Anche i neuroni specchio ci sorridono

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I neuroni specchio ci sorridono
Alfonso Cappa
INDICE DEGLI ARGOMENTI
PREFAZIONE
2
INTRODUZIONE
13
PARTE I - Musica, autismo e neuroni specchio
17
Premessa
18
CAPITOLO I - La musica che cura
25
1.1
25
Aspetti generali della Musicoterapia
1.1.1 Cenni storici
25
1.1.2 La formazione: uno sguardo alla situazione italiana
33
1.2
35
I modelli di Musicoterapia
1.2.1 Immaginazione Guidata di H. Bonny
37
1.2.2 Musicoterapia Creativa di Nordoff-Robbins
38
1.2.3 Il modello Benenzon
40
1.2.4 Il modello di Alvin
44
1.2.5 Il modello Orff
46
1.2.6 La scuola di Musicoterapia di Assisi
48
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1.3
Alcuni concetti psicologici fondamentali
54
1.4
Aspetti tecnico/operativi
63
1.4.1 Il setting
63
1.4.2 Gli strumenti musicali
65
1.4.3 L’improvvisazione sonoro-musicale
67
1.4.4 Il ruolo della coppia terapeutica: musicoterapeuta e
co-terapeuta
72
1.4.5 La supervisione
73
1.4.6 La costruzione di un progetto musicoterapico
74
1.5
76
Le tecniche musicoterapiche
1.5.1 Musicoterapia improvvisativa individuale
77
1.5.2 Musicoterapia improvvisativa gruppale
79
1.5.3 Musicoterapia ricettiva individuale
80
1.5.4 Musicoterapia ricettiva gruppale
80
1.6
Gli ambiti di applicazione
81
1.7
La Musicoterapia tra riabilitazione e terapia
87
1.7.1 Il concetto di cura
87
1.7.2 La riabilitazione
89
1.7.3 La psicoterapia
90
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1.7.4 Scopi della riabilitazione musicoterapica
92
CAPITOLO II - Musica, emozioni e neuroni specchio
95
2.1
Premessa
95
2.2
Da un primo senso del Sé alle relazioni con l’altro 95
2.2.1 Introduzione al pensiero di Daniel Stern
95
2.2.2 I sensi del Sé
96
2.2.3 La percezione amodale
98
2.2.4 Gli affetti vitali
102
2.2.5 La sintonizzazione affettiva
103
2.3
111
La scoperta dei neuroni specchio
2.3.1 Leggere le emozioni
112
CAPITOLO III - La Musicoterapia e l’autismo
115
3.1
115
L’autismo
3.1.1 Considerazioni generali
115
3.1.2 Caratteristiche cliniche dell’autismo
118
3.1.3 Conoscenze attuali sulle cause dell’autismo
122
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3.2
Musica e autismo
3.2.2 La musicalità autistica
136
136
3.2.3 La Musicoterapia per la riabilitazione
del bambino autistico
3.3
144
L’applicazione della Musicoterapia in casi
di autismo infantile
148
3.3.1 L’uso della musica durante il trattamento
148
3.3.2 L’ambiente e il contatto fisico
150
3.3.3 Il ruolo dei genitori
152
3.3.4 Un modello di Musicoterapia per
3.4
l’autismo: il modello Benenzon
154
La mia esperienza
166
3.4.1 Il caso di L.
167
3.4.2 Il caso di G.
172
3.4.3 Il caso di S.
177
3.4.4 Il caso di H.
183
3.4.5 Il caso di A.
187
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3.5 Un progetto di Musicoterapia per l’autismo
in ambito scolastico
192
Conclusione
201
PARTE II - Il canto di Andrea e altri racconti
210
Premessa
211
CAPITOLO I - Il canto di Andrea
212
1.1 Premessa
212
1.2 Presentazione del caso
213
1.3 Struttura dell’Handicap
213
1.4 Progetto riabilitativo
214
1.5
215
Attuazione del progetto e svolgimento delle sedute
1.5.1 Struttura del setting
215
1.5.2 Svolgimento delle sedute
216
CAPITOLO II - L’uso della composizione
in Musicoterapia
235
2.1 Premessa
235
2.2 Riflessioni sulle partiture
237
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2.3 Ipotesi per una ricerca
240
2.5 Analisi dei brani
242
2.6 Considerazioni conclusive
247
2.7 Partiture dei brani
248
CAPITOLO III - Dall’ascolto alla composizione
249
3.1 Premessa
249
3.2 Progetto
250
3.3 Protocolli di osservazione di alcune sedute
254
3.4 Relazione e valutazione finale del progetto
278
3.5 Tecniche di sopravvivenza per musico terapisti
285
CAPITOLO IV - Cane nero
293
Bibliografia
308
Ringraziamenti
317
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Prefazione
“La visione è stato dello spirito”.
“Di fronte al tatto - senso anteriore - che cos'è la vista? Un tatto
telepatico, un tatto a distanza. Niente di più misterioso che - vedere –
Vedere! Vedere! C'è chi lo capisca?” (F. Pessoa)
In questo suo lavoro Alfonso Cappa affronta il difficile percorso della
riabilitazione dell'autismo, attraverso il lavoro della Musicoterapia. Ha
ragione a chiedere soccorso agli artisti – le muse carezzevoli - perché,
come ricorda Novalis, “la malattia è un problema musicale e la cura è
un problema musicale”.
In anni recenti è maturato un interesse nuovo rispetto alla
psicopatologia
dell'autismo,
con
particolare
riferimento
al
funzionamento degli organi sensoriali e alla riabilitazione attraverso
nuove strategie relazionali. In questa luce tornano particolarmente
importanti anche le considerazioni sui “neuroni specchio”: una parte
importante di questo lavoro è dedicata alla disamina di questo concetto,
che l'autore cerca di integrare con le più recenti articolazioni della
psicologia dello sviluppo e della psicologia intersoggettiva. Cappa
introduce alcuni fondamentali concetti, attinenti alle differenti
metodologie di Musicoterapia e ad aspetti specifici sulla tecnica della
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Musicoterapia. Dopo questa premessa, l'autore entra nel vivo della
riabilitazione dell'autismo, campo nel quale ha maturato una articolata
esperienza nell'ambito della prospettive relazionale. Ecco allora che ci
si sofferma sui vari aspetti che riguardano l’ascolto e la
improvvisazione. In particolare l’autore propone importanti riflessioni
sulle modalità di sintonizzazione, attraverso le quali opportunamente le
musiche vengono scelte; così come viene esplorata la possibilità e una
competenza a comporre, nel contesto delle stesse sedute di
Musicoterapia. Tale terapia impiega la mediazione artistica; il terapista
e il paziente si trovano coinvolti in una relazione co-costruita (Fogel),
riconducibile agli stati emotivi di entrambi e a una corretta espressione,
valutazione e percezione, delle emozioni in gioco nella relazione
terapeutica.
E gioco, intelligente e ironico, è tutto questo scritto, nell'accezione più
vicina a Winnicott; un gioco nel quale le parole e i concetti difficili
risultano integrati tra loro, in un percorso di armonizzazione e di
sintonizzazione con tutta la personalità umana, emozionata e razionale,
e suscettibile di processi empatici e di sviluppi relazionali. Il gioco di
Cappa continua, tra letteratura e musica, in una sonata, su concetti
“terribili”: la stesura dei protocolli e la puntuale e precisa analisi dei
brani impiegati. Cappa gioca sui percorsi associativi, e ricca e fertile è
la conduzione degli impianti concettuali, ma nulla è lasciato al caso, e
ogni affermazione, ogni passaggio sono finemente costruiti ed
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elaborati: guida a tutto è il concetto di empatia. Gli siamo grati per
questo lavoro e per questo sforzo, che comunica con apparente
“leggerezza”, data la chiarezza e la disinvolta prosa dell’autore .
Pier Luigi Postacchini
Bologna, 3 ottobre 2011
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I neuroni specchio ci sorridono
I neuroni specchio come compagni di un viaggio dall’autismo alla narrazione
di
Alfonso Cappa
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Signora, dove c’è musica non ci può essere cosa cattiva
Miguel Cervantes
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INTRODUZIONE
Anche le formiche nel loro piccolo si incazzano
Marcello Marchesi
Perché “anche i neuroni specchio ci sorridono”? Perché questo titolo
buffo e demenziale? Cerco di spiegarmi.
Era un pomeriggio d’estate caldissimo, tutti erano partiti per le vacanze
e io, allungato sul mio futon, fodera rossa, puro Ikea, cercavo un titolo
per la tesi che mi avrebbe portato a conseguire il diploma in
Musicoterapia. La mia mente, surriscaldata, vagava senza arrivare a
nessuna conclusione. Avevo già esaminato e scartato diverse soluzioni,
tra cui: La mia vita per la musicoterapia, Miracoli musicali, musica e
guarigione, ho fatto parlare un bimbo autistico con la musica.
Scoraggiato, avevo concluso che per quel giorno l’idea giusta non mi
sarebbe senz’altro venuta. Mi alzai. Presi una birra dal frigorifero,
l’aprii e mi misi a sfogliare un vecchio libro di Gino&Michele che,
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circa vent’anni fa, aveva avuto uno straordinario successo. Lessi
svogliatamente un po’ delle battute, riportate dai due autori e alcune le
trovai carine, altre esilaranti, altre niente di speciale. Richiusi il libro
scoraggiato, quando i miei occhi si fissarono, come calamitati, sul titolo
in copertina: Anche le formiche nel loro piccolo si incazzano. Quella
frase paradossale, come in un processo alchemico, si trasformò nella
frazione di un milionesimo di secondo in: Anche i neuroni specchio ci
sorridono. Era nato il titolo della mia tesi.
Queste parole, che potrebbero essere usate per intitolare uno spettacolo
teatrale, un film comico o un libro di barzellette, riassumono ed
esprimono, in un’analogia, quello che per me è o dovrebbe essere la
musicoterapia: ovverosia una sintesi di scienza e arte, dove i neuroni
specchio rappresentano la parte dura di questa disciplina, il suo
hardware, per usare una metafora di tipo cibernetico, mentre
l’espressione ci sorridono, la sua componente leggera,
quella
leggerezza molto cara a Italo Calvino (1993), costituisce dunque il suo
software.
Fare Musicoterapia, significa, secondo me, innanzitutto prendere atto
che nella malattia, nella disabilità in generale, ma soprattutto in quella
di tipo neuropsichico, c’è un dato “oggettivo” ineliminabile (nella mia
metafora, rappresentato dai neuroni specchio), ma, d’altra parte,
significa anche saper prendere le distanze e trascendere la natura,
prendendola in giro (e dunque sorriderne).
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I neuroni specchio ci sorridono
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Per continuare con le analogie, il titolo mi fa pensare anche ad un testo
assai importante per la nostra disciplina, Gioco e realtà di D.W.
Winnicot (1979). I neuroni specchio, in questo caso, sono la realtà, con
tutta la sua durezza ed ineluttabilità, il sorridere è il gioco, con la sua
possibilità di fingere e immaginare una realtà diversa.
L’idea del gioco mi spinge a cercare un collegamento con un altro
concetto fondamentale per lo sviluppo mentale del bambino e per la
Musicoterapia in generale: il “far finta”.
Fonagy e Target (2001) ci ricordano che il senso della realtà psichica di
un bambino molto piccolo ha una doppia caratteristica. Il bambino
generalmente opera attraverso una modalità di “equivalenza psichica”,
in cui le idee non sono sentite come rappresentazioni, ma piuttosto
come repliche dirette della realtà e quindi sempre vere; tuttavia in altri
momenti il bambino usa una modalità che è quella “del far finta”, in cui
le idee sono sentite come rappresentazioni ma non viene verificata la
loro corrispondenza o meno con la realtà.
Dunque nella modalità del “far finta” il bambino introduce una
differenza tra l’idea e la realtà, prima unite e indifferenziate: questa
differenza è il gioco, la finzione. Il gioco è anche una miscela di
prevedibile e di casuale e, senza una dose di casualità, non c’è né gioco
né divertimento.
G. Bateson (1984) scrive: “Senza il casuale non possono esservi cose
nuove”…alla fine l’acqua bollirà, alla fine vi sarà sempre una
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I neuroni specchio ci sorridono
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differenza che fungerà da nucleo per il cambiamento…”. Nella sua
essenza, mi sembra che fare Musicoterapia significhi introdurre una
differenza in un sistema bloccato, costruire un nucleo attorno al quale si
verifichi un cambiamento. Pertanto, come nell’evoluzione anche nella
Musicoterapia, senza una dose di aleatorietà non vi è cambiamento e
senza cambiamento non vi è integrazione e dunque riabilitazione.
Per ritornare infine al titolo del mio lavoro, questi strani neuroni
specchio che ci sorridono rappresentano l’inatteso, un’idea paradossale
e balorda che mi è venuta , appunto, per caso.
Il lavoro che segue è diviso in due parti. Nella prima, che si intitola
Musica, autismo e neuroni specchio, ho tentato di collegare l’idea di
Daniel Stern (1985) sulle sintonizzazioni affettive alle recenti scoperte
sui neuroni specchio (Rizzolati, Sinigaglia, 2005) e queste, a loro volta,
con l’autismo (supponendo un’ipofunzionalità dei neuroni specchio in
questa patologia).
Nella seconda, dal titolo Il canto di Matteo e altri racconti, ho narrato
alcune mie esperienze di lavoro che ritengo particolarmente
significative e che rappresentano una verifica sul campo delle premesse
teoriche da cui sono partito. Come conclusione ho inserito un mio
racconto, Cane nero, con un finale a sorpresa di tipo musicale. In essa
ho cercato soprattutto di mettere in luce, oltre all’aspetto relazionale, la
componente musicale in Musicoterapia.
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I neuroni specchio ci sorridono
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PARTE PRIMA
MUSICA, AUTISMO E NEURONI SPECCHIO
Un uomo anziano non è che una misera cosa,
Una giacchetta sbrindellata su un bastone,a meno che
L’anima batta le sue mani e canti
E più forte canti per ogni strappo del suo abito mortale
W.B. Yeats
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I neuroni specchio ci sorridono
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PREMESSA
Quando ero ragazzo mi ripetevo queste parole nei momenti di
difficoltà, come fossero le parole di un salmo o un mantra. Sentivo che,
recitate in certi momenti, mi davano forza, concentrazione, calma e
sono diventate per me un mezzo “per farcela”, una vera e propria
terapia, uno strumento, un mezzo per andare oltre. Poi, col tempo, ho
capito che non c’era in esse niente di magico (o meglio che la magia
era spiegabile) ma c’era in loro una componente cognitiva, una
componente affettiva, una componente attiva (con questo non voglio
negare che nel mondo non vi sia nulla di “misterioso”, non mi ritengo
un razionalista puro, e penso che il mistero, in qualche modo, contenga
in sé il sale della vita). Si trattava in fondo di una tecnica cognitivocomportamentale che inconsciamente applicavo a me stesso. Ma tutto
questo è venuto dopo, con lo studio ed è per me meno importante. Ciò
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I neuroni specchio ci sorridono
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che contava era la fiducia in quello strumento e la forza evocativa dello
stesso.
Penso sinceramente che in quei versi di Yeats ci sia tutto quello che per
me è la Musicoterapia: uno strumento per ottenere una maggiore
profondità, intensità e qualità di vita, per raggiungere una maggiore
armonizzazione del nostro essere al mondo (soprattutto dove questo
essere è gravemente compromesso) e raggiungere, così, una più alta
integrazione, tra ogni aspetto della nostra realtà psicofisica e il mondo
che ci circonda.
Questo strumento ha due versanti, come la cima di una montagna: un
versante per così dire scientifico, indagabile, spiegabile, fatto di
parametri e di modelli, un’altro intuitivo, artistico, creativo, estetico,
potentemente emotivo. Solo uno sguardo libero e aperto può sostenere
questa realtà. Ciò non toglie che di volta in volta l’operare quotidiano e
il nostro sentire interiore faccia sì che l’attenzione si sposti ora più su
un versante ora più su un altro. Questo è normale e fa parte del gioco.
L’importante
è
non
accettare
mai,
né
ideologicamente
né
pregiudizialmente, solo un aspetto, rifiutando l’altro e viceversa.
Il lavoro che qui presento è stato motivato, principalmente, da tre
ragioni:
1) la mia passione per la musica e i miei studi musicali;
2) gli studi presso la scuola di Musicoterapia di Assisi;
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I neuroni specchio ci sorridono
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3) il lavoro con l’handicap psicofisico grave e in particolare con i
soggetti autistici.
Il mio interesse per la musica risale all’infanzia, quando, verso i sei
anni, ho iniziato lo studio del pianoforte, che ha accompagnato tutta la
mia vita, tra momenti intensi e fasi tiepide. Lo studio di questo
strumento mi ha portato durante la mia giovinezza alla conoscenza
della musica Jazz, della quale mi sono innamorato e che ha segnato
una trasformazione centrale e decisiva nel mio rapporto con la musica:
con il jazz ho imparato la nozione di improvvisazione e ho scoperto
che questo tipo di pratica musicale mi è particolarmente congeniale.
Nel frattempo, attratto com’ero dal mondo dei suoni e dalle sue
possibilità espressive, ho imparato a suonare altri strumenti, seppur da
autodidatta e spinto più che altro da uno spirito di conoscenza e di
esplorazione: questo mi ha dato la possibilità di guardare alla musica
da un punto di vista più ampio e meno accademico. L’interesse e lo
studio dell’improvvisazione nel jazz (oltre all’interesse per le musiche
extraeuropee dove l’improvvisazione è la pratica principale) è stato il
ponte che mi ha collegato con la Musicoterapia. Come cercherò di
spiegare nel mio lavoro, l’improvvisazione sonoro-musicale è la
tecnica principale del lavoro musicoterapico.
L’altro ponte che mi ha collegato con la Musicoterapia è stato il
contatto con il mondo dell’handicap. Un’esperienza fondamentale che
mi ha segnato in questo senso sono stati i lunghi anni di volontariato,
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I neuroni specchio ci sorridono
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svolto a Torino presso l’istituto di carità “Cottolengo”, dove spesso
sono venuto a contatto con portatori di handicap psico-fisici molto
gravi: persone che rimanevano a letto tutto il giorno o su una
carrozzella davanti a una finestra a fissare il vuoto oppure con le
braccia legate ai braccioli della sedia per evitare che si percuotessero il
viso. Spesso mi chiedevo, schiacciato dall’impotenza che provavo di
fronte alle loro condizioni, solo apparentemente senza speranza di
miglioramento, cosa avrei potuto fare. Un giorno ho deciso di portare
con me degli strumenti musicali: una chitarra, qualche piccolo
tamburo, dei sonagli ecc. Mi sono così accorto che attraverso
semplicissimi suoni, quasi insignificanti, riuscivo, in alcuni casi, ad
attrarre l’attenzione di qualche “ragazzo”, a distrarlo dai suoi consueti
atti anticonservativi, a coinvolgerlo in seppur brevi momenti di
comunicazione, fatti di sguardi rapidi , di sorrisi strappati a un rituale
ossessivo di grida e di gesti. Così, le esperienze di cui ho parlato
sinora mi hanno spinto, quasi naturalmente, verso la Musicoterapia,
portandomi a iscrivermi alla Scuola di Musicoterapia di Assisi, la
prima in Italia ad aver organizzato corsi per questo tipo di
insegnamento. Quest’anno, a luglio, frequenterò il terzo anno dei
quattro previsti per il conseguimento del diploma.
Con alle spalle le esperienze descritte ho utilizzato la musica anche
durante il tirocinio per il conseguimento della laurea in Educazione
professionale, tirocinio che ho svolto presso un Centro diurno per
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I neuroni specchio ci sorridono
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portatori di handicap e presso il Servizio di Neuropsichiatria Infantile
(NPI) dell’Asl 16 di Mondovì (oltre che durante il tirocinio di
Musicoterapia presso il centro di riabilitazione di Casalnoceto –
Alessandria - e durante alcuni laboratori di musica realizzati per le
scuole materne ed elementari). In particolare, durante il tirocinio
presso il Servizio di Neuropsichiatria Infantile (NPI), ho avuto la
possibilità di seguire regolarmente alcuni bambini autistici e altri
soggetti con handicap psicofisici per i quali l’uso della musica a fini
riabilitativi risultava particolarmente raccomandabile. Tra tutti, il
lavoro con S., presso una scuola materna, si è protratto a lungo,
regalandomi non poche soddisfazioni.
Altri due riferimenti mi hanno guidato: la teoria delle sintonizzazioni
affettive di Stern e la scoperta dei neuroni-specchio. La lettura del
libro Il mondo interpersonale del bambino di D.N. Stern (1985) è stata
per me illuminante, oltre che avvincente e decisamente appassionante,
con tutti i suoi riferimenti alla musica, alla poesia e all’arte. La parte
di questo libro a cui ho rivolto il mio più vivo interesse è quella
dedicata alle “sintonizzazioni affettive” che sono considerate la base
dell’improvvisazione musicale in Musicoterapia (Postacchini, 2001).
Tuttavia Stern, affrontando il problema della compartecipazione degli
stati affettivi tra madre e bambino, tra i nove e i quindici mesi, era
costretto ad ammettere che “non è per nulla chiaro in che modo essi
accadono” (Stern, 1985, pag. 147). Colpito da questa domanda senza
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I neuroni specchio ci sorridono
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risposta mi sono ricordato che nel frattempo ero venuto a conoscenza
di una nuova teoria che spiegava, da un punto di vista scientifico, il
comportamento umano. Si tratta della Teoria dei neuroni-specchio: un
meccanismo innato, che attraverso l’immediata condivisione delle
esperienze, dei sentimenti, delle emozioni ci consente di conoscere le
intenzioni dell’altro (Rizzolati e Sinigaglia, 2006). L’ipotesi da me
elaborata, nella presente dissertazione, è che nella teoria dei neuronispecchio vi possa essere la risposta al quesito lasciato in sospeso da
Stern e che entrambe le teorie possano spiegare gli effetti della
Musicoterapia.
Ho suddiviso il lavoro in tre capitoli.
Nel primo capitolo ho trattato il tema della Musicoterapia in termini
generali; ho fornito alcuni dati storici, ho presentato i principali
modelli, le tecniche, i riferimenti psicologici principali e ho cercato di
spiegare a cosa serva e quali patologie possano beneficiarne.
Nel secondo capitolo ho cercato di sintetizzare la teoria dello sviluppo
di Stern e la teoria dei neuroni-specchio tentando di collegarle; ho
messo in rilievo il concetto di sintonizzazioni affettive come base
delle tecniche di improvvisazione musicoterapica e ho cercato di
spiegare non solo che tali tecniche possono essere efficaci nella
riabilitazione di alcune forme di handicap neuropsichico grave (tra cui
l’autismo) ma che hanno una solida base scientifica, appunto nella
teoria dei neuroni-specchio.
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I neuroni specchio ci sorridono
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Il terzo capitolo infine è tutto dedicato all’autismo, alla riabilitazione
musicoterapica di questa patologia e all’esposizione di alcune mie
esperienze dirette con bambini autistici (e con altri handicap
neuropsichici) nelle scuole.
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I neuroni specchio ci sorridono
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CAPITOLO I
LA MUSICA CHE CURA
l’amoroso canto
che mi solea quetar tutte mie doglie
Dante Alighieri
1. 1 Aspetti generali della musicoterapia
1.1.1 Cenni storici
Il termine Musicoterapia è stato coniato dai Greci e deriva dai concetti
di musikè e therapeia. Per musikè s’intende una rappresentazione
dell’uomo in parola, suono e movimento; therapeia invece è
l’assistenza, la cura, la guarigione.
Secondo Mc Clellan (1993), l’utilizzo della musica a scopi terapeutici
si fonda sul fatto che essa influisce sul soggetto sia a livello personale
(emotivo) che transpersonale (spirituale).
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Nella misura in cui il
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disturbo viene considerato una disarmonia della vita emozionale,
mentale e spirituale, la musica può aiutare a ritrovare/ricostruire uno
stato di benessere, facilitando l’espressione emozionale.
La Musicoterapia è una terapia antica, se non forse la più antica. L’uso
della musica a scopi curativi risale a più di trentamila anni fa. In quel
tempo, la malattia era attribuita a spiriti maligni che dovevano essere
scacciati dal corpo e dalla mente della persona malata. Per fare ciò si
cercava di allettare o spaventare gli spiriti con canzoni ritmiche,
accompagnate dal suono di zucche vuote e tamburi percossi. Questo
metodo fu poi utilizzato anche in altri riti e cerimonie.
La musica era per lo sciamano, il mezzo per ottenere la massima
concentrazione e per intensificare la volontà di ritrovare e di conservare
il benessere fisico. La tradizione sciamanica sopravvive ancora oggi in
alcune popolazioni che hanno conservato questi canti a intonazione
monodica e a ritmo lento.
Dell’uso della musica nel mondo antico, e precisamente nel periodo
che va dalla fondazione delle prime città permanenti dei Sumeri (8000
a.c.) fino alla caduta dell’Impero romano (V secolo d.c.), sappiamo
molto poco poiché non veniva ancora utilizzato alcun sistema di
notazione e i pochi esistenti, che risalgono però solo al terzo millennio
a.c., non sono ancora stati decifrati. Ciò che sappiamo è che anche i
Sumeri, analogamente agli sciamani, celebravano uffici religiosi in
onore di numerosi dei e dee. Tra questi riti ce n’era almeno uno che
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prevedeva la musica e, in alcuni casi, la stessa divinità tutelava sia la
musica sia la salute (Postacchini, 2001).
La musica dell’antico Egitto rimane tuttora un mistero poiché le notizie
giunte fino a noi sono veramente scarse. In base al ritrovamento di un
esiguo numero di strumenti nelle tombe e grazie alle rappresentazioni
di attività musicali dipinte sulle pareti dei templi e dei luoghi di
sepoltura, sembrerebbe che lo strumento musicale più usato, nelle
celebrazioni sacre, fosse l’arpa; si sa però che venivano utilizzati anche
liuti, flauti e oboi doppi. Tra le testimonianze più interessanti che
abbiamo sulla musica dell’antico Egitto vi è uno scritto dello storico
arabo Ibn Sina (Combarieu, 1982), che riporta la notizia sul fatto che
venisse utilizzata la musica per diminuire il dolore durante il parto. Per
quanto riguarda l’antica Grecia siamo in possesso di un numero di
documenti assai maggiore e benché ci siano giunte pochissime
composizioni
musicali,
sappiamo
moltissimo
della
concezione
musicale di quel popolo. Un grande teorico della musica, vissuto in
tempi precedenti sia a Platone che ad Aristotele (V secolo A.D.),
filosofo straordinario e misterioso, fu senz’altro Pitagora di Samo. Fu
l’inventore della più antica scala musicale conosciuta, la scala detta
appunto “pitagorica”. Egli inoltre elaborò una teoria musicale basata,
come tutta la sua filosofia, sul numero. Per Pitagora la musica era
un’espressione cosmica, tanto che parlava di “armonia delle sfere” e la
considerava come l’arte più idonea a sviluppare l’equilibrio dell’anima.
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Sicuramente la fonte più autorevole, riguardo la musica e il suo utilizzo
nell’antichità, è Platone che ne parla diffusamente soprattutto in due
suoi dialoghi: La Repubblica e Leggi. Nella concezione greca della
musica, gli effetti che essa aveva sulla psiche dell’uomo erano ritenuti
importantissimi: per i greci infatti la musica era vista soprattutto come
una medicina dell’anima e del corpo, con effetti rilassanti o
rinvigorenti, a seconda della necessità. Ne La Repubblica Platone
argomenta sui benefici della musica quando affronta il tema del canto e
della melodia nell’educazione dei cosiddetti Custodi, coloro ai quali
egli pensava si dovesse affidare il governo della città. In questa parte
del dialogo egli scende nei dettagli, passando in rassegna i diversi tipi
di melodie che si adattano a certi stati psicologici o a certe attività
dell’uomo, melodie che servono per stimolare un certo stato d’animo
piuttosto che un altro. Egli ricorda che le armonie che definisce
rilassanti (Repubblica III, 398 D-399E) sono la “ionica” e la “lidia”,
mentre quelle che si intonano ai lamenti sono la “mixolidia” e la
“sintonolidia”. Dalle testimonianze di Platone possiamo sicuramente
desumere che i Greci praticassero già una forma di Musicoterapia o,
meglio, per essi era scontato che la musica e il suono avessero degli
effetti positivi oppure negativi sulla psiche e sul corpo, effetti che essi
studiarono approfonditamente. In realtà siamo noi Moderni che
abbiamo bisogno di inventare un termine nuovo per indicare qualcosa
che gli antichi già conoscevano benissimo e cioè che la musica, ma
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l’arte in genere, non è fine a sé stessa, non è solo esercizio e godimento
intellettuale per pochi eletti, ma è materia stessa della vita e ha a che
fare, in qualche modo, con la salute e la malattia. I Greci, di
conseguenza,
attribuivano alla musica una funzione educativa
fondamentale. Platone (La Repubblica III e Leggi II) sosteneva che
solo l’armonia “dorica” e quella “frigia” avessero una funzione
educativamente positiva, mentre le altre armonie – ionica, eolica, lidia
ecc. – dovessero essere escluse dall’educazione dei giovani. Per
comprendere sino a che punto i Greci attribuissero alla musica
un’importanza
determinante
sulla
formazione
del
carattere
dell’individuo, basti ricordare che Platone stesso (Repubblica III)
sosteneva che non dovesse essere cambiato il modo di far musica,
introducendo innovazioni nel repertorio tradizionale, se non si voleva
correre il rischio di sovvertire anche le istituzioni dello Stato, per lo
stretto rapporto che intercorreva tra le forme musicali e i modi del
vivere civile. Aristotele (Poetica, Politica e Problemi) ammetteva
invece l’utilità di tutti i generi di musica, anche di quella che non
rasserenava ma perturbava gli animi, poiché le reazioni violente che
essa determinava avevano un effetto catartico, di purificazione dalle
passioni. Per Aristotele la musica possedeva la caratteristica di
migliorare la morale, aveva un potere liberatorio, alleviante e catartico
delle tensioni psichiche.
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Una delle divinità greche più importanti riguardo alla musica era
Apollo, Dio del sole, della medicina e appunto della musica; era
propiziandosi la benevolenza di questo dio che si conservava l’armonia
della vita, con la divinazione, la musica e la medicina.
Quanto la musica assumesse importanza per l’antico popolo ebraico
basti ricordare la famosa vicenda delle mura di Gerico (Antico
Testamento, Giosuè, 6,5), in cui Dio diede a Giosuè il potere di far
crollare le invincibili mura della città con il suono delle trombe del suo
esercito. Senz’altro però il libro della Bibbia dove la musica e il canto
hanno un ruolo centrale è il libro dei Salmi. Composto come si ritiene
da Re Davide, esso raccoglie una serie di canti-preghiera che il singolo
e/o il gruppo rivolge al suo dio, Jahavè, perché lo aiuti nei più svariati
momenti della vita e della sua storia. I salmi sono un vero e proprio
continuo dialogo tra l’individuo-comunità e il suo dio e rappresentano
una delle più alte manifestazioni poetiche dell’intera umanità: sono una
delle più alte testimonianze di quel rapporto dialogico tra l’uomo e Dio
che il popolo ebraico trasmise al Cristianesimo.
Tu hai mutato il mio dolore in danza; hai sciolto il mio cilicio e mi hai
rivestito di gioia (Salmi 30:11)
Lodino il suo nome con danze, salmeggino a lui con il tamburello e la
cetra. (Salmi 149:3)
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Lodate con il timpano e le danze, lodatelo con gli strumenti a corda e
con il flauto. (Salmi 150:4)
Quando l’Impero romano si estese all’Europa e all’Asia occidentale, la
sua cultura assimilò la musica e le pratiche risanatrici dei Greci e,
poiché i Romani consideravano l’organismo umano come una totalità,
la musica aveva una funzione, diremmo oggi, psicoterapica. Era per
questa ragione che, dopo la cena, venivano eseguiti brani musicali
durante i quali lo strumento più usato era l’arpa o la lira.
In seguito al crollo dell’Impero romano emersero nuove filosofie e
venne avviata la separazione tra scienza e religione che portò in un
certo modo a trascurare l’anima nel corso del processo diagnostico. La
musica venne così assimilata dalla liturgia ecclesiastica, anche se si
sviluppò un genere profano di trattenimento, popolare e colto.
Nel Rinascimento la musica divenne un prodotto artigianale di una
corporazione. Tra i tanti filosofi umanisti che si occuparono di musica
emerge la figura di Marsilio Ficino che fu un vero anticipatore della
moderna Musicoterapia. Egli, in particolare, affrontò il problema degli
“effetti” della musica sull’animo (De triplici vita), dei rapporti tra
musica e medicina (Epistola de musica) e dei fondamenti matematici di
quest’arte (Commento al Timeo di Platone).
Fu nel 1748 che Louis Roger, un medico di Montpellier, tornò ad
occuparsi degli effetti della musica sulla mente umana e si interrogò sul
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