I volonterosi nemici del Pianeta

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I volonterosi nemici del Pianeta
Le riflessioni di Giorgio Nebbia sul negazionismo climatico in occasione della Conferenza Onu
sul clima in corso a Parigi
Una certa (non grandissima) attenzione in queste due settimane del dicembre 2015 è dedicata
dai mezzi di comunicazione alla conferenza di Parigi sui mutamenti climatici, responsabili di
alluvioni, frane, allagamento delle città, avanzate dei deserti e fusione dei ghiacci. Finita la
sfilata iniziale dei potenti della Terra, resta il lavoro di funzionari dei vari governi che cercano di
inventare un qualche sistema per attenuare i danni del riscaldamento del pianeta diminuendo le
emissioni nell’atmosfera dei “gas serra” che si formano nella combustione dei combustibili
fossili: carbone, petrolio, metano. È questione di soldi: i Paesi ricchi vorrebbero limitare i danni
dei mutamenti climatici senza rinunciare alla crescita economica che è possibile soltanto con la
produzione di sempre nuovi oggetti e macchine e abitazioni, cioè con crescenti consumi di
energia e emissioni di “gas serra”; altri Paesi, quelli poveri, chiedono che non vengano imposti
limiti ai consumi di energia necessari per uscire dallo stato di miseria e sottosviluppo o che
almeno siano previsti compensi per i loro sacrifici. In questo scontro di interessi, quelli della
difesa dell’ambiente e quelli dei soldi, circola un movimento di “scienziati” e opinionisti che
negano che il riscaldamento globale e i conseguenti mutamenti climatici siano dovuti alla
produzione e al consumo, alle attività umane e merceologiche.
Alcuni negazionisti, che suppongo in buona fede, cercano degli errori scientifici nella
descrizione delle cause dei mutamenti climatici elaborata dalla maggior parte dei loro colleghi;
altri sono scrittori pagati dalle grandi forze economiche per ridicolizzare o negare proposte che
potrebbero danneggiare i loro affari.
Tanto per cominciare i negazionisti sostengono che non c’è nessun cambiamento climatico
significativo: estati calde e inverni freddi ci sono sempre stati anche in tempi recenti, nel secolo
scorso o nell’Ottocento; per non andare poi a più lontani periodi in cui i ghiacciai avanzavano o
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diminuivano anche in Europa. Comunque, se effettivamente ci sono dei mutamenti, se è vero
che c’è un lento, piccolo, continuo aumento della temperatura del pianeta e in particolare delle
acque oceaniche, e che tale aumento provoca una parziale fusione dei ghiacci e fa aumentare il
livello delle acque oceaniche e la frequenza delle tempeste tropicali e l’estensione delle zone
aride e desertiche, tutto questo, secondo i negazionisti, non dipende dai gas emessi dalle
automobili o dai camini delle centrali elettriche e delle industrie e solo la crescita economica e
dei consumi può mettervi rimedio. Alcuni negazionisti, che pur ammettono l’esistenza di un
riscaldamento planetario, lo attribuiscono ad innocui cambiamenti dell’attività solare; altri
pensano che se aumenta la concentrazione nell’atmosfera dell’anidride carbonica, il principale
dei “gas serra”, ne verrà un beneficio per l’agricoltura perché aumenteranno le rese dei raccolti.
Per diminuire le emissioni di “gas serra” i combustibili fossili possono essere sostituiti con altre
fonti di energia, quelle rinnovabili e non inquinanti fornite dal Sole: elettricità ottenuta con
pannelli fotovoltaici o con motori eolici, calore dalla combustione delle biomasse, cioè dei
prodotti e sottoprodotti agricoli e forestali che ritornano sempre disponibili ogni anno con la
fotosintesi. Alcuni zelanti negazionisti spiegano che non si può avere una società moderna con
pannelli solari o con le forze del vento che forniscono elettricità soltanto in maniera intermittente
e variabile a seconda delle stagioni, quindi ben diversa e più costosa di quella prodotta col
carbone, col petrolio o col metano. Secondo i negazionisti, poi, chi propone di usare carburanti
derivati dai prodotti agricoli vuole togliere il mais e il cibo dalla bocca degli abitanti dei Paesi
poveri, pur di fare un dispetto ai petrolieri.
L’amore per i poveri è un tema caro ai negazionisti; secondo loro, se si desse retta a chi, per
rallentare un ipotetico riscaldamento globale, vuole diminuire il consumo di energia da
combustibili fossili, si andrebbe incontro ad un mondo con meno macchine e servizi e calore e
elettricità, ad un rallentamento della crescita economica che colpirebbe maggiormente le classi
povere dei Paesi industriali e gli abitanti dei Paesi più poveri. Anzi alcuni negazionisti del
riscaldamento globale fanno credere che nelle trattative per limitare le emissioni di gas
dell’atmosfera ci sia un progetto delle classi abbienti per tenere arretrati e soggetti i poveri della
Terra. In alternativa altri negazionisti sostengono che la proposta di rallentare i consumi e gli
sprechi per limitare il riscaldamento globale è un progetto per realizzare una società mondiale
comunista, di persone tutte uguali e parsimoniose. Ah, dimenticavo, ci sono poi quelli che si
sono infilati nel dibattito sostenendo che il riscaldamento globale si può evitare conservando un
alto livello di consumi se si usa l’energia nucleare che produce elettricità senza emettere gas
serra, poco conta se, in compenso, produce scorie che restano radioattive e tossiche per secoli
e millenni, da lasciare come condanna alle generazioni future.
Come modesto studioso dei processi di produzione e di consumo vorrei tranquillizzare i lettori
che è possibile rallentare il peggioramento del clima conservando civiltà e benessere, con
innovazioni tecniche e nuovo lavoro: una bella sfida per le giovani generazioni. A condizione
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però, questo sì, di una maggiore equità nella distribuzione dei beni materiali in modo da
diminuire gli sprechi e migliorare le condizioni di chi oggi ha così poco. Una società meno
ineguale è la premessa anche per sradicare la violenza.
tratto dal sito Web eddyburg.it
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Giorgio Nebbia, nato nel 1926, laureato in Chimica nel 1949, professore di Merceologia
nell'Università di Bari dal 1953 al 1995, parlamentare della Sinistra indipendente alla Camera
(1983-1987) e al Senato (1987-1992). Dottore honoris causa delle Università del Molise, di Bari
e di Foggia. Amico e suggeritore di Green Cross, ha una particolare attenzione al
mantenimento della memoria del pensiero ambientalista.
9 DIC 2015
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