunse anche la sconfitta militare. Nel
Marocco spagnolo l'esercito fu umiliato dalla guerriglia nella regione del Rif, dove
morirono circa 12.000 soldati spagnoli. Ne seguì un'inchiesta parlamentare che non
pubblicò le risultanze, giudicate infamanti per la nazione. E così, dopo l'attacco contro
le strutture e il prestigio della Chiesa spagnola, rischiava di sgretolarsi anche l'altro
pilastro del governo centrale, l'esercito.
Pronunciamento dei militari L'opposizione di sinistra apparve all'esercito tanto
pericolosa che nel 1923, il generale Miguel Primo de Rivera, con un colpo di Stato,
assunse i pieni poteri. Con l'appoggio del re, decise di riprendere il controllo militare su
Barcellona, proclamandovi la legge marziale. Sciolse le Cortes (il parlamento),
introdusse la censura sulla stampa, abolì le giurie popolari nei tribunali. Primo de Rivera
ebbe pieni poteri fino al dicembre 1925, quando nominalmente la dittatura militare fu
abolita. In realtà, Primo de Rivera rimase a capo di un governo di soli militari come
primo ministro. La situazione del Marocco fu stabilizzata con l'aiuto francese nel 1927.
Anche in campo sociale Primo de Rivera tentò la mediazione tra industriali e operai, ma
con scarsi risultati. A Ciudad Real ci fu una rivolta di militari nel 1929 e il governo si
vide costretto a chiudere le università per disperdere gli studenti e i professori
progressisti. Nel 1930, malandato in salute, il generale Primo de Rivera dette le
dimissioni e poco dopo morì.
Difficile ritorno alla democrazia Divenne primo ministro il generale Berenguer che
tentò una politica di pacificazione sociale concedendo un'amnistia; poi sciolse
l'assemblea del predecessore e indisse nuove elezioni. I provvedimenti non ebbero
l'effetto sperato: l'opposizione si scagliò contro il re, mentre i progetti repubblicani di
socialisti e anarchici acquistarono rilievo non appena fu abolita la censura nel settembre
1930. Alfonso XIII indisse le elezioni amministrative per il 1931.
La repubblica spagnola Le elezioni comunali poterono aver luogo solo nell'aprile e
furono vinte dai repubblicani guidati da Alcalà Zamora. Il re non volle abbandonare il
paese nonostante che Alcalà Zamora avesse costituito un governo provvisorio che nel
giugno indisse le elezioni politiche per eleggere un'Assemblea costituente col compito
di redigere una nuova costituzione. Anche in quest'assemblea la maggioranza era
chiaramente repubblicana. In novembre uno speciale comitato accusò Alfonso XIII di
tradimento e inviò il re in esilio.
Separazione tra Chiesa e Stato Fu abolito il Senato e si stabilì che le Cortes fossero
elette a suffragio universale ogni quattro anni. Il presidente della repubblica restava in
carica sei anni ed era eletto da un collegio elettorale formato per metà dai deputati delle
Cortes e per l'altra metà da grandi elettori nominati mediante elezioni popolari. Ai preti
e agli ufficiali fu vietata l'eleggibilità a presidente della repubblica. Fu proclamata la
libertà per tutti i culti e la separazione tra Chiesa e Stato. Ma i provvedimenti più
radicali furono l'abolizione delle scuole cattoliche e la confisca del patrimonio ecclesiastico, due decisioni particolarmente gravi perché non esistevano nel paese scuole
pubbliche di buona qualità, e perché non fu previsto alcun aiuto per il sostentamento del
clero. Infine furono colpiti i Gesuiti il cui Ordine fu proibito in Spagna: evidentemente
era ritenuto il più forte pilastro della Chiesa spagnola.
Nazionalizzazioni e riforme Il nuovo governo venne incontro alle attese popolari con
la confisca dei patrimoni terrieri e con la nazionalizzazione dei servizi pubblici di
trasporto: sembrava che la repubblica volesse dare alla Spagna l'assetto di uno Stato
socialista.
Cresce la tensione politica Il presidente provvisorio Alcalà Zamora non era
personalmente favorevole ai provvedimenti citati, soprattutto a quelli eversivi nei
confronti della Chiesa cattolica: a ottobre di dimise, ma nel dicembre 1931 fu rieletto
presidente. Il suo primo ministro Manuel Azaña si trovò a combattere contro una
sinistra e una destra quanto mai radicali. Nell'agosto 1932 l'esercito si pronunciò con
l'insurrezione a Siviglia del generale Sanjurjo che cercava di coalizzare le opposizioni di
destra contro il governo di Azaña, ma Sanjurjo fu battuto da truppe fedeli al governo.
Nel gennaio 1933 gli anarchici attuarono la sollevazione di Barcellona, mentre i
socialisti organizzarono scioperi di solidarietà. Azaña dovette ancora una volta impiegare le truppe per sedare la rivolta, ma così facendo perdette il potente appoggio di
socialisti e anarchici; in seguito dovette concedere l'autonomia alla Catalogna che ebbe
bandiera, presidente e Parlamento regionale. L'esempio fu seguito dai Paesi Baschi, le
tre province pirenaiche di Vitoria, Alava, Guipuzcoa col grande centro minerario di
Bilbao.
Nuove elezioni Nel settembre 1933 Azaña fu costretto alle dimissioni e nel novembre ci
furono le elezioni. I partiti di sinistra ebbero il 20% dei seggi alle Cortes, mentre i
partiti di destra guadagnarono il 44% dei seggi. Le coalizioni di governo che succedettero all'Azaña furono molto deboli. Una nuova insurrezione anarchica
nel
dicembre 1933 fu domata solo dopo dieci giorni di combattimento. Le elezioni del
gennaio 1934 in Catalogna furono vinte dal cartello delle sinistre, in lotta col governo
centrale di orientamento opposto. In aprile e poi ancora a ottobre ci furono scioperi
generali a Barcellona per protestare contro il governo centrale.
L'indipendenza della Catalogna Il 6 ottobre la Catalogna si proclamò indipendente. Il
governo centrale di Madrid reagì con la sospensione dello statuto di autonomia
regionale e con l'invio di truppe. Nelle Asturie, la regione mineraria del nord ovest, il
partito comunista aveva proclamato un nuovo Stato secessionista, anch'esso
riconquistato con le truppe inviate dal governo centrale. Ci furono circa 3000 morti e
70.000 feriti nel corso della campagna militare, condotta con truppe richiamate
dall'Africa.
Scontro tra destra e sinistra Il governo, che assunse la responsabilità dei fatti, era
sostenuto dai monarchici e dal partito di Azione Popolare, di ispirazione autoritaria,
contrario alle leggi del 1931 e del 1933 (abolizione delle scuole cattoliche e confisca dei
beni della Chiesa). Il partito era guidato da Gil Robles che si ispirava ai partiti giunti al
potere in Italia e in Germania. Nel marzo 1935, Gil Robles e i suoi sostenitori lasciarono
il governo in segno di protesta contro l'amnistia a favore di 19 minatori asturiani
condannati a morte. L'avversione dimostrata contro il perdono giudiziario guadagnò
simpatie alla causa della sinistra. Il governo durò fino al settembre 1935 seguito da una
serie di deboli coalizioni di centro-destra.
Vittoria del fronte popolare Le elezioni delle Cortes, da tenersi nel febbraio 1936,
furono l'occasione per lo scontro definitivo tra destra e sinistra. Da una parte c'era la
politica sociale a favore dei lavoratori, la prosecuzione della politica anticlericale e la
restaurazione delle autonomie catalana e basca, ossia il programma di repubblicani,
socialisti, comunisti e anarchici che si presentarono alle elezioni sotto il nome di Fronte
Popolare; dall'altra parte c'era un programma politico opposto sostenuto da
conservatori, monarchici, repubblicani moderati e Azione Popolare.
Azaña presidente della repubblica La promessa di un'amnistia generale fece vincere
le elezioni al Fronte Popolare. Azaña formò il nuovo governo, concesse l'amnistia a
tutti gli scioperanti e preparò i piani per la restituzione delle autonomie catalana e basca.
In aprile Alcalà Zamora fu esonerato dal suo ufficio di presidente delle Cortes e a
maggio Azaña fu eletto presidente della repubblica spagnola.
Inizia la guerra civile Il paese fu gettato nel disordine dal ripristino delle misure
anticlericali, dall'invito fatto ai braccianti di occupare le terre dei latifondi e dagli
scioperi che dilagavano ovunque. Azaña aveva in mente di proclamare una dittatura per
ripristinare l'ordine, ma fu preceduto da una sollevazione di militari cominciata nel
Marocco spagnolo e proseguita dalle truppe di stanza a Cadice, Siviglia e altre città
della Spagna.
12. 3 Guerra civile e brigate internazionali
Francisco Franco era un giovane generale di Galizia, freddo e prudente. C'erano altri
generali più prestigiosi come Sanjurjo che aveva guidato il pronunciamento del 1932,
ma costui morì in un incidente aereo all'inizio del conflitto. Poi c'era il generale Mola
che si dette molto da fare nei primi tempi della rivolta, ma appariva ambiguo dal punto
di vista politico. Franco, invece, dimostrò qualità politiche unite a pazienza, tattica,
conoscenza della situazione e notevole opportunismo.
Sollevazione del Marocco Il 17 luglio 1936 i comandanti del Marocco spagnolo
annunciarono la loro sollevazione. Franco li raggiunse dalle isole Canarie, dove era
stato relegato dal governo di Azaña. Il giorno dopo la sollevazione si estese al
continente spagnolo. I ribelli avevano in mente uno degli abituali pronunciamenti che
preludevano i cambi di governo.
Le forze contrapposte Se questo era il pensiero di Franco, egli si sbagliò. Infatti, tutti
gli spagnoli presero una decisione in linea coi loro convincimenti. La CNT, il sindacato
di ispirazione anarchica, prese le armi e massacrò i ribelli di Barcellona. A Madrid il
governo repubblicano distribuì le armi agli operai della UGT, il sindacato socialista, che
circondò la Caserma della Montagna, massacrando i soldati ribelli. Alla fine del mese di
luglio la Spagna si trovò divisa in due parti: il nord, meno i Paesi Baschi e Santander,
era in mano ai nazionalisti di Franco; l'est e il sud, meno Cadice, Siviglia, Cordova e
Granada, erano in mano ai repubblicani. Le forze erano pressoché uguali; poiché
nessuno era disposto a cedere, furono cercati aiuti all'estero. Occorre aggiungere che le
tre città più importanti di Madrid, Barcellona e Valencia con le regioni industrializzate
della Catalogna e dei Paesi Baschi rimasero in mano ai repubblicani. Franco poteva
contare sull'appoggio di un esiguo numero di fascisti spagnoli; i repubblicani erano
aiutati dai comunisti.
Franco chiede aiuto a Italia e Germania La sollevazione popolare sconcertò Franco,
che per tenere in vita la rivolta dovette ricorrere all'aiuto determinante di Mussolini e
Hitler, affermando che la sua lotta era diretta principalmente contro il comunismo. È
opportuno ricordare che i comunisti spagnoli non erano il gruppo di maggioranza tra i
repubblicani: i socialisti e gli anarchici formavano partiti più forti.
Reazione delle democrazie occidentali Franco non aveva aviazione e marina: subito i
due dittatori gli misero a disposizione aerei e navi per varcare lo stretto di Gibilterra.
L’aiuto così prontamente offerto a Franco convinse i governi di Francia, Gran Bretagna
e USA che la ribellione di Franco era un altro anello della congiura fascista per la
conquista d'Europa. Molti democratici europei che non amavano le dittature, che
provavano orrore per la cinica invasione dell'Etiopia e per l'occupazione militare della
Renania, pensarono che si dovesse fare qualcosa contro il fascismo. Tra i popoli ancora
liberi si fecero collette per acquistare armi e medicinali per i repubblicani, i quali si
rivolsero ai governi di Francia e Gran Bretagna per avere aiuti più consistenti, sperando
soprattutto nel governo francese guidato da Léon Blum, a capo di una coalizione di
Fronte Popolare simile a quella che reggeva il governo di Madrid. Ma la Gran Bretagna,
non avendo intenzione di farsi coinvolgere in un conflitto europeo, propose la creazione
di un Comitato di non intervento internazionale, con rappresentanti di tutti i paesi
interessati al conflitto, anche Italia e Germania. La proposta fu accettata, ma altrettanto
prontamente boicottata, specialmente da Mussolini, che affermò di non poter "impedire"
l'afflusso di volontari sul fronte spagnolo. I repubblicani dovettero perciò rivolgersi
all'unico paese disposto ad aiutarli, all'URSS che chiese di custodire il tesoro della
Banca centrale spagnola, trasferito in Russia, in conto pagamento di armi e viveri.
Franco poté allora chiedere un analogo intervento ufficiale ai dittatori. Mussolini inviò
almeno 70.000 uomini dell'esercito regolare e delle camicie nere, con armi e provviste;
Hitler inviò un'intera armata aerea, la Legione Condor, che sperimentò sul campo aerei
e piloti.
L'intervento russo L'intervento sovietico è quanto mai significativo. Stalin sapeva che
il suo regime era ugualmente avversato sia dalle potenze occidentali sia dalle dittature
italiana e tedesca. Ritenne di non poter correre il rischio di rimanere isolato nel corso di
un probabile conflitto mondiale e perciò si accostò a Gran Bretagna, Francia e USA che
parteggiavano per i repubblicani. Si fece pagare bene e inviò gli aiuti col contagocce,
giusto quanto bastava per mantenere in vita il conflitto, in attesa di eventi nuovi. Inoltre
obbligò i partiti comunisti dei paesi occidentali a entrare in governi di coalizione
antifascista che presero il nome di Fronte Popolare, anche a costo di perdere l'adesione
di qualche militante che vedeva messa da parte la dottrina della dittatura del proletariato
e della lotta di classe contro la borghesia.
L'intervento tedesco L'intervento di Hitler, oltre agli scopi tecnico-militari accennati,
nascondeva il desiderio di distrarre Mussolini dalla sua politica centroeuropea in difesa
dell'Austria. Della Spagna non gli importava nulla perché permise alle fabbriche di armi
tedesche di fare buoni affari anche con i repubblicani.
L'intervento italiano L'intervento di Mussolini è più complesso. Egli credeva di aver
militarizzato gli italiani i quali, secondo lui, erano desiderosi di battersi, e che una
Spagna fascista avrebbe favorito l'egemonia italiana nel Mediterraneo. La guerra fu
combattuta con accanimento da entrambe le parti.
Le brigate internazionali I nazionalisti, partendo da sud e da nord, tentarono una prima
grande offensiva su Madrid nel novembre 1936: in caso di successo, essa avrebbe posto
termine alla guerra. Franco e i suoi generali non avevano previsto la disperata resistenza
che seppero opporre i repubblicani e i comunisti. Un altro fattore importante furono le
Brigate internazionali, formate a Parigi sotto la supervisione di Josip Broz, un
comunista jugoslavo che si faceva chiamare maresciallo Tito, esperto in guerriglia, e
che più tardi arriverà al potere nel suo paese. C'erano russi, italiani, polacchi, inglesi,
americani, tedeschi ecc. Molti erano idealisti che odiavano il fascismo, altri erano
avventurieri. Erano accolti come liberatori, ubriacati dal forte vino spagnolo e poi
inviati all'assalto: in alcuni casi, dopo il primo giorno di combattimento la brigata aveva
perso metà degli effettivi. Le perdite sul fronte franchista non erano inferiori. La città di
Madrid fu occupata solo per un piccolo tratto e in seguito il fronte rimase in posizione
di stallo per quasi tre anni.
La battaglia di Guadalajara Di particolare importanza, nel marzo 1937, fu la battaglia
di Guadalajara che il corpo di spedizione italiano tentò a ranghi riuniti nella speranza di
una clamorosa conquista di Madrid. Almeno quattro divisioni furono bloccate e poi
costrette al ritiro da non più di 2500 brigatisti internazionali. Guadalajara rappresentò la
prima sconfitta del fascismo e l'inizio del successo politico di Franco che poté
ricondurre la guerra a fatto interno della nazione spagnola.
La guerra langue Sembrava che si ripetesse la vicenda della prima guerra mondiale:
lunghi sistemi di trincee e guerra di posizione che mirava al logoramento degli
avversari. Il fatto nuovo erano i bombardamenti che preludevano quelli della Seconda
guerra mondiale, spesso condotti ai danni della popolazione civile.
Carattere del fascismo spagnolo Franco era stato nominato capo dello Stato spagnolo
nazionalista il 1° ottobre 1936 con capitale Burgos. Lo stile della vita civile era quello
fascista, ma personalmente Franco era un pragmatico in grado di non farsi sopraffare dal
movimento della Falange, rumorosa ma abbastanza inefficiente.
Il terrore repubblicano I repubblicani intensificarono il ricorso al terrore. Tutti i
vescovi dei territori da loro controllati furono uccisi e così i preti e i religiosi che non
riuscirono a nascondersi. Le case erano perquisite e gli uomini che non potevano
giustificare il fatto di non essere al fronte erano fucilati. La popolazione civile soffriva
per la mancanza di cibo e vestiario, per i bombardamenti e per l'insicurezza.
Evoluzione della politica di Stalin Dopo l'infelice accordo di Monaco (settembre
1938), Stalin capì che Francia e Gran Bretagna non sarebbero intervenute a favore
dell'URSS se Hitler avesse deciso di attaccarla: perciò nell'agosto del 1939 decise di
firmare un trattato di non aggressione tra l'URSS e la Germania che segnò l'inizio della
Seconda guerra mondiale. Il suo interesse per la guerra civile spagnola cessò: molti
volontari aprirono gli occhi sulla vera natura della guerra e della politica dell'URSS.
Crollo della repubblica Le armate della repubblica che avevano resistito con tanta
ostinazione infliggendo cocenti sconfitte ai nazionalisti, cominciarono a gettare le armi.
Franco, alla fine, dopo aver ceduto alla Germania buona parte della produzione di ferro
della regione basca, ebbe sufficienti mezzi per condurre l'offensiva finale. Nel gennaio
1939, Barcellona, la città terrorizzata dagli anarchici, cadde, e mezzo milione di persone
fuggì in Francia. Il governo repubblicano si trasferì in un luogo vicino alla frontiera
francese per avere una via di scampo. In marzo anche Madrid fu conquistata.
I danni della guerra civile I morti furono almeno 600.000; il paese appariva distrutto e
in preda alle vendette di parte; l'oro della Banca nazionale rimase per sempre
nell'URSS; la produzione di ferro era stata ceduta per pagare i debiti contratti in Germania; la marina mercantile risultava dispersa o affondata; le principali città apparivano
semidistrutte; la povertà era massima. La Spagna era stata impiegata come campo di un
immenso esperimento bellico. Quando le ferite della guerra civile erano ancora aperte,
anche l'Europa precipitò nel baratro della più difficile guerra della sua storia.
Isolamento politico della Spagna Franco smorzò i toni più accesi della lotta politica,
riuscendo a tener fuori dalla Seconda guerra mondiale il suo paese, ma a costo di un
isolamento internazionale che si protrasse a lungo, anche dopo la fine del conflitto
mondiale. Il suo potere assoluto, la proibizione dell'attività dei partiti politici, delle
elezioni e del Parlamento al modo occidentale; il suo rigido centralismo che si opponeva
ai desideri di autonomia regionale, se appare giustificato, non favorì il reinserimento
della Spagna nell'Europa del difficile dopoguerra. Certamente il merito maggiore di
Franco va indicato nell'essere riuscito a ridurre le tensioni autodistruttive accumulate
dalla Spagna nel XX secolo.
12. 4 I nazisti occupano l'Austria
L'Austria risultò la più infelice creazione dei trattati di Versailles: un piccolo paese
di circa 84.000 Kmq; una popolazione di 8 milioni di abitanti; una testa sproporzionata,
Vienna, di quasi due milioni di abitanti, in prevalenza operai socialisti, mentre il resto
del paese risultava formato da una popolazione tradizionalista, politicamente moderata,
dedita in prevalenza all'agricoltura. La storia sembrava essersi fermata a quel fatale
1918 che aveva visto la caduta della più antica dinastia d'Europa, amata dai sudditi
perché, bene o male, li rappresentava tutti.
La repubblica austriaca Vienna aveva alcune industrie, ma la parte più importante del
settore industriale apparteneva a un altro Stato, la Cecoslovacchia. L'Austria si era
ridotta da grande potenza a una piccola pittoresca regione alpina. L'unico modo per
rientrare nella grande politica era l'annessione alla Germania e fin dal 1919 era questa
l'aspirazione politica di molti suoi cittadini, ma era proprio quanto proibiva il trattato di
Saint Germain, sottoscritto dall'Assemblea costituente il 10 settembre di quell'anno. Fu
scelta la forma repubblicana con un presidente che aveva poteri ridotti e un Parlamento
con rappresentanza proporzionale. La repubblica era federale, ossia ogni Land aveva
notevole autonomia.
Difficoltà economiche La situazione economica era disastrosa; Vienna era piena di
rifugiati e dovette chiedere aiuto alla Società delle Nazioni per assisterli. L'inflazione
appariva inarrestabile come quella tedesca. Nel maggio 1922 divenne cancelliere Ignaz
Seipel, del partito cristiano-sociale, che affrontò il compito di risanare l'economia. Per
avere un prestito della Società delle Nazioni, dovette impegnarsi ad attuare una politica
di tagli della spesa pubblica, ossia licenziare circa 100.000 impiegati statali. Seipel
rimase al potere fino al 1929, guidando una coalizione di cristiano-sociali e di
nazionalisti che rinunciarono alla riunificazione con la Germania in cambio di garanzie
economiche e di una decisa opposizione ai comunisti.
Formazioni paramilitari Il Land di Vienna, sempre in mano ai socialisti, si era dato
ordinamenti sociali piuttosto avanzati, in contrasto con l'economia di sussistenza che si
praticava nel resto del paese. Destra e sinistra finirono per scontrarsi, dando vita a
formazioni paramilitari, con uniformi, bandiere, inni ecc.: la destra organizzò la
Heimwehr; la sinistra la Schutzbund.
Insurrezione di Vienna Nel 1927 ci furono incidenti gravi: l'uccisione di due socialisti
e il successivo rilascio di tre terroristi di destra fece insorgere i socialisti viennesi. Ci
furono 85 morti e centinaia di feriti, con uno sciopero generale represso dall'esercito.
Nel 1928 la Heimwehr assunse il compito di schiacciare qualunque tentativo di dittatura
del proletariato. Seipel fu costretto alle dimissioni nel 1929 e i suoi successori non
ebbero più il controllo della situazione. La Heimwehr minacciò la marcia su Vienna,
ebbe aiuti da Mussolini e annunciò che aveva di mira il ripudio della democrazia e del
Parlamento. La grande depressione tra il 1929 e il 1933 condusse alla formazione di
governi sempre più deboli.
Governo Dollfuss Nel 1932, Engelbert Dollfuss, un cristiano-democratico, formò il
nuovo governo che aveva in programma di bandire le formazioni paramilitari, sia di
destra sia di sinistra. Hitler, da poco giunto al potere, reagì al tentativo di stabilizzare
l'Austria. La maggioranza di cui Dollfuss disponeva era esigua e perciò sciolse il
Parlamento per far approntare una nuova Costituzione: nel frattempo decise di
governare mediante decreti-legge. Per crearsi un seguito promosse nuove formazioni
paramilitari sotto il nome di "Fronte patriottico" e mediante trattative segrete con
Mussolini, preparò i piani per un colpo di Stato che doveva seguire il modello fascista.
Nuova sollevazione di Vienna I suoi piani andarono in fumo. Nel febbraio 1934 ordinò
il rastrellamento delle armi in mano agli operai di Linz, ma i socialisti sfidarono il
governo proclamando la resistenza attiva. A Vienna un quartiere operaio fu bombardato:
ci fu battaglia per tre giorni con almeno 300 morti. Molti socialisti furono arrestati e il
partito socialdemocratico fu dichiarato fuori legge. Il 1° maggio fu promulgata la nuova
costituzione che prevedeva ampi poteri per il cancelliere e un'organizzazione
dell'economia di tipo corporativo come in Italia.
Assassinio di Dollfuss Nel luglio 1934 Dollfuss fu assassinato da nazisti che furono
sconfessati quando il movimento di truppe italiane convinse Hitler che i tempi erano
prematuri. Pochi giorni dopo fu formato un governo simile al precedente presieduto da
Kurt Schuschnigg. Costui fu angustiato da ricorrenti disordini promossi da nazisti
austriaci che prendevano ordini da Hitler. Schuschnigg tentò un avvicinamento alla
Cecoslovacchia e all'Ungheria, facendo ancor più infuriare Hitler e i nazisti austriaci.
Intervento di Hitler in Austria Il 12 febbraio 1938 ci fu l'incontro a Berchtesgaden,
condotto in modo spietato da Hitler che ricorse a minacce fisiche e all'immediata
occupazione dell'Austria se Seyss-Inquart, il capo dei nazisti austriaci, non fosse stato
nominato ministro degli interni. Ormai consapevole che tutto stava per andare perduto,
il 9 marzo Schuschnigg propose alla radio un plebiscito entro tre giorni: ossia chiedere
agli austriaci se volevano un'Austria indipendente o se preferivano il regime hitleriano.
Hitler ebbe uno dei suoi accessi di collera: incaricò Göring di condurre le cose in modo
da evitare il referendum, far nominare Seyss-Inquart cancelliere e invadere l'Austria.
Così avvenne il 13 marzo; il 10 aprile il 99% degli austriaci, sotto la minaccia nazista,
votò l'Anschluss al Reich tedesco. Il primo colpo di Hitler fu condotto con la violenza,
con le minacce e con un minimo di legalismo ipocrita che doveva coprire il fatto
compiuto. Gli oppositori furono incarcerati, le leggi antisemite prontamente applicate, i
sindacati disciolti e iniziarono ampi programmi di lavori pubblici per salvare la regione
dalla fame.
12. 5 I Sudeti e la Cecoslovacchia
La Cecoslovacchia non fu trattata dai vincitori della Prima guerra mondiale come
l'Austria. Anzi, doveva essere in qualche modo lo Stato forte che da est faceva la
guardia alla Germania. Grave fu perciò l'abbandono delle garanzie militari promesse
alla Cecoslovacchia.
Caratteristiche della Cecoslovacchia Il nuovo Stato appariva composito: aveva la
parte più ricca dell'ex impero absburgico, la Boemia, ma anche la più povera, la
Slovacchia. C'erano anche differenze religiose: la Boemia era protestante, la Slovacchia
cattolica. Esistevano altre rilevanti minoranze etniche: più di 3 milioni di tedeschi a sud
e a ovest della Boemia; mezzo milione di ruteni (Ucraini) e 1 milione di ungheresi a sud
della Slovacchia. Infine un distretto abitato da polacchi (Teschen) e numerosi ebrei.
Masaryk e Benes La Cecoslovacchia ebbe due grandi leader: Thomas Masaryk,
presidente della repubblica, ed Eduard Benes, ministro degli esteri fecero del loro paese
l'unico dell'Europa orientale governato da un'autentica democrazia parlamentare, senza
problemi agrari, perché i contadini erano liberi proprietari.
Problemi etnici La costituzione prevedeva un capo dello Stato che durava in carica 7
anni e poteva scegliere e dimettere i ministri. Masaryk rimase in carica come presidente
fino alla sua morte avvenuta nel 1935. Gli successe Benes. Il problema più grave era
rappresentato dalle minoranze etniche. La lingua ceca era la lingua ufficiale, ma nei
tribunali e nelle scuole si poteva parlare la propria lingua se gli interessati arrivavano al
20% di tutta la popolazione di un territorio. I cittadini di lingua tedesca e ungherese
lamentavano il fatto che l'area geografica in cui si poteva utilizzare la lingua madre era
stata ristretta dal censimento, e che erano discriminati dai posti di maggiore responsabilità i non-cechi. Nel 1927 il paese fu diviso in quattro regioni: Boemia, SlesiaMoravia, Slovacchia e Rutenia, aventi ciascuna un proprio governatore e un Parlamento
provinciale, ma il problema non era stato risolto.
Depressione economica dopo il 1929 La grande depressione degli anni dopo il 1929
condusse alla rovina il piccolo Stato: nell'area nord-occidentale era concentrata tutta
l'industria e la popolazione di lingua tedesca che di conseguenza fu la più colpita dalla
disoccupazione. Dopo il 1930 i Sudeti dettero vita a un partito nazista che mirava
all'annessione alla Germania. Nel 1932 il governo tentò di usare le maniere forti
imprigionando alcuni capi; seguirono proteste e manifestazioni violente. Nel 1935, alle
elezioni il partito dei sudeti tedeschi ebbe 44 seggi in Parlamento, diventando il secondo
partito, guidato da un nazista senza scrupoli come Konrad Henlein che, aizzato da
Hitler, aumentava la posta delle richieste col fine dichiarato di rendere impossibile il
loro accoglimento. Anche le altre minoranze etniche seguirono la stessa tattica,
conducendo alla rovina la Cecoslovacchia.
Politica estera della Cecoslovacchia La politica estera cecoslovacca tra le due guerre
fu esemplare, nonostante la gravità dei problemi da affrontare. Esisteva un sordo
conflitto con la Polonia per il distretto minerario di Teschen: anche quando fu risolto
mediante arbitrato, i rapporti politici non migliorarono. La responsabilità di questo fatto
va attribuita a Pilsudski. La Cecoslovacchia strinse un patto di mutua difesa con la
Francia nel 1925, per difendersi dalla parte della Germania. Contro il ritorno degli
Absburgo e a difesa contro l'Ungheria, nel 1921 fu promossa la cosiddetta "Piccola
intesa" tra Cecoslovacchia, Jugoslavia e Romania, che nel 1933 ricevette un Consiglio
permanente e un segretariato generale per coordinare la politica estera dei tre paesi.
L'avvento al potere di Hitler distrusse quel sistema. Nel 1935 la Cecoslovacchia strinse
un accordo con l'URSS di assistenza in caso di aggressione tedesca che sarebbe scattato
solo se interveniva anche la Francia.
Aumentano le provocazioni naziste Le violente dimostrazioni guidate da Henlein
aumentavano. Il 20 febbraio 1938 Hitler promise aiuto alle minoranze tedesche fuori del
Reich. Il 24 marzo 1938, al congresso del partito nazista dei Sudeti, Henlein avanzò otto
richieste al governo cecoslovacco, che di fatto equivalevano all'indipendenza assoluta
dei Sudeti. Benes chiese assistenza ai governi di Francia e Gran Bretagna che gli
consigliarono di ceder quanto più poteva per salvare la pace. Benes non poté accettare
proposte che equivalevano allo smantellamento dello Stato cecoslovacco, alla perdita
delle zone industriali e a ogni possibilità di difesa militare. Rispose che poteva
concedere ai Sudeti l'autonomia all'interno di uno Stato federale e impieghi pubblici in
proporzione all'entità numerica delle minoranze etniche. Poi mobilitò una parte
dell'esercito a seguito di false voci circa l'ammassamento di truppe tedesche ai confini.
A questo punto Hitler proclamò la sua decisione di schiacciare la Cecoslovacchia non
più tardi del 1° ottobre 1938.
La capitolazione di Monaco Nell'estate Hitler fece proseguire le agitazioni dei Sudeti
per la separazione, mentre la diplomazia occidentale si affannava a trovare la soluzione
di un problema artificioso creato da Hitler. A settembre la crisi giunse al culmine. A
Norimberga, dove ogni anno si svolgeva il lugubre rito delle adunanze naziste, Hitler
chiese l'autodeterminazione dei Sudeti, ossia il loro congiungimento col Reich. I tumulti
aumentavano e perciò fu proclamata la legge marziale. Henlein si rifugiò in Germania;
la propaganda nazista inventò atrocità inesistenti: tutti pensavano che le clausole dei
trattati che prevedevano l'intervento di URSS e Francia sarebbero scattate. Chamberlain
prese l'aereo per la prima volta in vita sua e volò due volte in Germania per placare
Hitler a forza di concessioni, che il suo governo doveva far digerire alla
Cecoslovacchia. Le richieste di Hitler furono l'immediata cessione delle aree a
predominanza tedesca con tutte le strutture militari e industriali intatte; evacuazione dei
non tedeschi da queste aree da portare a termine tra il 1° e il 10 ottobre, senza nulla
asportare, neppure il bestiame; plebisciti nelle altre aree in cui c'erano tedeschi. Gran
Bretagna e Francia avrebbero garantito ciò che rimaneva della Cecoslovacchia.
Germania e Italia si sarebbero unite a tali garanzie quando fosse stato risolto il problema
delle minoranze polacca e ungherese. I governi di Gran Bretagna e Francia obbligarono
Benes ad accettare e così si arrivò alla farsa di Monaco, il convegno dal quale furono
esclusi i rappresentanti cecoslovacchi e russi, mentre Mussolini si presentò come latore
di una proposta propria, in realtà preparata da Hitler.
Smembramento della Cecoslovacchia Monaco fu la più grave sconfitta delle
democrazie occidentali. L'alleato più fedele fu privato di 5 milioni di abitanti e di quasi
tutto il suo apparato industriale. La Polonia ebbe il distretto di Teschen, l'Ungheria ebbe
la Slovacchia meridionale. Benes si dimise il 5 ottobre da presidente. Il nuovo governo
concesse l'autonomia alla Slovacchia e alla Rutenia che assunse il nuovo nome di
Ucraina Carpatica. Il nuovo Stato così mutilato ebbe come presidente Emil Hacha e
primo ministro Rudolf Beren che si impegnarono a combattere il comunismo e a
introdurre la legislazione antisemita.
Fine della Cecoslovacchia L'ultimo atto della tragedia cecoslovacca maturò poco dopo.
Il 9 marzo 1939 il governo di Praga fece dimettere il primo ministro della Slovacchia
Tiso perché stava per proclamare l'indipendenza di quella regione. Truppe furono
inviate a Bratislava, ma gli slovacchi chiesero aiuto a Hitler. Il presidente fu convocato
a Berlino il 15 marzo e coi metodi che avevano piegato Schuschnigg, venne costretto a
diramare un comunicato con l'ordine alle truppe di deporre le armi. Poco dopo arrivarono le truppe di Hitler che proclamarono il protettorato di Boemia e Moravia,
l'indipendenza della Slovacchia e l'occupazione della Rutenia da parte dell'Ungheria. La
marcia di Hitler sembrava inarrestabile e la rassegnazione delle potenze occidentali infinita. Ma a questo punto la pazienza di Chamberlain ebbe termine.
12. 6 La Polonia
La Polonia è un paese difficile, non molto amato dai vicini che nei due secoli passati
l'hanno smembrata quattro volte: ha il difetto di non presentare confini ben definiti e di
aver avuto un passato di grande nazione.
La repubblica di Polonia Il 3 novembre 1918 fu proclamata la repubblica, ma in modo
confuso, perché esisteva un governo in esilio a Parigi. Nel gennaio 1919 il maresciallo
Joseph Pilsudski fu nominato presidente provvisorio con Paderewski primo ministro e
ministro degli esteri. La costituzione prevedeva un Parlamento dotato di ampi poteri nei
confronti del potere esecutivo. Poiché Pilsudski aveva un passato di socialista
rivoluzionario, si temeva che potesse proclamare una dittatura e perciò i poteri del
presidente furono ridotti (non aveva il potere di sciogliere il Parlamento). Pilsudski
rinunciò alla carica e la costituzione attribuì i poteri presidenziali al Senato che doveva
vigilare sulla costituzionalità delle leggi. Uno dei primi atti del Parlamento fu la
riduzione dell'estensione massima della proprietà agraria.
Problemi economici e instabilità politica L'inflazione in Polonia nei primi anni di
indipendenza fu simile a quella tedesca. I governi si succedevano con eccessiva
frequenza: tra il 1919 e il 1926 ce ne furono tredici. Negli ambienti militari si aveva
l'impressione che la democrazia creasse più problemi di quelli che risolveva.
Colpo di Stato di Pilsudski Nel 1926 Pilsudski riprese il potere. Dopo aver lasciato la
presidenza della repubblica era stato capo di stato maggiore dell'esercito fino al 1923,
quando si dimise per contrasti con Witos, leader del Partito dei contadini. Anche da
cittadino privato aveva conservato un grande ascendente nell'esercito. Attaccò Witos e
poi si mise al comando di tre reggimenti che occuparono Varsavia. Witos ordinò la resistenza, ma i soldati passarono dalla parte di Pilsudski. Nel 1926 Witos si dimise e da
quel momento, fino alla morte avvenuta nel 1935, Pilsudski di fatto fu il dittatore della
Polonia.
Eliminazione dei partiti di sinistra I partiti di sinistra avevano la maggioranza in
Parlamento e perciò Pilsudski lo sciolse nel 1930, creando un blocco non partitico di
cooperazione col governo che guadagnò la maggioranza assoluta nel nuovo Parlamento.
Problemi etnici Alle elezioni del 1935 i partiti di sinistra non si presentarono come
segno di protesta contro la nuova costituzione che prevedeva restrizioni dell'elettorato e
nomina indiretta dei senatori. Dopo la morte di Pilsudski, il presidente Moscicki e gli
altri capi polacchi ignorarono i problemi creati dalla disoccupazione e dalle proteste
della sinistra. Per di più introdussero leggi antisemite e annunciarono il progetto di
polonizzare le minoranze etniche: infatti, su 27 milioni di abitanti, c'erano 4 milioni di
ucraini, 2 milioni di ebrei, un milione di russi bianchi, un milione di tedeschi e un
milione di altre nazionalità minori. Inoltre tutti i vicini - Germania, Russia, Lituania,
Cecoslovacchia - avevano questioni territoriali ancora aperte col governo polacco.
Il problema agrario Il problema economico fu sempre angoscioso. Il paese era
essenzialmente basato su un'agricoltura antiquata; l'industria era concentrata nell'alta
Slesia; la popolazione era in rapido aumento e dava luogo a una notevole corrente di
emigrazione. La pressione di addetti al settore agricolo, in mancanza di altre
occupazioni, dava luogo allo spezzettamento della terra che impoveriva i contadini.
L'industria mineraria Ci fu una qualche espansione della produzione industriale
soprattutto al tempo degli scioperi dei minatori britannici. Tuttavia le esportazioni
maggiori riguardavano ancora l'agricoltura: la crisi del 1929 fu un duro colpo per l'economia polacca. La Polonia dovette ridurre le esportazioni, con aumento della
disoccupazione.
Il problema di Danzica La politica estera polacca fu sempre all'insegna
dell'avventurismo. Al tavolo della conferenza di pace di Versailles, la Polonia chiese
tutti i territori abitati anche solo da una minoranza polacca e un sicuro accesso al mare.
In conseguenza fu creato il territorio libero di Danzica sotto il controllo della Società
delle Nazioni: ma Danzica era una città tedesca e non occorreva lungimiranza per
immaginare futuri contrasti con quella che rimaneva una grande potenza.
Conflitto con la Russia Il contenzioso con la Russia era più grave, perché complicato
dal ricordo di ininterrotti contrasti, ribellioni e repressioni. A Versailles le potenze
occidentali assegnarono alla Polonia come frontiera orientale la cosiddetta Linea
Curzon. Era la linea di demarcazione etnica tra i due paesi. I polacchi vollero invece il
confine del 1772, la frontiera storica precedente la spartizione della Polonia tra Austria,
Russia e Prussia. Approfittando della guerra civile russa e del marasma politico seguito
alla rivoluzione d'ottobre, l'esercito polacco avanzò fino a Kiev, sotto la guida del
maresciallo Pilsudski. In seguito l'Armata rossa contrattaccò con successo, giungendo
fin quasi a Varsavia. L'arrivo di un corpo di spedizione francese permise di ributtare i
russi oltre il Niemen. Il successivo trattato di Riga permise alla Polonia di conservare
una fascia di territorio profonda in media 150 chilometri che era stata russa per circa un
secolo e mezzo. Anche in questo caso non era difficile prevedere futuri contrasti, non
appena l'URSS avesse ripreso la posizione di grande potenza.
Il problema della Slesia La Società delle Nazioni aveva deciso di affidare a un
plebiscito il futuro dell'alta Slesia. I tedeschi erano più numerosi nelle città, i polacchi
nelle campagne. Dai risultati del plebiscito risultò che il 60% degli abitanti era
favorevole alla Germania; il 40% alla Polonia. I polacchi risolsero il problema con le
armi e occuparono la maggior parte dei distretti carboniferi slesiani, lasciando il resto
alla Germania (1921).
Il problema di Teschen Con la Cecoslovacchia il contrasto riguardava la regione di
Teschen, risolto con la spartizione avvenuta nel corso di una conferenza di ambasciatori.
Il problema di Vilna Con la Lituania i rapporti furono sempre tesi a causa
dell'occupazione polacca di Vilna, avvenuta nel corso della guerra contro la Russia e
non più restituita.
I trattati bilaterali Con tanti problemi da essa stessa provocati, era inevitabile che la
Polonia cercasse garanzie per il mantenimento dello statu quo. Nel 1921 fu firmato un
trattato con la Francia che rimase il pilastro della sicurezza polacca, benché giudicato
insufficiente, perché la Francia garantiva la frontiera con la Germania, non la frontiera
con la Russia. Nel 1932 Polonia e URSS firmarono un patto di non aggressione. Nel
1933 a Danzica, che doveva rimanere territorio libero, cominciò a farsi sentire un
movimento filonazista. Pilsudski pensò a una guerra contro la Germania, ma fu
sconsigliato dalla Francia. Il ministro degli esteri polacco Beck cercò il contatto con
Hitler: nel 1934 fu firmato un patto di non aggressione della durata di 5 anni che fruttò
l'annessione alla Polonia della parte cecoslovacca del distretto di Teschen, dopo gli
accordi di Monaco. Ma così facendo i rapporti con la Francia si intiepidirono.
Hitler scatena la guerra contro la Polonia Nel 1939 Hitler si sentì abbastanza forte
per pretendere la riunione al Reich di Danzica e di Memel, un distretto quest'ultimo da
togliere alla Lituania. Inoltre chiese una striscia di territorio polacco per costruire una
ferrovia e un'autostrada al fine di collegarsi con la Prussia orientale. In cambio offriva
alla Polonia la riconferma del patto di non aggressione. Il governo polacco rifiutò, cercando appoggi in Francia e Gran Bretagna. Hitler dette via libera ai nazisti di Danzica e
in agosto stipulò il trattato di non aggressione con l'URSS; il 1° settembre ci fu
l'occupazione tedesca di Danzica e l'invasione della Polonia che non poteva ricevere
aiuto dai lontani alleati occidentali.
La sconfitta polacca L'esercito polacco era numeroso, ma il suo armamento era
insufficiente. C'erano ancora molte brigate di cavalleria lanciate in attacchi suicidi
contro i carri armati tedeschi. La difesa aerea era scadente e gli aerei antiquati. I tedeschi attaccarono con la loro aviazione aeroporti e ferrovie, poi lanciarono massicci
attacchi di carri armati che penetrarono in profondità. Il 10 settembre il comando
polacco ordinò la ritirata generale verso il sud del paese, lungo i fiumi Vistola e San. La
ritirata ebbe successo, ma fu vanificata dall'attacco sovietico iniziato il giorno 17
settembre. Varsavia fu bombardata, l'acquedotto distrutto e gli incendi indomabili. Il 28
settembre cominciarono i negoziati di armistizio; il 30 le truppe tedesche entrarono in
Varsavia.
Spartizione della Polonia La Polonia fu smembrata: un quarto del suo territorio con
Danzica fu annesso al Reich; un altro quarto con Varsavia fu ridotto a governatorato
generale sotto controllo nazista e il resto fu occupato dall'URSS.
La Russia occupa gli Stati baltici e la Finlandia Stalin cercò di creare una cintura di
Stati satelliti intorno all'URSS. Impose la presenza di truppe all'Estonia, alla Lettonia e
alla Lituania, cedendo Vilna a quest'ultimo paese. Un'analoga richiesta fatta alla
Finlandia, di cessione dell'istmo di Carelia, fu respinta dal governo finlandese. L'URSS
rispose con una guerra feroce iniziata il 26 novembre nelle condizioni climatiche più
difficili. La guerra durò fino al 12 marzo 1940 a causa della fiera resistenza della
Finlandia sulla linea Mannerheim. I russi ebbero notevoli perdite, ma insistettero e alla
fine ebbero quanto vollero. L'aiuto occidentale a Polonia e Finlandia fu minimo perché
si attendeva l'attacco tedesco a Occidente.
12. 7 Cronologia essenziale
1918 Il 3 novembre è proclamata la repubblica polacca libera.
1920-21 Guerra tra Polonia e Russia terminata con la pace di Riga.
1923 Con un colpo di Stato il generale Miguel Primo de Rivera assume i pieni poteri in
Spagna.
1930 Trattato di amicizia tra Italia, Austria e Ungheria.
1931 I repubblicani vincono in Spagna le elezioni comunali e poi quelle nazionali per
l'elezione dell'assemblea costituente.
1934 Il cancelliere austriaco Dollfuss è assassinato per ordine di Hitler. Mussolini
reagisce inviando alcune divisioni al Brennero.
1935 Dopo aver provocato incidenti di frontiera l'Italia inizia l'occupazione dell'Etiopia.
1936 Il 7 marzo Hitler fa rientrare le truppe in Renania in contrasto con gli accordi di
pace di Versailles. In Spagna a febbraio il Fronte popolare vince le elezioni. A luglio i
militari insorgono in Marocco: inizia la guerra civile. Mussolini invia in Spagna circa
70.000 "volontari", Hitler invia una squadra aerea.
1937 A Guadalajara il corpo di spedizione italiano subisce una grave sconfitta: da quel
momento il conflitto spagnolo tende a tornare un fatto interno alla Spagna.
1938 Tra marzo e aprile Hitler fa occupare l'Austria riducendola a provincia del Reich.
Hitler fa sollevare anche i Sudeti della Cecoslovacchia, mentre in Slovacchia si forma
un governo collaborazionista.
1939 Ad agosto è firmato il patto di non aggressione tra Germania e URSS. Il 1°
settembre la Germania attacca la Polonia. Il 17 settembre anche l'URSS attacca la
Polonia, poi occupa gli Stati baltici e invade la Finlandia.
12. 8 Il documento storico
Il 2 ottobre 1935 Mussolini fece iniziare i combattimenti in Etiopia: il documento
che segue riporta il discorso del Duce alle Camicie Nere. A parte gli aspetti retorici, si
coglie dal discorso il risentimento contro Francia e Gran Bretagna per non aver favorito
le aspirazioni coloniali italiane. Con la decisione di aprire le ostilità avvenne il
passaggio del regime fascista dal campo occidentale al campo nazista con tutte le tragiche conseguenze che quella decisione comportò.
“Camicie Nere della Rivoluzione! Uomini e donne di tutta Italia! Italiani sparsi nel
mondo e oltre i mari: ascoltate.
Un'ora solenne sta per scoccare nella storia della Patria. Venti milioni di uomini
occupano in questo momento le piazze di tutta Italia. Mai si vide nella storia del genere
umano spettacolo più gigantesco. Venti milioni di uomini, un cuore solo, una volontà
sola, una decisione sola. La loro manifestazione deve dimostrare e dimostra al mondo
che Italia e Fascismo costituiscono una identità perfetta, assoluta, inalterabile.
Possono credere il contrario soltanto cervelli avvolti nelle nebbie delle più stolte
illusioni o intorpiditi nella più crassa ignoranza su uomini e cose d'Italia, di questa
Italia 1935, anno XII dell'Era Fascista.
Da molti mesi la ruota del destino, sotto l'impulso della nostra calma determinazione,
si muove verso la meta: in queste ore il suo ritmo è più veloce e inarrestabile ormai!
Non è soltanto un esercito che tende verso i suoi obiettivi, ma è un popolo intero di
44 milioni di anime, contro il quale si tenta di consumare la più nera delle ingiustizie:
quella di toglierci un po' di posto al sole.
Quando nel 1915 l'Italia si gettò allo sbaraglio e confuse le sue sorti con quelle degli
alleati, quante esaltazioni del nostro coraggio e quante promesse. Ma dopo la vittoria
comune, alla quale l'Italia aveva dato il contributo supremo di 670 mila morti, 400 mila
mutilati e un milione di feriti, attorno al tavolo della pace esosa non toccarono all'Italia
che scarse briciole del ricco bottino coloniale. Abbiamo pazientato tredici anni durante i
quali si è ancora più stretto il cerchio degli egoismi che soffocano la nostra vitalità.
Coll'Etiopia abbiamo pazientato quarant'anni! Ora basta!
Alla Lega delle Nazioni invece di riconoscere i nostri diritti, si parla di sanzioni!
Sino a prova contraria mi rifiuto di credere che l'autentico generoso popolo di
Francia possa aderire a sanzioni contro l'Italia. I seimila morti di Bligny caduti in un
eroico assalto che strappò un riconoscimento di ammirazione dallo stesso comandante
nemico, trasalirebbero sotto la terra che li ricopre.
Io mi rifiuto del pari di credere che l'autentico popolo della Gran Bretagna che non
ebbe mai dissidi con l'Italia, sia disposto al rischio di gettare l'Europa sulla via della
catastrofe, per difendere un paese africano, universalmente bollato come un paese senza
ombra di civiltà.
Alle sanzioni economiche opporremo la nostra disciplina, la nostra sobrietà, il nostro
spirito di sacrificio.
Alle sanzioni militari risponderemo con atti di guerra.
Nessuno pensi di piegarci senz'avere prima duramente combattuto.
Un popolo geloso del suo onore non può usare linguaggio né avere atteggiamento
diverso!
Ma sia detto ancora una volta nella maniera più categorica, e io ne prendo in questo
momento impegno sacro davanti a voi, che noi faremo tutto il possibile perché questo
conflitto di carattere coloniale non assuma il carattere e la portata di un conflitto
europeo. Ciò può essere nei voti di coloro che intravvedono in una nuova guerra la
vendetta di templi crollati, non dei nostri.
Mai come in questa epoca il popolo italiano ha rivelato le qualità del suo spirito e la
potenza del suo carattere. Ed è contro questo popolo al quale l'umanità deve talune delle
sue più grandi conquiste, ed è contro questo popolo di poeti, di artisti, di eroi, di santi,
di navigatori, di trasmigratori, è contro questo popolo che si osa parlare di sanzioni.
Italia proletaria e fascista, Italia di Vittorio Veneto e della Rivoluzione, in piedi! Fa'
che il grido della tua decisione riempia il cielo e sia di conforto ai soldati che attendono
in Africa, di sprone agli amici e di monito ai nemici in ogni parte del mondo: grido di
giustizia, grido di vittoria!”
Fonte: B. MUSSOLINI, Scritti e Discorsi, vol. IX, p. 217.
12. 9 In biblioteca
Per la storia della Terza repubblica francese, di notevole interesse il libro di W.L.
SHIRER, La caduta della Francia. Da Sédan all'occupazione nazista, Einaudi, Torino
1971. Per la storia della Spagna utile di R. CARR, Storia della Spagna (1808-1939), la
Nuova Italia, Firenze 1978. Per le vicende della guerra civile si può leggere di H.
THOMAS, Storia della guerra civile spagnola, Einaudi, Torino 1964. Si legga anche di
G. ROUX, La guerra civile di Spagna, Sansoni, Firenze 1966; e di G. JACKSON, La
repubblica spagnola e la guerra civile, il Saggiatore, Milano 1967. Di notevole
interesse di O. CONFORTI, Guadalajara. La prima sconfitta del fascismo, Mursia,
Milano 1967. Per la Polonia si consulti di K.S. KAROL, Da Pilsudski a Gomulka,
Mondadori, Milano 1963. Per la vicenda di Monaco si consulti di J.W. WHELEERBENNET, Il patto di Monaco, Feltrinelli, Milano 1968. P. FABRY, Il patto HitlerStalin (1939-1941), il Saggiatore, Milano 1965. Importante il libro di E. HOBSBAWM,
Il secolo breve, Rizzoli, Milano 1996.
Cap. 13 La Seconda guerra mondiale in Occidente
Non è semplice la ricostruzione unitaria delle vicende della Seconda guerra
mondiale perché si trattò di un gruppo di guerre locali avvenute contemporaneamente.
La partizione più logica è tra guerra in Occidente e guerra in Oriente, solo dagli USA
sostenute congiuntamente.
In Occidente ci furono le guerre parallele di Hitler - le campagne di Polonia, di
Francia, di Russia - con diversivi in Scandinavia, nei Balcani, in Africa e in Italia, resi
necessari da motivi strategici e dalla debolezza dell'apparato militare italiano; le
guerre di Mussolini - nei Balcani e in Africa - col diversivo della partecipazione alla
campagna di Russia, intrapresa per motivi di prestigio.
Dopo la caduta della Francia, avvenuta nel giugno 1940, la Gran Bretagna dovette
fronteggiare da sola la potenza tedesca: fu salvata dal dominio del mare e dall'aiuto dei
Dominions. Inoltre, la politica americana si orientò in senso filobritannico, soprattutto
dopo il fallimento dell'offensiva aerea tedesca dell'estate 1940. Nel giugno 1941
l'attacco tedesco contro l'URSS apparve a Churchill l'errore determinante compiuto da
Hitler: fu messa da parte ogni riserva di tipo ideologico fornendo aiuti perché la Russia
potesse resistere tenendo impegnate numerose divisioni tedesche. A dicembre, il
Giappone distrusse gran parte della flotta americana del Pacifico a Pearl Harbor,
costringendo gli USA a uscire dalla non belligeranza. Nel gennaio 1943 la svolta della
guerra avvenne a Stalingrado dove un gruppo di armate tedesche dovette arrendersi ai
russi. Il resto della guerra fu una lunga agonia delle forze dell'Asse col cedimento
prima dell'Italia e poi della Germania.
I regimi collaborazionisti di Vichy e di Salò, con gli Stati satelliti dell'Europa
orientale crollarono insieme col terzo Reich. Alla fine della guerra si poterono
costatare i grandi mutamenti politici avvenuti nel mondo, ossia il crollo della potenza
europea e l'emergere di due imperialismi, degli USA e dell'URSS, entrati in conflitto
per assicurarsi il controllo del mondo.
13. 1 La caduta della Francia
Dopo la conquista della Polonia, il successivo obiettivo di Hitler era la Francia. Non
potendo attaccare direttamente la linea Maginot, doveva assicurarsi il controllo di
Olanda e Belgio, trasformando quei due paesi in un grande campo trincerato per poi
attaccare Francia e Gran Bretagna.
Pausa della guerra L'attacco di Hitler non fu immediato perché aveva bisogno di
riorganizzare l'esercito e di sistemare la conquista orientale. Dall'autunno del 1939 alla
primavera successiva non ci furono azioni di rilievo sul fronte occidentale. Probabilmente Hitler sperava che avvenisse qualche fatto nuovo tra Francia e Gran Bretagna e
che la sua industria potesse produrre ancora più aerei e carri.
Ritardo tecnico dell'esercito francese Sul fronte settentrionale, il generale francese
Gamelin si portò a ridosso della linea difensiva tedesca, mediocremente fortificata, ma
affermò di non avere forze sufficienti per attaccare e infine fu respinto. Infatti da ottobre
in poi i soldati tedeschi ritirati dalla Polonia resero impossibile un attacco vittorioso: i
francesi apparivano legati alle concezioni tattiche e strategiche della Prima guerra
mondiale. Benché un loro ufficiale, Charles de Gaulle, avesse studiato il migliore
impiego di carri e aerei, non fu ascoltato e l'addestramento dell'esercito appariva in
ritardo rispetto alle nuove concezioni strategiche.
Hitler occupa Danimarca e Norvegia Il piano hitleriano prevedeva anche
l'occupazione della Norvegia. Poiché la Germania importava molto minerale di ferro
dalla Svezia e il Golfo di Botnia nel Baltico ghiaccia per alcuni mesi all'anno, si ritenne
necessario di importare anche d'inverno il ferro svedese attraverso il porto norvegese di
Narwik. La Gran Bretagna riteneva di vitale importanza impedire la conquista delle
coste norvegesi per chiudere alla navigazione tedesca il canale tra Scozia e Scandinavia.
Prima di occupare la Norvegia Hitler volle occupare il corridoio rappresentato dalla
Danimarca che non aveva truppe in grado di contrastare Hitler: il 9 aprile 1940 anche
quel paese entrò nell'orbita nazista. Nello stesso giorno truppe tedesche sbarcarono in
cinque porti norvegesi: Oslo, Stavenger, Bergen, Trondheim e Narwik. L'operazione
ebbe successo: furono catturati intatti anche gli aeroporti. Solo a Narwik le perdite
tedesche furono elevate. Un contingente misto francese, britannico, norvegese e polacco
sbarcò a Narwik, conquistò un aeroporto e successivamente anche la città di Narwik (27
maggio): ma fu un'operazione inutile perché poco dopo, con notevoli perdite, il corpo di
spedizione fu ritirato per difendere il fronte francese in piena dissoluzione.
Finisce la resistenza norvegese Il 9 aprile il governo norvegese cadde, accettando di
nominare un governo filotedesco. Quando Hitler impose il governo fantoccio del
maggiore Quisling, il re Haakon VII preferì andare in esilio. Il 10 giugno ogni
resistenza in Norvegia terminò.
Nuovi governi in Francia e Gran Bretagna Le vittorie tedesche condussero alla
caduta dei governi francese e britannico che le avevano permesse. Il 20 marzo in
Francia divenne primo ministro Paul Raynaud al posto di Georges Daladier; il 10
maggio Winston Churchill prese il posto di Chamberlain. I due premier formarono
governi di unità nazionale in cui erano presenti tutti i partiti.
Inizia l'attacco al Belgio e all'Olanda La difesa di Belgio e Olanda si affidava alla fitta
rete di canali e di fiumi che doveva ritardare l'avanzata tedesca. Gli olandesi
concentrarono le loro forze nella difesa di Amsterdam, Rotterdam e l'Aia; i belgi si
erano attestati sulla Mosa e sul canale Alberto, tra Maastricht e Anversa.
Successi delle armate tedesche Il 10 maggio iniziò l'attacco ai due paesi, mentre il
Lussemburgo fu immediatamente occupato e incorporato al Reich. Furono occupati i
porti della Mosa e Arnhem. Rotterdam fu bombardata il 14 maggio: nello stesso giorno
la regina Giuliana lasciò il paese. Si sperava che la difesa del Belgio tenesse: l'esercito
doveva concentrarsi a nord, i britannici al centro e i francesi a sud lungo una linea che
da Sédan giungeva fino ad Anversa. I tedeschi adottarono una tattica nuova basata su
colonne di carri armati, seguiti da fanteria motorizzata, difesi dall'alto da aerei da caccia
che attaccavano i carri nemici; poi queste colonne si aprivano a ventaglio chiudendo
entro sacche senza scampo le fanterie avversarie.
Sfondamento tedesco nelle Ardenne Nella zona tra Sédan e Namour la linea difensiva
era debole perché ivi si estende la foresta delle Ardenne ritenuta inadatta per un grande
dispiegamento di carri armati. È quanto fecero, al contrario, i tedeschi che trovarono la
falla del sistema difensivo alleato. Furono occupate Bruxelles e Anversa, mentre altre
colonne corazzate si dirigevano al mare verso Abbeville. Il 26 maggio fu occupata
Boulogne. Il 27 maggio il re del Belgio Leopoldo III si arrese, e il comandante inglese
Lord Gort dovette prendere la decisione di reimbarcarsi, finché era possibile. Tra il 28 e
il 31 maggio fu costruito in fretta un campo trincerato semicircolare, comprendente le
città di Nieuport e Dunkerque. Nei tre giorni successivi avvenne il grande esodo di
soldati inglesi (200.000) e francesi (140.000) che stranamente Hitler non seppe
impedire. Più di 900 navi intervennero, di cui solo circa 200 erano navi da guerra: anche
barche a vela affrontarono il pericolo di un bombardamento aereo pur di riportare in
patria qualche soldato.
La battaglia di Parigi In Francia, dopo il 7 giugno rimasero solo 5 squadroni aerei
britannici: Churchill rifiutò di gettare nella mischia le sue riserve e i francesi
protestarono. Dal 5 giugno era iniziata una nuova offensiva tedesca incontenibile. Il 10
giugno Mussolini ritenne la guerra già vinta e si affrettò ad attaccare la Francia sulle
Alpi, peraltro con scarso successo. Parigi fu abbandonata dal governo e da centinaia di
migliaia di cittadini terrorizzati che intasarono le strade, venendo bombardati da aerei
tedeschi ormai padroni dell'aria. Il governo raggiunse Tours e lì si dimise, lasciando il
potere al vecchio maresciallo Pétain. Fin dal giorno 17 giugno costui prese contatto coi
tedeschi per stabilire le condizioni della resa. I tedeschi lasciarono passare altri tre
giorni prima di rispondere. Il 22 la Francia accettava i termini della resa imposti dai
tedeschi, ma la fine delle ostilità avvenne solo il 24 giugno per dar modo alle truppe
italiane di far qualcosa. L'armistizio fu firmato nello stesso carro ferroviario in cui i
tedeschi, nel novembre 1918, avevano firmato la loro resa.
Divisione della Francia La Francia dell'ovest e del nord fu occupata dai tedeschi che
miravano ai porti e alle attrezzature industriali. Il resto del paese rimase sotto il
controllo di Pétain che fissò la sede del suo governo a Vichy. L'esercito francese fu
smobilitato e la flotta disarmata: le armi e i depositi di materiali strategici furono
consegnati in buon ordine ai tedeschi.
Il generale de Gaulle e l'ammiraglio Darlan Charles de Gaulle si rifugiò a Londra, e
fin dal 18 giugno lanciò un messaggio per radio rifiutando la resa: la vera Francia era
oltremare; più tardi formò un governo francese in esilio. La flotta francese ebbe un
destino infelice. Le navi che si trovavano nei porti britannici furono facilmente
catturate; il grosso della flotta si trovava a Orano in Algeria. L'ammiraglio Darlan
poteva seguire l'esempio di de Gaulle, ma non lo fece. L'ordine che ricevette dai
tedeschi, attraverso il governo di Vichy, fu di non consegnare la flotta; perciò la flotta
britannica agì come contro un nemico, affondando alcune navi e catturandone altre.
La caduta della Francia apriva un nuovo capitolo della guerra. La Gran Bretagna
vedeva ora la sua salvezza solo nell'intervento americano. Il presidente Roosevelt,
rieletto per la terza volta, fece uno dei suoi discorsi al caminetto. Disse che se la casa
del vicino è minacciata da un incendio e noi abbiamo una buona pompa, bisogna
metterla a disposizione del vicino per impedire che l'incendio si estenda alla nostra casa.
Così fu approvata la legge apparentemente commerciale "Cash and carry" (paga e porta
via) che permetteva ai britannici, finché avevano denaro, di acquistare qualunque genere
di merci negli USA. Più tardi, nel 1941, Roosevelt fece votare una legge "Affitti e
prestiti", ossia l'invio a fondo perduto di viveri e materiale bellico necessario alla Gran
Bretagna per resistere all'offensiva aerea nazista.
13. 2 La Francia sotto l'occupazione nazista
Perché la Francia repubblicana e rivoluzionaria poté assistere all'instaurazione di un
governo come quello del maresciallo Pétain? Il generale de Gaulle da Londra si era
affrettato a dichiarare che la Francia aveva perduto una battaglia, non la guerra, ma in
quel momento i francesi non prestavano orecchio a de Gaulle, bensì a Pétain che
sembrava l'unico in grado di salvare ciò che restava dopo la disfatta.
Il parlamento di Vichy La cittadina di Vichy fu scelta per non dover affrontare
l'opinione pubblica di una grande città, in un momento così difficile. Si pensava che la
conclusione della guerra sarebbe stata questione di settimane e poi si sarebbe tornati a
Parigi. Il Senato fu convocato a Vichy in seduta straordinaria e votò quasi all'unanimità
la revisione delle leggi costituzionali dello Stato e lo stesso fece la Camera a grande
maggioranza.
I poteri di Pétain Il primo atto di Pétain fu di proclamarsi Capo dello Stato francese,
senza impiegare il termine "repubblica" che ai suoi occhi era la causa di tutti gli errori
commessi in passato. Pétain diveniva così capo dello Stato e insieme primo ministro, un
fatto che gli ottenne l'appoggio entusiastico dell'Action Française e delle Leghe di
destra. Non ci furono uomini di spicco nel governo di Pétain, fiducioso solo in se stesso
e nella burocrazia. Weygand espresse bene il sentimento dominante quando propose una
nazione che mettesse fine allo Stato massonico, capitalista, internazionalista da
sostituire con uno Stato che tornasse ai principi della religione, della patria e della
famiglia.
Ordinamento politico di Vichy Per superare l'individualismo egoista fu proposto di
attuare il programma corporativo come era avvenuto in Italia e in Spagna: ciò implicava
lo scioglimento dei sindacati da sostituire mediante corporazioni professionali in grado
di conciliare gli interessi dei datori di lavoro e degli operai. Nella pratica era un modo
per estendere il controllo della burocrazia sull'industria, il commercio e l'artigianato.
Che ci fosse in qualche misura il desiderio di mutare il clima sociale e morale divenuto
intollerabile lo dimostrano alcune leggi circa le pensioni di vecchiaia, l'educazione
fisica dei giovani (un'idea fissa delle dittature di destra e di sinistra), la repressione
dell'alcolismo, maggiori difficoltà per il divorzio e provvidenze per le famiglie
numerose. Poi vennero aboliti i consigli comunali elettivi e processati gli ex dirigenti
della Terza repubblica che erano stati internati: i processi furono sospesi quando gli
addebiti allo Stato maggiore dell'esercito risultarono quanto mai fondati e certamente
causa non secondaria del disastro.
Blando antisemitismo In omaggio alle tendenze allora prevalenti, furono votate alcune
leggi antisemite che escludevano gli ebrei dagli uffici pubblici, sottoponendoli a forti
tasse quando si dedicavano alla libera professione. Ma tutte queste leggi non bastavano
a configurare una concreta linea politica del governo di Vichy che ogni giorno si
trovava di fronte a una realtà spaventosa.
I problemi più urgenti C'erano migliaia di profughi e di soldati smobilitati che
bisognava ricondurre a casa; c'erano quasi due milioni di soldati prigionieri in Germania
da aiutare in qualche modo; era avvenuta la requisizione di macchinari, materie prime e
viveri portati in Germania. Il cambio monetario, estremamente vantaggioso alla
Germania, permetteva ai soldati tedeschi di svuotare i negozi francesi pagando con
marchi svalutati. Infine occorre ricordare che la parte più fertile e ricca della Francia
rimase sotto il diretto controllo dei tedeschi, tanto che il governo di Vichy fu costretto a
razionare i viveri e a controllare salari e prezzi. Di grande c'era solo l'incredibile
esaltazione di Pétain, ritenuto un salvatore: costui era personalmente onesto, semplice,
ma anche vanitoso. Solo più tardi si seppe quanto era stata nefasta la sua influenza sullo
Stato maggiore dell'esercito nel periodo tra le due guerre; quanto le sue idee anche in
campo militare erano state anguste, arroganti. Non avendo alcuna idea politica oltre
quella di essere simbolo della sopravvivenza della Francia, era inevitabile che il suo
prestigio fosse sfruttato da qualcuno posto al riparo della sua ombra. Costui fu Pierre
Laval, divenuto ministro degli interni.
Conflitto tra Laval e Darlan La politica di Vichy, a seguito dell'influenza nefasta di
Laval, si orientò dal neutralismo all'interventismo a favore della Germania. La brutalità
tedesca dimostrata al momento della sistemazione dei territori dell'Alsazia-Lorena
impedì il successo della politica di Laval. Un complotto all'interno del governo di Vichy
costrinse Laval alle dimissioni, permettendo l'ascesa dell'ammiraglio Darlan. Costui
comandava la flotta da tanto tempo che poteva considerarla quasi sua creatura. La flotta
francese era l'unica arma uscita a testa alta dal conflitto, ed era temuta dai britannici che
non esitarono ad affondare una squadra francese a Mers-el-Kébir in Algeria, perché non
cadesse in mani tedesche. L'ammiraglio Darlan fu un opportunista: finché prevalevano i
tedeschi bisognava fare il loro gioco; in ogni caso bisognava impedire a de Gaulle di acquistare grande seguito all'estero per poi rientrare in Francia da salvatore.
Nasce la resistenza francese Nel 1941 l'attacco tedesco in Russia fu presentato dal
governo di Vichy come una lotta per la civiltà contro il comunismo, ma molti
cominciarono a dubitare del successo finale della Germania ora che si era aperto quel
doppio fronte già fatale ai tedeschi nel corso della Prima guerra mondiale. Questo fatto
fu di capitale importanza per la nascita del movimento della Resistenza. Finché i
comunisti francesi potevano esser presentati come gli alleati di Hitler contro la Francia,
per loro non c'era molta possibilità d'azione. Dopo l'attacco della Germania contro la
Russia, i comunisti potevano presentarsi come i paladini della crociata antinazista.
Avendo il partito comunista in Francia una rete clandestina di compagni votati alla
causa del partito, la Resistenza fu modellata sulla sua struttura.
Laval ritorna al governo Dal 1941 erano cominciati attentati e azioni dimostrative
contro le truppe d'occupazione tedesche, che reagirono con fucilazioni di ostaggi. Laval
negoziò a lungo coi tedeschi per tornare al potere. Ci riuscì nell'aprile 1942, facendo
destituire Darlan dalla carica di comandante in capo della flotta. Laval arrivò ad
affermare per radio di auspicare il successo della Germania perché senza di essa il
comunismo si sarebbe installato in Europa.
Lo sbarco alleato in Marocco e Algeria L'8 novembre 1942 gli anglo-americani
sbarcarono in Marocco e Algeria. Si aspettavano di venir accolti da liberatori, ma
avvenne il contrario e il generale Juin obbedì agli ordini di Vichy, opponendosi allo
sbarco con le forze a sua disposizione. La spedizione fu salvata proprio dalla presenza
dell'ammiraglio Darlan ad Algeri dove si era recato per assistere un figlio ammalato.
Facendo ricorso ai pieni poteri che forse aveva ricevuto da Pétain per una eventualità
del genere, Darlan fece cessare le ostilità: Casablanca e Algeri finirono in mano alleata,
non così Tunisi che fu occupata dai tedeschi. Poco più tardi, nel dicembre 1942, Darlan
fu assassinato in modo abbastanza misterioso.
I tedeschi occupano direttamente tutta la Francia I tedeschi reagirono
all'occupazione del Nordafrica attuando il piano di occupazione diretta di tutta la
Francia ora che ne avevano il pretesto. Il loro vero obiettivo era certamente la flotta
francese all'ancora nel porto di Tolone: Laval e Pétain ordinarono alla flotta di non
resistere, ma i comandanti delle navi misero in atto un piano di autoaffondamento
previsto da Darlan per un'eventualità del genere. Nel novembre 1942 si può considerare
finita la funzione del governo di Vichy: ormai aveva perduto ogni senso la cosiddetta
rivoluzione nazionale che doveva rigenerare la Francia. A partire da quel momento il
governo di Vichy fu una larva in mano ai tedeschi e la nazione francese finì per identificarsi con le azioni della resistenza. De Gaulle stentò a lungo prima di affermarsi come
la figura preminente della Francia libera, ma alla fine ci riuscì, creando accanto al
Consiglio della Resistenza, controllato dai comunisti, una Delegazione generale che
doveva rappresentare gli interessi dello Stato.
13. 3 L'operazione "Leone marino" e le speranze britanniche
Dal giugno 1940 al dicembre 1941 la Gran Bretagna si trovò da sola a fronteggiare la
supremazia di Hitler su tutta l'Europa.
Tentativi di pace con la Gran Bretagna Hitler fece un tentativo di pace nel suo
discorso del 19 luglio al Reichstag, ma a capo del governo britannico c'era un
personaggio che nelle difficoltà trovava una forza incrollabile e che sapeva comunicarla
al suo popolo, Churchill. Hitler, invece, si avviava a ripetere lo stesso dilemma di
Napoleone: avere un potente esercito di terra, ma senza la possibilità di traghettarlo
circa 30 chilometri più in là.
L'offensiva aerea L'unica possibilità di successo fu intravista nell'aviazione: se la
Luftwaffe di Göring riusciva a distruggere aeroporti e difese costiere, se teneva lontana
la flotta britannica con micidiali attacchi, forse poteva avvenire un controllo tedesco
della Manica tale da permettere uno sbarco in forza. Durante i mesi di luglio e agosto le
navi e i porti della Manica furono attaccati dai tedeschi. Dal 12 agosto furono attaccati
solo aeroporti e fabbriche inglesi. La precisione dei bombardamenti dipendeva dalla
possibilità di volare basso, e questa dipendeva a sua volta dall'avere un'efficace
protezione da parte dei caccia di scorta. Da parte britannica ci furono due vantaggi
iniziali: i loro caccia Spitfire erano più manovrabili dei Messerschmidt 109 e 110;
inoltre il loro sistema di avvistamento ASDIC (il radar) era il primo a funzionare.
Quando le formazioni di bombardieri tedeschi erano avvistate dai radar, tutti i caccia
partivano sapendo già da quale direzione venivano i nemici, le cui perdite furono
impressionanti (la perdita insostituibile era quella dei piloti: se si salvavano, cadevano
prigionieri).
Bombardamenti terroristici A partire dal 7 settembre, i tedeschi decisero di passare a
un'altra tecnica: quella del bombardamento da alta quota su Londra e altre città a scopo
terroristico. Il 15 settembre ci furono due bombardamenti massicci, compiuti con 250
aerei ciascuno. La propaganda britannica affermò di avere abbattuto 150 aerei tedeschi:
in realtà furono molto meno, ma anche così la perdita era inaccettabile per gli
aggressori. Churchill in Parlamento elogiò i piloti della caccia britannica che operarono
il miracolo, dicendo che mai tanti dovevano tutto a così pochi. Londra, Bristol,
Southampton, Coventry furono danneggiate gravemente e ci furono almeno 20.000
morti tra la popolazione civile.
Gli aiuti americani Gli USA accelerarono i loro aiuti: furono consegnati alla Gran
Bretagna 50 vecchi cacciatorpediniere che aumentavano la scorta alle navi mercantili in
arrivo e in partenza dai porti britannici. I denari erano ormai finiti e perciò Roosevelt
fece approvare la Legge affitti e prestiti per rifornire la Gran Bretagna di cibo e
materiali bellici.
Fallimento dell'offensiva aerea L'operazione "Leone marino" che doveva piegare i
britannici era sostanzialmente fallita e Hitler ne prese atto: il canale della Manica era
inviolabile, la flotta britannica intatta, l'aiuto americano efficace, la resistenza sul piano
morale invincibile.
13. 4 La guerra nel Mediterraneo
Mussolini, fin dal 1939, aveva chiaramente fatto intendere a Hitler che fino al 1943
non era pronto a scatenare una guerra, da lui peraltro definita inevitabile. Aveva
ricevuto assicurazioni che anche la Germania non sarebbe entrata in guerra prima di
quella data. Ma quando la guerra contro la Polonia rivelò l'impressionante potenza della
macchina bellica tedesca, il dittatore italiano rimase ipnotizzato.
Mussolini dichiara guerra alla Francia La vittoria riportata nel maggio 1940 sui
francesi finì per far superare a Mussolini ogni esitazione e perciò si affrettò a piantare il
suo pugnale sul fianco della Francia agonizzante. Fu una campagna condotta senza
preparazione, senza obiettivi realistici, senza mezzi adeguati, senza dignità perché con
la non belligeranza Mussolini poteva ottenere gli stessi risultati raggiunti con
l'intervento dell'ultima ora.
Mancata preparazione militare La scarsa preparazione militare italiana rappresenta
una pagina singolare della storia più recente. Dopo tanto parlare dell'efficienza
dell'esercito e della milizia fascista, i soldati in Albania si accorsero di avere ai piedi
scarpe di pessima qualità; in Africa i carri armati italiani furono soprannominati "scatole
di sardine" perché più piccoli, meno corazzati e meno veloci dei carri inglesi. La flotta
non aveva il radar e mancava una adeguata copertura aerea. Le città non avevano
batterie di cannoni antiaerei che potessero opporsi a un deciso bombardamento.
Mussolini conosceva la situazione delle forze armate, ma la trascurò di fronte ai
successi travolgenti di Hitler: volle entrare in guerra nei Balcani e in Africa per partecipare alla spartizione del bottino.
Attacco contro la Grecia Nei Balcani, in primo luogo fu completata l'annessione
dell'Albania; poi, il 28 ottobre 1940, nella stagione peggiore dell'anno, partendo da un
paese montuoso e privo di strade come l'Albania, Mussolini dichiarò guerra alla Grecia.
"Spezzeremo le reni alla Grecia" disse il dittatore: i greci spezzarono le reni alle sue
divisioni che combatterono con spirito di sacrificio, ma in condizioni impossibili. Il 3
dicembre la sconfitta italiana apparve tanto sicura che Hitler si trovò costretto a inviare
50.000 uomini per ristabilire la situazione.
L'intervento di Hitler nei Balcani A quella data le truppe di Hitler avevano invaso la
Romania occupandola; il 20 novembre l'Ungheria entrò a far parte dell'Asse. Il 1° marzo
1941 le truppe tedesche entrarono anche in Sofia, capitale della Bulgaria. Il 25 marzo la
Jugoslavia, dapprima entrò nella combinazione di Stati favorevoli all'Asse, ma un colpo
di Stato destituì il re Paolo Karageorgevic e il nuovo governo di Simovic si dichiarò
neutrale. Le truppe di Hitler invasero la Jugoslavia, totalmente occupata fin dal 17
aprile. Sette giorni dopo la Grecia cessava di resistere e circa 50.000 soldati britannici,
inviati a Salonicco per tentare di bloccare l'avanzata tedesca, furono trasferiti sull'isola
di Creta. La Dalmazia e la Slovenia furono occupate da truppe italiane, il resto della
Jugoslavia fu occupato da truppe tedesche. Fino al termine della guerra nel settore
balcanico si dovette sostenere il peso dell'occupazione e della guerriglia partigiana,
condotta dai comunisti del maresciallo Tito.
Battaglia di Creta In seguito, Hitler decise l'occupazione anche di Creta mediante
l'impiego di paracadutisti. Era il 20 maggio: in questa operazione le perdite di soldati
tedeschi furono elevate. Verso il 31 maggio le truppe britanniche furono evacuate da
Creta e trasferite in Egitto, mentre Hitler si preparava all'attacco in forze contro l'URSS,
iniziato il 22 giugno 1941.
La guerra in Africa In Africa, Mussolini doveva controllare due fronti: quello
dell'Africa orientale (Etiopia, Eritrea e Somalia), e quello della Libia. Per difendere il
primo avrebbe avuto bisogno del canale di Suez e dell'Egitto; per dominare sul secondo
avrebbe avuto bisogno di Malta: per tutta la durata del conflitto non ebbe successo in
alcuna delle due direzioni.
Cade l'Africa Orientale Italiana Nel settore dell'Africa orientale fin dal 6 agosto 1940
Mussolini prese l'iniziativa, facendo occupare la Somalia britannica. In seguito, a partire
dal 15 gennaio 1941 le truppe inglesi, rifornite attraverso la lunga rotta di Città del
Capo, furono tanto numerose da poter attaccare le colonie italiane partendo dal Sudan e
dal Kenya. Il 26 febbraio cadde Mogadiscio in Somalia. Il 6 aprile cadde in mano
britannica Addis Abeba. Heilè Selassiè il 5 maggio poté rientrare nella sua capitale. Il
18 maggio iniziò la battaglia dell'Amba Alagi: il comandante in capo, il duca d'Aosta, fu
costretto alla resa. Nel novembre 1941 tutta l'Africa Orientale Italiana era andata
perduta.
Tentativo di conquista di Alessandria Molto più complessa la guerra nel Nordafrica
dove la posta in gioco era la conquista di Alessandria con la sua importante base navale
che permette il controllo del canale di Suez. Anche in questo settore, il 13 settembre
1940, Mussolini prese l'iniziativa, facendo avanzare le sue truppe che arrivarono fino a
Sidi Barrani, ma qui si fermarono. L'8 dicembre, Churchill volle a tutti i costi un
contrattacco britannico che riprese Sidi Barrani, superò il confine con la Libia,
costringendo alla resa un contingente italiano a Bardia (5 gennaio 1941).
Sconfitta italiana a Tobruk e Bengasi Il 22 gennaio caddero Tobruk e Bengasi: in
quell'operazione furono catturati circa 100.000 soldati italiani. Anche in questo settore
Hitler fu costretto a inviare aiuti al maldestro alleato, ma non in misura tale da
sconfiggere un nemico che aveva sempre il dominio del mare ed era rifornito con armi
sempre più potenti e abbondanti man mano che passava il tempo.
L'intervento tedesco Il 3 aprile 1941 giunse in Africa Erwin Rommel, uno dei pochi
generali tedeschi che aveva fantasia e capacità di improvvisazione. L'esercito
britannico, al contrario, dovette inquadrare quasi 60.000 soldati avviliti provenienti dalla Grecia e da Creta e quindi con un morale molto basso. Il 14 aprile le truppe tedesche
e italiane avevano rioccupato Sollum e Bardia, poco dopo fu rioccupata Tobruk con
depositi di viveri e materiali. Ancora una volta i britannici contrattaccarono il 10
novembre, riconquistando Tobruk e Bengasi, ma senza riuscire e demolire la resistenza
tedesca. Il 27 maggio 1942 Hitler ordinò di condurre l'offensiva a fondo: il 21 giugno fu
ripresa Tobruk e iniziò l'invasione dell'Egitto.
La battaglia di El Alamein Le truppe tedesche furono bloccate solo a El Alamein. La
posizione di El Alamein era ottima perché tra il Mar Mediterraneo e la depressione
sabbiosa di El Qattara c'erano solo 50 chilometri di fronte da controllare. In questa
situazione, anche l'abilità di Rommel aveva poche possibilità di manifestarsi. Inoltre, gli
alleati avevano deciso di operare uno sbarco nelle colonie francesi del Nordafrica
(Marocco e Algeria), in modo da stringere tedeschi e italiani tra due fronti. Il comando
dell'VIII Armata britannica fu assunto dal generale Montgomery, che passò
all'offensiva. Il 3 novembre, dopo un furioso scontro di carri armati, Rommel dovette
ritirarsi fino a Buerat a oriente di Tripoli. Il 15 gennaio 1943 anche Tripoli cadde:
Mussolini perdette così tutte le colonie africane.
Sbarco anglo-americano in Marocco e Algeria Lo sbarco anglo-americano in Africa
ebbe luogo l'8 novembre 1942. Fu necessario ammassare circa 800 navi per il trasporto
di truppe e materiali. Furono attaccate Casablanca, Orano e Algeri. A Casablanca la resistenza fu notevole, ma gli alleati ebbero la meglio. La tenaglia stava per chiudersi
sulle truppe italo-tedesche ormai strette in Tunisia. L'ultima battaglia fu lanciata il 6
maggio 1943; il giorno 13 il maresciallo Messe si arrese con 250.000 uomini. Le
potenze dell'Asse avevano perso in Africa quasi un milione di uomini, 8000 aerei e navi
per due milioni e mezzo di tonnellate. Mussolini aveva perso il suo impero africano;
Hitler dovette abbandonare i sogni di dominio sull'Egitto e sul Vicino Oriente.
Incontro di Casablanca Nel gennaio 1943 ci fu a Casablanca un incontro tra i
principali leader politici che guidavano la guerra contro l'Asse. Lo sbarco in Francia fu
rimandato al 1944, perché mancavano i mezzi anfibi e la superiorità degli altri materiali
necessari per la vittoria. Come diversivo, fu deciso lo sbarco in Sicilia e poi nell'Italia
meridionale, per occupare gli aeroporti pugliesi che avrebbero reso possibile il
bombardamento del resto d'Italia e della Germania meridionale.
Il ventre molle d'Europa Churchill aveva in mente, dopo la riconquista del
Mediterraneo, di operare lo sbarco principale non in Francia ma nei Balcani, per
giungere nei paesi dell'est europeo prima dell'Armata Rossa di Stalin, ma Roosevelt su
questo punto non volle ascoltarlo. Per spiegare a Stalin, sempre molto diffidente, il
motivo dello sbarco in Italia, Churchill disegnò un coccodrillo con le fauci aperte in
Francia, il dorso corazzato in Germania e la coda nei Balcani: il ventre molle, ossia la
parte più vulnerabile, era rappresentata dall'Italia. Stalin afferrò il concetto e non
protestò quando lo sbarco in Normandia fu rimandato al 1944.
Sbarco in Sicilia Nel mese di giugno 1943 furono attaccate e conquistate le isole di
Pantelleria e di Lampedusa che dovevano rappresentare, nei progetti di Mussolini, la
parte sostenuta da Malta contro gli italiani: un baluardo inespugnabile nel canale di
Sicilia. "Li fermeremo sul bagnasciuga" (intendendo dire la battigia), affermò Mussolini
agli sfiduciati italiani. Il 10 luglio gli anglo-americani non furono fermati, e poco dopo
sbarcarono in Sicilia quasi 160.000 soldati provenienti dalla Tunisia. Gli americani
passarono attraverso l'interno dell'isola, i britannici percorsero la strada costiera tra
Siracusa e Messina. Ad agosto la Sicilia risultava occupata per intero.
Crollo del fascismo Nel frattempo, nella notte tra il 24 e il 25 luglio 1943, era avvenuta
la drammatica seduta del Gran Consiglio del fascismo che sancì la caduta di Mussolini.
Fu presentato e messo ai voti un ordine del giorno firmato da Dino Grandi che chiedeva
le dimissioni di Mussolini. Il giorno 25 luglio Mussolini fu ricevuto da Vittorio
Emanuele III e subito dopo arrestato. La carica di primo ministro fu assunta dal
maresciallo Pietro Badoglio che aveva compreso la necessità di un armistizio in
considerazione del fatto che la guerra tra tedeschi e alleati si sarebbe combattuta in
territorio italiano con infinite distruzioni e senza speranza di successo. La resa fu
firmata il 3 settembre e resa nota l'8 settembre 1943 in mezzo alla confusione più
deplorevole e alla mancanza di direttive per le forze armate. Gli eserciti italiani ancora
in linea, quando poterono, si dissolsero e ciascuno cercò di tornare a casa in un modo
qualsiasi. In qualche caso, intere divisioni furono catturate e distrutte dai tedeschi che
approfittarono della confusione per occupare Roma e il resto d'Italia fino a Napoli. Con
un'operazione spericolata i tedeschi liberarono Mussolini internato in un albergo del
Gran Sasso, per trasferirlo al nord. Fu costituito uno Stato fantoccio col nome di
Repubblica Sociale di Salò, dal luogo in cui aveva sede il governo.
Sbarco di Salerno Il 9 settembre ebbe luogo il grande sbarco di Salerno, voluto da
Churchill per tenere occupate le truppe rese libere dalla conquista della Sicilia. Il fronte
italiano, tuttavia, era considerato un fronte secondario, per mantenere agganciate
numerose divisioni tedesche e alleggerire il fronte principale che si doveva aprire in
Normandia. A partire da quel momento, la decisiva superiorità di truppe statunitensi in
Europa fece passare il comando strategico agli americani che vollero rispettare alla
lettera gli accordi presi con Stalin.
La liberazione di Roma La guerra languì per tutto l'inverno intorno a Montecassino, il
caposaldo della Linea Gustav. Il 4 giugno 1944 Roma fu liberata dalle truppe alleate, la
prima capitale dell'Asse che cadeva. Il 12 agosto fu occupata anche Firenze. Il comando
tedesco tenuto da Kesselring poté costituire una seconda linea difensiva, la Linea
Gotica, tra Rimini e la Spezia, che resistette fino all'aprile 1945. Mussolini, mentre
cercava di fuggire in Svizzera, fu arrestato, ucciso senza processo e infine appeso a testa
in giù nel Piazzale Loreto a Milano, secondo uno stile di giustizia sommaria che non fa
onore a nessuno.
Il movimento della Resistenza
Sarebbe giusto far iniziare il movimento della
Resistenza dalla distruzione della divisione “Acqui” avvenuta nell’isola di Cefalonia
proprio di fronte alle coste pugliesi, che già erano state liberate dagli anglo-americani.
Quell’unità militare, lasciata senza direttive dai dirigenti del governo presieduto da
Badoglio, tutto preso dall’ansia di mettersi in salvo fuggendo da Roma diretto a Pescara
con la famiglia del re per poi raggiungere Brindisi, fu circondata da truppe tedesche che
occuparono posizioni adatte per tener sotto tiro le truppe italiane. Agli ufficiali fu
intimata la resa e l’immediato arruolamento nell’esercito della Repubblica di Salò.
Dopo ampia consultazione anche dei soldati semplici, gli ufficiali risposero di non poter
accettare quelle condizioni disonorevoli. Iniziò un combattimento disperato con
massacro di tutti gli ufficiali e di migliaia di soldati. I sopravvissuti furono internati in
campi di concentramento tedeschi dove in gran parte morirono. Il fatto fu dapprima
offuscato e poi cancellato in omaggio al politically correct, ossia una prassi secondo cui
si rinuncia e rievocare cose vere in omaggio a coloro che hanno vinto o che al presente
sono i più forti. La Resistenza iniziò per decisione di militari, per esempio il generale
Raffaele Cadorna e il colonnello Cordero di Montezemolo che, tra l’altro, proprio in
forza della loro specifica competenza, sanno come si guidano operazioni di guerriglia
dirette contro un esercito straniero di occupazione. A Napoli, verso la fine di settembre
1943, ci fu un’insurrezione popolare, repressa duramente dalle truppe tedesche, ma
poiché non riuscì ad alcuno dei partiti, che in seguito si attribuirono i meriti della
Resistenza, di egemonizzare quella ribellione, l’avvenimento fu declassato a semplice
mob ossia un assalto ai forni alla maniera di Masaniello o di Gennaro Annese o dei
“sanfedisti” al tempo della Repubblica partenopea del 1799.
L’attentato di via Rasella Nell’inverno tra il 1943 e il 1944, come si è accennato, la
guerra ristagnò sul fronte italiano lungo la cosiddetta linea Gustav avente come fulcro
l’abbazia di Montecassino. La resistenza militare si orientò verso la creazione di un
esercito italiano di soldati regolari che combattevano a fianco degli anglo-americani e di
una armata polacca comandata dal generale Anders. Furono almeno cinquemila gli
ufficiali e i soldati che combatterono bene, perché conoscevano il terreno e le sue
insidie meglio degli alleati: nella battaglia di Montelungo furono numerosi i caduti. La
resistenza dei gruppi politicizzati ritenne di dover compiere un attentato dimostrativo in
Roma. Dopo aver studiato il caso, un gruppo di partigiani travestiti da netturbini
piazzarono un contenitore di spazzatura imbottito di esplosivo in via Rasella, dove la
strada compie una curva obbligando gli automezzi a rallentare. Durante il passaggio di
un automezzo tedesco, gremito di soldati, l’ordigno fu fatto esplodere. Morirono 33
soldati che per ironia della sorte erano militari altoatesini, piuttosto anziani e perciò
impiegati in modesti compiti di guardia a depositi e altri obiettivi sensibili. Il
comandante tedesco Kappler ordinò la rappresaglia di dieci a uno, ossia 333 ostaggi
condannati a morte, se gli autori dell’attentato non si auto denunciavano. Seguì il
massacro di 335 vittime alle Fosse Ardeatine, tra cui c’erano una settantina di ebrei che
erano in quel momento in prigione e altri innocenti presi a caso. Il fatto paralizzò in
Roma ogni entusiasmo per la resistenza effettuata in quei modi.
Partiti politici e resistenza
La Resistenza fu un fenomeno complesso con tre
principali componenti: quella social-comunista guidata da ultimo da Luigi Longo, che
aveva avuto nella guerra civile spagnola una funzione analoga a quella espletata in
Italia, ossia egemonizzare un movimento corale, rendendolo funzionale agli obiettivi del
partito comunista; quella del Partito d’Azione comprendente molti gruppi organizzati da
Giustizia e Libertà facenti capo a Emilio Lussu, un repubblicano di sinistra; e quella
formata da cattolici guidati da Enrico Mattei, divenuto in seguito prestigioso presidente
dell’ENI. Dopo la guerra, la pubblicistica comunista finì per appropriarsi in esclusiva
del fenomeno della Resistenza che, nei fatti, fu molto più variegato. Vi presero parte
anche monarchici come Edgardo Sogno, medaglia d’oro della Resistenza, che speravano
nella decisione del principe ereditario Umberto di farsi paracadutare in Piemonte per
guidare il riscatto della dinastia dei Savoia. Sogno godeva di personale affidabilità nei
confronti dei comandanti alleati che gli fornirono viveri e armi a preferenza che ad altri
partigiani i cui obiettivi politici non collimavano con quelli degli alleati nella
prospettiva del dopo guerra.
I partigiani sul confine orientale Particolarmente gravi furono gli avvenimenti nel
Friuli orientale, in Istria e in Dalmazia. Qui le brigate Garibaldi formate da comunisti
strinsero una comunanza di azione con i partigiani jugoslavi, i cosiddetti titini. Quando
tedeschi e repubblichini furono costretti a lasciare quei territori si scatenò il terribile
fenomeno della pulizia etnica, con uccisione o cacciata degli abitanti di lingua italiana. I
titini occuparono Fiume, Pola e Trieste, obbligando 350.000 italiani a fuggire lasciando
ogni cosa. I massacri furono particolarmente odiosi quando, sembra per risparmiare
pallottole, i prigionieri furono legati uno all’altro con fil di ferro, uccidendo il primo
della fila che col suo peso trascinava gli altri infelici in fondo alle foibe, le famigerate
fessure del terreno carsico molto profonde. Il caso più clamoroso fu l’eccidio dei
partigiani della brigata Osoppo, avvenuto nella malga Porzus, da parte di altri partigiani
della brigata Garibaldi che non tolleravano una guida politica diversa da quella
comunista.
Bilancio della Resistenza I partigiani impiegati in azioni militari non superarono mai il
numero di ottantamila. Occorre ricordare che non avevano armamento pesante e perciò
non furono determinanti per l’andamento della guerra, risolta dai circa due milioni di
soldati anglo-americani, armati di artiglierie, aerei e carri armati. Inoltre è opportuno
ricordare che molte bande partigiane si formarono dopo il 25 aprile 1945, praticamente
a guerra finita, e che per circa tre mesi quelle bande dettero vita a “tribunali del popolo”
che non sempre agirono con giustizia. Solo recentemente è stato possibile fare il
bilancio dei morti di quel periodo che ascende a circa trentamila morti, compresi non
pochi uccisi anche dopo anni dalla fine della guerra. Come avvenne per il Risorgimento
nel secolo XIX, è opportuno ricordare che la Resistenza ha avuto un significato morale
altissimo, ma che nell’azione pratica molti hanno agito male. In ogni caso non fanno
parte dei “valori della Resistenza” la giustizia sommaria, la strage di innocenti mediante
attentato, il rifiuto dell’azione giudiziaria per stabilire responsabilità personali di
massacri, facendo espatriare i colpevoli, il blocco di ogni ricerca storica negli archivi in
grado di riabilitare le vittime innocenti di quei fatti.
Così terminò la guerra di Mussolini. Rimane da accennare al calvario rappresentato
dalla guerra in Russia, cui prese parte anche un contingente italiano, e che segnò la
sconfitta definitiva del nazismo.
13. 5 La guerra in Russia
Tra il giugno 1940 e il giugno 1941 i combattimenti in Europa furono limitati per
l'esercito di Hitler: solo l'aiuto fornito al debole alleato italiano per trarlo d'impiccio
dalle avventure in cui si cacciava con assoluta mancanza di realismo.
L'attacco tedesco contro la Russia Hitler meditava il grande colpo contro l'URSS che
doveva assicurare per sempre l'egemonia tedesca sul continente. Fin dal dicembre 1940
cominciò a studiare l'Operazione Barbarossa invece di tentare di schiacciare la Gran
Bretagna. La sconfitta della Francia era stata troppo rapida per cui Hitler si convinse che
l'esercito sovietico, ritenuto mal armato e privo di comandanti di prestigio, si sarebbe
dissolto ancor più rapidamente di quello francese. Tutte le altre campagne - nei Balcani,
a Creta, nell'Africa del nord - rimasero incomplete, ossia senza aver debellato i focolai
di resistenza. Inoltre Hitler dovette lasciare il 13% del suo esercito di guardia ai 13.000
chilometri di costa, dal confine con la Spagna fino alla Norvegia.
Motivi dell'attacco contro la Russia Il 22 giugno, quasi lo stesso giorno dell'attacco di
Napoleone del 1812, iniziò l'ultima avventura di Hitler. Il fronte era amplissimo: dal
Mar Bianco fino al Mar Nero; l'obiettivo era ambizioso: impadronirsi dell'Ucraina e del
suo grano, raggiungere il bacino del Donetz e assicurarsi il petrolio del Caucaso (Baku).
La fantasia megalomane di Hitler, forte della conoscenza delle carte geografiche più che
della reali condizioni del terreno, lo condusse a immaginare la conquista dell'Iraq e
dell'Iran, per raggiungere l'India settentrionale, stabilendo un contatto coi giapponesi.
Aiuti a Stalin L'attacco contro l'URSS si sviluppò, secondo lo schema collaudato della
guerra-lampo, lungo tre direttrici: una a nord che doveva catturare Leningrado; una al
centro che doveva raggiungere Mosca; e la terza al sud che doveva puntare su Stalingrado. Hitler aveva 150 divisioni, molte delle quali erano corazzate e meccanizzate;
inoltre aveva il dominio dell'aria. Stalin aveva un ugual numero di divisioni, ma molto
meno armate, almeno all'inizio. Churchill volle aiutare Stalin perché, fin quando
resisteva, teneva lontano Hitler dal fronte occidentale: fin dal 12 luglio ci fu una formale
alleanza tra Gran Bretagna e URSS. Il 1° ottobre l'alleanza con l'URSS fu sottoscritta
anche dagli alleati della Gran Bretagna. A partire da quel momento l'URSS ricevette
attraverso il porto di Archangelsk sul Mar Bianco e attraverso la ferrovia dell'Iran
immense quantità di materiale bellico (almeno 3000 carri armati e 4000 aerei).
All'inizio l'offensiva tedesca sembrava confermare le previsioni di una campagna
rapida, della durata di due mesi; ma col passare del tempo l'esercito tedesco si
allontanava sempre più dalle sue basi, mentre il fronte russo si avvicinava alle proprie
fonti di rifornimento. A sud fu raggiunta Odessa e Kiev; al centro fu espugnata
Smolensk; al nord furono conquistati gli Stati baltici e assediata Leningrado.
Resistenza di Leningrado e Mosca L'offensiva su Mosca iniziò a ottobre; molti
cittadini lasciarono la capitale, ma Mosca non cadde. Il comando dell'Armata Rossa fu
assunto dal maresciallo Zukov. A novembre fu scatenata ancora un'offensiva tedesca,
ma il 7 dicembre la spinta tedesca era esaurita e il generale Inverno, come si diceva in
Russia, prese il sopravvento. Hitler assunse il comando diretto del fronte russo,
iniziando una serie di ottusi colpi d'ariete frontali che rivelano l'incapacità di
comprendere la situazione spaventosa di soldati senza ripari a temperature di -40°C,
quando la nafta ghiaccia e il grasso degli ingranaggi blocca i meccanismi, rendendo
inutili le armi. La brutalità nazista non seppe trarre partito dalla diffusa ostilità degli
ucraini contro il loro governo. Le perdite russe nei primi sei mesi di combattimento
furono spaventose, ma il grande impero sovietico aveva sempre nuovi soldati da
richiamare sotto le armi. Una tattica più assennata poteva prevedere ampie offensive
estive e ritirate strategiche invernali in luoghi riparati, immobilizzando i sovietici con
l'aviazione, ma Hitler non voleva sentir parlare di ritirate.
Attacco giapponese contro gli USA Il giorno stesso dell'esaurimento dell'offensiva
contro Mosca, il Giappone lanciava il suo attacco di Pearl Harbor, costringendo gli USA
a intervenire nella Seconda guerra mondiale. Italia e Germania si affrettarono a
dichiarare guerra agli USA, una cosa senza senso che non recava loro alcun vantaggio.
Ancora una volta la Germania doveva iniziare una lotta contro il tempo, per terminare la
guerra prima che la produzione di massa americana potesse raggiungere l'Europa.
Churchill, quando conobbe le notizie dell'Estremo Oriente, si convinse che la guerra era
vinta: ma fu troppo ottimista perché la guerra durò ancora quattro anni.
Resistenza di Stalingrado Hitler decise di mutare tattica in Russia. Invece di far
avanzare tutto il fronte con attacchi contemporanei, cercò di sfruttare il successo
relativo sul fronte sud che prometteva un bottino più consistente. In maggio fu
conquistata Sebastopoli in Crimea. Un contrattacco del maresciallo Timoschenko fu
bloccato e due successive offensive tedesche fruttarono centinaia di migliaia di
prigionieri russi, ma Stalingrado resistette e ora il fronte appariva sbilanciato, con lunghissime linee di comunicazione per l'armata del sud con pericolo di attacchi laterali. Il
14 settembre i tedeschi entrarono in Stalingrado e vi rimasero fino al gennaio 1943, ma
isolati da due attacchi del maresciallo Zukov: il comandante tedesco von Paulus si
arrese il 31 gennaio con moltissimi soldati mentre il corpo di spedizione italiano riuscì a
ritirarsi pur con gravi perdite.
I russi liberano Leningrado Qualcosa di simile avvenne nell'estremo nord, a
Leningrado. Nel febbraio 1943 l'offensiva invernale russa riconquistò Kurat, Rostov e
Karkov: mezzo milione di tedeschi furono uccisi o fatti prigionieri. Tutto il fronte
dovette arretrare di almeno 350 chilometri. Il resto della campagna di Russia fu una
serie di offensive sovietiche, lanciate una alla volta sui vari fronti per obbligare i
tedeschi a correre da una parte all'altra logorandosi. Nell'agosto 1943 l'offensiva russa
riconquistò Smolensk. Il 6 novembre fu ripresa Kiev. Il 20 gennaio 1944 fu tolto
l'assedio intorno a Leningrado. A marzo i russi rientrarono in Polonia. A maggio fu riconquistata la Crimea. A ottobre i russi erano vicini a Varsavia: ci fu l'eroica rivolta dei
polacchi che i russi stettero a guardare. Già il 24 agosto la Romania si era arresa ai russi.
L'8 settembre anche la Bulgaria si arrese e l'Armata Rossa occupò Sofia, dove fu
formato un governo favorevole ai sovietici che decise di fornire truppe per attaccare la
Jugoslavia. Qui la resistenza si divise in due fazioni: quella di Mihailovic favorevole
all'Occidente e quella di Tito favorevole ai comunisti.
Fine della guerra Il 12 gennaio 1945 lo sforzo sovietico si concentrò in Polonia:
Varsavia cadde il 17 gennaio. I marescialli russi Koniev, Zukov e Rokossovskij
entrarono nella Prussia orientale, puntando su Berlino. Il 20 aprile i soldati russi
cominciarono a bombardare il centro della città, la cui caduta fu ritardata solo dalla folle
determinazione dei nazisti di morire con le armi in pugno.
13. 6 Il giorno più lungo
Il compito degli anglo-americani era più complesso del compito dei russi. Uno
sbarco in Europa sul vallo atlantico richiedeva una complessa organizzazione logistica,
numerosi mezzi da sbarco, una concentrazione di navi sterminata e rifornimenti co-
lossali per mantenere viva la pressione sui tedeschi. Tale compito spettò al generale
Dwight Eisenhower che impiegò molti mesi per mettere a punto la complessa
operazione.
Bombardamenti sulla Germania La Gran Bretagna divenne un immenso campo
trincerato. Furono trasferite intere armate aeree americane che fin dal 1943
bombardarono le città tedesche, le ferrovie, gli stabilimenti. Con tutto ciò l'industria
bellica tedesca continuava a funzionare, una cosa che appare stupefacente. Di notte
intervenivano i bombardieri britannici con una funzione chiaramente terroristica:
tuttavia i tedeschi raggiunsero il massimo di produttività proprio nel 1944. Furono
attaccati dall'aria obiettivi militari anche in Francia per preparare l'attacco decisivo.
È deciso lo sbarco in Normandia Dopo molte riflessioni la scelta cadde sulla penisola
del Cotentin in Normandia. Lo sbarco doveva avvenire in cinque punti diversi: furono
necessari apprestamenti eccezionali, perfino un porto artificiale da trasportare in sezioni
scomponibili dai luoghi d'imbarco; 10.000 aerei, 80 navi da guerra per il
cannoneggiamento iniziale e 4000 navi per il trasporto delle truppe. L'esperienza alleata
in fatto di sbarchi era notevole, ma bisognava evitare gli errori commessi in Africa, in
Sicilia e nell'Italia meridionale.
Lo sbarco ha successo I tedeschi attendevano lo sbarco: Rommel aveva previsto che se
non si riusciva a ributtare a mare il nemico nelle prime 24 ore, la fine della difesa
tedesca era sicura. Disse che quel giorno sarebbe stato il più lungo di tutta la guerra. Lo
sbarco ebbe successo. Nella prima settimana erano stati sbarcati già 300.000 soldati;
dopo tre mesi i soldati erano 2 milioni con 450.000 automezzi. Dopo aver occupato la
penisola del Cotentin col porto di Cherburg e la città di Caen, iniziò la grande offensiva
su Parigi e le Fiandre. Le perdite tedesche furono impressionanti: 40 divisioni sulle 60
che formavano il contingente di occupazione furono rese inoperanti. Il 26 agosto gli
alleati presero Parigi: a de Gaulle e alle forze della France libre fu concesso l'onore di
entrare per primi.
Eisenhower Il 1° settembre Eisenhower assunse il comando diretto dell'operazione,
guidata fino a quel momento dal maresciallo Montgomery. Eisenhower volle un attacco
frontale di tutte le colonne in marcia, mentre i britannici avrebbero preferito un attacco
lungo una sola direttrice, quella diretta in Belgio e Olanda per conquistare al più presto
le basi di lancio delle ultime novità tedesche, i razzi V1 e V2 che avevano ripreso il
bombardamento di Londra.
Cade la prima città tedesca Il 2 settembre fu occupata Bruxelles; il 4 fu catturato
intatto il porto di Anversa che non si poté utilizzare finché non si conquistava la foce
della Schelda. L'8 settembre fu la volta di Liegi, mentre gli americani entravano nella
valle della Mosella. Ma ora i rifornimenti giungevano sempre più in ritardo perché le
linee di comunicazione si erano allungate di alcune centinaia di chilometri. Il maltempo
autunnale che impediva le operazioni aeree e la linea di fortificazioni tedesca "Sigfrido"
provocarono un rallentamento della pressione alleata. Fu fatto un lancio di paracadutisti
su Eindhoven, Nimega e Arnhem che fallì e costò molte perdite agli alleati. A ottobre,
tuttavia, fu conquistata la prima città tedesca, Aquisgrana.
Contrattacco di Bastogne A metà dicembre Hitler tentò una controffensiva nella
regione delle Ardenne che doveva ripetere i successi del 1940. Radunò ciò che gli
rimaneva della sue forze, 28 divisioni e 2500 carri armati, tentando una puntata sulla
Manica. A Bastogne, in pieno inverno, ci fu la battaglia decisiva. Gli americani del
generale Patton resistettero, mentre la loro aviazione martellava i rifornimenti tedeschi.
Verso i primi giorni di gennaio 1945 la battaglia era terminata: i tedeschi avevano
perduto altri 120.000 uomini. Non c'era più nulla che potesse salvare la Germania,
neppure le armi segrete e i primi aerei a reazione.
Incontro sull'Elba tra americani e russi Il 13 aprile i russi entrarono in Vienna;
qualche giorno dopo giunsero nei sobborghi di Berlino. Alla fine d'aprile americani e
russi si incontrarono sul fiume Elba. Hitler ormai viveva nel bunker della Cancelleria a
20 metri di profondità: era malato e non sempre padrone delle sue azioni. Fece
distruggere alcuni impianti industriali per non farli cadere nelle mani dei nemici.
Quando ebbe notizia dell'uccisione di Mussolini per opera dei partigiani, decise il suicidio. Il 29 aprile sposò Eva Braun, scrisse il testamento, fece un lugubre pranzo,
parlando in continuazione della sua vita. Nelle prime ore del 30 aprile si sparò, mentre
la Braun preferì il veleno. Un cameriere raccolse i cadaveri e li trasportò nel giardino
della Cancelleria dove li bruciò con una grande quantità di benzina, mentre intorno
cadevano le granate russe. Goebbels fece il saluto nazista al suo capo e poi, dopo aver
fatto uccidere la moglie e i sei figli, anch'egli si uccise. Alcuni altri capi del nazismo
tentarono di allontanarsi nella confusione del momento e qualcuno ci riuscì.
L'ammiraglio Doenitz, per designazione di Hitler, fu nominato capo dello Stato, ma solo
per firmare la resa senza condizioni, come avevano chiesto gli alleati.
Termina la guerra Il 7 maggio 1945, nella landa di Lüneburg, con la firma della resa
tedesca, finì la Seconda guerra mondiale in Europa. Si è discusso a lungo
sull'opportunità della formula "resa incondizionata" che avrebbe prolungato la
resistenza tedesca con gravi perdite di vite umane e di mezzi materiali, impedendo a
gruppi interni presenti in Germania di prendere il sopravvento sui nazisti e di portare la
Germania a un armistizio meno oneroso. In realtà quella formula non c'entra. Gli alleati
si erano impegnati a non fare paci separate con la Germania finché non fossero state
sconfitte tutte le potenze dell'Asse.
La situazione della Germania La Germania appariva prostrata. Alcune città come
Colonia, Berlino, Dresda, Essen erano state distrutte almeno all'85%. Dai territori
dell'est cominciarono a giungere milioni di profughi, la cui partenza fu favorita dai
sovietici che, senza perdere tempo, smontarono e trasportarono in Russia gli impianti
industriali sui quali misero le mani. Cercarono tecnici e scienziati, trasferendoli in
GULag perché lavorassero a favore dell'industria russa. Nei primi tre giorni di occupazione di Berlino, dopo la cessazione del fuoco, le truppe sovietiche ebbero licenza di
saccheggio; poi fu stabilito di dividere la città in quattro settori, uno per ogni Stato
vincitore (anche la Francia). La stessa cosa fu fatta a Vienna, ma non a Budapest,
Varsavia, Praga e Bucarest. Ben presto i contatti tra le truppe dei vincitori furono
interrotti: Stalin era diffidente e non amava che i suoi soldati comunicassero coi soldati
alleati.
Conferenza di Postdam Nel mese di luglio si tenne una conferenza dei vincitori a
Postdam. Parteciparono Stalin, Clement Attlee che aveva sostituito Churchill come
premier del governo britannico, e Harry Truman, divenuto presidente degli USA dopo
l'improvvisa morte di Roosevelt, avvenuta il 12 aprile. Tra gli alleati cominciarono ad
apparire profonde divergenze di opinione circa il modo di amministrare la pace. Le
potenze occidentali desideravano che la Germania rimanesse uno Stato in grado di
mantenersi, mentre Stalin pensava solo al bottino da ricavare a qualunque prezzo dalla
Germania.
Il processo di Norimberga Il paese fu diviso in quattro zone, come le due capitali
Berlino e Vienna. Si prese la decisione di sottoporre a processo i criminali nazisti più
noti. Diciannove furono ritenuti colpevoli e dodici furono condannati a morte tra cui
Göring, Ribbentrop, Seyss-Inquart, Kaitel e Jodl. Ci furono numerosi processi minori
accompagnati da critiche sempre crescenti perché il tribunale giudicava secondo leggi
retroattive: nessuno contestava la necessità della punizione, il modo lasciava perplessi.
Si propose di escludere da ogni incarico chi fosse stato nazista notorio, ma poi ci si
accorse che quasi tutte le persone di qualche importanza avevano aderito al partito
nazista. I successivi sviluppi politici della situazione mondiale consigliarono di chiudere
quanto prima il capitolo della ricerca delle responsabilità. Ai giudici e agli imputati
furono mostrati alcuni filmati dei campi di sterminio, rivelando al mondo ancora
incredulo l'entità dei crimini perpetrati. Durante i processi, venuta meno l'arroganza dei
gerarchi nazisti, apparve pienamente la miseria della loro statura umana e morale, la
ristrettezza del loro mondo intellettuale, la futilità dei pretesti addotti per scatenare una
guerra che costò al mondo almeno 35 milioni di morti e che aveva gettato l'Europa nel
caos e nella maggior debolezza della sua storia.
La tragedia degli Ebrei Terminato il conflitto apparve in tutta la sua dimensione
apocalittica la strage operata dai nazisti ai danni della comunità ebraica europea. È
accertato il numero di circa sei milioni di uccisi per il solo fatto di essere ebrei.
Giustamente gli Ebrei vogliono mantenere ben vivo nel ricordo di tutti gli uomini quegli
avvenimenti perché non si ripeta una tragedia di quelle dimensioni. Fin da quando il
nazismo arrivò al potere in Germania iniziò la costruzione dei famigerati Lager
(depositi), campi di concentramento e di lavoro forzato in cui furono internati zingari,
malati mentali o incurabili e altre persone giudicate inservibili per il Terzo Reich,
destinato a durare per mille anni. Poi i Lager furono ampliati per inserirvi tutti gli ebrei
rastrellati in Germania e nei territori occupati dai tedeschi. La condizione di vita in un
Lager era disumana, come testimonia una vasta letteratura che è opportuno non
dimenticare e che raggiunge vette altissime nei libri di Primo Levi, Se questo è un uomo
e La tregua, per citare solo un caso. Le figure di Massimiliano Kolbe e di Edith Stein
sono esempi di sublime eroismo che danno un certo conforto a chi ripensa a quei fatti
orribili. Nel freddo, nella fame, nell’abiezione più completa si provvedeva a togliere ai
prigionieri qualunque cosa prima di avvelenarli e di bruciarli coi ritmi anonimi e
burocratici della produzione industriale, che annientava persone umane uniche e
irripetibili coi loro legami famigliari, religiosi e culturali. Molti anni dopo la guerra
furono cercate responsabilità di uomini che, anche al di fuori della cerchia di Hitler, in
qualche modo avessero cooperato a promuovere quella tragedia.
La ricerca di capri espiatori Dal 1964, con insistenza fu fatto il nome del papa Pio
XII che col suo silenzio avrebbe coonestato i fatti, accusandolo di antisemitismo. Il fatto
è grave, perché occorrerebbe accusare di silenzi ancor più colpevoli la Croce Rossa
Internazionale; i governi britannico e statunitense in possesso di una rete di intelligence
ben più efficiente di quella del papa; le stesse comunità ebraiche di Israele e degli USA,
certamente più informate dei fatti rispetto a qualunque altra comunità. La verità è che
tutti temevano di scatenare una reazione nazista di folle ferocia, rendendo la condizione
di quegli infelici ancora più dura, se fosse stato possibile. Anche il governo dell’URSS
non si mostrò sensibile a quell’argomento, temendo di scatenare analoghe critiche sui
propri GULag, in tutto simili ai Lager nazisti. In ogni caso, l’aspetto più odioso di
questo tipo di accuse è di apparire meramente strumentale ai fini della battaglia
ideologica che si instaurò dopo la guerra, in luogo di puntare a edificare una poderosa
struttura intellettuale a difesa dei diritti umani fondamentali che impegnassero tutti al
rispetto dell’uomo, dalla nascita alla morte.
13. 7 Cronologia essenziale
1940 Il 10 maggio inizia il grande attacco tedesco contro la Francia: in poco più di un
mese la Gran Bretagna è costretta a ritirarsi e la Francia è occupata.
1940 Fallisce la grande offensiva aerea sulla Gran Bretagna. A settembre sono sospese
le operazioni per lo sbarco in Inghilterra.
1940 Il 28 ottobre Mussolini inizia l'attacco alla Grecia partendo dall'Albania.
L'operazione fallisce e Hitler è costretto a inviare aiuti nei Balcani.
1941 Il 17 aprile Hitler completa l'occupazione della Jugoslavia. Il 20 maggio è
occupata da paracadutisti l'isola di Creta.
1941 Il 22 giugno inizia l'attacco tedesco contro la Russia. A dicembre il Giappone
attacca la flotta americana nelle isole Haway.
1942 Nuova offensiva italo-tedesca in Egitto terminata con la sconfitta dell'Asse a El
Alamein. Sbarco alleato in Marocco e Algeria.
1943 Alla fine di gennaio si arrende ai russi un gruppo di armate tedesche bloccate a
Stalingrado. Il 13 maggio avviene la resa degli eserciti dell'Asse in Africa. Sbarco
anglo-americano in Sicilia. Il 25 luglio cade il regime fascista. Badoglio firma la resa
italiana il 3 settembre.
1944 Dopo la battaglia di Montecassino Roma è liberata. Riesce il grande sbarco in
Normandia: ad agosto è liberata Parigi.
1945 Ad aprile i russi entrano in Vienna e poi a Berlino. La guerra termina
ufficialmente a maggio.
13. 8 Il documento storico
I rapporti di Churchill con Roosevelt non furono sempre idilliaci, in particolare
nell'anno 1944, dopo che il secondo - legato alle promesse fatte a Stalin - rifiutò la proposta di aprire il secondo fronte nei Balcani per giungere nell'Europa orientale prima
dell'Armata Rossa: il pomo della discordia era la sorte da riservare alla Polonia, da
Stalin già mentalmente riannessa all'URSS. Il documento che segue riporta la commemorazione di Roosevelt tenuta da Churchill davanti alla Camera dei Comuni subito
dopo la morte dello statista americano.
“La mia amicizia col grande uomo alla cui opera e alla cui fama rendiamo oggi il
nostro omaggio cominciò e maturò durante questa guerra. Lo avevo incontrato, ma solo
per pochi minuti, dopo la fine dell'altra guerra e non appena andai all'Ammiragliato nel
settembre 1939 egli mi telegrafò per invitarmi a corrispondere direttamente con lui su
questioni navali o d'altro genere se in qualunque momento ne avevo il desiderio.
Ottenuto il permesso del Primo Ministro, lo feci. Conoscendo il vivo interesse del
Presidente Roosevelt per la guerra marittima, gli fornii una serie d'informazioni sui
nostri affari navali e sulle varie azioni, specie quella del Rio della Plata, che illuminò il
primo tetro inverno di guerra.
Quando divenni Primo Ministro e la guerra esplose in tutta la sua furia orrenda,
quando la nostra stessa vita e la nostra sopravvivenza stavano sui piatti della bilancia, io
ero già in grado di telegrafare al Presidente in termini di una comunanza che era
divenuta molto intima, e per me piacevolissima. Ciò continuò per tutti gli alti e bassi
della lotta mondiale fino a giovedì scorso, quando ricevetti da lui gli ultimi messaggi.
Tali messaggi non mostravano alcuno scadimento nella sua solita chiarezza ed energia
di visione su questioni sconcertanti e complicate. Posso citare il fatto che questa
corrispondenza, la quale naturalmente intensificò molto dopo l'entrata in guerra degli
Stati Uniti, comprende oltre 1700 messaggi incrociatisi tra noi due. Molti di essi erano
messaggi di cospicua lunghezza, e per la maggior parte trattavano di quei punti più
difficili che arrivavano a essere discussi dai capi di governo solo dopo che si sono raggiunte soluzioni ufficiali in altra sede. A questa corrispondenza si devono aggiungere i
nostri nove incontri - ad Argenta, a Washington tre volte, a Casablanca, a Teheran, a
Quebec due volte, e l'ultimo di tutti quello di Jalta - che in tutto comprendono circa 120
giorni di stretto contatto personale, buona parte dei quali trascorsi con lui alla Casa
Bianca o a casa sua a Hyde Park o nel suo rifugio delle Blue Mountains, che egli
chiamava Shangri-La.
Concepii ammirazione per lui quale statista, uomo d'affari e condottiero provando la
massima fiducia nella sua illuminata dirittura di carattere e di idee, e una stima
personale - affetto anzi, debbo dire - che oggi non posso adeguatamente esprimere. Il
suo amore per la patria, il suo rispetto per la Costituzione, il suo potere di misurare
maree e correnti della sua mobile opinione pubblica, furono sempre evidenti ma a essi si
aggiungevano i battiti di quel cuore generoso che lo spettacolo di aggressioni e
oppressioni da parte dei forti contro i deboli moveva sempre all'ira e all'azione. È certo
una perdita, un'amara perdita per l'umanità il fatto che quel cuore abbia cessato per
sempre di battere.
Il male da cui era afflitto il Presidente Roosevelt gli era di grave peso. Fu una
meraviglia che lo sostenesse per i molti anni di tumulto e tempesta. Non un uomo su
dieci milioni, colpito e menomato com'egli era, avrebbe tentato di gettarsi in una vita di
sforzo fisico e mentale e di dura, incessante controversia politica. Non uno su dieci
milioni avrebbe tentato, non uno su un'intera generazione sarebbe riuscito, non solo a
entrare in questa sfera, non solo ad agirvi impetuosamente, ma a rendersi padrone
indiscusso della situazione. In questo straordinario sforzo dello spirito sulla carne, della
volontà sull'infermità fisica, egli fu ispirato e sorretto da quella nobile donna che è la
sua devota consorte, i cui alti ideali marciavano di conserva coi suoi, e a cui va oggi in
tutta la sua pienezza la profonda e rispettosa simpatia della Camera dei Comuni.
Non c'è dubbio che il Presidente prevedesse i grandi pericoli addensatisi sul mondo
d'anteguerra con mente ben più presaga della maggior parte tra i bene informati d'ambo
le sponde dell'Atlantico, e che accelerasse con tutte le sue forze quei preparativi militari
di carattere precauzionale che si potevano far accettare all'opinione pubblica americana
in tempo di pace. Non ci fu mai un momento di dubbio, quando eruppe la lotta aperta,
da che parte fossero le sue simpatie. La caduta della Francia, e quella che alla maggior
parte delle persone fuori di quest'isola pareva l'imminente distruzione della Gran
Bretagna, furono per lui uno spasimo, sebbene non perdesse mai la fede in noi. Furono
uno spasimo per lui non solo a causa dell'Europa, ma a causa dei seri pericoli a cui
sarebbero rimasti esposti gli stessi Stati Uniti se noi fossimo stati sopraffatti e i superstiti piegati sotto il giogo tedesco. Il contegno della nazione, quando eravamo soli, riempì
lui e numerosissimi suoi compatrioti dei più caldi sentimenti verso il nostro popolo. Egli
e loro sentirono il "Blitz" del duro inverno 1940-41, quando Hitler si accinse a "radere
al suolo" le città del nostro paese, quanto chiunque di noi, e forse addirittura di più,
perché l'immaginazione è spesso più torturante della realtà. Non c'è dubbio che il
contegno dei britannici, e soprattutto dei londinesi accendesse nei petti americani un
fuoco ben più difficile da spegnere che non le conflagrazioni di cui soffrivamo noi “.
Fonte: W. CHURCHILL, La seconda guerra mondiale, Mondadori, Milano 1967, pp.
3178-3180.
13. 9 In biblioteca
Per approfondire la storia d'Italia durante la seconda guerra mondiale si consulti di
F.W. DEAKIN, Storia della repubblica di Salò, Einaudi, Torino 1963. Per la storia
militare della seconda guerra mondiale si consulti di B.H. LIDDEL HART, Storia di
una sconfitta. Parlano i generali del Terzo Reich, Rizzoli, Milano 1972. Molto
interessante di R. SHERWOOD (a cura di), La seconda guerra mondiale nei documenti
segreti della Casa Bianca, 2 voll., Garzanti, Milano 1949. Per il periodo di Vichy si
consulti di M. SERRA, Una cultura dell'autorità. La Francia di Vichy, Laterza, Bari
1980. Interessanti di E. FALDELLA, L'Italia nella seconda guerra mondiale, Cappelli,
Bologna 1959. Per la storia della resistenza italiana si consulti di L. VALIANI- G.
BIANCHI- E. RAGIONIERI, Azionisti, cattolici e comunisti nella resistenza, Franco
Angeli, Milano 1971. Tra le più recenti storie della Resistenza è importante di U.
FINETTI, La resistenza cancellata, Ares, Milano 2003 e di G. PANSA, Il sangue dei
vinti, Sperling e Kupfer, Milano 2003. Di interessante lettura: G. BIANCHI, 25 luglio.
Crollo di un regime, Mursia, Milano 1969. Per gli aspetti militari si consulti di B.H.
LIDDEL HART, Storia militare della seconda guerra mondiale, Mondadori, Milano
1971. Di notevole importanza di M. TOSCANO, Le origini diplomatiche del Patto
d'Acciaio, Sansoni, Firenze 1956. Nuova luce sui motivi del cedimento iniziale
dell’Armata Rossa di Stalin getta il libro di V. SUVOROV, Stalin, Hitler. La
rivoluzione bolscevica mondiale, Spirali, Milano 2000.
Cap. 14 La Seconda guerra mondiale in Oriente
Fin dai primi anni del XX secolo il Giappone aveva collezionato una serie di
successi politici e militari che avevano accresciuto il suo prestigio davanti ai governi
dei paesi dell'Asia. Nel 1902 la Gran Bretagna ne aveva sollecitato l'alleanza in funzione antirussa. Nel 1904-05 il Giappone aveva umiliato l'impero zarista, affondando le
flotte russe del Pacifico e del Baltico. Il governo giapponese aveva favorito la
formazione della repubblica cinese nel 1911 e infine aveva preso parte alla Prima guerra mondiale, occupando i territori tedeschi in Oceania. Terminata la guerra, la
posizione fin allora tenuta dalla Gran Bretagna in qualità di massima potenza
occidentale fu assunta dagli USA i quali vollero mettere un limite all'imperialismo
aggressivo del Giappone. Alla conferenza navale di Washington del 1922, fu stabilito il
principio 5-5-3, ossia la parità numerica tra le flotte britannica e americana, mentre
quella nipponica doveva arrivare a poco più della metà. I giapponesi protestarono e
non vollero rendersi conto che era un rapporto a loro favorevole, avendo essi un solo
teatro d'operazioni, il Pacifico, in luogo di molti mari come gli USA e la Gran
Bretagna.
Nel 1931 l'esercito impose al governo nipponico la conquista della Manciuria. Nel
1933 il Giappone uscì dalla Società delle Nazioni senza subire alcuna sanzione. Nel
1937 iniziò l'attacco a fondo in Cina contro il regime nazionalista di Chiang-Kai-shek.
Nel dicembre 1941 il Giappone attaccò la flotta americana nella rada di Pearl Harbor
nelle Haway. Non è facile spiegare come si sia diffusa la persuasione di poter annientare le forze riunite dell'Occidente libero se non ammettendo una specie di delirio
di onnipotenza dei militari giapponesi derivato dal disporre di una flotta e di un
esercito che sembravano funzionare con la precisione di un cronometro, mentre in
campo avversario il benessere avrebbe provocato un crescente rammollimento.
14. 1 Il sogno giapponese
Le guerre fortunate combattute dopo il successo della rivoluzione Meiji avevano dato
ai giapponesi la sensazione di poter tutto osare. Infatti, in India il partito del Congresso
guidato da Nehru e Gandhi minava le fondamenta del potere britannico; il partito
comunista in Indocina e Indonesia rendeva difficile la permanenza dei francesi e degli
olandesi; il dominio statunitense nelle Filippine doveva terminare nel 1946; la Cina si
trovava in piena guerra civile per i contrasti tra il Kuomintang e il partito comunista
cinese: per tutti questi motivi il nazionalismo asiatico, destato dal colonialismo
occidentale, traeva ispirazione dal Giappone.
Il nazionalismo nipponico I teorici giapponesi proposero un piano denominato "zona
di comune prosperità della Grande Asia sud orientale". Secondo tale progetto i paesi
dell'Estremo Oriente si dovevano impegnare a fornire al Giappone le loro materie prime
acquistandone i manufatti: il Giappone diveniva così il centro di una fitta trama di
rapporti tra asiatici, escludendo gli altri continenti. Se così fosse avvenuto, si pensava
che gli imperi coloniali dell'Occidente sarebbero crollati, a vantaggio dei nazionalismi
asiatici. In altre parole, il Giappone si impegnava a fornire ai paesi dell'Asia ciò che fin
allora avevano ricevuto dall'Occidente, la tecnologia e la ricerca scientifica in cambio
delle materie prime e dell'impegno di acquistare i prodotti giapponesi. Perciò i paesi
dell'Asia avrebbero trovato nel Giappone un paese pienamente sviluppato in grado di
competere con l'Occidente sul piano tecnico-scientifico, ma anche un paese pienamente
rispettoso delle culture locali e delle tradizioni peculiari di ogni paese asiatico.
Il riarmo nipponico Il progetto "per una più grande Asia" prevedeva il riarmo del
Giappone, tale da metterlo in condizione di sostituire i paesi occidentali come tutori
dell'ordine. Tale riarmo poteva avvenire in due modi: o si dava la preminenza
all'esercito, e in questo caso l'espansione giapponese poteva avvenire solo in direzione
della Manciuria e della Siberia; oppure si dava la preminenza alla marina e allora
l'espansione sarebbe avvenuta a spese di Olanda, Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti
che avrebbero visto le loro colonie minacciate dall'attivismo nipponico (Birmania,
Malacca, Hong Kong, Singapore, Malesia, Indocina, Indonesia, Filippine ecc.).
I progetti della marina e dell'esercito Il Giappone commise lo stesso errore della
Germania di Guglielmo II, ossia di sviluppare entrambi i progetti di espansione per terra
e per mare, senza stabilire una priorità tra i due. Marina ed esercito lottarono per
imporre al governo la precedenza del proprio progetto. La marina riuscì a far approvare
il piano di costruzione di numerose portaerei che fecero pendere la politica del governo
a favore dei progetti della marina. L'esercito reagì facendo precipitare la situazione in
Cina con l'aggressione del 1931 seguita da quella del 1937, che di fatto iniziò la
Seconda guerra mondiale.
Importanza del ferro e del petrolio Il Giappone era privo di materie prime e perciò
doveva importare tutto il ferro, il carbone, il petrolio, la gomma necessari al suo
sviluppo. La meccanizzazione degli eserciti e l'accresciuta potenza dei motori navali
rese il petrolio un problema di fondamentale importanza. Il petrolio si poteva trovare in
Indonesia e negli USA: se Olanda e Stati Uniti si fossero impegnati a fornire tutto il petrolio di cui il Giappone aveva bisogno, la pace poteva era assicurata; ma se quei paesi
usavano come arma strategica il petrolio, minacciando le forniture in caso di conflitto,
allora il Giappone doveva tutelarsi occupando i campi petroliferi. Era incerto solo il
momento ritenuto opportuno per l'attacco, non la decisione di dar corpo all'imperialismo
nipponico, realizzando il piano "per una più grande Asia".
14. 2 I militari al potere
I partiti politici in Giappone non hanno mai avuto reali differenze ideologiche: al
massimo differivano per volere in modo diverso le stesse cose.
I generali al governo A partire dal 1931 l'esercito impose che a capo del potere
esecutivo ci fosse un generale che subito dette inizio alle operazioni in Manciuria. I
generali predisposero per la guerra tutta la nazione giapponese, promovendo al massimo
gli ideali della tradizione culturale nipponica: la fedeltà, anche a costo della vita,
all'imperatore; l'obbedienza agli ordini ricevuti; l'intrepidezza di fronte ai pericoli.
Esercito e marina furono preparati mirabilmente ai loro compiti, forse anche meglio di
quanto fecero i nazisti in Germania dopo il 1933.
Confusione tra politica e tecnologia Nelle valutazioni dei militari ci furono alcuni
errori di prospettiva, il primo dei quali era di ritenere politicamente realizzabile un
progetto che si fosse dimostrato tecnicamente possibile. Infatti, fu conquistato l'Estremo
Oriente, ma non fu possibile unificarlo politicamente. In secondo luogo, i militari
pensavano di sollevare l'entusiasmo delle popolazioni assoggettate agli occidentali, ma
quando apparve chiaro che l'imperialismo giapponese era più spietato di quello
occidentale, nessun aiuto venne dalle popolazioni, e in qualche caso, come nelle
Filippine, sorse la guerriglia contro le truppe d'occupazione nipponiche.
Avventurismo politico Nella considerazione dei militari trovavano accoglienza solo
coloro che presentavano piani aggressivi e conquiste territoriali. Coloro che avanzavano
riserve sulla prevista acquiescenza degli USA al colpo di mano nipponico, erano
giudicati disfattisti, poco coraggiosi, indegni di guidare il Giappone alla vittoria che
sarebbe giunta immancabilmente.
14. 3 Pearl Harbor
Il Giappone, in un certo senso, commise l'errore che più tardi avrebbe ripetuto Hitler,
di attaccare su un secondo fronte prima che la guerra sul primo fosse conclusa.
Il doppio fronte nipponico L'attacco a fondo in Cina iniziò nel 1937, ma subì una fase
di stanca per tutto il 1938, perché le truppe di Chiang-Kai-shek opponevano una
crescente resistenza. Il progetto della marina tornò allora in primo piano, ossia realizzare un attacco alla Malesia che con Singapore è la chiave di volta dell'Asia sud
orientale. Nel frattempo gli USA praticavano un pacifismo a tutti i costi evitando
qualunque provvedimento in grado di irritare il Giappone.
Il Patto tripartito I successi folgoranti di Hitler nella primavera del 1940 fecero
pendere il piatto della bilancia a favore dell'aggressione contro le potenze occidentali.
Infatti, a maggio la Francia appariva esausta e la Gran Bretagna doveva ritirare da
Dunkerque, in modo fortunoso, il suo esercito. A giugno la Francia crollava. Subito i
giapponesi strinsero accordi con le autorità di Vichy per costruire alcuni aeroporti in
Indocina. Gli USA reagirono concedendo un prestito alla Cina nazionalista e ponendo
l'embargo su alcune materie prime destinate al Giappone (petrolio e rottami di ferro). Il
governo giapponese rispose stringendo un Patto tripartito con Italia e Germania.
Unità d'azione tra Gran Bretagna e USA Gran Bretagna e USA, vincendo le
resistenze degli isolazionisti americani, stabilirono accordi che prevedevano
consultazioni tra i capi di stato maggiore americano e britannico. Secondo tali accordi
del marzo 1941, il settore del Pacifico era affidato agli USA che si impegnavano ad
aiutare la Gran Bretagna in ogni modo che non fosse la guerra aperta, per avere ragione
di Hitler.
La flotta nipponica Il Giappone, che fin dal 1933 non apparteneva più alla Società
delle Nazioni, aveva realizzato un programma massiccio di costruzioni navali e perciò
nel 1941 aveva una flotta nettamente superiore a quella che congiuntamente potevano
opporre in Estremo Oriente Gran Bretagna, USA e Olanda. Tra i fatti di difficile
spiegazione che costellano la storia, c'era quello di una grande nazione - gli USA praticamente impreparata al conflitto, che sosteneva un alleato aggredito, la Cina
nazionalista, e che allo stesso tempo forniva al Giappone, riconosciuto aggressore, gran
parte delle materie prime e della tecnologia che permettevano l'aggressione.
Embargo americano ai materiali strategici Nel luglio 1940 il presidente Roosevelt
ebbe dal Congresso i poteri per limitare l'esportazione di tutto il materiale bellico
necessario alla difesa degli USA e di creare una flotta in grado di controllare due oceani,
Atlantico e Pacifico. Per un anno le cose andarono avanti così, poi precipitarono.
Aumenta la tensione tra USA e Giappone Il 25 luglio 1941 il Giappone annunciò di
aver assunto il protettorato sull'Indocina francese. Il giorno dopo, 26 luglio, il presidente
Roosevelt annunciò due provvedimenti: nel primo si diceva che le forze armate della
confederazione delle Filippine erano accolte nell'esercito americano e che si nominava il
generale Douglas Mac Arthur comandante supremo delle forze armate degli USA in
Estremo Oriente; col secondo erano congelati i crediti giapponesi in America. Gran
Bretagna e Olanda si affrettarono a fare le stessa cosa, per cui il Giappone non riceveva
più né gomma, né rottami di ferro, né petrolio. Il Segretario di Stato americano Cordell
Hull condusse un'estenuante trattativa col governo giapponese, affermando che quelle
merci sarebbero state cedute al Giappone se quel governo si impegnava a chiudere
"l'incidente cinese" e a ritirare le truppe dall'Indocina. Il primo ministro giapponese, il
principe Konoye, chiese al capo di stato maggiore dell'esercito Tojo di ritirare un po' di
truppe dal fronte cinese, ma costui rifiutò. Konoye dette allora le dimissioni, e Tojo fu
chiamato a presiedere il nuovo governo.
Ultimatum nipponico agli USA Costui, il 20 novembre inviò un ultimatum a
Washington in cui chiedeva di sospendere ogni aiuto a Chiang-Kai-shek, di scongelare i
crediti giapponesi negli USA e di permettere le conquista di tutta la Cina. Alla risposta
negativa del governo degli USA, il 26 novembre fu diramato alle navi l'ordine di
attaccare la base americana di Pearl Harbor nelle Haway.
L'attacco di Pearl Harbor L'attacco è noto: alle 7.55 di domenica 7 dicembre 1941,
una serie di ondate di bombardieri e caccia decollati da portaerei che in gran segreto
erano partite dalle isole Kurili, scaricarono sulla flotta americana del Pacifico alla fonda
nel porto di Pearl Harbor, siluri e bombe che, con poche perdite per gli attaccanti,
provocarono danni considerati allora irreparabili. Poche ore dopo, altri aerei decollati da
Formosa, attaccarono le truppe americane presso Manila nelle Filippine, mentre truppe
nipponiche sbarcavano nella penisola di Malacca e ponevano l'assedio a Singapore. Al
presidente Roosevelt non rimase altro che far ratificare dal Congresso l'esistenza dello
stato di guerra col Giappone.
14. 4 Indocina, Filippine, Indonesia
L'ammiraglio Yamamoto, quando gli fu ordinato di eseguire l'ordine del fortunato
attacco di Pearl Harbor non si faceva illusioni; infatti disse: "Per sei mesi staremo
tranquilli; poi se la guerra non sarà finita, Dio abbia pietà di noi". Raramente una
previsione si è tanto puntualmente realizzata.
I giapponesi in Indocina Il momento scelto dal governo nipponico per l'attacco era il
più propizio. La Francia era stata sconfitta e in gran parte occupata dai nazisti; ciò che
rimaneva, ossia la repubblica di Vichy guidata dal maresciallo Pétain, non aveva più la
possibilità di una politica estera autonoma, non aveva esercito né marina da inviare a
difesa delle colonie e perciò i giapponesi poterono occupare facilmente l'Indocina.
I giapponesi nelle Filippine Gli USA, dopo aver perduto a Pearl Harbor gran parte
delle navi - ma non le portaerei -, dovevano ricostruire la flotta, arruolare e addestrare
un grande esercito, aiutare la Gran Bretagna a sconfiggere la Germania di Hitler in
Europa, prima di impegnarsi nella guerra contro il Giappone. L'esercito americano che
si trovava nelle Filippine non aveva dunque nessuna possibilità di ricevere il soccorso almeno per qualche mese - di uomini e mezzi, dato che il Pacifico era controllato dalla
flotta giapponese.
I giapponesi in Indonesia La piccola Olanda era stata occupata in pochi giorni da
Hitler e il suo governo a stento era riuscito a rifugiarsi in Gran Bretagna: la sua flotta fu
messa a disposizione degli alleati per difendere l'Indonesia, una nazione insulare che si
estende per 5000 chilometri in lunghezza e per 2000 in larghezza, composta di circa
14.000 isole. Tale difesa appariva ora impossibile, ma si cercava di rendere più lenta la
penetrazione giapponese in attesa del riarmo americano.
I giapponesi a Singapore Nel mese di dicembre 1941 il Giappone occupò l'isola di
Guam, l'isola di Wake e Hong Kong; poi fu la volta della Tailandia e della Malesia con
l'espugnazione dell'importante base di Singapore che cadde nel febbraio 1942. A marzo
ogni resistenza olandese in Indonesia cessò. Gli americani cercarono di trincerarsi sulla
penisola di Bataan e sulla vicina isola di Corregidor, dove resistettero fino a maggio,
infliggendo dure perdite ai giapponesi prima di arrendersi. I britannici dovettero
evacuare, sempre a maggio, la Birmania. L'Australia si salvò solo per la sua grandezza
che avrebbe richiesto un eccessivo dispiegamento delle forze giapponesi. Questa breve
campagna militare dimostrò al mondo che le vecchie flotte composte di corazzate erano
inermi di fronte agli attacchi aerei; che il dominio del mare era conquistato dalle
portaerei, mentre tutte le altre navi formavano la loro scorta.
La battaglia del Mar dei Coralli Sull'onda della vittoria, il Giappone tentò di chiudere
il grande triangolo che andava dalle isole Kurili a nord, alla Birmania a ovest e alle isole
Salomone a est. Perciò alla flotta fu ordinato di distruggere l'aeroporto di Port Moresby
sulla costa meridionale della Nuova Guinea e tenere così lontani gli aerei che
disturbavano le comunicazioni giapponesi su quel lato. La flotta americana, sia pure
inferiore di forze, aveva però il vantaggio di conoscere il codice segreto impiegato dai
giapponesi per le loro trasmissioni radio. Poterono perciò concentrarsi nel Mar dei
Coralli a nord-est dell'Australia per tendere un agguato alle portaerei giapponesi. La
battaglia del Mar dei Coralli costò la perdita di due portaerei giapponesi e di una
americana: Port Moresby non fu distrutto e la forza d'invasione giapponese dovette
ritirarsi (maggio 1942).
14. 5 Da Midway a Iwo Jima
La battaglia del Mar dei Coralli rappresentava un arresto della spinta bellica del
Giappone, ma non era stata una vittoria degli USA.
Bombardamento propagandistico di Tokio Il presidente Roosevelt chiese ai militari
un'azione dimostrativa, qualche cosa da presentare all'opinione pubblica
che
somigliasse a una vittoria, anche se ai fini pratici poteva anche risultare inutile. Tale
missione fu affidata ai bombardieri di lungo raggio B 24 del generale James Doolittle,
partiti dalla portaerei Hornet, che bombardarono Tokio, cercando di raggiungere un
aeroporto cinese della zona controllata da Chiang-Kai-shek. Il presidente Roosevelt non
mancò di presentare l'azione come un grande successo morale, perché gli americani
potevano colpire la capitale giapponese, mentre non era vero il contrario. I giapponesi
caddero nella trappola e poiché si diceva che gli aerei erano partiti dalla base di
Shangri-la (il nome della villa di campagna del presidente) ritennero che questo fosse il
nome in codice di un aeroporto situato nelle isole Midway, poste tra le Haway e il
Giappone.
La battaglia delle Midway Yamamoto ritenne di dover occupare quelle isole ad ogni
costo, ed ebbe partita vinta contro coloro che ritenevano pericoloso spostare così
lontano dal Giappone le preziose portaerei col rischio di sguarnire il vasto impero conquistato. Nei calcoli di Yamamoto c'erano molti errori: era convinto di aver distrutto
non una ma due portaerei americane nel Mar dei Coralli; poi pensava che quanto
rimaneva della flotta americana fosse molto lontano; infine non sapeva che tutto il suo
sistema di comunicazioni radio era sotto costante controllo e che il nemico conosceva in
precedenza i suoi movimenti. Giunto in prossimità delle Midway fece partire dalle navi
i suoi aerei che ebbero partita vinta con gli aerei americani decollati dalle basi di terra.
Ma proprio in quel momento fu presa la decisione più grave: gli aerei giapponesi furono
fatti atterrare sulle portaerei per cambiare l'armamento e poter attaccare le navi
americane che nel frattempo erano state avvistate. Bastò quel momento di crisi perché
gli aerei americani giunti a più ondate potessero abbattersi sulle portaerei nipponiche coi
ponti ingombri di bombe che subito cominciarono a esplodere. Tre portaerei
affondarono (Akagi, Kaga, Soryu) e una quarta, la Hiryu, fortemente danneggiata,
affondò il giorno dopo: i giapponesi, tuttavia, erano riusciti ad affondare la portaerei
americana Yorktown. Da quel momento la flotta nipponica non apparve più irresistibile
(4-6 giugno 1942).
Inizia la guerra di logoramento La flotta e gli aerei americani adottarono da quel
momento una tattica di logoramento che prevedeva la ricerca e la distruzione delle navi
mercantili, soprattutto le petroliere giapponesi che non riuscivano più a portare a
destinazione il carburante necessario per muovere la macchina militare. Le corazzate
giapponesi come la Yamato, un colosso di oltre 60.000 tonnellate di dislocamento, non
vennero più impiegate perché consumavano troppo e perché mancava un'adeguata
copertura aerea. Gli osservatori militari si resero conto che la battaglia delle Midway fu
per il Giappone ciò che Stalingrado rappresentò per la Germania, il giro di boa del corso
del conflitto: fino a quel momento i paesi aggressori avevano collezionato solo vittorie,
dopo subirono solo sconfitte, perché l'iniziativa era passata agli alleati occidentali ormai
in grado di costruire più aerei, più navi, più armi delle potenze dell'Asse.
Preminenza delle operazioni contro la Germania Gli USA, secondo accordi stretti
con la Gran Bretagna, spostarono la loro attenzione in Occidente: alla fine del 1942
sbarcarono truppe in Marocco e Algeria, e nella primavera del 1943 scacciarono
dall'Africa le forze tedesche e italiane, sbarcando poi in Sicilia. La conseguenza di
queste operazioni fu la caduta di Mussolini il 25 luglio 1943 e la decisione di effettuare
un grande sbarco sulle coste della Francia settentrionale che, tuttavia, fu rimandato
all'estate del 1944 per avere una superiorità di mezzi schiacciante rispetto ai tedeschi.
La tattica della guerra degli USA In Estremo Oriente la flotta americana si era
enormemente accresciuta e il sistema di trasporti, rifornimenti e riparazioni era talmente
perfezionato da impedire la concentrazione delle forze giapponesi. La tattica seguita
dagli americani prevedeva di attaccare un gruppo di isole, di costruire aeroporti i cui
aerei potevano battere gli obiettivi nel raggio di mille chilometri, isolando le forze giapponesi che non erano più rifornite e quindi annientarle; poi era occupato un altro
arcipelago ancor più lontano adottando la strategia del "salto della rana", messo a punto
dai Marines, la fanteria di marina che ebbe in dotazione una grande gamma di mezzi da
sbarco. I giapponesi non avevano preso in considerazione la possibilità di ritirarsi e
combattevano fino all'ultimo uomo, come avvenne a Guadalcanal, presa dagli
americani, ma poi successivamente attaccata dai giapponesi con tanta insistenza che lo
stretto che la separa dalla vicina isola fu letteralmente coperto da navi affondate.
L'avanzata americana L'esercito americano, comandato dal generale Mac Arthur,
iniziò la marcia dall'Australia alla Nuova Guinea, all'Indonesia, finché giunse nelle
Filippine a metà del 1944, per prepararsi all'ultimo balzo sul Giappone. La flotta,
guidata dall'ammiraglio Nimitz, isolava e distruggeva le forze giapponesi negli
arcipelaghi del Pacifico. Nel novembre 1943 furono occupate le isole Gilbert. Poi fu la
volta delle isole Marshall dove furono catturati più di 100.000 soldati giapponesi. Verso
il giugno 1944 erano cadute in mano degli americani le Marianne, Tinian e Guam e da
quelle isole si poterono inviare i bombardieri su alcune città giapponesi. Nell'ottobre
1944 Mac Arthur sbarcò nelle Filippine e i giapponesi compresero che se gli americani
avessero avuto il tempo di fortificarsi, la via del petrolio tra l'Indonesia e il Giappone
sarebbe stata definitivamente troncata: perciò decisero di rischiare tutta la flotta in un
supremo combattimento (battaglia del Golfo di Leyte).
La battaglia del Golfo di Leyte Il comandante supremo della flotta nipponica era
Toyoda, perché Yamamoto era stato abbattuto mentre in aereo si recava a una ispezione
della flotta nel 1943. Il piano nipponico era molto complesso e doveva fondarsi sulla
sorpresa e sull'inganno. La flotta fu divisa in tre squadre: quella del sud di Nishimura
doveva attaccare lo stretto di Surigao e giungere nel Golfo di Leyte il 25 ottobre. Qui
doveva riunirsi con la squadra di centro dell'ammiraglio Kurita che doveva infilare lo
stretto di San Bernardino aggirando l'isola di Samar da nord. Queste due squadre
dovevano distruggere le forze di Mac Arthur impegnate nello sbarco tenendole separate
dalla flotta americana che le riforniva. Alla squadra del nord di Ozawa toccava il
compito di attirare con le sue portaerei la Task Force 38 degli ammiragli americani
Halsey e Mitsher, allontanandola dal Golfo di Leyte. Questa parte del piano giapponese
funzionò. Invece la squadra meridionale di Nishimura fu avvistata proprio da quelle
navi che erano state colate a picco nel dicembre 1941 e successivamente recuperate.
Nishimura morì in combattimento. Kurita arrivò in ritardo con la squadra di centro, subì
perdite, ma l'ammiraglio Halsey in luogo di annientarla si fece attirare a nord dalle
portaerei di Ozawa e, senza avvertire Mac Arthur del suo cambiamento di rotta, lasciò
incustodito lo stretto di San Bernardino che Ozawa si affrettò a imboccare. Fu un
momento molto critico per gli americani perché in un breve tratto di mare erano riunite
quantità incredibili di navi di ogni tipo. L'ammiraglio Spruance al comando di una
squadra di portaerei di scorta ebbe appena il tempo di far decollare i suoi velivoli per
costringere Kurita a interrompere l'azione, ritirandosi attraverso lo stretto di Surigao.
Nel frattempo le portaerei di Halsey e Mitsher erano riuscite ad affondare le portaerei
giapponesi (battaglia di Capo Engaño).
La liberazione delle Filippine Da allora non esistette più una flotta giapponese in
grado di opporsi al dominio dell'aria e del mare americano. Le isole di Samar e di Leyte
furono occupate e la guerriglia filippina dette man forte agli americani. Un altro sbarco
nella baia di Lingayen e nell'isola di Luzon aprì le porte di Manila agli americani nel
febbraio 1945.
I kamikaze Proprio in quell'epoca i giapponesi adottarono la tattica suicida dei
Kamikaze, ossia dell'aereo carico di bombe che il pilota guidava, senza speranza di
salvezza, fin sulla nave avversaria. Le Filippine furono subito dichiarate libere dagli
USA, anche se l'insediamento del governo filippino poté aver luogo solo il 4 luglio
1946.
Conquista di Iwo Jima e Okinawa Era giunto il momento dell'attacco finale contro il
Giappone. In Occidente la caduta della Germania era avvenuta nei primi giorni di
maggio 1945. Per colpire Tokio in modo continuo occorrevano due basi intermedie per
rifornire i bombardieri B 29 di carburante. Furono scelte Iwo Jima e Okinawa,
rapidamente conquistate e subito adattate a basi aeree. Dalla Gran Bretagna giunse una
squadra di portaerei dal ponte di acciaio a garanzia contro gli attacchi di Kamikaze. Ad
aprile la famosa Yamato fu affondata nel corso di una delle rare uscite in alto mare
(Yamato era l'antico nome del Giappone e il fatto assunse un significato simbolico).
Intanto le truppe britanniche agli ordini dell'ammiraglio Mountbatten erano riuscite a
scacciare i giapponesi dalla Birmania, ma il peggio per il Giappone doveva ancora
avvenire.
14. 6 La bomba atomica
Il Giappone, nell'estate 1945, aveva perduto la sua flotta, le sue città erano
orribilmente bombardate e incendiate essendo le case costruite in gran parte di legno e
carta.
Richiesta di resa incondizionata A Postdam in Germania, il 26 luglio i capi alleati
chiesero al Giappone la resa incondizionata: in caso diverso l'alternativa era una "pronta
e assoluta distruzione". I giapponesi, come in genere tutti gli orientali, hanno un
vivissimo senso della dignità e dell'onore, per cui occorre permettere loro di salvare la
faccia. Già il governo giapponese aveva fatto sondaggi in Russia per salvare la
monarchia: al rifiuto alleato di dare qualche assicurazione in proposito, il governo
giapponese decise di respingere l'ultimatum. Harry Truman, divenuto presidente degli
USA dopo la morte di Roosevelt avvenuta nell'aprile 1945, prese una decisione
gravissima. Nel corso della conferenza di Postdam gli fu annunciato il successo del
primo esperimento atomico avvenuto ad Alamogordo nel deserto del New Mexico. Il 6
agosto un bombardiere isolato sganciò su Hiroshima la prima bomba atomica e tre
giorni dopo un'altra fu sganciata su Nagasaki. La scelta dei due obiettivi si dovette alle
condizioni atmosferiche favorevoli, perché gli obiettivi non erano città importanti. I
militari giapponesi avrebbero voluto resistere ancora e fu necessaria l'autorità
dell'imperatore Hirohito per imporre la capitolazione, decisa il 15 agosto 1945. La flotta
americana del Pacifico entrò nella rada di Tokio e il 2 settembre, sul ponte della
corazzata Missouri, il ministro degli esteri giapponese firmava il trattato di resa agli
americani sotto gli occhi del generale Mac Arthur.
La produzione della bomba atomica Da allora, la presenza negli arsenali del mondo
delle bombe atomiche e di quelle ancor più distruttive, le bombe all'idrogeno, continua a
gravare come un'oscura minaccia sulla sicurezza di tutti. I principi teorici della reazione
nucleare erano noti ai fisici fin dall'inizio del conflitto. Poiché si pensava che Hitler
fosse in grado di produrla, si formò in America un gruppo di lavoro che già nel 1942, a
Chicago, mise in funzione la prima reazione nucleare a catena controllata (Fermi); poi,
ricorrendo a impianti enormi che richiesero somme favolose, si ottenne di produrre un
isotopo dell'uranio in quantità adeguata e infine si produsse la bomba, sotto la guida di
Robert Oppenheimer.
Diffusione dell'armamento nucleare Einstein, fin dal 1939, aveva indirizzato una
lettera a Roosevelt per avvisarlo che gli scienziati tedeschi erano in grado di produrre la
bomba atomica, e poiché Hitler parlava spesso di terribili armi segrete giunte nella fase
di produzione, il governo americano ritenne che si trattasse precisamente della bomba
atomica. Nessuno può dire se la conclusione del conflitto sia stata affrettata dalla distruzione di Hiroshima e Nagasaki, e nessuno può dire dunque se la decisione di ricorrere a
quello strumento di morte fosse davvero necessaria. Negli anni successivi alla fine del
conflitto, Stalin lanciò una grande campagna mondiale di raccolta delle firme per la
pace, mentre i suoi scienziati, aiutati dagli impianti industriali tedeschi smontati e
trasportati in Russia, dagli scienziati tedeschi catturati in Germania e dallo spionaggio
che operò negli USA e in Gran Bretagna, costruirono a loro volta la bomba atomica e
poi la bomba all'idrogeno. Il rapido progresso della tecnologia e l'impossibilità di tenere
segreti i processi di fabbricazione, di fatto permettono a qualunque Stato
sufficientemente ricco di fabbricarsi quegli ordigni. Si spera che l'olocausto di
Hiroshima e Nagasaki serva a scoraggiare l'impiego delle bombe nucleari, perché
nessuno può dire di non conoscere gli effetti che producono.
Democratizzazione del Giappone Il governo giapponese accolse lealmente le
conseguenze della sconfitta: l'esercito fu smobilitato; la popolazione si mise a riparare i
danni della guerra con la nota operosità; le truppe di occupazione americana imposero la
democratizzazione della vita politica del paese, ma non umiliarono l'imperatore
Hirohito: gli imposero di dichiararsi soltanto un uomo, di non avere alcuna origine
divina, ma non lo destituirono.
Il rilancio dell'industria nipponica Dopo alcuni anni duri, a partire dal 1950 la guerra
di Corea trasformò il Giappone in un'immensa officina al servizio delle necessità
belliche degli USA impegnati contro la Corea del Nord e la Cina. Coi dollari americani
affluiti in grande quantità fu ricostruito un moderno sistema industriale in grado di
produrre ogni genere di manufatti a costi molto bassi. Il prodotto nazionale lordo
aumentò fin verso il 1970, al ritmo del 15% annuo: navi cisterna, strumenti elettronici,
automobili, motociclette, macchine fotografiche ecc. sono prodotte in un paese poco più
grande dell'Italia, con popolazione doppia rispetto alla nostra: senza materie prime come
ferro, carbone, petrolio il Giappone è divenuto la seconda potenza commerciale del
mondo. Le clausole di pace vietano di armare un grande esercito e una poderosa marina
militare e perciò anche quei denari hanno contribuito a promuovere questo grande
risultato, frutto di una sostanziale concordia nazionale e dell'impiego intelligente di tutte
le risorse umane di un popolo singolare che ha saputo unire i vantaggi dell'etica dei
samurai, ricca di virtù umane, con la tecnologia più raffinata e con la mentalità
imprenditoriale più audace.
14. 7 Cronologia essenziale
1931 Aggressione nipponica in Manciuria dove è insediato il governo fantoccio del
Manchukuo.
1933 Il Giappone esce dalla Società delle Nazioni.
1937 Il Giappone occupa le parti costiere della Cina.
1941 Il 7 dicembre i bombardieri della flotta giapponese affondano gran parte della
flotta americana del Pacifico a Pearl Harbor. In pochi giorni è occupata l'Indocina,
Malacca, le Filippine, Singapore ecc.
1942 La battaglia del Mar dei Coralli segna a febbraio la fine delle travolgenti vittorie
nipponiche.
1942 A giugno la battaglia delle Midway segna il declino della flotta nipponica che
perde la superiorità assoluta.
1944 Con la battaglia del Golfo di Leyte il Giappone perde la possibilità di difendere il
territorio metropolitano dagli attacchi americani. Sono liberate le Filippine.
1945 Ad agosto Hiroshima e Nagasaki sono distrutte da due bombe atomiche. Il 2
settembre è firmata la resa nipponica.
14. 8 Il documento storico
La guerra degli USA col Giappone poteva durare ancora molti mesi anche dopo la
conquista di Iwo Jima e Okinawa avvenuta nei primi mesi del 1945. Le decisione di
impiegare la bomba atomica, allora, non sembrò sollevare particolari problemi morali:
si pensava di poter salvare vite dei propri soldati e dei giapponesi in misura superiore a
quelle che sarebbero state sacrificate con l'impiego della bomba. Si presentava il
problema di come avvertire Stalin circa l'esistenza della bomba senza rivelargli i parti-
colari tecnici. Stalin non comprese allora la potenza del nuovo ordigno: quando capì
volle a tutti i costi che anche il suo paese ne fosse provvisto.
“Il consenso britannico in linea di principio all'uso dell'arma era stato dato il 4 luglio,
prima del collaudo. La decisione finale spettava ora più che altro al Presidente Truman,
il quale deteneva l'arma; ma io non ebbi mai dubbi su quella che sarebbe stata, né ho
mai dubitato da allora ch'egli aveva ragione. Resta il fatto storico, e lo si dovrà giudicare
in epoca posteriore, che la decisione di usare o no la bomba atomica per costringere il
Giappone alla resa non fu mai anche soltanto messa in questione. Al nostro tavolo ci fu
accordo unanime, automatico, indiscusso; né mi giunse mai all'orecchio il minimo
suggerimento che si dovesse fare altrimenti.
Evidentemente l'aviazione americana aveva preparato un formidabile attacco alle
città e ai porti giapponesi mediante ordinario bombardamento aereo. Li si sarebbe certo
potuti distruggere in poche settimane o pochi mesi, e nessuno potrebbe dire con quali
gravissime perdite per la popolazione civile. Ma ora, usando il nuovo strumento,
potevamo non soltanto distruggere città, ma salvare ugualmente vite amiche e nemiche.
Più intricata era la questione di che cosa dire a Stalin. Il Presidente e io non
ritenevamo più di aver bisogno del suo aiuto per soggiogare il Giappone. A Teheran e a
Jalta egli aveva dato la sua parola che la Russia sovietica avrebbe attaccato il Giappone
non appena sconfitto l'esercito tedesco, e in adempimento di ciò si era andato svolgendo
un movimento continuo di truppe russe verso l'Estremo Oriente lungo la ferrovia
transiberiana dall'inizio di maggio. Secondo la nostra opinione non ci sarebbe stata
probabilità di doverle usare, e quindi il potere di contrattazione che Stalin aveva
sfruttato facendolo pesare così efficacemente sugli americani a Jalta era sfumato. Pure,
egli era stato un magnifico alleato nella guerra contro Hitler, e noi sentivamo entrambi il
dovere di informarlo del Grande Fatto Nuovo che ora dominava la scena. Come
bisognava comunicargli la grande notizia? per iscritto o a voce? in una riunione formale
e speciale, o nel corso delle nostre conferenze giornaliere, o dopo una di esse? La
conclusione raggiunta dal Presidente fu l'ultima di queste alternative. "Io penso - disse che farei meglio a dirgli dopo una delle nostre riunioni che noi abbiamo un tipo di
bomba interamente nuovo, che riteniamo avrà effetti decisivi sulla volontà giapponese
di continuare la guerra". Approvai tale procedura”.
Fonte: W. CHURCHILL, La seconda guerra mondiale, Mondadori, Milano 1967, p.
3299.
14. 9 In biblioteca
Per la storia del Giappone si consulti di J. HALLIDAY, Storia del Giappone
contemporaneo. La politica del capitalismo giapponese dal 1850 a oggi, Einaudi,
Torino 1979. G. BORSA, L'Estremo Oriente: nuovi orientamenti storiografici, in
AA.VV., Nuove questioni di storia contemporanea, vol. II, Marzorati, Milano 1977,
pp. 1617-1630.
Cap. 15 La cortina di ferro e la guerra fredda
Il panorama offerto dal mondo subito dopo la fine della guerra appariva
sconvolgente. Dal 1939 al 1945 erano state uccise, direttamente nei combattimenti o
indirettamente per i bombardamenti, almeno 30 milioni di persone; centinaia di città
erano andate distrutte; migliaia di navi erano state affondate; milioni di bombe erano
esplose distruggendo strade, ferrovie, case, porti; i profughi si contavano a decine di
milioni. Tuttavia, in alcuni paesi la guerra non era ancora finita.
La collaborazione dei vincitori venne meno. In tutti i territori raggiunti dall'Armata
Rossa sovietica il partito comunista locale, anche quando era in minoranza, si
impadronì del potere; altrove, come in Grecia, dette vita alla guerriglia; in Cina, Indonesia, Indocina la guerra non cessò ancora per molti anni.
Dal conflitto tutte le potenze uscirono stremate, meno USA e URSS divenute ancora
più forti a seguito dello sforzo di organizzazione richiesto dalla guerra che aveva
rafforzato le loro attività produttive. I due Stati divennero poli di concezioni politiche
opposte: da una parte c'era il più avanzato sistema capitalistico fondato sulle libertà
personali e sull'efficienza industriale; dall'altra il primo Stato socialista che aveva
centralizzato le attività economiche, forzato lo sviluppo industriale, collettivizzato
l'agricoltura, conducendo il regime alla vittoria militare contro lo Stato più agguerrito.
Gli USA riproposero il vecchio progetto di Wilson di un'assemblea dei rappresentanti
di tutti gli Stati del mondo, togliendo alcuni inconvenienti che avevano fatto fallire la
Società delle Nazioni. La nuova Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) si riunì a
San Francisco dove iniziò la redazione di una nobile Carta dei diritti dell'uomo
pubblicata nel 1948; più tardi l'ONU ebbe la sede permanente nel Palazzo di Vetro di
New York.
A Norimberga iniziò il processo contro i criminali di guerra nazisti, ma
l'atteggiamento sovietico indusse gli alleati occidentali a mettere da parte il
risentimento antitedesco. Al contrario, si ritenne opportuna la rinascita di un governo
efficiente nella Germania occidentale e di non permettere la caduta di Berlino ovest in
completo dominio sovietico. Aveva inizio così il periodo della guerra fredda.
15. 1 Gli anni della ricostruzione
Il bilancio dei danni della Seconda guerra mondiale apparve subito più pesante
rispetto alla precedente.
I caduti in guerra I soldati morti in Germania furono almeno 3.250.000; in Giappone
1.500.000. I caduti in Russia furono oltre 3.000.000, i caduti britannici 400.000, i
francesi 170.000, gli italiani circa 400.000. In totale almeno 10 milioni di soldati.
I danni materiali I danni materiali furono incalcolabili, soprattutto in Germania e in
Giappone: nelle città bombardate spesso più famiglie dovevano convivere nello stesso
alloggio per offrire un riparo a coloro che avevano perduto la casa. Molto più numerosi i
morti civili rispetto ai militari, a causa dei bombardamenti, della fame, delle
deportazioni, dell'odio razziale: i calcoli non possono essere precisi, tuttavia perirono
almeno altri 20 milioni di persone.
I problemi della ricostruzione Passata l'euforia della vittoria, i vincitori si accorsero di
non trovarsi in condizioni migliori rispetto ai vinti, perché le distruzioni erano uguali da
una parte e dall'altra, eccettuati gli USA. I governi affrontarono i problemi della
ricostruzione: riconvertire l'industria agli usi di pace; nutrire la popolazione; dare una
pensione alle vedove e allevare gli orfani; rifondere i danni di guerra inferti ai vincitori;
riattare il sistema dei trasporti in gran parte distrutto; restituire una casa a chi l'aveva
perduta...
I laburisti al governo in Gran Bretagna In Gran Bretagna Churchill decretò lo
scioglimento della Camera dei Comuni e fece indire nuove elezioni nell'estate del 1945,
sicuro della vittoria. I britannici, invece, gli preferirono il leader del partito laburista
Clement Attlee che aveva proposto agli elettori un programma più allettante di quello
conservatore e che poi seppe realizzare. In primo luogo gli Assegni famigliari (ai
lavoratori veniva corrisposto un indennizzo di cinque scellini settimanali per ogni figlio
a carico oltre il primo, fino all'età di sedici anni); nel 1946 fu approvata una legge che
istituiva la Previdenza nazionale, ossia tutti i lavoratori versavano settimanalmente circa
quattro scellini trattenuti sullo stipendio per dotare una cassa mutua utilizzabile in caso
di malattia e disoccupazione; sempre nel 1946 fu votata una legge di previdenza e
assistenza in caso di incidenti sul lavoro. Più tardi il problema dell'assistenza fu
inglobato in un nuovo e più efficiente Ufficio di assistenza nazionale che realizzava una
vecchia aspirazione dei laburisti, ossia dello Stato che assume a proprio carico le varie
forme di previdenza e di assistenza assicurandola a tutti i cittadini.
Il servizio medico nazionale I settori in cui si agì più in profondità furono quelli della
sanità e dell'abitazione. Nel caso della sanità esisteva il precedente introdotto dalla
guerra: i feriti a seguito di bombardamenti erano curati senza far loro pagare le spese.
Ma proprio in quell'occasione si scoprì che medici e infermieri erano relativamente
pochi negli ospedali delle aree industriali, spesso carenti di attrezzature e di sale operatorie. I medici preferivano lavorare nei quartieri abitati da gente in grado di pagare,
invece di andare nei quartieri poveri dove i loro onorari rischiavano di non esser
corrisposti. Nel 1946 fu istituito il Servizio medico nazionale, per cui ogni ricovero in
ospedale, ogni visita medica, comprese quelle oculistiche e dentistiche, era eseguita
gratuitamente per ogni cittadino, mentre ai medici era corrisposto uno stipendio fisso a
carico dello Stato. Il giorno scelto per l'entrata in funzione dei servizi statali citati fu il 5
luglio 1948, da molti considerato il giorno più importante della recente storia britannica.
L'esempio della Gran Bretagna, un po' alla volta, fu imitato da altri Stati europei che
cominciarono a gonfiare i bilanci della sanità e della pubblica istruzione, divenuti
superiori al bilancio per la difesa.
Rinnovamento edilizio Il problema della casa era acutissimo, dal momento che circa
un terzo delle abitazioni britanniche era andato distrutto e per tutto il periodo di guerra
non si erano costruite nuove abitazioni civili. Fu votata una legge che prevedeva la
ricostruzione di molte città, pianificate da appositi comitati statali nel rispetto delle più
moderne acquisizioni dell'urbanistica: nei cinque anni successivi alla fine della guerra,
in Gran Bretagna si costruirono più case che in qualunque altro paese.
Istruzione Per la scuola, fin dal 1944 una Legge sull'istruzione aveva previsto di
estendere la gratuità della scuola secondaria a coloro che intendessero proseguire gli
studi elementari. Dopo le sofferenze della guerra la Gran Bretagna sembrava aver
imboccato la via del benessere sociale in risposta alle attese dei cittadini meno fortunati.
Elezioni politiche in Francia e in Italia Le prime elezioni del dopoguerra si tennero in
Francia nell'ottobre 1945 e in Italia il 2 giugno 1946. Tre partiti risultarono
predominanti: il partito comunista, il partito socialista e la democrazia cristiana.
Quest'ultimo partito in Italia era l'erede del partito popolare che aveva acquistato
importanza tra il 1919 e il 1924 quando fu esiliato il suo segretario politico Luigi
Sturzo. In Francia, invece, la democrazia cristiana - si chiamava Movimento Repubblicano Popolare, MRP - era una novità. Insieme, questi tre partiti ottennero tre quarti dei
voti popolari, relegando gli altri partiti a entità di minore importanza, in qualche caso
somiglianti a relitti storici. In Francia i tre partiti maggiori ebbero un numero di voti
pressoché pari tra loro; in Italia la democrazia cristiana risultò il partito di maggioranza
relativa.
Il partito comunista Il partito comunista appariva la forza politica più vitale. Rafforzati
dal successo della lotta clandestina e dalla preminenza assunta in seno ai comitati
partigiani, i comunisti francesi e italiani avevano di fatto il controllo delle
organizzazioni sindacali e furono ulteriormente rafforzati dalle estreme difficoltà
economiche del dopoguerra e dal fascino che le dottrine comuniste esercitavano sugli
intellettuali e sui giovani: era naturale che costoro guardassero verso l'URSS ritenuta in
grado di instaurare un ordine nuovo in Europa.
Il partito socialista L'altra grande forza di sinistra, i socialisti, dopo la guerra appariva
appannata. In Francia era tornato dalla prigionia il vecchio Léon Blum, ma il
personaggio, certamente colto e intelligente, non era mai riuscito a esercitare una reale
presa sul popolo. In Francia la politica di fronte popolare era fallita e durante la guerra
non si era realizzata una reale identità di vedute tra i partiti della sinistra. Il partito socialista francese sembrava occupare una posizione di centro tra i comunisti e la
democrazia cristiana (MRP), ma in tempi di radicalismo politico la posizione di centro
era la meno auspicabile, la più adatta a ricevere critiche da destra e da sinistra, condannando all'impotenza i socialisti. In Italia il partito socialista era guidato da Pietro Nenni,
ma qui non c'era stato il fronte popolare e quindi quella formula sembrava la carta
vincente. Tuttavia la politica di unità delle sinistre rendeva il partito socialista
subalterno al partito comunista, col rischio di scomparire in caso di vittoria e di
riduzione dell'Italia alla condizione di satellite dell'URSS, una soluzione che molti
socialisti rifuggivano.
La democrazia cristiana L'ideologia democristiana era più conservatrice dei due partiti
esaminati, ma affrontava i problemi in modo nuovo ed era il solo partito in grado di
sfidare il partito comunista sul terreno del sacrificio personale, della fede in un
rinnovamento della società. Il MRP era stato fondato in Francia da Georges Bidault, uno
dei capi della resistenza, collaboratore di de Gaulle. In Italia la democrazia cristiana era
stata ricostituita da vecchi dirigenti del partito popolare e trovò in Alcide De Gasperi un
capo di notevole esperienza in grado di stabilire un positivo contatto con le masse. Il
MRP e la DC furono favoriti dalla presenza in Francia e in Italia di milioni di conservatori che al momento del voto dettero il loro consenso ai "meno pericolosi"
ingrossando quei partiti oltre le più rosee speranze dei loro promotori, un fatto che con
l'andare del tempo indebolì quei partiti perché, passato il pericolo comunista, molti
votanti che non si sentivano vincolati da una visione religiosa della vita, tornarono ai
loro partiti.
De Gaulle e i politici Dopo la liberazione de Gaulle esercitò un regime paternalista,
forte del consenso popolare, ma il generale rivelava una crescente insofferenza verso gli
estenuanti dibattiti parlamentari. Sorretto da straordinaria fiducia in se stesso e nella
grandeur della Francia, volle riportare il paese tra le grandi potenze, partecipando alla
sconfitta finale della Germania ed esigendo una parte del territorio tedesco e di Berlino,
appena fu finita la guerra. Dopo le elezioni dell'ottobre 1945 la sua insofferenza per i
politici crebbe ulteriormente: autoritario di natura, sosteneva la necessità di un potere
esecutivo forte, mentre i suoi avversari volevano tornare ai vecchi metodi della Terza
repubblica che assegnavano il primato al potere legislativo. A novembre formò un
governo che attribuiva i ministeri in misura proporzionale ai voti riportati nelle elezioni,
ma ben presto ruppe con i socialisti che si opponevano all'approvazione del bilancio
della difesa. De Gaulle si dimise, ritirandosi a vita privata.
Il sistema del tripartitismo Per un anno e mezzo la Francia fu retta dal sistema del
tripartitismo, con governi o socialisti o democristiani (MRP), sempre molto deboli e
molto litigiosi. In quei mesi tuttavia, la Francia si dette una legislazione sociale
avanzata, simile a quella che il partito laburista aveva introdotto in Gran Bretagna.
Furono nazionalizzate le miniere di carbone, le aziende del gas e dell'energia elettrica;
fu rafforzato il sistema degli assegni famigliari, già introdotto dall'infelice governo di
Vichy, offrendo alla popolazione una protezione completa contro i rischi della
vecchiaia, dell'inabilità al lavoro, della disoccupazione ecc. Inoltre fu istituito un ente
permanente, voluto da Jean Monnet, col compito di pianificare lo sviluppo futuro
dell'economia francese.
Dalla monarchia alla repubblica in Italia In Italia, dopo il 25 luglio 1943 fu formato
un governo provvisorio guidato dal maresciallo Pietro Badoglio che cercò di ingannare
Hitler e di giungere alla resa nelle mani degli eserciti alleati che stavano risalendo la
penisola. L'8 settembre la resa fu annunciata dagli alleati: il governo di Badoglio e la
famiglia reale dei Savoia fuggirono da Roma, raggiunsero Pescara e poi per mare andarono a Brindisi. Nell'aprile 1944 Badoglio fu sostituito da un governo politico
presieduto da Bonomi in cui erano presenti i sei partiti formati o ricostituiti nel breve
periodo del governo precedente. Il 25 aprile 1945 l'insurrezione generale delle forze
partigiane fece tracollare il regime d'occupazione tedesca dell'Italia settentrionale. Seguì
un periodo molto torbido, costellato di vendette di parte, dal pericolo di occupazione dei
territori orientali da parte dei partigiani comunisti di Tito, dal problema istituzionale,
ossia se si doveva conservare la monarchia o se era più opportuna la forma
repubblicana. In questo secondo caso occorreva dare all'Italia una nuova Costituzione
che sostituisse lo Statuto albertino.
Governo Parri Nel giugno 1945 il Comitato di Liberazione Nazionale dell'Alta Italia
(CLNAI) costrinse il vecchio e inefficiente Bonomi alle dimissioni. Il nuovo governo fu
formato da Ferruccio Parri, un personaggio di grande levatura morale, esponente del
Partito d'Azione sostenuto da quei socialisti non settari che avevano formato il nucleo
più vivace della resistenza. Il Partito d'Azione, tuttavia, pur raccogliendo alcuni
intellettuali di grande valore non ebbe alcun seguito popolare, si disse che era un
esercito senza truppe: di conseguenza i tre partiti di massa accennati schiacciarono il
governo Parri che cadde quando Nenni, capo dei socialisti, stabilì coi comunisti il fronte
popolare. Già in autunno Parri appariva isolato e per di più, come amministratore, non
valeva più di Bonomi. Il governo Parri fu rovesciato alla fine di novembre 1945 dai
conservatori che trovarono in De Gasperi la persona adatta a governare in quei difficili
frangenti.
Governo De Gasperi De Gasperi aveva una formazione anomala rispetto agli altri
politici italiani perché era stato deputato al Parlamento di Vienna all'inizio del secolo in
rappresentanza degli italiani del Trentino; aveva militato nel Partito Popolare
divenendone uno dei capi più prestigiosi. Fu arrestato dal regime fascista trascorrendo
in carcere un periodo tra il 1927 e il 1928. Uscito dal carcere, ottenne il posto di
bibliotecario in Vaticano. Nel 1943 aveva partecipato alla rifondazione del partito che
assunse il nome di Democrazia Cristiana. Divenuto ministro degli esteri sotto Bonomi e
Parri, aveva preparato la propria candidatura alla direzione del governo. Sicuramente
antifascista, De Gasperi risultava aperto a riforme di struttura, rassicurando anche gli
elettori di destra e coloro che si erano compromessi col regime fascista. De Gasperi
infine aveva un sicuro senso dello Stato e lavorò per rafforzarne i poteri per uscire dal
caos in cui l'Italia era caduta. All'inizio del 1947 nel partito socialista avvenne una
scissione con la formazione del Partito Socialdemocratico guidato da Giuseppe Saragat,
un fatto che permise a De Gasperi di affrontare da una posizione di forza il rapporto con
i social-comunisti.
Fine del tripartitismo Verso l'inizio di maggio 1947 i comunisti furono estromessi dal
governo francese. Costoro ritenevano erroneamente che senza di loro sarebbe stato
impossibile governare. Accadde il contrario: socialisti e MRP riuscirono a governare
ugualmente e l'uscita dal governo dei comunisti divenne definitiva. Era ormai in atto la
guerra fredda e gli aiuti americani erano concessi solo a questa condizione. Poco dopo
anche De Gasperi in Italia si sentì abbastanza forte per fare a meno dei comunisti. Sul
piano economico questo evento significò il trionfo della libera iniziativa e della logica
di mercato; sul piano individuale significò il trionfo delle libertà civili, caratteristica
portante della storia dell'Occidente, e la fine dei compromessi con i principi della
democrazia popolare, imposta ai paesi dell'est dalla presenza dell'Armata Rossa.
La Quarta repubblica in Francia Appare sorprendente il fatto che nelle Costituzioni
approvate nell'immediato dopoguerra in Francia, in Italia e in Germania non siano
comparse critiche e ripensamenti di istituti che avevano dato pessima prova di sé. In
Francia i sostenitori di de Gaulle avevano avanzato molte riserve nei confronti della
costituzione della Terza repubblica, in particolare l'eccessivo potere affidato al
Parlamento, causa di frequenti crisi di governo il cui potere esecutivo risultava troppo
ridotto. La Quarta repubblica ricevette la sua costituzione nel 1946, ma i governi
francesi duravano ancor meno che al tempo della Terza repubblica.
Inflazione In Italia le autorità di occupazione alleata stamparono carta moneta senza
alcun limite e perciò si ebbe inflazione galoppante che favorì frequenti manifestazioni di
piazza con morti e feriti, giustificate dalla mancanza di viveri e di lavoro, ma anche
aizzate da quei partiti che intendevano radicalizzare la situazione in luogo di favorire la
ripresa. Solo nel 1946 Vittorio Emanuele III abdicò a favore del figlio Umberto II che
già da tempo aveva il titolo di luogotenente generale del regno: fu re a pieno titolo solo
per il mese di maggio 1946.
La costituzione repubblicana in Italia In Italia lo Statuto Albertino aveva un secolo di
vita e rispecchiava situazioni politiche superate. Il 2 giugno 1946, con il referendum
istituzionale, il primo ad adottare il suffragio universale, uomini e donne, si ebbero
quasi 12 milioni di voti per la repubblica e poco più di 10 milioni per la monarchia.
Dopo la partenza di Umberto II verso l'esilio, fu eletto come presidente provvisorio
della repubblica il giurista napoletano Enrico De Nicola. I lavori dell'Assemblea
Costituente durarono nove mesi: il documento che ne uscì appariva ponderoso, ricco di
affermazioni ideali circa i diritti dell'uomo, peraltro difficili da applicare, e i poteri del
presidente della repubblica che ricordavano quelli del re. Per il resto fu mantenuto il
sistema proporzionale puro, permettendo a ogni partito di avere deputati in proporzione
ai voti ricevuti, un fatto che favorisce la proliferazione dei partiti.
Il trattato di pace Nel 1947 a Parigi fu firmato il trattato di pace tra le potenze
vincitrici e l'Italia: Trieste col piccolo territorio che la circonda fu dichiarata città libera
sotto amministrazione alleata; l'Istria fu assegnata alla Jugoslavia, lasciando aperto il
discorso solo per una piccola zona, affidata in amministrazione alla Jugoslavia, la cui
sorte sarebbe stata decisa da accordi bilaterali tra i due Stati confinanti quando le loro
relazioni fossero migliorate. Dagli USA, ancora nel corso del conflitto, giunsero aiuti in
generi di prima necessità e più tardi, dopo l'accettazione del Piano Marshall da parte del
governo De Gasperi, arrivarono più sostanziosi aiuti ceduti a prezzi molto bassi per
permettere la ripresa economica e industriale dell'Italia.
La costituzione repubblicana Nel corso del 1947 fu approvata la Costituzione, entrata
in vigore il 1° gennaio 1948. Il 18 aprile 1948 furono tenute le elezioni politiche per
eleggere deputati e senatori della prima legislatura ordinaria. Alla presidenza della
repubblica fu eletto un noto economista, Luigi Einaudi, che assolse il suo compito con
rara intelligenza ed equilibrio. Il timore di esiti rivoluzionari aveva indotto la maggioranza assoluta degli elettori a dare il loro voto alla democrazia cristiana che in De
Gasperi aveva trovato un grande statista, aperto a programmi generosi come quello
dell'unità europea e dotato di notevole energia per condurre a buon fine l'opera di ricostruzione interna. Solo a partire da quel momento la popolazione italiana ebbe la
certezza che la guerra era davvero finita.
Il regime di occupazione in Germania Nella Germania occidentale, a differenza che in
Francia o in Italia, il regime di occupazione militare da parte dei vincitori durò per
quattro anni. Infatti, qui era scomparso il potere centrale, mentre rimasero in piedi le
autorità locali. Un primo progetto, proposto dal ministro del tesoro americano
Morgenthau prevedeva la trasformazione della Germania in un paese agricolo e
pastorale. Il progetto fu lasciato cadere perché irrealizzabile. Stalin voleva fare della
Germania una democrazia popolare: per intanto fece smontare e trasferire in Russia tutti
gli stabilimenti con gli scienziati che poté catturare. Nel corso della conferenza di
Postdam, nell'estate 1945, gli alleati acconsentirono alla proposta di fissare il confine tra
Germania e Polonia lungo il fiume Oder e e il suo affluente Neisse: alcuni milioni di
tedeschi si affrettarono a lasciare i territori divenuti polacchi riversandosi nella
Germania occidentale. Altri tedeschi furono cacciati dai Sudeti tornati in possesso della
Cecoslovacchia. Le quattro potenze vincitrici divisero la Germania in quattro zone di
occupazione. Nel 1946 Gran Bretagna e USA decisero di unire le rispettive zone di
occupazione adottando criteri comuni (Bizona). Nel 1948 anche la Francia fu invitata a
far confluire la sua zona di influenza in un governo unico. Il rappresentante russo, per
protesta, si allontanò dalla Conferenza e così la Germania risultò divisa in una parte
occidentale comprendente i settori britannico, americano e francese, e la parte orientale
rimasta sotto il regime di occupazione russo.
La formazione dei governi regionali Verso la fine del 1945 britannici e americani
avevano provveduto a tracciare le regioni tedesche, rese più omogenee tra loro. Si
formarono nelle nuove regioni (Länder) governi locali, l'embrione del successivo
governo della Repubblica Federale Tedesca. Furono rifondati i partiti, in particolare il
partito socialdemocratico, guidato da Kurt Schumacher, un uomo che aveva superato
dodici anni di Lager uscendone col fisico distrutto, ma con lo spirito ancora ricco di
energie. Il secondo partito era la riedizione dell'antico Zentrum e si chiamò Unione
cristiano-democratica. Il suo leader era Konrad Adenauer che in seguito dominò la
politica tedesca per un decennio.
La capitale Bonn Per insistenza di Adenauer fu scelta come capitale la città renana di
Bonn. Nel 1948, quando anche la Francia conferì la sua zona al governo di Bonn, la
Russia reagì provocando la grave crisi di Berlino.
Isolamento politico della Spagna Gli Stati della penisola iberica non avevano preso
parte alla Seconda guerra mondiale. In Spagna si facevano sentire gli effetti della guerra
civile durata dal 1936 al 1939. Il regime del generale Francisco Franco doveva essere un
regime di emergenza, transitorio, ma in realtà durò fino alla sua morte avvenuta nel
1975. Il regime franchista era circondato da notevole ostilità da parte dell'opinione
pubblica internazionale che non gli perdonava l'aiuto ricevuto da Hitler e Mussolini,
tuttavia quella stessa opinione pubblica riconosceva a Franco il merito di aver saputo
resistere ai tentativi di coinvolgimento nella guerra operati da Hitler. Churchill non fu
tenero nei confronti della Spagna franchista e tutta la penisola iberica fu tenuta fuori dai
programmi di ricostruzione previsti dal piano Marshall (European Recovery Program,
ERP).
Basi americane in Spagna Più tardi gli USA decisero di installare basi militari sul
territorio spagnolo (1953): il governo di Franco decise la modernizzazione del paese con
la costruzione di numerosi bacini idrici per la produzione di energia elettrica e per
l'irrigazione. Le bellezze naturali della Spagna unite al basso costo della vita, permisero
un imponente afflusso di turisti: la valuta pregiata così ottenuta innalzò notevolmente il
tenore di vita della popolazione.
Restaurazione della monarchia Franco era deciso a spostare in avanti la soluzione
definitiva del problema istituzionale (monarchia o repubblica) e della democrazia
parlamentare che si fonda sulla dialettica dei partiti: per molto tempo giustificò la sua
decisione agitando lo spettro della guerra civile; più tardi adducendo una supposta
entità, l'ispanità, che avrebbe dovuto giustificare l'esistenza del suo regime; infine
imboccò la strada dell'efficienza industriale ed economica che avrebbe dovuto sconfiggere le frange estremiste. In quest'ultimo periodo decise, quando ormai le sue forze
declinavano, di restaurare la monarchia nella persona di Juan Carlos, nipote di Alfonso
XIII.
Il Portogallo In Portogallo esisteva un regime abbastanza simile a quello spagnolo retto
da Salazar. Il paese dipende da diversi secoli dalla Gran Bretagna per i rapporti
economici: il vino di Porto e gli agrumi sono stati inviati, a preferenza, nelle isole
britanniche. Poiché la Gran Bretagna non aderì al progetto di unità europea, adducendo
la presenza dell'impero britannico, anche il Portogallo non ritenne opportuno
parteciparvi, adducendo la presenza di colonie portoghesi in Africa e in Asia (Angola,
Mozambico, Goa, Timor...) con le quali doveva intrattenere rapporti commerciali. Solo
a partire dal 1973, con l'ingresso della Gran Bretagna nella comunità economica
europea (CEE) e con l'indipendenza delle sue colonie, il Portogallo, dopo la morte di
Salazar e dopo una rivoluzione guidata dai militari che pose fine alla dittatura, ha
chiesto e ottenuto l'ingresso nella CEE.
Benelux Gli Stati minori d'Europa - Belgio, Olanda, Lussemburgo - aderirono
prontamente al progetto di unità europea perché le vicende dei due conflitti mondiali
dimostrano ampiamente che un'efficace difesa è possibile solo all'interno di una grande
coalizione di Stati. La ripresa economica di quei paesi fu rapida perché erano in
possesso di un grande e moderno apparato industriale e di un sistema democratico che
ha promosso la sicurezza sociale e servizi statali efficienti senza distruggere l'iniziativa
privata.
Scandinavia I paesi scandinavi - Danimarca, Svezia, Norvegia - parteciparono con la
Gran Bretagna a un'area di libero scambio (EFTA). Danimarca e Norvegia più tardi
entrarono a far parte della CEE. La Svezia, invece, seguì una via di neutralità assoluta
da qualunque blocco economico o militare, come la Svizzera e come l'Austria, dopo che
ebbe termine il regime di occupazione militare alleato (1955).
Divisione di Germania e Austria Al termine del conflitto sia la Germania sia l'Austria
con le due capitali, furono divise in quattro settori o zone d'occupazione tra USA, Gran
Bretagna, Francia e URSS. Ben presto, di fronte alla politica sovietica dei fatti compiuti,
le tre potenze occidentali decisero di affrettare i tempi della rinascita economica della
Germania occidentale. La nuova capitale, Bonn, divenne sede di un'assemblea costituente che stilò la costituzione correggendo alcune delle storture più gravi della
costituzione di Weimar (per esempio, i partiti che non raccolgono almeno il 5% dei voti
non mandano rappresentanti al parlamento).
Adenauer Il capo dell'unione cristiano-democratica Konrad Adenauer, vincitore delle
elezioni, fu nominato cancelliere. Questi, insieme con De Gasperi, Spaak e Schumann
divenne uno dei più convinti assertori della necessità di una stretta unione degli Stati
europei. I tedeschi si accinsero con impegno alla ricostruzione del loro paese,
cominciando dalle fabbriche, ritenute più importanti delle case private: mediante lunghi
orari di lavoro e il ricorso massiccio al volontariato, nel giro di qualche anno le ferite
più gravi della guerra furono cancellate. Il tenore di vita di quegli anni fu spartano, ma
la ripresa non fu ostacolata da un impossibile piano di riparazioni dei danni di guerra
come era avvenuto nel primo dopoguerra.
Il blocco di Berlino La sorte toccata alla Germania orientale fece apprezzare ai tedeschi
occidentali i vantaggi della libertà, rendendoli compatti nel sostenere il settore
occidentale di Berlino quando, nel 1948, le autorità sovietiche decretarono il blocco
delle autostrade e delle ferrovie che dalla Germania occidentale raggiungevano Berlino
attraverso il territori della Germania orientale. Per molti mesi Berlino fu rifornita
mediante tre giganteschi ponti aerei che trasportavano tutto, anche il carbone e le patate.
Solo dopo aver costatato che l'Occidente era ben deciso a non abbandonare Berlino
anche a costo di una guerra, i sovietici decisero di riaprire le autostrade.
15. 2 L'Europa orientale
Ben diversamente andarono le cose negli Stati occupati dall'Armata Rossa sovietica:
Ungheria, Romania, Bulgaria, Cecoslovacchia, Polonia, Germania orientale.
I partiti comunisti al potere Da principio Stalin agì con prudenza: nei paesi occupati i
capi politici anticomunisti furono arrestati e inviati in Siberia sotto accusa di
filonazismo. Poi furono inviati da Mosca dirigenti comunisti provenienti dalle file dei
fuorusciti da quei paesi. Costoro proponevano una politica di alleanza dei partiti
antifascisti, egemonizzando tale alleanza. L'operazione riuscì facilmente in un paese
come la Bulgaria che deve perfino la sua esistenza alla Russia, mentre fu molto più
difficile in Polonia dove esiste da sempre un diffuso sentimento antirusso. Un poco alla
volta i partiti comunisti locali furono invitati ad assumere da soli il potere, sciogliendo
gli altri partiti. Chi si opponeva era eliminato. Nel 1948 il piano era stato attuato
pienamente: per chiudere la cintura di Stati satelliti intorno all'URSS mancava
solamente la Grecia e la Turchia.
Grecia e Turchia sfuggono al regime comunista In Grecia la guerriglia comunista
guidata da Markos fu debellata nel 1949 dal governo greco aiutato dagli USA. La
Turchia, di fronte alla minaccia sovietica, mobilitò il suo esercito e chiese aiuti militari
ed economici agli USA per mantenere la propria indipendenza. In Jugoslavia il potere
era in mano ai comunisti guidati dal maresciallo Tito (Josip Broz) la cui abilità nel
guidare la guerra partigiana era nota a tutto il mondo. Il fatto di aver liberato il suo
paese dai nazisti senza l'aiuto sovietico dette a Tito la possibilità di rifiutarsi di
sottostare all'egemonia sovietica, scegliendo la strada di un comunismo nazionalista,
neutrale in politica estera tra i due blocchi di potenze divise dall'impenetrabile cortina di
ferro.
Lo stalinismo Nell'Europa orientale non poterono arrivare gli aiuti americani perché
l'URSS ne impedì l'accettazione, pur non potendone inviare essa stessa. I festeggiamenti
per la vittoria durarono poco: Stalin, per natura molto diffidente, attribuiva agli
americani il proposito di attaccare la Russia approfittando della temporanea superiorità
rappresentata dalla bomba atomica. Il sistema dei lavori forzati nei GULag non fu
abolito: anzi, i deportati formarono il principale nucleo di sviluppo dell'economia nelle
regioni periferiche come la Siberia. Quasi tutti gli ufficiali e i soldati entrati in contatto
con gli eserciti occidentali furono arrestati e condannati a dieci anni di lavoro forzato,
come accadde ad Alexander Solcenycin, il principale testimone di questa fase dello
stalinismo.
Armamento nucleare e missilistico Nonostante i morti e le distruzioni della guerra,
nonostante la crisi dell'agricoltura, l'URSS trovò la forza di impegnarsi in una gara di
costruzione di bombe atomiche e all'idrogeno che hanno uguagliato e poi superato gli
ordigni dell'arsenale americano. I progetti di missili e di motori a reazione tedeschi
furono realizzati nell'URSS tanto rapidamente che quel paese poté mettere in orbita il
primo satellite artificiale e poi di far volare fuori dell'atmosfera il primo uomo (Gagarin,
1961).
La guerra fredda Questa politica aggressiva dell'URSS ebbe conseguenze spaventose
sui suoi cittadini e sui paesi satelliti perché i denari destinati alla ricostruzione furono
impiegati per gli armamenti, generando la situazione che va sotto il nome di guerra
fredda con cui si intende uno stato di acuta ostilità che non si traduce in guerra
guerreggiata solo perché i contendenti sanno di non poter uscire indenni da un conflitto
che non avrebbe vincitori. Esaminiamo la situazione dei paesi satelliti dell'URSS.
Stati baltici I tre Stati baltici (Estonia, Lettonia, Lituania) dal 1918 al 1939 conobbero
un ventennio di indipendenza. A seguito del patto Molotov-Ribbentrop passarono nella
sfera d'influenza sovietica e poi furono occupati dai nazisti. Riconquistati dai sovietici,
furono dichiarati repubbliche organiche dell'URSS.
Polonia Il caso più doloroso fu quello della Polonia. Gran Bretagna e Francia avevano
dichiarato guerra alla Germania in difesa di quel paese. Hitler ne distrusse il ceto
intellettuale, i sovietici massacrarono gli ufficiali polacchi. A Londra esisteva un
governo polacco in esilio, e in Italia un corpo di spedizione polacco aveva combattuto
insieme con gli alleati. Nel 1944 c'era stata la terribile e disperata insurrezione di
Varsavia contro i nazisti, repressa senza che le truppe sovietiche, distanti pochi
chilometri, intervenissero per far cessare la strage. Appena terminato il conflitto, a
Postdam non fu possibile discutere il futuro polacco: la parte orientale del paese fu
annessa all'URSS, mentre il suo confine occidentale fu esteso fino a comprendere la
Prussia orientale e la Pomerania fino alla linea del fiume Oder e del suo affluente
Neisse. Pur essendo in minoranza, il partito comunista polacco, guidato da Gomulka,
assunse il potere e poco dopo gli altri partiti furono disciolti.
Cecoslovacchia La Cecoslovacchia era il paese più sviluppato e più filoccidentale
dell'est. Dopo la sconfitta dei nazisti erano tornati al governo alcuni uomini politici di
prima della guerra che godevano notevole prestigio. Essi erano disposti ad accettare gli
aiuti del piano Marshall, ma i sovietici lo impedirono. Masaryk, ministro degli esteri, fu
costretto al suicidio; Benes, presidente della repubblica, fu costretto alle dimissioni ed
esiliato; i partiti politici furono sciolti a eccezione del partito comunista cecoslovacco, il
cui capo Gottwald divenne il nuovo presidente: la presenza dell'Armata Rossa aveva
risolto ogni problema.
Ungheria Ancora più feroce la repressione della resistenza in Ungheria, perché il
precedente governo aveva collaborato con Hitler nella guerra contro l'URSS. Fu attuata
la riforma agraria con l'esproprio della terra dei latifondi e la formazione di fattorie
collettive. Ci furono processi famosi come quello intentato al primate d'Ungheria, il
cardinale Mindszenty, che fu imprigionato. Più tardi, nel corso dell'insurrezione
ungherese dell'autunno del 1956 Mindszenty fu liberato, per pochi giorni, fino all'arrivo
dei carri armati sovietici che stroncarono la rivolta. Il cardinale dovette rifugiarsi
nell'ambasciata degli USA dove rimase finché - per intervento del papa Paolo VI - gli fu
permesso di raggiungere Roma e più tardi Vienna, per esser più vicino al suo popolo
(1972).
Romania Anche la Romania era stata coinvolta dal sistema hitleriano ed era precipitata
con esso. Dopo l'occupazione del paese avvenuta nel 1944 da parte dei sovietici, il
partito comunista prese il potere e sciolse gli altri partiti.
Bulgaria In Bulgaria la proclamazione della repubblica popolare per opera di Dimitrov
era stata più semplice e da allora il paese è stato il più convinto alleato dell'URSS.
La funzione degli Stati satelliti Il risultato più vistoso della Seconda guerra mondiale
per l'Europa orientale fu di trovarsi nella sfera d'influenza sovietica. Nel progetto
politico di Stalin quei paesi dovevano formare una cintura di Stati satelliti profonda in
media 300 chilometri avente la funzione di separare l'Occidente dal territorio
dell'URSS. Churchill aveva tentato inutilmente di impedire questo risultato che per
quasi mezzo secolo ha separato in due parti l'Europa.
15. 3 La preponderanza americana e la politica sovietica
Le esigenze della guerra avevano dato un potente impulso a tutto il sistema
economico e produttivo statunitense. Furono costruite fabbriche per aerei, laboratori di
ricerca a un ritmo impressionante. I farmers del Middle West aumentarono la
produzione di grano e altri alimenti necessari agli alleati.
Efficienza del sistema americano Poiché mancava mano d'opera fu accentuata
l'automazione. In quel periodo non si costruirono case e tutto ciò che non aveva
immediata utilizzazione bellica e perciò ci fu una certa crisi degli alloggi, ma dopo la
guerra quegli inconvenienti furono risolti. Naturalmente i debiti di guerra dei paesi
alleati non furono pagati, ma le attrezzature industriali rimasero in piedi e si poté
passare alla produzione di pace, incrementata dal ritorno dei reduci. Il governo americano dovette favorire la ricostruzione dell'Occidente sia per dare sfogo all'eccedenza dei
suoi prodotti, sia per fronteggiare le conseguenze dell'imperialismo sovietico che
minacciava i paesi appena liberati dall'occupazione nazista.
Esitazioni di politica estera L'improvvisa morte del presidente Roosevelt poco dopo la
sua quarta rielezione pose Harry Truman a capo del più potente Stato del mondo. Questi
era poco conosciuto in Europa e non sembrava trovarsi a suo agio nella politica internazionale. Nello stesso tempo (1945) i britannici preferirono Attlee al più
sperimentato Churchill, indebolendo l'iniziativa occidentale in politica estera.
Contrasto tra Churchill e Roosevelt Fin dal 1944 Churchill aveva tentato di indurre
Roosevelt a una conduzione della guerra meno favorevole ai piani di Stalin, suggerendo
uno sbarco nell'Egeo che permettesse il collegamento con le truppe russe prima che esse
avessero la possibilità di installarsi nell'Europa orientale, ma Roosevelt diffidava
dell'irruenza del suo alleato britannico, temeva di perdere l'appoggio dell'opinione
pubblica americana e preferiva risparmiare la vita dei suoi soldati. Qualche generale
come Patton e Mac Arthur rivelarono atteggiamenti bellicosi, ma furono isolati e si
mantenne il progetto fissato nella Carta atlantica del 1941: la guerra doveva essere una
crociata contro le dittature militariste e non doveva diventare un pretesto per
l'allargamento dei vecchi imperi coloniali.
L'ONU Dopo il termine del conflitto, la diplomazia americana si dedicò al compito di
mettere a punto una grande assemblea degli Stati di tutto il mondo che accettavano il
principio del negoziato pacifico per risolvere le crisi internazionali. L'Organizzazione
delle Nazioni Unite (ONU) doveva sostituire la Società delle Nazioni, miseramente
fallita davanti al compito di mantenere la pace. I rappresentanti di cinquanta paesi si riunirono a San Francisco dove firmarono la Carta delle Nazioni Unite in cui si proponeva
la pace, la cooperazione tra le nazioni e la difesa dei diritti umani. La novità più
importante rispetto allo Statuto della vecchia Società delle Nazioni era l'Art. 43 in forza
del quale l'ONU poteva chiedere a uno o più dei suoi membri di fornire truppe per
opporsi attivamente a una aggressione giudicata tale dall'assemblea dell'ONU.
L'Assemblea Generale A New York fu costruito il Palazzo di Vetro in cui poteva
riunirsi l'Assemblea Generale, una specie di parlamento mondiale, in sessione una volta
l'anno per la durata di circa un mese.
Il Consiglio di Sicurezza Per le deliberazioni urgenti esiste il Consiglio di Sicurezza
formato da undici rappresentanti, di cui cinque sono permanenti e rappresentano le
grandi potenze (USA, URSS, Gran Bretagna, Francia e Cina nazionalista) e sei, a rotazione tra gli altri membri, rappresentano altri Stati. Ogni deliberazione, per venir
approvata, deve avere il voto favorevole di almeno sette rappresentanti inclusi i cinque
grandi che hanno il diritto di veto, ossia di bloccare ogni risoluzione sgradita a uno di
loro. A quel tempo la decisione sembrò felice, ma col passare del tempo ci si accorse
dell'errore. Infatti la Cina nazionalista fu travolta dalla Cina popolare di Mao Tse-tung e
ridotta alla sola isola di Formosa (Taiwan): 12 milioni di cinesi nazionalisti a fronte di
circa 800 milioni di cinesi comunisti avevano il diritto di veto su ogni risoluzione a loro
sgradita. Gran Bretagna e Francia, da potenze mondiali che nel 1945 potevano vantare
la rappresentanza di gran parte dei popoli dell'Asia e dell'Africa, a seguito del processo
di decolonizzazione, rappresentavano solo se stesse, ossia due paesi europei di media
grandezza, eppure avevano anch'esse il diritto di veto. Infine, le due massime potenze,
USA e URSS che potevano determinare i destini del mondo, assunsero posizioni
antitetiche, paralizzando i lavori dell'ONU.
Limiti dell'ONU All'inizio gli USA potevano contare sul voto della maggioranza dei
paesi membri dell'ONU, ma in seguito alle nuove ammissioni di paesi da poco divenuti
indipendenti, tale maggioranza andò perduta. Alcuni Stati ancora in via di sviluppo
(Terzo Mondo) vedevano nell'ONU una garanzia della loro indipendenza e dei loro
diritti; altri Stati approfittarono di quella tribuna mondiale per proporre rivendicazioni di
carattere ideologico, per aizzare i risentimenti dei paesi poveri contro i paesi ricchi. I
grandi conflitti tra i paesi arabi e Israele, tra India e Pakistan, esplosero senza che le
risoluzioni dell'ONU venissero prese in seria considerazione. Nei conflitti diretti tra le
superpotenze, come nel caso di Cuba, l'ONU non fu neppure consultata.
Realizzazioni dell'ONU Tuttavia, l'ONU ha reso all'umanità servizi di valore
inestimabile nei campi in cui non influì il conflitto ideologico e la gara di potenza tra le
nazioni, mediante agenzie speciali come l'Unione Postale Universale (UPU) che permette a una lettera di raggiungere qualunque punto della terra; l'Unione Internazionale
delle Telecomunicazioni (ITU) che unifica le reti telegrafiche del mondo;
l'Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) che cerca di stabilire l'accesso al
lavoro mediante propri centri di addestramento a Ginevra e Torino per i lavoratori dei
paesi in via di sviluppo; la Corte Internazionale di Giustizia dell'Aia che cerca di
risolvere le controversie tra nazioni sulla base del diritto internazionale...
Sanità e agricoltura Benemerita è certamente l'Organizzazione Mondiale della Sanità
(WHO) che ha permesso di combattere numerose malattie endemiche come malaria,
tifo, colera, vaiolo mediante vaccinazioni o distruzione degli insetti portatori della
malattia. Gli interventi sanitari in caso di disastri naturali (terremoti, inondazioni,
eruzioni vulcaniche) o in caso di guerra, hanno salvato la vita a milioni di persone. Il
problema della fame non è stato ancora risolto, ma l'Organizzazione per il Cibo e
l'Agricoltura (FAO) ha avviato colossali programmi di razionalizzazione delle risorse
alimentari salvando anche in questo caso dalla morte per fame innumerevoli persone
mediante l'introduzione di sementi selezionate che permettono di aumentare i raccolti.
Educazione Tutti sanno che l'ignoranza è il più grande dei mali che affliggono
l'umanità. L'UNESCO, ossia l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione la
Scienza e la Cultura partì dal principio che finché nella mente dell'uomo verranno
concepite le guerre, nella mente dell'uomo occorre introdurre le difese della pace. Nelle
realizzazioni dell'UNESCO sono entrati piani grandiosi come lo smontaggio e la
ricostruzione del grande tempio rupestre di Ramsete II ad Abu Simbel che,
diversamente, sarebbe stato sommerso dal lago formato dalla diga di Assuan: da solo il
governo egiziano non poteva salvare un patrimonio artistico che interessa l'umanità
intera, non solo gli egiziani.
Finanza Per i finanziamenti agli Stati che versano in difficoltà finanziarie fu istituito il
Fondo Monetario Internazionale (IMF) che pratica bassi tassi d'interesse sulle somme
prestate e fornisce consulenza sulle questioni monetarie.
15. 4 Il piano Marshall e le alleanze militari
La principale causa della debolezza europea andava cercata nell'aumento
impressionante della potenza bellica ed economica degli USA e dell'URSS. I vari Stati
europei dovettero smobilitare i soldati per avviare l'opera di ricostruzione, mentre Stalin
in Russia mantenne l'Armata Rossa (circa 250 divisioni), anzi la rafforzò mediante
l'armamento atomico. L'esercito americano fu smobilitato, ma subito iniziò il
miglioramento qualitativo dell’armamento, aerei strategici e portaerei, per mantenere
l'equilibrio con l'esercito sovietico.
Crisi internazionali Fino al 1948 la situazione in Europa rimase fluida, poi si chiarì a
seguito di alcuni eventi come la presa del potere dei comunisti in Cecoslovacchia che
segnò la fine degli equivoci circa la natura della politica sovietica; come il conflitto tra
Tito e Stalin per mantenere indipendente la Jugoslavia dal sistema dei satelliti sovietici
che indicò la possibilità di una terza via tra USA e URSS; come le elezioni politiche in
Italia che esclusero per almeno cinque anni la presenza del partito comunista al governo
permettendo di rafforzare la difesa del Mediterraneo; come la crisi di Berlino (1948-49)
che servì a dimostrare la volontà degli USA di non cedere, contrapponendo una politica
di fermezza alla politica dei continui cedimenti.
Il piano Marshall Tutto ciò condusse alla realizzazione del piano Marshall che
prevedeva l'invio di aiuti massicci a quei governi che intendevano reggersi con istituti
democratici e opporsi ai metodi di governo a partito unico. Quegli aiuti permisero la ri-
presa economica e l'istituzione di un piano di difesa che coordinava gli eserciti dei paesi
rimasti liberi.
La NATO Nel 1949 maturò il progetto NATO (Trattato di Difesa del Nord Atlantico)
comprendente USA, Gran Bretagna, Francia, Belgio, Olanda, Lussemburgo, Islanda,
Norvegia, Danimarca, Italia, Portogallo e Canada. Nel 1951 si aggiunsero anche la
Grecia e la Turchia, e nel 1954 la Germania Federale. La Spagna fu tenuta fuori per
l'ostilità britannica, anche se fin dal 1953 un trattato separato tra quel paese e gli USA
aveva permesso di installare basi militari nella penisola iberica. La politica adottata
dagli USA fu di impedire ogni ulteriore allargamento territoriale dell'impero sovietico.
La SEATO Nello stesso tempo furono siglati trattati difensivi con Australia e Nuova
Zelanda, più tardi allargati ad alcuni paesi del sud est asiatico (SEATO) per circondare
il territorio sovietico anche in Oriente mediante un "cordone sanitario" di Stati decisi a
resistere all'espansionismo sovietico. Le maggiori spese del rafforzamento dei sistemi
difensivi furono coperte dagli aiuti del già citato piano Marshall.
Il piano Molotov L'URSS istituì qualcosa di simile per i paesi dell'est europeo (piano
Molotov) anche se non disponeva di abbondanti risorse finanziarie da mettere a
disposizione dei paesi satelliti. La decisa contrapposizione dei due blocchi le cui economie non erano integrate, produsse una netta divisione tra le due parti d'Europa,
particolarmente drammatica nei due Stati tedeschi che da allora hanno vissuto uno
sviluppo sociale ed economico antitetico.
15. 5 La guerra di Corea
Il pericolo maggiore per la pace mondiale sorse a seguito dello scoppio del conflitto
in Corea. Quel paese era stato per secoli uno Stato vassallo della Cina, ma non appena il
Giappone ebbe raggiunto la posizione di grande potenza dell'Oriente indirizzò una
crescente pressione sulla penisola coreana. Nel 1910 la Corea entrò a far parte
dell'impero giapponese.
Divisione della Corea Nel 1945 anche l'URSS dichiarò guerra al Giappone, tre
settimane prima della resa, invadendo la Corea del nord. Americani e russi convennero
di limitare al 38° parallelo la propria zona di occupazione, in attesa di un trattato di pace
che stabilisse una sistemazione definitiva tra le due parti del paese diviso da una linea
arbitraria che non teneva in alcun conto la geografia e le aspirazioni di quel popolo. Il
governo degli USA propose libere elezioni su tutto il territorio, l'URSS rifiutò la
proposta. La situazione di guerra fredda simile a quella che opponeva le due parti della
Germania fu deferita all'ONU. A capo della Corea del Nord i sovietici misero Kim Il
Sung, segretario del partito comunista; a capo della Corea del Sud andò Sygman Rhee:
la vera democrazia era assente in entrambi i governi, ciascuno dei quali si proclamava
l'unico in grado di rappresentare tutta la Corea.
Attacco dei nordcoreani Il 25 giugno 1950 le truppe nordcoreane attaccarono
improvvisamente quelle sudcoreane, certamente con l'assenso sovietico: Stalin aveva
fallito in Occidente l'occupazione di Berlino ovest e perciò cercò di sondare se anche in
Estremo Oriente esisteva un'uguale volontà di resistere all'espansione comunista. La
risposta americana non si fece attendere. Gli USA, approfittando del fatto che l'URSS
aveva disertato le riunioni del Consiglio di Sicurezza dell'ONU in segno di protesta per
il mancato ingresso della Cina popolare e la mancata espulsione della Cina nazionalista
come membro permanente del Consiglio di Sicurezza, fecero approvare l'invio di un
contingente di truppe dell'ONU, in pratica quasi solamente truppe degli USA, a
sostegno del governo della Corea del sud. In tre mesi quasi tutta la Corea del Sud fu
occupata dai nordisti, tranne la zona adiacente al porto di Pusan nell'estremo sud della
penisola.
Mac Arthur a capo delle truppe americane Il comando delle truppe inviate dall'ONU
fu assunto dal generale Mac Arthur, il più sperimentato soldato americano, esperto in
operazioni anfibie. Questi scelse il porto di Inchon, vicino a Seul e al 38° parallelo: se lo
sbarco fosse riuscito, si poteva chiudere in una sacca le truppe della Corea del nord,
minacciando la capitale nordista Pyong Yang. I marines presero facilmente Inchon e
Seul, chiudendo le strade che conducevano al nord. L'esercito nordista perdette in pochi
giorni 140.000 uomini e l'avanzata verso il nord divenne facile. Forse la cosa migliore
sarebbe stata l'armistizio dopo aver raggiunto il 38° parallelo per non provocare la
reazione cinese.
Intervento della Cina Mac Arthur sottovalutò la Cina, ma fu smentito quando il 16
ottobre 1950 circa 300.000 soldati cinesi al comando di Lin Piao, passarono il fiume
Yalu che segna il confine tra la Corea e la Manciuria, applicando la tecnica dello
sfondamento di massa, senza alcuna preoccupazione per le perdite. Mac Arthur capì che
l'unico modo per vincere la guerra era il bombardamento delle basi in Cina - strade,
depositi, ferrovie - e perciò cercò di forzare il governo americano perché gli permettesse
di estendere il conflitto. Il presidente Truman reagì esonerando il famoso generale da
ogni incarico, perché ufficialmente i cinesi erano "volontari" e non esisteva uno stato di
guerra tra gli USA e la Cina. I propositi del governo americano furono ridimensionati:
ora si voleva solo ricacciare i cinesi al di sopra del 38° parallelo. Anche i sovietici
cominciarono a perdere interesse per una guerra che andava a vantaggio dei cinesi,
perciò fin dal luglio 1951 ebbero inizio trattative di pace a Panmunjon. Occorsero quasi
due anni per arrivare al definitivo armistizio, firmato il 27 luglio 1953 (pace della
pagoda): il conflitto era costato circa 1.800.000 morti.
Importanza della Cina Nel corso di quella guerra il più significativo risultato fu un
mutamento di atteggiamento degli occidentali nei confronti della Cina: per un secolo
avevano agito come se essa fosse un'entità politicamente e militarmente trascurabile, ora
si erano accorti che la Cina era diventata un temibile gigante in grado di modernizzarsi e
di incutere timore a qualunque esercito.
15. 6 Cronologia essenziale
1946 Il 2 giugno in Italia il referendum istituzionale dà la maggioranza alla repubblica.
1947 A Parigi è firmata dalle potenze vincitrici la pace con l'Italia.
1948 Alle elezioni politiche, celebrate il 18 aprile, la Democrazia Cristiana ottiene la
maggioranza assoluta dei voti.
1948 Le autorità sovietiche di occupazione attuano il blocco dei rifornimenti per via di
terra a Berlino ovest. Gli alleati reagiscono con un grande ponte aereo che per dieci
mesi rifornisce la città.
1949 È firmata tra i paesi dell'Europa occidentale con USA e Canada l'alleanza
denominata NATO. Nell'area del Pacifico è proposta ad Australia e Nuova Zelanda
un'analoga alleanza denominata SEATO.
1950 Scoppia la guerra di Corea: l'intervento dell'ONU blocca e poi respinge l'invasione
della Corea del nord. L'intervento dell'armata cinese ristabilisce il fronte.
1953 È firmata la pace in Corea sulla base del precedente confine posto al 38° parallelo.
15. 7 Il documento storico
Uno degli aspetti più drammatici del regime stalinista in Russia fu la facilità con cui
venivano decise deportazioni di interi popoli. Riportiamo l’Estratto del decreto emanato
dal presidium del Soviet Supremo il 28 agosto 1941 concernente la deportazione
collettiva dei tedeschi del Volga, insediati in quella regione al tempo della zarina
Caterina II nella seconda metà del secolo XVIII. Tra il 3 e il 20 settembre 1941 furono
deportati 446.480 tedeschi suddivisi in 230 convogli di 50 vagoni che si spostavano a
una media di pochi chilometri orari impiegando da quattro a sei settimane per arrivare a
destinazione.
“Da informazioni degne di fede raccolte dalle autorità militari risulta che la
popolazione tedesca insediata nella regione del Volga ospita al suo interno migliaia e
decine di migliaia di sabotatori e di spie, le quali al primo segnale proveniente dalla
Germania dovranno organizzare attentati nelle zone di residenza dei tedeschi del Volga.
Poiché nessuno ha notificato alle autorità sovietiche la presenza di una tale quantità di
sabotatori e di spie tra i tedeschi del Volga, se ne deduce che la popolazione tedesca del
Volga occulta nel proprio seno i nemici del popolo e del potere sovietico...
Se nella repubblica dei tedeschi del Volga o nei distretti limitrofi si verificheranno
atti di sabotaggio compiuti su ordine della Germania da sabotatori e spie tedesche,
scorrerà sangue e il governo sovietico, in conformità alle leggi vigenti in tempo di
guerra, sarà costretto a infliggere provvedimenti punitivi all’intera popolazione tedesca
del Volga. Per evitare tale deplorevole situazione e gravi spargimenti di sangue, il
presidium del Soviet Supremo dell’URSS ha stimato necessario trasferire in altre zone
tutta la popolazione tedesca residente nella regione del Volga, assegnandole dei territori
e un soccorso dello Stato per insediarla nelle nuove contrade.
Si indicano come luoghi di destinazione di tale trasferimento i distretti delle regioni
di Novosibirsk e di Omsk, del territorio dell’Altaj, del Kazakistan e di altre regioni
limitrofe, dove le terre abbondano”.
Fonte: AA. VV., Il libro nero del comunismo, Mondadori, Milano 1998, p. 203.
15. 8 In biblioteca
Per questo periodo si consulti l'interessante lavoro di E. GALLI DELLA LOGGIA,
Il mondo contemporaneo (1945-1980), il Mulino, Bologna 1982. Per l'Italia notevole di
G. MAMMARELLA, L'Italia dalla caduta del fascismo a oggi, il Mulino, Bologna
1978. Per la storia della guerra fredda si consulti di D.F. FLEMING, Storia della guerra
fredda (1917-1960), il Saggiatore, Milano 1968; e di A. GAMBINO, Le conseguenze
della seconda guerra mondiale. L'Europa da Jalta a Praga, Laterza, Bari 1972. A.
FONTAINE, Storia della guerra fredda, il Saggiatore, Milano 1968.
Cap. 16 La rivoluzione cinese
L'ultima tra le immani rivoluzioni dell'epoca contemporanea è quella cinese, iniziata
con la proclamazione della repubblica nel 1911 e giunta al successo con la conquista di
Pechino avvenuta nel 1949. Da allora la Cina è divenuta uno dei protagonisti della
storia alternando periodi di parossismo rivoluzionario ad altri di relativa quiescenza,
volta alla soluzione di grandi problemi interni.
Fra gli artefici della rivoluzione cinese certamente Mao Tse-tung occupa il posto più
importante, fino alla morte avvenuta nel 1976, assumendo la parte che Lenin e Stalin
assolsero nei confronti della rivoluzione russa.
Dal 1958, quando Krusciov iniziò la campagna di destalinizzazione del regime
sovietico e la lotta contro il culto della personalità, la Cina si distaccò dall'URSS,
iniziando un duro confronto che verso il 1968 sembrò sboccare in un conflitto aperto.
Nel 1989, la visita compiuta da Gorbaciov a Pechino sembrò smussare le punte più
acute di attrito, proprio nel momento in cui gli studenti cinesi occupavano la piazza
Tienanmen nel tentativo di costringere il regime del partito comunista cinese a
democratizzare l'immenso paese. La feroce repressione operata dai carri armati ha
stroncato la prematura primavera cinese, interrompendo numerosi progetti di
cooperazione tecnica con i paesi occidentali che hanno congelato gli aiuti promessi. Il
mondo cinese è ancora il più chiuso e il più impenetrabile alle categorie di giudizio
occidentali: su ogni altra considerazione risalta la grandezza del paese, il numero
enorme dei suoi abitanti (circa il 20% della popolazione mondiale), l'antichità della sua
cultura e il suo isolamento plurimillenario dalle altre parti del mondo, rappresentato
simbolicamente dalla Grande Muraglia.
16. 1 Sun Yat-sen
Dopo la caduta della dinastia Manciù, Sun Yat-sen proclamò la repubblica cinese.
Sun Yat-sen Costui era nato a Canton, la città più occidentalizzata della Cina e la sua
famiglia era stata in contatto col movimento del Taiping. All'età di dodici anni era
andato alle isole Haway e più tardi si era convertito al protestantesimo, completando la
sua istruzione in California, divenendo medico. In quegli anni l'esempio del Giappone
che nel giro di due generazioni era passato da una condizione simile a quella cinese alla
condizione di grande potenza faceva testo tra gli intellettuali cinesi, anche per Sun Yatsen.
Il nazionalismo cinese Il suo programma politico mirava a una rivoluzione che
mettesse al primo posto il principio di nazionalità, da affermare con l'aiuto del Giappone
e delle potenze occidentali.
La repubblica Il secondo principio era la necessità di instaurare la repubblica con la
costituzione, il parlamento e i partiti politici.
La distribuzione della terra Il terzo principio riguardava la proprietà della terra, e
prevedeva una limitazione dei profitti agrari, la confisca dei terreni che si trovavano
vicino alle grandi città, aumentati di valore in misura vertiginosa.
Il metodo rivoluzionario Il metodo rivoluzionario adottato fu quello delle insurrezioni
locali e dell'assassinio politico suggerito dai fuorusciti russi e giapponesi che entrarono
a far parte della setta segreta di Sun Yat-sen.
Inizia la guerra civile La rivolta iniziò il 10 ottobre 1911 a Wunchanh sullo
Yangtsekiang e poi si diffuse in molte altre località. In genere, i comandanti militari
locali assunsero il governo provvisorio della loro provincia. L'imperatore reggente fu
costretto a richiamare in servizio un generale da lui allontanato dal potere, Yuan Shi-k'ai
che impose alcune condizioni per accettare: la nomina a primo ministro e comandante
supremo dell'esercito. In luogo di attaccare i ribelli, Yuan Shih-k'ai prese accordi con
loro, con la promessa di esser nominato presidente della nuova repubblica cinese. Il 25
dicembre 1911 Sun Yat-sen sbarcò a Shangai e quattro giorni dopo a Nanchino fu
proclamato presidente della repubblica cinese ribelle. Yuan Shih-k'ai a Pechino indusse
il reggente a dichiarare decaduta la dinastia Manciù, ma senza cacciare l'ultimo
imperatore, anzi gli fu concessa per dimora l'antica reggia nella città proibita di Pechino.
Fondazione del partito Kuomintang Il 13 febbraio 1912 Sun Yat-sen si dimise, a
patto che Yuan Shih-k'ai si recasse a Nanchino per ricevere l'investitura. Questi, invece,
inviò una delegazione le cui truppe si dettero al saccheggio. Il presidente designato
affermò che la situazione era troppo incerta perché potesse allontanarsi da Pechino: nei
primi giorni del marzo 1912 assunse la presidenza a Pechino. Non era facile per nessuno
passare dai metodi cospirativi delle società segrete ai metodi parlamentari, tuttavia Sun
Yat-sen, nell'estate del 1912 dette vita al partito chiamato Kuomintang (partito
nazionalista). Anche il nuovo presidente ritenne opportuno avere un suo partito da
contrapporre a quello nazionalista: fu chiamato partito repubblicano anche se, in gran
parte, era costituito da nostalgici dell'antico regime imperiale.
Fragilità del regime repubblicano Yuan Shih-k'ai, nella primavera del 1913, aveva
stipulato con un consorzio di grandi potenze un prestito colossale. I suoi avversari
politici del Kuomintang capirono che il denaro sarebbe servito per fini di parte e che
occorreva opporre la resistenza armata contro il presidente animato da propositi
imperiali. Ancora una volta Nanchino divenne la capitale dello Stato secessionista ostile
al governo centrale di Pechino. Nanchino fu attaccata e abbandonata al saccheggio.
Divisione tra Nord e Sud in Cina Il repubblicanesimo di Yuan Shih-k'ai diveniva
sempre più debole: nel novembre 1913 egli sciolse il Kuomintang e cacciò dal
parlamento i rappresentanti di quel partito. Si fecero sondaggi di opinione e risultò che
tutti gli interpellati erano favorevoli alla monarchia. Nel frattempo Sun Yat-sen, dal
Giappone, aveva lanciato un nuovo partito rivoluzionario cinese che riprese la tecnica
degli attentati. Nel dicembre 1915 lo Yennan, seguito dalle principali regioni meridionali, proclamò la propria secessione. Nel giugno 1916 Yuan Shih-k'ai morì. La Cina
imboccò da quel momento la via che la condusse al caos, terminato solo con una nuova
rivoluzione e con il trionfo di Mao Tse-tung nel 1949.
16. 2 I Signori della guerra e Chiang Kai-shek
Lo sfacelo che seguì al tentativo di restaurazione monarchica lasciò in piedi, come
unica struttura, quella militare.
Inizia l'epoca dei Signori della guerra Ogni regione aveva depositi militari e un
esercito con un generale che assicurava ai suoi soldati il cibo, il vestiario e la possibilità
di saccheggio in caso di vittoria. Questi eserciti spremevano i contadini e compivano
scorrerie nel paese, facendo e disfacendo alleanze tra loro. L'esercito del nord aveva il
vantaggio di occupare Pechino e di avere l'appoggio delle potenze estere in quanto
governo legale. Tale esercito si scisse in due fazioni, una sostenuta dal Giappone e
l'altra da Gran Bretagna e USA. A Canton si erano insediati i partigiani di Sun Yat-sen
che dettero vita a un sedicente governo nazionale. La situazione che seguì si può
semplificare dicendo che le due fazioni del nord si logorarono a vicenda finché il
gruppo di armate del sud riuscì ad avanzare fino a Pechino, prendendo il potere. Ma
anche l'armata del sud aveva due anime: la prima era quella nazionalista che trovò un
capo prestigioso in Chiang Kai-shek; e l'altra, quella comunista, che seppe esprimere la
singolare personalità di Mao Tse-tung.
Sun Yat-sen non riesce ad affermarsi Nel 1920 Sun Yat-sen tornò dall'esilio e gli fu
data la carica di presidente della repubblica di Canton, ma il suo tentativo di prendere
accordi con un signore della guerra in Manciuria per rovesciare il governo di Pechino,
fallì e Sun Yat-sen dovette riprendere la via dell'esilio (1922).
Il modello di rivoluzione sovietico Nel frattempo era avvenuta la rivoluzione sovietica
in Russia. In quel momento tra Cina e Russia sembravano esistere notevoli affinità:
erano due enormi paesi, tecnicamente e socialmente arretrati, sconfitti da un piccolo
paese come il Giappone. La rivoluzione sovietica, però, aveva trionfato e nel giro di
pochi anni aveva soffocato l'anarchia interna. Gli intellettuali, soprattutto gli studenti e i
professori dell'Università di Pechino, ritenevano che seguendo i suggerimenti
dell'ideologia marxista, anche la Cina poteva trionfare sul marasma interno per poi
imporsi alle potenze estere che continuavano a monopolizzare il suo commercio.
Mancato riconoscimento dei diritti cinesi La Cina aveva partecipato, sia pure solo
nominalmente, alla Prima guerra mondiale e perciò il principio di autodeterminazione
dei popoli e gli altri punti del programma di Wilson proclamati nel corso della conferenza di Versailles, ricevettero entusiastica accoglienza. La realtà, invece, fu più amara
perché le grandi potenze furono restie ad abbandonare i privilegi acquisiti in Cina.
Anche questo motivo spinse molti cinesi a ritenere che i loro veri amici si trovassero
solo nell'URSS. Infatti, fin dal 1918 i sovietici annunciarono di rinunciare ai privilegi
estorti dal governo zarista alla Cina, anche se nessuno parlò dei territori a nord
dell'Amur e a est dell'Ussuri che erano e rimangono i veri motivi di attrito tra i due
paesi.
Fondazione del partito comunista cinese Nel 1919, poco dopo la sua fondazione, il
Comintern (internazionale comunista) prese contatto con studenti marxisti per fondare il
Partito Comunista Cinese, che iniziò a operare a Shangai. Il partito, ancora molto
piccolo, promosse agitazioni e scioperi tra il 1922 e il 1923 e infine scelse, come linea
politica, che i suoi membri potessero iscriversi a titolo personale nel Kuomintang per
realizzare un blocco tra piccola borghesia e proletariato al fine di sconfiggere i signori
della guerra e gli imperialisti che sembravano proteggerli.
Chiang Kai-shek Nel 1923 Sun Yat-sen era tornato a Canton e cercava la persona
adatta a reclutare un esercito nazionalista in grado di imporre la volontà del
Kuomintang. Incontrò Chiang Kai-shek che aveva allora 36 anni e che sembrava la
personalità più adatta per guidare le armate rivoluzionarie. Chiang si recò a Mosca per
un corso di addestramento militare. Il Kuomintang, intanto, fu riorganizzato sul modello
del partito comunista russo, e nel 1924 ci fu un congresso del partito nel quale si mise in
luce Mao Tse-tung. La dottrina dei tre princìpi (nazionalismo, repubblica, proprietà
della terra) fu aggiornata nel senso che alla lotta contro la dinastia Manciù subentrava
la lotta contro l'imperialismo straniero; il secondo principio della sovranità popolare era
aggiornato nel senso che occorreva togliere i diritti politici a individui e gruppi
controrivoluzionari; il terzo principio della giustizia sociale era notevolmente ampliato
con la promessa di un appezzamento di terra a ogni contadino.
L'esercito rivoluzionario La prima parte del programma da realizzare era la vittoria
militare e perciò bisognava rafforzare un esercito che oltre a saper combattere doveva
sapere per quale motivo lo faceva: l'istruzione politica dei soldati fu affidata a Chou
En-lai, un diplomatico intelligente e colto che si iscrisse al partito comunista fin dal
1919 quando era in Francia per gli studi.
Morte di Sun Yat-sen La lotta tra i Signori della guerra continuava: a Pechino avvenne
un rimescolamento delle carte che condusse alla proposta di un governo di unità
nazionale al quale doveva partecipare anche Sun Yat-sen, accolto a Pechino in modo
trionfale, tuttavia poco dopo morì (1925). Nel frattempo la nuova direzione del
Kuomintang si trovava sottoposta a notevole pressione da parte del partito comunista
cinese e da parte di Mosca, ma in quel momento poteva fare a meno dell'aiuto sovietico,
almeno così pensava Chiang Kai-shek, che si preparava ad espellere i comunisti dal
partito nazionalista. Prima però occorreva la vittoria delle armate del sud su quelle del
nord e l'occupazione di Pechino. A questo compito si dedicò Chiang Kai-shek con l'aiuto segreto delle potenze occidentali e con l'aiuto palese di Mao Tse-tung, che
controllava la regione del Hunan. La capitale, dopo questa fortunata campagna, fu
trasferita dal sud a Hankow nel 1927, a opera di Liu Shao-ch'i, mentre la Gran Bretagna
annunciava di rinunciare a quella e a un'altra città sullo Yangtsekiang. Nello stesso anno
fu occupata Shangai, soprattutto per merito di Chou En-lai.
Inizia il conflitto tra nazionalisti e comunisti Quando i comunisti tentarono di togliere
a Chiang Kai-shek il supremo comando militare, costui reagì facendo occupare la sede
dell'Unione generale dei lavoratori. Il governo di Hankow reagì a sua volta dichiarando
decaduto da ogni potere Chiang Kai-shek, una mossa che non piacque a Mosca, perché
Stalin era convinto che l'unica forza realmente operativa fosse quella del Kuomintang e
della borghesia che lo sosteneva. Il 15 luglio 1927 i comunisti furono espulsi dal
Kuomintang e dall'esercito nazionalista, oltre che dal governo di Hankow.
Chiang Kai-shek si sposta a destra A questo punto anche Chiang Kai-shek ritenne
opportuno ritirarsi per un poco dalla scena: andò in Giappone, si sposò con una cinese
protestante la cui sorella aveva sposato Sun Yat-sen. Anche Chiang Kai-shek poco dopo
si convertì al protestantesimo. La famiglia della moglie aveva molte relazioni negli
ambienti della finanza internazionale che Chiang seppe utilizzare ampiamente per i suoi
fini.
Fallisce la rivoluzione comunista Nel dicembre 1927 fallì a Canton il tentativo di
instaurare un soviet. Nel gennaio 1928 Chiang Kai-shek riprese il comando supremo
dell'esercito e nell'agosto divenne presidente del Consiglio di Stato con capitale
Nanchino. I tre anni seguenti fino al 1931 furono i più confusi di un'epoca già di per sé
molto confusa. I Signori della guerra intensificarono le operazioni militari, favorendo i
piani giapponesi che, nell'autunno del 1931, virtualmente iniziarono la Seconda guerra
mondiale con l'occupazione della Manciuria, dove erano accaduti incidenti tra cinesi e
russi permettendo ai giapponesi di occupare l'intera regione. Nel resto della Cina ci
furono dimostrazioni antinipponiche, provocando rappresaglie: a Shangai, nel gennaio
1932, un intero quartiere cinese fu attaccato e distrutto senza preavviso dai giapponesi.
La Cina si rivolse alla Società delle Nazioni, denunciando l'aggressione. Gli osservatori
inviati in Manciuria, non si affrettarono: quando giunsero, trovarono il governo
fantoccio che aveva proclamato la repubblica di Manchukuo. Le potenze occidentali
non si mossero, da una parte perché si trovavano in mezzo alla crisi economica iniziata
nel 1929, e dall'altra perché giudicavano utile l’insediamento giapponese in Manciuria
in funzione antirussa. Quando nel 1933 a Ginevra il Giappone fu riconosciuto come
aggressore, non avvenne altro che l'uscita di quel paese dalla Società delle Nazioni.
Chiang Kai-shek dovette accettare la perdita della Manciuria e di tutta la parte
settentrionale della Cina lungo la Grande Muraglia, perché alla lotta contro il Giappone
ritenne di dover far precedere la conclusione del contrasto interno con i comunisti. Le
realizzazioni del regime di Chiang Kai-shek non furono molte, dato il clima di guerra
civile e di conflitti internazionali, ma la vittoria del suo avversario le fa apparire
addirittura inesistenti.
16. 3 Mao Tse-tung
La vittoria finale del partito comunista cinese non deve far dimenticare gli insuccessi
e i passi falsi compiuti agli inizi.
Contrasti tra comunisti russi e cinesi L'aiuto dell'URSS si riduceva all'invio di
consiglieri che pretendevano farla da padroni, e a ordini che avevano di mira il successo
della politica sovietica più che il successo del partito comunista cinese. La lotta per il
potere a Mosca tra Trotzkij e Stalin aveva come posta l'aiuto o meno da offrire ai
comunisti cinesi. Vinse la tesi di Stalin avversa alla rivoluzione permanente e
favorevole al rafforzamento del comunismo in Russia. Stalin inoltre riteneva errata la
teoria dei comunisti cinesi di poter effettuare la rivoluzione col supporto delle masse
contadine.
La guerriglia comunista La serie dei tentativi, falliti perché prematuri, cominciò nel
luglio 1927 con l'insurrezione di Chu Teh, comandante dell'accademia militare di
Nanchang. Chu Teh fu sconfitto e inseguito fin nel Hunan dove Mao Tse-tung stava
organizzando un esercito di contadini. Il collegamento di Mao e Chu risultò
fondamentale perché avevano personalità complementari: il primo era la mente politica,
il secondo l'esecutore inflessibile. Su una montagna impervia che sembrava fatta
apposta per operazioni di guerriglia posta tra lo Hunan e il Kiangsi, fu fondato un soviet
di contadini. Dopo la conquista di Chengsu, capitale del Hunan, fu inaugurata la prima
repubblica sovietica cinese, il modello di ciò che sarebbe avvenuto a Pechino nel 1949.
Iniziano le campagne di annientamento Nel 1930 Chiang Kai-shek lanciò una serie di
offensive e Mao applicò il suo principio della guerriglia: "Quando il nemico avanza noi
ci ritiriamo, quando si ritira avanziamo; quando si ferma lo molestiamo, quando è
stanco lo attacchiamo". Questa strategia logorò le armate nazionaliste fino al 1933,
quando giunse il generale tedesco Hans von Seeckt che pianificò l'attacco contro i
guerriglieri di Mao, mediante il blocco dei rifornimenti ai ribelli.
La lunga marcia L'attacco giapponese in Manciuria offrì il pretesto all'esercito rosso di
lasciare il sud ormai indifendibile, per recarsi nel lontano nord-ovest, nello Shensi, dove
esisteva un altro soviet che poteva divenire il nuovo centro della ribellione. Nell'ottobre
1934 iniziò la Lunga marcia da parte di 100.000 soldati comunisti che percorsero, in
mezzo a disagi indescrivibili, un cammino di circa 10.000 chilometri, superando 25
fiumi senza ponti, circa 80 passi d'alta montagna, combattendo 12 battaglie contro i
soldati di Chiang Kai-shek. Arrivarono solo 20.000 soldati che poterono resistere alla
fame, al freddo, alla stanchezza: la loro sopravvivenza significò la sopravvivenza del
comunismo in Cina. Furono salvati dalla grandezza sterminata del territorio cinese e dal
fatto d'aver scelto la regione più impervia, più povera, più isolata della Cina.
Inizia il conflitto tra Cina e Giappone Nel 1937 il Giappone lanciò dalle città della
costa il suo definitivo attacco contro la Cina, distogliendo Chiang Kai-shek dal
proposito di eliminare i suoi avversari interni. I comunisti nello Shensi erano inattac-
cabili dai giapponesi per i motivi accennati. Nel nord della Cina occupata dal Giappone
fu formato un governo fantoccio a Pechino. Il governo nazionalista si era ritirato al
centro, nella città di Chungking sul Yangtsekiang.
Tregua di fatto tra Mao e Chiang Nel 1941, dopo l'attacco giapponese alla flotta
statunitense a Pearl Harbor, gli USA entrarono in guerra contro il Giappone. Di fatto si
stabilì una tregua tra Mao e Chiang per combattere il comune nemico giapponese: la tattica di Mao era ancora una volta la guerriglia, molto più adatta a infliggere perdite
all'esercito giapponese della tattica di Chiang che contrapponeva ai giapponesi un
esercito regolare, armato dagli USA, ma sempre più debole di quello avversario, più
vulnerabile, non animato da un'ideologia che promettesse la terra ai contadini e la fine
della miseria. Infatti Chiang Kai-shek, tagliato fuori dalle ricche città della costa
dipendeva in tutto dai proprietari terrieri delle regioni che controllava, i quali si
rifacevano, come al solito, sui contadini.
Declino di Chiang Kai-shek Dopo la fine della guerra, nel 1945 gli USA tentarono di
comporre il dissidio tra Mao e Chiang, ma il regime del Kuomintang era ormai troppo
corrotto, troppo odiato dai contadini, troppo in balia dell'affarismo più incontrollato per
apparire credibile agli occhi dei cinesi. Fin dal 1946 riprese la guerra tra comunisti e
nazionalisti.
Chiang Kai-shek si ritira a Formosa Le armate di Chiang continuavano a sperperare
enormi quantità di armi che cadevano in mano ai comunisti, finché non rimase altra
possibilità che ritirarsi a Formosa protetti dalla flotta americana, lasciando tutta la Cina
continentale a Mao. Il 1° ottobre 1949 Mao Tse-tung proclamò la fondazione della
repubblica popolare cinese a Pechino con una grandiosa parata: appariva come il nuovo
imperatore in grado di battere i nemici esterni e di impedire i disordini interni; il
marxismo sembrava come la nuova filosofia in grado di sostituire il confucianesimo.
16. 4 Il grande balzo in avanti
Dopo la vittoria del 1949 la politica cinese ha esagerato le possibilità della volontà
umana che sarebbe in grado di superare qualunque difficoltà materiale per l'edificazione
della società comunista.
Le riforme di Mao Tse-tung Invece di occuparsi di amministrazione i dirigenti
comunisti cinesi si proposero di far cambiare mentalità alla gente. Tra i capi iniziò una
serie di discussioni da mandarini che impressero al pensiero ufficiale cinese un
andamento a fisarmonica. Fino al 1955 la politica economica del governo di Mao fu
caratterizzata da una certa moderazione, poi cominciarono gli attacchi contro gli uomini
d'affari e gli industriali progressivamente privati del controllo effettivo delle loro imprese. Questa campagna doveva preludere al primo piano quinquennale che si cominciò
a conoscere nel 1955 e che doveva segnare il passaggio all'economia socialista. In realtà
non si fece che imitare il modello sovietico ma senza riuscire a creare un'industria
pesante di base, perché la Cina continuava a vivere dell'industria leggera ubicata nelle
città della costa.
La collettivizzazione della terra Fin dal 1953 era stata lanciata la campagna di
collettivizzazione della terra, ma fino al 1955 solo il 15% dei poderi si erano uniti in
cooperative di Stato. Dal luglio di quell'anno avvenne "una furiosa ondata di marea" che
ridusse tutta la terra in mano alle comuni agricole. Poco dopo, tuttavia, la stampa cinese
cominciò a parlare di "controrivoluzionari" e di "furfanti" che si erano inseriti nella
direzione delle comuni. Nel 1956 l'impazienza di Mao dovette venir frenata: le cause
addotte furono la resistenza dei contadini, un raccolto molto scarso e la
disorganizzazione industriale. Influirono anche la preoccupazione prodotta dal progetto
di destalinizzazione avviato in Russia da Krusciov nel corso del XX congresso del partito comunista e la rivolta ungherese che sembrava minacciare le basi ideologiche del
comunismo. Mao creò un nuovo slogan: "Fioriscano i cento fiori" che si può
interpretare come una concessione al pluralismo delle concezioni economiche, anche se
non si poneva in discussione il potere del partito comunista cinese.
La politica estera cinese Dopo la morte di Stalin (1953) e la fine della guerra di Corea,
per qualche anno la politica estera cinese sembrò imboccare una via moderata. Nel 1955
avvenne la conferenza di Bandung dei paesi non allineati che riconobbe il ruolo
progressivo delle borghesie nazionali dei paesi in via di sviluppo. La vera svolta di Mao
in direzione della sinistra avvenne tra il 1957 e il 1958 contemporaneamente al
peggioramento dei rapporti tra Cina e URSS. Fino a quel momento la politica dei due
colossi del comunismo sembrava concorde e monolitica. Dopo quella data la Cina
intraprese una serie di progetti radicalmente diversi da quelli russi sia per stile
ideologico sia per contenuto: sembrava quasi che si scontrassero il progetto comunista
europeo e quello asiatico. Mao cominciò a esaltare Stalin tanto da arrivare al falso:
"Tutti sanno che il compagno Stalin nutriva un ardente affetto per il popolo cinese e
riteneva che la potenza della rivoluzione cinese fosse incommensurabile", invece era
vero il contrario. In realtà la destalinizzazione era stata decisa da Krusciov senza
consultare la Cina e probabilmente Mao riteneva che l'attacco contro il culto della
personalità fosse anche un attacco contro di lui, che di quel culto viveva. La campagna
dei "cento fiori", nel pensiero di Mao Tse-tung non acquistò mai il significato di
liberalizzazione, bensì quello di permettere una boccata d'ossigeno alla struttura statale
cinese finché il partito comunista avesse trovato la via giusta per prendere tutto il
potere.
Inizia la campagna di rettifica Nel 1957 cominciò una campagna di rettifiche delle
critiche avanzate contro il partito comunista cinese: si decise di rieducare tutti i
"destristi" assegnando loro un lavoro difficile da "mandare giù": per esempio alcuni
professori universitari furono obbligati a pulire i gabinetti. Questa campagna si estese
tanto all'interno della Cina quanto all'esterno allorché Mao Tse-tung guidò a Mosca una
delegazione cinese che attaccò Krusciov e la sua politica di apertura nei confronti
dell'Occidente. Mao affermò che il vento dell'est prevaleva sul vento dell'ovest. L'anno
dopo, il 1958, fu proclamato il "grande balzo in avanti" cominciando dall'agricoltura che
doveva ridurre tutta la terra sotto il controllo delle comuni. Dopo un grande giro di
ispezione, Mao scrisse: "Durante questo giro io ho visto con i miei occhi la straordinaria
energia delle masse. Su questa base è possibile compiere qualunque impresa. Noi
dobbiamo prima portare a termine i compiti sul fronte del ferro e dell'acciaio. In questi
settori, le masse sono state già mobilitate".
Romanticismo rivoluzionario L'atteggiamento di Mao appare analogo a quello di
Lenin che non teneva conto delle condizioni obiettive quasi che fossero un alibi
accampato da chi non voleva far nulla: si trattava di ottenere ferro e acciaio senza avere
grandi complessi industriali e senza i capitali necessari all'acquisto dei macchinari. La
soluzione escogitata fu che ogni comune doveva fucinare il ferro e l'acciaio con piccoli
forni a legna: in quel modo di pretendeva superare i paesi occidentali. La Russia di
Krusciov sembrava a Mao "imborghesita" e "revisionista".
Conflitto tra Mosca e Pechino Quando i raccolti agricoli del 1958 e del 1959
risultarono modesti, i sovietici annullarono i contratti di cooperazione con la Cina,
ritenendo che le fabbriche e gli altri investimenti destinati a quel paese fossero più utili
in Russia. Nel 1959 scoppiarono incidenti di frontiera tra India e Cina: il governo russo
esortò i contendenti a risolvere quei "malintesi": l'intervento sembrò ostile alla Cina.
Nel 1960 Krusciov denunciò come folli le tendenze cinesi a sottovalutare le
conseguenze di una guerra nucleare che i cinesi col loro avventurismo sembravano
favorire: tutti i partiti comunisti, meno quello albanese, approvarono la mozione di
Krusciov. Seguì, sempre nel 1960, il ritiro dalla Cina di tutti i tecnici russi nel giro di un
mese, rescindendo centinaia di contratti. Nel 1962 avvenne la crisi di Cuba: i cinesi
accusarono a loro volta i russi di "avventurismo" e poi di "capitolazionismo". Da quel
momento Mao sottopose Krusciov e i russi ad attacchi almeno uguali a quelli riservati
agli "imperialisti" americani. Nel 1963 Mao fece salire al massimo la febbre
rivoluzionaria dei popoli dell'Asia, dell'Africa e dell'America latina, creando all'interno
di ogni partito comunista la frazione filocinese in concorrenza con quella filorussa.
16. 5 La rivoluzione culturale
Nel 1964, la caduta di Krusciov in Russia, sostituito da Breznev e Kossyghin, fu
salutata dai dirigenti cinesi come una conferma della loro diagnosi politica.
Si rafforza l'esercito cinese Nel frattempo era continuata una linea di tendenza già
avvertita da un certo tempo, ossia il rafforzamento dell'esercito cinese al comando di
Lin Piao, ritenuto in grado di mantenere alti gli ideali rivoluzionari minacciati dal
revisionismo degli intellettuali e di coloro che si ostinavano a non accettare le
conseguenze delle comuni agrarie. Abbastanza significativa in questo senso fu la
riforma dell'Opera di Pechino pensata come un teatro rivoluzionario in grado di
comunicare alle masse gli ideali del comunismo. Nel 1964 esplose la prima bomba
atomica cinese, un segno ancora più significativo dei progressi tecnici della Cina e della
potenza offensiva del suo esercito.
Verso la rivoluzione culturale Nel 1965 iniziò una nuova campagna di denuncia
pubblica a carico di numerosi "revisionisti", soprattutto artisti, scrittori, teorici della
politica. In particolare fu preso di mira Wu Han, autore di drammi storici, ritenuto
colpevole di implicazioni antimaoiste. Nel frattempo Lin Piao conduceva a fondo la
campagna rivoluzionaria nell'esercito, introducendo una sorta di uguaglianza tradotta in
pratica con l'abolizione dei gradi. Si può ritenere che Lin Piao cercasse di assicurarsi la
successione di Mao Tse-tung creandosi un seguito personale. Nel 1966 l'esercito, ormai
denominato Armata Popolare di Liberazione, prese possesso dell'area intorno a Pechino,
e il suo giornale iniziò l'attacco contro Liu Shao-ch'i, rilanciando una grande rivoluzione
educativa per cancellare i residui feudali del passato.
Le guardie rosse Nel corso dell'estate la rivoluzione culturale raggiunse il suo culmine
con numerose condanne contro i revisionisti: in particolare fu attaccato Liu Shao-ch'i
che aveva criticato il regresso economico causato dalla collettivizzazione della terra e
dalla mancata creazione di una adeguata industria pesante. Lin Piao fu ufficialmente
designato alla successione di Mao. Nel 1967 le Guardie rosse attaccarono le sedi dei
comitati del Partito Comunista Cinese arrivando a conflitti aperti anche con l'esercito
durati fino al 1968. Questa rivoluzione, confusa perché mancano informazioni sicure dal
momento che fino al 1972 tutti i giornalisti stranieri furono cacciati dalla Cina, conobbe
certamente molti episodi tragici. Mao stesso fu messo da parte, ma alla fine ebbero la
meglio i conservatori e alle Guardie rosse si ordinò di tornare a scuola. Molte Guardie
rosse furono mandate nelle campagne, gli operai furono rivalutati e iniziò una campagna
volta a riconoscere il valore della "disciplina".
Il IX Congresso del partito Nel 1969 avvenne il IX Congresso del partito comunista
cinese, in cui ancora una volta Lin Piao apparve come il successore di Mao: un altro
segno della sconfitta delle Guardie rosse fu la riabilitazione di numerosi dirigenti epurati, mentre sulla frontiera dell'Ussuri, un affluente dell'Amur, avvennero gravi incidenti
di frontiera con l'URSS. Nel 1970 accadde il fatto nuovo, ossia l'affiorare del disaccordo
tra Mao e Lin Piao, e la riapertura delle università dopo alcuni anni d'interruzione
dell'attività accademica. La lotta che si era aperta tra Mao e Lin Piao ebbe una inattesa
conclusione con l'abbattimento dell'aereo su cui volava Lin Piao, forse mentre tentava di
rifugiarsi in territorio russo.
Il viaggio di Nixon in Cina Nel 1972 accaddero ulteriori fatti nuovi: i poteri
dell'esercito furono ridotti, la sinistra rivoluzionaria fu ridimensionata, ma soprattutto
avvenne il viaggio del presidente americano Nixon a Pechino, un evento che qualche
mese prima sarebbe apparso del tutto impossibile. Tra i riabilitati c'era anche Deng
Xiao-ping che appariva l'esponente dei moderati, di coloro che ritenevano necessario lo
sviluppo economico secondo la concezione ortodossa, ossia mettendo da parte gli
esperimenti volontaristici che avevano dominato per tutto il periodo della cosiddetta
"rivoluzione culturale", davvero povera di cultura se si considera che le università
rimasero chiuse e i professori inviati nelle comuni agricole a coltivare il riso.
Riprendono i contatti col resto del mondo Le frontiere furono riaperte agli occidentali
e molti giornalisti poterono visitare le più importanti città della Cina, seguiti da un
flusso crescente di turisti. Ancora più curiosa la campagna anticonfuciana che a noi
sembra anacronistica: sarebbe come se un regime occidentale conducesse sui giornali
una campagna antiplatonica. In Cina, tuttavia, la cosa aveva un significato, ossia la lotta
contro il tradizionalismo e i costumi confuciani giudicati in grado di ritardare lo
sviluppo industriale del gigante cinese.
Il declino della vecchia guardia Le forze di Chou En-lai e di Mao Tse-tung
declinavano, mentre Deng Xiao-ping sembrava acquistare sempre maggiore influenza.
Nel 1975 scoppiarono incidenti di frontiera col Vietnam che, dopo la partenza degli
americani dal paese, aveva accentuato la sua alleanza con l'URSS, certamente in
funzione anticinese, dal momento che il Vietnam per secoli era stato sotto l'influenza
cinese. Deng Xiao-ping lanciò una campagna di modernizzazione della Cina anche se
dovette difendersi dagli attacchi della destra del partito, divenuti sempre più pesanti nel
1976 allorché morirono Chou En-lai a febbraio, e Mao Tse-tung a settembre, dopo aver
designato alla carica di primo ministro Hua Guo-feng. La stella di Deng Xiao-ping
sembrava volgere al tramonto perché perdette la carica di vice primo ministro.
Vittoria sul radicalismo rivoluzionario A ottobre fu epurata la cosiddetta "banda dei
quattro", comprendente la vedova di Mao, accusata di radicalismo e di complotto contro
lo Stato. Seguì una nuova riabilitazione di Deng Xiao-ping che riprese la sua carica,
divenendo il vero padrone della politica cinese, caratterizzata da notevole pragmatismo,
da aperture politiche che trascuravano le pregiudiziali ideologiche ritenute importanti
nel passato: questa fase ha come manifestazione esterna il raffreddamento dei rapporti
con l'Albania, rimasta l'unica fedele alleata della Cina.
16. 6 Deng Xiao-ping
Dal 1978 la Cina sembra avviata verso la normalizzazione dei rapporti
internazionali. Frotte di turisti e di uomini d'affari si precipitano in Cina per visitare il
paese e per stipulare ogni genere d'affari.
Riscoperta del capitalismo I rapporti con Hong Kong si sono fatti più intensi, in modo
speciale dal luglio 1997 quando cessò l’amministrazione inglese: i cinesi guardano a
quella singolare città-stato come a un laboratorio per comprendere come funziona
l'economia capitalista e per carpire i segreti dell'efficienza della direzione aziendale, il
sistema bancario e il commercio internazionale. Il governo cinese è arrivato al punto di
circondare alcune città della costa con una specie di cortina di ferro: chi abita in quelle
città può stipulare ogni genere di contratti per installare fabbriche impiegando
l'abbondante manodopera locale. Appare abbastanza chiaro che i cinesi più infelici sono
quelli esclusi da quelle aree privilegiate. Anche i contadini hanno ottenuto di poter
tornare a coltivare in proprio un certo appezzamento di terra e da quel momento i viveri
sono tornati a comparire sui mercati locali, anche se permangono numerose difficoltà
per reperire concimi, macchinari agricoli, anticrittogamici ecc.
I rapporti con l'URSS Dopo la morte di Breznev (1982) la politica russa nei confronti
della Cina è divenuta meno ostile e il governo cinese ha allentato l'oppressione su
alcune aree come il Tibet in cui gli eccessi della rivoluzione culturale furono particolarmente gravi, con distruzione di antichi monasteri buddisti e di altre opere d'arte. Nel
1989, ad aprile, iniziò a Pechino una serie di manifestazioni di studenti culminate con
l'occupazione della grande piazza Tienanmen, proprio mentre giungeva in visita
ufficiale il segretario del partito comunista russo Gorbaciov, deciso a chiudere la fase
più acuta del conflitto con la Cina. Dopo alcuni tentativi di risoluzione pacifica del
contrasto tra studenti e governo, quest'ultimo ha fatto ricorso ai carri armati facendo
numerosi morti. Certamente il partito comunista cinese ha avvertito il pericolo di
perdere il potere, come è avvenuto poco dopo nei paesi dell'est europeo e ha scelto la
strada della repressione, che è costata la sospensione degli aiuti internazionali e di molti
contratti di cooperazione tecnica. L'attuale crisi del comunismo internazionale non
lascia facilmente intendere quali saranno gli sviluppi futuri della politica cinese, arbitra
della sorte di un quinto della popolazione mondiale.
16. 7 Cronologia essenziale
1911 In Cina è rovesciata la dinastia Manciù e proclamata la repubblica. Inizia la guerra
civile.
1916 Morte del primo presidente Yuan Shih-k'ai: Sun Yat-sen organizza il partito
nazionalista Kuomintang.
1919 A Shangai è fondato il Partito Comunista Cinese.
1924 I comunisti cinesi aderiscono a titolo personale al partito nazionalista
(Kuomintang).
1925 Muore a Pechino Sun Yat-sen: erede della sua opera politica risulta Chiang Kaishek.
1927 Fallisce a Canton un tentativo di rivoluzione comunista.
1931 Inizia la lotta tra Mao Tse-tung e Chiang Kai-shek per il dominio sulla Cina,
mentre i giapponesi attaccano in Manciuria.
1934 Dopo una serie di battaglie di annientamento guidate da Chiang Kai-shek, Mao
Tse-tung compie la lunga marcia dalla Cina meridionale al lontano Shensi.
1937 I giapponesi attaccano Chiang Kai-shek occupando gran parte delle città costiere.
1941 I giapponesi attaccano la flotta americana del Pacifico a Pearl Harbor. Tregua di
fatto tra comunisti e nazionalisti cinesi.
1946 Riprende la lotta tra nazionalisti e comunisti cinesi.
1949 Chiang Kai-shek si ritira nell'isola di Formosa mentre Mao entra in Pechino alla
testa delle armate rivoluzionarie cinesi.
1958 La Cina inizia "il grande balzo in avanti" con la collettivizzazione della terra,
peraltro con scadenti risultati.
1960 Inizia il conflitto ideologico russo-cinese.
1976 Muore Mao Tse-tung.
1989 Gravi incidenti nella piazza Tienanmen a Pechino tra studenti e partito comunista
che ordina all'esercito la repressione.
16. 8 Il documento storico
Il passo che segue riporta una riflessione del sinologo S. Schram che mette in rilievo
la peculiarità della rivoluzione cinese e l'essenza del maoismo come rivoluzione delle
campagne contro la città e che dovrebbe concludersi con la vittoria dell'Asia,
dell'Africa, dell'America latina ai danni dell'Europa occidentale e dell'America
anglosassone. Lo Schram pone in rilievo come la visione di Mao sia filtrata attraverso
l'ottica cinese che perciò risulta deformante.
“Agli occhi di Mao l'importanza del suo pensiero e della sua esperienza per le
rivoluzioni asiatiche, africane e dell'America latina è oggi duplice. La conquista della
Cina a opera della guerra rivoluzionaria basata sulle campagne può servire come modello sia per le lotte di liberazione nazionale all'interno di altri paesi sia per una generale
strategia rivoluzionaria contro l'imperialismo. Questo punto è stato chiarito più
esplicitamente nell'articolo di Lin Piao del 1965, Viva la vittoria della guerra popolare!
Da una parte Lin Piao mette in risalto, come faceva la nota editoriale che accompagnava
la ripubblicazione, pochi giorni prima, del testo completo del saggio di Mao del 1938
sulla strategia nella guerra partigiana contro il Giappone, che la teoria della guerra
popolare sviluppata da Mao tre decenni prima è di vitale importanza pratica per i popoli
oppressi dell'Asia, dell'Africa e dell'America latina nella loro lotta per la liberazione.
Ma egli trasferisce anche l'esperienza della rivoluzione della Cina alla scena mondiale.
In Cina, egli ci ricorda, la rivoluzione, a differenza che in Russia, partì dalle campagne e
trionfò solo alla fine nelle città. Allo stesso modo, la causa della rivoluzione mondiale
nel suo complesso dipende in ultima analisi dalle lotte dei popoli dell'Asia, dell'Africa e
dell'America latina, che costituiscono le "zone rurali del mondo".
Qui noi vediamo, portata all'estremo, la tendenza dei capi cinesi a vedere il mondo
intero attraverso il prisma della propria esperienza. Noi abbiamo attraversato un secolo
in cui gli europei, ciascuno a suo modo, hanno compreso o mal compreso l'Asia in
termini di concetti formatisi in ambiente culturale e storico diverso. Alcuni si sono
sforzati di trapiantarvi la democrazia parlamentare e altri la dittatura del proletariato,
forme politiche quasi ugualmente in disaccordo con la realtà a cui dovevano essere
applicate. Oggi sembra che noi siamo sulla strada per passare dal secolo
dell'incomprensione dell'Asia da parte dell'Europa al secolo dell'incomprensione
dell'Europa da parte dell'Asia. Mao Tse-tung, in nome di un'esperienza che egli stesso
ha spesso dichiarato unica, proclama ora in tono altisonante che la lotta armata è un
aspetto indispensabile di ogni vera rivoluzione e scomunica con disprezzo quei
compagni d'Europa e d'America che si permettono di cercare altre strade. Esattamente
come gli Stati Uniti hanno spesso cercato di costringere i popoli di altri paesi e di altri
continenti a divenire liberi alla maniera americana, Mao appare adesso incline a
costringere i popoli di tutto il mondo a divenire rivoluzionari alla maniera cinese. È
estremamente probabile che queste due imprese siano ugualmente destinate al
fallimento.
Se Mao interpreta il mondo nel suo complesso in termini di Cina, questo non è
unicamente perché, come chiunque altro, egli vede la vita attraverso le lenti della
propria esperienza. Il suo atteggiamento è anche in relazione con la funzione che i suoi
compatrioti hanno sempre attribuito alla propria civiltà. Questo libro si è aperto sulla
visione cinese della Cina come il "Regno di Mezzo"; e si chiude sullo stesso tema.
Abbiamo veduto in principio il giovane Mao che deplorava l'umiliazione inflitta alla
Cina dagli europei ed esortava i suoi concittadini a rinvigorire i loro corpi in modo da
poter resistere agli stranieri. Ci congediamo da lui mentre denuncia l'insolenza
anticinese dei sovietici e inneggia l'inevitabile trionfo delle masse in armi, nonostante le
bombe atomiche degli "imperialisti". Certo, sia la Cina sia Mao sono molto diversi da
quello che erano un mezzo secolo fa. La via che essi propongono al mondo non è più la
via di Confucio, ma quella di Mao Tse-tung. Eppure permane una profonda
rassomiglianza fra l'universo intellettuale e politico della giovinezza di Mao e quello
che esiste oggi in Cina. Allora, come adesso, la via cinese era vista come specificamente
cinese e nello stesso tempo come universale”.
Fonte: S. SCHRAM, Mao Tse-tung e la Cina moderna, il Saggiatore, Milano 1968, pp.
406-408.
16. 9 In biblioteca
Fra i lavori più accessibili per comprendere la storia cinese contemporanea si
consiglia di S. SCHRAM, Mao Tse-tung e la Cina moderna, il Saggiatore, Milano 1968
e di H. MCALEAVY, Storia della Cina moderna, Rizzoli, Milano 1974. Il racconto
della lunga marcia da parte di uno dei protagonisti si legge in CHU TEH, La lunga
marcia a cura di A. Smedley, Editori Riuniti, Roma 1971. Interessante il noto lavoro di
E. SNOW, Stella rossa sulla Cina, Einaudi, Torino 1967. Fondamentale come fonte
storica: MAO TSE-TUNG, Discorsi inediti dal 1956 al 1971, a cura di S. Schram,
Mondadori, Milano 1975. Inoltre si consulti di J. CHESNEAUX, La Cina
contemporanea. Documenti dal 1895, Laterza, Bari 1964. Per la storia dei rapporti tra
Cina e URSS si consulti di K. MEHNERT, Pechino e Mosca, Vallecchi, Firenze 1964.
Per gli ultimi anni di Mao si consulti di A. CAVALLARI, La Cina dell'ultimo Mao,
Garzanti, Milano 1975 e di J. DAUBIER, Storia della rivoluzione culturale proletaria
in Cina, Jaca Book, Milano 1972. Si veda anche di W. HINTON, La guerra di cento
giorni. Rivoluzione culturale e studenti in Cina, Einaudi, Torino 1975; e di K.S.
KAROL, La seconda rivoluzione cinese, Mondadori, Milano 1974. Una sintesi interessante si deve a G. MELIS- G. SALVINI- E. SORMANI- H. WEBER, La Cina
dopo Mao, Laterza, Bari 1980.
Cap. 17 Il Terzo Mondo
In Africa la decolonizzazione fu più lenta perché sembravano mancare le condizioni
minime per l'indipendenza: tuttavia anche là molti africani dettero vita a movimenti di
liberazione.
L'Africa è un immenso continente con una varietà di gruppi etnici e di lingue, di
religioni e di condizioni culturali almeno pari a quella degli altri continenti. C'è la
Repubblica Sudafricana in cui sono presenti alcune delle industrie più avanzate del
mondo accanto allo squallore del più odioso dei principi di discriminazione, il colore
della pelle. C'è l'Africa del nord islamica, uscita dall'orbita francese, e c'è l'Egitto che
può vantare una delle più antiche civiltà del mondo. C'è l'Africa che ha subito la
dominazione britannica e che, almeno al presente, sembra refrattaria alle ideologie.
Infine c'è l'Africa africana che il poeta e uomo politico César Senghor ha compendiato
nell'espressione "négritude".
Sono ancora molte le conseguenze della colonizzazione europea che ha spartito
arbitrariamente il continente secondo confini artificiali, senza alcuna preoccupazione
per i gruppi tribali e le più elementari condizioni che possono permettere lo sviluppo di
una serie di Stati.
Nel nuovo continente, invece, esistono due Americhe, l'America anglosassone (USA
e Canada) caratterizzata dalla massima potenza economica e politica; e l'America
latina, ancora alle prese con un incompleto sviluppo industriale, con il sottosviluppo
economico e sociale, con l'instabilità dei regimi politici.
L'America anglosassone appare allergica alle ideologie: pragmatica, dominata
dalla ricerca del successo, dal gigantismo economico, dall'efficienza della direzione
industriale. L'America latina, invece, pur in possesso di grandi ricchezze naturali,
sembra schiacciata dai potenti vicini di lingua inglese, divenuti oggetto di insofferenza
risentita, incapace di colmare il divario politico ed economico.
L'America latina è passata troppo rapidamente da una situazione di prevalenza
dell'attività agricola, con strutture produttive arcaiche, alla fase di richiesta dei servizi
del settore terziario, saltando la dura scuola rappresentata dallo sviluppo dell'attività
secondaria, l'industria. Ne sono derivati squilibri permanenti che mettono accanto
grattacieli e catapecchie, computer e analfabetismo, ricchezze da nababbi e
sottosviluppo.
17. 1 L'Africa ex britannica
Per chiarezza di esposizione esaminiamo qual era la situazione dell'Africa verso
l'inizio del XX secolo.
Le colonie africane Verso il 1914 la situazione dell'Africa appariva la seguente: erano
colonie britanniche l'Unione Sudafricana, le Rodesie, l'Uganda, il Kenya, una parte della
Somalia, il Sudan (in compartecipazione con l'Egitto), la Nigeria, la Costa d'Oro, la
Sierra Leone, la Gambia. Erano colonie francesi l'Algeria, la Tunisia, il protettorato del
Marocco, la Guinea, la Costa d'Avorio, il Dahomey, il Gabon, tutto il Sahara e l'Africa
equatoriale. Il Portogallo possedeva la Guinea portoghese, l'Angola e il Mozambico.
L'Italia possedeva l'Eritrea, la Somalia e la Libia. Il Belgio possedeva il Congo Belga.
La Spagna conservava il Rio de Oro e il Marocco spagnolo.
Gli Stati africani indipendenti Indipendenti erano solo l'Egitto, l'Etiopia e il piccolo
Stato di Liberia, fondato da circa 20.000 schiavi qui ritornati dalle piantagioni
americane nella prima metà del secolo XIX, a spese di società filantropiche per la
liberazione degli schiavi. Le divisioni territoriali avvenute nel continente furono in gran
parte artificiali, imposte dall'esterno senza tener conto delle unità tribali, delle migrazioni periodiche di popolazioni nomadi, senza preoccuparsi che quei territori potessero
divenire un giorno Stati liberi.
La decolonizzazione Tra il 1945 e il 1960 il processo di decolonizzazione divenne
impetuoso, favorito da numerosi fattori. Il principale era l'indebolimento degli Stati
europei che non potevano più permettersi di investire nelle colonie le somme di denaro
occorrenti per creare la gamma completa delle attrezzature richieste dallo sviluppo
civile (porti, dighe, aeroporti, strade, ferrovie ecc.).
La monocoltura In genere, si sviluppò un unico settore che offrisse reale profitto
(banane, arachidi, cacao, estrazioni minerarie...) un fatto che presenta l'inconveniente
della monocoltura, ossia la dipendenza dello Stato dai prezzi di un solo prodotto e,
quindi, dell'economia nazionale in balia dell'andamento capriccioso del mercato
mondiale. In secondo luogo, ci si rendeva conto che l'agricoltura moderna e l'industria
hanno bisogno di una costosa tecnologia e di esperti in grado di applicarla, e che col
passare del tempo era più conveniente affidare agli indigeni l'amministrazione dello
Stato, occupandosi unicamente dei settori remunerativi presenti in ogni Stato africano:
questa fase è stata definita neocolonialismo.
I conflitti tribali Ma non appena gli Stati africani ebbero l'indipendenza, iniziarono
scontri tribali all'interno di ognuno di essi, e guerre tra Stati diversi indotte dalle
ideologie politiche occidentali. L'esercito divenne ben presto la più importante funzione
dei nuovi Stati, subito impiegato a vantaggio dei gruppi etnici che riuscirono a
impadronirsene.
La Repubblica Sudafricana La situazione della Repubblica Sudafricana era la più
paradossale dell'intero continente. Questo paese possiede la più avanzata industria
mineraria per l’estrazione di oro e diamanti, cromo e manganese, carbone e ferro.
L'allevamento del bestiame è tra i più redditizi (bovini e ovini). Anche l'industria
manifatturiera è molto sviluppata. Ma se si esamina la situazione sociale compaiono le
ombre.
Discriminazione razziale Ci sono circa due milioni e mezzo di discendenti dai Boeri
che parlano l'afrikaans (sostanzialmente una lingua fiamminga con molte parole bantu)
e meno di due milioni di discendenti dai coloni britannici. Inoltre vi sono circa 750.000
indiani e meticci e, infine, circa venti milioni di negri, quasi tutti bantu. Sulla carta
d'identità, che valeva come passaporto interno, esisteva l'indicazione del gruppo etnico
di appartenenza, che determina la qualità dei diritti civili goduti: europeo, asiatico (a
eccezione dei giapponesi, qualificati come europei), meticcio e negro. Ma i paradossi
del Sudafrica non terminavano qui. Infatti il territorio è tanto grande che si potrebbero
formare due o tre Stati indipendenti, abitati da popolazioni omogenee, tuttavia i bianchi
non lo permisero perché avevano bisogno dei negri in qualità di manodopera.
Il regime di apartheid A partire dal 1948, gli Afrikaans presero atto della loro
maggioranza relativa, entrarono tutti nel Partito nazionalista imponendo ai bianchi
anglosassoni la loro guida che si concretò nell'uscita del Sudafrica dal Commonwealth e
nell'adottare le odiose leggi razziali dell'Apartheid. In primo luogo furono proibiti i
matrimoni tra razze diverse per non aumentare il numero dei meticci. Poi venero
separate le scuole, le abitazioni e perfino le città. Anche negli edifici pubblici e sui
mezzi di trasporto esisteva separazione razziale. I missionari che avevano aperto scuole
superiori per negri furono costretti ad andarsene, perché si voleva che i negri avessero
solo l'istruzione elementare. Per legge, chi si opponeva al regime di apartheid era
passibile di processo sotto accusa di comunismo. I giornali che si opponevano alla
discriminazione razziale potevano esser chiusi e i loro direttori imprigionati senza ricorrere a regolare processo. Interi quartieri di alcune città furono rasi al suolo perché
abitati da famiglie di negri come Sophiatown presso Johannesburg. Numerose
sommosse furono stroncate col ricorso alle armi, provocando centinaia di morti.
La creazione dei Bantustans Il governo sudafricano ha sempre sostenuto di impiegare
solo i mezzi necessari per la sopravvivenza fisica dei bianchi. Nel 1959, di fronte alla
crescente pressione dell'opinione pubblica internazionale, Hendrik Verwoerd, capo del
Partito nazionalista, propose la creazione di un certo numero di Stati autonomi chiamati
Bantustans ai margini del Sudafrica, ma a conti fatti furono create solo alcune riserve di
negri, prive di vitali risorse economiche: le uniche possibilità di lavoro rimanevano le
miniere e le industrie del Sudafrica.
Vorster primo ministro Nel 1966 Verwoerd fu ucciso in pieno Parlamento da un altro
deputato, che fu dichiarato pazzo e internato in manicomio. L'energico successore,
Johannes Voerster, si rese conto che il paese non poteva sfidare l'isolamento e la
riprovazione del resto del mondo. Se il Sudafrica non era compreso fuori del continente
africano, poteva però offrire i vantaggi della sua tecnologia avanzata agli Stati
dell'Africa nera incapaci di far fronte da soli ai problemi dello sviluppo del proprio
territorio. La fine del dominio portoghese in Angola e Mozambico, e l'invasione
dell'Angola da parte di truppe cubane finanziate dall'URSS, costrinse il Sudafrica ad
adottare misure militari contro i turbolenti vicini per impedire il contagio rivoluzionario
alla grande massa di negri che si trovano entro i suoi confini.
La Namibia Esisteva inoltre il problema della Namibia, l'antica colonia tedesca
dell'Africa del sud-ovest che la Società delle Nazioni, al termine della Prima guerra
mondiale, aveva affidato in amministrazione fiduciaria all'Unione Sudafricana fino a
conseguire l'autogoverno. Dopo la Seconda guerra mondiale la Namibia fu considerata
dal Sudafrica come la sua quinta provincia e nel 1948 fu introdotto il regime di
apartheid. Attualmente la Namibia ha una costituzione che la rende apparentemente
indipendente dal Sudafrica ed è in preda alla guerriglia dei movimenti indipendentisti,
duramente combattuti dal superiore armamento dell'esercito sudafricano.
Verso la parità dei diritti civili Nel 1978 Voerster si dimise dalla carica di primo
ministro e gli successe P. W. Botha che, a Londra, fece iniziare colloqui coi leader
dell’etnia zulu. Subito si formò un gruppo ultraconservatore che, tuttavia, non riuscì a
impedire il processo di distensione tra le varie componenti etniche del Sudafrica. Infatti,
meticci e indiani ricevettero i diritti politici, ma non gli Zulu il cui leader Nelson
Mandela fu bandito. Nel 1984 Botha divenne presidente del Sudafrica e il suo primo
atto politico fu la pace col Mozambico. I matrimoni misti furono dichiarati legali, ma
continuavano le sommosse e gli scioperi dei lavoratori negri, con arresto dei
sindacalisti. Nel 1986 il governo degli USA annunciò sanzioni economiche ai danni del
Sudafrica e il ritiro dei capitali investiti in quel paese. Nel 1988 Nelson Mandela fu
internato in un ospedale. Nel 1989 Botha ebbe un infarto e presidente della repubblica
divenne P. K. De Klerk. Nel 1990 fu tolto il bando al Partito del Congresso Africano
(ANC) di Nelson Mandela. Seguirono trattative tra bianchi e negri per far cessare
ribellioni e stato d’assedio e fu tolto il divieto di riunioni comuni tra appartenenti alle
varie razze, anche se proseguirono stragi e vendette. Nel 1991 il Parlamento abolì le
leggi che segregavano i negri in determinati quartieri delle città. Ufficialmente
l’apartheid cessò e fu proclamata un’amnistia. Nel 1992 la Comunità Europea revocò le
sanzioni economiche e de Klerk poté continuare la sua politica di riforme. Nel 1993,
Mandela e de Klerk ricevettero il premio Nobel per la pace e anche l’ONU revocò le
sanzioni economiche. I Bantustans furono aboliti e i loro abitanti ricevettero la
cittadinanza sudafricana. Infine anche gli USA revocarono le sanzioni economiche. La
nuova costituzione prevede uguali diritti per bianchi e neri. Nel 1994, come era
prevedibile, il partito del congresso africano ebbe la maggioranza alle elezioni e
Mandela è divenuto presidente della repubblica Sudafricana.
Le altre ex colonie britanniche Sono state esaminate alcune caratteristiche del dominio
britannico che gli storici dell'età vittoriana amavano paragonare ai sistemi di governo
dell'antica Roma. Il governo britannico non si proponeva l'integrazione degli indigeni:
preferiva prendere accordi coi capi tribù mantenendoli nella loro posizione e facendo
intravedere i vantaggi dell'alleanza con l'Impero britannico. In colonia, il più modesto
dei funzionari si considerava molto più in alto del maggiore capo locale, che si sforzava
di assumere un poco alla volta i modi di fare, le idee, i costumi dei dominatori. Proprio
perché i governi britannici non avevano avuto di mira l'integrazione, quando concessero
l'indipendenza, il loro pragmatismo, i modelli amministrativi e spesso la lingua inglese
rimasero l'unico cemento tra gruppi etnici molto diversi tra loro e che dovevano formare
un unico Stato.
Nigeria Tutto ciò si può osservare nel più importante degli Stati africani, la Nigeria, che
avendo circa 80 milioni di abitanti, risulta il più popoloso del continente. La lingua
ufficiale è l'inglese, perché la popolazione parla circa 250 dialetti.
I tre principali gruppi etnici Il nord del paese è abitato dal gruppo etnico degli Hausa,
di religione islamica, in possesso di una struttura politica abbastanza evoluta. Il dominio
britannico su quella regione fu indiretto fino al 1914, e solo a partire da quell'anno la
regione fu unita al sud, abitato dagli Yoruba a ovest del fiume Niger, e a est dagli Ibo.
Questi due ultimi gruppi sono in maggioranza cristiani.
Predominio degli Hausa Poiché la Gran Bretagna aveva creato questo complesso di
popoli, ad essa toccava scegliere la forma di costituzione politica più adatta per
amministrare il nuovo Stato proclamato indipendente nel 1960 con una costituzione
federale che prevedeva larghe autonomie. Subito dopo le prime elezioni fu chiaro che il
gruppo etnico degli Hausa, il più numeroso e di religione islamica, aveva votato in
modo compatto per lo stesso partito i cui membri avevano assunto tutte le cariche
politiche. Verso il 1966 il massacro di numerosi Ibo e i torbidi che seguirono indussero
alcuni ufficiali Hausa, guidati dal generale Yakubu Gowon, a effettuare un colpo di
stato e ad assumere il potere.
Secessione degli Ibo In conseguenza il comandante della regione orientale Ibo, il
colonnello Chukwerneka Ojukwu dichiarò la secessione della regione Ibo, che assunse
il nome di Biafra. Ne scaturì una guerra civile. Gowon, appoggiato dall'URSS e dalla
Gran Bretagna, non poteva accettare la secessione della provincia più ricca di petrolio
mentre, al contrario, la Francia appoggiava il Biafra nella speranza di acquistare a
condizioni di favore il petrolio biafrano. Nel 1968 il mondo rimase sgomento
nell'apprendere che la carestia provocava la morte per fame di migliaia di persone al
giorno nel Biafra che, essendo circondato da ogni parte, non poteva ricevere gli aiuti
internazionali abbastanza prontamente raccolti. L'inutile resistenza degli Ibo durò fino al
1970 quando le truppe biafrane si arresero ai vincitori. Ojukwu fuggì nella Costa
d'Avorio e la regione Ibo fu smembrata in tre nuove province.
Il petrolio nigeriano A partire dal 1973 il prezzo del petrolio salì in modo vertiginoso e
anche in Nigeria entrò una grande massa di denaro che tuttavia finì nelle mani del
gruppo dirigente senza risolvere i gravi problemi del paese. Nel 1975 il governo militare
di Gowon fu rovesciato da un altro gruppo di militari guidato dal generale Murtale
Muhammed che, appena un anno dopo, fu ucciso nel corso di una nuova sollevazione
militare che tuttavia fallì l'obiettivo di prendere il potere. Un amico di Muhammed, il
generale Olusegun Obasanjo lo sostituì, promettendo libere elezioni per il 1979. Il 1°
ottobre 1979 fu eletto il nuovo presidente Alhaji Shehu Shagari che promulgò una
nuova costituzione modellata su quella americana, più adatta a uno Stato come la
Nigeria. La crisi economica mondiale si abbatté anche sulla Nigeria. Infatti, dopo la
quadruplicazione del prezzo del petrolio avvenuta tra il 1973 e il 1975, i prezzi
diminuirono, con gravi effetti per un'economia fragile come quella nigeriana il cui
governo, alla fine del 1982, espulse, nel giro di pochi giorni, tutti i lavoratori stranieri
affluiti dagli Stati confinanti per far fortuna.
L’esercito nigeriano
In Nigeria il potere è nelle mani dei militari, perché solo
l’esercito fornisce ai suoi capi i principi dell’organizzazione e della pianificazione, ma
anche in questo paese il fondamentalismo islamico cerca di introdurre la legge coranica
che presenta aspetti inaccettabili alle province meridionali e orientali del grande paese,
inducendo altri militari a tentare, a loro volta il colpo di Stato. Come segno di speranza
nel futuro si può ricordare che nella città nigeriana di Abuja, nel 1991, i capi dei
principali Stati africani hanno siglato un documento che prevede per il 2025 la
creazione della Comunità Economica Africana.
Kenya Il caso del Kenya è assai diverso. Alla fine del secolo XIX numerosi agricoltori
bianchi si erano stanziati nella salubre zona dell'altopiano a nord di Nairobi,
promovendo razionali coltivazioni di tè e caffè. Dal 1920 la Colonia e Protettorato del
Kenya ebbe l'autogoverno e un Consiglio legislativo eletto solo dai bianchi che erano in
numero di circa 60.000. I circa sei milioni di africani e i 170.000 indiani non ebbero
loro rappresentanti fino al 1944. Dopo la Seconda guerra mondiale, il risentimento dei
negri, specialmente quelli appartenenti alla tribù dei Kikuyu, esplose con violenza
essendo stati danneggiati dall'esproprio di terra da parte dei bianchi. Si formò un gruppo
terroristico, tra il 1952 e il 1956, denominato Mau Mau, che si proponeva l'uccisione dei
coloni bianchi e dei negri che collaborassero con loro.
Jomo Kenyatta I Kikuyu trovarono in Jomo Kenyatta una guida esperta dal punto di
vista politico, perché aveva trascorso lunghi periodi in Gran Bretagna alla guida del
movimento di rivendicazione dei diritti Kikuyu. Ritornato in Kenya alla fine della
Seconda guerra mondiale, la sua crescente influenza sui negri lo rese sospetto agli
agricoltori bianchi, i quali lo accusarono di guidare la lotta dei Mau Mau, facendolo
condannare al carcere. Nel 1956 i terroristi Mau Mau furono debellati, ma il potere dei
bianchi aveva i giorni contati. Nel 1959 Kenyatta fu scarcerato e confinato in un lontano
villaggio. In quegli anni si erano formati due partiti: il KANU (Unione nazionale per il
Kenia africano) e il KADU (Unione democratica per il Kenya africano) nel quale
confluirono le tribù meno numerose.
Governo interrazziale Nel 1960 la Gran Bretagna iniziò l'esperimento di un governo
nel quale dovevano intervenire tutte le razze e tribù presenti in Kenya. Kenyatta fu
liberato e partecipò alla conferenza di Londra per decidere il futuro del paese. Nel 1963
il Kenya acquistò l’indipendenza con Kenyatta come primo ministro e poi presidente
della repubblica fino alla morte avvenuta nel 1978. Nel corso di quegli anni il Kenya apparve un paese stabile, senza eccessivi conflitti interni, orientato verso il sistema
politico occidentale. Anche per questo motivo in Kenya è stato investito molto denaro
straniero che ha favorito la trasformazione industriale e il commercio. Il paese fu
raggiunto da un flusso turistico alla ricerca del fascino africano, ma che desidera le
comodità degli alberghi di lusso.
Difficoltà del Kenya Anche in Kenya, dopo la morte di Jomo Keniatta, c’è stata
qualche insurrezione militare su base tribale. Nel 1992 ci sono state libere elezioni per
la carica di presidente della repubblica con la presenza di molti partiti. Risultò eletto
Daniel Arap Moi del partito KANU, che nel 1994 presentò un pacchetto di riforme per
incoraggiare investimenti stranieri nel paese, ma già l’anno dopo esplosero opposizioni
per chiedere il rispetto dei diritti umani, un segno in più delle difficili condizioni in cui
versa il Kenya non appena si tenta di razionalizzare la politica interna.
Tanzania La Tanzania nacque dall'unione del Tanganika, ex colonia tedesca passata al
termine della Prima guerra mondiale alla Gran Bretagna, col sultanato di Zanzibar,
l'isola delle spezie dell'Oceano Indiano. Il leader locale Julius Nyerere non volle seguire
la strada seguita dal Kenya. Fin dal 1967 volle che lo sviluppo del suo paese avvenisse
nel pieno rispetto dell'antica tradizione del villaggio contadino autosufficiente al quale
lo Stato offre solo alcuni elementari servizi sociali in cambio delle eccedenze agricole e
artigianali.
L'esperimento di Nyerere Si può definire questo sistema come "socialismo africano",
a patto di non confonderlo coi modelli fortemente ideologizzati dei paesi dell'est
europeo. Nyerere immagina un paese guidato da contadini e operai, nel quale non si
formi una classe politica di gusti occidentali preoccupata del profitto personale, prima di
aver risolto i problemi della sopravvivenza dei tanzaniani. La Tanzania è un paese
povero se paragonato alla Nigeria o al Kenya, ma forse ha imboccato una via di
sviluppo meno traumatica e conflittuale.
La caduta di Nyerere
Nel 1979, la Tanzania aiutò militarmente il Fronte di
Liberazione Ugandese per liberare quel paese dalla folle dittatura di Idi Amin. L’anno
seguente in Uganda ci furono le prime elezioni libere, dopo diciotto anni, che portarono
alla presidenza di Obote. Nel 1985 la presidenza della Tanzania fu assunta da Alì
Hassan Mwinyi a capo del Partito Rivoluzionario Tanzaniano, che solamente nel 1992
accettò di introdurre nel paese il sistema democratico con vari partiti.
Zimbabwe, Zambia, Malawi Tra la Tanzania e il Sudafrica ci sono tre Stati che al
tempo della dominazione britannica si chiamavano Rodesia del Sud, Rodesia del Nord e
Niassa, mentre ora hanno mutato denominazione chiamandosi rispettivamente
Zimbabwe, Zambia e Malawi. Nel 1953 il governo della Gran Bretagna aveva proposto
la creazione di una Confederazione dell'Africa Centrale (CAF) comprendente i tre paesi
e organizzata come uno Stato multirazziale, ossia senza regime di apartheid come in
Sudafrica. La situazione della Rodesia del Sud, tuttavia, appariva molto più simile a
quella del Sudafrica: infatti il 5% della popolazione bianca possedeva due terzi di tutta
la terra coltivata e i negri lavoravano nelle aziende possedute dai bianchi durante il
giorno, mentre la sera dovevano andare a dormire in riserve a loro destinate. Prima che
la situazione sboccasse nella guerra civile il governo britannico decise di porre termine
alla Confederazione dell'Africa centrale, di offrire l'indipendenza alla Rodesia del Nord
che assunse il più antico nome di Zambia e al Niassa che riprese il nome di Malawi.
Le vicende della Rodesia del Sud Il governo dei bianchi al potere nella Rodesia del
Sud volle l'indipendenza dal governo britannico, che la promise a patto di sapere
quando sarebbe avvenuta l'integrazione dei negri nel governo del paese. Jan Smith, un
ex pilota di aerei, si presentò alle elezioni del 1965 mettendosi a capo di un Fronte
rodesiano di soli bianchi e poco dopo, in pieno contrasto col governo britannico,
procedette a una dichiarazione unilaterale d'indipendenza. Il governo britannico,
presieduto dal laburista Harold Wilson, non riconobbe come valida la dichiarazione,
troncò ogni commercio con la Rodesia del Sud e chiese all'ONU di applicare le sanzioni
economiche previste in caso di violazione della pace e dei diritti civili. Le sanzioni non
ebbero alcun effetto perché la Rodesia del Sud ricevette aiuti dal Sudafrica e poté
esportare i suoi prodotti attraverso il Mozambico che allora era ancora sotto il dominio
del Portogallo. Nel 1966 ci fu un incontro tra Jan Smith e Wilson, ma gli accordi furono
sconfessati dal governo di Jan Smith un volta tornato a Salisbury. Nel 1970 la Rodesia
del Sud si proclamò repubblica indipendente dal Commonwealth e ancora una volta il
governo britannico si oppose a quella unilaterale decisione. Nel frattempo il paese aveva
sviluppato le sue industrie, diversificandole al punto di poter inviare anche sul mercato
britannico molti prodotti rodesiani nonostante il perdurare delle sanzioni. Jan Smith
sembrava aver trionfato contro tutti: l'industria prosperava, i leader politici negri erano
in prigione, le compagnie petrolifere fornivano il petrolio di cui la Rodesia aveva
bisogno, i paesi vicini permettevano il transito delle sue merci. Ma la situazione delle
colonie portoghesi di Angola e Mozambico stava precipitando.
Crolla l'impero portoghese in Africa In Angola operava la guerriglia dell'UNITA
(Unione Nazionale per l'Indipendenza dell'Angola), in Mozambico il FRELIMO (Fronte
di Liberazione del Mozambico), e in Portogallo si stava sfaldando il regime dittatoriale
di Gaetano per iniziativa dei generali che disperavano di poter trionfare sulla guerriglia
africana. Le due colonie portoghesi ebbero perciò l'indipendenza nel 1975 e per prima
cosa chiusero le loro frontiere al passaggio delle merci per la Rodesia del Sud. L'unica
via d'uscita per Jan Smith era di accentuare la dipendenza del suo paese dal Sudafrica,
facendo costruire una ferrovia verso quel paese, che tuttavia temeva l'estendersi della
guerriglia sul suo territorio, se perdurava la guerriglia in Rodesia.
La Rodesia assume il nome di Zimbabwe Nel 1976 Jan Smith, nel corso di una
trasmissione radiofonica, affermò di accettare il principio della parità dei diritti tra
bianchi e negri. Alle elezioni del 1979 Abel Murozewa risultò vincitore, ma i bianchi si
affrettarono a dichiarare falsi i risultati elettorali. Alla conferenza di Lukasa in Zambia,
nell'agosto 1979, fu deciso di convocare a Londra una conferenza costituzionale con la
presenza di tutti i leader rodesiani. In quella occasione la Rodesia riprese il suo antico
nome di Zimbabwe. In attesa delle elezioni, celebrate nel febbraio 1980, l'ordine
pubblico venne tenuto dai soldati britannici. Le elezioni furono vinte da Robert Mugabe
del Fronte patriottico, un leader moderato che ha retto bene le sorti del nuovo Stato.
17. 2 L'Africa di lingua francese
Come già accennato, i problemi principali di ogni Stato africano che arriva
all'indipendenza sono l'assenza di esperti per guidare il governo e l'industria, e il fatto
che assumono il potere i capi delle tribù più importanti, con i successivi conflitti tribali.
Poi ci sono i colonizzatori bianchi, rimasti dopo l'indipendenza, che tendono a far pesare
la loro indispensabile capacità professionale, provocando in qualche caso secessioni.
Tutti questi fattori entrarono in gioco subito dopo l'indipendenza del Congo Belga, un
enorme paese posto al centro dell'Africa le cui vicende potremmo considerare
esemplari.
Congo Belga Verso il 1880 il Congo Belga era il possesso personale di Leopoldo I del
Belgio, come dono delle grandi potenze al presidente della Società per le Esplorazioni
Geografiche, in realtà l'espediente per impedire che una grande potenza potesse
occupare quel territorio. Nel 1908 il Congo fu ereditato dal Belgio che ne fece una
colonia secondo un modello di vecchio stile, ossia amministrato con sistemi
paternalistici che non permisero di sperimentare metodi efficaci per avviare il paese
all'indipendenza e all'autogoverno.
Incidenti a Leopoldville Verso il 1960 anche nel Congo ci furono tumulti: a
Leopoldville (ora Kinshasa) ci furono 49 persone uccise in un conflitto con la polizia e
numerosi feriti. Il governo belga, nel timore che la sua permanenza nel Congo
comportasse sacrifici di uomini e di denaro eccessivi, fece una mossa a sorpresa e
convocò a Ostenda i capi dei vari movimenti congolesi, annunciando la decisione di
concedere l'indipendenza allo scadere di sei mesi. La proposta fu accettata e così un
immenso paese di quasi due milioni e mezzo di chilometri quadrati, con circa 26 milioni
di abitanti si avviò all'indipendenza. Mancavano medici e tecnici africani; gli europei
erano tutti concentrati nelle province meridionali del Katanga e dello Sheba in cui sono
localizzate grandi miniere di rame e di uranio, di diamanti e di cobalto che nessun
africano era in grado di sfruttare e di commerciare.
Lumumba Il primo ministro Patrice Lumumba, a capo del Movimento del Congresso
Nazionale riuscì ad avere la meglio sui suoi concorrenti come Moise Tchombe che era a
capo del Katanga e che operò la secessione di quella provincia, appoggiato dall'Union
Minière belga. Lumumba si rivolse all'ONU per ottenere truppe che mantenessero
l'unione dello Stato. Il segretario generale dell'ONU Dag Hammarskiöld compì
numerose missioni nella regione, finché morì in un incidente aereo. Risultati vani i
tentativi dell'ONU, Lumumba chiese aiuto militare all'URSS che prontamente accettò,
inviando istruttori ed armi.
La secessione del Katanga La guerra che scoppiò tra il Congo e il Katanga finì male
per il governo centrale di Lumumba che fu rovesciato dal capo di stato maggiore, il
generale Sese Seko Mobutu, il quale si affrettò a cacciare i russi dal paese e a consegnare Lumumba al suo nemico Tchombe che lo fece condannare a morte. Mobutu
riuscì nel 1964 a riprendere il controllo del Katanga: Tchombe fuggì in Spagna, ma più
tardi, con un atto di pirateria aerea, fu catturato dagli algerini e imprigionato come
traditore del nazionalismo africano e infine ucciso in circostanze misteriose nel 1969.
Da allora Mobutu fu il capo incontrastato dello Zaire (il nuovo nome del Congo), perché
resistette a tutti i tentativi compiuti per rovesciarlo, in particolare quello filocomunista
sferrato dall'Angola nel 1975, che per un certo tempo riuscì a bloccare la ferrovia
essenziale per le esportazioni di rame. Nel 1976 furono perforati numerosi pozzi di
petrolio.
La fine del potere di Mobutu Nel 1991, Mobutu, nel tentativo di stroncare la
guerriglia scatenata dagli oppositori, introdusse un sistema politico con vari partiti e
offrì la carica di primo ministro al suo oppositore Etienne Tschisehedi, ma nel 1993 la
ribellione militare esplose anche nella capitale. Primo ministro divenne Faustin
Birindwe. Nel 1996 lo Zaïre accusò lo Stato del Ruanda di organizzare la guerriglia
contro Mobutu e fu deciso di respingere i rifugiati Hutu. Costoro trovarono un capo
deciso in Lawrence Cabila per guidare la guerra contro Mobutu la cui vita volgeva al
termine. Nel 1997 i regime di Mobutu fu rovesciato definitivamente. Consta che il
patrimonio privato della famiglia Mobutu equivale al debito pubblico dello Zaïre. In
seguito anche Cabila è stato assassinato e il potere è stato assunto dal figlio che per
prima cosa ha deciso di chiamare il suo paese Congo.
17. 3 L'Africa islamica
L'Africa mediterranea, dall'Egitto al Marocco, da sempre ha fatto parte di sistemi
politici o europei o asiatici. La fascia desertica del Sahara la divide dall'Africa nera
equatoriale.
Le principali vicende dell'Africa del nord Dall'inizio del VII secolo, a seguito della
conquista araba, tutto il Nordafrica si è islamizzato e la Chiesa cattolica è pressoché
scomparsa da un territorio che al tempo di sant'Agostino conosceva almeno 150 diocesi.
Nel secolo XVI il Nordafrica fu conquistato dai turchi, anch'essi di religione islamica.
Col declino dell'impero turco, a partire dall'inizio del secolo XIX, l'Egitto si rese
pressoché indipendente; l'Algeria fu occupata a partire dal 1828, e nel 1881 anche la
Tunisia fu occupata dalla Francia che nel 1910 estese il suo protettorato anche sul
Marocco. L'Italia conquistò la Libia nel 1912 e poiché in Egitto gli inglesi esercitavano
una sorta di protettorato, si può dire che fino al termine della Seconda guerra mondiale
le potenze europee hanno avuto il predominio nel Nordafrica.
Il nazionalismo islamico Nel secondo dopoguerra il nazionalismo arabo si è diffuso
anche nell'Africa del nord. Le potenze coloniali dovettero abbandonare nel giro di
qualche anno i territori occupati e se l'operazione non fu particolarmente traumatica ciò
si dove al fatto che le economie reciproche non erano integrate e non c'era un numero
rilevante di coloni europei stabilmente impiantati su quei territori.
Algeria Un caso a sé stante era quello dell'Algeria, assurta al rango di territorio
metropolitano (Francia d'Oltremare) con la presenza di tre milioni di francesi nati in
Algeria. Essi avevano impiantato l'agricoltura razionale, avevano costruito città nuove e
aperto le prime industrie. La Francia non ha praticato regimi di apartheid e perciò gli
algerini islamici avevano parità di diritti civili coi francesi. Tuttavia, a partire dal 1945
iniziò a svilupparsi un movimento indipendentista che ben presto sfociò in guerra
aperta.
Il Fronte di Liberazione Nazionale I ribelli formarono un Fronte di Liberazione
Nazionale guidato da Ben Bella, il quale adottò i metodi della lotta partigiana, come era
avvenuto nella Francia occupata dai nazisti. Il governo francese fu obbligato a distaccare quasi mezzo milione di soldati in Algeria, con spese ingenti e numerosi morti. Ci
furono rappresaglie e crudeltà da una parte e dall'altra sul suolo algerino, e una crisi
politica profonda in Francia che affrettò la fine della Quarta repubblica.
Organizzazione dell'Armata Segreta Infatti, i coloni francesi in Algeria chiedevano
una politica spietata nei confronti degli algerini, confluendo nel gruppo ultras
dell'Organizzazione dell'Armata Segreta (OAS), mentre il governo si trovava nella
necessità di patteggiare coi ribelli. Gli ultras dell'OAS ebbero la meglio in Francia e
riportarono al potere Charles de Gaulle, che poco dopo la fine della Seconda guerra
mondiale si era ritirato a vita privata, ma che conservava un enorme prestigio. De
Gaulle pose come condizione del suo rientro in politica un profondo mutamento
costituzionale, ossia la creazione di una repubblica presidenziale con un mandato di
sette anni. Tuttavia, appena arrivato al potere, egli comprese che per l'Algeria non c'era
più nulla da fare e trattò col FLN le condizioni della partenza dei francesi. La reazione
dell'OAS fu violenta, fino al punto di organizzare un attentato contro de Gaulle, il quale,
di fronte al pericolo di ribellioni nell'esercito, chiese e ottenne l'assoluta fedeltà dei
generali, poi fece imprigionare i principali oppositori e finalmente, nel marzo 1962,
concluse l'evacuazione dei coloni dall'Algeria.
Guerra civile in Algeria Dopo un lungo periodo di relativa tranquillità interna, nel
1991 il fondamentalista Fronte di Salvezza islamica vinse di stretta misura le elezioni,
ma già l’anno dopo il risultato delle elezioni fu annullato e il potere fu assunto da
cinque membri del Supremo Consiglio di Stato guidato da Muhammed Budiaf. Esplose
la guerra civile e Budiaf fu assassinato. Il suo posto fu assunto da Alì Khafi. In seguito
furono compiuti tentativi per giungere ad accordi tra gli oppositori, peraltro falliti.
Appare chiaro che la posta in gioco è il controllo delle enormi ricchezze minerarie del
paese, petrolio e gas naturale.
Indipendenza di Marocco e Tunisia In Tunisia e in Marocco la popolazione francese
stabilmente impiantata era poco numerosa per cui, fin dal 1956, a quei paesi fu concessa
l'indipendenza senza eccessivi traumi.
Marocco Più tranquille le vicende del Marocco guidato da una monarchia moderata. Il
paese conosce un grande sviluppo del settore turistico. I suoi prodotti agricoli e
artigianali hanno ricevuto buona accoglienza nella Comunità Europea e perciò il
Marocco potrebbe in futuro chiedere l’associazione all’Unione Europea.
Tunisia Subito dopo l’indipendenza, fu deposto il Bey di Tunisi e lo Stato assunse la
forma di repubblica. Nel 1963 il francesi abbandonarono la base militare di Biserta.
Sotto il regime di Bourghiba il paese conobbe una certa stabilità. Solamente nel 1978 ci
fu un periodo di gravi scioperi e poi nel 1980 una acuta tensione per problemi di confine
con la Libia. Nel 1987 il presidente Bourghiba fu rovesciato dal potere. Anche questo
paese possiede attrattive turistiche che gli permettono l’ingresso di valuta pregiata,
anche se nel complesso la situazione economica non appare brillante.
Libia La sconfitta italiana nella Seconda guerra mondiale condusse all'indipendenza
della Libia fin dal 1951, sotto la monarchia senussita di re Idris. Nel 1969 il colonnello
Muhammed el Gheddafi rovesciò la monarchia senussita e instaurò il proprio regime a
partito unico. Da allora la Libia ha indirizzato le immense risorse derivanti dal petrolio
verso una politica fortemente aggressiva nei confronti dell'Occidente, procurando aiuti
militari e finanziamenti ai movimenti nazionalisti islamici e ai gruppi terroristici sorti
all'interno dei paesi occidentali.
Le avventure di Gheddafi Fin dal 1970 la gran Bretagna ritirò le sue truppe dalla
Libia. Nel 1986, in seguito al coinvolgimento di terroristi libici in alcuni attentati, la
Libia subì un attacco aereo dagli USA. Più tardi, nel 1992, gli USA decisero sanzioni
economiche a carico della Libia colpevole di non aver concesso l’estradizione di
terroristi che avevano fatto esplodere in volo un aereo carico di soldati americani. Un
tentativo di espansione ai danni del Ciad si concluse con un grave scacco militare libico
che ha costretto Gheddafi a ridurre le sue pretese. Da alcuni anni la Libia ha smesso un
certo protagonismo e ha imboccato la via di un più ordinato sviluppo economico. Tra
l’altro ha potenziato le sue attività turistiche cercando di apparire un centro finanziario
affidabile. Il governo di Gheddafi ha accettato di aprire i suoi arsenali a ispezioni che
controllino la presenza di armi chimiche e batteriologice.
17. 4 L'Africa africana
Ai margini della grande politica rimangono gli altri Stati africani nei quali non vi
siano grandi riserve minerarie o petrolifere. Sono Stati poveri, specie quelli compresi
nella fascia semiarida del Sahel, dove da qualche anno non piove a sufficienza per
portare a maturazione i raccolti e dove la gente spesso muore di fame. In quasi tutti gli
Stati africani opera la guerriglia su base tribale e su base ideologica, sostenuta
dall'abbondanza di armi che giungono da ogni parte del mondo. In genere, l'agricoltura
africana è primordiale, ma basterebbe un poco di pace e di addestramento pratico per
ottenere raccolti più che sufficienti per la popolazione africana che peraltro cresce in
modo tumultuoso. Le ricchezze minerarie del continente sono state appena sfiorate: se i
modelli di sviluppo terranno conto delle esperienze fatte nelle altre parti del mondo, si
potranno evitare gli errori compiuti altrove, avviando modelli di sviluppo più umani.
Tutto ciò sarà possibile solo se gli africani sapranno trovare in se stessi la forza per
rifiutare i modelli sperimentati in altre parti del mondo e che hanno mostrato i loro
limiti.
17. 5 Il Brasile
La terza grande area di incompleto sviluppo è l'America latina dove si trova il quinto
paese al mondo per estensione, il Brasile, l'unico di quel continente colonizzato dai
portoghesi. La storia economica del Brasile è caratterizzata da periodi di esplosione
della richiesta di un determinato prodotto, che polarizza l'attenzione mondiale su di
esso, ma senza lasciare stabili strutture industriali.
Il periodo della canna da zucchero Il primo di quei cicli iniziò nella regione del nordovest, attualmente la più povera, posta nella fascia tropicale calda e umida adatta alla
coltivazione della canna da zucchero. Gli olandesi impiantarono alla fine del XVI
secolo alcune raffinerie che innescarono un fiorente commercio, ma poi furono cacciati
e trasferirono la loro attività in alcune isole delle Antille, in particolare Curaçao. I
portoghesi non ressero alla concorrenza olandese e nel corso del XVII secolo la
produzione di zucchero brasiliano decadde.
Il periodo dell'oro All'inizio del secolo XVIII fu scoperto l'oro nella regione di Minas
Gerais e quindi ci fu la corsa all'oro, ma chi ebbe sostanziali vantaggi fu solo il
commercio britannico che riforniva i cercatori di tutto il resto in cambio dell'oro trovato.
Il periodo del caffè Sempre nel XVIII secolo iniziò l'ascesa del caffè che segnò il
trionfo dello Stato di San Paolo, una regione ricca di terra rossa su cui prospera quella
pianta e ben presto il Brasile divenne il massimo produttore mondiale di caffè. La
mancanza di strutture per la commercializzazione di quel prodotto non si tradusse in
valore aggiunto alla materia prima e perciò i profitti andarono a una ristretta cerchia di
"facenderos" renitenti all'idea dell'investimento produttivo e del rischio economico.
Il periodo della gomma Quando in Europa e negli USA si sviluppò l'industria
automobilistica, la gomma per pneumatici divenne indispensabile. La pianta la cui linfa
produce il caucciù -la materia base che unita al carbone permette di ottenere un
materiale resistente all'attrito- si trovava quasi esclusivamente nell'Amazzonia,
l'immensa foresta pluviale del Brasile centrale. Anche in questo caso si praticò la
raccolta con metodi primitivi, senza alcun tentativo di coltivazione e sfruttamento
razionale della pianta. La raccolta dette comunque altissimi profitti, spesi allegramente
nella città di Manaus, sorta nel cuore dell'Amazzonia, ma poi furono i francesi e gli
inglesi a far sorgere piantagioni razionali in Indocina e nella penisola di Malacca: la
gomma brasiliana perdette la possibilità di assicurarsi un favoloso monopolio e alla fine
risultò più costosa di quella asiatica.
Il periodo del quarzo Altri boom minori sono rappresentati dalle pietre preziose, dal
legname e dai cristalli di quarzo richiesti dall'industria elettronica, ma sempre è mancata
la possibilità di trasformare le materie prime in prodotti lavorati. I motivi vanno cercati
nella situazione sociale e politica dell'immenso paese. Ancora adesso un territorio
grande almeno 15 volte l'Italia è abitato da una popolazione poco più che doppia di
quella italiana. Gli analfabeti costituiscono almeno il 50% della popolazione e gran
parte della tecnologia viene acquistata all'estero.
Difficoltà per l'ordine e il progresso Nel 1889 fu proclamata la repubblica: la bandiera
ebbe un motto "ordine e progresso" rimasto a lungo lettera morta. Il Brasile continuava
a esser governato dalla ristretta oligarchia dei grandi latifondisti e dai capi dell'esercito
ad essi collegati per parentela, stile di vita, concezioni culturali.
La fondazione di Brasilia Un'altra caratteristica del Brasile è la sua popolazione che si
ammassa quasi tutta sulla costa atlantica in grandi città, come Belo Horizonte, Rio de
Janeiro e, in particolare, San Paolo che ha superato i 18 milioni di abitanti, molti dei
quali vivono in condizioni paurose. Uno dei capi di Stato del Brasile, Joscelino
Kubitschek, presidente tra il 1956 e il 1961, volle trasferire la capitale dalla costa
all'interno del paese e fu così creata Brasilia, nell'altopiano semiarido del Mato Grosso,
come simbolo della volontà di trasformazione del Brasile, stupenda perché ideata dai
più grandi architetti del XX secolo e secondo le tecnologie più avanzate, ma che stenta a
divenire il cuore pulsante del paese.
I militari al potere A partire dal 1964 il potere esecutivo è stato assunto dai generali
dell'esercito che hanno tentato di schiacciare, spesso in modo brutale, l'attività dei
dissidenti, vietando attività di partito, scioperi e altre manifestazioni dell'opposizione,
sempre in attesa di un "miracolo" economico che dovrebbe risolvere per incanto i
problemi dell'immenso paese. In realtà la via dello sviluppo di un paese potenzialmente
ricco come il Brasile può passare solamente attraverso la formazione e istruzione
professionale, perché solo il lavoro umano aggiunge valore alle materie prime. In
secondo luogo occorre che la politica del grande vicino nordamericano cessi di oscillare
tra proposte di buon vicinato e neocolonialismo economico esercitato dalle società
multinazionali, permettendo la via di un ordinato sviluppo, secondo le caratteristiche
proprie di ogni paese latino-americano.
Corruzione
L’agitazione dei militari cominciò nel 1954 quando un gruppo di
ventisette generali, mediante un Manifesto alla nazione chiese all’anziano presidente
Getulio Vargas di dimettersi. Seguì un’inchiesta che rivelò una rete di corruzione.
Vargas preferì il suicidio alle dimissioni. Il potere fu assunto da Joscelino Kubitschek
nel 1956. Questi decise il trasferimento della sede del governo nella nuova città di
Brasilia, costruita ex novo nel Mato Grosso, nel tentativo di tagliare in radice la rete di
affarismo poco rispettoso della volontà popolare.
Inflazione Nel 1960 fu eletto presidente del Brasile Janio Quadros con l’apporto del
partito conservatore, preoccupato dell’inflazione e della crescita del debito pubblico.
Quadros, tuttavia, dovette affrontare l’ostilità della maggioranza socialdemocratica in
parlamento che bocciò la politica agraria e fiscale da lui proposta. Nel 1961 Quadros fu
costretto alle dimissioni facendo largo al vicepresidente João Goulart del partito
socialdemocratico che, a sua volta, dovette affrontare la crescente ostilità dei militari,
preoccupati dalla popolarità delle teorie marxiste che erano giunte al potere nell’isola di
Cuba con Fidel Castro e Che Guevara. Nel 1963 ci furono elezioni che restituirono al
presidente la pienezza dei poteri in aperta sfida ai militari che, come si è accennato, nel
1964 assunsero i pieni poteri col maresciallo Humberto Costelo Branco. Nel 1967 il
maresciallo Costa e Selva sospese a tempo indefinito il parlamento, iniziando un
governo mediante decreti legge. Nel 1979 il potere fu assunto dal generale João Baptista
Figuerado che scelse una politica di moderata apertura nei confronti delle pressioni
popolari che chiedevano il ritorno a elezioni democratiche. Solamente nel 1985
Tancredo Neves, candidato dell’opposizione alla dittatura militare, riuscì a vincere le
elezioni, ma morì ben presto, sostituito dal vicepresidente José Sarney, un liberale che
riuscì ad arrestare l’inflazione della moneta, ma già l’anno dopo il Brasile fu costretto a
sospendere il pagamento degli interessi sull’enorme debito pubblico accumulato con
l’estero. Nel 1988 fu assassinato l’ecologista “Chico” Mendes che si batteva per la
conservazione della foresta dell’Amazzonia opponendosi agli interessi degli agrari del
nord-est che solo dalla colonizzazione di quell’immenso territorio vedevano la
possibilità di dare sfogo alla pressione popolare. Le elezioni del 1990 dettero la
maggioranza assoluta ai partiti di destra favorendo la colonizzazione dell’Amazzonia.
Nel 1992 il presidente Collor de Mello, nonostante l’iniziale successo della sua politica
economica, fu costretto alle dimissioni in seguito a scandali di corruzione che sembrano
una costante della politica interna brasiliana. Anche il successivo presidente Cardoso fu
costretto a mettere da parte i suoi progetti volti a vincere la povertà, svalutando la
moneta e privatizzando la terra, provvedimenti che scatenarono scioperi e disordini. Nel
1996 anche le terre degli indigeni furono aperte alla colonizzazione.
17. 6 L'America ex spagnola
Il Cile, fino al 1970, era stato il più stabile dei paesi latino-americani. Le grandi
miniere di rame e di nitrati gli avevano assicurato uno sviluppo meno tumultuoso dei
suoi vicini. Anche il suo esercito non aveva una tradizione di "golpismo", ossia di
intervento nelle questioni civili e il regime democratico aveva dato buon prova di sé.
Il problema dell'inflazione Esisteva tuttavia anche in Cile il problema che affligge il
mondo fin dalla Prima guerra mondiale, l'inflazione. Se noi sommiamo il valore
derivante dall'agricoltura, dall'industria e dai servizi in un anno, otteniamo il prodotto
interno lordo di un certo paese. Se poi facciamo il conto delle spese di quello Stato e ci
accorgiamo che esse superano, per esempio, il 10% delle entrate, possiamo essere sicuri
che il costo della vita aumenterà in quel paese almeno del 10%, perché lo Stato non ha
altro modo per far fronte ai suoi debiti che stampare carta-moneta, la quale entra nel
circuito economico con effetto perverso. D'altra parte è molto difficile per ogni governo
far fronte alla richiesta di aumenti da parte dei lavoratori che si uniscono in sindacati e
in partiti politici onde far trionfare le loro esigenze: la soluzione più semplice a breve
termine è di cedere. Lo Stato è essenzialmente un mediatore di servizi sociali, ossia
dovrebbe distribuire con equità il prodotto interno lordo, ma al governo dello Stato c'è
sempre un particolare gruppo di persone esponenti di una corporazione di interessi che
mira in primo luogo a perpetuare il proprio potere rafforzandolo, anche mediante
relazioni internazionali che, per mantenersi, favoriscono la stabilità dei governi che le
hanno stipulate.
Il Cile di Allende Negli Stati di più antica democrazia i partiti si alternano al potere, ma
senza alterare le forme istituzionali. In Cile, nel 1970, vinse le elezioni una coalizione di
partiti di sinistra comprendente il partito socialista guidata da Salvador Allende, il
partito comunista e un movimento rivoluzionario, il MIR, che si ispirava alle idee di
Che Guevara, dapprima sostenitore e poi oppositore di Fidel Castro, esule da Cuba e
morto in Bolivia dove si era recato a guidare l'insurrezione armata contro il governo di
quel paese.
Nazionalizzazione dell'industria mineraria Subito Allende pose mano alle riforme
promesse nella campagna elettorale e nazionalizzò l'industria mineraria del rame e dei
nitrati. Subito dopo confiscò i latifondi e pose mano alla riforma agraria, condotta
peraltro in modo così confuso che gli stessi esperti la giudicarono affrettata e
inopportuna. L'inflazione verso il 1972 sorpassò il livello del 150% annuo e fece
scomparire dai negozi anche le cose più necessarie per vivere. Cominciarono a infittire
gli scioperi e le manifestazioni violente per le strade. Allende denunciò complotti
internazionali guidati dal governo degli USA, cercando di far leva sul nazionalismo
cileno e sui sindacati che erano ancora disposti a seguirlo. Per assicurarsi la fedeltà delle
forze armate, fece entrare nel governo alcuni dei generali più influenti, ma quella svolta
preoccupò il movimento rivoluzionario del MIR che occupò alcuni quartieri della
capitale Santiago e cominciò a distribuire la terra ai contadini, senza il consenso del
governo. Allende si trovava in una pericolosa situazione, criticato a destra e a sinistra,
dimostrando di essere più abile come dottrinario che come statista.
Conflitto per l'istruzione All'inizio del 1973 il governo di Allende volle nazionalizzare
l'istruzione, introducendo programmi scolastici che offendevano la coscienza religiosa
di gran parte dei cittadini. Fino a quel momento il clero cileno, influenzato da una vasta
corrente di consenso per le riforme, per la giustizia sociale, per la vittoria sulla povertà
e, non ultimo, da una teologia della liberazione in parte ispirata al Concilio Vaticano II
che faceva della liberazione dall'oppressione economica il primo gradino per la
redenzione dell'uomo, non aveva preso posizione contro il regime di Allende, ma
quando vide messa in discussione la sua stessa esistenza, la Chiesa cilena oppose resistenza al governo.
Lo sciopero di "El Teniente" In aprile i lavoratori della più grande miniera di rame del
Cile (El Teniente) attuarono uno sciopero e Allende reagì proclamando lo stato
d'assedio. Il parlamento, ormai sprofondato nel caos, mise in stato di accusa alcuni
ministri e ordinò ad Allende di rispettare la costituzione, mentre i membri del MIR
occupavano alcuni edifici sfidando la polizia, e un reparto dell'esercito attaccava il
palazzo presidenziale. Allende rimase solo.
Colpo di stato dell'esercito A settembre l'inflazione era arrivata al 300% e alla
popolazione mancavano anche le cose più semplici come i fiammiferi. A questo punto
l'esercito, in seguito alla notizia -non si sa se vera o falsa- che il MIR stava costituendo
una specie di guardia nazionale, decise di intervenire, proclamò l'assunzione di tutti i
poteri e infine attaccò con aerei il Palazzo della Moneta, all'interno del quale il
presidente Allende si uccise.
Il regime di Pinochet La guida politica del Cile fu assunta dal generale Augusto
Pinochet che iniziò una sanguinosa repressione dei "sospetti". I problemi del Cile hanno
atteso molti anni prima di trovare soluzione. Nel 1989, Pinochet permise di celebrare
libere elezioni da cui uscì sconfitto e ora il Cile ha ripreso l'esperienza democratica. Nel
1991 fu pubblicato un documento che rivelava gli abusi cui era ricorso il governo di
Pinochet, ma l’esercito si oppose al processo a carico del dittatore. In seguito il paese ha
conosciuto un periodo di notevole crescita economica e civile che fa ben sperare nel
futuro.
Argentina Molto diversa la situazione dell'Argentina, un vasto paese potenzialmente
ricco, sottopopolato, privo di minoranze etniche, periodicamente attraversato da correnti
effimere di ricchezza quando il resto del mondo ha bisogno di grano o di carne,
incapace però di stabilità politica. Gli argentini sono famosi, tra i sudamericani, per il
loro orgoglio e per il loro acceso nazionalismo.
Juan Perón Nel 1946, dopo un periodo di profitti enormi per i produttori agricoli nel
corso della Seconda guerra mondiale, arrivò al potere Juan Perón che si pose a capo dei
lavoratori dell'industria da lui chiamati in modo pittoresco descamisados. Seguì un
periodo tumultuoso di nazionalizzazioni a caro prezzo delle industrie straniere, i cui
impianti non furono rinnovati, divenendo perciò rapidamente obsoleti. Negli anni del
potere di Perón l'Argentina, che in precedenza era stata esportatrice di prodotti agricoli,
finì per divenirne importatrice, il settore industriale non decollò e il paese divenne preda
dell'inflazione.
Il peronismo Il regime peronista era un misto di demagogia, di paternalismo dirigista
che riteneva di potersi sostenere coi discorsi infiammati alle folle rese agitate dagli
slogan, quasi che i problemi tecnici si possano risolvere con dichiarazioni d'intenzioni
nelle piazze. Perón aveva una moglie bellissima, Evita, che dedicandosi ad attività
assistenziali, raggiunse immensa notorietà. Quando Evita morì ancor giovane, Perón
perdette anche il consenso rumoroso delle piazze e poco dopo, nel 1955, fu destituito
anche per alcuni attacchi nei confronti della Chiesa cattolica, e per l'ostilità crescente
dei generali dell'esercito che avevano costatato il declino politico e militare del loro
paese. Perón fu costretto all’esilio.
I militari al potere Il peronismo, tuttavia, rimase un mito operante in Argentina per via
del populismo e del nazionalismo così diffuso negli strati popolari. Seguirono alcuni
anni di continuo avvicendamento di militari al potere, senza che i problemi di fondo
fossero risolti. Dopo il 1960 il peronismo tornò a rappresentare una forza politica
maggioritaria, che i militari riuscirono a contenere solo escludendo i candidati peronisti
dalle elezioni. Nel 1972 le insistenti manifestazioni popolari costrinsero il governo a
permettere il ritorno dall'esilio di Perón. Nel frattempo quest'ultimo aveva nuovamente
giocato la sua carta vincente, ossia il matrimonio con una donna bella e di forte temperamento politico che questa volta si chiamava Isabelita.
Ripresa del peronismo Alle elezioni tenute subito dopo il ritorno di Perón, il partito
che a lui si ispirava vinse le elezioni per la presidenza, ed ebbe la maggioranza nel
parlamento: il neo presidente Hèctor Campora rassegnò le dimissioni perché fosse
Perón a guidare i destini dell'Argentina. I problemi dell'inflazione, del terrorismo
urbano, delle tensioni internazionali, del petrolio non si prestavano più ai vecchi artifici
delle manifestazioni di piazza. Poco dopo il ritorno Perón morì, e la vedova assunse il
potere tenendolo per due anni, fino al 1976, quando anch'essa fu rovesciata dai militari.
Il marxismo nell'America latina Negli anni tra il 1970 e il 1980 l'Argentina, come gli
altri paesi latino-americani, fu attraversata da una ventata di rivoluzionarismo violento
guidato da gruppi di ispirazione marxista, nella versione suggerita da Fidel Castro e Che
Guevara.
Fallimento dell'Alleanza per il Progresso Kennedy aveva cercato mediante l'Alleanza
per il Progresso, discussa a Punta del Este in Uruguay nel 1961, di cointeressare gli
Stati latino-americani al miglioramento delle loro condizioni di vita. Gli aiuti americani
furono giudicati dai marxisti un tentativo di ulteriore assoggettamento alle direttive di
politica estera e di dominio economico statunitense. I disordini, come quelli del Brasile
del 1964 e del Cile del 1973, riportarono al potere i militari che si guardarono bene dal
farsi attivi promotori di miglioramenti sociali e dal governare secondo una rigorosa
legalità. Pensavano a mantenere sotto controllo le minoranze eversive, cercando di
bloccare l'inflazione con un migliore sfruttamento delle risorse economiche. I tentativi
rivoluzionari di ispirazione marxista sono tutti falliti, tranne a Cuba. Nel 1967 Che
Guevara fu ucciso in Bolivia; in Uruguay la guerriglia urbana dei Tupamaros che si
resero odiosi con azioni di terrorismo, fu stroncata con la violenza; in Argentina l'azione
delle speciali unità antiguerriglia e la repressione indiscriminata delle persone sospette
condusse al triste fenomeno dei desaparecidos, ossia cittadini uccisi senza processo
pubblico e seppelliti in fosse comuni; nel 1979, in Nicaragua, fu rovesciato il governo
del dittatore Somoza e giunsero al potere i guerriglieri sandinisti guidati da Daniel
Ortega che non ha risolto i problemi di quel poverissimo potere, favorendo la guerriglia
nei paesi vicini, in particolare il Salvador. Nel 1990 i sandinisti hanno perso le elezioni
e il Nicaragua ha ripreso una forma democratica di governo.
La guerriglia La lotta politica in America latina viene condotta da gruppi oligarchici
(proprietari terrieri, grandi compagnie industriali), dai militari che in qualche modo
detengono un potere di arbitrato sulle decisioni politiche dei loro governi, dai sindacati
operai e dai contadini che ancora rappresentano la maggioranza della popolazione. La
versione castrista della dottrina marxista per la presa del potere tende alla costituzione
di milizie rivoluzionarie (come i sandinisti del Nicaragua) che siano in grado di
sconfiggere l'esercito regolare, ricevendo appoggio, rincalzi e viveri dai contadini.
La teologia della liberazione Tutto ciò non è stato possibile in Argentina, Brasile, Cile
perché lo sviluppo economico di quei paesi, le loro strutture statali e la complessità
delle relazioni sociali rendono inadeguato quel metodo rivoluzionario, che nel decennio
1970-1980 ha potuto avvalersi della teologia della liberazione, il tentativo di stabilire
un'unità d'azione tra il cattolicesimo e il marxismo per restituire agli oppressi la loro
dignità. Dopo che il marxismo ha rivelato alcuni tratti impolitici di imperialismo nella
vicenda dell'Afghanistan occupato dai sovietici, nel conflitto tra Cina e Vietnam, nel
conflitto tra Vietnam e Cambogia, quella confusione risulta inammissibile e può essere
frutto solo di ritardi culturali.
La questione delle Falkland-Malvine Per tornare all'Argentina, dopo
l'imprigionamento di Isabelita Perón, i militari accentuarono il nazionalismo sempre
gradito a quella popolazione, favoriti anche dal successo della squadra di calcio che
vinse i campionati del mondo del 1978. Quattro anni dopo, per stornare l'opinione
pubblica dai problemi posti dall'inflazione, sempre oscillante intorno al 150% annuo, i
militari decisero l'avventata operazione di impadronirsi delle Falkland-Malvine, un
gruppo di isole semideserte, fredde, senza alberi, gremite di pecore allevate da circa
duemila coloni di origine scozzese. Le Falkland-Malvine sono da circa 150 anni sotto la
sovranità britannica ed ebbero un momento di notorietà solo per un episodio bellico
durante la prima guerra mondiale (vedi Cap. 4.3). Esistono reali motivi per rivendicare
la sovranità sulle Malvine, come gli argentini insistono nel denominarle, ma esistono
anche i titoli della popolazione locale che non è argentina e non anela a divenirlo. I
generali scelsero la via peggiore: invasero con alcune migliaia di soldati impreparati le
Malvine, la Georgia Australe e le Sandwich nella speranza che la Gran Bretagna, data la
distanza, si sarebbe adattata al fatto compiuto. Ma così non avvenne. Dopo qualche
settimana di contatti infruttuosi, perché i generali argentini non potevano prendere in
considerazione il ritiro delle loro truppe, la flotta inglese salpò, costituendo
un'importante base logistica nell'isola di Ascensione. Gli aerei argentini fecero prodezze
di valore affondando alcune navi britanniche, ma non poterono impedire lo sbarco di
truppe britanniche che ebbero ragione del contingente argentino rimasto senza
rifornimenti e isolato dal continente. L'avventura delle Falkland-Malvine costò il potere
ai militari, costretti a indire nuove elezioni da cui è uscito il governo moderato di Raoul
Alfonsin, il quale dovette riparare i danni della guerra e del pauroso indebitamento
dell'Argentina col Fondo Monetario Internazionale.
Ripresa del peronismo Il presidente Alfonsin ebbe un poco di tregua, ma la vicenda
delle Falkland-Malvine rimaneva sempre uno scoglio, così come la questione dei
desaparecidos (circa 15.000) ossia le persone eliminate dai militari senza regolare
processo, terminata solo nel 1987 quando fu deciso di aprire processo contro i militari
implicati in stragi di civili. In quell’anno le elezioni furono vinte dal partito peronista e
Alfonsin subì un attentato di militari, peraltro fallito. Nel 1989 le elezioni furono vinte
da Carlos Menem, un peronista, con un severo programma di austerità economica per
combattere l’inflazione e limitare il debito pubblico nei confronti dell’estero. Nel 1990
ci fu una breve sollevazione guidata dal colonnello Mohammed Alì Seineldin, stroncato
dalle forze rimaste leali al governo. Nel 1994 Menem rimase al potere anche se il suo
partito perdette la maggioranza plebiscitaria del primo mandato. Il presidente cercò di
riproporre la sua campagna contro la povertà, ma aumentarono le dimostrazioni di
piazza ostili al governo e gli scioperi. Nel 1995 l’inflazione sembrò arrestata e Menem
vinse le elezioni presidenziali, nonostante seri disordini a Codoba, che soffriva per le
misure di austerità. Menem ebbe ampi poteri per far fronte ai problemi economici. Nel
1996 il Fondo Monetario Internazionale tagliò altri 200 milioni di dollari costringendo
Menem a ridurre le spese statali e ad aumentare le tasse. La situazione divenne acuta nel
2002 quando l’Argentina fu costretta alla colossale inflazione del 30%, cancellando
molti debiti ma a prezzo di un impoverimento della nazione che stenta a imboccare la
strada di un ordinato sviluppo.
Messico Dopo l'indipendenza dalla Spagna, nel 1823, il Messico ha conosciuto una
difficile storia dominata da due fattori: la presenza ai confini settentrionali di uno Stato
in spettacolare sviluppo, gli USA e, all'interno, l'esistenza di latifondi giganteschi, le
haciendas che non permettevano ai contadini di conseguire la posizione di piccoli
proprietari.
La crisi Messico-USA Nel 1846-1848 i contrasti di frontiera con gli USA provocarono
una guerra che portò le truppe statunitensi fino a Città del Messico con la perdita di
un'immensa fascia di territorio che va dal Texas alla California, peraltro allora pochissimo popolata e meno ancora sfruttata.
L'intervento francese Nel 1864, durante la guerra civile americana, il Messico fu al
centro di un tentativo di Napoleone III di infrangere la dottrina di Monroe, riportando
una potenza coloniale europea in America. La corona di imperatore del Messico fu
offerta a Massimiliano d'Absburgo che ebbe la debolezza di accettarla. Tre anni dopo fu
condannato a morte nella fortezza di Queretaro dai nazionalisti guidati da Benito Juarez.
La guerra lasciò il paese in preda all'anarchia dei banditi chiamati desperados, dediti a
rapine ai danni delle grandi case signorili di campagne che furono bruciate.
Porfirio Diaz Nel 1877 fu eletto presidente del Messico Porfirio Diaz, aiutato dagli
USA, col compito di riportare l'ordine nel paese. Per prima cosa istituì una polizia a
cavallo, i cosiddetti rurales, col compito di difendere l'ordine e il diritto di proprietà; poi
realizzò una grande rete ferroviaria con intenti commerciali e strategici, per trasportare
cioè ai porti della costa lo zucchero e trasferire con rapidità l'esercito per stroncare i
disordini delle province periferiche. Diaz aprì il paese a grandi investimenti stranieri che
fruttarono profitti da capogiro agli azionisti, ma che non apportarono tangibili vantaggi
ai contadini messicani. Lo sviluppo dell'industria manifatturiera dello zucchero fece
innalzare il prezzo della terra, permettendo alle haciendas di assumere dimensioni
enormi, quasi intere province. Ai contadini non rimaneva che adattarsi alla condizione
di braccianti alle dipendenze degli zuccherieri. Il malcontento della classe media, che
mal tollerava la subordinazione al capitale straniero, alla fine esplose. Nel 1911 il
vecchio Porfirio Diaz fu rovesciato dai nazionalisti di Francisco Madero. Subito
ricomparvero le bande dei saccheggiatori.
Villa e Zapata Nel nord del paese il comando fu assunto dal più famoso ed estroso dei
capibanda, Pancho Villa, finanziato dagli USA pur di tenerlo lontano dai loro confini.
Le truppe del governo centrale disertarono, le ferrovie furono interrotte, molte
haciendas incendiate. Al sud, nella zona della canna da zucchero, un analogo potere fu
assunto da Emiliano Zapata che si affrettò a consegnare ai contadini la terra confiscata
ai grandi proprietari. Ci furono confusi e drammatici tentativi di composizione delle
pretese di questi tre personaggi. Madero era certamente il più debole, perché il suo
idealismo non faceva presa sulle masse fanatizzate. Zapata si rivelò il più intelligente:
propose nel 1911 il Piano di Ayala in cui cercava la soluzione del problema messicano
mediante l'assegnazione della terra ai contadini. Purtroppo era proprio lui il principale
artefice della distruzione delle fattorie e delle fabbriche di zucchero, allora l'unica voce
attiva dell'esportazione. Inoltre la distribuzione frettolosa della terra ai troppi contadini
che ne facevano richiesta, condusse a una frammentazione della proprietà terriera tanto
spinta da non permettere neppure la produzione per l'autoconsumo dei contadini che si
aggiunse al blocco dell'esportazione di zucchero.
Huerta Madero fu assassinato e il suo posto fu assunto dal generale Victoriano Huerta
che, in realtà, era l'esponente degli antichi proprietari terrieri. In conseguenza, Villa a
Zapata unirono le loro forze, passando sopra all'odio e alla gelosia reciproca,
accordandosi per fronteggiare l'esercito regolare. Nel dicembre 1914 i due ribelli
conquistarono Città del Messico. Il trionfo della rivoluzione non portò la pace. La
Chiesa cattolica fu duramente attaccata, perché i rivoluzionari pensavano che fosse il
sostegno più potente del vecchio regime. Più tardi furono uccisi i due capi della
rivoluzione, Zapata nel 1919 e Villa nel 1923, quando si era già insediato un nuovo
governo riformista che nazionalizzò la terra e i giacimenti minerari. Più tardi, tra il 1930
e il 1940, al tempo del presidente Lazaro Cardenas, si fecero distribuzioni di terra ai
contadini con criteri più razionali, dando loro la possibilità di vivere.
Il partito rivoluzionario istituzionale Da allora il Messico è guidato da un unico
"partito rivoluzionario istituzionale" e il petrolio del Golfo del Messico ha fatto da
volano allo sviluppo economico, ma molti problemi rimangono. La popolazione si è accresciuta notevolmente, ma ha la tendenza a concentrarsi in poche città, perché i servizi
sociali sono poco decentrati. L'inflazione rimane molto alta, come pure l'indebitamento
col Fondo Monetario Internazionale. Ancora una volta i problemi sono quelli
dell'istruzione, dei servizi sociali e della giustizia che occorre affrontare con più
determinazione ed efficacia, ricordando che non bastano i denari, il benessere, ossia gli
aspetti quantitativi del vivere, bensì occorre la giustizia, la dignità della persona, il
rispetto di sé, ossia gli aspetti qualitativi. È quanto non sono riusciti a comprendere i
governi degli USA che, pur avendo fatto più di qualunque altro paese per gli Stati
dell'America latina, hanno mietuto con i loro interventi più odio e disprezzo di ogni altra
potenza.
Il viaggio di Nixon in Sudamerica Questa situazione apparve drammaticamente in
tutta la sua paradossale gravità in occasione di un famoso viaggio di Richard Nixon del
1958, compiuto attraverso i principali Stati dell'America latina. Doveva essere un
viaggio per raccogliere consensi a favore del vicepresidente designato a succedere ad
Eisenhower alle vicine elezioni per la presidenza, ma accadde l'opposto. Quando andò
bene fu accolto da un gelido silenzio; spesso furono inalberati cartelli con accuse di
razzismo o con insulti. Ma il peggio avvenne a Caracas in Venezuela, quando la sua
automobile fu sequestrata e rischiò il linciaggio. Alla Casa Bianca Eisenhower comandò
a un gruppo di pronto impiego di tenersi pronto per accorrere se fosse stato necessario.
L'intervento non ci fu, ma era stato rivelato in modo drammatico lo stato d'animo
dell'America latina.
Alleanza per il progresso Più tardi Kennedy trasse le conseguenze dell'episodio e
propose la già accennata Alleanza per il Progresso, ma nel frattempo si era sviluppato il
movimento castrista che introdusse nell'America latina i metodi più duri della rivoluzione a forte contenuto ideologico.
America centrale Gli Stati del centroamerica sono molto più piccoli di quelli
esaminati: Salvador, Honduras, Nicaragua, Guatemala, Costarica, Panama, Belize, tutti
posti nella fascia subtropicale caratterizzata da clima caldo e umido. I problemi sono
molto simili: monocoltura (frutta tropicale, caffè, cacao); regimi politici instabili
oscillanti tra dittatura di destra e rivoluzione di sinistra; dipendenza economica dagli
aiuti degli USA e insofferenza per la loro presenza (il Panama vive letteralmente
dell'affitto dell'omonimo canale agli USA). L'amministrazione Reagan si è orientata
verso una politica più dura nei confronti della guerriglia: o l'intervento diretto come è
avvenuto nel 1983 nell'isola di Grenada o nel 1989 a Panama per rovesciare il regime
del generale Noriega, o forniture militari ai governi attaccati dalla guerriglia, come è
avvenuto per il Salvador e per l'Honduras. Certamente sono finiti gli anni
dell'onnipotenza delle compagnie commerciali che avevano la facoltà di deporre i presidenti delle cosiddette repubbliche delle banane, tuttavia una reale pacificazione della
regione è ancora lontana perché ci sono ancora troppi fornitori di armi e uomini disposti
a impiegarle.
Il regime di Fidel Castro a Cuba Particolare importanza ha avuto per l’America
latina la rivoluzione cubana guidata da Fidel Castro a Cuba, dopo che ebbe sconfitto nel
1958 il dittatore Fulgenzio Batista. Nel febbraio 1959 Castro ebbe i pieni poteri e per
prima cosa strinse un accordo commerciale con l’URSS alla quale cedette la produzione
di zucchero dell’isola in cambio di assistenza tecnica per trasformare l’economia
cubana. Subito furono espropriati i latifondi assegnando la terra ai contadini. Nel 1960
furono espropriate le proprietà della Fruits Company statunitensi e furono inviati
mercenari cubani in Congo, in appoggio a Lumumba che combatteva contro la
secessione del Katanga. Si trattava di decisioni che rivelavano un crescente
orientamento verso una politica di tipo marxista che fino a quel momento non aveva
attecchito nel continente americano (Cuba dista circa 150 chilometri dalla Florida).
Sempre nel 1960 furono nazionalizzate le raffinerie di petrolio dove erano investiti
cospicui capitali statunitensi. Gli USA compirono nel 1961 un primo goffo tentativo di
far cadere il regime di Castro impiegando fuorusciti appositamente addestrati. Fu un
memorabile fiasco. Castro sciolse tutti i partiti a eccezione del movimento che lo aveva
condotto al potere. Nel 1962 i rapporti tra Cuba e l’URSS divennero più stretti e
sull’isola dei Carabi furono inviate armi coi relativi istruttori, iniziando la costruzione di
rampe per missili. Il presidente americano Kennedy richiamò in servizio 150.000
riservisti e fece proclamare il blocco navale dell’isola. A ottobre la crisi divenne
acutissima: la flotta americana circondava Cuba con l’ordine di affondare ogni nave che
trasportasse missili. Krusciov ordinò alle sue navi di invertire la rotta, dietro l’impegno
americano di non favorire altri tentativi per destabilizzare il governo cubano. Nel 1965
Castro trasformò il suo movimento in Partito Comunista Cubano divenendo un fedele
alleato dell’URSS in grado di assumere gli impegni militari russi in Africa,
specialmente in Angola. Sostanzialmente fallito, invece, il tentativo di esportare la
rivoluzione in Colombia e in Bolivia, dove morirono Camilo Torres e “Che” Guevara
che sembravano gli emissari di Castro. Nel 1968 tutta la terra cubana fu nazionalizzata
ma non per questo migliorò la produzione agricola, fatta eccezione per la canna da
zucchero che rimase l’unica voce attiva delle esportazioni cubane. Nel 1971 Castro
compì una visita di Stato in Cile in appoggio al regime di Allende, e poi in Perù e in
Ecuador. Qualche successo fu registrato dal regime di Castro per quanto riguarda la
sanità pubblica perché furono effettuate vaccinazioni di massa. A partire dal 1980 fu
massiccia l’emigrazione di cubani negli USA, ma aumentarono anche le difficoltà
economiche. Con tutto ciò l’impegno militare di Cuba in Angola fu accresciuto, anche
con l’invio di aerei Mig 23, che sconfissero le truppe sudafricane costringendole a
rientrare in patria. Il crollo del muro di Berlino nel 1989 e la crisi interna dell’URSS in
qualche modo fecero fallire anche il regime di Cuba. Nel 1998 il papa Giovanni Paolo II
compì un viaggio a Cuba dove per la prima volta da quasi quarant’anni fu celebrata una
Messa solenne all’aperto. Appare chiaro che il Papa si era prefisso il compito di far
avvenire un trapasso di poteri verso un regime maggiormente libero senza che il paese
precipitasse nella guerra civile, ricordando ai cattolici (ancora numerosi nonostante
tutto) il primato della carità e il dovere di perdonare ai persecutori.
17. 7 Cronologia essenziale
1946 Perón assume il potere in Argentina.
1952 Inizia in Kenya il terrorismo dei Mau Mau durato circa quattro anni.
1955 Perón è costretto all'esilio, lasciando in Argentina una difficile situazione
economica.
1958 Nel corso di un drammatico viaggio compiuto da Nixon nell'America latina
emerge la collera dei sudamericani. A Cuba i guerriglieri di Fidel Castro entrano nella
capitale
1959 Nella Repubblica Sudafricana vengono creati i Bantustans.
1960 Indipendenza del Congo Belga, della Nigeria e della Tanzania.
1961 È edificata la nuova capitale del Brasile, Brasilia. Kennedy lancia il suo piano
Alleanza per il progresso.
1962 La Francia abbandona l'Algeria. A ottobre diviene acutissima la questione dei
missili russi a Cuba.
1963 Il Kenya è indipendente sotto la presidenza di Jomo Kenyatta.
1964 I militari assumono il potere in Brasile.
1965 La Rodesia del Sud proclama unilateralmente la propria indipendenza.
1966 Dopo l'uccisione di Verwoerd, Johannes Voster prende il potere nella Repubblica
Sudafricana.
1967 In Nigeria, la regione orientale degli Ibo dichiara la propria secessione con nome
di Biafra.
1969 Colpo di Stato in Libia operato dal colonnello Gheddafi che depone il re Idris.
1970 Il Biafra soccombe e il suo territorio è diviso in tre nuove province. In Cile una
coalizione di partiti di sinistra guidata da Allende assume il potere.
1972 Perón torna in Argentina e riprende il potere.
1973 Termina in modo tragico la presidenza di Allende. Assume il potere il generale
Pinochet.
1974 Angola e Mozambico ottengono l'indipendenza dal Portogallo.
1976 La guerriglia comunista con l'assistenza di Cuba e dell'URSS prende il
sopravvento nell'Angola. Il governo della Rodesia-Zimbabwe accetta la parità dei diritti
tra bianchi e negri. In Argentina l'esercito riassume il potere esecutivo.
1982 In seguito alla crisi del petrolio i lavoratori stranieri sono espulsi dalla Nigeria. I
generali argentini scatenano la guerra delle Falkland, terminata con la loro sconfitta.
1989 Gli USA intervengono con l'esercito a Panama per rovesciare il generale Noriega
ritenuto una pedina importante del traffico di droga.
1998 Storico viaggio del papa Giovanni Paolo II a Cuba per ristabilire i diritti dei
cattolici invitandoli a cooperare all’evoluzione del regime politico cubano verso forme
più democratiche.
17. 8 Il documento storico
Decolonizzazione e neocolonialismo sono termini spesso impiegati in contesti
polemici, come è naturale per fatti di storia contemporanea. La decolonizzazione è stata
un evento politico, ossia l'indipendenza di molti paesi africani ed asiatici; il neocolonialismo è un fatto economico, ossia il perdurare della dipendenza dei paesi da poco
divenuti indipendenti o di quelli che non hanno potuto svincolarsi dai mercati di
collocazione delle loro materie prime e dai fornitori di manufatti. Il documento che
segue cerca di fare un bilancio critico delle esperienze degli ultimi anni.
“L'indipendenza politica non sempre significa indipendenza reale né totale, che del
resto, nell'intrecciarsi delle relazioni e degli obblighi internazionali, appare sempre più
come un mito. Il punto essenziale -la pietra di paragone- non sta nell'assenza di legami o
di impegni, o di limitazioni di sovranità, ma nel loro carattere volontario, liberamente
scelto, e nel rispetto del diritto internazionale, liberamente modificato da queste relazioni.
I giovani Stati, gelosi di una sovranità nazionale recente, e talvolta conquistata con
difficoltà, sono pronti a denunciare le forme nuove dell'imperialismo e il neocolonialismo. La propaganda, nazionale e internazionale, non perde occasione di utilizzare un'accusa che deve molto della sua efficacia alla vaghezza della nozione che
ricopre e alla sua carica di emotività.
Di fronte ai fallimenti, la denuncia del nuovo imperialismo può essere anche un
mezzo per sviare l'opinione pubblica dalle delusioni e un'arma utile nei contrasti politici
interni.
È tuttavia vero che la decolonizzazione non ha fatto sparire le forze d'espansione
dell'Europa, e non ha neanche soppresso di colpo le attitudini psicologiche collettive
precedenti. Essa ha discreditato le forme politiche e militari di dominazione, ma
l'imperialismo economico o culturale si è mantenuto, e talvolta si è perfino rafforzato,
con l'indipendenza dei nuovi Stati. Per certi lati si ritorna agli aspetti dell'imperialismo
del free trade della metà del XIX secolo, che preferiva il commercio alla dominazione
politica. In nessun luogo il neo-colonialismo si propone di riconquistare totalmente le
posizioni perdute, ma piuttosto, all'interno delle antiche relazioni fra metropoli e
colonie, sembra voler operare una scelta tra i vantaggi e gli oneri, al fine di liberarsi di
questi per meglio mantenere i primi. Vengono ripudiati gli aspetti in passato
strettamente associati alla colonizzazione: insediamento di appartenenti alla nazionemadre, controllo militare, controllo amministrativo. È talvolta difficile, in questo
processo di abbandono, discernere il peso da attribuirsi alla forza di una nuova morale
internazionale piuttosto che all'egoismo nazionale, che ripudia l'ideologia umanitaria e
solidaristica che animava taluni fautori della colonizzazione.
L'aiuto finanziario dell'antica metropoli si rivela talvolta null'altro che il mezzo per
mantenere la supremazia commerciale, il controllo dei prezzi delle materie prime
provoca l'impoverimento di certe nazioni e pesa anch'esso sulla costituzione di nuovi
sistemi di relazioni. L'alterazione dei termini di scambio è un pesante handicap per i
nuovi Stati, la cui vita economica rimane nella maggior parte dei casi incentrata
sull'esportazione di qualche materia prima.
La "situazione coloniale" si mantiene forse ancora di più nel campo culturale e della
psicologia collettiva. Il neo-colonialismo si afferma attraverso il sentimento della
propria superiorità intellettuale rafforzato dal desiderio di ogni Stato di diffondere la sua
lingua e la sua cultura, mentre, dall'altra parte, il considerevole bisogno che le nuove
nazioni hanno di quadri, di tecnici e di professori gioca a suo favore. L'imperialismo
culturale viene periodicamente messo sotto accusa - come periodicamente riappare il
dibattito sul ruolo della lingua nazionale.
Anche l'azione delle missioni e in linea più generale della Chiesa cattolica nei paesi
del Terzo Mondo si attira talvolta il rimprovero di fare da sostegno alle forze del neocolonialismo.
Il neo-colonialismo è dunque una realtà: ma insieme - ed oltre - un tema, un'idea
forza della vita politica dei nuovi Stati. Il concetto non manca di influenzare l'immagine
della colonizzazione. Esso investe, infine tutti i problemi della crescita economica e
dello sviluppo, dell'assistenza e della cooperazione”.
Fonte: J.L. MIEGE, Espansione europea e decolonizzazione dal 1870 ai nostri giorni,
Mursia, Milano 1976, pp. 285 e segg.
17. 9 In biblioteca
Per la storia dell'Africa si consulti di C. COCQUERY VIDROVITCH- H. MONIOT,
L'Africa nera dal 1800 ai giorni nostri, Mursia, Milano 1976. Notevole anche di R.
RAINERO, Storia dell'Africa dall'espansione coloniale a oggi, Einaudi, Torino 1966.
Per la teoria generale dell'imperialismo si consulti di W.J. MOMMSEN, L'età
dell'imperialismo, Mondadori, Milano 1970; F. MAURO, L'espansione europea (16001870), Mursia, Milano 1977; J.L. MIEGE, Espansione europea e decolonizzazione dal
1870 ai giorni nostri, Mursia, Milano 1976. Per gli aspetti ideologici dell'imperialismo
si consiglia di C. GIGLIO, Colonizzazione e decolonizzazione, Mangiarotti, Cremona
1965 e di C. ZAGHI, L'Africa nella coscienza europea e l'imperialismo italiano, Guida,
Napoli 1973. Per l'imperialismo francese si consulti di H. BRUNSCHWIG, Miti e realtà
dell'imperialismo coloniale francese (1871-1914), Cappelli, Bologna 1964. L'opera più
completa per il colonialismo italiano rimane quella di di C. GIGLIO, L'Italia in Africa:
Etiopia, Mar Rosso, 5 voll., Min. Aff. Est., Roma 1958-60. Per la fase della decolonizzazione ormai classica l'opera di R. von ALBERTINI, La decolonizzazione, SEI,
Torino 1971; e di G. DE BOSSCHERE, Storia della colonizzazione, Feltrinelli, Milano
1973. Notevole l'opera di uno dei maggiori esperti del sottosviluppo: G. MYRDAL,
Teoria economica e paesi sottosviluppati, Feltrinelli, Milano 1970; e di A.G. FRANK,
America latina: sottosviluppo o rivoluzione, Einaudi, Torino 1971. Notevole il lavoro di
G. PASQUINO, Militari e potere in America latina, il Mulino, Bologna 1974.
Cap. 18 Le superpotenze a confronto
Dopo il 1945 si delineò con evidenza il fatto che il mondo era spartito tra due sfere
d'influenza opposte: quella degli USA usciti dalla guerra col potenziale industriale
intatto, retta dall'efficientismo del sistema economico capace di costruire più navi, più
aerei, più manufatti di qualunque altro paese al mondo, guidata dalla democrazia che
meglio garantiva i diritti individuali e le libertà civili; e quella dell'URSS che aveva
sconfitto Hitler e sembrava assicurare - almeno così si credeva - il pieno impiego e lo
sfruttamento integrale delle risorse col ricorso all’economia di piano.
Nel 1952 fu eletto alla presidenza degli USA il generale Dwight Eisenhower, rimasto
in carica fino al 1960. Nell'URSS Stalin tenne il potere fino alla morte avvenuta nel
1953: in quegli anni il sistema del terrore e dei campi di concentramento raggiunse il
suo culmine obbligando i successori a mutare politica. Un poco alla volta emerse
Nikita Krusciov che condusse a fondo il processo di trasformazione della gestione del
potere. Krusciov conobbe successi e insuccessi altrettanto clamorosi, ma certamente
chiuse una fase della guerra fredda. Verso il 1960 nel mondo si fece strada la
distensione e una politica di competizione pacifica tra i due sistemi politici
contrapposti. Negli USA le elezioni furono vinte da John F. Kennedy. Questi impresse
alla politica interna ed estera un notevole dinamismo, ma incappò nelle mine vaganti
della crisi di Cuba e del Vietnam. Nel novembre 1963 Kennedy fu ucciso a Dallas nel
Texas, e il compito di edificare la "grande società" fu ereditato dal successore Lyndon
B. Johnson. L'anno dopo anche Krusciov fu estromesso dal potere da Breznev e
Kossygin che operarono un rilancio della potenza sovietica sul piano militare, mentre
gli USA si trovarono in difficoltà nel Vietnam, dove l'esercito americano fu messo in
scacco dalla guerriglia dei Vietcong. Nel 1968 Johnson annunciò l'interruzione delle
incursioni di bombardieri nel Vietnam del Nord e il ritiro della sua candidatura alle
elezioni. Fu eletto Richard Nixon che riuscì a terminare la guerra del Vietnam. Uno
scandalo di spionaggio costrinse Nixon alle dimissioni nel 1974. Nel 1976 vinse le
elezioni il democratico Jimmy Carter, ma la sua amministrazione non seppe imprimere
alla politica americana una svolta significativa.
Nel 1982 morì Breznev, seguito in rapida successione da Andropov e Cernenko
finché, nel 1985, il potere dell'URSS fu assunto da Mikhail Gorbaciov che mutò la
politica del suo paese, mentre era presidente degli USA Ronald Reagan.
18. 1 Krusciov e la destalinizzazione
Gli ultimi anni di Stalin, dal 1945 al 1953, furono i più terribili della sua carriera.
Il terrore staliniano Direttamente o indirettamente, nell'URSS la guerra scatenata da
Hitler produsse almeno 20 milioni di morti. Il paese si trovava nella più grande miseria,
accresciuta dalla cessazione degli aiuti americani che avevano alleviato la penuria di
generi di prima necessità durante la guerra. Per di più, nel 1946 ci fu carestia: anziché
abolire il tesseramento dei viveri, le autorità sovietiche dovettero inasprirlo.
I GULag si estendono Per ammissione del governo di Gorbaciov, il sistema dei campi
di lavoro forzato si estese, arrivando alla cifra di 15 milioni di internati con decessi fino
al 30% dei prigionieri. Stalin accentuò il regime del terrore perché a sua volta era
terrorizzato dalla debolezza del suo paese. Dopo aver riconosciuto gli effetti spaventosi
della bomba atomica, rastrellò le scarse risorse a sua disposizione e ingiunse agli
scienziati di costruire il nuovo ordigno. Nel 1949 esplose la prima bomba atomica. Nel
1947 l'URSS lanciò il primo missile teleguidato, un campo in cui conservò una certa
superiorità rispetto agli americani.
La divisione in due parti dell'Europa Nel corso di un viaggio in America, Churchill
tenne a Fulton nel Missouri il noto discorso sulla "cortina di ferro" che divideva in due
parti l'Europa, da Stettino sul Baltico a Trieste sull'Adriatico.
I trattati di pace Nel 1947 a Parigi si tenne la conferenza per stilare i trattati di pace
con gli alleati della Germania nazista - Italia, Finlandia, Romania, Bulgaria e Ungheria . Occorsero alcuni mesi per giungere a un trattato di pace le cui clausole erano già state
decise a Jalta e a Postdam nel 1945. Il nuovo clima di guerra fredda impedì di giungere
a un accordo per la Germania. La diplomazia sovietica puntava alla riunificazione delle
quattro zone di occupazione sotto un governo che bandisse la presenza del grande capitale e delle forze conservatrici; la diplomazia occidentale puntava a un governo simile
a quelli occidentali. Il 1° gennaio 1948 inglesi e americani annunciarono la creazione
della Repubblica Federale Tedesca: l'URSS rispose con la creazione della Repubblica
Democratica Tedesca, ossia due Stati indipendenti che solo dopo l'abbattimento del
muro di Berlino hanno potuto riunirsi (1991).
La normalizzazione dell'Europa orientale Nell'Europa orientale Stalin calcò la mano.
In primo luogo operò la distinzione tra paesi ex nemici (Germania orientale, Ungheria,
Romania: unica eccezione la Bulgaria), e paesi liberati dall'Armata Rossa (Polonia,
Cecoslovacchia). I primi dovettero pagare pesanti riparazioni di guerra; inoltre in
Romania, Ungheria e Polonia rimasero numerose divisioni sovietiche perché quei paesi
furono giudicati instabili. Poi furono introdotte profonde riforme di struttura. In primo
luogo la riforma agraria che distrusse i latifondi dando un appezzamento di terra ai
contadini, più secondo criteri politici che economici, e perciò nei paesi dell'est
l'agricoltura non concorse alla loro ripresa economica; poi la nazionalizzazione
dell'industria; infine la pianificazione dell'economia.
Le democrazie popolari Questa profonda trasformazione dei paesi dell'est pose
all'attenzione del mondo un nuovo ideale politico, quello delle democrazie popolari che
dovevano sostituire il modello occidentale della democrazia parlamentare, ritenuto
obsoleto. Tra i paesi retti a regime comunista solo la Jugoslavia rimase indipendente
dalle direttive di Stalin. Il fatto si deve attribuire alla presenza del maresciallo Tito.
La nascita del Cominform Verso la metà del 1947, il clima di guerra fredda produsse
importanti mutamenti nell'est europeo. I partiti dei piccoli contadini che ancora avevano
la maggioranza nelle varie assemblee nazionali, furono estromessi dal potere. Il motivo
di questi cambiamenti era il progetto staliniano di ricostruire un'organizzazione
internazionale dei partiti comunisti per rispondere al piano Marshall, che agli occhi di
Stalin sembrava la copertura di una unione dei paesi occidentali, in funzione
antisovietica. I più attivi promotori del Cominform, gli jugoslavi, furono i primi ad
abbandonarlo quando si resero conto che con quello strumento Stalin mirava a ridurre lo
spazio di manovra politica dei partiti comunisti nazionali.
Il conflitto con la Jugoslavia Ben presto la politica del Cominform apparve una dura
egemonia da parte dell'URSS sui paesi dell'est europeo, ciascuno dei quali cercava
soluzioni diverse da quelle dell'URSS. La Jugoslavia, in primo luogo, cercava di
stabilire una sorta di protettorato sull'Albania; la Bulgaria di Dimitrov cercava di
estendere una serie di alleanze bilaterali tra i paesi dell'est che a Stalin sembrò un
tentativo di estromissione dell'URSS. Stalin si affrettò a convocare a Mosca, nel 1948,
sia Dimitrov sia Tito. Il secondo, che era il reale bersaglio dell'attacco di Stalin, si
guardò bene dall'andare a Mosca. I programmi di cooperazione tra URSS e Jugoslavia
furono interrotti e i consiglieri russi ritirati. Tito ottenne il sostegno della lega dei
comunisti jugoslavi e impostò la lotta contro Stalin con fermezza. Stalin, a sua volta,
ottenne la solidarietà dei partiti comunisti dell'est europeo. Nel giugno 1948 a Bucarest
avvenne una conferenza del Cominform dominata da Zdanov che impose le tesi di
Stalin: Tito fu scomunicato. L’episodio si inseriva in una trama che vedeva proprio in
quei giorni la definitiva spaccatura della Germania e l'inizio del blocco di Berlino. La
conclusione fu che un unico modello, quello sovietico, doveva bastare a tutti i paesi
dell'est europeo.
Gli ultimi anni di Stalin Gli anni 1949-53 furono i più feroci della guerra fredda. Gli
americani si affrettarono a concedere alla Germania Federale e al Giappone la
possibilità di riprendersi economicamente e quindi di riarmarsi. Nel 1950 scoppiò la
guerra di Corea nella quale, prudentemente, Stalin si tenne appartato. L'intervento
americano produsse nei paesi dell'Estremo Oriente molte riserve dalle quali nacque un
movimento neutralista guidato da Jugoslavia, India, Egitto e che riceverà
riconoscimento internazionale nel corso della conferenza di Bandung dei paesi non
allineati (1955).
Il XIX congresso del PCUS Verso la fine della sua vita Stalin convocò il XIX
congresso del partito comunista russo. Il suo declino fisico apparve evidente negli ultimi
scritti in cui non appare la comprensione dei fatti nuovi avvenuti nel mondo. La società
russa nel suo insieme si era ripresa, ma viveva in un clima di terrore. Le direttive per
l'industria rimasero le stesse, ossia la preminenza dell'industria pesante su quella dei
beni di consumo. Il successore designato sembrò Georgij Malenkov: costui affermò che
l'URSS aveva superato il problema più grave, quello della penuria di grano,
un'affermazione falsa. Il 1° marzo 1953 Stalin fu colto da apoplessia e il 5 marzo morì.
I successori di Stalin Dopo i funerali, si seppe che Malenkov aveva assunto la
presidenza del consiglio dei ministri, affiancato da Berija, Molotov, Bulganin e
Kaganovic. Berija era, come ministro degli interni, il capo della polizia segreta, un
tremendo strumento di controllo sull'intera vita sovietica. Il 4 aprile, la "Pravda"
pubblicò una notizia clamorosa: l'amnistia per tutti i prigionieri condannati fino a cinque
anni. Tre mesi dopo una notizia ancora più sensazionale: Berija era stato arrestato, giudicato e condannato a morte.
Krusciov al potere La contesa per il potere fu vinta da Nikita Krusciov, un personaggio
dai modi rozzi e schietti, a volte imprevedibili, che seppe estromettere Malenkov e più
tardi tutta la vecchia guardia staliniana guidata da Molotov. Il XX congresso del partito
comunista russo, del 1956, si spiega solo nel contesto di una lotta per la successione,
specie il rapporto segreto sui crimini di Stalin e contro il culto della personalità che,
contrariamente alla segretezza di quanto avveniva nell'URSS, giunse nella redazione di
un giornale americano, certamente con l'autorizzazione di Krusciov. Il periodo
staliniano era stato dominato dalla prevalenza dell'industria di guerra e dell'industria
pesante. I nuovi dirigenti dell'URSS capirono che era necessario offrire ai russi un poco
più di beni di consumo.
La carriera di Krusciov Krusciov si era messo in luce in qualità di direttore generale
dei lavori di costruzione della metropolitana di Mosca. Durante la guerra Krusciov
aveva dimostrato la stessa efficienza nel radunare e inviare al fronte un'armata dopo
l'altra, rivelando durezza spietata nel raggiungere il risultato, ma anche comprensione
delle attese dei russi. Infatti, dopo la guerra, si era battuto per ottenere anche dal settore
agricolo risultati analoghi a quelli raggiunti negli altri settori dell'economia russa.
Aveva in mente di far coltivare immensi tratti dell'Asia centrale e della Siberia, per
rendere finalmente autonoma l'URSS dall'importazione di prodotti alimentari stranieri.
Ma appena giunto al potere, Krusciov si rese conto di non poter realizzare questo piano
con la necessaria determinazione, perché nel frattempo si era aperta una nuova gara per
la conquista dello spazio mediante missili e satelliti artificiali, per cui i fondi disponibili
andarono in quella direzione.
La gara spaziale Molti scienziati tedeschi, alcuni progetti e gli impianti industriali
necessari erano stati trasferiti dalla Germania orientale nell'URSS. I generali sovietici
vollero raggiungere la superiorità sull'Occidente in questo settore strategico: l'industria
dei beni di consumo dovette attendere altri tempi.
Le rivolte in Germania e in Polonia Le novità all'interno del partito comunista
produssero attese analoghe nei paesi dell'est europeo. Poco dopo la morte di Stalin, nella
Germania orientale ci fu una protesta di lavoratori a Berlino; in Polonia furono cacciati i
fautori dello stalinismo; in Ungheria il capo del partito comunista magiaro Imre Nagy
tentò di far uscire il suo paese dal Patto di Varsavia e chiese il ritiro delle truppe
d'occupazione russe (ottobre 1956). Il pericolo di veder ridiscusso il piano di sicurezza
elaborato dai sovietici spinse Krusciov a far intervenire i carri armati a Budapest, dove
la rivolta fu stroncata. I fatti costituirono un brusco risveglio per coloro che, alla morte
di Stalin, avevano pensato il regime comunista ormai incamminato sulla via della
competizione pacifica.
Il patto di Varsavia Non era facile per i governi del mondo occidentale, ancora abituati
al clima di guerra fredda, capire se le aperture di Krusciov fossero mosse
propagandistiche o riflettessero un reale orientamento nuovo del blocco sovietico.
Durante la presidenza di Eisenhower, la politica estera americana era stata guidata da
John Foster Dulles, il quale aveva criticato la politica di contenimento e la divisione del
mondo in due blocchi, adottata ai tempi di Truman, pur sapendo che una qualunque
modifica dello statu quo poteva significare la guerra. Tuttavia egli assunse un
atteggiamento di rischio calcolato, mirante a restringere l'area di egemonia sovietica.
Nel 1954 ottenne l'assenso occidentale al riarmo della Germania in seno alla NATO, ma
quella decisione permise a Krusciov di far siglare il patto di Varsavia, ossia un'alleanza
di tutti i paesi dell'est europeo che non aggiunse nulla alla potenza dell'esercito
sovietico, tranne l'appiglio giuridico per intervenire nei paesi satelliti in caso di
sollevazione di uno di essi.
Fallimento dell'agricoltura L'insuccesso più grave per Krusciov avvenne nel settore
agricolo. Nonostante la sua fama di esperto in problemi agrari, il programma delle terre
vergini dell'Asia centrale fallì e nel 1963 il raccolto di cereali fu tanto disastroso che si
profilò la carestia come nel 1933. L'URSS fu costretta ad acquistare in occidente
almeno 12 milioni di tonnellate di grano.
Successo dello Sputnik Significativo e abilmente sfruttato dalla propaganda apparve
invece il successo spaziale dell'URSS. Nell'ottobre 1957 fu lanciato il primo satellite
artificiale ruotante intorno alla terra. Appena quattro anni dopo, Juri Gagarin fu il primo
uomo lanciato nello spazio.
I timori americani Il fatto allarmò in particolare il governo degli USA che dovette
costatare la propria inferiorità nel settore più delicato per la sua sicurezza, perché i
missili che portavano in orbita i satelliti potevano portare bombe nucleari sulle città
americane. Veniva infatti a cadere l'utilità di quella cintura di Stati alleati con gli USA
che aveva circondato l'URSS come un cordone sanitario.
L'incidente dell'U2 L'abbattimento di un aereo spia U2 che sorvolava l'URSS e la
cattura del suo pilota, dettero a Krusciov l'opportunità di presentare gli USA come
aggressori, rinnovando i temi della guerra fredda.
Il disgelo Un disgelo prematuro può condurre, per avverse condizioni climatiche, a un
successivo rigelo, ancora più aspro per il disinganno che comporta. La contraddittorietà
delle promesse di Krusciov, maggiori beni di consumo e riarmo, distensione e repressione di ogni movimento interno, produsse incertezza all'interno del blocco
sovietico e alla fine condusse alla caduta di Krusciov.
La competizione pacifica Krusciov trovò uno slogan per rendere evidente il suo
pensiero, dicendo di mirare alla “competizione pacifica” tra i due sistemi, quello
marxista e quello capitalista. Egli si dichiarava convinto della superiorità del primo che
in futuro si sarebbe affermato in tutto il mondo, ma invece di mirare a distruggere il
secondo con la guerra, era meglio attendere che si distruggesse da sé.
18. 2 La politica degli USA da Truman a Nixon
La parte preminente avuta nella Seconda guerra mondiale dagli USA assegnò loro la
preminenza nel mondo libero come l'URSS l’ebbe là dove i partiti comunisti arrivarono
al potere.
La lotta contro il comunismo Nei primi anni dopo la guerra il presidente Truman si
rese conto che il mondo era impoverito e che gli USA apparivano un’oasi di prosperità.
Per mantenerla, tuttavia, occorreva impedire che i deboli alleati europei cadessero in
preda a regimi comunisti. Il mezzo scelto fu l'invio massiccio di aiuti materiali (viveri,
abbigliamento, prestiti, armamenti). Accanto a questi aiuti materiali giunsero in Europa
intere biblioteche che avevano il compito di illustrare le concezioni di vita americana. Il
cinema di Hollywood travolse ogni concorrente e anche sul piano del costume gli USA
assunsero la funzione di riferimento per l'immaginario collettivo degli europei
occidentali.
Il secondo mandato presidenziale di Truman Nel 1948 Truman fu rieletto presidente.
Dovette affrontare l'emergenza di Berlino e la guerra di Corea che segnano il punto più
acuto della guerra fredda. Furono messe a punto l'alleanza della NATO che da mezzo
secolo funge da perno della politica americana nei confronti dell'Europa.
Eisenhower presidente Dopo vent'anni di predominio democratico, nel 1952 i
repubblicani portarono alla presidenza il generale Dwight Eisenhower, rieletto quattro
anni dopo. Quel periodo fu caratterizzato da notevole sviluppo economico, dalla pace
sociale e dall'attenuazione della guerra fredda, dopo la morte di Stalin. Certamente
anche in quegli anni ci furono crisi acute: in Indocina i francesi furono sconfitti nel
1954 a Dien Bien Phu, lasciando scoperto un tratto del cordone sanitario che doveva
contenere l'espansionismo comunista; nel 1956 scoppiarono la crisi ungherese e la
guerra di Suez: l'intervento di Eisenhower fu duro nei confronti di Francia e Gran
Bretagna, costrette a smantellare i loro imperi coloniali.
La decolonizzazione In quegli anni sorsero grandi speranze tra i paesi del Terzo
Mondo. Come è logico, il primo obiettivo dei paesi giunti all'indipendenza era di
conservare la libertà appena conquistata e di uscire dall’arretratezza economica.
John Foster Dulles Il segretario di Stato John Foster Dulles non seppe rinnovare gli
schemi della politica estera americana. Egli si rifaceva alla teoria del "contenimento"
del comunismo non comprendendo le aspirazioni profonde dei nuovi Stati giunti all'indipendenza. In Asia e in Africa i nuovi paesi appartenevano a culture in gran parte
estranee alle concezioni di governo occidentali e anche il comunismo, quando era
accettato, subiva profonde trasformazioni in senso nazionalista, come in Cina. Foster
Dulles ritenne che, dopo aver stabilizzato l'Europa, la partita contro il comunismo si
giocasse in Asia: perciò, nel 1954 propose la creazione della SEATO (South East Asia
Treaty Organization) comprendente, oltre le nazioni di lingua inglese del Pacifico,
anche le Filippine, la Thailandia e il Pakistan. Per i paesi del Vicino Oriente fu proposto
il Patto di Baghdad comprendente la Turchia, l'Iran e il Pakistan. Inoltre gli USA stabilirono trattati bilaterali col Giappone e con Formosa che dovevano completare il
cordone sanitario.
Il coinvolgimento americano in Indocina Nel 1954 gli USA rifiutarono di
sottoscrivere gli accordi di Ginevra tra il Vietnam del Nord e la Francia. Verso il 1956
nel Vietnam del Sud arrivarono i primi consiglieri americani per istruire l'esercito di
Ngo Dinh Diem. Evidentemente gli americani ritenevano di riuscire là dove avevano
fallito i francesi, commettendo l'errore di sostenere governi di dubbia moralità attaccati
da forze indipendentiste identificate sommariamente col comunismo.
La dottrina Eisenhower Nel 1957 il presidente Eisenhower enunciò la decisione di
assistere i popoli del Vicino Oriente con aiuti economici perché mantenessero
l'indipendenza nazionale. Truppe americane intervennero in Giordania (1957) e in
Libano (1958) per sostenere di fatto due governi conservatori e anticomunisti. Nei paesi
interessati, al contrario, l'intervento fu inteso come tentativo di sostituire la Gran
Bretagna e la Francia nella funzione di paese colonizzatore.
Il lancio dello Sputnik Nel 1957 gli americani, così sensibili ai primati, si ritennero
superati dai russi nella gara di conquista dello spazio. Infatti il primo satellite artificiale
fu lanciato dai russi. Il fatto produsse un riesame del sistema educativo nazionale. Fin
dal 1958 furono insediati comitati di esperti per elaborare nuovi metodi di insegnamento
delle scienze per convogliare in quei settori di ricerca i migliori studenti della nazione.
Problemi di politica interna I fermenti presenti in tutto il mondo tra le minoranze
etniche esplosero anche in America dove esisteva il problema della discriminazione
razziale. Infatti, in quegli anni la società americana divenne opulenta, ma ne rimanevano
esclusi i negri. Eisenhower affrontò il problema dei ghetti negri. A capo della suprema
corte costituzionale fu eletto il giudice Earl Warren, ben conosciuto per le idee
avanzate. Una delle prime sentenze della corte costituzionale fu che la separazione tra
bianchi e negri nelle scuole era incostituzionale e che dunque il sistema scolastico
andava ristrutturato per far cessare la discriminazione.
Il caso dell'Arkansas Il governatore dell'Arkansas escluse nove studenti negri dall'High
Scool di Little Rock per evitare incidenti coi circa 2000 studenti bianchi e perciò
chiamò la guardia nazionale (soldati della riserva) per impedire l'accesso alla scuola da
parte dei negri. Eisenhower ritenne un errore la nomina di Warren, perché ebbe
l'impressione che il giudice avesse forzato i tempi, ma al tempo stesso non poteva
permettere che gli ordini del governo federale fossero disattesi da un governo locale.
Decise perciò di inviare un reparto dell'unità più famosa dell'esercito americano, che
dovette scortare da casa a scuola gli studenti con soldati in pieno assetto di combattimento. Questi incidenti indussero Martin Luther King a mettersi a capo di un Movimento per i diritti civili. Luther King scelse, alla maniera di Gandhi, metodi di lotta
non violenti: boicottaggio degli autobus, marce per la pace di migliaia di negri, sit-in
davanti ai ristoranti e ai locali riservati ai bianchi. Nel 1957 il Congresso approvò una
legge sui diritti civili che dichiarava illegale la discriminazione dei negri nelle liste
elettorali.
La diplomazia di Krusciov Non sembra che Eisenhower abbia compreso la natura e la
profondità del processo di rinnovamento della società sovietica. Nel 1959 Krusciov
compì un viaggio negli USA, il primo di un capo di governo sovietico. In
quell'occasione fu preparato un vertice per affrontare il problema di Berlino. L'incontro
doveva avvenire a Parigi, ma nel 1960 accadde un episodio di spionaggio mediante un
aereo da ricognizione che sorvolava, violandolo, lo spazio aereo dell'URSS. Il
presidente Eisenhower fu messo in imbarazzo dai russi che esibirono un poco alla volta
le prove della malafede americana. Il vertice di Parigi fallì.
L'elezione di Kennedy Nel 1960 avvennero negli USA le elezioni presidenziali. Il
partito repubblicano presentò come candidato Richard Nixon, già vicepresidente di
Eisenhower. Il partito democratico presentò John Fitzgerald Kennedy di Boston,
appartenente a una ricchissima famiglia, poco più che quarantenne, cattolico. La
campagna elettorale fu accesa perché era facile accusare i repubblicani di immobilismo,
di aver perduto la gara spaziale, di non saper far ricorso alle energie degli USA; mentre
da parte repubblicana si poteva accusare di sovversivismo e di inesperienza il candidato
democratico.
Il mito della nuova frontiera Vinse, sia pure di poco, Kennedy che seppe far ricorso al
mito tipicamente americano della frontiera, che non significa, come nel vecchio mondo,
linea di demarcazione tra due paesi ugualmente popolati, bensì limite della colonizzazione, al di là del quale c'è l'ignoto, terre inesplorate da mettere a coltura,
possibilità di rifarsi una vita. L'immobilismo del partito repubblicano fu battuto dall'idea
di Kennedy che occorreva indicare alla nazione la nuova frontiera dell'integrazione dei
negri; di rapporti più rispettosi verso gli Stati latino-americani; di migliori condizioni di
sicurezza sociale per tutti gli americani poveri; di nuovi rapporti con l'URSS per mettere
in grado gli USA di vincere la gara tra i due sistemi, restituendo vigore al sistema
capitalistico ritenuto in grado di offrire benessere a tutti gli strati della popolazione e di
difendere insieme con le libertà personali anche la dignità dei popoli, il progresso
sociale, la civiltà.
L'industria spaziale Uno dei primi provvedimenti di Kennedy fu di stanziare somme
enormi per l'ente spaziale (NASA) che tra gli altri progetti aveva quello di portare per
primo sulla luna un americano, come avvenne nel luglio 1969. La gara spaziale ha così
innescato un processo di rinnovamento delle università, della ricerca applicata,
dell'industria ad alto contenuto tecnologico che ha condotto gli USA all'attuale
superiorità rispetto agli altri paesi del mondo.
La battaglia per i diritti umani Come Abraham Lincoln, Kennedy dovette affrontare il
problema dei negri americani, perché non era possibile, dopo un secolo dalla guerra
civile, tollerare discriminazioni tra i cittadini dovute al colore della pelle. Era doveroso
anche per motivi di politica estera: infatti, a partire dal 1960 molti Stati africani erano
divenuti indipendenti ed era probabile che i rappresentanti della politica di quelle
nazioni voltassero le spalle al mondo anglosassone se esso avesse insistito nella politica
di discriminazione. Quando Kennedy tentò di far approvare un'ampia legge sui diritti
civili, fu sconfessato dal Congresso e solo dopo la morte il problema ha trovato
soluzione.
La questione di Cuba Poco dopo l'elezione, Kennedy era incorso in un grave scacco
politico: aveva autorizzato uno sbarco nella Baia dei porci a Cuba per far cadere il
governo di Fidel Castro. L'impresa fallì rischiando di far cadere nel ridicolo il
presidente. I precedenti si possono così riassumere. Fino al 1959 l'isola dei Caraibi era
stata sottomessa alla dittatura di un sergente che si era impadronito del potere nel 1952,
Fulgencio Batista, in ottimi rapporti con gli USA, ai quali vendeva lo zucchero di canna
ai prezzi stabiliti dalle compagnie statunitensi. Fidel Castro iniziò una guerriglia
sanguinosa contro Batista e alla fine sconfisse l'avversario. Castro in primo luogo nazionalizzò la terra coltivabile e creò fattorie collettive sul modello russo e cinese. Ma la
cosa più grave fu la nazionalizzazione degli impianti zuccherieri di proprietà
statunitense: se gli USA non avessero reagito, l'esempio cubano sarebbe stato seguito
dagli altri Stati dell'America latina. Il governo americano ritenne di piegare il nuovo
regime cubano con l'arma della pressione economica, decidendo di non acquistare lo
zucchero cubano.
Intervento dell'URSS a Cuba Castro strinse rapporti con l'URSS che si impegnò ad
acquistare la produzione cubana di zucchero a un prezzo superiore a quello di mercato,
in cambio del permesso di installare missili russi a Cuba distante appena 150 chilometri
dalle coste della Florida. Il già accennato fallimento della spedizione di fuorusciti
cubani sembrò rafforzare Castro che sfidò il governo degli USA, fidando nell'appoggio
sovietico.
Le basi sovietiche a Cuba Nel corso del 1962 furono localizzate numerose basi
missilistiche, costringendo il presidente Kennedy a prendere gravi decisioni. Ordinò alla
flotta di circondare l'isola di Cuba per non far passare alcuna nave sovietica. Poi fu
annunciato che ogni attacco in partenza da Cuba sarebbe stato considerato come partito
dall'URSS. Infine furono ammassate truppe e rampe di missili in Florida. Il linguaggio
ufficiale fu durissimo da una parte e dall'altra, ma poi si seppe che avvennero contatti
diretti non ufficiali. Krusciov ordinò alle navi sovietiche di tornare indietro, e Castro
fece distruggere le rampe di lancio in cambio dell'assicurazione statunitense che non ci
sarebbero stati altri aiuti ai fuorusciti cubani. In seguito alla crisi fu deciso di stabilire
una linea telefonica diretta tra Mosca e Washington, che tra l'altro ha il compito di
stabilire una comunicazione d'urgenza tra i due governi, nel caso di qualche incidente
militare che rischiasse di apparire come un tentativo di aggressione.
Il conflitto nel Vietnam si estende Le speranze suscitate da Kennedy si infransero in
modo ancora più clamoroso nel Vietnam. Quell'infelice paese non conobbe pace fin
dall'invasione giapponese. I francesi erano tornati nel 1945, ma solo per esser ricacciati
nel 1954, quando nel corso della conferenza di Ginevra il paese fu diviso in due: il
Vietnam del Nord sotto un regime comunista guidato da Ho Chi Min, e il Vietnam del
Sud sotto un regime nazionalista guidato da Ngo Din Diem. La soluzione scontentò tutti
e presto il Vietnam del Sud risultò vessato dalla guerriglia sostenuta da un fronte di
liberazione nazionale, il Vietcong. Kennedy autorizzò un invio di consiglieri ancora più
consistente, circa 15.000, che si trovarono coinvolti in operazioni militari. È pressoché
impossibile distruggere la guerriglia quando essa può contare su aiuti esterni provenienti
da Stati che non è possibile colpire direttamente, e quando può contare sull'aiuto della
popolazione locale. Nel Vietnam del Sud c’erano queste condizioni. Alle armi
provvidero i governi russo e cinese; ai viveri dovevano provvedere i contadini locali.
Gli americani costruirono alcuni campi trincerati lungo la costa e con l'aviazione
controllavano le piste nella giungla; di notte i guerriglieri ammassavano mortai e razzi,
sparavano sui campi trincerati e poi scomparivano nella giungla. Nel 1963, in seno al
Vietnam del Sud scoppiarono contrasti che costarono la vita a Ngo Din Diem. Alla fine
dello stesso anno anche Kennedy fu ucciso e toccò al successore, Lyndon Johnson,
accollarsi il problema vietnamita.
Johnson presidente Johnson chiese l'autorizzazione al Congresso per difendere gli
interessi americani dell'Asia del sud est. Cominciarono allora i bombardamenti su
obiettivi militari del Vietnam del Nord con esiti modesti. I governi del Vietnam del Sud
divennero sempre più deboli e sempre meno democratici, mentre la presenza americana
diveniva sempre più consistente, fino a raggiungere la cifra di oltre mezzo milione di
soldati. Per reclutare i giovani da inviare in Vietnam si ricorse a criteri inaccettabili, per
esempio chi aveva scarso rendimento all'università era preferito a chi sapeva dimostrare
la propria utilità alla nazione come studioso. Crebbe una gigantesca resistenza alla
guerra condotta da cantanti come Jimy Endrix o Joan Baez, i modelli della nuova
generazione cresciuta nella società dell'abbondanza.
La contestazione giovanile La ribellione delle università cominciò verso il 1964 nella
regione più ricca d'America, la California, e si diffuse in Europa, soprattutto in Francia e
Germania, al tempo del cosiddetto maggio francese del 1968. Nel frattempo i
bombardamenti in Vietnam aumentarono, ma ora gli aerei erano abbattuti dai missili
forniti dall'URSS e la resistenza dei Vietcong non veniva infranta se non si colpivano le
basi di rifornimento poste oltre il confine. Ma oltre il confine c'era la Cina e più in là la
Russia.
Disimpegno nel Vietnam Alla fine del 1967 apparve chiaro ai generali americani che la
guerra era perduta e che accadevano pericolosi casi di ribellione. Johnson annunciò il
ritiro dalla candidatura alle elezioni previste per la fine del 1968 e la cessazione
unilaterale dei bombardamenti sul Vietnam del Nord.
Nixon presidente Il nuovo presidente, il repubblicano Richard Nixon decise di aprire
trattative di pace, condotte a Parigi con esasperante lentezza dai nordvietnamiti che
sapevano di poter contare sul tempo per avere completa vittoria. Nel corso dei primi
quattro anni della presidenza Nixon i soldati americani furono ritirati e i loro materiali
consegnati ai sudvietnamiti.
Una pace precaria Nel gennaio 1973 la pace fu firmata a Parigi da Henry Kissinger,
l'ambasciatore viaggiante di Nixon, e da Le Duc Tho per i nordvietnamiti. Fu una pace
problematica perché i nordvietnamiti proseguirono la guerriglia e nel gennaio 1975
sferrarono l'attacco finale contro Saigon. Gli americani non risposero coi
bombardamenti e ciò fu interpretato come segnale di disimpegno. Ad aprile non esisteva
più il Vietnam del Sud. Nei vicini Stati del Laos e della Cambogia, che sarebbero dovuti
rimanere neutrali, presero il potere i comunisti: nel Laos il Pathet Lao e in Cambogia i
Khmer Rossi. Particolarmente feroci i secondi che hanno preso decisioni costate la vita
a milioni di persone. Phnom Penh, la capitale della Cambogia con circa due milioni di
persone, è stata svuotata di tutti gli abitanti, ricondotti in campagna a lavorare la terra
per rieducarli politicamente. Nella primavera del 1979 l'esercito vietnamita, il più
potente dell'Asia sudorientale, armato col bottino dell'esercito americano, invase la
Cambogia e rovesciò il regime dei Khmer Rossi. Fu chiaro al mondo il dissidio violento
tra Cina e URSS, perché i Khmer Rossi erano sostenuti dal governo cinese, mentre i
vietnamiti apparvero come i portavoce degli interessi russi.
Nuove tensioni militari La Cina, più per salvare la faccia, decise una breve ma
massiccia campagna di frontiera contro il Vietnam per "avvertirlo" delle conseguenze
del suo espansionismo, anche se appare chiaro che l'“avvertimento” era diretto
all'URSS, per evitare che interferisse troppo apertamente in una regione geografica che
la Cina ritiene di sua pertinenza.
18. 3 Giovanni XXIII e il Concilio Vaticano II
L'età di Krusciov e di Kennedy sarebbe incompleta se non venisse ricordata la
singolare figura del papa Giovanni XXIII, che in un mondo dominato dai timori
generati dalla potenza distruttiva delle armi nucleari riportò tra i popoli la speranza in un
avvenire migliore.
Giovanni XXIII Alla morte di Pio XII fu eletto, all’età di 78 anni, il patriarca di
Venezia Giuseppe Roncalli, che assunse il nome di Giovanni XXIII, la cui bonomia - fu
chiamato il parroco del mondo - conquistò tutti. Poiché le tensioni provocate dal
modernismo e riprese dalla cosiddetta "nouvelle théologie" erano state solo sopite e non
risolte, occorreva ricorrere alla suprema istanza nella vita della Chiesa, al Concilio
ecumenico.
Il Concilio Vaticano II Giovanni XXIII annunciò nel 1959 di convocare a concilio i
vescovi. Indicò anche il compito assegnato al concilio usando la parola "aggiornamento" che sembrava escludere nuove dichiarazioni dogmatiche. Subito si mise al
lavoro una commissione che operò un'ampia consultazione dell'episcopato. Le risposte
furono numerosissime, mettendo in luce un diffuso desiderio di rinnovamento, talvolta
anche utopistico.
Inaugurazione del concilio Il concilio fu inaugurato l'11 ottobre 1962 alla presenza di
oltre 2200 vescovi. La prima sessione fu faticosa e occorse un certo rodaggio per dare
speditezza ai lavori. Grande importanza assunse il "Segretariato per l'unità dei cristiani",
un centro di raccordo delle tendenze miranti al rinnovamento e all'ecumenismo, un
termine quest'ultimo che compendiava le speranze di coloro che, anche a costo di bruciare le tappe, avrebbero voluto riunire le Chiese separate e scismatiche.
Morte di Giovanni XXIII Il 3 giugno 1963, dopo una lunga agonia che commosse il
mondo, Giovanni XXIII morì. Qualche anno prima, il papa aveva compiuto il primo
viaggio di un papa di questo secolo fuori Roma, a Loreto. Al ritorno, ormai stanco data
l'età, gli annunciarono che nella piazza di San Pietro erano riunite migliaia di persone
che non si poteva rimandare senza mostrarsi alla finestra. Il papa si fece forza e
improvvisò qualche parola: la commozione giunse al culmine quando disse ai presenti
di andare a casa e di fare una carezza ai bambini dicendo che era una carezza del papa.
Paolo VI Il successore fu l'arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini, esperto di
affari ecclesiastici, prudente, colto: assunse il nome di Paolo VI (1963-1978). Egli
decise la prosecuzione del concilio e seppe portarlo a termine in un tempo ragionevole.
L'opera da lui realizzata è imponente e vale la pena ripercorrerla.
Riforme ecclesiastiche In primo luogo va ricordata la riforma della Curia le cui cariche
divennero temporanee (cinque anni) e col limite di età fissato a 80 anni per i cardinali;
internazionalizzazione degli organismi curiali: sono stati aboliti antichi corpi di
rappresentanza (guardie nobili); la collegialità dei vescovi si è concretata con
l'espansione delle Conferenze episcopali regionali, nazionali e continentali che
assumono crescente importanza per armonizzare l'azione dei vescovi.
Il sinodo dei vescovi Ogni due anni è convocato un Sinodo dei vescovi, composto di
rappresentanti di ogni conferenza episcopale: il sinodo perciò è composto di circa 200
vescovi i quali affrontano nel corso di un mese i problemi più urgenti della Chiesa.
I segretariati La Chiesa ha creato numerosi organismi centrali per promuovere e
coordinare gli sforzi delle diocesi: il Segretariato per i non cristiani e per i non credenti;
il Consiglio per i laici; la Commissione Iustitia et Pax; la Commissione teologica
internazionale; il Consiglio Cor Unum, per il coordinamento dell'assistenza; l'Ufficio
centrale di statistica, per raccogliere i dati sulla Chiesa nel mondo: questi organismi non
hanno solo compiti tecnici, bensì devono offrire possibilità concrete di applicazione,
mettendo a disposizione di regioni meno sviluppate le acquisizioni culturali raggiunte
nei paesi più evoluti.
La riforma liturgica La riforma liturgica è stata attuata con notevole impegno. Le
lingue moderne hanno sostituito il latino nel culto conducendo i riti a perfetta
trasparenza per i fedeli. La decisione è stata importante per i paesi dell'Africa e dell'America latina in cui è in corso il recupero dell'antica cultura locale.
I grandi viaggi del papa Infine è iniziata la stagione dei grandi viaggi apostolici del
papa che ha raggiunto tutti i continenti, tutti gli ambienti, compresa la sede dell'ONU
nel Palazzo di Vetro di New York per testimoniare l'impegno della Chiesa per la pace,
per la giustizia sociale, per il progresso umano.
Giovanni Paolo I Nell'agosto 1978 Paolo VI morì. I cardinali elessero il patriarca di
Venezia Albino Luciani - Giovanni Paolo I - che fin dai primi atti del pontificato
sembrava ripercorrere la strada indicata da Giovanni XXIII, ma dopo poco più di un
mese morì. Il successore fu il cardinale Karol Wojtyla, arcivescovo di Cracovia,
polacco, un evento subito avvertito come eccezionale.
18. 4 Breznev estende l'impero russo
Breznev estromise Krusciov da ogni incarico nell'ottobre 1964 e rimase al potere
fino alla morte avvenuta nel 1982.
La fine del disgelo Il decennio di potere di Krusciov era stato ricco di novità politiche:
la destalinizzazione, la fine della guerra fredda, la gara spaziale, il progetto di
coltivazione delle terre vergini, la competizione pacifica con l'Occidente, il conflitto con
la Cina di Mao Tse-tung, la grave crisi di Cuba dell'ottobre 1962. Dopo il 1960 la
politica di Krusciov apparve sempre meno chiara e il partito comunista russo si trovò
spesso in disaccordo col segretario generale. La causa della sua caduta va cercata
soprattutto nel fallimento economico dell'URSS, specie in campo agricolo, cui seguì la
decisione di diminuire gli stanziamenti per l'esercito. Nel 1963 fu stipulato l'accordo per
non compiere test nucleari nell'atmosfera, preludio al trattato di non proliferazione delle
armi nucleari, siglato nel 1968.
Gli anni di Breznev La politica dell'URSS non ha subito un radicale cambiamento
dopo l'avvento al potere di Leonid Breznev: il ministro degli esteri Andrej Gromyko
rimase al suo posto. L'avvento di Breznev si dovette a problemi interni, al desiderio di
evitare nuovi avventurismi nel campo della politica agraria e dei rapporti con la Cina.
Le realizzazioni più importanti di Breznev vanno cercate nel raggiungimento di una
effettiva parità con gli USA sul piano strategico, ossia l'URSS raggiunse lo status di
superpotenza che non poteva esser ignorata in alcun affare mondiale, perché ogni area
poteva esser dichiarata di vitale importanza per l'URSS. Il risultato di questa parità
strategica tra USA e URSS fu l'avvio dei colloqui SALT e la conferenza di Helsinki,
avvenuti tra il 1970 e il 1975. Dopo quest'ultima data la politica sovietica si è
appannata.
Si riacuisce la tensione con l'Occidente Dal 1973 l'Occidente si trovò involto nella
grave crisi dell'aumento dei prezzi del petrolio, della caduta del valore del dollaro,
dell'inflazione. Ne seguì la persuasione che la sicurezza dell'Occidente era diminuita
perché l'equilibrio tra le superpotenze si sarebbe spostato a favore dell'URSS. Nel 1979
l'URSS inviò un corpo di spedizione in Afghanistan, forte di almeno 100.000 uomini
per appoggiare il regime comunista che aveva preso il potere a Kabul. Non è facile
indicare il motivo che ha spinto il governo dell'URSS a impegnarsi in un pericoloso
conflitto contro la guerriglia dopo il precedente della sconfitta americana nel Vietnam.
Problemi interni dell'URSS Accanto alla spettacolare politica estera si pongono i
drammatici avvenimenti all'interno dell'URSS. Il primo è una grave stagnazione
dell'economia sovietica. La crisi petrolifera colpì anche l'URSS dal momento che quella
materia prima è la principale voce delle sue esportazioni: infatti, la tecnologia acquistata
in cambio del petrolio venne a costare di più dei profitti ricavati dal petrolio. Due
problemi si presentavano con particolare urgenza. Il primo era di dare continuità
all'azione di governo; l'altro era di risolvere il cronico problema dell'agricoltura. La
soluzione al primo problema fu di confermare le persone nella loro carica, ma questa
decisione ha avuto gravi conseguenze con l'instaurarsi di una sorta di gerontocrazia,
ossia la permanenza al potere di persone anziane. Questo fatto rappresentava il trionfo
della nomenklatura, della burocrazia divenuta rigida, rivolta al compito di rafforzare i
privilegi di casta piuttosto che mirare all'efficienza e alla produttività. I metodi
repressivi sono divenuti sempre più controproducenti e perciò ogni burocrate ha dovuto
affermare la propria necessità ideando faraonici progetti di sfruttamento delle materie
prime con effetti devastanti sull'ambiente. Le centrali nucleari sono state costruite senza
rispettare i più elementari criteri di sicurezza: appare prodigioso che l'esplosione di
Chernobyl finora sia stata l'unica. Le acciaierie della Siberia producono troppo acciaio,
impiegato anche là dove potrebbe essere sostituito dalla più economica plastica: per di
più non sono stati previsti depuratori per i fumi di scarico con grave danno della salute
pubblica.
L'agricoltura Per quanto riguarda l'agricoltura, i kolchoziani dispongono di un
appezzamento di circa tremila metri quadrati, chiamato "orto". Quegli orti forniscono la
maggior parte della verdura e della frutta consumata nell'URSS, ma anche qui a costi
assurdi. Le contadine georgiane prendevano l'aereo (il prezzo dei biglietti è molto
basso) per recano nei mercati delle città fino a un'ora di volo dalla Georgia col loro
cesto e la sera ritornavano a casa sempre in aereo. Un semplice calcolo economico di
quella verdura appare astronomico.
L'URSS e i paesi dell'est europeo Il compito di Breznev fu di mantenere sotto
controllo una crisi che andava crescendo di gravità e che tendeva a travolgere gli
equilibri raggiunti con la forza da Stalin e da Krusciov. La crisi più acuta si ebbe a
Praga nel 1968 quando Alexander Dubcek tentò una serie di riforme per introdurre un
"comunismo dal volto umano" nel suo paese. Il 20 agosto 1968 Breznev ordinò la
repressione di quell'esperimento che appare una replica di ciò che era avvenuto a
Budapest nel 1956 al tempo di Krusciov.
Morte di Breznev Nel 1982 morì Breznev e nell'URSS si succedettero come segretari
generali del partito comunista Juri Andropov e Costantin Cernenko. Il primo, nel 1983,
denunciò gravi carenze sul piano economico: auspicava maggiore disciplina, la
necessità di accrescere la produttività e una più severa politica salariale.
Morte di Andropov Andropov morì dopo lunga malattia tenuta segreta. Il successore
Cernenko appariva anch'egli malandato e perciò la politica sovietica rimase a lungo
senza una guida mentre all'interno cresceva la crisi economica col pericolo di collasso
del sistema.
L'avvento di Gorbaciov Su proposta di Gromyko il comitato centrale del PCUS elesse
nel marzo 1985 il giovane e dinamico Mikhail Gorbaciov che ha tentato di imprimere
alla politica russa una serie di aperture spettacolari.
18. 5 L'America da Nixon a Reagan
Negli USA il decennio tra il 1970 e il 1980 fu impiegato ad assorbire la dura lezione
del Vietnam che, come si è detto, trovò un epilogo tragico nel 1975 quando il Vietnam
del Nord scatenò un'ultima offensiva travolgendo la resistenza del Vietnam del Sud. Da
allora cominciò un tragico esodo di quei vietnamiti che cercarono di abbandonare il loro
paese su barche affollate.
La presidenza Nixon Dopo il ritiro di Johnson, le elezioni americane furono vinte da
Richard Nixon, col compito urgente di chiudere la guerra nel Vietnam riportando a casa
i soldati americani. Come consigliere personale, e in seguito come segretario di Stato,
scelse Henry Kissinger, studioso di Metternich e teorico della potenza applicata a ogni
singola questione, lasciando cadere le giustificazioni ideali. Presupposto della politica di
Nixon era il riconoscimento della bipolarità militare, ossia l'ammissione della pari
potenza tra URSS e USA; accanto alla bipolarità militare fu accettata la multipolarità
politica, ossia operare il riconoscimento della crescita politica di altre aree mondiali, in
primo luogo la Cina e l'Europa avviata all'unificazione politica oltre che economica.
La diplomazia di Kissinger Secondo Kissinger l'epoca dei grandi progetti era finita,
non esistevano soluzioni globali per la pace nel mondo: occorreva una politica che
operasse giorno per giorno per accordi come il SALT I (Colloqui per la limitazione
delle armi strategiche) in cui si fecero concessioni all'URSS in materia commerciale e di
scambi tecnologici in cambio di concessioni da parte sovietica su problemi che stavano
a cuore agli americani come Berlino, il Vietnam e il Vicino Oriente.
La guerra del Vietnam Kissinger non aveva soluzioni per porre termine alla guerra
vietnamita: scelse di iniziare trattative alternando massicce ritorsioni quando gli
avversari non accettavano le trattative. Nixon non poteva ritirare subito tutte le truppe
americane per non dover ammettere la sconfitta e per non perdere ogni prestigio in Asia.
Nel 1970 la guerra fu estesa alla Cambogia usata dai Vietcong come rifugio dei
guerriglieri. Poi fu deciso di armare i sudvietnamiti affidando loro l'esecuzione dei piani
di guerra. Nel 1971 Van Thieu, presidente del Vietnam del Sud ordinò l'invasione del
Laos, un altro paese utilizzato dai Vietcong per rifugiarsi dopo gli attacchi ai campi
americani.
Comincia il ritiro dei soldati americani Dal 1969 era cominciato il ritiro dei soldati
americani che da circa 500 mila furono ridotti a circa 40 mila nel 1972. Le operazioni in
Cambogia e nel Laos non furono approvate dall'opinione pubblica americana. A Parigi
continuavano gli incontri condotti dai negoziatori nordvietnamiti con esasperante
lentezza finché Nixon decise di allargare le trattative a Cina e URSS che fornivano
l'armamento al Vietnam del Nord. In questo contesto si spiega il viaggio di Nixon a
Pechino nel 1972 col compito di ammorbidire l'URSS di fronte al pericolo di un'intesa
tra Cina e USA. Sempre nel 1972 Nixon si recò anche a Mosca per la firma dell'accordo
SALT I, concluso dopo due anni di trattative condotte a Helsinki. La clausole di
quell'accordo furono il congelamento di sottomarini atomici, di aerei strategici e di
missili intercontinentali.
Difficoltà del Vietnam del Nord Il Vietnam del Nord, tra i due viaggi di Nixon a
Pechino e a Mosca, lanciò un deciso attacco per dimostrare il fallimento del tentativo
americano di rendere la guerra un fatto locale tra le due parti del Vietnam. La reazione
americana fu la ripresa dei bombardamenti e la decisione di minare il porto di Hanoi: le
reazioni di Mosca furono contenute e i Vietcong furono costretti a tornare al tavolo delle
trattative di Parigi.
La firma della pace In tre settimane Kissinger e Le Duc Tho stabilirono il quadro
dell'accordo diplomatico: esso prevedeva il ritiro delle forze americane entro due mesi
dalla firma del trattato. Nel novembre 1972 Nixon fu rieletto. Nel gennaio 1973 la pace
fu firmata, anche se si trattò di una tregua armata.
L'economia americana I costi ingenti della guerra costrinsero Nixon a prendere
provvedimenti urgenti per l'economia americana. Il più clamoroso fu decretare la fine
della convertibilità del dollaro in oro, una funzione assolta dal dollaro fin dal 1944. La
svalutazione del dollaro si sommò all'aumento del prezzo del petrolio, mettendo in difficoltà l'economia mondiale per il resto del decennio.
Lo scandalo del Watergate Nel 1974 esplose il noto scandalo del Watergate: il
presidente Nixon fu attaccato dalla stampa e infine posto in stato di accusa. Solo con le
dimissioni del presidente lo scandalo si placò. Fino al 1976 fu presidente Gerald Ford:
alle elezioni di quell’anno gli americani elessero il candidato democratico Jimmy
Carter.
La presidenza Carter Il nuovo presidente aveva riportato il suo partito al potere con un
ambizioso programma fondato sulla difesa dei diritti umani. Non ebbe troppo successo e
il periodo della sua presidenza appare incerto, sfocato, anche se al suo attivo si può
ascrivere il successo degli accordi di Camp David tra Egitto e Israele. Nel 1976 Breznev
giudicò l'Occidente in pieno collasso, economico e ideologico, iniziando una serie di
mosse che svuotarono il senso della distensione.
L'espansionismo sovietico La prima mossa avvenne in Africa, nell'Angola e
nell'Etiopia, dove furono inviati consiglieri, armi e mercenari cubani: di fatto i due paesi
entrarono a far parte della sfera d'influenza sovietica. In Europa l'operazione fu più
complessa. Passando sopra gli accordi SALT I, i russi installarono i missili SS 20 a tre
testate nucleari di modello molto preciso. Il rapporto di forza fu così alterato a favore
dei sovietici. Il problema, più che militare, era politico: ossia si voleva far costatare
quanto debole fosse l'ombrello protettivo americano, perché di fronte a un attacco
sovietico contro l'Europa occidentale, l'aiuto americano sarebbe giunto troppo tardi.
Carter, qualunque sia la valutazione della sua opera, riuscì a condurre in porto trattative,
soprattutto con la Germania Federale, volte a far installare i missili Pershing 2 e Cruise
in Europa per riequilibrare la potenza sovietica. Ci furono un po' ovunque
manifestazioni, ma alla fine i governi europei accettarono la dislocazione dei nuovi
missili. Nel dicembre 1979 avvenne l'occupazione russa dell'Afghanistan.
L'elezione di Reagan Nel novembre 1980 le elezioni americane furono vinte da Ronald
Reagan che da sempre aveva espresso la sua convinzione circa la pericolosità
dell'URSS. La politica americana tornò ai toni della crociata, mettendo da parte il complesso di colpa del Vietnam e una certa remissività di Carter. Il nuovo presidente oppose
una crescente fermezza nei confronti dell'URSS. La morte di Breznev, seguita dal
periodo di assestamento al potere di Andropov, permise a Reagan di rimandare a lungo
i colloqui SALT II. Il nuovo tema proposto da Reagan fu quello dello scudo spaziale,
ossia la messa in opera di un sistema antimissili così perfezionato da rendere
impossibile un attacco sovietico ai danni degli USA. Probabilmente il progetto era tanto
ambizioso da superare anche le possibilità finanziarie americane. Il governo dell'URSS,
non potendo reggere una gara tecnologica che avrebbe impegnato tutte le sue risorse, si
ammorbidì.
La politica interna di Reagan Anche nella politica interna Reagan ha impresso una
svolta notevole. Ha bloccato le tasse permettendo una ripresa dell'economia di mercato;
ha operato un taglio delle spese assistenziali, ricordando che le imprese hanno per fine il
lucro e non la beneficenza; ha iniziato un serrato confronto con l'Europa e col Giappone
per resistere meglio alla loro offensiva economica. Nel 1984 Reagan fu rieletto, ma
dall'anno successivo la scena mondiale fu dominata dalle svolta operata da Gorbaciov
nell'URSS.
18. 6 Gorbaciov e il crollo dell'impero sovietico
Da molto tempo gli esperti attendevano la crisi sovietica. Il metodo usato fu
l'applicazione della statistica e della demografia a un campo reso oscuro precisamente
dalla statistica ufficiale sovietica.
Perestrojka Appena nominato segretario generale del partito comunista sovietico,
Gorbaciov compì un viaggio in Gran Bretagna coronato da notevole successo personale.
La parola d'ordine del nuovo segretario fu perestrojka, ossia un completo rinnovamento
dei metodi amministrativi e politici che hanno retto da settant'anni l'URSS e che si sono
rivelati inadeguati per assicurare libertà e benessere ai cittadini dell'URSS.
Resistenza della burocrazia sovietica I metodi nuovi e l'accoglimento di numerose
critiche che solo qualche anno prima sarebbero state punite con l'invio nei campi di
concentramento, dapprima stupirono poi provocarono la crescente resistenza dell'apparato burocratico che nell'URSS non aveva mai adottato alcun criterio di produttività
nella propria azione. Ben presto, accanto alla perestrojka fu invocata la glasnost, ossia
la trasparenza perché la protesta venisse allo scoperto permettendo a Gorbaciov di
contare sull'appoggio dell'opinione pubblica interna e internazionale.
Il millennio della Russia cristiana Nel 1988 fu celebrato il primo millennio della
Russia cristiana, iniziato col battesimo di Vladimiro principe di Kiev. L'avvenimento
ebbe grande risonanza internazionale con la riapertura di molte chiese ortodosse, con la
ripresa del culto pubblico anche delle altre confessioni religiose in precedenza vietato.
Gorbaciov, in difficoltà per la resistenza del vecchio apparato, comprese di aver bisogno
del papa, delle Chiese cristiane, dei credenti per far riuscire la perestrojka.
Il crollo dell'impero esterno sovietico Nel 1989, mentre in Francia si celebrava il
bicentenario della rivoluzione francese, nei paesi dell'est maturava una ben diversa
rivoluzione. Si è accennato al viaggio di Gorbaciov in Cina nel mese d'aprile, proprio
mentre gli studenti occupavano la grande piazza Tienanmen, sfidando il monopolio del
potere tenuto dal partito comunista. Forse per questo motivo è passata in secondo piano
la parte più spettacolare delle decisioni di Gorbaciov, il ritiro unilaterale di gran parte
delle truppe russe stazionanti in Estremo Oriente e in Afghanistan.
La fine del regime comunista in Polonia Il caso più clamoroso avvenne in Polonia
dove furono celebrate libere elezioni che hanno comportato la scomparsa del POUP, il
partito comunista polacco. Nuovo primo ministro fu Mazoviecki, il teorico di
Solidarnosc, mentre presidente della repubblica fu nominato il generale Jaruzelski, per
non rendere traumatica la rottura col precedente regime.
La fine del regime comunista in Ungheria Nel maggio 1989 a Budapest avvenne la
solenne commemorazione di Imre Nagy, fucilato dai sovietici nel 1956, riconosciuto
come eroe. Anche in Ungheria sono sorti numerosi partiti politici che hanno travolto il
partito comunista ungherese, costringendolo alla rifondazione e al cambio del nome
ufficiale. Nella primavera del 1990 le elezioni hanno mandato al governo una coalizione
di centro.
La fine del regime comunista nella Germania orientale Il movimento, ormai
incontenibile, travolse il regime comunista in Cecoslovacchia e nella Germania
orientale. Il 9 novembre, di fronte all'incredulità del mondo, il muro di Berlino cominciò
a venir demolito e a migliaia i tedeschi orientali si riversarono a Berlino Ovest e poi
nella Germania Federale, suscitando non pochi problemi. Anche qui, le elezioni
celebrate nella primavera del 1990 assegnarono la maggioranza a una coalizione di
partiti di centro. Il 29 novembre 1989, Voclaw Havel, un ex detenuto oppositore del
regime comunista cecoslovacco, per anni risultato il più duro nei confronti di ogni
resistenza, fu nominato presidente della repubblica. Nell'aprile 1990 il papa Giovanni
Paolo II compì un viaggio in Cecoslovacchia, accolto trionfalmente, mentre numerosi
partiti si apprestavano a celebrare le prime elezioni libere dopo 45 anni di dittatura di un
partito unico. Anche in Bulgaria il regime comunista è caduto lasciando intravedere
spazi di libertà.
Incontri di Gorbaciov con Giovanni Paolo II e Bush Il 1° dicembre 1989 Gorbaciov
giunse in visita di Stato in Italia. Trovò una calda accoglienza che significava
approvazione del mancato intervento repressivo dell'URSS nell'Europa orientale. Dopo
questa visita, quanto mai significativa perché fu la prima compiuta da un capo di Stato
dell'URSS al papa, avvenne l'incontro di Malta col presidente americano Bush, con
proposte clamorose quali il ritiro dei missili e delle divisioni corazzate dall'Europa
orientale.
Il dramma della Romania Solo il regime di Ceausescu in Romania sembrava superare
imperterrito il sommovimento politico dell'Europa orientale. Da qualche settimana era
stato celebrato un monolitico congresso del partito comunista romeno che sembrava
aver bloccato ogni possibilità di rinnovamento. Ceausescu compì anche una visita di
Stato in Iran, forse per dimostrare la solidità del proprio regime, fondato su una polizia
segreta spietata ed efficiente. A Timisoara in Transilvania iniziarono manifestazioni di
folla come nel resto dell'Europa orientale. La moglie di Ceausescu ordinò una feroce
repressione con migliaia di morti. Perfino una manifestazione di folla voluta da
Ceausescu per riprendere in mano la situazione gli si rivolse contro. Nel corso di una
breve ma violenta guerra civile condotta dalla popolazione e dall'esercito regolare
contro la polizia segreta, il comitato insurrezionale riuscì a catturare i coniugi
Ceausescu e, dopo un processo sommario, essi furono giustiziati, anche per mostrare in
TV la morte del tiranno e rendere inutile la resistenza.
Tensioni nelle repubbliche baltiche e del Caucaso Anche all'interno dell'URSS
crebbe un acuto fermento nazionalista. Le repubbliche baltiche, che perdettero
l'indipendenza a seguito del patto Ribbentrop-Molotov dell'agosto 1939, divennero
repubbliche organiche dell'URSS. La Lituania, insofferente del potere sovietico, scelse
la via di una unilaterale dichiarazione di indipendenza, cui Gorbaciov oppose un rifiuto
tagliando gas, petrolio e viveri. Estonia e Lettonia si avviarono nella stessa direzione,
sia pure con maggiore prudenza. Nelle repubbliche caucasiche di Armenia, Georgia e
Azerbaigian sono accaduti gravi incidenti tra le diverse etnie con numerosi morti. È
chiaro che mentre Gorbaciov, per molti motivi, non ha potuto reprimere il movimento di
indipendenza dei paesi dell'est europeo, ebbe molti motivi per reagire ai movimenti
disgregativi interni all'URSS, perché in questo caso rischiava di scomparire l’Unione
Sovietica, in particolare l'immensa Siberia, abitata da poco più di 25 milioni di abitanti,
in possesso della più grande riserva di materie prime esistente al mondo.
18. 7 Cronologia essenziale
1948 Esplode il conflitto politico tra URSS e Jugoslavia che rifiuta le direttive del
Cominform. Inizia il blocco di Berlino Ovest che dura dieci mesi. Truman è rieletto
presidente degli USA.
1950 A giugno inizia la guerra di Corea.
1953 A marzo muore Stalin. Per breve tempo il successore sembra Malenkov, poi si fa
luce Krusciov.
1956 Ribellione dell'Ungheria: Krusciov fa intervenire i carri armati. In precedenza era
stato celebrato il XX congresso del partito comunista con la denuncia dei crimini di
Stalin e del culto della personalità.
1956 Dopo la partenza dei francesi dall'Indocina, inizia il coinvolgimento americano nel
Vietnam.
1958 È eletto papa il patriarca di Venezia Giuseppe Roncalli che assume il nome di
Giovanni XXIII.
1960 Incidente dell'aereo U2 abbattuto mentre sorvolava l'URSS. Kennedy è eletto
presidente degli USA.
1962 Nel corso della grave crisi di Cuba, l'URSS è costretta a far tornare indietro le navi
che trasportavano missili a Cuba.
1963 Kennedy è ucciso a Dallas nel Texas. Inizia la fase acuta del coinvolgimento
americano nel Vietnam.
1964 Krusciov è esautorato dalle sue cariche e sostituito da Leonid Breznev.
1968 Ad agosto i carri armati russi stroncano la "primavera di Praga", il tentativo di
attuare un diverso comunismo.
1969 Inizia il ritiro delle truppe americane dal Vietnam.
1973 È firmata la pace nel Vietnam dai negoziatori Kissinger e Le Duc Tho.
1974 Il grave scandalo Watergate costringe Nixon alle dimissioni.
1975 Il Vietnam del Sud è sottoposto al regime comunista del Vietnam del Nord.
1976 Intervento dell'URSS in Angola ed Etiopia. In America le elezioni presidenziali
sono vinte da Jimmy Carter.
1978 Muore il papa Paolo VI e poco dopo il successore Giovanni Paolo I. Viene eletto il
cardinale di Cracovia Karol Wojtyla che assume il nome di Giovanni Paolo II.
1980 Scioperi di Danzica in Polonia e nascita del sindacato libero Solidarnosc. In
America è eletto il repubblicano Ronald Reagan.
1981 Attentato al papa in piazza San Pietro. Stato d'assedio in Polonia attuato dal
generale Jaruzelski.
1982 Morte di Breznev. Gli succedono in rapida sequenza Andropov e Cernenko.
1985 Mikhail Gorbaciov è eletto segretario del partito comunista russo. Iniziano
spettacolari aperture di politica interna ed estera.
1989 Termina di fatto senza vittime il regime comunista in Polonia, Cecoslovacchia,
Ungheria, Germania orientale. Cambio di potere in Bulgaria. Grave guerra civile in
Romania. Disimpegno russo in Afghanistan.
1990 Riforme interne nell'URSS con aumento di poteri per Gorbaciov. Tensione nelle
repubbliche caucasiche e negli Stati baltici, specie in Lituania.
18. 8 Il documento storico
Il documento che segue proviene da una fonte autorevole perché è di Gorbaciov e
spiega perché si è resa necessaria la politica della perestrojka: egli afferma che si tratta
di una crisi nel sistema non la crisi del sistema. Il libro è stato pubblicato nel 1987
prima dei grandi avvenimenti accaduti nell'Europa orientale nel 1989 e che forse sono di
natura tale da incrinare la sicurezza di molte affermazioni di Gorbaciov.
“Lasciatemi prima spiegare la situazione tutt'altro che semplice che si è prodotta nel
paese verso gli anni Ottanta e che ha reso la perestrojka necessaria e inevitabile.
Durante una certa fase (e questo apparve particolarmente chiaro nella seconda metà
degli anni Settanta) accadde qualcosa a prima vista inesplicabile. Gli insuccessi
economici divennero più frequenti. Le difficoltà cominciarono ad accumularsi e a
deteriorarsi, i problemi insoluti a moltiplicarsi. Nella vita sociale incominciarono ad
affiorare elementi di quella che possiamo chiamare stagnazione e altri fenomeni estranei
al socialismo. Si formò una specie di "meccanismo frenante" che influiva sullo sviluppo
sociale ed economico. E tutto ciò avvenne in un periodo in cui la rivoluzione scientifica
e tecnologica schiudeva nuove prospettive di progresso sociale ed economico.
Stava accadendo qualcosa di strano: l'enorme volano di una macchina poderosa
continuava a girare, ma la cinghia di trasmissione che la collegava ai luoghi di lavoro
slittava, oppure i congegni di guida si erano allentati.
Analizzammo la situazione e scoprimmo innanzi tutto un rallentamento della nostra
crescita economica. Negli ultimi quindici anni i tassi di crescita del reddito nazionale
erano declinati più della metà, e all'inizio degli anni Ottanta erano caduti a un livello
molto prossimo a quello della stagnazione economica. Un paese che un tempo si stava
rapidamente avvicinando alle nazioni più progredite del mondo incominciava a perdere
posizioni su posizioni. E lo scarto nell'efficienza della produzione, nella qualità dei
prodotti, nel progresso scientifico e tecnologico, nella produzione della tecnologia
avanzata e nell'uso delle tecniche avanzate incominciava ad allargarsi, non certo a
nostro vantaggio.
La produzione quantitativa, soprattutto nell'industria pesante, era divenuta della
massima priorità, quasi fosse fine e a se stessa.
Accadeva così anche nella struttura del capitale: una parte consistente della ricchezza
nazionale diventava un capitale inutilizzato. C'erano progetti dispendiosi che non si
rivelavano all'altezza dei più elevati criteri scientifici e tecnologici. Il lavoratore o
l'azienda che aveva impiegato più manodopera, materiale o denaro veniva considerato
il migliore