16 FOCUS ON Cervicalgie e cervicobrachialgie Nel 90 per cento dei pazienti l'approccio conservativo alla patologia ha successo L a patologia cervicale è una problematica assai ben conosiuta negli ambulatori del medico di famiglia e dello specialista ortopedico. La base etiopatologica di questo disturbo risiede sovente in una compressione nervosa da ernia discale o da osteofiti di natura artrosica che riducono i forami di coniugazione dei nervi cervicali. Questo conflitto determina tipicamente dolore e rigidità del collo che si irradia al braccio, accompagnato o meno da formicolii, perdita di sensibilità e perdita di forza agli arti superiori. Generalmente la prognosi è benigna. Spesso i pazienti migliorano moltissimo con uno specifico corso di terapia conservativa. La sapiente combinazione di manovre fisiche, terapia farmacologica e blocchi nervosi selettivi sono il tipico approccio multimodale utilizzato per tale problematica, anche se l’evidenza scientifica di ogni singolo approccio è carente. Alle origini del problema Cerchiamo di capire meglio la causa del problema. Anche se come accennato precedentemente le cause delle “radicolopatie cervicali” possono essere diverse, l’ultimo anello della catena è la radice nervosa che viene compressa, e per questo motivo si irrita. Si tratta di una patologia trasversale che coinvolge giovani e vecchi, con patogenesi sia traumatica sia degenerativa. L’origine è da ricercare in un breve tratto di colonna, da C3 a C7, che include una grande varietà di strutture tra dischi e piccole articolazioni sinoviali che circondano le radici nervose. La compressione nervosa, qualunque sia l’origine, determina dolore per una combinazione di fattori: la liberazione di sostanza P (potente mediatore dell’infiammazione), cambiamenti nelle risposte vascolari, edema nervoso. Clinicamente ci troviamo di fronte a un dolore tipicamente bilaterale nelle spondilosi, mentre generalmente monolaterale nelle radicolopatie. L’irradiazione dipende dalla radice coinvolta, anche se può non essere presente nonostante la compressione nervosa. Talora il dolore può essere riferito alla spalla. Pertanto ogni dolore alla spalla con obiettività deve fare sospettare un problema cervicale. I sintomi sono spesso esacerbati dalla rotazione e dall’estensione del collo (segno di Spurling), che provoca un restringimento del forame, mentre mantenere il braccio sopra la testa decomprime le radici. Prima di diagnosticare una radicolopatia cervicale bisogna escludere altre potenziali cause di dolore e disfunzione a tale livello. In particolar modo segni di mielopatia devono essere esclusi (difficoltà nelle attività manuali, disturbi nel passo, segni di primo motoneurone come il segno di Hoffman o di Babinski, iperreflessia e cloni muscolari) in quanto indicano una compressione del midollo spinale più che della radice. Questa è una condizione che richiede necessariamente l’intervento chirurgico. L’inquadramento strumentale di una cervicalgia con radicolopatia deve includere un esame radiografico standard in proiezioni antero-posteriore e latero-laterale, a cui ha senso aggiungere le proiezioni oblique che rendono facile identificare osteofiti che riducono i forami di coniugazione. Se si ha il sospetto di una sindorme da intrappolamento periferico di un nervo, l’elettromiografia può dirimere tale dubbio. Con radiografie normali e persistenza di sintomi è indicata una risonanza magnetica. L'approccio conservativo L’approccio conservativo ha successo in percentuali superiori al 90%. Il massimo vantaggio è assicurato da approcci multimodali. Nel dolore acuto un'iniziale fase di immobilizzazione cervicale breve (una settimana) può ridurre i sinto- mi nella fase infiammatoria. Alla riduzione del dolore muscolare le trazioni cervicali hanno dimostrato un ruolo positivo soltanto per le forme acute. La terapia farmacologica di primo livello è costituita dal ricorso all’uso dei FANS. Alcuni pazienti possono beneficiare di associazioni con miorilassanti, antidepressivi e anticonvulsivanti. Gli oppioidi possono essere utilizzati in dolori neuropatici di durata superiore alle 8 settimane. Per il dolore neuropatico cronico gli antidepressivi triciclici e il tramadolo possono avere un buon risultato. Anche se gli steroidi orali sono usati largamente per il trattamento di tale patologia, nessuna evidenza ha dimostrato che alterino il corso della malattia. Il loro uso deve essere assolutamente evitato a lungo termine. Un graduale inizio di un percorso riabilitativo deve essere intrapreso alla risoluzione della fase iperacuta, ma già nelle prime 6 settimane con l’obiettivo di recuperare l’arco di movimento, allungare i muscoli e ricondizionare l’attività muscolare. Massaggi e TENS possono essere affiancati in questa fase. Gradualmente, al risolversi della sintomatologia dolorosa, può essere iniziato un programma di rinforzo muscolare. Anche infiltrazioni locali di steroidi possono dare beneficio. Possono essere eseguite a livello perineurale sotto guida radiografica e solo dopo aver confermato il problema con una risonanza o una TAC. Le complicanze associate a tale procedura sono rare (inferiori all'1%), ma potenzialmente gravi. Lorenzo Castellani Matteo Laccisaglia Approccio non chirurgico all’ernia del disco È stato recentemente presentato presso la Camera dei Deputati a Roma il libro del professor Fabio Scoppa Dottore di ricerca in neuroscienze e coordinatore scientifico del master in posturologia alla I Facoltà di medicina e chirurgia dell’Università “La Sapienza” di Roma - dal titolo “Ernia del disco. Un approccio non chirurgico” (Verducci Editore). Nel libro si evidenzia l’alta probabilità di una risoluzione spontanea della malattia da ernia del disco, le indicazioni restrittive della terapia chirurgica, l’importanza di un tempo di attesa ragionevolmente lungo prima di considerare l’opzione chirurgica. Ovviamente tutto ciò non significa semplicemente aspettare, cioè subire passivamente la patologia, tanto meno a letto, visto che il riposo a letto è inefficace e controproducente. È invece indicato un approccio attivo, conservativo, riabilitativo, multidisciplinare, basato su un’attenta e metodica valutazione funzionale. In questa ottica sono analizzati ed evidenziati i contributi della posturologia, dell’osteopatia, della riabilitazione e dell’approccio psicologico, per aiutare i pazienti affetti da questa patologia molto diffusa a risolvere il problema senza l’intervento chirurgico.