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Pianeta scienza
MARTEDÌ 18 NOVEMBRE 2014 IL PICCOLO
Sclerosi multipla, così si possono riconoscere i primi sintomi
La sclerosi multipla è una malattia che porta un gran numero di sintomi. Fra questi vi sono anche alcune difficoltà relative alla sfera delle emozioni
alle quali può aggiungersi un
deficit nel capire le emozioni
degli altri attraverso le espressioni facciali. Ora un nuovo
studio al quale ha collaborato
la Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste mostra che anche il riconoscimento delle emozioni me-
diato dalle posizioni del corpo è deficitario nei pazienti affetti da questa malattia.
Riconoscere le emozioni
che gli altri provano è fondamentale per stabilire delle corrette relazioni interpersonali.
Per farlo guardiamo (fra le altre cose) le espressioni del viso e la postura del corpo. In alcune malattie neurologiche
purtroppo questa abilità è fortemente ridotta. Succede per
esempio nella sclerosi multi-
pla: i dati scientifici infatti mostrano che le persona affette
da questa sindrome hanno
spesso difficoltà a riconoscere le espressioni a contenuto
emotivo. Un nuovo studio ora
mostra che la stessa difficoltà
può esserci anche con le emozioni veicolate attraverso la
postura. Inoltre lo studio mostra che tale difficoltà a riconoscere le emozioni altrui
non è legata alla difficoltà a riconoscere le proprie emozio-
ni, un disturbo noto come
alessitimia, che può essere
presente nei pazienti con sclerosi multipla.
«Il dato sulla postura è nuovo, e anche se meno marcato
di quello sulle espressioni, è
importante» spiega Marilena
Aiello, ricercatrice della Sissa.
aGli studi sul riconoscimento
delle emozioni nelle malattie
neurologiche degenerative come la sclerosi multipla sono
importanti. In questo tipo di
malattie il rapporto fra il malato e chi gli sta accanto è cruciale per garantire al paziente
la possibilità di far fronte alle
difficoltà che la malattia pone. Individuare i fattori che
possono influenzare e migliorare questo rapporto è dunque un passo importante».
Oltre ad Aiello, per la Sissa
hanno collaborato allo studio, pubblicato sul Journal of
the International Neuropsychological Society, Cinzia
Cecchetto (primo autore) e
Raffaella Rumiati, la neuroscienziata che ha coordinato
il lavoro.
Come riparare quel tuo cuore malato
L’Icgeb triestino e i ricercatori di San Diego hanno scoperto un nuovo rimedio dopo gli infarti
di Simona Regina
La ricerca scientifica sta facendo importanti passi avanti
nell’intento di riuscire a riparare il cuore danneggiato da infarto o scompenso cardiaco. E
un ruolo chiave lo gioca il Centro Internazionale di Ingegneria Genetica e Biotecnologie di
Trieste. Il team coordinato da
Mauro Giacca, biologo molecolare e direttore generale dell'
Icgeb, ha collaborato con ricercatori del Salk Institute for Biological Studies di San Diego,
ottenendo un importante risultato illustrato sulla rivista
«Cell Stem Cell».
Hanno scoperto infatti una
possibile soluzione per stimolare la riparazione del cuore infartuato e rigenerare le cellule
cardiache danneggiate. Come? «Bloccando l’azione di alcuni microRna, individuati
quali responsabili del fatto che
i cardiomiociti smettono di
proliferare nel cuore adulto»
spiega Serena Zacchigna, che
nel Laboratorio di Medicina
Molecolare, nel campus di Padriciano di Area Science Park,
studia come rigenerare i cuori
“infranti”.
«I microRna sono brevi stringhe di Rna che controllano
l'espressione di molti geni, in
pratica sono regolatori fondamentali di tutte le funzioni cellulari e controllano il destino
Serena Zacchigna nel Laboratorio di Medicina Molecolare dell’Area, studia come rigenerare i cuori “infranti”
delle cellule dell’organismo»
aggiunge la ricercatrice triestina. «E i cardiomiociti – continua – sono le cellule contrattili
che danno al cuore la sua funzione di pompa. In caso di malattie cardiache muoiono progressivamente senza essere
rimpiazzati. Ma abbiamo riscontrato che, interferendo
con l’azione di alcuni microR-
na, si riesce a riattivare il meccanismo proliferativo del cuore e così a ripararlo».
Il nostro cuore, in effetti, ha
una scarsissima capacità rigenerativa. Questo vuol dire che
le cellule cardiache perse a
causa di un infarto non vengono sostituite da nuove. Per
questo il cuore smette di pompare bene, compromettendo,
a volte in modo fatale, la salute
dei pazienti. Ben diverso, invece, è il cuore dello zebrafish,
capace di straordinari meccanismi di riparazione dei tessuti danneggiati. «Proprio studiando la rigenerazione cardiaca di questo piccolo pesce di
acqua dolce, i nostri colleghi
americani, coordinati da Juan
Carlos Izpisua Belmonte, han-
no individuato quattro microRna che sono naturalmente inibiti durante il processo di
autoriparazione messo in atto
dallo zebrafish ma, al contrario, sono attivi negli esseri
umani, tanto da supporre un
loro ruolo chiave nel bloccare
il processo di rigenerazione».
E in effetti, bloccando l’azione di queste molecole, il team
di scienziati ha ottenuto risultati promettenti che aprono,
grazie alla riprogrammazione
rigenerativa, nuove prospettive nella lotta contro le malattie
cardiache. «In pratica – precisa Zacchigna, 39 anni, responsabile della ricerca preclinica
dell’Icgeb - noi abbiamo osservato in laboratorio che le cellule di cuore umano riescono a
crescere in vitro e siamo anche
riusciti a “guarire” il cuore di
alcuni roditori, grazie alla somministrazione di specifici inibitori di microRna che hanno attivato la rigenerazione delle
cellule cardiache, con effetti a
lungo termine».
Ora, naturalmente, la ricerca su questo fronte deve continuare, ma le aspettative dei ricercatori sono alte. «Potrebbero infatti non essere lunghissimi i tempi per arrivare alla sperimentazione clinica di molecole di anti-microRna per indurre la rigenerazione cardiaca».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Anche gli ingegneri al servizio della cardiologia
Pubblicato uno studio sul rapporto fra il moto vorticoso del sangue e gli scompensi cardiaci
Uno studio pubblicato su Nature Review Cardiology introduce una nuova prospettiva
per guardare al funzionamento del cuore. Descrive un approccio interdisciplinare in
cui l’analisi ingegneristica del
moto vorticoso del sangue fornisce informazioni sulla qualità della funzione cardiaca. Tra
gli autori, Gianni Pedrizzetti
del dipartimento di Ingegneria e Architettura dell’Università degli Studi di Trieste.
Lo scompenso cardiaco è la
patologia cardiaca progressiva
più diffusa: si presenta sia co-
me disfunzione primaria sia
come conseguenza di ogni altra disfunzione, di interventi
terapeutici o anche semplicemente con l’età. Lo scompenso (in inglese “heart failure”)
ha come primo e visibile effetto il rimodellamento del ventricolo sinistro: un aumento
progressivo del volume della
camera cardiaca che porta a
un rapido peggioramento della sua funzionalità. La gravità
di tale patologia è tale che il
tasso di sopravvivenza a 5 anni
a seguito di una diagnosi di
scompenso risulta di poco su-
periore al 50%.
L’integrazione con i metodi
ingegneristici può aiutare a
comprendere meglio questo
fenomeno clinico in quanto il
flusso del sangue all’interno
del ventricolo sinistro è caratterizzato dalla presenza di un
vortice che guida il moto lungo traiettorie curve percorrendo l’intera cavità ventricolare.
Dal punto di vista dinamico, la
peculiarità di questo processo
consiste nella presenza di elevate accelerazioni, e quindi
forze emodinamiche, dovute a
rapide variazioni nella direzio-
Galileo. Koch. Jenner. Pasteur. Marconi. Fleming...
Precursori dell’odierna schiera di ricercatori
che con impegno strenuo e generoso (e spesso oscuro)
profondono ogni giorno scienza, intelletto e fatica
imprimendo svolte decisive al vivere civile.
Incoraggiare la ricerca significa
optare in concreto per il progresso del benessere sociale.
La Fondazione lo crede da sempre.
ne e nell’intensità della velocità del sangue.
Gli attuali modelli clinici
non tengono in alcun conto
della presenza del sangue
all’interno della camera cardiaca. Il sangue è un materiale
incomprimibile, con lo stesso
peso del tessuto, pertanto esso
mette in contatto i diversi segmenti del miocardio attraverso la colonna di fluido tra di essi. In presenza di un flusso vorticoso intraventricolare, la comunicazione tra regioni lontane viene modulata attraverso
il movimento del sangue, co-
sicché la rapida accelerazione-decelerazione in prossimità di una regione può dar luogo a sollecitazioni in un’altra.
È stato dimostrato di recente che lo sviluppo fisiologico
del cuore allo stato embrionale è guidato dalle azioni emodinamiche (shear stress) che stimolano la moltiplicazione cellulare. Nella stessa prospettiva
è naturale ipotizzare che le
azioni emodinamiche possano stimolare anche nel cuore
adulto le variazioni geometriche associate con lo scompenso cardiaco.
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AL MICROSCOPIO
Poliomelite
non abbassare
mai la guardia
di MAURO GIACCA
A
nche Google ha recentemente celebrato con
uno dei suoi “doodle” la
ricorrenza del centesimo anniversario della nascita di Jonas
Salk, medico statunitense che
nel 1955 annunciò al mondo il
successo del suo vaccino contro
la poliomielite. A quei tempi, le
epidemie dovute al virus erano
devastanti: nel 1952, ne erano
state colpite quasi 60mila persone soltanto negli Stati Uniti, di
cui 3mila erano morte e altre
20mila rimaste paralizzate. Il
vaccino di Salk, basato su un virus inattivato con la formalina,
cambiò la situazione: nel 1962,
negli Stati Uniti furono registrati
meno di 1000 casi di poliomielite.
Nello stesso anno fu approvato un secondo vaccino, sviluppato da Albert Sabin e costituito da
una mistura di 3 varianti (sierotipi) del virus, ancora capaci di replicarsi ma attenuate nella loro
virulenza. Questo vaccino trivalente, che si è rivelato di grandissima efficacia, a partire dal 1988
è stato utilizzato per una serie di
vaste campagne vaccinali sostenute dall'Oms, l'Unicef, il Rotary International e, più tardi,
dalla Gates Foundation per promuovere l'eradicazione del virus dal pianeta Terra, come già è
avvenuto per quelli del vaiolo
nel 1978 e della peste bovina nel
2011. Purtroppo, l'obiettivo si
sta rivelando più arduo da raggiungere di quanto sperato.
Questa settimana, due notizie
fanno il punto della situazione.
La prima viene dal Cdc di Atlanta (l'organismo che monitora le
malattie per il Governo degli Stati Uniti) e riporta la probabile
eradicazione di almeno due delle tre varianti del virus della poliomielite, tutte coperte dal vaccino di Sabin. Non sono più stati
registrati casi dovuti al sierotipo
2 dal 1999 e al 3 dal 2012. Il sierotipo 1, invece, continua a mietere ancora vittime: nonostante il
numero di casi di morte o paralisi dovute alla poliomielite sia
sceso dai 350mila del 1980 ai circa 400 dello scorso anno, sacche
di povertà e guerra in Afghanistan, Nigeria e, soprattutto, Pakistan (85% dei casi solo in questo
paese) non consentono la vaccinazione capillare dei bambini e
impediscono quindi la totale eliminazione del virus.
La seconda notizia è ancora
più allarmante. Uno studio pubblicato sui Proceedings of the
National Academy of Sciences
degli Stati Uniti ha analizzato i
campioni di un'epidemia particolarmente severa che nel 2010
ha colpito il Congo, rivelando
come questa fosse dovuta a un
ceppo di virus della poliomielite
mutante, divenuto insensibile
alla vaccinazione. L'osservazione è preoccupante: se il virus
non sarà eliminato dal pianeta
in tempi rapidi, potrebbero selezionarsi varianti resistenti al vaccino, particolarmente virulente
e capaci di diffondersi nella popolazione.