Invernizzi Stefano Appunti di Fondamenti di ELETTRONICA Corso del prof. Giorgio Ferrari Politecnico di Milano Ingegneria Informatica A.A. 2008/2009 Fondamenti di Elettronica Appunti Capitolo 1: Introduzione all’Elettronica 1. L’Elettronica Definizione L’Elettronica è la scienza che studia i fenomeni relativi allo spostamento di carica elettrica (in particolar modo degli elettroni) e sfrutta tali fenomeni per compiere azioni utili. Le applicazioni dell’Elettronica sono moltissime: essa infatti è una disciplina che pervade tutta la tecnologia moderna e che è alla base di discipline affini (come ad esempio le telecomunicazioni e l’informatica). La scelta degli elettroni Nel dare la definizione di “Elettronica” abbiamo affermato che essa si occupa di analizzare i fenomeni relativi allo spostamento di carica elettrica e che in particolar modo si occupa dello studio dei fenomeni legati allo spostamento di elettroni. Questa scelta che privilegia gli elettroni è dovuta a 3 ragioni diverse: 1. Gli elettroni si trovano nella parte più esterna dell’atomo, perciò si spostano più facilmente. 2. Si tratta di particelle piccole e leggere, perciò si spostano a velocità molto elevata. 3. Gli elettroni possiedono carica elettrica, quindi è possibile esercitare forze elettriche per spostarli. Cenni alla storia dell’Elettronica Vogliamo ora passare in rassegna quella che sono state le principali tappe della storia dell’Elettronica, presentando una cronologia schematica e molto sintetica. 1895 Guglielmo Marconi effettua le prime trasmissioni radio della storia. 1904 Fleming inventa il diodo a vuoto. 1906 Viene inventato il triodo, ovvero il primo componente in grado di amplificare i segnali ricevuti in ingresso (cioè di restituire un segnale con potenza o ampiezza superiori rispetto a quello in ingresso). Le dimensioni del triodo erano molto elevate, dell’ordine del centimetro. 1930 Nasce il primo prototipo di televisore. 1947 La notte del 24 dicembre i ricercatori Bardeen e Brattain realizzano il primo transistor bipolare, all’interno dei laboratori della Bell Telephone Shockley. Le funzionalità di tale componente erano simili a quelle del triodo, ma il transistor bipolare aveva dimensioni nettamente inferiori (dell’ordine dei millimetri). 1958 Nasce il primo circuito integrato: per la prima volta diventa possibile integrare su una base di silicio un certo numero di transistor (circa una decina). Oggi È diventato possibile realizzare integrati con una densità circa pari ad un transistor ogni 45 nm2. In un integrato delle dimensioni di circa un mm2 troviamo quindi fino a 108 transistor. Probabili sviluppi futuri dell’Elettronica Per il futuro è prevedibile un’ulteriore riduzione delle dimensioni dei dispositivi elettronici. Ciò consentirà quindi di implementare un numero sempre più elevato di funzioni all’interno di spazi più piccoli e con prestazioni superiori. Si osserva inoltre che il ritmo di crescita dell’Elettronica è più elevato di quello di qualsiasi altra industria. Le direzioni che l’Elettronica sembra aver intrapreso per il futuro sembrano essere soprattutto legate alle applicazioni nel campo della biomedica ed in quello dei motori elettrici. pag. 1 Fondamenti di Elettronica Appunti 2. Grandezze elettriche di interesse e punto di riferimento Grandezze elettriche fondamentali Le grandezze elettriche più importanti, che verranno in seguito massicciamente utilizzate, sono le seguenti: La carica elettrica La carica elettrica è una grandezza fisica che determina delle interazioni tra corpi. Gli elettroni sono delle particelle che possiedono una carica negativa, mentre i protoni possiedono carica positiva. Un corpo è carico positivamente se possiede un eccesso di cariche positive rispetto a quelle negative; se invece prevalgono le cariche negative, il corpo è carico negativamente. Quando le cariche positive e quelle negative sono nella stessa quantità, il corpo è neutro. Sappiamo anche che cariche dello stesso segno si respingono, mentre cariche di segno opposto si attraggono. La grandezza fisica carica elettrica verrà indicata con la lettera Q ed ha come unità di misura il Coulomb (che si indica con la lettera C). La corrente elettrica La corrente elettrica I è definita come la derivata della carica rispetto al tempo: dQ I dt Possiamo perciò affermare che la corrente elettrica indica quanti elettroni attraversano la sezione del materiale in analisi, nell’unità di tempo. L’unità di misura della corrente elettrica è l’Ampére. Osservazione: Il verso della corrente convenzionalmente considerato come positivo è sempre quello opposto rispetto alla direzione nella quale si muovono gli elettroni. La tensione La tensione o “differenza di potenziale” tra due punti A e B è la differenza tra l’energia potenziale che una carica q possiede quando si trova nel punto A e quella che possiede quando si trova nel punto B, divisa per la carica q stessa: EP A EP B ∆EP VAB q q In particolare, se VAB 0, allora avremo una corrente che va dal punto A al punto B, mentre la corrente si muoverà nel verso contrario nel caso in cui VAB 0. Osserviamo infatti che solamente i generatori sono in grado di portare della carica da un punto a potenziale più basso ad uno che si trova a potenziale più alto. L’unità di misura della tensione è il Volt. Punto di riferimento In genere tutte le tensioni all’interno di un circuito vengono indicate rispetto ad un unico punto, che viene arbitrariamente considerato a tensione nulla. Tale punto è detto “punto di riferimento” e viene indicato con il simbolo di seguito riportato: pag. 2 Fondamenti di Elettronica Appunti 3. Segnali Definizione di segnale Si dice “segnale” una grandezza fisica alla quale viene attribuito un particolare significato. Se tale grandezza fisica è tra quelle che abbiamo appena introdotto, allora si parla di “segnale elettrico”. Ad esempio, diremo che la carica elettrica è un segnale elettrico se associamo ad ogni valore che essa può assumere un particolare valore di una diversa grandezza, come potrebbe essere la temperatura. In realtà però i segnali che in seguito studieremo saranno soprattutto segnali di tensione. Dalla definizione che abbiamo appena dato segue che i segnali sono il veicolo di una varietà infinita di informazioni provenienti dal mondo esterno. Circuiti analogici e circuiti digitali Le informazioni possono essere associate ad un segnale in molteplici modi diversi. Di tutti questi, i due modi principali sono quelli noti come “segnali analogici” e “segnali digitali”. Un circuito digitale è un circuito che opera su segnali digitali, mentre un circuito analogico è in gradi di ricevere, elaborare e fornire in uscita dei segnali di tipo analogico. Vediamo ora di chiarire la differenza tra questi tipi di segnali. Segnali analogici Un segnale analogico è un segnale i cui valori possono variare con continuità in un opportuno intervallo. In un segnale analogico, l’informazione associata al segnale in un certo istante t è legata all’ampiezza che il segnale stesso assume in quel particolare istante. Segnali digitali Un segnale digitale è un segnale al quale viene associata informazione per livelli discreti. A tal fine è indispensabile che si rispettino alcune condizioni: 1. Il tempo deve essere reso discreto. 2. Le ampiezze dei segnali devono essere quantizzate. 3. Si deve adottare un’opportuna codifica. Il caso più estremo e diffuso di segnale digitale è il sistema binario. Il tempo di trasmissione di ogni simbolo prende il nome di clock del sistema. Altri parametri fondamentali per definire il segnale digitale binario sono i livelli di tensione che vengono considerati “alti” e “bassi”. Naturalmente entrambe le tipologie di segnali hanno sia dei vantaggi che degli svantaggi. Vantaggi dei segnali analogici I vantaggi dei segnali analogici sono principalmente 2: 1. In genere l’uscita fornita da un sensore è rappresentata da un segnale analogico, perciò è più semplice e vantaggioso elaborare direttamente tale segnale, anziché operare prima una conversione per renderlo digitale. 2. I segnali analogici sono molto veloci (teoricamente immediati) mentre i segnali digitali richiedono un certo numero di clock per poter trasmettere ogni singolo valore. Vantaggi dei segnali digitali Il vantaggio principale di un segnale digitale è rappresentato dall’influenza del rumore. Tutti i sistemi elettrici infatti sono soggetti a fluttuazioni casuali delle grandezze in gioco, le quali si sovrappongono ai segnali utili provocando un certo errore. Tale fenomeno prende il nome di rumore e influenza soprattutto i segnali analogici. Si osserva infatti che, nel caso in cui il segnale utilizzato sia di tipo digitale, si può introdurre una soglia di tensione, in modo tale che si considerino allo stato basso tutti i valori inferiori a tale soglia ed allo stato alto tutti quelli superiori: in questo modo, a meno che l’ampiezza del rumore sia superiore a tale soglia, possiamo eliminare l’effetto del rumore sui segnali digitali. In conclusione, si preferisce in genere utilizzare dei segnali analogici quando è importante soprattutto la velocità di trasmissione, mentre se necessitiamo di un’elevata precisione è più opportuno usare segnali digitali. pag. 3 Fondamenti di Elettronica Appunti 4. Sistemi elettronici Sistema elettronico Lo scopo dell’Elettronica è quello di interporsi tra l’uomo ed il mondo esterno, in modo da estrarre dei segnali dall’esterno, elaborarli, memorizzarli e trasmetterli (eventualmente anche a distanze molto elevate e/o dopo opportuni intervalli di tempo rispetto all’istante in cui sono stati acquisiti). Definiamo perciò “sistema elettronico” ogni dispositivo (o insieme di dispositivi) in gradi di compiere tali funzioni. Lo schema base di ogni sistema elettronico è costituito da 3 blocchi distinti: Sensori o trasduttori Questi elementi costituiscono il blocco di dispositivi in grado di trasformare le grandezze del mondo esterno in segnali elettrici. Blocco di elaborazione Il blocco di elaborazione è quella parte del sistema elettronico che riceve i segnali elettrici dai sensori (sottoforma di tensioni e/o correnti) e li trasforma, sulla base di opportune elaborazioni, in modo tale da poter fornire agli attuatori dei nuovi segnali elettrici. Attuatori Gli attuatori sono quei dispositivi che compiono l’operazione inversa rispetto ai sensori: essi infatti trasformano i segnali elettrici ricevuti dal blocco di elaborazione in grandezze fisiche di diverso tipo. Possiamo perciò schematizzare un sistema elettrico nella maniera seguente: Nel precedente schema è stata indicata con VA quella che prende il nome di “tensione di alimentazione”. Essa viene erogata da un generatore indipendente di tensione ed è necessaria per fornire energia al blocco di elaborazione. Osserviamo che spesso tale tensione non viene indicata, ma comunque è sempre bene ricordarsi della sua presenza, in quanto in sua assenza il sistema non potrebbe funzionare. Occorre inoltre tenere conto della tensione di alimentazione perché essa impone una notevole limitazione: tutte le tensioni interne al blocco di elaborazione infatti devono essere non superiori al valore di VA . L’alimentazione di un circuito può anche essere indicata in maniera più sintetica, mediante la seguente simbologia: Tensione di alimentazione pag. 4 Fondamenti di Elettronica Appunti Modello elettrico di un sensore La struttura interna di un sensore può essere anche molto complessa; indipendentemente da essa però il sensore, affinché possa efficacemente funzionare, deve possedere una caratteristica di tipo lineare: la tensione d’uscita deve essere direttamente proporzionale alla grandezza rilevata dal sensore stesso (tutt’al più a meno di una costante additiva, che non fa altro che “traslare” la caratteristica del circuito). Come noto dall’Elettrotecnica, i circuiti lineari possono essere rappresentati in maniera molto semplificata attraverso i loro equivalenti di Norton oppure di Thevenin. In sostanza dunque ogni sensore può essere modellizzato mediante una resistenza in serie ad un generatore di tensione, oppure attraverso il parallelo tra un generatore di corrente ed un resistore: Modello elettrico di un attuatore Come abbiamo visto, in sostanza un attuatore non fa altro che convertire un segnale in una diversa forma di energia. Dal punto di vista elettrico quindi l’attuatore può essere semplicemente visto come un componente in grado di dissipare potenza, ovvero come un semplice resistore. L’attuatore viene dunque modellizzato mediante una resistenza, come mostrato nella figura seguente: P i t · v t Osserviamo che la lettera “L” utilizzata come pedice sta per “load” (carico). La potenza dissipata è quindi: Modellizzazione dettagliata di un sistema di elaborazione A questo punto possiamo modificare lo schema inizialmente proposto inserendo tutte le considerazioni fino ad ora viste. Il sistema di elaborazione quindi può essere anche rappresentato come segue: pag. 5 Fondamenti di Elettronica Appunti Capitolo 2: Il diodo 1. Cenni di fisica dei semiconduttori Isolanti, conduttori e semiconduttori Come noto, tutti i materiali possono essere suddivisi in 3 grandi categorie sulla base della loro capacità di condurre corrente elettrica. Qualitativamente, possiamo introdurre la seguente classificazione: Conduttori I conduttori sono materiali nei quali è presente un elevato numero di elettroni liberi, che consentono un’ottima conduzione di corrente elettrica. Isolanti Gli isolanti sono dei materiali praticamente privi di elettroni liberi, e perciò incapaci di condurre corrente elettrica. Semiconduttori I semiconduttori sono dei materiali che hanno “un certo numero di elettroni liberi, maggiore di zero ma non enorme”. In altre parole, i semiconduttori sono delle sostanze che hanno proprietà intermedie tra i conduttori e gli isolanti. Nei paragrafi successivi ci soffermeremo sull’analisi dei semiconduttori. Tra questi, il semiconduttore che assume il ruolo certamente più importante in Elettronica è il silicio (Si), perché è economico e facilmente reperibile ed utilizzabile. Proprietà del silicio Riassumiamo ora alcune importanti proprietà dell’elemento chimico silicio: - Appartiene al IV gruppo della Tavola Periodica degli Elementi, perciò possiede 4 elettroni di valenza. - Ha numero atomico Z = 14, perciò possiede 14 elettroni e 14 protoni. Dei 14 elettroni, 10 saranno molto vicini al nucleo, mentre i 4 elettroni di valenza sono debolmente legati al nucleo e possono facilmente interagire con l’esterno. - Gli atomi di silicio interagiscono tra loro in modo tale da formare un reticolo cristallino ordinato, nel quale ogni atomo costituisce uno dei vertici di un tetraedro. Se volessimo rappresentare su due dimensioni tale struttura potremmo farlo nel modo seguente: - Il legame tra gli atomi di silicio all’interno del reticolo è di tipo covalente, perché atomi diversi condividono tra loro gli elettroni di valenza che possiedono. Il legame precedentemente descritto si rompe a temperature superiori ai 20 Kelvin. A temperatura ambiente quindi alcuni dei legami tra gli atomi di silicio vengono a rompersi e danno origine, da un lato, ad una coppia di elettroni liberi, e dall’altro ad una coppia di lacune. Il termine “lacuna” viene utilizzato per indicare un atomo che, avendo perso uno dei suoi elettroni di valenza, risulta carico positivamente. Un “elettrone libero” invece è un elettrone non più legato all’atomo al quale appartiene. Quindi, mentre le lacune sono delle cariche positive, gli elettroni sono delle cariche negative. Si stima che il numero di legami rotti sarà di 10 legami ogni cm! . pag. 6 Fondamenti di Elettronica Appunti Il drogaggio Il drogaggio di un semiconduttore è un’operazione che, sfruttando la microelettronica, consente di “aggiungere” un certo numero di cariche positive oppure negative al silicio puro. In questo modo viene modificata la concentrazione di carica in alcune zone del materiale e vengono così alterate le proprietà del silicio stesso. Tale risultato viene ottenuto mediante l’aggiunta di piccole quantità note di atomi di diverso tipo. In base alla tipologia degli atomi che vengono aggiunti si distinguono due tipologie di drogaggio: Il drogaggio di tipo N Avviene aggiungendo atomi “donori”. Un atomo “donore” è un atomo che è in grado di “donare” degli elettroni, perché possiede un numero di elettroni di valenza superiore rispetto al semiconduttore che stiamo drogando. Nel caso del silicio, per il drogaggio di tipo N si utilizzeranno quindi atomi di elementi appartenenti al V gruppo della Tavola Periodica. Il drogaggio di tipo P Avviene aggiungendo atomi “accettori”. Un atomo “accettore” è un atomo che è in grado di “accettare” degli elettroni, perché possiede un numero di elettroni di valenza inferiore rispetto al semiconduttore che stiamo drogando. Nel caso del silicio, per il drogaggio di tipo P si utilizzeranno quindi atomi di elementi appartenenti al III gruppo della Tavola Periodica. Nei paragrafi successivi vedremo meglio come vengono realizzate tali tipologie di drogaggi, facendo sempre riferimento al silicio. Drogaggio di tipo N Analisi qualitativa Il drogaggio di tipo N consente in sostanza di produrre un eccesso di elettroni, mediante l’aggiunta di atomi donori all’interno del Silicio (elementi del V gruppo della Tavola Periodica). I donori che vengono più frequentemente utilizzati per il drogaggio del silicio sono il fosforo (P) e l’arsensio (As). Supponiamo ora di inserire un atomo di fosforo in un reticolo di silicio. Dei 5 elettroni dell’atomo di fosforo, 4 instaureranno un legame covalente con altrettanti atomi di silicio; il restante elettrone però non potrà legarsi con nessun altro atomo, e perciò, se possiede l’energia termica necessaria, tale elettrone può allontanarsi dall’atomo al quale appartiene. Affinché l’elettrone possieda l’energia necessaria perché ciò accada è sufficiente che ci si trovi a temperatura ambiente. Naturalmente, possiamo ripetere un discorso analogo per ogni atomo di fosforo che aggiungiamo all’interno del reticolo. Di conseguenza, se adottiamo la seguente simbologia: N = Concentrazione di atomi donori. n = Concentrazione di elettroni liberi. Abbiamo: n $ N Ovvero, la concentrazione degli elettroni liberi è circa pari alla concentrazione degli atomi donori. Osserviamo anche che nel momento in cui l’elettrone diviene libero e si allontana dal proprio atomo di fosforo, quest’ultimo diviene carico positivamente: si crea quindi anche uno ione positivo, oltre all’elettrone libero. Tuttavia lo ione positivo, essendo legato agli atomi di silicio contingui, non è in grado di muoversi, e perciò è detto ione fisso. pag. 7 Fondamenti di Elettronica Appunti Determinazione del comportamento del Si drogato N Vogliamo ora determinare il comportamento del silicio drogato N quando vi applichiamo una certa tensione, come nella figura seguente: A seguito della tensione V si creerà un campo elettrico uniforme all’interno del silicio drogato, tale che valga la relazione: V E·L Il campo elettrico eserciterà una forza sugli elettroni liberi data dalla relazione: '( '( q · E F Tuttavia gli elettroni urteranno continuamente gli atomi del reticolo, perciò non si muoveranno di moto rettilineo uniformemente accelerato, a differenza di ciò che potremmo inizialmente immaginare. Il ogni caso, è stato verificato che la velocità media con cui l’elettrone si sposta all’interno del silicio è direttamente proporzionale al campo elettrico, con un coefficiente di proporzionalità che chiamiamo coefficiente di mobilità e che indichiamo con µ* : '( 'v(* µ* · E Il coefficiente di mobilità degli elettroni nel caso di silicio drogato di tipo N viene generalmente indicato con µ+ e il suo valore tipico è: cm. µ+ $ 1300 V·s All’interno del silicio drogato gli elettroni si muoveranno come indicato nella figura seguente: Per valutare la corrente che attraversa il silicio dobbiamo allora stimare il numero di elettroni che attraversano la sezione del silicio stesso nell’unita di tempo. Possiamo effettuare tale calcolo se teniamo conto del fatto che in un intervallo di tempo dt potranno attraversare la sezione S di silicio tutti e soli gli elettroni che si trovano ad una distanza da S non superiore a v* · dt. Tali elettroni si troveranno perciò all’interno del volume v* · dt · S. Siccome il numero di elettroni liberi per unità di volume è stato indicato con n e siccome abbiamo detto che n $ N , possiamo affermare che nell’unità di tempo la sezione S di silicio sarà attraversata da un numero di elettroni pari a v* · dt · S · N . La carica che attraversa la sezione nell’unità di tempo quindi è (indicando con q la carica dell’elettrone): dQ v* · dt · S · N · q E perciò otteniamo: dQ V S I v* · S · N · q µ* · S · E · N · q µ* · S · · N · q 1µ* · N · q · 2 · V dt L L Possiamo dunque concludere che il silicio drogato N si comporta come un semplice resistore, il cui valore di resistenza è dato dalla formula: 1 R S µ* · N · q · L pag. 8 Fondamenti di Elettronica Appunti Drogaggio di tipo P Analisi qualitativa Il drogaggio di tipo P consente in sostanza di produrre un eccesso di lacune, mediante l’aggiunta di atomi accettori all’interno del Silicio (elementi del III gruppo della Tavola Periodica). Gli atomi accettori che vengono più frequentemente utilizzati per il drogaggio del silicio sono quelli di Boro (B). Supponiamo ora di inserire un atomo di boro in un reticolo di silicio. Tre degli elettroni di valenza del Boro instaureranno un legame covalente con altrettanti atomi di silicio. Tuttavia un atomo di silicio rimarrà con un elettrone di valenza slegato da tutti gli altri atomi. A temperatura ambiente, tale elettrone possiederà l’energia necessaria per vincere il legame con il nucleo dell’atomo al quale appartiene e quindi se ne allontanerà, dando origine ad una lacuna (l’atomo di silicio al quale apparteneva tale elettrone risulterà infatti carico positivamente). L’elettrone libero si muoverà quindi all’interno del reticolo, fino a quando urterà un altro atomo di silicio, sostituendosi così ad uno dei suoi elettroni di valenza nel legame al quale esso partecipava. In tal modo però l’elettrone che è stato sostituito diventerà un altro elettrone libero, che di conseguenza si sposterà all’interno del reticolo, urtando un altro atomo e rompendo quindi uno dei legami covalenti ai quali esso partecipava. Ogni volta che un elettrone urta un altro atomo, quest’ultimo diventa una lacuna. Quando poi l’elettrone perso durante l’urto viene sostituito, la lacuna torna ad essere neutra, ma l’elettrone liberatosi urterà un altro atomo, creando così una nuova lacuna. In sostanza perciò le lacune si continuano a spostare all’interno del reticolo di silicio. Si osserva anche che l’atomo di Boro attirerà a sé uno degli elettroni liberi degli atomi di silicio ad esso circostanti, diventando così uno ione negativo. Esso però non si sposterà all’interno del reticolo. Possiamo ora indicare le concentrazioni degli accettori e delle lacune in modo opportuno: NA = Concentrazione di atomi accettori. p = Concentrazione di lacune. Sulla base di quanto precedentemente detto possiamo affermare che la concentrazione di lacune è circa uguale a quella di atomi accettori: p $ NA Determinazione del comportamento del Si drogato P Per determinare il comportamento del silicio drogato P potremmo in sostanza ripetere l’analisi fatta per il silicio drogato di tipo N. In questo caso però il coefficiente di mobilità che dobbiamo utilizzare è il coefficiente di mobilità delle lacune, che indichiamo con µ5 e che ha un valore tipico di: cm. µ5 $ 400 V·s Otterremo così: S I 1µ5 · NA · q · 2 · V L Possiamo dunque concludere che il silicio drogato P si comporta come un semplice resistore, il cui valore di resistenza è dato dalla formula: 1 R S µ5 · NA · q · L pag. 9 Fondamenti di Elettronica Appunti 2. La giunzione P-N La legge dell’azione di massa Prima di procedere con la descrizione della giunzione P-N è opportuno introdurre un’importante legge che esprime il legame tra la concentrazione di elettroni liberi e quella di lacune all’interno del silicio drogato. Si osserva infatti che anche nel silicio drogato di tipo P esistono degli elettroni liberi, pur essendo in quantità di molto inferiore rispetto alle lacune e, viceversa, nel silicio drogato N si ha una certa concentrazione di lacune. In particolare, la relazione matematica tra la concentrazione di lacune e quella di elettroni liberi è: n · p 10. cm78 La giunzione P-N Definizione Chiamiamo giunzione P-N il materiale che otteniamo unendo tra loro uno strato di silicio drogato di tipo P ed uno strato di silicio drogato di tipo N, come in figura: La corrente di diffusione In questa situazione, gli elettroni in eccesso nella zona N tenderanno a spostarsi nella zona P e, viceversa, le lacune in eccesso della zona P entreranno nella zona N. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare però questo fenomeno non darà origine ad un nuovo semiconduttore uniformemente drogato, ma si avrà una situazione più complessa. Gli elettroni più prossimi alla zona N infatti, quando si spostano nella zona P, danno origine a degli ioni positivi e, viceversa, le lacune vicine alla giunzione che si spostano nella zona N lasceranno dietro di sé degli ioni negativi. Possiamo così rappresentare questa situazione: Tale fenomeno dà origine ad una corrente che prende il nome di corrente di diffusione. La corrente di diffusione dunque è una corrente che tende a ridistribuire le cariche in maniera uniforme all’interno della giunzione P-N. Vogliamo ora valutare l’entità di tale corrente. La carica che attraversa la sezione S in cui c’è la giunzione vera e proprio tra la zona P e la zona N è data dalla differenza tra la quantità di carica che passa da sinistra a destra e quella che passa da destra a sinistra, dove i termini “destra” e “sinistra” sono usati con riferimento ai precedenti disegni (da destra a sinistra significa da zona N a zona P e, viceversa, da sinistra a destra significa da zona P a zona N). - In un intervallo di tempo ∆t le cariche che passeranno da sinistra a destra della giunzione sono tutte quelle lacune che si trovano inizialmente in zona P e distano meno di v · ∆t dalla giunzione stessa. Di conseguenza potremo scrivere: ∆Q9: q · v · ∆t · S · n9: Dove n9: è la concentrazione di carica a sinistra della giunzione. - Nello stesso intervallo ∆t le cariche che passeranno da destra a sinistra della giunzione sono tutti gli elettroni che si trovano inizialmente in zona N e distano meno di v · ∆t dalla giunzione stessa. Di conseguenza potremo scrivere: ∆Q: q · v · ∆t · S · n: Dove n: è la concentrazione di carica a destra della giunzione. Otteniamo quindi: ∆Q ∆Q9: ∆Q : q · v · ∆t · S · n9: n: pag. 10 Fondamenti di Elettronica Appunti Se consideriamo intervalli di tempo sufficientemente piccoli, potremo scrivere: n9: n: dn ∆x dx Ovvero: dn · ∆x n9: n: dx Inoltre, se chiamiamo D v · ∆x, possiamo scrivere: dn dn ∆Q q · v · ∆t · S · n9: n: q · v · ∆t · S · · ∆x q · ∆t · S · D · dx dx E quindi: ∆Q dn I=>>?9=+* q·S·D· ∆t dx La corrente di deriva La corrente di diffusione però, come possiamo intuitivamente aspettarci, è limitata nel tempo. Infatti, a seguito della corrente di diffusione, si avrà un accumulo di cariche positive nella parte di silicio N più prossima alla giunzione ed un accumulo di cariche negative nella zona di silicio P più vicina alla giunzione. Ciò quindi porterà alla formazione di un campo elettrico interno, che prende il nome di '(BI ). campo di built-in (E La zona della giunzione nei pressi della quale avviene il contatto tra la zona P e la zona N prende il nome di zona di carica spaziale. Come si osserva dal verso indicato in figura, il campo elettrico di built-in tenderà a spostare gli elettroni dalla zona P alla zona N e, viceversa, le lacune dalla zona N alla zona P. La corrente che si crea in questo modo prende il nome di corrente di deriva ed ha verso opposto rispetto alla corrente di diffusione. Dopo un certo intervallo di tempo quindi si arriverà ad una situazione di stabilità, nella quale la corrente di deriva e quella di diffusione si equilibrano tra loro, e quindi la corrente totale che attraversa la giunzione è nulla. La distribuzione delle cariche all’interno della giunzione P-N sarà qualitativamente rappresentata dal grafico seguente: Come si osserva, nella parte più esterna della zona P il materiale non risente della giunzione: la concentrazione di lacune rimane circa uguale al numero di accettori inseriti; analogamente, nella parte più esterna della zona N il numero di elettroni è circa uguale al numero di donori inseriti. L’unica parte della giunzione che risente molto del contatto tra la zona P e la zona N è proprio quella vicina alla superficie di contatto tra le due zone stesse. pag. 11 Fondamenti di Elettronica Appunti Analisi della giunzione P-N in tensione diretta Diciamo che alla giunzione P-N è applicata una tensione diretta quando il terminale collegato alla zona P è a potenziale superiore rispetto al terminale collegato alla zona N: '(*:A , il quale Come mostrato in figura, se applichiamo una tensione diretta V*:A si genera un campo elettrico E ( ' ( ' si contrappone al campo elettrico di built-in EBI . Diminuendo il campo elettrico EBI , diminuirà anche la corrente di deriva e quindi la corrente di diffusione non sarà più pienamente compensata. In tal modo il numero di elettroni in zona P aumenterà, così come il numero di lacune in zona N. Le concentrazioni quindi cambieranno, nella maniera mostrata nel grafico seguente: VEFG T H· e J In particolare, la concentrazione di elettroni ai margini della zona di carica spaziale in zona P sarà: n5 n5B · Dove, a temperatura ambiente (T = 300 K) si ha all’incirca: T k · 25 mV q Analogamente, la concentrazione di lacune ai margini della zona di carica spaziale in zona N è data da: VEFG T H· e J p+ p+B · Di conseguenza possiamo così calcolare la corrente di diffusione dovuta al moto di elettroni da zona N a P: dn I+ q · S · D+ · dx Possiamo a questo punto osservare che la corrente I+ deve necessariamente essere uguale in ogni sezione + : obbligatoriamente essere costante, ovvero la concentrazione di elettroni n deve avere andamento lineare all’eterno della zona di carica spaziale. Ciò significa che potremo scrivere: dn n5 n5B w5 dx Dove w5 è lo spessore della zona P. Quindi, sostituendo nella precedente formula: del materiale considerato (cioè non deve dipendere da x). Di conseguenza, la derivata VEFG T H· e J deve VEFG T n5 n5B n5 · n5B n5 H· I + q · S · D+ · q · S · D+ · B q · S · D+ B · Pe J 1Q w5 w5 w5 In maniera analoga a quanto appena fatto per la corrente dovuta al moto di elettroni, possiamo calcolare la corrente che è dovuta allo spostamento di lacune da zona P a zona N. VEFG VEFG T H· Pe J T p+ H· I5 q · S · D5 B · Pe J 1Q w+ In conclusione, la corrente totale che attraversa la giunzione P-N da zona P a zona N è: IAA I5 R I+ I · I q · S · SD5 1Q pag. 12 p+B n5 R D+ B T w+ w5 Fondamenti di Elettronica Appunti Analisi della giunzione P-N in tensione inversa Diciamo che alla giunzione P-N è applicata una tensione inversa quando il potenziale del terminale collegato alla zona P è inferiore rispetto a quello del terminale collegato alla zona N: Osservando la figura precedente, si osserva che se applichiamo una tensione inversa V*:A si genera un '(*:A , il quale ha lo stesso verso del campo elettrico di built-in E '(BI . In tal modo gli elettroni campo elettrico E tenderanno a spostarsi verso la zona N e le lacune tenderanno invece a spostarsi verso la zona P, modificando così le proprie concentrazioni, come mostrato nel grafico seguente: In particolare, possiamo considerare nulla la concentrazione di elettroni liberi nei pressi della zona di carica spaziale in zona P, e analogamente possiamo considerare pari a 0 la concentrazione di lacune nella parte di zona N più vicina alla zona di carica spaziale. Seguendo gli stessi passaggi visti nella precedente analisi otteniamo che la corrente dovuta al moto di elettroni è rappresentata dalla seguente formula: 0 n5B n5 dn I+ q · S · D+ · q · S · D+ · q · S · D+ · B dx w5 w5 Mentre la corrente dovuta al moto delle lacune è: 0 p+B p+ dn I5 q · S · D5 · q · S · D5 · q · S · D5 · B dx w+ w+ E quindi la corrente totale è: n5 p+ IAA I5 R I+ q · S · SD+ · B R D5 · B T I w5 w+ La corrente I , proprio per questo motivo, prende il nome di corrente di saturazione inversa. Tale corrente è molto piccola, in genere dell’ordine dei femto-Ampére (fA, dove 1 fA 107V A). Tuttavia, è bene osservare che se si aumenta di molto il valore in modulo della tensione inversa applicata alla giunzione P-N, il campo elettrico aumenterà sempre di più e, siccome vale la relazione: '( 'v( µ · E La velocità degli elettroni aumenterà sempre di più. Se l’aumento di velocità è considerevole, si arriverà ad un punto in cui l’impatto tra gli elettroni in moto e gli atomi di silicio libererà un’energia tale da ionizzare questi ultimi. In tal modo però il numero di elettroni liberi aumenterà sempre di più e si genererà un effetto a catena che determinerà una corrente elevatissima e che determinerà la rottura del dispositivo stesso. pag. 13 Fondamenti di Elettronica Appunti 3. Introduzione al diodo Definizione Il diodo è un componente costituito da una giunzione P-N. Si tratta perciò, più nel dettaglio, di un bipolo non lineare, la cui relazione costitutiva è la seguente: ID I · VEFG T H· Pe J 1Q Simbolo circuitale Il simbolo con il quale il diodo viene rappresentato all’interno degli schemi elettrici è il seguente: Terminologia Il terminale indicato con la lettera “A” prende anche il nome di anodo; il terminale che è stato indicato con la lettera “K” è invece detto catodo. Parleremo perciò di tensione diretta se il potenziale dell’anodo è superiore rispetto a quello del catodo e, viceversa, diremo che al diodo è applicata una tensione inversa quando il potenziale del catodo è superiore al potenziale dell’anodo. Caratteristica La caratteristica del diodo, in virtù delle relazioni costitutive precedentemente date, è la seguente: pag. 14 Fondamenti di Elettronica Appunti 4. Analisi di circuiti contenenti diodi Introduzione Per l’analisi di un circuito che contiene uno o più diodi esistono diverse tecniche. In particolare, ne introdurremo ora 3, molto diverse tra loro. In alcuni casi alcune di queste tecniche risultano praticamente inapplicabili, perché richiederebbero una complessità di calcolo molto elevata: è perciò bene scegliere opportunamente di volta in volta quale tecnica adottare. Metodo analitico Il metodo analitico consiste nel risolvere un circuito che contiene un diodo scrivendo la relazione costitutiva del diodo stesso, insieme alle altre equazioni che possiamo scrivere per il circuito in analisi attraverso l’applicazione del metodo dell’analisi nodale. Si ottiene così un sistema di equazioni: risolvendo tale sistema saremo in grado di conoscere tutte le tensioni e correnti del circuito in analisi. Si osserva però che la relazione costitutiva del diodo non è lineare, e quindi l’analisi di circuiti anche molto semplici implicherà la risoluzione di sistemi di equazioni tutt’altro che banali: per questo motivo il metodo analitico viene utilizzato in realtà solamente dai calcolatori. Metodo della caratteristica Il metodo della caratteristica è un modo molto generale di operare su un circuito. In particolare, nel caso in cui si stia analizzando un circuito con un diodo, il metodo della caratteristica prevede che si rappresentino su uno stesso grafico la caratteristica tensione-corrente del diodo e quella del bipolo complementare al diodo stesso. Quest’ultimo grafico prende il nome di retta di carico del circuito esterno e può ad esempio essere ricavata calcolando l’equivalente Thevenin oppure Norton del bipolo complementare al diodo. Il punto di intersezione tra i due grafici prende il nome di punto di lavoro e le sue coordinate sono i valori corretti della corrente che attraversa il diodo e della tensione ai suoi capi. Questo metodo, pur essendo molto preciso e largamente generalizzabile (ad esempio, si può adottare anche se sono presenti più diodi nello stesso circuito) non viene utilizzato molto spesso, perché richiede una conoscenza molto precisa della caratteristica del diodo. Metodo della modellizzazione del diodo Il metodo della modellizzazione del diodo è quello che di fatto verrà in seguito utilizzato nella maggior parte dei casi. Tale metodo prevede che il comportamento del diodo venga approssimato con quello di un componente ideale e più semplice, il cui comportamento può essere così descritto: 1. Se la tensione ai capi del diodo è inferiore a 0,7 V, il diodo si dice spento e la corrente che lo attraversa è nulla (si comporta perciò come un circuito aperto). 2. In caso contrario, il diodo si dice acceso e la tensione ai suoi capi è pari a 0,7 V (è quindi equivalente ad un generatore indipendente di tensione, che fornisce la tensione di 0,7 V). La tensione ai capi del diodo, secondo questa modellizzazione, non può mai essere superiore a 0,7 V. pag. 15 Fondamenti di Elettronica Appunti L’analisi circuitale in sostanza avviene per ipotesi, come mostrato nell’esempio seguente. Esempio Si consideri il circuito rappresentato in figura, con R 1 kΩ , e si voglia determinare la tensione ai capi del diodo VD . Possiamo avere due casi: diodo acceso oppure diodo spento. Proviamo ad ipotizzare che sia vera una delle due condizioni: 1. Ipotizziamo che il diodo sia spento Se il diodo è spento, possiamo modificare il circuito come mostrato di seguito: 2. Osserviamo subito che, trattandosi di un circuito aperto, abbiamo: ID 0 Quindi, per la legge di Ohm: VR R · ID 0 V E infine, per la LKV: VD 5 V R VR 5 V Ma, siccome abbiamo ottenuto VD 0,7 \, l’ipotesi fatta non può essere verificata (è un assurdo), e di conseguenza possiamo affermare che il diodo è acceso. Ipotizziamo che il diodo sia acceso Supponiamo ora che il diodo sia acceso. In tal caso il nostro circuito diventa il seguente: Per la LKV abbiamo: VR 5 V 0,7 V 4,3 V VR 4,3 mA R Quindi la nostra ipotesi è verificata, perché la corrente che attraversa il diodo è positiva: il diodo è acceso. Possiamo quindi concludere che: VD 0,7 V Quindi, per la legge di Ohm: ID pag. 16 Fondamenti di Elettronica Appunti 5. Il diodo zener Definizione I diodi zener sono dispositivi con un funzionamento molto simile a quello di un normale diodo, ma realizzati con opportune tecnologie che consentono al diodo stesso di essere in grado di sopportare la tensione di breakdown senza danneggiarsi in alcun modo. Tali diodi dunque possono entrare in conduzione anche in polarizzazione inversa. Naturalmente il produttore di un diodo zener dovrà quindi preoccuparsi di fissare e di fornire in maniera molto precisa il valore della tensione di breakdown del dispositivo stesso. Simbolo circuitale Il simbolo utilizzato per rappresentare il diodo zener all’interno di uno schema elettrico è il seguente: Si osserva che tale simbolo è molto simile a quello di un normale diodo. Caratteristica La caratteristica del diodo zener è di fatto molto simile a quella di un normale diodo. Essa quindi può essere rappresentata come nel seguente grafico: Modellizzazione del diodo zener Possiamo suddividere la caratteristica del diodo zener in 3 diverse parti, e quindi modellizzarlo diversamente a seconda dell’intervallo di tensioni nel quale ci troviamo: 1. Quando il diodo è alla tensione VZ , esso può in prima approssimazione essere sostituito da un generatore indipendente di tensione VZ . Tuttavia, se si considera che in realtà la caratteristica in tale punto non è perfettamente parallela all’asse delle ordinate, per approssimazioni migliori è opportuno modellizzare il diodo sostituendolo con un generatore indipendente di tensione VZ collegato in serie ad una resistenza interna, che chiameremo rZ . 2. Per valori di tensione compresi tra la tensione di polarizzazione inversa e la tensione di polarizzazione diretta, il diodo zener può essere modellizzato con un circuito aperto. 3. Per valori di tensione superiori alla tensione di polarizzazione diretta il diodo invece è un generatore di tensione, che eroga una tensione pari proprio alla tensione di polarizzazione diretta. pag. 17 Fondamenti di Elettronica Appunti 6. I circuiti di clipping o di taglio Definizione I circuiti di clipping, detti anche circuiti di taglio, sono dei circuiti che, dato un segnale in ingresso, forniscono in uscita un nuovo segnale che rappresenta la limitazione dell’ingresso all’interno di una particolare fascia di valori. Tutti i valori che non appartengono a tale fascia vengono perciò “tagliati”, come ci suggerisce il nome stesso di questa tipologia di circuiti. Utilizzo I circuiti di clipping vengono utilizzati principalmente per proteggere altri circuiti “delicati” i quali, ricevendo in ingresso delle tensioni con valore assoluto troppo elevato, potrebbero danneggiarsi irreparabilmente. Possiamo perciò rappresentare il seguente schema a blocchi: 5V Ingresso Circuito di clipping Circuito “delicato” Esempio di circuito di clipping Schema elettrico Di seguito è riportato lo schema elettrico di uno dei più semplici e diffusi circuiti di clipping: Analisi del circuito Consideriamo di avere: Consideriamo di avere: - Semiperiodo con : Durante il semiperiodo in cui il segnale di ingresso è positivo, il diodo avrà sul proprio catodo una tensione positiva e sull’anodo una tensione nulla (è collegato a massa). Di conseguenza, il diodo è necessariamente spento, e quindi possiamo sostituirlo con un circuito aperto, ottenendo lo schema della figura sottostante. Fondamenti di Elettronica Appunti - Possiamo facilmente osservare che, per la LKC, abbiamo: IR ID. Il diodo D. invece non condurrà fino a quando la tensione ai suoi capi è inferiore a 0,7 V. La tensione ai capi di D. è: vD. vOUT 5V Quindi, finché vOUT 5V 0,7 \, il diodo D. non conduce e abbiamo: IR ID. 0 A Per la LKV: vOUT v9 IR · R v9 0 v9 Da questa nuova relazione deduciamo anche che il diodo non conduce fino a quando abbiamo v9 5V 0,7 \ a v9 5,7\ Di conseguenza, il diodo sarà acceso solamente quando v9 b 5,7V. In tale condizione abbiamo: vD. 0,7 V Quindi, applicando la LKV, otteniamo facilmente che vale la relazione: vOUT vD. R 5V 5,7V Semiperiodo con cd 0: Durante il semiperiodo in cui il segnale di ingresso è negativo, il diodo D. avrà sul proprio catodo una tensione di 5 V (la tensione di alimentazione) e sull’anodo una tensione negativa. Di conseguenza, il diodo D. è necessariamente spento, e quindi possiamo sostituirlo con un circuito aperto, ottenendo lo schema della figura sottostante. Per quanto riguarda invece D , esso condurrà solo se la tensione vD è superiore a 0,7 V, ovvero: vD vOUT 0,7 \ a vOUT 0,7 \ Quando il diodo è spento, potremo sostituirlo con un circuito aperto e avremo: IR ID 0 A E, per la LKV: vOUT v9 R R · ID v9 R 0 v9 Di conseguenza, quando v9 0,7 \ il diodo D è spento, mentre quando v9 0,7 \, il diodo D è acceso. In quest’ultima condizione, abbiamo: vOUT vD 0,7 V Grafici temporali Dall’analisi appena svolta ricaviamo i grafici di seguito riportati. pag. 19 Fondamenti di Elettronica Appunti 7. I circuiti di raddrizzamento e livellamento Definizione I circuiti di raddrizzamento (o di rettificazione) sono circuiti con un funzionamento simile rispetto ai circuiti di clipping. I circuiti di raddrizzamento infatti sono circuiti che lasciano passare solamente segnali positivi oppure negativi (a seconda delle caratteristiche del circuito di raddrizzamento stesso). Utilizzo Un esempio di applicazione dei circuiti di raddrizzamento è all’interno di un sistema per la trasformazione della tensione alternata in tensione continua. In particolare, lo schema a blocchi relativo a tale applicazione è il seguente: 220 Veff Riduzione della tensione Circuito di raddrizzamento Circuito di livellamento Circuito di carico Il blocco di riduzione della tensione può semplicemente essere implementato attraverso un trasformatore, oppure con un partitore di tensione (due resistenze in serie). Tuttavia tale blocco non verrà ulteriormente analizzato. Circuito di raddrizzamento a singola semionda Schema elettrico Analizziamo ora un esempio estremamente semplice di circuito di raddrizzamento: Analisi del circuito L’analisi di questo circuito è piuttosto semplice. La tensione ai capi del diodo è: Se il diodo è spento, abbiamo , e perciò: Inoltre, se il diodo è spento significa che abbiamo: Dato che in tale condizione abbiamo già dimostrato che se vale la condizione: Viceversa, il diodo sarà acceso se , possiamo dire che il diodo è spento . In tal caso, abbiamo: Grafici temporali In conclusione, possiamo così rappresentare l’andamento dei segnali di ingresso e di uscita (nello stesso grafico vediamo in nero l’ingresso e in verde l’uscita): Fondamenti di Elettronica Appunti Circuito di raddrizzamento e livellamento senza resistenza di carico Introduzione Il circuito di raddrizzamento e livellamento rende costante la tensione di uscita. Per fare ciò, esso utilizza un condensatore, la cui relazione costitutiva si ricorda essere: it C · dvt dt Schema elettrico Lo schema elettrico del circuito di raddrizzamento e livellamento senza resistenza di carico è: Analisi Assumiamo che il condensatore sia inizialmente scarico e supponiamo di applicare in ingresso una tensione sinusoidale del tipo: v9 V95 · senωt La tensione ai capi del diodo è: vD v9 vA Dove vA è anche la tensione ai capi del condensatore. Inizialmente perciò avremo: vD v9 Di conseguenza, fino a quando v9 rimane al di sotto della soglia di 0,7 V, il diodo è spento. Quando invece il diodo arriva per la prima volta a 0,7 V, il diodo si accende e il condensatore inizia a caricarsi. In questa condizione il diodo si comporta come un generatore indipendente di tensione, perciò, trascurando le resistenze interne, possiamo facilmente verificare che la resistenza equivalente del bipolo complementare al condensatore è nulla: il tempo di carica di C è perciò idealmente nullo (non si hanno ritardi). Una volta che il diodo è entrato in conduzione quindi abbiamo: vA v9 vD v9 0,7 V Nell’istante in cui la tensione in ingresso supera il suo valore di picco ed inizia a scendere, la tensione ai capi del diodo sarà: vD v9 vA v9 vS5 0,7 Siccome abbiamo v9 vS5 , è facile verificare che la tensione ai capi del diodo è inferiore a 0,7 V, perciò il diodo si spegne. A questo punto, il condensatore vede una resistenza infinita (ricordiamo infatti che il diodo, quando è spento, è equivalente ad un circuito aperto) e dunque dovrebbe scaricarsi in un tempo infinito. Di conseguenza, la tensione ai capi del condensatore, ovvero vA , da questo momento in poi rimarrà costante al valore: vA5 vS5 0,7 Grafici temporali In conclusione, possiamo così rappresentare l’andamento dei segnali di ingresso e di uscita (nello stesso grafico vediamo in nero l’ingresso e in verde l’uscita): pag. 21 Fondamenti di Elettronica Appunti Circuito di raddrizzamento e livellamento con resistenza di carico Introduzione Il circuito precedente è in teoria perfetto per realizzare il nostro scopo di avere una tensione continua. In realtà però avremo sempre una certa resistenza di carica, che dobbiamo aggiungere allo schema. Schema elettrico Lo schema elettrico del circuito di raddrizzamento e livellamento con resistenza di carico è il seguente: Analisi del circuito Assumiamo che il condensatore sia inizialmente scarico e supponiamo di applicare in ingresso una tensione sinusoidale del tipo: v9 V95 · senωt Se il condensatore è scarico, significa che inizialmente abbiamo vh 0 V. Siccome la tensione ai capi del diodo è ancora: vD v9 vA Fino a quando la tensione v9 rimane al di sotto degli 0,7 V il diodo rimarrà spento e quindi il condensatore rimarrà scarico (vh 0 V). Quando la tensione di ingresso raggiunge per la prima volta il valore di 0,7 V, il diodo inizia a condurre e il condensatore inizia a caricarsi. In particolare, la resistenza che vedrà il condensatore sarà data dal parallelo della resistenza interna del diodo e della resistenza di carico. Siccome assumiamo nulla la resistenza del diodo, possiamo affermare che il condensatore si carica con costante di tempo τ 0. Inoltre, quando il diodo è acceso abbiamo: vA v9 vD v9 0,7 V Nell’istante in cui la tensione di ingresso supera il suo valore di picco, la tensione ai capi del diodo (in maniera analoga a quanto visto per il caso precedente) scende al di sotto degli 0,7 V e quindi il diodo si spegne e possiamo considerarlo equivalente ad un cortocircuito. Il condensatore inizia in tal modo a scaricarsi . In questo caso però la resistenza che esso vede non è infinita, ma è data dalla resistenza di carico R L . Di conseguenza avremo, durante l’intervallo in cui il diodo è spendo: A7AB vA VAklF e7 m Dove t è l’istante di tempo in cui il condensatore inizia a scaricarsi. Quando la tensione in ingresso torna a salire e supera vA di 0,7 V, il diodo si accende nuovamente. Il condensatore torna perciò a caricarsi fino al valore di picco VAklF VS5 0,7 V, quando il diodo tornerà nuovamente spento e si ripeterà la situazione precedentemente descritta. Grafici temporali In conclusione, possiamo così rappresentare l’andamento dei segnali di ingresso e di uscita (nello stesso grafico vediamo in nero l’ingresso e in verde l’uscita): pag. 22 Fondamenti di Elettronica Appunti Dimensionamento del condensatore A questo punto è opportuno individuare un metodo per scegliere in maniera opportuna la capacità del condensatore in modo tale che la scarica del condensatore stesso sia lenta il più possibile: in tal modo ridurremo la diminuzione della tensione ai suoi capi durante il tempo in cui il diodo è spento. In seguito indicheremo tale diminuzione di tensione con il simbolo ∆V. La stima precisa di tale valore risulta molto complicata, perché prevede analizzare nel dettaglio l’andamento esponenziale della tensione ai capi del condensatore e di conoscere con precisione gli istanti di tempo in cui il diodo si accende e si spegne. Possiamo quindi stimare per eccesso tale valore con alcune considerazioni. Per prima cosa, osserviamo che ∆V è la differenza tra la tensione ai capi del condensatore nell’istante in cui il diodo si spegne (che chiameremo t + T) e la tensione che aveva assunto pochi istanti prima, ovvero quando il diodo si era acceso. Osserviamo poi che il tempo che intercorre tra questi due istanti è molto piccolo (basti vedere il grafico precedente). Di conseguenza, siccome risulta difficile stimare l’istante di tempo al quale il diodo si accende, possiamo approssimare il valore di ∆V considerandolo come la differenza tra il valore massimo assunto dal segnale di uscita (VAklF ) e il valore che la tensione di uscita assumerebbe all’istante t0 + T se il diodo non si riaccendesse. Come già anticipato, tale valore sarà leggermente superiore a quello reale, ma con buona approssimazione potrà essere considerato valido. AB nT7AB T m ∆V $ VAklF VAklF e VAklF 1 e RLC Siccome dobbiamo avere R L C >> T, possiamo applicare l’asintotico: T T T T 7 7 2 1 e RLC ~ 1 a 1 e RL C ~ RL C RL C Di conseguenza: T ∆V $ VAklF RL C Da cui ricaviamo che la capacità del condensatore deve essere: VA ·T C klF ∆V · R L Dimensionamento del diodo Rimangono a questo punto da analizzare i parametri del diodo che si vuole utilizzare all’interno del circuito studiato. Questi parametri sono fondamentalmente 2: la tensione massima in polarizzazione inversa e la corrente massima che attraversa il diodo. - Tensione massima in polarizzazione inversa \rstuvw Come abbiamo visto la tensione ai capi del diodo è la seguente: vD v9 vA Individuare la tensione massima in polarizzazione inversa significa trovare il massimo della funzione vD vA v9 . Naturalmente, se tale massimo dovesse essere negativo significherebbe che il diodo non lavora mai in polarizzazione inversa (ma non è il nostro caso). In ogni caso, possiamo vedere dal grafico precedente che, con buona approssimazione, possiamo stimare la massima differenza tra vA e v9 con il doppio del valore di picco della tensione in ingresso: V=+xklF 2 · vS5 Tale approssimazione equivale di fatto a trascurare la caduta di tensione di 0,7 V sul diodo e la scarica del condensatore. pag. 23 7 Fondamenti di Elettronica Appunti - Corrente massima in polarizzazione inversa yzuvw La corrente che attraversa il diodo è: 0 se D è OFF~ ID { IL R IC se D è ON Possiamo perciò soffermarci ad analizzare il comportamento del circuito quando il diodo è acceso. In tal caso la corrente sulla resistenza di carico è data dalla legge di Ohm: vA IL RL Mentre la corrente sul condensatore si determina sfruttando la sua relazione costitutiva: dvA t IC C · dt Di conseguenza: vA dvA t RC· IDON RL dt Possiamo a questo punto osservare che la carica assorbita dal condensatore durante il tempo in cui il diodo è acceso deve essere uguale a quella ceduta durante il tempo in cui il diodo è spento, perché altrimenti la tensione ai capi del condensatore non tornerebbe al precedente valore: Q ON Q OFF Inoltre possiamo calcolare QOFF sapendo che la corrente che attraversa il condensatore è la stessa che attraversa la resistenza di carico e ricordando che la corrente non rappresenta altro che la variazione di carica nell’unità di tempo. Di conseguenza scriveremo: VA Q OFF IL · TOFF $ ·T R L OFF In maniera analoga potremo stimare la carica Q ON : Q ON IMEDIAON · TON Quindi: VA VA TOFF IMEDIAON · TON ·T a IMEDIAON · RL OFF RL TON Siccome TOFF >> TON (altrimenti la ∆V sarebbe molto elevata), possiamo dedurre che la corrente media che attraversa il condensatore quando il diodo è acceso è molto superiore rispetto a quella che attraversa la resistenza nelle stesse condizioni: quando il diodo è acceso trascureremo quindi il contributo di IL . Quando invece il diodo è spento, assumiamo “quasi continua” la tensione ai capi del condensatore, e di conseguenza la corrente (che ne è la derivata) sarà circa nulla, e perciò trascurabile rispetto ad IL . Sulla base di queste considerazioni, otteniamo il grafico seguente per la corrente ID . Il grafico è stato ottenuto considerando anche la derivata della corrente. Possiamo infatti stimare: V95 · senωt dvA t 2 max SC · d IDMAX max 1C · T maxC · ω · V95 · cosωt C · ω · V95 dt dt Possiamo scrivere anche: 2π IDMAX V95 · C · T Ricordando poi che: T ∆V ∆V $ VAklF a T R C RL C VAklF L Abbiamo infine: VA · 2π V95 2π V95 · klF $ IL · · 2π IDMAX V95 · C · ∆V ∆V · R ∆V L R C VAklF L pag. 24 Fondamenti di Elettronica Appunti Circuito di raddrizzamento e livellamento con stabilizzatore Introduzione Il circuito di raddrizzamento e livellamento con stabilizzatore è analogo al precedente, ma presenta alcuni vantaggi. Il circuito che abbiamo analizzato infatti richiede che si scelgano un diodo in grado di sopportare elevate correnti in polarizzazione inversa ed un condensatore con una elevata capacità. A questo punto invece vogliamo utilizzare un diodo zener per stabilizzare la tensione in uscita. Schema elettrico Lo schema elettrico del circuito di raddrizzamento e livellamento con stabilizzatore è il seguente: Analisi del circuito L’analisi della prima parte del circuito è in sostanza uguale a quella del circuito di raddrizzamento appena descritto. Consideriamo infatti il condensatore inizialmente scarico: la tensione ai suoi capi sarà quindi nulla (v 0 V). Assumiamo inoltre che la tensione in ingresso abbia andamento sinusoidale: v9 V95 · senωt Fino all’istante in cui la tensione in ingresso rimarrà inferiore a 0,7 V il diodo rimarrà spento: la corrente in ingresso al condensatore è perciò nulla e la tensione ai capi di quest’ultimo rimarrà pari a 0 V. Quando invece il diodo inizia a condurre (ovvero quando v9 raggiunge e supera la soglia di 0,7 V per la prima volta), il condensatore inizia a caricarsi. La costante di tempo per la carica del condensatore è ancora nulla se assumiamo pari a zero la resistenza interna del diodo: se consideriamo infatti il bipolo complementare al condensatore e spegniamo i generatori indipendenti, otteniamo un cortocircuito in parallelo a tutto il resto, perciò la resistenza equivalente è zero. La tensione ai capi del condensatore quindi, quando il diodo è acceso, è sempre pari a: vD v9 0,7 V Quando poi la tensione in ingresso raggiunge e supera il suo picco, la caduta di tensione ai capi del diodo diviene inferiore a 0,7 V, perciò il diodo si spegne. Il condensatore inizia così a scaricarsi. La resistenza equivalente ai suoi capi sarà complessa da calcolare, perché interverrà anche il diodo zener, che potrà essere in conduzione oppure no: se lo zener è spento, la resistenza equivalente sarà la serie tra R 9 e R L ; se invece è in conduzione in polarizzazione inversa la resistenza equivalente sarà circa uguale ad R 9 (considerando nulla la resistenza interna dello zener stesso). In ogni caso, il comportamento della prima parte del circuito è qualitativamente lo stesso. Possiamo quindi a questo punto considerare il comportamento della restante parte del circuito, che possiamo considerare di fatto un blocco a sé stante (noto anche come “stabilizzatore”, riportato nella figura). Considerato il modo in cui lo zener è collegato nel circuito e visto che la tensione vC in ingresso allo stabilizzatore è sempre positiva (ciò consegue dall’analisi della precedente parte del circuito), il diodo zener sarà sempre in polarizzazione inversa. In particolare, la tensione ai capi del diodo zener è: vA vC IS · RS Il diodo zener quindi conduce purché si abbia: vC VZ R IS · R S Affinché lo stabilizzatore funzioni correttamente è necessario fare in modo che la condizione appena riportata sia sempre rispettata: il diodo zener deve essere sempre in conduzione in polarizzazione inversa. Si sceglierà perciò uno zener con opportuna tensione di breakdown e, allo stesso tempo, si sceglierà un opportuno valore di resistenza R S . pag. 25 Fondamenti di Elettronica Appunti Analizziamo ora il modo in cui deve avvenire il dimensionamento di R S . In seguito alla LKV precedentemente scritta, abbiamo: vC vA R IS · R S vA R IZ R IL · R S Se consideriamo che il diodo sia in conduzione, possiamo modellizzarlo tramite la serie tra un resistore r e un generatore indipendente di tensione VZ . Di conseguenza, avremo: vA VZ IZ · rZ Sostituendo nella precedente formula: vC VZ R IZ · rZ vC VZ IZ · rZ R IZ R IL · R S a RS IZ R IL La condizione che vogliamo imporre è che il diodo rimanga in conduzione. Affinché ciò accada dobbiamo verificare che con la minima tensione prevista in ingresso e con il carico che assorbe la massima corrente prevista, la corrente IZ che attraversa lo zener non scenda al di sotto di un valore minimo che indicheremo con IZk e che corrisponde appunto al minimo valore di corrente perché il diodo non esca dalla zona di conduzione in polarizzazione inversa. Possiamo perciò scrivere: VZ R IZk · rZ VC R S k IZk R ILklF Con tale resistenza, lo zener rimarrà sempre in conduzione. Rimane però da descrivere il meccanismo per il quale il circuito effettivamente svolge la funzione di stabilizzatore. Il principio è molto semplice: osservando la caratteristica del diodo zener osserviamo che, se esso è in conduzione in polarizzazione inversa, la sua caratteristica è quasi una retta parallela all’asse delle correnti. Ciò significa che, anche con variazioni consistenti della corrente, la tensione in uscita rimane circa uguale a VZ . Siccome la tensione in uscita è uguale a VZ , ciò equivale a ridurne considerevolmente le oscillazioni. Nel dettaglio, considerando lo zener equivalente alla serie tra un generatore di tensione e un resistore: ∆VA ∆VZ $ ∆IS · r Abbiamo inoltre: vC VZ ∆vC IS a ∆IS $ RS RS Perché in tale formula abbiamo approssimato considerando costante la tensione VZ . Quindi: r ∆VA ∆vC · RS Siccome la resistenza r è molto piccola (5 ÷ 50 Ω), basta una resistenza RS anche non particolarmente elevata perché tale rapporto sia molto basso: in tal modo le oscillazioni della tensione in uscita vengono drasticamente ridotte. pag. 26 Fondamenti di Elettronica Appunti Capitolo 3: Il Mosfet 1. Introduzione al MOSFET Introduzione I componenti fino ad ora analizzati hanno una struttura che li rende inadatti all’utilizzo per l’elaborazione dei segnali. Tali componenti infatti sono dotati di due soli terminali, mentre sarebbe molto più utile disporre di un dispositivo che possieda 3 morsetti, in modo da rendere più semplice fornire un certo segnale in ingresso e prelevarne uno in uscita, come mostrato dallo schema seguente: tensione di controllo Vctrl Componente Vout = f(Vctrl) Proprio per studiare circuiti che si occupano dell’elaborazione di segnali introdurremo ora un nuovo dispositivo, noto con il nome di Mosfet. Definizione Il Mosfet (acronimo di Metal-Oxide-Semiconductor Field Effect Transistor) è un quadripolo che assume un ruolo fondamentale in Elettronica: basti pensare che un calcolatore è costruito da un numero elevatissimo di Mosfet e che ogni anno il numero di Mosfet prodotti è dell’ordine di 1018. Le caratteristiche fondamentali di questo quadripolo sono riassunte all’interno dell’acronimo con il quale viene indicato: Metal-Oxide-Semiconductor fa riferimento alla sua struttura fisica: esso è infatti costituito in prevalenza da materiale semiconduttore, ma presenta anche uno strato di ossido ed uno di metallo. Field Effect è la parte dell’acronimo che fa riferimento al principio fisico che ne regola il funzionamento, ovvero l’effetto di campo. Transistor infine è un termine la cui origine è molto discussa, ma che secondo molti sta per “transresistor”, ovvero “qualcosa oltre il resistore”, in quanto le sue funzioni sono molto più elevate di quelle di un normale resistore, appunto. Tipologie In base alla tecnologia costruttiva, distinguiamo due diverse tipologie di Mosfet, che possiamo considerare come duali: Il Mosfet a canale N Indicato sinteticamente con la sigla nMOS, esso utilizza un canale conduttivo costituito da cariche negative (elettroni). Il Mosfet a canale P Indicato in breve con la sigla pMOS, questo tipo di Mosfet sfrutta un canale conduttivo composto da cariche di segno positivo (lacune). In seguito analizzeremo molto nel dettaglio il Mosfet a canale N, mentre ci limiteremo a presentare i risultati finali dell’analisi del Mosfet a canale P, in quanto i passaggi da compiere per giungere a tale risultato sono del tutto analoghi a quelli relativi all’nMOS. pag. 27 Fondamenti di Elettronica Appunti 2. Il Mosfet a canale N Struttura dell’nMOS Il Mosfet a canale N è costituito da un semiconduttore drogato P, che costituisce il cosiddetto substrato (bulk), sul quale vengono inseriti due contatti di tipo N, detti source e drain. Tra il source ed il drain viene posto uno strato di materiale dielettrico isolante (normalmente si tratta di ossido di silicio), ricoperto da un contatto metallico detto gate. Tale struttura può essere schematizzata come mostrato nella figura seguente: Si osserva quindi che i 4 terminali del Mosfet a canale N sono il source, il drain, il gate ed il bulk. Tuttavia, nel seguito verranno indicati solamente i primi 3, perché si sottintende sempre che il bulk venga cortocircuitato con il source. Simbolo dell’nMOS All’interno di uno schema elettrico, l’nMOS viene rappresentato mediante il simbolo di seguito riportato: Possiamo osservare subito che, come anticipato, il substrato non viene neppure indicato in tale schema. pag. 28 Fondamenti di Elettronica Appunti Analisi qualitativa dell’nMOS Analizziamo ora il principio di funzionamento di un Mosfet a canale N. Per semplicità supponiamo che i terminali bulk e source siano entrambi collegati a massa, come in figura. Supponiamo inoltre che nell’ossido non vi siano cariche elettriche: in tal modo il source e il drain risultano elettricamente isolati tra loro. 1. 2. Applichiamo tutte le tensioni nulle Se applichiamo i potenziali VG 0 V e VD 0 V, la giunzione PN tra gate e drain è inversamente polarizzata (la tensione ai suoi capi è inferiore a 0,7 V), perciò la corrente ID indicata in figura è pari alla debolissima corrente di polarizzazione inversa (che può essere considerata nulla). Aumentiamo il potenziale di gate Supponiamo ora di aumentare il potenziale del gate. In questo modo creiamo un campo elettrico verticale tra gate e substrato. Tale campo elettrico fa sì che le lacune si spostino verso il substrato, mentre gli elettroni minoritari andranno verso il gate. A seguito di tale spostamento di carica si creerà, appena al di sotto dell’ossido, una zona all’interno della quale diminuisce la concentrazione di lacune ed aumenta di quella di elettroni: se il potenziale del gate è sufficientemente elevato, si creerà così un canale conduttivo costituito da elettroni e quindi il drain ed il source non sono più elettricamente isolati. - A questo punto, se applichiamo anche un potenziale positivo VD al drain, otterremo una corrente ID non più nulla tra il drain ed il source. Osserviamo inoltre che, all’aumentare del potenziale di gate, aumenterà la concentrazione di elettroni tra il drain ed il source, e quindi è facile intuire che tale potenziale può essere usato come variabile di controllo della corrente ID . - La stessa cosa accadrebbe applicando un potenziale positivo al source e collegando a massa il drain (ma in tal caso la corrente avrebbe verso opposto): osserviamo infatti che, dal punto di vista costruttivo, tali terminali sono indistinguibili. Tuttavia essi vengono indicati con nomi diversi, perché si preferisce chiamare “drain” il terminale che assume il potenziale più elevato. Affinché il canale conduttivo si formi effettivamente all’interno dell’nMOS non è però sufficiente che si applichi una tensione positiva al gate, ma è necessario che il valore di VG superi la tensione del source di un valore noto, che dipende anche dal singolo Mosfet, il quale viene indicato con VT (tensione di soglia). In termini più semplici, affinché drain e source non siano elettricamente isolati è necessario che si abbia: VG VS VGS b VT Che, nel caso semplificato che stiamo ora analizzando, equivale a scrivere VG b VT . La condizione di uguaglianza tra la tensione gate-source e la tensione di soglia (VGS VT ) prende il nome di condizione di inversione. Valori tipici della tensione di soglia si aggirano tra 0,5 V e 1,5 V. Si noti che tra il canale conduttivo di elettroni accumulati in superficie ed il substrato neutro si ha una zona svuotata. Quindi c’è completo isolamento elettrico tra i portatori mobili in superficie e quelli maggioritari (lacune) del substrato. La figura seguente rappresenta il canale N tra il drain ed il source dell’nMOS. pag. 29 Fondamenti di Elettronica Appunti Valutazione della corrente che attraversa il MOSFET L’analisi che abbiamo svolto finora è solamente di tipo qualitativo. Vogliamo ora calcolare in maniera più precisa la corrente tra drain e source dell’nMOS. - Per prima cosa, osserviamo che possiamo indicare con R la resistenza del canale N, e quindi applicare la legge di Ohm: tenendo conto del fatto che la tensione tra drain e source (purché valgano le precedenti ipotesi semplificative) è pari a VD , possiamo scrivere VD ID R - A questo punto possiamo ricordarci che, come dimostrato durante l’analisi dei semiconduttori drogati di tipo N, la resistenza del canale N è data dalla formula: 1 L R · q · µ* · n Area Perciò otteniamo: Area ID q · µ* · n · · VD L Di tutti i parametri appena introdotti, l’unico che rimane per ora incognito è il numero di elettroni per unità di volume n. Osserviamo infatti che la lunghezza L e l’area della sezione (indicata appunto con Area) vengono forniti dal costruttore (si tratta di parametri geometrici di costruzione); q è la carica dell’elettrone e µ* è il coefficiente di mobilità degli elettroni (che perciò è noto). - Vogliamo dunque valutare il parametro n. Per farlo, possiamo osservare che, quando si crea il canale N, gli elettroni che si accumulano nel substrato creano, per effetto elettrostatico, un accumulo di cariche positive sul metallo sopra l’ossido. Il substrato e il metallo possono infatti essere considerati come le armature di un condensatore, e l’ossido rappresenta il dielettrico posto all’interno del condensatore stesso: possiamo perciò modellizzare il funzionamento di questa parte di componente attraverso le leggi del condensatore. - - - La capacità di questo condensatore è calcolabile utilizzando la formula che fa riferimento ai parametri costruttivi del condensatore piano: ShhA?* L·W ChA* ε · ε· dhhA?* d: Dove L, W e dox sono le dimensioni dell’ossido (vedi figura). Siccome i parametri ε e d: sono fissi per i progettisti, è in genere conveniente chiamare: ε C : d: In tal modo si potrà scrivere: ChA* C: · L · W Possiamo ora applicare la relazione Q = C · V, valida per ogni condensatore, ottenendo: Q ChA* · VG VT Si noti che nella formula si utilizza la differenza VG VT anziché solo la tensione VG : per VG VT infatti il comportamento del componente in analisi non è quello di un condensatore. Il numero di elettroni per unità di volume, ovviamente, è dato dal rapporto tra il numero di elettroni all’interno del canale ed il volume; siccome il numero di elettroni nel canale è il rapporto tra la carica complessiva del canale e la carica unitaria dell’elettrone, scriveremo: Q 1 n · q V Dove V è il volume del canale. pag. 30 Fondamenti di Elettronica Appunti - - - - - Il volume del canale può essere facilmente calcolato con la formula: V t · L · W Dove t è lo spessore del canale. Naturalmente tale parametro è molto difficile da valutare ma, come si vedrà in seguito, ai nostri fini non è necessario stimarlo, perché si semplificherà nelle successive formule. Si ricava così che il numero di elettroni per unità di volume può essere calcolato come: ChA* · VG VT n q · t · L · W A questo punto possiamo sostituire i risultati ottenuti all’interno della formula per il calcolo della resistenza del canale: 1 L R · ChA* · VG VT Area q · µ* · q · t · L · W L’area della sezione del canale, per ovvie considerazioni geometriche, è data da t · W, perciò: 1 L 1 R · W C · L · W · V V t · W µ · C · · V V q · µ* · : q · t · L ·GW T * : L G T In conclusione, otteniamo: W ID VD · µ* · C : · · VG VT L Osserviamo quindi che la corrente ID dipende sia dalla tensione applicata al drain, sia da quella applicata al source. La relazione appena ricavata è però valida solamente se la tensione applicata al drain non è molto limitata. La zona all’interno della quale vale la relazione precedente è detta zona ohmica, in quando la dipendenza della corrente ID dalla tensione applicata al drain è espressa da una relazione lineare. Si osserva infatti che la concentrazione di portatori di carica è influenzata anche dalla tensione che applichiamo al drain: se VD aumenta, la concentrazione di elettroni nei pressi del drain diminuisce. Possiamo perciò rappresentare tale situazione come mostrato nella seguente figura sottostante. Quando la tensione VD sarà sufficientemente elevata, si verrà a creare quello che prende il nome di punto di pinch-off. In particolare, ciò accade se si ha: VD VG VT Possiamo facilmente notare che, quando si raggiunge il punto di pinch-off, l’area del canale viene approssimativamente dimezzata, perciò, riprendendo la formula precedentemente ottenuta: 1 L · R ChA* · VG VT Area q · µ* · q · t · L · W Ricaviamo che, in tale situazione, abbiamo una resistenza di canale doppia rispetto a quella precedentemente calcolata. Avremo quindi: VD VG VT 1 W ID · µ* · C : · · VG VT . 2 R 2 R 2 L Se poi il potenziale VD aumenta ulteriormente, diventando cioè superiore a VG VT (cioè per VD VG VT ), la corrente non potrà più aumentare ulteriormente e il punto di pinch off non si sposterà ulteriormente (in realtà si avranno delle variazioni, le quali però potranno essere trascurate senza errori significativi). pag. 31 Fondamenti di Elettronica Appunti Schema di funzionamento di un nMOS Possiamo ora considerare il seguente schema di funzionamento di un nMOS, che riassume e generalizza quanto fino ad ora ricavato: Nel proseguimento indicheremo: 1 W k · µ* · C: · 2 L Se VGS VT , il Mosfet è interdetto o spento (OFF), indipendentemente dal valore di VGD , e si ha: ID 0 Se VGS VT e VGD VT il Mosfet è in zona ohmica e si ha: ID 2k · VGS VT · VDS Se VGS VT e VGD VT il Mosfet è in regione di saturazione e si ha: ID k · VGS VT . Nelle figure seguenti sono riportate le curve che descrivono il funzionamento dell’nMOS: In particolare, la seconda di queste due curve prende il nome di transcaratteristica. Si osserva che la caratteristica è rappresentata solo per VDS 0. Infatti, come anticipato, se tale tensione è negativa, di fatto vengono “scambiati” i terminali drain e source, che dal punto di vista costruttivo sono esattamente identici: l’unica differenza tra drain e source è proprio legata al potenziale al quale sono posti (quello al potenziale più alto è il drain). Osserviamo inoltre che la corrente sul terminale di gate è sempre nulla. 3. Il Mosfet a canale P Schema di funzionamento di un pMOS In maniera del tutto analoga a quanto visto per gli nMOS, potremmo dimostrare che il pMOS ha il funzionamento di seguito descritto (si osservi che VT 0). La figura seguente riporta il simbolo del pMOS. Se VGS VT , il Mosfet è interdetto o spento (OFF), indipendentemente dal valore di VGD , e si ha: ID 0 Se VGS VT e VGD VT il Mosfet è in zona ohmica e si ha: ID 2k · VGS VT · VDS Se VGS VT e VGD VT il Mosfet è in regione di saturazione e si ha: ID k · VGS VT . La figura seguente riporta la relazione tra la corrente che attraversa il Mosfet e la tensione tra drain e source del Mosfet stesso: pag. 32 Fondamenti di Elettronica Appunti 4. Equivalente serie e parallelo di Mosfet Equivalente serie Se abbiamo due MOSFET collegati “in serie” ovvero nel modo sotto mostrato: allora possiamo sostituire ad essi un unico transistor con costante k così calcolabile: k · k . k *J k R k . Equivalente parallelo Se abbiamo due MOSFET collegati “in parallelo” ovvero nel modo sotto mostrato: allora possiamo sostituire ad essi un unico transistor con costante k così calcolabile: k *J k R k . pag. 33 Fondamenti di Elettronica Appunti Capitolo 4: l’Elettronica digitale combinatoria 1. L’Elettronica Digitale Definizione di sistema digitale I sistemi digitali sono dei sistemi che ricevono in ingresso delle tensioni interpretabili come segnali logici “alti” (indicati con il simbolo “1”) oppure “bassi” (generalmente indicati come “0” logico), li elaborano e forniscono in uscita delle tensioni, anch’esse interpretabili come segnali logici alti o bassi. dati IN Op. logiche, aritmetiche, codifica / decodifica, memorizzazione. dati OUT Reti combinatorie e reti sequenziali I sistemi digitali si possono suddividere in due grandi categorie: le reti combinatorie e le reti sequenziali. Reti combinatorie Le reti combinatorie sono dei sistemi digitali nei quali le uscite dipendono unicamente dagli ingressi attuali del sistema stesso. In altri termini, sono dei sistemi che non tengono memoria del passato, nei quali in ogni istante l’uscita è funzione solamente del valore assunto dagli ingressi in quello stesso istante. Reti sequenziali Le reti sequenziali sono dei sistemi digitali nei quali le uscite dipendono sia dallo stato attuale degli ingressi, sia dallo stato che essi hanno assunto in passato. Le reti sequenziali sono di fatto ottenute connettendo delle reti combinatorie ad opportuni componenti di memoria, che vedremo in quale modo realizzare: dati IN Rete combinatoria dati OUT Memoria Porte logiche fondamentali Le porte logiche elementari, corrispondenti alle omonime e già note funzioni logiche, sono le seguenti: Porta NOT (o inverter logico, detto anche invertitore logico). Porta AND. Porta OR. Esistono poi altre porte logiche, che sono in realtà delle combinazioni delle precedenti: Porta NAND. Porta NOR. pag. 34 Fondamenti di Elettronica Appunti Analisi delle porte logiche L’analisi di ogni porta logica deve seguire diversi passi, che possiamo così elencare e descrivere: 1. Individuazione della funzione logica Tale fase consiste nell’individuare la relazione logica tra ingressi e uscita: y = f(A, B, C, …). 2. Caratteristica di ingresso-uscita Disegnare la caratteristica ingresso-uscita significa mettere in relazione la tensione in ingresso e la tensione in uscita, descrivendo il modo in cui quest’ultima varia in funzione della prima. 3. Consumo di potenza elettrica Questa fase è rappresentata dal calcolo della potenza elettrica assorbita dalla porta logica stessa. In particolare, occorre in genere calcolare sia il consumo di potenza statica, sia il consumo di potenza dinamica. 4. Tempo di ritardo L’ultimo parametro da valutare è il tempo di ritardo (che è indice della velocità di commutazione), il quale rappresenta il tempo che intercorre tra l’istante in cui varia un ingresso e l’istante in cui l’uscita si adatta alla nuova configurazione di ingressi (ovvero viene “aggiornata”). Come vedremo meglio in seguito, il tempo di ritardo e il tempo di commutazione, pur essendo indici di una stessa caratteristica della porta logica, hanno definizioni (e quindi anche valori) molto diversi tra loro. Caratteristiche principali di una porta logica Vediamo ora alcuni dei parametri fondamentali di una porta logica. Soglia di commutazione La soglia di commutazione di una porta logica viene indicata con VTH ed è l’intersezione tra la caratteristica ingresso-uscita della porta logica stessa e la retta con pendenza unitaria, ovvero VOUT VIN . Tutte le tensioni inferiori a VTH sono considerate al livello logico “basso” (“0,,) mentre quelle superiori sono considerate al livello logico “alto” (“1,,). Intervalli di tensioni operative Oltre alla soglia di commutazione, è opportuno introdurre altri valori di tensione per definire i livelli logici degli ingressi e delle uscite. Osserviamo infatti che laddove la derivata dell’uscita rispetto all’ingresso è (in modulo) maggiore di 1 si ha di fatto un’amplificazione (a piccole variazioni dell’ingresso corrispondono grandi variazioni dell’uscita): questo fenomeno nell’elettronica digitale è un grave problema, perché piccoli rumori sull’ingresso potrebbero essere amplificati e determinare così importanti variazioni sull’uscita, producendo errori logici. I punti della caratteristica ingresso-uscita aventi derivata in modulo pari ad 1 vengono così utilizzati per determinare dei valori di soglia: VILklF è il massimo valore della tensione di ingresso considerato come livello logico basso. VIHk è il minimo valore della tensione di ingresso considerato come livello logico alto. VOLklF è il massimo valore della tensione d’uscita considerato come livello logico basso. VOHk è il minimo valore della tensione d’uscita considerato come livello logico alto. Tempo di propagazione Il tempo di propagazione è il tempo che intercorre tra l’istante in cui, a seguito di una variazione dell’ingresso (o degli ingressi), l’uscita passa dal livello logico alto al livello logico basso, o viceversa. Tale intervallo può essere calcolato per le diverse transizioni di ingressi possibili all’interno del circuito in analisi. Per tale calcolo dobbiamo tenere conto del fatto che: Il tempo di propagazione nel caso in cui l’uscita debba passare da stato alto a stato basso è il tempo che l’uscita impiega per scendere dal valore di tensione massimo fino al valore di tensione VTH . Il tempo di propagazione nel caso in cui l’uscita debba passare da stato basso a stato alto è il tempo che l’uscita impiega per salire dal valore di tensione minimo fino al valore di tensione VTH . Tempo di commutazione In genere in una porta logica il valore di tensione basso è identificato da una tensione di 0 V, mentre la tensione corrispondente al valore logico alto è un certo valore positivo VDD . Il tempo di commutazione è il tempo che la porta logica impiega per portare la tensione d’uscita da un valore pari al 10 % di VDD ad un valore pari al 90 % di VDD (o viceversa, a seconda del tipo di commutazione in analisi). pag. 35 Fondamenti di Elettronica Appunti 2. Inverter nMOS Introduzione Introduciamo ora un circuito che realizza la funzione di un nMOS. Come vedremo a breve, in realtà tale circuito non è ottimale per tale scopo, e perciò ne introdurremo in seguito uno alternativo (l’inverter CMOS). Tuttavia è utile svolgere prima un’analisi del circuito di seguito trattato. Schema elettrico della porta Un inverter può essere realizzato con il seguente circuito: Analisi del circuito Consideriamo che nel circuito precedente ci siano componenti con i seguenti parametri: mA VT 1 V R = 500 Ω k 10 . V Se In questo caso l’nMOS è OFF e si ha: ID 0 A. Di conseguenza, per la legge di Ohm: VR 0 V In virtù della LKV, possiamo infine scrivere: VOUT 5 V Se In tale situazione è opportuno suddividere due ulteriori sottocasi, sulla base del valore della tensione tra gate e drain, che si calcolerà come: VIN VR Dunque affinché anche la tensione tra gate e drain superi la tensione di soglia VT è necessario che la tensione in ingresso sia significativamente superiore a VT . In altri termini, inizialmente ci troveremo in zona di saturazione e quindi dovremo utilizzare la relazione: ID k · VIN VT . La tensione di uscita perciò sarà: VOUT 5 k · VIN VT . · 500Ω Quando poi la tensione tra gate e drain supera la soglia, si passa in zona ohmica. Ciò accade se: VIN VR VT Ovvero: VIN k · VIN VT . · 500Ω VT Risolvendo tale disequazione si ottiene: VIN 1,9 \ Quindi in tale condizione avremo: ID 2k · VIN VT · VIN 500Ω ID Se consideriamo ad esempio VIN 5 V e risolviamo tale equazione otteniamo: ID 2k · VIN . VT VIN 500Ω ID VIN R VT 500Ω ID 2k · VIN . VT VIN ID 9,76 mA 1 R 2k · 500Ω VIN 2k · VT 500Ω Ricaviamo così: VOUT 5 ID · 500Ω $ 0 V pag. 36 Fondamenti di Elettronica Appunti Caratteristica ingresso-uscita Possiamo riassumere i risultati ottenuti nell’analisi del circuito nel grafico seguente: L’amplificazione Come abbiamo visto, quando il Mosfet è in regione di saturazione, abbiamo: VOUT 5 k · VIN VT . · R Perciò, la derivata dell’uscita rispetto alla tensione di ingresso è: dVOUT 2k · R · VIN VT dVIN Ad esempio, se abbiamo VIN 1,5 V: dVOUT ¡ ¡5 dVIN Si osserva perciò che la derivata è in modulo maggiore di 1. Ciò significa che se applichiamo in ingresso un certo segnale, il segnale d’uscita varierà di molto anche con piccole variazioni dell’ingresso. Questo principio è il principio base degli amplificatori. In conclusione, il circuito precedentemente riportato è un amplificatore di tensione, purché venga utilizzato in zona di saturazione. Tabella di verità Naturalmente, trattandosi di un inverter, il circuito che stiamo analizzando esegue la funzione logica di una porta NOT: data una tensione “bassa”, ne restituisce una “alta”, e viceversa. Possiamo quindi riassumere il funzionamento del circuito nella seguente tabella della verità: IN 0 1 OUT 1 0 pag. 37 Fondamenti di Elettronica Appunti Soglia di commutazione e intervalli operativi di tensione La soglia di commutazione, sulla base della precedente definizione, viene così determinata: Supponiamo ora di collegare in cascata una serie di inverter: Se la tensione in ingresso è VIN VTH ε (con ε 0), è facile verificare dal grafico soprastante che la tensione in uscita al primo inverter sarà superiore a VTH e si discosterà da tale soglia di un certo valore superiore ad ε; analogamente, la tensione in uscita al secondo inverter sarà inferiore a VTH e si discosterà ancora di più dalla soglia di commutazione, e così via. In sostanza quindi la tensione in uscita sarà molto distante dalla tensione di soglia (approssimativamente sarà di 0 V). Un discorso analogo potrebbe essere fatto considerando VIN VTH R ε. Tuttavia, come precedentemente visto, un piccolo errore nei pressi della soglia di commutazione potrebbe determinare gravi errori logici. Si utilizzano allora degli intervalli di tensione operativa. Come si osserva dalla figura seguente, questo consente di avere un margine di errore massimo NM(1) o NM(0) a seconda se l’ingresso è (rispettivamente) alto o basso. Il margine di errore massimo in sostanza ci dà informazioni circa la robustezza della porta. Consumo di potenza statica Come noto dall’Elettrotecnica, il consumo di potenza statica sarà: PS V · I ID · 5 V Nel circuito in analisi abbiamo: PS V · I ID · 5 V Si osserva infatti che la potenza statica assorbita è quella relativa a tutto il circuito, perciò consideriamo sempre pari a 5 V la tensione. In particolare, avremo: Se VIN 0 V a l’nMOS è spento a ID 0 A a PSB ID · 5 V 0 W Se VIN 5 V a Siamo in zona lineare a ID 9,76 mA a PS¢ ID · 5 V $ 50 W Tale consumo di potenza, che è apparentemente molto ridotto, rappresenta in realtà un problema molto grave, perché dobbiamo pensare che un calcolatore utilizza un numero elevatissimo di porte logiche e se tutti avessero un simile consumo di potenza, la potenza totale dissipata dal calcolatore avrebbe dimensioni enormi. Per tale ragione la porta NOT è realizzata in maniera diversa, tramite il circuito che vedremo nel prossimo paragrafo. pag. 38 Fondamenti di Elettronica Appunti 3. Inverter CMOS Schema elettrico della porta Un inverter viene in genere realizzato con il seguente circuito: Si osserva che in tale circuito si hanno un MOSFET a canale p e un MOSFET a canale n. Questa tecnologia è detta CMOS proprio per questo motivo (la lettera “C” sta per “complementare”). Analisi del circuito Possiamo svolgere l’analisi del circuito nel modo seguente: Consideriamo £ In questo caso l’nMOS è spento (ID 0 A), mentre il pMOS è acceso. Osserviamo inoltre che abbiamo: ID¤ ID ID 0 A Quindi il pMOS è necessariamente in zona ohmica e possiamo rappresentare la sua caratteristica come mostrato in figura. Da tale figura deduciamo con facilità che VSD 0 V e quindi, per la LKV: VOUT VDD . Consideriamo ¥¥ Se VIN VDD , il pMOS è spento (ID¤ 0 A), mentre l’nMOS è acceso. Osserviamo inoltre che abbiamo: ID¤ ID ID 0 A Quindi l’nMOS è necessariamente in zona ohmica e possiamo rappresentare la sua caratteristica come in figura. Deduciamo quindi con facilità che VDS 0 V e quindi: VOUT VDS 0 V. pag. 39 Fondamenti di Elettronica Appunti Consideriamo ¦ In questa situazione continua a valere l’analisi fatta nel caso VIN 0 V, perché l’nMOS rimane spento. Abbiamo perciò: VOUT VDD ID 0 A Consideriamo ¥¥ §¨ § In tal caso continua a valere l’analisi fatta nel caso VIN VDD e quindi abbiamo: VOUT 0 V ID 0 A Consideriamo ¦ ¥¥ §¨ § Entrambi i Mosfet saranno accesi, ma non sappiamo se in zona ohmica o in zona lineare. All’aumentare di VIN la tensione VGS¤ VIN VDD si avvicina sempre di più a zero (il suo modulo diminuisce), quindi possiamo graficamente osservare che la curva caratteristica del pMOS “si abbassa sempre di più” verso l’asse delle ascisse, come riportato nel primo dei due grafici seguenti. Tramite LKV otteniamo che: VOUT VDD VSD Perciò con una semplice trasformazione grafica otteniamo il secondo dei grafici di seguito riportati. Per quanto riguarda invece l’nMOS, la situazione sarà simmetrica: abbiamo infatti VGS VIN , perciò all’aumentare di VIN la sua curva caratteristica si “allontana” sempre di più dall’asse delle ascisse, come riportato nel grafico seguente. Siccome ID ID¤ ID , possiamo sovrapporre i grafici ottenendo: Osserviamo perciò che la tensione di uscita, man mano che aumenta la tensione di ingresso (cioè quando ci si sposta da una curva all’altra) si avvicina sempre di più a zero. Tuttavia ci sarà un particolare valore della tensione in ingresso per il quale le due curve non si intersecheranno in un solo punto, ma si intersecheranno in infiniti punti: pag. 40 Fondamenti di Elettronica Appunti Quest’ultima situazione si verifica quando entrambi i Mosfet sono in zona di saturazione ed hanno la stessa corrente di saturazione, ovvero quando sono verificate insieme le tre equazioni che costituiscono il seguente sistema: ID¤ ID .~ I k ©D 5 VGS VT ¤ ¤ ¤ ID k + VGS VT . Per semplicità, possiamo fare le seguenti ipotesi semplificative (che nella realtà comunque sono ipotesi ragionevoli): k5 k+ k Otteniamo: VT §VT¤ § VT ID¤ ID ©ID¤ kVIN VDD R VT . ~ ID kVIN VT . Da cui possiamo facilmente ricavare: kVIN VDD R VT . kVIN VT . |VIN VDD R VT | |VIN VT | Nelle condizioni in cui ci troviamo, abbiamo: VDD VT VIN VIN VT VDD VIN 2 Le soglie che determinano la zona di indeterminazione sono i valori in cui i Mosfet entrano in zona ohmica: a) L’nMOS entra in zona ohmica se VGD VT , ovvero se: VIN VOUT VT Da cui si ricava: VOUT VIN VT E, infine, possiamo scrivere: VDD VOUT VT 2 b) Il pMOS entra in zona ohmica se VGD VT¤ , ovvero se: VIN VOUT VT Da cui si ricava: VOUT VIN R VT E, infine, possiamo scrivere: VDD VOUT R VT 2 V V La zona di indeterminazione perciò è compresa tra i valori DD VT e DD R VT , tra i quali entrambi i . Mosfet sono in zona di saturazione. . Analisi del circuito Possiamo riassumere i risultati ottenuti nell’analisi del circuito nel grafico seguente: pag. 41 Fondamenti di Elettronica Appunti Tabella della verità Naturalmente, la tabella della verità che si deduce dalla precedente analisi è esattamente quella di un inverter, che è riportata nella tabella a lato. IN 0 1 OUT 1 0 Soglia di commutazione La soglia di commutazione, come evidenziato nel precedente grafico, può essere individuata facilmente applicandone la definizione data e si ricava che vale: VDD VTH 2 Osservazione: margine di errore Si osserva che, siccome la pendenza del grafico è molto elevata, il margine di rumore viene ottimizzato dal circuito che abbiamo finora descritto. Consumo di potenza statico Dall’analisi precedente risulta evidente che la corrente nella porta è sempre nulla, perciò il consumo di potenza statico è sempre nullo: PS 0 W Come vedremo meglio in seguito però ciò vale solo se si applicano opportuni valori di tensione all’ingresso (tali che almeno uno dei due transistori risulti OFF). Consumo di potenza dinamico Tuttavia è naturale pensare che si abbia un certo consumo di potenza. Pensiamo ad esempio di collegare in serie tra loro due porte NOT, come in figura. Anche se in genere ciò non viene indicato, le due porte condivideranno il collegamento a massa: I fili che vengono usati per realizzare il collegamento a massa sono tra loro isolati e quindi si comporteranno come un tipico condensatore con una capacità che possiamo chiamare C¬¬*h*+A . Inoltre la prima delle due porte NOT collegate in cascata vedrà una capacità dovuta alla presenza dei Mosfet della porta successiva: CNOT CO · W · L Tali capacità, naturalmente, non hanno alcuna influenza nell’analisi statica (perciò sono state finora trascurate), ma intervengono nell’analisi dinamica che stiamo ora per affrontare. Chiamiamo semplicemente CL la capacità di carico vista dalla porta e consideriamo come segnale d’ingresso un’onda quadra di periodo T, come nel grafico a lato. La transizione dal livello alto al livello basso avviene scaricando una certa carica CL · VDD , che viene così mandata a massa; viceversa, per passare dal livello basso al livello alto si accumula sulle armature del condensatore la stessa quantità di carica, che viene prelevata dall’alimentazione. Per valutare il consumo di potenza dinamico dobbiamo considerare la corrente media che determina lo spostamento di carica dall’alimentazione a massa. Da quanto appena visto segue che in un periodo si sposta dall’alimentazione a massa una quantità di carica Q CL · VDD , perciò la corrente media sarà: Q CL · VDD I T T Il consumo di potenza dinamico sarà quindi: CL · VDD P I · VDD VDD · CL · VDD . · f T pag. 42 Fondamenti di Elettronica Appunti Come precedentemente messo in evidenza, la corrente ID non è nulla sempre, ma lo è solo quando uno dei due Mosfet è spento (VIN VT oppure VIN VDD VT ). Tuttavia, sappiamo che nella realtà il passaggio da stato alto a stato basso della tensione di ingresso non può avvenire con discontinuità, come rappresentato nel grafico precedente, perciò la caratteristica dell’inverter viene interamente percorsa e si avranno, anche se solo per brevi intervalli di tempo, valori di tensione in ingresso che comportano una certa corrente ID . Consumo di potenza per cross-conduzione La massima corrente è quella che si ha quando entrambi i Mosfet sono in saturazione, perciò: . VDD IDklF k · 1 VT 2 2 Perciò i picchi assumeranno tale valore massimo. Come noto, la carica è l’integrale della corrente, quindi è graficamente interpretabile come l’area sottesa dal grafico precedente. Approssimando tale andamento con una serie di triangoli di altezza IDklF e di larghezza ∆t (dove quest’ultimo simbolo indica la durata della corrente di cross-conduzione ad ogni transizione), possiamo affermare che ad ogni transizione si ha un passaggio di carica Q così calcolabile: 1 Q IDklF · ∆t 2 Siccome in un periodo si hanno 2 picchi di corrente, la corrente media di cross-conduzione in un periodo è: 2Q IDklF · ∆t ICC T T La potenza dissipata per cross-conduzione sarà perciò la seguente: ∆t · ID PCC VDD · ICC · VDD klF T Tempi di propagazione Il passaggio da uno stato logico ad un altro non avviene in maniera immediata: la tensione di uscita infatti impiega un certo tempo per passare da valori superiori alla tensione di soglia a valori inferiori ad essa, o viceversa. Tale tempo prende il nome di tempo di propagazione della porta. Consideriamo ora il tempo ta necessario perché l’uscita passi dallo stato alto allo stato basso (vedi grafico). Ciò significa che l’ingresso passa dallo stato logico basso a quello alto. In altri termini, la commutazione avviene con una tensione di ingresso pari a VDD . pag. 43 Fondamenti di Elettronica Appunti Siccome la tensione di ingresso è pari a VDD , il nostro pMOS è spento e quindi può essere sostituito con un circuito aperto. Otteniamo quindi il seguente circuito, che è quello che dovremo analizzare: Durante la commutazione la tensione di uscita (che coincide con VDS ) deve passare da VDD a VDD . : Stima per difetto Possiamo stimare per difetto il tempo di propagazione considerando che l’intera commutazione avvenga con l’nMOS in zona di saturazione. Tale stima avviene seguendo i passaggi di seguito riportati. Per prima cosa, sappiamo che affinché tale passaggio avvenga, è necessario che il condensatore perda una carica Q pari a: VDD VDD 2 · CL · CL Q C · ∆V 1VDD 2 2 La corrente media sarà perciò data dal rapporto tra questa quantità di carica e l’intervallo di tempo in cui tale carica viene persa; tale intervallo di tempo è proprio il tempo di propagazione: ∆Q I ta Ricaviamo perciò: ∆Q ta I Siccome la corrente è stata considerata costantemente pari alla corrente di saturazione dell’nMOS, possiamo sostituire ad I la corrispondente espressione e a ∆Q il valore precedentemente valutato: VDD · CL VDD · CL 2 ta kVDD VT . 2kVDD VT . Stima per eccesso Possiamo stimare per eccesso il tempo di propagazione sostituendo all’nMOS un resistore con resistenza tale che, alla tensione VDD , sia attraversato da una corrente pari alla corrente di saturazione dell’nMOS, ovvero: kVDD VT . : VDD R kVDD VT . Il circuito così ottenuto è un semplice circuito RC in cui abbiamo: Nel nostro caso abbiamo: A VOUT VOUT t 0 · e7m A¢aB VDD VDD · e7 m 2 VDD · CL · ln2 kVDD VT . In maniera analoga potremmo calcolare t a , ottenendo gli stessi risultati a patto che le costanti k dei due Mosfet siano uguali (altrimenti dovremmo considerare in un caso k 5 e nell’altro k + ). Da cui: ta τ · ln2 R · CL · ln2 Frequenza massima di funzionamento La massima frequenza di funzionamento deve essere calcolata tramite la seguente relazione: 1 fh: 8 · tP pag. 44 Fondamenti di Elettronica Appunti 4. Porta NOR Schema elettrico della porta Lo schema elettrico di una porta NOR è di seguito riportato: Tabella della verità La tabella della verità della porta NOR è la seguente, come avremo modo di dimostrare a breve. A B OUT 0 0 1 0 1 0 1 0 0 1 1 0 Osservazione: rete di pull-up e rete di pull-down Osserviamo che il circuito è costituito da due parti tra loro complementari, che prendono il nome di “rete di pull-up” e “rete di pull-down”: La rete di pull-up La rete di pull-up è costituita solamente da transistori pMOS e serve a forzare a “1,, l’uscita del sistema nel caso in cui tutti gli ingressi dei transistori così collegati siano a “0,,. La rete di pull-down La rete di pull-down è costituita solamente da transistori nMOS e serve a forzare a “0,, l’uscita del sistema quando almeno uno gli ingressi dei transistori così collegati è a 1. La rete di pull-up si può ricavare dalla rete di pull-down (e viceversa) scambiando solamente la tipologia di transistori e la modalità di collegamento (da serie a parallelo o viceversa). Questa non è una caratteristica solamente del circuito in analisi, ma è propria di tutte le reti combinatorie in logica CMOS. Analisi del circuito Per verificare la tabella di verità possiamo fare un’analisi semplificata considerando che: Per gli nMOS se l’ingresso vale “0,, allora il Mosfet è OFF e lo approssimiamo con un c.a. se l’ingresso vale “1,, allora il Mosfet è ON e lo approssimiamo con un c.c. Per i pMOS se l’ingresso vale “0,, allora il Mosfet è ON e lo approssimiamo con un c.c. se l’ingresso vale “1,, allora il Mosfet è OFF e lo approssimiamo con un c.a. Diventa quindi piuttosto immediato verificare la tabella di verità. pag. 45 Fondamenti di Elettronica Appunti Consumo di potenza statica Per valutare il consumo di potenza statica basta osservare che, quando sono accesi i MOSFET della rete di pull-down, sono spenti quelli della rete di pull-up, e viceversa. Di conseguenza, la corrente che va dall’alimentazione alla massa è sempre nulla e, in conclusione: PS 0 Consumo di potenza dinamica Consideriamo ora il consumo di potenza dinamica supponendo costante uno dei due ingressi (B, ma se considerassimo A il discorso sarebbe analogo). Naturalmente avremo due possibilità: Se B = “1,, l’uscita non commuterà mai e resterà sempre a “0,,. Essendo nulla la tensione di uscita, la potenza dissipata staticamente sarà pari a zero: P 0. Se B = “0,, l’uscita commuta ogni volta che varia il valore di B, assumendone il valore negato. Ponendo inoltre tale valore di B e seguendo le regole precedentemente elencate otteniamo il circuito seguente: Tale porta logica ha quindi (solo in questo caso) la stessa identica struttura di una NOT, perciò, se consideriamo un segnale in ingresso rappresentato da un’onda quadra con frequenza f, vale ancora la formula vista per il NOT: P CL · VDD . · f Vogliamo ora calcolare i tempi di propagazione. Avremo da calcolare sia il tempo ta che l’uscita impiega per passare dallo stato alto allo stato basso, sia il tempo t a per la commutazione inversa. Tempo di propagazione ¯°a£ Sarà diverso a seconda della combinazione di ingressi che determina tale variazione. Abbiamo quindi 3 ulteriori sottocasi (basta vedere la tabella di verità): a) Gli ingressi sono A = 1 e B = 1 In tal caso, dopo il cambiamento degli ingressi, saranno accesi solamente i due Mosfet della rete di pull-down e quindi il circuito che si ottiene è il seguente: Calcolo dei tempi di propagazione Con A = B = “1,, = VDD . Siccome i due Mosfet sono in parallelo, possiamo sostituire ad essi il loro equivalente, ottenendo il circuito seguente: Tale circuito è esattamente uguale a quello analizzato per i tempi di propagazione dell’inverter. Siccome nel caso dell’inverter si è dimostrato che si ha un tempo di propagazione inversamente proporzionale alla costante k del Mosfet, otteniamo facilmente che: 1 ta NOR · ta NOT 2 pag. 46 Fondamenti di Elettronica Appunti b) c) Gli ingressi sono A = 1 e B = 0 In questo caso possiamo sostituire un c.a. al Mosfet della rete di pull-up con ingresso A. Di conseguenza, possiamo eliminare dal circuito la rete di pull-up (perché l’altro transistor è in serie al precedente, ovvero è in serie ad un c.a.). Inoltre, sarà spento anche il Mosfet della rete di pull-down avente come ingresso B. Otteniamo perciò: Il circuito ottenuto è uguale a quello analizzato per i tempi di propagazione dell’inverter, quindi: ta NOR ta NOT Gli ingressi sono A = 0 e B = 1 Questo caso è simmetrico rispetto al precedente (basta scambiare tra loro A e B). Per lo stesso discorso fatto al caso b quindi possiamo ottenere il circuito seguente: ta NOR ta NOT Tempo di propagazione ¯£a° Questa commutazione si verifica per una sola combinazione di ingressi (A = B = 0). In tale situazione saranno accesi i transistor della rete di pull-up e spenti quelli della rete di pull-down: Dal circuito ricaviamo infine: I due Mosfet questa volta sono in serie, perciò possiamo sostituire ad essi un unico Mosfet con costante k tale che il suo reciproco sia la somma dei reciproci delle costanti dei Mosfet dati. Considerando uguali le due costanti k, si ottiene una costante equivalente pari alla metà di k: Il circuito è lo stesso analizzato nel caso dell’inverter CMOS (salvo il fatto che la costante k è dimezzata), dove si è osservato che il tempo di propagazione è inversamente proporzionale a k. Di conseguenza: ta NOR 2 · ta NOT Osservazione: NOR a tre ingressi Se volessimo realizzare una porta NOR a tre ingressi dovremmo semplicemente aggiungere un pMOS nella rete di pull-up, in serie ai precedenti, ed un nMOS nella rete di pull-down, in parallelo ai precedenti. pag. 47 Fondamenti di Elettronica Appunti 5. Porta NAND Schema elettrico della porta Lo schema elettrico della porta logica NAND a logica CMOS è il seguente: Tabella della verità La tabella della verità della porta NAND è la seguente: A B OUT 0 0 1 0 1 1 1 0 1 1 1 0 Osservazione: come realizzare reti CMOS Osserviamo che per realizzare una rete CMOS a partire da una funzione logica Y = f(A, B, …) possiamo procedere realizzando la sua rete di pull-up e poi ricavare da essa la rete di pull-down. Per ² e considerare i singoli mintermini che la ricavare la rete di pull-up dobbiamo considerare la funzione Y costituiscono. Per ognuno dei mintermini inseriamo tanti pMOS in parallelo quante sono le variabili che vi compaiono, aventi come ingressi quelle stesse variabili. Colleghiamo poi in serie tra loro le “parti di circuito” così ottenute. Nel caso specifico infatti: ² Y AB Come abbiamo già visto, possiamo poi scambiare i collegamenti serie con dei collegamenti parallelo e, utilizzando degli nMOS anziché dei pMOS, otteniamo dalla rete di pull-up la rete di pull-down. pag. 48 Fondamenti di Elettronica Appunti 6. Inverter tri-state Funzione dell’inverter tri-state In alcuni casi può capitare che più porte logiche siano connesse in modo da creare conflitti. Pensiamo ad esempio a quanto accade se più porte logiche sono collegate ad un bus (linea dati) e in uno stesso istante cercano di forzare a valori diversi la tensione del bus. In questo caso si possono avere fondamentalmente tre diverse situazioni: a) Una delle due porte si danneggia irreparabilmente; b) La tensione della porta assume un valore intermedio casuale; c) Si realizza un collegamento a massa che genera una corrente molto elevata e di conseguenza una grande dissipazione di energia. Per evitare questo tipo di inconvenienti si utilizza l’inverter tri-state, il quale può avere, oltre allo stato logico alto e basso, uno stato logico ad alta impedenza: ciò significa che la porta si comporta come un c.a. e quindi non forza né a “0,, e né a “1,, lo stato logico della linea dati. Schema della porta Lo schema elettrico dell’inverter tri-state è il seguente: Dove “E” è l’ingresso di enable (“attivazione”): se esso vale “1,, la porta è nello stato “ad alta impedenza”, altrimenti non lo è. Analisi della porta logica Se abbiamo E = “0,, l’inverter nMOS più in basso è certamente spento e, analogamente, il pMOS più in alto è spento. Di conseguenza possiamo sostituire ad essi dei c.a. e osserviamo facilmente che siamo nello stato “ad alta impedenza”. Se invece E = “1,, entrambi i transistor sopra citati sono accesi e possiamo sostituire ad essi dei c.c., ottenendo come circuito equivalente un normale inverter. Uso dell’inverter tri-state Possiamo utilizzare l’inverter tri-state fornendo come ingresso di enable una tensione fornita da una rete di controllo, programmata per mantenere alto il valore dell’enable di una sola porta di tri-state tra quelle collegate alla linea dati (secondo opportune politiche), come mostrato nella figura seguente: pag. 49 Fondamenti di Elettronica Appunti 7. La porta di trasmissione Funzione della porta di trasmissione La porta di trasmissione è una diversa soluzione al problema che abbiamo appena descritto. Essa consente teoricamente di ridurre il numero di Mosfet da utilizzarsi. Nella realtà dei fatti però, come vedremo, questo può avvenire a patto che si accettino dei compromessi: in caso contrario possiamo utilizzare una porta di trasmissione più complessa, che però comporta l’utilizzo dello stesso numero di Mosfet richiesti dall’inverter tri-state. Schema della porta di trasmissione ad un solo Mosfet Possiamo ottenere una porta di trasmissione semplicemente utilizzando un Mosfet nel modo seguente: Analisi della porta di trasmissione ad un solo Mosfet La porta di trasmissione sopra riportata si comporterà nel modo seguente: Se E = “1,, a L’nMOS è abilitato, infatti abbiamo due sottocasi: a) Se X = “0,, l’nMOS è acceso, perciò possiamo considerarlo un c.c. e abbiamo: Y = X = “0,, b) Se X = “1,, l’nMOS è teoricamente spento. In realtà però dobbiamo considerare anche il valore di Y: - se inizialmente Y = “0,, di fatto è come se scambiassimo tra loro i terminali drain e source dell’nMOS e abbiamo: Quindi l’nMOS conduce e si ha una corrente che carica il condensatore. Quando però Y raggiunge il valore VDD VT la tensione VGS diventa inferiore alla tensione di soglia e l’nMOS si spegne, perciò il condensatore rimane carico al valore di tensione VDD VT (che è interpretato come “1,,). - se inizialmente Y = “1,, l’nMOS risulta spento e si comporta come un c.a., di conseguenza il condensatore non si scarica e rimane alla tensione alta. Quindi, in entrambi i casi, se X = “1,, l’uscita varrà Y = “1,, Se E = “0,, a L’nMOS è disabilitato. Infatti l’nMOS è certamente spento, perché le tensioni X e Y sono certamente positive e quindi non potremo mai avere VGS 0. Se l’nMOS è spento, esso si comporta come un c.a. e lascia invariato il valore di Y. Inoltre, se l’nMOS si comporta come un c.a. non si oppone ad alcun cambiamento esterno del valore di Y. Riassumendo, la nostra porta di trasmissione si comporta nel modo seguente: Se E = “1,, a L’uscita assume il valore che assume l’ingresso (la trasmissione è abilitata). Se E = “0,, a La porta è nello stato “ad alta impedenza”. Il compromesso che bisogna accettare è la riduzione dei margini di errore. Osserviamo infatti che la tensione di uscita Y, per i ragionamenti precedentemente esposti, non potrà mai superare il valore VDD VT quando è allo stato alto, perciò il margine di errore risulta decrementato di un termine VT . pag. 50 Fondamenti di Elettronica Appunti Schema della porta di trasmissione con 2 Mosfet Per evitare che si abbia un degrado dei margini di errore si può modificare il circuito precedente come mostrato nella figura: Analisi della porta di trasmissione con 2 Mosfet In questo modo il comportamento del circuito risulta così modificato: Se E = “1,, a Consideriamo i due sottocasi: a) Se X = “0,, l’nMOS è acceso, perciò possiamo considerarlo un c.c. e abbiamo: Y = X = “0,, b) Se X = “1,, il pMOS è acceso, perciò possiamo consideralo un c.c. e abbiamo: Y = X = “1,, Se E = “0,, a Così come nel caso precedente, l’nMOS è certamente spento. In maniera analoga, il pMOS è disabilitato, perché ha una tensione sul gate pari a VDD e le altre tensioni saranno certamente inferiori, perciò non potremo avere VGS¤ |VT¤ |, che è la necessaria e sufficiente perché il pMOS sia acceso. Se entrambi i MOSFET sono spenti, abbiamo di fatto un c.a. e siamo ancora nello stato ad alta impedenza. pag. 51 Fondamenti di Elettronica Appunti 8. Il decoder Definizione Il decoder è un circuito digitale combinatorio che riceve una parola in ingresso e la interpreta selezionando (cioè portando a livello logico alto) l’unica uscita corrispondente alla codifica. Esempio di decoder a 2 bit Un esempio di decoder a 2 bit (cioè che riceve in ingresso una parola costituita da 2 soli bit) è quello che ha la seguente tabella di verità: A1 A2 W0 W1 W2 W3 0 0 1 0 0 0 0 1 0 1 0 0 1 0 0 0 1 0 1 1 0 0 0 1 Osserviamo che le uscite possono essere così espresse: ³³³³ ³³³³ R A2 ³³³³ R A2 ³³³³ W0 ³³³³³³³³³³³ A1 R A2 W1 ³³³³³³³³³³³ A1 R A2 W2 ³³³³³³³³³³³ A1 W3 ³³³³³³³³³³³ A1 Possiamo quindi implementare tali funzioni utilizzando delle porte NOT e NOR, come in figura: pag. 52 Fondamenti di Elettronica Appunti Capitolo 5: l’Elettronica digitale sequenziale e le memorie 1. Il bistabile Introduzione Fino ad ora abbiamo studiato solamente sistemi digitali combinatori. Vogliamo a questo punto introdurre degli elementi di memoria, in modo tale da poter passare allo studio di sistemi digitali sequenziali. Il primo passo è quello di studiare il bistabile, che è l’elemento fondamentale dell’Elettronica digitale. Schema di un bistabile Il bistabile può essere ottenuto connettendo due porte NOT nella maniera seguente: Analisi del bistabile Possiamo rappresentare le due curve caratteristiche delle porte NOT come nel grafico seguente: Osserviamo che esse si intersecano in tre punti, quindi abbiamo tre punti di lavoro: V v¢ VDD ; v¢ DD ; v ¢ 0 . Di questi però solamente due sono stabili. Se infatti abbiamo valori di v¢ poco superiori a v¢ si porterà rapidamente al valore VDD e, viceversa, se abbiamo valori di poco inferiori a VDD . VDD . , la tensione V. Ciò non accade per gli altri due stati: se v¢ assume valori poco inferiori a VDD si riporta in breve tempo a tale valore di tensione e, viceversa, se assume valori poco superiori a 0 V ritorna dopo poco al valore nullo di tensione. Naturalmente però tale schema non viene applicato nella pratica, perché non prevede la possibilità di fornire degli ingressi al sistema. pag. 53 si porterà a 0 Fondamenti di Elettronica Appunti 2. Il latch Set-Reset Schema di un latch Set-Reset Un latch Set-Reset può essere ottenuto connettendo due porte NOR nella maniera di seguito riportata: I due schemi sono equivalenti, ma in genere si preferisce utilizzare quello riportato a destra. Tabella di verità La tabella di verità di un latch Set-Reset è la seguente: ´ S R ²́ 0 0 Memoria Memoria 0 1 0 1 1 0 1 0 1 1 0 0 Configurazione vietata Osserviamo che la configurazione di ingressi S = R = “1,, è in genere indicata come “vietata”, perché introduce un evidente errore dovuto al fatto che Q e il suo negato risultano essere uguali (cosa che naturalmente è impossibile). Consideriamo inoltre i valori che gli ingressi assumono dopo che si è entrati in tale configurazione. Se abbiamo S = 0 e R = 0, ad esempio, dovremmo entrare in memoria. Tuttavia la prima porta NOR vede ² “1,,. Tuttavia prima che tale commutazione sia compiuta, la entrambi gli ingressi a “0,, e quindi fornisce Q seconda porta NOR vedrà per un certo intervallo di tempo entrambi i suoi ingressi allo stato basso e quindi restituirà Q = “1,,. All’istante successivo entrambi gli ingressi tenderanno ad andare a “0,, e così via, dando origine ad una situazione di instabilità (il sistema oscilla). Nella realtà dei fatti il sistema non continuerà ad oscillare all’infinito, perché i due segnali non commutano contemporaneamente. Tuttavia, non possiamo prevedere con esattezza lo stato che le uscite assumeranno, perciò è opportuno evitare tale configurazione. Problemi delle reti asincrone Consideriamo il circuito seguente, che è un rilevatore di transizioni da stato alto a stato basso, connesso ad un latch set-reset con l’ingresso Reset forzato a zero (collegato a massa). Teoricamente la porta AND dovrebbe avere uscita sempre nulla, di conseguenza il latch dovrebbe essere sempre in memoria. Nella realtà non è così, perché la porta NOT ha dei tempi di ritardo i quali fanno sì che, se A passa da stato basso a stato alto, per un certo tempo (il tempo di propagazione della NOT) l’uscita dell’inverter rimane alta, anche se l’ingresso A è già passato ad “1,, e di conseguenza l’uscita della AND passa temporaneamente a “1,, (si ha un glitch di tensione che durerà pochi istanti). L’uscita Y passa così al valore “1,, anziché restare sempre in memoria. Potremmo risolvere il problema utilizzando delle reti differenti, dette sincrone, che utilizzano un segnale di controllo (clock, CK) e nelle quali lo stato è aggiornato solo quando tale segnale è basso (o, in altri casi, alto). In tal modo il glitch, a patto che la rete sia progettata in modo che avvenga sempre quando il clock non è in “stato di aggiornamento”, non influirebbe in alcun modo sull’uscita. Le reti che invece non utilizzano i segnali di clock, come i latch set-reset, prendono invece il nome di reti asincrone. pag. 54 Fondamenti di Elettronica Appunti 3. Il flip-flop Set-Reset Schema di un filp-flop Set-Reset Un flip-flop set-reset può essere ottenuto come mostrato di seguito: Osserviamo che in questo caso l’aggiornamento può avvenire se CK = “1,,. Problemi dei flip-flop Set-Reset con porte logiche Il circuito sopra riportato può essere adottato per lo scopo che ci siamo prefissati, ovvero di realizzare un dispositivo che rimanga in stato di memoria per opportuni intervalli di tempo e che sia in grado di modificare le proprie uscite acquisendo dati solamente nei restanti istanti, sulla base di un segnale di ingresso detto Clock. Tuttavia il numero di Mosfet che tale circuito richiede è molto elevato: per realizzare ogni porta NOR (come abbiamo visto in precedenza) abbiamo bisogno di 4 transistor e per realizzare ogni singola porta AND dobbiamo in sostanza utilizzare una NAND con in serie una NOT, per un totale di 6 Mosfet per ogni AND. Di conseguenza, avremo bisogno di 20 transistor per ogni flip-flop Set-Reset. Possiamo allora adottare uno schema concettuale differente, che può essere così rappresentato e la cui implementazione verrà descritta nel paragrafo successivo. Schema di un flip-flop Set-Reset con Mosfet Uno schema che è possibile utilizzare per realizzare un flip-flop Set-Reset è il seguente: Analisi del flip-flop Set-Reset con Mosfet Uno schema che è possibile utilizzare per realizzare un flip-flop Set-Reset è il seguente: Se CK = “0,, possiamo sostituire un circuito aperto a ciascuno dei due nMOS che hanno come ingresso il clock (CK), perché saranno certamente spenti. Di conseguenza, le uscite non sono forzate ad alcun valore e il flip-flop rimane in memoria. Se CK = “1,, abbiamo diversi sottocasi: Se R = S = “0,, allora i due Mosfet aventi come ingresso S ed R sono spenti e possiamo sostituire ad essi un c.a., perciò anche in questo caso il circuito è in stato di memoria. Se R = “0,, e S = “1,, allora i Mosfet certamente accesi sono quelli aventi come ingressi S e CK e perciò ² “0,,. Siccome possiamo sostituire ad essi dei c.c. Osserviamo quindi con facilità che abbiamo Q ² l’ingresso dell’inverter a sinistra è Q “0,, l’uscita di tale inverter, che coincide con Q, assumerà il valore Q “1,,. Se S = “0,, e R = “1,, abbiamo una situazione del tutto simmetrica alla precedente. Se S = R = “1,, siamo nello stato di indeterminazione. pag. 55 Fondamenti di Elettronica Appunti 4. Generazione del Clock Schema per la generazione del clock Per generare un segnale di clock possiamo collegare tre porte NOT come mostrato nello schema: Analisi del generatore di clock Consideriamo una situazione iniziale così descritta: VI¶ 1 VI¢ 1 VIµ 0 Possiamo rappresentare l’evoluzione dei segnali nel tempo all’interno dei grafici seguenti: Si osserva che ogni singolo intervallo di tempo evidenziato sull’asse delle ascisse è pari al tempo di propagazione di una porta NOT. Naturalmente, tali grafici sono approssimati tramite andamenti lineari, in modo da semplificare la rappresentazione. Osserviamo perciò che l’uscita (uno qualsiasi dei tre segnali a lato) sarà allo stato logico basso per un tempo pari a 3 · t 5 e allo stato logico basso per un tempo 3 · t 5 . Abbiamo così ottenuto un clock avente frequenza: 1 f 6 · t5 pag. 56 Fondamenti di Elettronica Appunti 5. Classificazione delle memorie a semiconduttore Parametri delle memorie a semiconduttore Le memorie a semiconduttore si differenziano tra loro per una serie di parametri che le caratterizzano: Volatilità o meno dei dati Una memoria è volatile se le informazioni in essa contenute vengono perse ogni volta che iene a mancare l’alimentazione della memoria stessa. Viceversa, una memoria è volatile non volatile se i dati vengono mantenuti anche in assenza di alimentazione. Riscrivibilità o meno dei dati Una memoria è riscrivibile se si possono cancellare i dati scritti sulla memoria stessa e scriverne di nuovi. Non tutte le memorie lo permettono: le memorie dette non riscrivibili consentono di scrivere i dati una sola volta. Velocità di scrittura e di lettura Dipende dal tempo di accesso di una memoria. Il tempo di accesso di una memoria è il tempo che intercorre tra l’istante in cui avviene la richiesta di lettura (o scrittura) di informazioni all’interno della memoria stessa e l’istante in cui tali informazioni vengono ottenute (o scritte). Capacità di memoria Questa caratteristica rappresenta il numero di bit memorizzabili all’interno della memoria. Consumo di potenza Il consumo di potenza, come ovvio, è la potenza dissipata dalla memoria stessa. La memoria può avere un diverso consumo di potenza nelle diverse fasi (scrittura, lettura, stand-by e riposo). Costo per bit Il costo per bit è la spesa economica necessaria per implementare il singolo bit che costituisce la memoria. Classificazione delle memorie I principali tipi di memoria possono essere così elencati: Memorie a semiconduttore Non volatili ROM Volatili Volatili SRAM Flash DRAM A questo punto possiamo dare la seguente descrizione delle categorie introdotte: Memorie ROM Le memorie ROM (Read Only Memory) sono memorie non volatili e di sola lettura (cioè nelle quali la scrittura avviene una sola volta, tipicamente in fase di fabbricazione). Memorie Flash Le memorie Flash sono memorie non volatili, che si differenziano dalle ROM perché sono riscrivibili. Memorie RAM Le memorie RAM (Random Access Memory) sono delle memorie riscrivibili, molto veloci e per questo vengono molto spesso utilizzate come memoria centrale di un calcolatore. Nello schema sono stati indicati due diversi tipi di memorie RAM: Memorie SRAM (Static Random Access Memory). Memorie DRAM (Dynamic Random Access Memory). Osserviamo che tutte le memorie fino ad ora citate sono memorie ad accesso casuale, nelle quali quindi il tempo di accesso è uguale per tutti i bit. Un tipico esempio di memoria che non è ad accesso casuale è l’hard disk (così come tutte le altre memorie sequenziali). pag. 57 Fondamenti di Elettronica Appunti 6. La memoria SRAM Struttura della memoria SRAM L’elemento fondamentale della memoria SRAM è il latch Set-Reset. Tale componente può essere realizzato come mostrato nella figura seguente: Il latch set-reset può essere modificato nella maniera riportata nella figura seguente, in maniera tale da ottenere effettivamente una memoria SRAM: Lo schema sopra riportato mostra la struttura di un singolo bit della memoria SRAM. La memoria sarà perciò costituita da una matrice di elementi come quello della figura precedente. Le linee indicate hanno i seguenti significati: WL (Word Line) La linea WL è la linea di selezione, che consente indicare se si vuole operare su quel particolare bit (in tal caso WL è allo stato alto) oppure no (e quindi WL rimane allo stato basso e il dato precedentemente memorizzato resta all’interno dell’elemento di memoria in analisi). BL (Bit Line) Con BL è stata invece indicata la linea di lettura e scrittura dei bit: tale linea infatti è quella dalla quale viene prelevato il bit contenuto nell’elemento di memoria (durante l’operazione di lettura), ma è anche la linea usata per trasmettere il nuovo bit da memorizzare (durante l’operazione di scrittura). Si osserva che è presente sia la linea BL, sia la linea ³³³³ BL. Funzionamento della memoria SRAM A questo punto vogliamo analizzare come avvengono le operazioni di lettura e scrittura all’interno della memoria SRAM. Tali procedure verranno descritte singolarmente: Memorizzazione Se poniamo WL = “0,, i Mosfet 1 e 2 resteranno certamente spenti, e di conseguenza le due porte NOT restano isolati e mantengono il bit precedentemente memorizzato nell’elemento di memoria in analisi. Scrittura Se poniamo WL = “1,, i Mosfet 1 e 2 possono essere accesi o spenti a seconda del valore della BL. Consideriamo quindi i 2 casi seguenti: Se BL = “0,, allora il Mosfet 1 è acceso e il Mosfet 2 è spento, quindi forniamo al latch i valori S = “0,, e R = “1,,. Ciò significa che stiamo memorizzando il bit “0,,. Se BL = “a,, allora il Mosfet 1 è spento e il Mosfet 2 è acceso, quindi forniamo al latch i valori S = “1,, e R = “0,,. Ciò significa che stiamo memorizzando il bit “1,,. Lettura Se imponiamo allo stato alto la linea WL e poniamo in stato di alta impedenza la linea BL, allora BL si porterà allo stesso potenziale del CMOS cui è collegata, e in questo modo potremo leggere il dato all’interno dell’elemento di memoria che stiamo analizzando. pag. 58 Fondamenti di Elettronica Appunti Matrice di memoria SRAM Se vogliamo connettere tra loro diversi elementi di memoria del tipo precedentemente descritto, dobbiamo realizzare una matrice come quella raffigurata a lato. A questo punto: Se vogliamo ad esempio leggere la cella 00, dobbiamo porre WL0 = “1,, e WL1 = “0,, e lasciare in alta impedenza ³³³³. la bit line 0. Il dato verrò letto sulle linee Q0 e Q0 Se vogliamo ad esempio scrivere la cella 00, dobbiamo porre WL0 = “1,, e WL1 = “0,, e scrivere sulle linee Q0 e ³³³³ Q0 rispettivamente il valore che vogliamo imporre alla cella di memoria ed il suo negato. Tuttavia risulterebbe utile ridurre il numero di collegamenti, e per fare ciò possiamo utilizzare due decoder, ottenendo lo schema riportato di seguito: Lettura Per effettuare l’operazione di lettura del bit sulla riga j e nella colonna i devo: 1. Fornire al decoder di riga la parola R che seleziona (ovvero manda alta) unicamente la riga j. 2. Fornire al decoder di colonna la parola C che seleziona unicamente la colonna i. ² conterranno rispettivamente il dato letto ed il suo negato. Tali dati vengono poi 3. Le uscite Q e Q elaborati dal circuito di lettura e forniti tramite la linea DATA OUT. 4. La linea WRITE deve essere allo stato basso, in modo da mantenere nello stato di tri-state gli inverter. In tal modo si effettua realmente la lettura, perché rimangono ad alta impedenza e non ². impongono alcun valore alle linee Q e Q Scrittura Per effettuare l’operazione di scrittura del bit sulla riga j e nella colonna i devo: 1. Imporre il valore del bit da memorizzare sulla linea DATA IN. 2. Fornire al decoder di riga la parola R che seleziona (ovvero manda alta) unicamente la riga j. 3. Fornire al decoder di colonna la parola C che seleziona unicamente la colonna i. 4. Portare allo stato alto il segnale WRITE, in modo da attivare gli inverter tri-state e forzare nelle linee ² il valore che si desidera memorizzare. QeQ Osservazioni e svantaggi Con questa topologia, se utilizziamo M collegamenti di riga ed N collegamenti di colonna, possiamo indirizzare 2M · 2N celle di memoria, in maniera indipendente. Lo svantaggio principale di questa topologia è dato dall’occupazione di area: ogni cella di memoria necessita di 6 Mosfet, e questo limita il numero di bit memorizzabili su un singolo chip. pag. 59 Fondamenti di Elettronica Appunti 7. La memoria DRAM Struttura della memoria DRAM Le memorie DRAM sfruttano quello che possiamo definire il più semplice elemento di memoria, ovvero il condensatore. La struttura di un singolo elemento di memoria è quindi la seguente: Funzionamento della memoria DRAM A questo punto vogliamo analizzare come avvengono le operazioni di lettura e scrittura. Memorizzazione Se poniamo WL = “0,, il Mosfet sarà certamente spento, e quindi (essendo di fatto un c.a.) la carica accumulata nel condensatore rimane invariata: di conseguenza, siamo in stato di memoria (non può cambiare la tensione ai capi del condensatore). Scrittura Se poniamo WL = “1,, e forziamo BL = “0,, oppure BL = “1,, imponiamo di fatto una tensione ai capi del condensatore pari, nel primo caso, a 0 V e nel secondo caso a VDD VT , dove VDD è la tensione di alimentazione e VT è la tensione di soglia del Mosfet. Lettura Se imponiamo allo stato alto la linea WL e poniamo in stato di alta impedenza la linea BL, possiamo leggere la tensione sulla bit-line, determinando così se il bit memorizzato nella singola cella di memoria è uno “0,, oppure un “1,,. In realtà però tale operazione, come vedremo in seguito, è più complessa, e perciò verrà analizzata in un secondo momento. Matrice di memoria DRAM Anche con le DRAM si realizza di fatto una matrice di memoria, molto simile a quella vista per le memorie SRAM. Tale matrice può essere rappresentata nella seguente figura: Anche in questo caso si possono poi utilizzare dei decoder, similmente a quanto abbiamo fatto in precedenza (anche se non riportiamo qui lo schema completo). pag. 60 Fondamenti di Elettronica Appunti Lettura di una memoria DRAM La DRAM, a differenza della SRAM, non ha elementi attivi in grado di forzare il potenziale della bit-line durante la fase di lettura e di conseguenza la tensione della BL è modificata unicamente dalla carica precedentemente memorizzata nella capacità C . Per ottenere una cella di memoria di ridotte dimensioni la capacità C è realizzata di piccolo valore (decine di fF). Viceversa la BL è costituita da un collegamento molto lungo a cui posso afferire decine di migliaia di celle di memoria e di conseguenza ha un’elevata capacità (dell'ordine del pF). Questa notevole differenza tra C e CBL implica che la tensione della BL è poco perturbata dalla carica immagazzinata nel condensatore C . Calcoliamo infatti di quanto si sposta la tensione di BL durante la fase di lettura di un bit “alto”: Consideriamo la condizione iniziale: VBL 0 V VM VDD VT Ovvero, consideriamo che la bit-line sia inizialmente ad una tensione nulla e supponiamo che il dato memorizzato sia un “1,,. Dalla seconda di tali condizioni segue che (applicando la relazione costitutiva del condensatore): Q=+ C VDD VT Quando iniziamo la lettura, la linea WL diventa alta, e di conseguenza la carica Q =+ si distribuisce tra C e CBL . Per la conservazione della carica, abbiamo: Q =+ Qf=+ ~ a C VDD VT VBL C R VBL CBL { Qf=+ VBL C R VBL CBL Da cui ricaviamo: C V VT VBL C R CBL DD Ad esempio, se i valori numerici in gioco sono i seguenti: VDD 3 V VT 0,5 mV CBL 1 pF C 20 fF Otteniamo: VBL 50 mV Si invece supponessimo che il dato memorizzato sia un “1,, otterremmo alla fine una tensione VBL 0 V Pertanto, se i livelli logici sono 0 e 3 Volt, in fase di lettura i livelli della BL sono solamente 0 (se la cella memorizzava uno “0,,) e 50 mV (se la cella memorizzava un “1,,). Perciò la lettura di questo tipo di celle richiede un particolare circuito in grado di distinguere due tensioni che differiscono di poche decine di millivolt. A tale fine sono stati ideati dei circuiti di lettura chiamati sense amplifier in grado di leggere le bit-line e fornire in uscita livelli logici standard. Vantaggi e svantaggi della memoria DRAM Svantaggi A ogni lettura deve corrispondere anche una scrittura. Infatti, come visto nell’esempio precedente, dopo la lettura di un bit alto la tensione sul condensatore diventa al più di poche decine di millivolt, non più corrispondente ad un livello logico alto. L’operazione di riscrittura è normalmente eseguita dal sense-amplifier stesso. La DRAM è più lenta rispetto alle SRAM in quanto nella cella di memoria non ci sono elementi attivi in grado di spostare velocemente il potenziale della BL. Il circuito di lettura di una DRAM con singolo transistor è pertanto più sofisticato rispetto a quello delle memorie basate su celle latch sia a causa delle piccole variazioni di tensione che deve rivelare sia per la necessità di eseguire anche un’operazione di scrittura. Correnti di perdita e “correnti di conduzione sotto soglia” del transistor comportano la scarica del condensatore C in tempi dell’ordine di pochi secondi. È pertanto necessario periodicamente, in genere ogni qualche decina di ms, effettuare un refresh della cella. Vantaggi L’area occupata da ogni cella della DRAM è molto minore rispetto a quella delle celle della SRAM. L’unico vantaggio che la DRAM possiede è però molto importante nel definire il costo della memoria, e di conseguenza la DRAM, nonostante gli svantaggi che possiede, è di fatto la tipologia di memoria più diffusa nel settore delle memorie ad elevata capacità. pag. 61 Fondamenti di Elettronica Appunti 8. La memoria ROM Struttura della memoria ROM La memoria ROM, come abbiamo già visto, è non volatile e può essere scritta una sola volta, ovvero durante la fase di fabbricazione. L’utente quindi non può modificarne il contenuto. La mancanza della fase di scrittura rende questo tipo di memorie molto semplice e ad alta capacità. In sostanza le memorie ROM sono dei dispositivi che, ricevuta una parola in ingresso (che rappresenta l’indirizzo della locazione da leggere) restituiscono in uscita una parola (di lunghezza diversa, in genere) che rappresenta il contenuto di quella locazione: Una possibile implementazione è la seguente: Per ottenere questa realizzazione abbiamo utilizzato un pMOS in cima ad ogni colonna; tale pMOS ha il gate collegato a massa. Inseriamo poi un nMOS ogni volta che vogliamo ottenere un bit a “0,, e invece non utilizziamo alcun Mosfet se vogliamo che il bit corrispondente rimanga ad “1,,. Il pMOS posto su ogni BL è meno conduttivo degli nMOS utilizzati per definire i bit memorizzati. Ad esempio, in figura abbiamo memorizzato le parole seguenti: Sulla Word Line 0 abbiamo la parola 110. Sulla Word Line 1 abbiamo la parola 010. Sulla Word Line 2N 1 abbiamo la parola 101. pag. 62 Fondamenti di Elettronica Appunti 9. La memoria Flash Il Mosfet con floating gate La memoria flash è una memoria non volatile, che però può essere riscritta dall’utente (a differenza della ROM). L’informazione viene immagazzinata modificando la tensione di soglia dei Mosfet. Perché ciò sia possibile, naturalmente, è necessario utilizzare dei particolari Mosfet, che possiedono il cosiddetto floating gate. Il floating gate è un elettrodo aggiuntivo che viene inserito nell’ossido del gate e che non è accessibile esternamente. Si tratta perciò in sostanza di un metallo inserito all’interno dell’ossido, come in figura: Al fine di distinguerlo dal floating gate, il gate esterno è detto anche control gate. Si osserva che la figura precedente mostrava la situazione in cui il floating gate è neutro. Possiamo perciò dire che in tal caso la tensione di soglia del nostro Mosfet è pari a VTB . Se infatti applichiamo una certa tensione al gate, il canale N non risente della presenza dell’ossido, perché per induzione si avrà la situazione rappresentata sopra a destra. Iniezione di elettroni Supponiamo ora che sul floating gate si accumuli una certa carica negativa. Per effetto di tale carica, la concentrazione di lacune tra il source e il drain sarà superiore quando il Mosfet è a riposo. Di conseguenza, per creare il canale di elettroni sarà necessaria una tensione superiore rispetto a quella che si aveva in precedenza, quando il floating gate era neutro. Si osserva inoltre che tale carica, una volta iniettata sul floating gate, non potrà più uscirne, perché l’ossido svolge la sua funzione di isolante. Rimane però da chiarire come sia possibile fornire tale carica al floating gate. Per arrivare a capirlo, tracciamo innanzitutto il seguente grafico che mostra l’andamento dell’energia potenziale all’interno del Mosfet: Perché un elettrone possa passare dal canale al floating gate è necessario fornirgli energia per fargli superare la barriera rappresentata nel grafico. A tale scopo, applichiamo una tensione tra drain e source molto elevata e così gli elettroni saranno in grado di superare l’ossido e di sostarsi nel floating gate, dove rimarranno in modo permanente. Questa tecnica è detta CHEI (Channel Hot Electron Injection). Durante il normale utilizzo del Mosfet, gli elettroni iniettati non possono lasciare il floating gate a causa dell’ossido circostante. Il Mosfet rimane perciò indefinitamente con tensione di soglia alata, anche in assenza di alimentazione. pag. 63 Fondamenti di Elettronica Appunti Rimozione di elettroni Se invece vogliamo togliere elettroni dal floating gate, dobbiamo sfruttare un particolare fenomeno proprio della meccanica quantistica, noto come effetto tunnel: in base alla meccanica quantistica, un elettrone ha una probabilità non nulla di attraversare una barriera di potenziale anche senza possedere l’energia sufficiente per superarla (è come se passasse attraverso un “tunnel” posto nella barriera di potenziale). La probabilità di attraversare una barriera per effetto tunnel decresce esponenzialmente all’aumentare dello spessore della barriera. Per rimuovere gli elettroni dal floating gate si applica una tensione tra il control gate ed il source molto negativa (normalmente la VGS ¹ 0 si ottiene mantenendo VCG 0 e portando a potenziale alto il source) in modo da spingere gli elettroni verso il canale e ridurre lo “spessore” della barriera di potenziale come indicato nella figura: Con un bassissimo dispendio di energia quindi possiamo prelevare dal floatin gate gli elettroni e abbassare la tensione di soglia. Il simbolo utilizzato per indicare il Mosfet con floating gate è il seguente: Struttura della memoria flash L’elemento di memoria della FLASH è quindi un semplice transistore con il floating gate. L’estrema compattezza della cella di memoria permette di ottenere qualche Gbit in un singolo chip di silicio. Per leggere la memoria flash è sufficiente applicare tra gate e source una tensione compresa tra VTB e VT¢ : se la corrente tra drain e source del Mosfet è nulla, allora significa che il Mosfet ha impostato la tensione di soglia VTB e quindi il bit da legere vale “0,,. Se invece la corrente non è nulla, il bit letto è “1,,. Lettura di una memoria flash pag. 64 Fondamenti di Elettronica Appunti Capitolo 6: Analisi in frequenza 1. La trasformata di Laplace Introduzione Consideriamo di avere un segnale il cui andamento nel tempo è descritto dalla funzione f(t). Tale funzione sarà perciò una funzione di variabile reale (t è certamente reale). A questo punto vogliamo passare a studiare il nostro segnale nel dominio delle frequenze. Per farlo dobbiamo applicare la cosiddetta trasformata di Laplace, che ci consente di ottenere una funzione F(s), dove s è una variabile complessa. Definizione Matematicamente, possiamo dare la seguente definizione: sia f(t) una funzione di variabile reale, definita per ogni valore reale. Si definisce trasformata di Laplace di f(t) la funzione F(s) così definita: Fs º»ft¼ ½ n¾ 7¾ e79A · ftdt In genere però i segnali sono definiti solo per t b 0, e quindi in tal caso la trasformata di Laplace del segnale f(t) è la funzione: Fs º»ft¼ ½ n¾ ¿ e79A · ftdt s α R jω L’antitrasformata di Laplace di una funzione F(s) è invece quella funzione f(t) la cui trasformata di Laplace è F(s). Si tratta perciò dell’operatore inverso rispetto alla trasformata di Laplace. Dove la variabile complessa s è così definita: Significato Come accennato, la trasformata di Laplace consente, dato un segnale, di passare da una scrittura in funzione del tempo ad una scrittura in funzione della frequenza. In altri termini, il segnale che stiamo analizzando viene scomposto nella somma integrale di funzioni. Tale procedimento è quindi molto simile a quanto accade con la trasformata di Fourier: la differenza tra questi due casi è che la trasformata di Fourier scrive il segnale coma sommatoria di sinusoidi con frequenze ed ampiezze diverse, mentre la trasformata di Laplace scrive il segnale di partenza come sommatoria di sinusoidi modulate esponenzialmente, ovvero moltiplicate per un termine del tipo e7ÂA . In sostanza perciò possiamo affermare che la trasformata di Fourier è la trasformata di Laplace nel caso in cui si ponga α 0. Proprietà della trasformata di Laplace La trasformata di Laplace gode di alcune importanti proprietà, che possiamo così riassumere: Linearità La trasformata di Laplace della combinazione lineare di più funzioni è la combinazione lineare delle trasformate di Laplace delle singole funzioni: º»a · ft R b · gt¼ a · º»ft¼ R b · º»gt¼ a · Fs R b · Gs Derivazione La trasformata di Laplace della derivata di una funzione f(t) è la trasformata di Laplace di f(t), moltiplicata per s: dft ºÆ Ç s · º»ft¼ f0 s · Fs f0 dt Integrazione La trasformata di Laplace dell’integrale tra 0 e t di una funzione f(τ) è la trasformata di Laplace di f(τ), divisa per s: A 1 1 º ƽ fτdτÇ · º»fτ¼ · Fs s s pag. 65 Fondamenti di Elettronica Appunti Uso della trasformata di Laplace in ingegneria La trasformata di Laplace viene usata moltissimo in ingegneria. Osserviamo infatti che la risposta di un sistema lineare ad un segnale qualsiasi può essere calcolata come integrale di convoluzione tra la sua risposta all’impulso h(t) e il segnale in ingresso f(t). Quando però si passa al dominio delle frequenze tramite trasformata di Laplace, otteniamo le due funzioni H(s) e F(s) e possiamo calcolare la risposta del sistema lineare semplicemente moltiplicando tali funzioni: Ys Hs · Fs E per questa ragione è conveniente utilizzare la trasformata di Laplace. Inoltre abbiamo visto che, grazie alle proprietà della trasformata di Laplace, le operazioni di derivazione e di integrazione nel dominio del tempo, quando si passa al dominio delle frequenze, diventano semplici operazioni algebriche. Di conseguenza, se consideriamo un qualsiasi circuito nel dominio del tempo e vogliamo risolverlo, abbiamo bisogno di risolvere delle equazioni differenziali (che, come noto, richiedono passaggi matematici piuttosto complessi), mentre se passiamo al dominio delle frequenze è sufficiente risolvere semplici equazioni algebriche. pag. 66 Fondamenti di Elettronica Appunti 2. La funzione di trasferimento Definizione Consideriamo ora un circuito nel dominio delle frequenze. Definiamo funzione di trasferimento del circuito la risposta all’impulso H(s) del circuito stesso. Siccome, come abbiamo visto, vale la relazione: Ys Hs · Fs Possiamo dire anche che la funzione di trasferimento è il rapporto tra la trasformata di Laplace Y(s) del segnale d’uscita e la trasformata di Laplace F(s) del segnale d’ingresso del circuito che si sta analizzando: Ys Hs Fs La funzione di trasferimento viene indicata in breve con l’acronimo FdT. Osserviamo inoltre che, nel proseguimento, utilizzeremo spesso la lettera T per indicare tale funzione. Nomenclatura Una funzione di trasferimento può sempre essere scritta nella forma seguente: a · s R a7 · s 7 R É R a Ts b+ · s + R b+7 · s +7 R É R b In ogni circuito reale si deve avere m Ê n. Possiamo a questo punto dare le seguenti definizioni: Zeri del circuito Chiamiamo zeri tutti quei valori della variabile complessa s che annullano il numeratore della funzione di trasferimento, ovvero, tutte le radici del polinomio: a · s R a7 · s 7 R É R a Poli del circuito Chiamiamo poli tutti quei valori della variabile complessa s che annullano il denominatore della funzione di trasferimento, ovvero, tutte le radici del polinomio: b+ · s + R b+7 · s +7 R É R b Proviamo ora a considerare il caso in cui si abbia α 0. Tale situazione corrisponde di fatto a considerare un segnale in ingressi di tipo sinusoidale alla pulsazione ω. Se quindi studiamo la funzione di trasferimento ponendo α 0, ovvero: Tjω Stiamo di fatto considerando il comportamento del circuito in risposta ad una forzante di tipo sinusoidale. Di fatto, studiare la risposta in frequenza di un circuito significa studiare il circuito quando viene sottoposto ad una tensione sinusoidale in ingresso. Siccome poi l’uscita VO s è data dal prodotto tra l’ingresso VIN s e la funzione di trasferimento Ts, per le proprietà dei numeri complessi abbiamo: 1. Per quanto riguarda il modulo: |VO jω| |VIN jω · Tjω| |VIN jω| · |Tjω| Ciò significa che il segnale d’uscita è amplificato o attenuato rispetto al segnale d’ingresso di un certo fattore |Tjω|. 2. Per quanto riguarda la fase: Ë»VO jω¼ Ë»VIN jω · Tjω¼ Ë»VIN jω¼ R Ë»Tjω¼ Ciò significa che il segnale d’uscita è sfasato rispetto al segnale d’ingresso di un certo termine Ë»Tjω¼. Sfasamento e ampiezza del segnale d’uscita pag. 67 Fondamenti di Elettronica Appunti 3. Analisi di un circuito nel dominio delle frequenze Introduzione Se si vuole analizzare un circuito nel dominio delle frequenze al fine di calcolarne la funzione di trasferimento, è possibile procedere in maniera molto semplice. Possiamo infatti sostituire a tutti i resistori, i condensatori e gli induttori le relative impedenze e a questo punto possiamo analizzare il circuito come se si trattasse di un circuito nel dominio del tempo in regime stazionario. Impedenze Definizione di impedenza L’impedenza è una grandezza fisica vettoriale che rappresenta la “forza di opposizione” di un bipolo al passaggio di corrente quando ci si trova in regime sinusoidale. Essa viene solitamente rappresentata attraverso un numero complesso ed è data dal rapporto tra il fasore della tensione ed il fasore della corrente ai capi del bipolo stesso. Osserviamo perciò che l’unità di misura dell’impedenza è l’Ohm [Ω] e che tale grandezza generalizza la legge di Ohm, estendendola ai circuiti funzionanti in regime sinusoidale. Calcolo dell’impedenza di un resistore L’impedenza di un resistore avente resistenza R è uguale alla resistenza stessa: ZR R Possiamo rappresentare il passaggio dal dominio del tempo a quello delle frequenze come segue: Siccome sappiamo di poter applicare la legge di Ohm nel dominio del tempo, abbiamo: vR t R · iR t E quindi la trasformata di Laplace della tensione vR t è, per la linearità di tale operatore: VR s º»vR t¼ º»R · iR t¼ R · º»iR t¼ R · IR s E perciò l’impedenza, essendo il rapporto tra VR s e IR s, è data da: VR s R · IR s R ZR IR s IR s Calcolo dell’impedenza di un condensatore L’impedenza di un condensatore avente capacità C è data da: 1 ZC sC Possiamo rappresentare il passaggio dal dominio del tempo a quello delle frequenze come segue: dvC t dt E quindi la trasformata di Laplace della corrente iC t è, per la proprietà di derivazione e per la linearità della trasformata: dvC t IC s º»iC t¼ º ÆC · Ç C · s · º»vC t¼ sC · VC s dt E perciò l’impedenza, essendo il rapporto tra VC s e IC s, è data da: VC s VC s 1 ZC IC s sC · VC s sC Per la relazione costitutiva del condensatore abbiamo: iC t C · pag. 68 Fondamenti di Elettronica Appunti Calcolo dell’impedenza di un induttore L’impedenza di un induttore avente induttanza L è data da: ZL sL Possiamo rappresentare il passaggio dal dominio del tempo a quello delle frequenze come segue: diL t dt E quindi la trasformata di Laplace della tensione vL è, per la proprietà di derivazione e per la linearità della trasformata: diL t VL s º»vL t¼ º ÆL · Ç L · s · º»iL t¼ sL · IL s dt E perciò l’impedenza, essendo il rapporto tra VL s e IL s, è data da: VL s sL · IL s ZC sL IL s IL s Per la relazione costitutiva dell’induttore abbiamo: vL t L · Metodo risolutivo Una volta sostituite le relative impedenze a tutti i condensatori, induttori e resistori presenti nel circuito, è sufficiente risolvere il circuito lasciando incognito il fasore della tensione d’ingresso. Si otterrà così, tramite l’applicazione dei metodi noti (partitori di tensione e corrente, legge di Ohm generalizzata, …) un’espressione della tensione d’uscita in funzione di quella di ingressi. Naturalmente, per il calcolo della funzione di trasferimento è sufficiente eseguire il rapporto tra la tensione d’uscita e la tensione d’ingresso (o, più in generale, il segnale d’uscita e il segnale d’ingresso). Si osserva quindi che l’unica vera difficoltà aggiuntiva, a parte il calcolo delle impedenze, è quella di effettuare i calcoli letterali. 4. Diagrammi di Bode Definizione Un diagramma di Bode è una rappresentazione grafica della riposta in frequenza di un circuito (o, in generale, di un sistema lineare) e consiste in due diagrammi che rappresentano rispettivamente l’ampiezza (o modulo) e la fase della funzione di trasferimento valutata per s jω. Diagramma di Bode del modulo Definizione Il diagramma di Bode del modulo è un grafico che rappresenta come varia il modulo di Tjω in funzione della pulsazione ω. In alcuni casi tale grafico non viene rappresentato in funzione della pulsazione, ma in funzione della frequenza. La differenza tra i due grafici è però in realtà minima: basta infatti ricordare la relazione: ω 2π · f Scala logaritmica I diagrammi di Bode del modulo non rappresentano semplicemente sull’asse delle ascisse i valori di ω e su quello delle ordinate i valori di |Tjω|, ma utilizzano la scala logaritmica. Per tale ragione, sull’asse delle ascisse vengono rappresentati i logaritmi in base 10 della pulsazione e su quello delle ordinate viene rappresentato |Tjω| espresso in decibel (dB). In particolare, il passaggio ai decibel avviene applicando la formula seguente: |Tjω|B 20 · log |Tjω| Si osserva che se si desidera passare dal valore in decibel a quello in scala naturale è sufficiente applicare la formula inversa: |TÍÎ|ÏB . |Tjω| 10 pag. 69 Fondamenti di Elettronica Appunti Come tracciare i diagrammi di Bode del modulo Per tracciare i diagrammi di Bode asintotici del modulo di una funzione di trasferimento possiamo seguire il procedimento seguente: 1. Calcoliamo tutti gli zeri ed i poli. Per farlo possiamo considerare: 1 R s · T · … · 1 R s · T Ts µ · 1 R s · τ · … · 1 R s · τ+ E avremo: 1 1 z= p= T= τ= E quindi le frequenze alle quali si trovano zeri e poli sono: 1 1 f f5 2π · T= 2π · τ= 2. Indichiamo sull’asse delle ascisse tutti gli zeri con un puntino (o) e tutti i poli con una croce (x). 3. Calcoliamo |T0|B e |TR∞|B . 4. A questo punto, se |T0|B è un numero finito, allora possiamo affermare che il diagramma inizia da sinistra con una retta orizzontale, e che avrà tale andamento fino al primo zero o polo che si incontra percorrendo verso destra l’asse delle ascisse. Se ciò non accade, significa che abbiamo uno o più zeri o poli nell’origine: - Se abbiamo un certo numero k di zeri nell’origine, allora il grafico partirà con un’inclinazione pari a Rk · 20 dB/dec. - Se invece abbiamo un certo numero h di poli nell’origine, allora il grafico partirà con un’inclinazione pari a h · 20 dB/dec. 5. Ad ogni polo che si incontra la pendenza del grafico aumenta di +20 dB/dec, mentre ogni zero influisce con una pendenza di -20 dB/dec. In questo modo sarà possibile tracciare l’andamento qualitativo del grafico. 6. Rimane ora da quotare il grafico. Se almeno uno tra |T0|B e |TR∞|B è finito, allora possiamo semplicemente procedere con le formule che riporteremo a breve. In caso contrario, possiamo ad esempio pensare di calcolare analiticamente il valore del modulo di Tjω per un certo valore arbitrario di ω (ad esempio, ω 1) e procedere applicando le formule riportate al punto seguente. 7. Se vogliamo quotare il diagramma di Bode calcolando il valore del modulo ad una certa pulsazione ωA e conosciamo il valore di |TjωB |B , dove i punti di ascissa ωA e ωB risultano appartenenti ad una stessa retta sul diagramma di Bode asintotico del modulo, possiamo applicare la formula: ωA |TjωA |B |TjωB|B R k · log ωB Dove k è l’inclinazione in dB/dec della retta a cui appartengono i punti in analisi. Si osserva che tale formula può essere applicata considerando le frequenze anziché le pulsazioni: fA |Tj fA |B |Tj fB|B R k · log fB In maniera analoga, se vogliamo calcolare a quale pulsazione il modulo di Tjω assume un particolare valore TAÏB , sotto le stesse ipotesi precedentemente descritte, possiamo applicare la formula inversa: TA 7TB TA 7TB . . ωA ωB · 10 fA fB · 10 Si osserva che tali formule in alcuni casi si rivelano in realtà superflue, perché possiamo ottenere gli stessi risultati con considerazioni più semplici ed intuitive. Ad esempio, se conosciamo il valore del modulo di Tjω ² e vogliamo calcolarlo per un valore pari a 10 · ω ² sapendo che il grafico scende con inclinazione di -20 db/dec, è ovvio che il modulo sarà pari a: Tj · 10 · ω ² Tjω ² 20 dB ÏB ÏB pag. 70 ÏB ÏB Fondamenti di Elettronica Appunti 8. Risulta spesso utile calcolare il valore al quale si ha |Tjω|B 0 dB. Per farlo possiamo applicare le precedenti formule, oppure possiamo considerare l’espressione analitica della funzione di trasferimento scritta nella forma: 1 R jω · T · … · 1 R jω · T Tjω µ · 1 R jω · τ · … · 1 R jω · τ+ Nella quale risulta utile approssimare i fattori nel seguente modo: a. A tutti i fattori 1 R jω · T= oppure 1 R jω · τ= ai quali è associato uno zero o un polo a pulsazione inferiore rispetto a quella considerata sostituiamo il termine jω · T= oppure jω · τ= . b. A tutti i fattori 1 R jω · T= oppure 1 R jω · τ= ai quali è associato uno zero o un polo a pulsazione superiore rispetto a quella considerata sostituiamo il termine 1. In questo modo siamo in grado di calcolare con buona approssimazione e in breve tempo il valore al quale |Tjω|B 0 dB. Diagramma di Bode della fase Definizione Il diagramma di Bode della fase è un grafico che rappresenta come varia la fase di Tjω in funzione della pulsazione ω. Anche in questo caso si preferisce spesso rappresentare sull’asse delle ascisse le frequenze anziché le pulsazioni, ma l’unica differenza è data da una “dilatazione” di scala. Scala logaritmica Così come i diagrammi di Bode del modulo, anche quelli della fase utilizzano una scala logaritmica per quanto riguarda l’asse delle ascisse; l’asse delle ordinate però riporta la fase in scala naturale, esprimendola in gradi oppure in radianti, a seconda dei casi. Come tracciare i diagrammi di Bode del modulo Per tracciare i diagrammi di Bode asintotici della fase di una funzione di trasferimento possiamo seguire il procedimento seguente: 1. Calcoliamo tutti gli zeri ed i poli, in maniera analoga a quanto visto per il diagramma di Bode del modulo, e indichiamoli sull’asse delle ascisse contraddistinguendoli con i simboli “o” e “x”. 2. Per determinare il valore della fase a frequenza nulla, dobbiamo considerare il numero di zeri e poli nell’origine e il segno del guadagno µ. 1 R s · T · … · 1 R s · T Ts µ · 1 R s · τ · … · 1 R s · τ+ Più nel dettaglio, la fase a frequenza nulla è data dal contributo dei termini seguenti: - Ogni zero nell’origine contribuisce con uno sfasamento di +90°. - Ogni polo nell’origine contribuisce con uno sfasamento di –90°. - Se µ 0, allora dobbiamo considerare un termine di sfasamento pari a –180°. - Se µ 0, allora non abbiamo ulteriori termini di sfasamento. 3. Occorre poi ricordare che i poli e gli zeri influenzano il diagramma solamente per un intervallo di frequenze (o pulsazioni) che parte da una decade prima rispetto alla frequenza (o pulsazione) del polo stesso e finisce una decade dopo rispetto alla frequenza (o pulsazione) del polo. In particolare, il contributo è di una pendenza così calcolabile: - Ogni zero fornisce un contributo di pendenza +45°/dec. - Ogni polo fornisce un contribuisce di pendenza –45°/dec. 4. Per calcolare la fase in un certo punto, possiamo applicare la formula seguente, che è l’analoga rispetto a quella vista per il modulo: ωA Ë»TjωA ¼ Ë»TjωB ¼ R k · log ωB Dove k è la pendenza della retta che unisce i due punti di ascissa ωA ed ωB . pag. 71 Fondamenti di Elettronica Appunti 5. Metodo delle costanti di tempo Introduzione Vogliamo ora introdurre un metodo alternativo per passare da un circuito al relativo diagramma di Bode senza passare attraverso il calcolo dell’espressione analitica della funzione di trasferimento. Il procedimento che vedremo si potrà però applicare solo ad una certa classe di circuiti elettrici, ovvero ai circuiti costituiti da condensatori indipendenti e non interagenti. Condensatori indipendenti Due condensatori si dicono dipendenti se sono connessi tra loro in serie o in parallelo, oppure i formano una maglia chiusa (formata solo da condensatori e al più generatori di tensione). In caso contrario, i condensatori si dicono indipendenti. Nella seguente figura sono mostrati a sinistra due condensatori indipendenti, e sulla destra due condensatori dipendenti. Un esempio più significativo di condensatori indipendenti è il seguente: Condensatori interagenti Due condensatori si dicono interagenti se le tensioni e le correnti di uno influenzano quelle dell’altro, e perciò le relative dinamiche interagiscono tra loro. In caso contrario diciamo che i condensatori in analisi sono non interagenti. Ad esempio, i due condensatori del primo esempio riportato nel paragrafo precedente sono non interagenti, mentre quelli riportati nel terzo esempio, pur essendo ancora indipendenti, sono interagenti tra loro. Numero di poli all’interno di un circuito Sappiamo che il numero di poli all’interno di un circuito deve rispettare alcuni vincoli. Infatti, sappiamo che esso non può essere superiore al numero di componenti reattivi presenti nel circuito (condensatori ed induttori). Più nel dettaglio, se non consideriamo gli induttori (che di fatto non verranno utilizzati nei circuiti di seguito analizzati) possiamo enunciare la seguente regola: numero di poli = numero di condensatori indipendenti pag. 72 Fondamenti di Elettronica Appunti Come ricavare il diagramma di Bode nel caso di circuiti con un solo condensatore Consideriamo adesso il caso particolare in cui il circuito in analisi possieda un solo condensatore. Tale situazione è particolarmente semplice e non richiede di preoccuparsi dell’indipendenza e/o interazione dei condensatori del circuito. Calcolo della pulsazione del polo In questo caso, per la regola precedentemente enunciata, avremo certamente un solo polo, la cui pulsazione è data da: 1 ωP R*J · C Dove C è la capacità del condensatore e R *J è la resistenza equivalente vista dal condensatore, che può essere calcolata attraverso i metodi noti dall’Elettrotecnica. Analisi a bassa frequenza Possiamo a questo punto studiare il comportamento del circuito a bassa frequenza, ovvero per sa0 In tal caso, naturalmente: 1 ZC a R∞ sC E quindi la corrente che attraversa i condensatori è nulla. In altri termini, essi possono essere considerati dei circuiti aperti. Possiamo perciò valutare la grandezza d’uscita dopo aver sostituito un c.a. al condensatore presente nel circuito e, calcolando il rapporto con la grandezza d’ingresso, otteniamo il valore della funzione di trasferimento a frequenza nulla. Analisi ad alta frequenza Studiare il comportamento del circuito ad alta frequenza significa porre: s a R∞ In tal caso, naturalmente: 1 ZC a0 sC E quindi la tensione ai capi del condensatore è nulla: in altri termini, possiamo sostituire un cortocircuito al condensatore presente nel nostro circuito. Valutando poi il valore della grandezza d’uscita e calcolando il rapporto con il valore della grandezza d’ingresso otteniamo il valore della funzione di trasferimento a frequenza infinita. Calcolo della frequenza dello zero Rimane ora da calcolare il valore della frequenza dello zero. Per farlo è sufficiente considerare che la funzione di trasferimento del nostro circuito sarà necessariamente del tipo: 1 R sτ Ts T0 1 R sτ5 Oppure (solo se abbiamo trovato TR∞ 0) del tipo: 1 Ts T0 1 R sτ5 In quest’ultimo caso il circuito non ha uno zero, e perciò non occorre fare altro. Nel primo caso invece possiamo considera che, come è ovvio, vale la relazione: 1 R sτ τ TR∞ lim Ts lim ÆT0 Ç T0 Aan¾ Aan¾ 1 R sτ5 τ5 E quindi: TR∞ τ τ T0 5 A questo punto possiamo calcolare la pulsazione dello zero semplicemente applicando la formula: 1 ω τ Una volta note queste caratteristiche possiamo con semplicità tracciare i diagrammi di Bode. Un metodo alternativo è quello di considerare che per definizione quando Ts 0 e perciò, alla pulsazione ω la tensione d’uscita è certamente nulla. Di conseguenza, possiamo risolvere il circuito imponendo VOUT s 0 e ricavare così il valore dello zero. pag. 73 Fondamenti di Elettronica Appunti Capitolo 7: Amplificatore a Mosfet 1. Il Mosfet come amplificatore Introduzione Vogliamo ora introdurre una categoria di circuiti che, dato un segnale di tensione in ingressi, siano ingresso di restituire in uscita un segnale amplificato, ovvero di ampiezza maggiore (e, naturalmente, proporzionale al segnale di ingresso). Abbiamo perciò bisogno di un elemento che sia in grado di amplificare la tensione, e che possiamo semplicemente indicare con un triangolo a cui è associato il parametro “G” (detto guadagno) che rappresenta il fattore di proporzionalità tra l’ingresso e l’uscita del circuito. Semplice utilizzo del Mosfet come amplificatore: common source Primo esempio di amplificatore a Mosfet Già nei capitoli precedenti abbiamo visto che il Mosfet può essere utilizzato come amplificatore, purché esso stia operando in zona di saturazione. Possiamo quindi pensare di ottenere un amplificatore semplicemente adottando il seguente schema: Tuttavia tale schema comporta un problema: non possiamo essere certi che il Mosfet operi in zona saturazione, perché questo dipende molto dai valori della tensione di ingresso. Ad esempio, per valori molto piccoli della tensione di ingresso il Mosfet sarà spento. Dunque il circuito sopra riportato non può essere efficacemente utilizzato per il nostro scopo. Polarizzazione Un modo che abbiamo per migliorare il circuito precedente è quello di inserire dei generatori di polarizzazione, ovvero generatori di tensione o corrente continua che consentano al Mosfet di restare in zona di saturazione (naturalmente sotto opportune condizioni riguardanti la tensione d’ingresso). Nel nostro caso possiamo pensare di mantenere acceso il Mosfet inserendo un generatore di tensione di polarizzazione in serie al generatore vIN t, come mostrato in figura: pag. 74 Fondamenti di Elettronica Appunti Dimensionamento della tensione di polarizzazione La tensione di polarizzazione deve assumere un valore tale che consenta al circuito di rispettare 3 requisiti fondamentali: 1. Il Mosfet deve essere acceso. 2. Il Mosfet deve essere in zona di saturazione. 3. La tensione d’uscita deve essere libera di muoversi, ovvero deve poter variare in un opportuno intervallo di valori. Proviamo ad esempio a porre, nel circuito che stiamo analizzando: VPOL 2 V Supponendo di avere i dati seguenti: mA VT 1 V R L 400 Ω k6 . V Dobbiamo ora verificare che tali condizioni siano verificate quando poniamo v=+ t 0 V Possiamo quindi procedere nel modo seguente: 1. Sappiamo che il Mosfet è acceso finché VGS VT . Nel circuito analizzato questa condizione è equivalente a: VPOL R v=+ t VT Quindi il Mosfet è acceso per: v=+ t VT VPOL E di conseguenza, se il segnale d’ingresso è non negativo tale condizione è certamente verificata. 2. Sappiamo che il Mosfet è in zona di saturazione quando finché VGD VT . Si ricorda che stiamo considerando: v=+ t 0 V Se ipotizziamo di essere in zona satura, allora abbiamo: IDB k · VGS VT . k · VPOL VT . 6 mA Per la LKV, abbiamo: VGD VPOL R VR 5 V VPOL R R · IDB 5 V 0,6 V Abbiamo ottenuto perciò VGD VT , quindi il Mosfet è effettivamente in zona di saturazione. 3. Il Mosfet è in zona di saturazione fino a quando: VGD VT Ovvero: VPOL v t VT E quindi dobbiamo avere: v t VPOL VT Transconduttanza Prima di proseguire con la nostra analisi è opportuno introdurre il concetto di transconduttanza. Quando il Mosfet viene fatto funzionare in zona di saturazione, esso si comporta come un generatore di corrente comandato in tensione, perché è in grado di controllare la corrente ID in funzione di VGS secondo la relazione nota: ID k · VGS VT . Si introduce allora un fattore di qualità del dispositivo, che rappresenta la derivata di ID rispetto a VGS : ∂ID g 2k · VGS VT . 2 · ×k · ID ∂VGS La transconduttanza quindi indica di quanto varia ID quando si ha una variazione infinitesima di VGS . L’unità di misura della transconduttanza è il Siemens [S]. Nel circuito che stiamo analizzando, ad esempio, abbiamo: g 2k · VPOL VT . 12 mS pag. 75 Fondamenti di Elettronica Appunti Circuito di comodo L’analisi appena fatta ha trascurato i contributi della tensione d’ingresso. Supponiamo ora di avere una certa v=+ t Ø 0 V. In tal caso, la corrente sul Mosfet sarà così calcolabile: iD t k · VGS VT . k · VPOL R v=+ t VT . k · »VPOL VT R v=+ t¼. Perciò, sviluppando il quadrato, otteniamo: iD t k · VPOL VT . R k · »v=+ t¼. R 2k · VPOL VT · v=+ t E possiamo scrivere tale espressione nel modo seguente: iD t IDB R iDÙ t Dove IDB è la corrente precedentemente calcolata a tensione d’ingresso nulla e iDÙ t è data da: iDÙ t k · »v=+ t¼. R 2k · VPOL VT · v=+ t Siccome poi abbiamo: vO t vR t 5 V R L · iD t R 5 V R L · IDB R L · iDÙ t R 5 V Possiamo scrivere: vO t VOB R vOÙ t Dove VOB è la tensione d’uscita calcolata a segnale d’ingresso nullo: VOB 5 V R L · IDB 2,6 V Mentre vOÙ t R L · iDÙ t è il contributo dovuto alla presenza del segnale. Per calcolare tale contributo possiamo usare un circuito, detto circuito di comodo, che viene ottenuto a partire dal circuito in analisi, spegnendo tutti i generatori di tensioni o correnti di polarizzazione e di alimentazione. Nel caso che stiamo analizzando otteniamo perciò il seguente circuito di comodo: Si mette in evidenza che il circuito di comodo non è un circuito reale, e perciò occorre analizzarlo considerando che il Mosfet è in zona di saturazione per qualsiasi tensione d’ingresso (naturalmente ciò non sarebbe vero se stessimo analizzando singolarmente tale circuito). Abbiamo precedentemente ricavato che: iDÙ t k · »v=+ t¼. R 2k · VPOL VT · v=+ t Quindi possiamo anche scrivere: iDÙ t g · v=+ t R k · »v=+ t¼. Consideriamo ora la condizione di piccolo segnale, ovvero: v=+ t ¹ 2VPOL VT Che possiamo facilmente ottenere imponendo: g · v=+ t ¹ k · »v=+ t¼. In tal modo possiamo considerare: iDÙ t $ g · v=+ t Di conseguenza: vOÙ t R L · iDÙ t R L · g · v=+ t E quindi possiamo definire nel seguente modo il guadagno del circuito: vO t G Ù RL · g 4,8 v=+ t I grafici a lato riportano l’andamento dell’uscita supponendo che la v=+ t sia sinusoidale con v=+MAX 5 mV. pag. 76 Fondamenti di Elettronica Appunti Problemi nel funzionamento del circuito Tuttavia nella realtà l’uscita non è quella riportata nel grafico precedente. Osserviamo infatti che la condizioni che avevamo precedentemente posto perché il Mosfet resti in zona di saturazione non viene rispettata. Possiamo verificarlo considerando che il Mosfet è in zona satura fino a quando: vGD t VT Ovvero, per la LKV: VPOL R vIN t v t VT Siccome abbiamo ricavato che: v t 2,6 V R G · vIN t Possiamo sostituire tale relazione nella precedente disequazione, ottenendo: VPOL R vIN t · 1 G 2,6 V VT Ovvero: VT R 2,6 V VPOL $ 276 mA vIN t 1G Quando la tensione d’ingresso supera tale valore, il comportamento si discosta da quello precedentemente descritto. Inoltre dobbiamo considerare che la tensione d’uscita non può superare i 5 V di alimentazione. Nel caso in analisi ciò non accade. Tuttavia, per diverse tensioni d’ingresso potremmo avere questo tipo di problema. Per valutare quando ciò accade, supponiamo di avere la massima tensione d’uscita: vO t 5 V In tale situazione la tensione ai capi della resistenza è nulla e quindi, per la legge di Ohm: iD t 0 A Ciò significa che il Mosfet è spento, ovvero: vGS t VT Per la LKV abbiamo dunque: vIN t R VPOL VT Perciò possiamo affermare che tale problema si verifica quando: vIN t VT VPOL 1 V Di conseguenza le sinusoidi che otteniamo in uscita sono del tipo: Variazione del guadagno Abbiamo ricavato che il guadagno del circuito in analisi è: G R L · g 2 · R L · ×k · ID Se volessimo aumentare il guadagno potremmo pensare di agire in modi diversi: 1. Una possibilità è quella di aumentare la corrente ID , ma in questo modo aumenterebbe anche la potenza dissipata. 2. La seconda possibilità è quella di aumentare la resistenza di carico, ma in questo modo aumenta la caduta di tensione sul diodo, perciò è più probabile che il Mosfet entri in zona ohmica. Potremmo pensare di risolvere questo problema aumentando anche la tensione di alimentazione, ma spesso questo non è possibile per ragioni pratiche. Si utilizzano perciò dei circuiti diversi e più complessi, come quelli che vedremo a breve. pag. 77 Fondamenti di Elettronica Appunti 2. Configurazione source comune con capacità in ingresso Schema elettrico Vogliamo ora analizzare un diverso circuito da utilizzare come amplificatore, che sia ottimizzato rispetto al circuito che abbiamo appena analizzato. Lo schema elettrico di tale circuito è il seguente: Nell’analisi successiva supporremo di avere i seguenti dati numerici: mA VT 1 V R L 400 Ω R 30 kΩ k6 . V R . 20 kΩ CAC 100 nF Analisi del circuito Possiamo analizzare il circuito nel modo seguente, sulla falsa riga di quanto fatto per il precedente: Consideriamo il circuito con tensione d’ingresso nulla In tale situazione tutte le forzanti sono costanti, perciò a regime il condensatore potrà essere sostituito da un circuito aperto, e otterremo il circuito seguente: Siccome la corrente che entra nel Mosfet attraverso il gate è sempre nulla, possiamo considerare le resistenze R ed R. come se fossero in serie e quindi, applicando il partitore di tensione, otteniamo: R. VGS ·5V 2V R R R . Siccome abbiamo ottenuto VGS VT , il Mosfet è acceso. Possiamo ora calcolare VGD . Per farlo, supponiamo che il Mosfet sia in zona di saturazione. Sotto tale ipotesi, avremo: IDB k · VGS VT . 6 mA Di conseguenza, applicando prima la LKV e poi la legge di Ohm e il partitore di tensione, otterremo: R VGD VRL 5 V VR¢ R 5 V IDB · R L · 5 V 0,6 V R R R . Siccome abbiamo ottenuto VGD VT , allora siamo effettivamente in zona di saturazione. Possiamo inoltre calcolare la tensione d’uscita ad ingresso nullo, applicando ancora la LKV: VOB VRµ VGD 2,6 V pag. 78 Fondamenti di Elettronica Appunti Analizziamo il circuito di comodo Il circuito di comodo che dobbiamo analizzare è in questo caso il seguente: Siccome è presente un condensatore nel nostro circuito, la tensione d’uscita dipenderà anche dalla frequenza della tensione d’ingresso. Possiamo perciò rappresentare il guadagno G del nostro circuito mediante il suo diagramma di Bode del modulo. Inoltre, dato che abbiamo un solo condensatore, possiamo applicare il metodo delle costanti di tempo. 1. Valutiamo la frequenza del polo del condensatore Possiamo osservare che le due resistenze R ed R . sono in parallelo. Ricordando poi che la corrente sul gate è sempre nulla, possiamo dedurre che tutta la parte a destra del parallelo tra R ed R . non influenza la dinamica del condensatore, e quindi abbiamo: τ R *J · CAC R //R. · CAC Quindi la frequenza del polo dovuto al condensatore CAC è: 1 1 fP $ 132 Hz 2π · τ 2π · R //R . · CAC 2. Calcoliamo il guadagno a frequenza nulla Se siamo a frequenza nulla, il nostro condensatore si comporta come circuito aperto. Di conseguenza, il contributo dovuto alla presenza del segnale sarà nullo e quindi avremo: |G0| 0 L’espressione del nostro guadagno avrà perciò uno zero nell’origine. 3. Calcoliamo il guadagno a frequenza infinita A frequenza infinita invece il condensatore si comporterà come un cortocircuito, perciò la tensione tra gate e source sarà esattamente pari alla tensione d’ingresso e quindi: vOÙ iDl t · R L Ma, se vale la condizione di piccolo segnale, abbiamo: iDl t $ g · vIN t E quindi: |GR∞| |g · RL | ¡2Úk · IDB · R L ¡ 4,8 Otteniamo perciò il seguente diagramma di Bode: Variazioni del guadagno Osserviamo però che questo circuito ha un difetto: il guadagno infatti è molto fortemente influenzato da alcuni parametri tipici del Mosfet, come la tensione di soglia VT . G g · RL 2k · VGS VT · R L Il valore di VT però è difficile da valutare con previsione e può variare da un singolo componente all’altro in maniera anche molto significativa (con differenze che spesso vanno ben oltre il 10% del valore). Se consideriamo poi che la tensione di soglia varia anche in funzione della temperatura, ricaviamo molto facilmente che il nostro circuito è piuttosto instabile, e questo è il suo principale difetto. pag. 79 Fondamenti di Elettronica Appunti 3. Common source con resistenza di degenerazione Schema elettrico Riprendiamo ora il nostro amplificatore common source senza capacità in ingresso e supponiamo di utilizzare una resistenza, che prenderà il nome di resistenza di degenerazione, collegata al source del Mosfet. Tale situazione corrisponde a considerare il seguente schema elettrico: Nell’analisi successiva supporremo di avere i seguenti dati numerici: mA VT 1 V R L 400 Ω RS 100 Ω k6 . V Osserviamo che nell’analisi successiva considereremo quasi sempre solo l’uscita v , mentre ci limiteremo ad indicare il guadagno che si ha considerando come uscita vµ t. Analisi del circuito Anche in questo caso l’analisi del circuito avviene in due fasi distinte: 1. Consideriamo la polarizzazione del circuito (tensione d’ingresso nulla) In questo caso però, anziché considerare nota la tensione di polarizzazione e calcolare la tensione tra gate e source, vogliamo risolvere il problema inverso: calcoliamo cioè la tensione di polarizzazione in modo che la tensione tra gate e source abbia lo stesso valore che aveva quando abbiamo analizzato questa configurazione senza resistenza di degenerazione. Tale valore (con i dati che avevamo fornito) era di 2 V. Di conseguenza avremo: ID k · VGS VT . 6 mA Ricordando che la tensione d’ingresso è stata fissata a zero, scriveremo anche: VGS VPOL R S ID Da cui ricaviamo: VPOL VGS R R S ID 2,6 V 2. Analisi di piccolo segnale (circuito di comodo) Analizziamo ora il circuito di comodo, ovvero il comportamento del circuito nel caso in cui vi sia applicato un “piccolo segnale”. Sotto tale ipotesi, è valida quella che possiamo ricordare come relazione fondamentale di piccolo segnale: iD g · vGS Il circuito di comodo che dobbiamo analizzare è raffigurato nel circuito che abbiamo riportato a lato. Sappiamo che avremo, per la legge di Ohm applicata a R L : vO R L · iD R L · g · vGS Dove, per la LKV: vGS vIN R S · iD vIN R S · g · vGS Abbiamo così ottenuto una semplice equazione nell’incognita vGS e risolvendola otteniamo: vIN vGS 1 R RS · g E quindi: RL · g vO ·v 1 R R S · g IN Possiamo dunque concludere che il guadagno del nostro circuito è: RL · g G $ 4,2 1 R RS · g Inoltre: g · RS g · RS vOµ iD · R S v a G. 1 R RS · g IN 1 R RS · g pag. 80 Fondamenti di Elettronica Appunti Confronto tra common source con e senza resistenza di degenerazione Osserviamo sin da subito che il guadagno ottenuto è, in modulo, inferiore rispetto a quello che avevamo ottenuto senza resistenza di degenerazione. Tuttavia la configurazione con resistenza di degenerazione presenta diversi vantaggi, che possiamo così elencare: 1. Indipendenza del guadagno dai parametri del Mosfet Osserviamo che se vale la relazione: 1 RS Û g Ovvero, se g è molto grande, allora il guadagno tende ad essere indipendente da g , perché vale: RL G$ RS Naturalmente, questo è un grandissimo vantaggio, perché consente l’indipendenza del guadagno dai parametri costruttivi che, come abbiamo detto, sono difficilmente stimabile e facilmente variabili. 2. Maggiore precisione della polarizzazione Anche nel caso in cui la precedente condizione non sia verificata, la polarizzazione del circuito risulta essere più stabile rispetto al caso in cui non si utilizzi la resistenza di degenerazione. Ciò accade perché questo circuito è di fatto retroazionato: se diminuisce VT , la corrente ID aumenta, per la relazione: ID k · VGS VT . Ma se la corrente ID aumenta allora, per la legge di Ohm, aumenta anche la tensione ai capi di R S . Per la LKV però se aumenta la tensione ai capi di R S , allora diminuisce la tensione VGS . La diminuzione di VGS però, per la relazione precedentemente scritta, fa aumentare la corrente ID . Abbiamo perciò due effetti contrastanti, l’uno che fa aumentare la corrente ID e l’altro che la fa diminuire, perciò tali effetti tenderanno a bilanciarsi stabilizzando il circuito. 3. Maggiore linearità Questo circuito inoltre possiede maggiore linearità. Per valutare tale aspetto dobbiamo però prima introdurre il concetto di errore di linearità. L’errore di linearità è definito come il rapporto tra i termini non lineari che in vIN e i termini lineari che compaiono nell’espressione di iD : termini non lineari in vIN ε termini lineari in vIN Nel caso del circuito senza resistenza di degenerazione avevamo ottenuto: iDÙ t g · v9 t R k · Üv9 tÝ . k · v9 t k · v9 v9 k · Üv9 tÝ ε g · v9 t g 2k · VP VT 2VP VT Nel caso invece del circuito con resistenza di degenerazione abbiamo (anche se non lo dimostriamo): v=+ 1 ε · 2VP VT 1 R g · R S . che è un risultato decisamente inferiore. E quindi abbiamo: . pag. 81 Fondamenti di Elettronica Appunti Effetto del carico di uscita Vogliamo adesso analizzare come influisce un carico d’uscita sulle prestazioni del circuito in analisi. Se inseriamo il carico sull’uscita della configurazione, dobbiamo di fatto inserire la resistenza di carico, ma anche una capacità dovuta principalmente ai cavi di collegamento utilizzati. Otteniamo quindi: Consideriamo inoltre: R 20 kΩ R . 20 kΩ CAC 100 nF R L 400 Ω RS 100 Ω Gli effetti che abbiamo sono 2: 1. Se la resistenza di carico è troppo piccola, il Mosfet lavora in zona ohmica Consideriamo ad esempio i dati seguenti: R C 100 Ω CC 100 pF E proviamo a calcolare la polarizzazione, otterremo che, pur con i dati precedentemente utilizzati, la resistenza di carico impedirà al Mosfet di lavorare in zona satura (saremo invece in zona ohmica) e quindi l’amplificatore smette di funzionare. Tale problema non si presenta invece se consideriamo: R C 900 Ω 2. La banda di amplificazione risulta ridotta Proviamo ora a tracciare il diagramma di Bode del nostro circuito. Possiamo facilmente osservare che siamo nella situazione in cui si può applicare il metodo delle costanti di tempo. - Se la frequenza è nulla, allora tutti i condensatori sono dei circuiti aperti, perciò non applichiamo più al Mosfet il segnale d’ingresso e di conseguenza: |G0| 0 Ciò significa che abbiamo uno zero nell’origine. - Se la frequenza è infinita, allora i condensatori sono dei cortocircuiti, e di conseguenza la tensione d’uscita sarà certamente nulla, perché è esattamente pari alla tensione ai capi del condensatore di carico. Abbiamo perciò: |GR∞| 0 - La frequenza del polo dovuto alla presenza del condensatore CAC è: 1 fP¢ $ 157 Hz 2πR //R . CAC - La frequenza del polo dovuto alla presenza del condensatore CC è: 1 fPµ $ 5,8 MHz 2πR L //R C CC - Siccome il guadagno a frequenza infinita è nullo, significa che il numero di poli supera il numero di zeri. Siccome però abbiamo due poli e sappiamo che certamente esiste uno zero nell’origine, ciò significa che l’unico zero della funzione di trasferimento è proprio quello nell’origine. - Rimane ora da calcolare il guadagno a centro banda. Per farlo, possiamo considerare che abbiamo già passato il primo polo, ma non ancora il secondo. Quindi, possiamo sostituire a CAC un cortocircuito e a CC un circuito aperto, ottenendo: v t RC //R L · iD g iD g · v9 g · v=+ iD · R S a iD ·v 1 R g · R S =+ E perciò: v t g R C //RL GMF R C //R L · 1,5 1 v=+ t 1 R g · RS R R S g pag. 82 Fondamenti di Elettronica Appunti Da tutte le considerazioni appena viste segue che il diagramma di Bode del circuito in analisi è il seguente: Soluzione alternativa per risolvere i problemi dovuti al carico Al fine di aumentare la banda è possibile modificare il circuito, inserendo quello che prende il nome di “source follower” e che verrà descritto in maniera approfondita nel prossimo paragrafo. Il source follower è in sostanza un circuito che consente di disaccoppiare li stadio amplificante dal carico. Dunque è sufficiente inserire il source follower prima della resistenza di carico, come in figura: Tale circuito avrà comunque due poli, ma la banda passante sarà superiore. pag. 83 Fondamenti di Elettronica Appunti 4. Source follower Idea di base L’idea di base del source follower è di polarizzare il Mosfet fissandone la corrente anziché la tensione. Intuitivamente quindi dovremo aggiungere un generatore di corrente nel nostro circuito, come in figura: Osserviamo però che in tale circuito la tensione d’ingresso non influisce in alcun modo su quella d’uscita, perché la corrente che attraversa la resistenza è sempre IDD e quindi la tensione ai suoi capi è costante, pari a R L · IDD . Per la LKV, abbiamo quindi: vO t 5 V R L · IDD E quindi: G0 Dovremo dunque modificare questo circuito come vedremo nei seguenti paragrafi. Schema elettrico del source follower Lo schema elettrico del source follower è molto simile al circuito appena introdotto: Analisi del circuito L’analisi di questo circuito è molto semplice. La corrente erogata dal generatore deve essere infatti uguale alla corrente sul Mosfet, che possiamo ottenere considerando che il Mosfet è in zona di saturazione (perché ciò sia realmente vero è sufficiente scegliere IDD sufficientemente elevata). Perciò possiamo scrivere: IDD k · VGS VT . In tale equazione l’unica grandezza incognita è VGS , che possiamo così ricavare: VGS VT . IDD k a VGS VT ßà IDD k a VGS VT ß à Delle due soluzioni matematiche individuate dobbiamo considerare solo: VGS VT R à IDD k IDD k Perché se considerassimo l’altra soluzione, allora il Mosfet sarebbe spento (e quindi non in zona di saturazione, ma ciò non è possibile, perché allora la corrente dovrebbe essere nulla). Quindi possiamo applicare la LKV e scrivere: Otteniamo così: vO t vIN t VGS vIN t VT à G ∂vO 1 ∂vIN pag. 84 IDD k Fondamenti di Elettronica Appunti Utilizzo del source follower Il source follower dunque segue fedelmente la tensione d’ingresso (pur traslandone i valori di una certa costante, come indicato dall’espressione analitica appena ricavata). L’uscita però non risulta né amplificata, né attenuata. Nonostante questo, il source follower è un circuito molto importante in Elettronica. Supponiamo infatti di avere un sensore. Come abbiamo visto, il suo comportamento è modellizzabile attraverso un equivalente Thevenin, come mostrato in figura: Se colleghiamo al sensore un utilizzatore, che sappiamo essere modellizzabile attraverso un resistore, otteniamo lo schema seguente: Per il partitore di tensione, ai capi dell’attuatore avremo perciò: RL · v t vRL t RL R R9 9 E non l’intera tensione data dal sensore. Ciò che noi vogliamo è inserire un buffer di tensione, che faccia in modo che la tensione ai capi dell’attuatore sia esattamente pari a quella generata dal sensore: Affinché si abbia vRL t v9 t il nostro buffer di tensione deve avere le seguenti caratteristiche: 1. La resistenza d’ingresso deve essere infinita, in modo tale che la tensione v t sia effettivamente uguale alla tensione v9 t. 2. Il guadagno deve essere unitario, in modo tale che la tensione d’uscita sia effettivamente pari a quella di ingresso. 3. La resistenza d’uscita deve essere nulla, in modo tale che in uscita non si abbia partizione di tensione tra la R?A del buffer e la resistenza R L . Ora possiamo osservare che il source follower è un buon buffer di tensione, e perciò può essere utilizzato per questo scopo. Verifichiamo infatti che possiede le caratteristiche sopra elencate: 1. Come noto dall’Elettrotecnica, per valutare la resistenza d’ingresso dobbiamo calcolare la resistenza equivalente al circuito complementare rispetto al generatore di tensione d’ingresso. Dovremo quindi tagliare il circuito in tale punto, inserirvi un generatore di tensione di test VA e valutare la corrente IA che lo attraversa, facendo attenzione a spegnere tutti i generatori indipendenti. La resistenza d’ingresso sarà poi: VA R =+ IA Ma siccome la corrente nel gate è sempre nulla, otteniamo R =+ R∞. 2. In maniera analoga possiamo valutare la resistenza d’uscita. Il circuito da analizzare è quello riportato a lato. Siccome siamo in condizione di piccolo segnale, abbiamo: iD g · vGS g · VA Inoltre abbiamo: iA iD Quindi abbiamo: VA VA VA 1 R ?A IA iD g · VA g Ma tale valore è in genere di qualche decina di Ohm, e perciò trascurabile rispetto a R L . 3. Abbiamo già verificato che il guadagno del source follower è unitario. pag. 85 Fondamenti di Elettronica Appunti Inserimento del carico Analizziamo ora cosa accade se inseriamo una resistenza di carico al nostro source follower: Limitiamoci ad analizzare il circuito di comodo. Come mostrato in figura, possiamo rappresentare la resistenza d’uscita del nostro source follower: Otteniamo quindi, se siamo in condizione di piccolo segnale: 1 vGS iD · g Siccome abbiamo poi: v v=+ vGS E, per la legge di Ohm: v iD · R C Possiamo scrivere: Da cui ricaviamo: E quindi: iD · RC v=+ iD · iD v=+ RC R v iD · R C 1 g RC 1 g v 1 =+ g Ovvero: la tensione sulla resistenza di carico è una partizione della tensione di ingresso, dovuta alla serie tra la resistenza di carico stessa a la resistenza d’uscita del source follower. RC R pag. 86 Fondamenti di Elettronica Appunti Capitolo 8: Amplificatore Operazionale 1. Introduzione all’Amplificatore operazionale Definizione Gli amplificatori operazionali (sinteticamente indicati con OpAmp, oppure A.O.) sono circuiti integrati in grado di realizzare un guadagno di tensione molto elevato, dell’ordine del centinaio di decibel (dB). Il termine “operazionale” è legato al fatto che esso consente di eseguire in maniera molto semplice le più comuni operazioni matematiche (addizione, sottrazione, integrazione, derivazione, …). Internamente l’amplificatore operazionale è formato da diversi stadi, i quali a loro volta sono costituiti da un elevato numero di transistor opportunamente collegati tra loro. Simbolo circuitale Il simbolo dell’amplificatore operazionale è il seguente: Terminologia Gli ingressi e le uscite dell’operazionale assumono i seguenti nomi: Ingresso invertente Il terminale dell’A.O. indicato col segno “-“ è detto ingresso invertente oppure morsetto negativo. Nel disegno precedente diciamo che all’ingresso invertente abbiamo una tensione V . Ingresso non invertente Il terminale dell’A.O. indicato col segno “+“ è detto ingresso non invertente oppure morsetto positivo. Nel disegno precedente diciamo che all’ingresso non invertente abbiamo una tensione V5 . Tensioni di alimentazione Le tensioni RV9 e V9 sono dette “tensioni di alimentazione”. Esse vengono spesso omesse (cioè non vengono indicate), in modo tale da semplificare la rappresentazione grafica dell’amplificatore operazionale. Tuttavia esse sono concettualmente molto importanti, perché se non fossero presenti i transistor interni all’amplificatore non potrebbero funzionare. Segnale differenziale e segnale di modo comune All’amplificatore operazionale possono essere applicati due diversi tipi di segnale: Segnale differenziale Un segnale differenziale è una tensione V applicata tra il morsetto positivo e il morsetto negativo. Segnale di modo comune Un segnale di modo comune (common mode) è un segnale di tensione V contemporaneamente applicato tra il morsetto positivo e massa, e tra il morsetto negativo e massa. La figura seguente rappresenta sulla sinistra un OpAmp al quale è applicato un segnale differenziale, e a destra un OpAmp al quale viene fornito un segnale di modo comune. pag. 87 Fondamenti di Elettronica Appunti 2. Caratteristiche dell’amplificatore operazionale ideale Principali caratteristiche dell’OpAmp ideale Vediamo ora in rapida successione quali sono le caratteristiche dell’amplificatore operazionale ideale. Tuttavia è bene notare che, come avremo modo di approfondire in seguito, le caratteristiche dell’amplificatore operazionale reale si discostano da quelle dell’operazionale ideale. 1. Impedenze d’ingresso infinita Idealmente l’impedenza d’ingresso dell’amplificatore operazionale è infinita. Questa è una caratteristica molto vantaggiosa, perché implica che l’amplificatore operazionale non assorbe corrente e di conseguenza fa sì che la tensione d’ingresso sia esattamente la tensione che gli viene fornita. 2. Impedenze d’uscita nulla L’amplificatore operazionale ideale ha impedenza d’uscita nulla. Di conseguenza, non ci saranno cadute di tensione sull’uscita dell’amplificatore stesso e quindi quella che viene letta da un eventuale carico collegato all’uscita è esattamente la tensione emessa dell’A.O. 3. Guadagno elevato Il guadagno dell’amplificatore operazionale, che indichiamo con la lettera A, è molto elevato: diciamo perciò che idealmente il guadagno dell’OpAmp è infinito. 4. Guadagno costante in frequenza L’amplificatore operazione ideale possiede un guadagno indipendente dalla frequenza del segnale in ingresso. Questa caratteristica, naturalmente, è estremamente vantaggiosa. Essa può essere graficamente rappresentata nel modo seguente: 5. Relazione tra tensione d’ingresso e tensione d’uscita L’amplificatore operazionale ideale impone la seguente relazione tra le tensioni applicate ai suoi due ingressi e la tensione d’uscita: V?A A · V5 V Diciamo perciò che la tensione d’uscita è pari al segnale differenziale fornito all’operazionale, amplificato di un fattore A. Sappiamo però che la tensione d’uscita non può superare le tensioni di alimentazione, perciò la caratteristica d’ingresso-uscita dell’operazionale ideale può essere così rappresentata: Questa proprietà dell’operazionale ideale fa sì che un segnale di modo comune fornisca un’uscita nulla: se applichiamo all’A.O. solo un segnale di common mode V , la tensione d’uscita è idealmente pari a 0 V. pag. 88 Fondamenti di Elettronica Appunti 3. La teoria della retroazione Introduzione Analizziamo ora i concetti fondamentali della teoria della retroazione, riprendendo anche alcuni concetti relativi alla Teoria dei Sistemi (visti ad esempio nel corso di Fondamenti di Automatica). Tali concetti ci saranno utili nel proseguimento perché, come avremo modo di vedere, l’amplificatore operazionale viene prevalentemente utilizzato in retroazione. Definizione di retroazione Un sistema retroazionato è un sistema nel quale l’ingresso è collegato all’uscita, in modo tale che il sistema sia in grado di controllare in maniera autonoma il proprio comportamento. In altri termini: l’ingresso del sistema dipende anche dalla sua uscita. Come noto dalla Teoria dei Sistemi, un sistema retroazionato è rappresentabile tramite uno schema a blocchi, che lo rappresenta come aggregato di due sistemi lineari così combinati: Dove A e H sono le funzioni di trasferimento dei singoli sottosistemi che costituiscono l’aggregato. Funzione di trasferimento del sistema retroazionato Formula della funzione di trasferimento del sistema retroazionato La funzione di trasferimento del sistema retroazionato mostrato nella precedente figura è la seguente: A S?A S=+ 1RA·H Dimostrazione della formula della funzione di trasferimento del sistema retroazionato Possiamo semplicemente dimostrare questo risultato attraverso pochi passaggi. Con riferimento alla figura seguente: Possiamo facilmente scrivere le relazioni di seguito riportate: S?A A · ε ~ { ε S=+ H · S?A Sostituendo l’espressione di ε indicata dalla seconda delle due equazioni all’interno della prima, si ha: S?A A · S=+ H · S?A A questo punto, basta eseguire semplici passaggi algebrici e si arriva al risultato desiderato: 1 R A · H · S?A A · S=+ S?A A S=+ 1RA·H pag. 89 Fondamenti di Elettronica Appunti Definizione di guadagno ideale, guadagno d’anello e guadagno reale A questo punto possiamo introdurre alcune importantissime definizioni: Guadagno ideale Nel proseguimento chiameremo guadagno ideale G= il guadagno del circuito calcolato per A · H a ∞. Il guadagno ideale prende questo nome perché nel caso in cui si utilizzi un A.O. ideale, il suo guadagno è tendente all’infinito e perciò la condizione A · H a ∞ è rispettata. Per calcolare il guadagno ideale di un circuito con amplificatore operazione retroazionato dobbiamo perciò analizzare il circuito tramite le normali regole dell’Elettrotecnica, assumendo che il guadagno dell’operazionale sia infinito. Possiamo facilmente calcolare il limite di SáâG e ricavare che, se A · H a ∞, allora SáâG ~ A·H e quindi: S?A A A·H 1 G= lim lim lim A·Ha¾ S=+ A·Ha¾ 1 R A · H A·Ha¾ 1 R A · H · H H Osservazioni: 1. L’espressione ricavata per G= ci dice che se vogliamo un guadagno in modulo maggiore di uno è sufficiente scegliere |H| 1, ovvero utilizzare un blocco di retroazione passivo. 2. Quando A · H a ∞, ε a 0. Guadagno d’anello Il guadagno d’anello G¬5 è il guadagno del circuito calcolato “ad anello aperto”, ovvero aprendo l’anello di retroazione. La notazione “guadagno d’anello” è in realtà imprecisa, perché non specifica se si sta parlando del guadagno ad anello aperto o ad anello chiuso. Tuttavia, nel seguito continueremo ad utilizzare tale terminologia. Il guadagno d’anello è perciò così definito: G¬5 A · H Guadagno reale Il guadagno reale G*h¬* è il rapporto effettivo tra il segnale d’uscita e il segnale d’ingresso del sistema retroazionato. In altri termini, il guadagno reale è quello che potremmo più precisamente definire con il termine “guadagno ad anello chiuso”. L’espressione del guadagno reale è dunque quella precedentemente ricavata, ovvero: A G*h¬* 1RA·H S S A Formula alternativa per il calcolo del guadagno reale Sulla base delle definizioni appena date, possiamo concludere che il guadagno reale può essere calcolato anche in maniere diverse, ovvero tramite le formule seguenti: G¬5 A A H 1 · · G= · G= G*h¬* 1 1RA·H 1RA·H H 1 G¬5 1G ¬5 Osservazioni: 1. Si può facilmente notare da tale relazione che, tanto più è grande il guadagno d’anello, tanto più il guadagno reale si avvicina al guadagno ideale. 2. Possiamo inoltre introdurre una diversa scrittura per il calcolo del segnale d’uscita, che in seguito ci sarà molto utile: ã S?A ã A A S?A S=+ S?A S=+ S=+ S=+ 1RA·H 1 G¬5 1 G¬5 1 G¬5 ã Dove S?A è l’uscita che si avrebbe se il sistema non fosse retroazionato (ovvero se mancasse interamente il blocco H). 3. Dalla formula alternativa per il calcolo di G*h¬* possiamo ricavare la seguente approssimazione: - Se äG¬5 ä ¹ 1 a G*h¬* $ G¬5 · G= Quindi, quando äG¬5 ä 1, il diagramma di Bode di |G*h¬* | è la “somma” dei diagrammi di Bode di äG¬5 ä e di |G= |. - Se äG¬5 ä Û 1 a G*h¬* $ G= . Quindi, quando äG¬5 ä 1, il diagramma di Bode di |G*h¬* | è uguale a quello di |G=|. pag. 90 Fondamenti di Elettronica Appunti Significato fisico e calcolo del guadagno d’anello Il guadagno d’anello, come già accennato, ha un particolare significato nella realtà. Vediamo ora di analizzarlo, perché ciò ci consentirà di ricavare una procedura per il calcolo del guadagno d’anello nei circuiti che analizzeremo in seguito. Significato fisico-teorico del guadagno d’anello Come abbiamo detto, il guadagno d’anello è in sostanza il guadagno calcolato “ad anello aperto”. Dal punto di vista fisico quindi esso ha un significato ben preciso. Immaginiamo di tagliare l’anello di retroazione in un punto qualsiasi. In quel punto otterremo così due terminali, dei quali uno è connesso all’ingresso, e l’altro è collegato all’uscita del sistema. Possiamo allora applicare un segnale di test S=GEÙG al terminale connesso all’ingresso e misurare il segnale SGEÙG sul restante terminale. Possiamo facilmente verificare che il segnale d’uscita sarà: SGEÙG AH · S=GEÙG E quindi il guadagno d’anello è il rapporto tra SGEÙG e S=GEÙG : S G¬5 GEÙG AH S=GEÙG Procedura per il calcolo del guadagno d’anello Sulla base della precedente considerazione, che è di carattere generale, possiamo applicare questa teoria al caso specifico che stiamo analizzando. Otteniamo così un semplice procedimento che possiamo applicare ad ogni circuito con amplificatore operazionale retroazionato e che ci consente di calcolare facilmente G¬5 : 1. Spegniamo tutti i generatori indipendenti di tensione e di corrente (cortocircuitando i generatori di tensione e sostituendo con dei circuiti aperti i generatori di corrente). 2. Scegliamo un punto qualsiasi all’interno dell’anello di retroazione nel quale tagliare il circuito. Otterremo così due nodi, uno collegato all’ingresso ed uno collegato all’uscita. 3. Ricostruiamo l’impedenza nel punto tagliato. Per farlo, dobbiamo in sostanza calcolare l’impedenza equivalente di tutte le impedenze che incontriamo partendo dal nodo collegato all’ingresso ed andando fino a massa. L’impedenza equivalente va poi collegata tra il nodo collegato all’uscita e il nodo di massa. 4. Applichiamo un generatore indipendente che eroghi un segnale di test S=GEÙG (in genere si tratta di una tensione), collegandolo al nodo collegato all’ingresso. 5. Calcoliamo il segnale d’uscita SGEÙG : se S=GEÙG era una tensione, dobbiamo in pratica misurare la tensione sul nodo che era collegato all’ingresso. 6. Calcoliamo il rapporto tra il segnale d’uscita e il segnale d’ingresso: S G¬5 GEÙG S=GEÙG Significato dei blocchi A ed H Per concludere questo paragrafo relativo alla teoria della retroazione, è opportuno mettere in evidenza che nella realtà non si considera mai lo schema a blocchi associato al circuito che si sta analizzando, perché il blocco in linea d’andata A e il blocco di retroazione H sono in realtà difficili da individuare sul circuito. Ad esempio, anche se si utilizza la lettera A (che è usata anche per indicare l’amplificazione dell’OpAmp) ed è intuitivo immaginare che il blocco A corrisponda all’amplificatore operazionale, nella realtà non è esattamente così. Proprio per questa ragione, a livello pratico non si opera mai sullo schema a blocchi relativo al circuito, ma si preferisce lavorare direttamente sul circuito, sfruttando tutta la teoria fino ad ora introdotta. pag. 91 Fondamenti di Elettronica Appunti 4. Non idealità dell’amplificatore operazionale Differenze tra l’amplificatore operazionale ideale e l’operazionale reale Come abbiamo accennato, occorre effettuare una distinzione tra l’A.O. reale e quello ideale. Vediamo ora quali sono le principali caratteristiche che differenziano tra loro l’OpAmp reale da quello ideale. 1. Amplificazione finita Abbiamo detto che idealmente il fattore A dell’operazionale tende all’infinito ma naturalmente nella realtà deve assumere dei valori finiti, per quanto grandi. In genere A è dell’ordine di 10å æ 108 . 2. Non linearità Idealmente la relazione tra l’ingresso differenziale e l’uscita dell’operazionale è lineare, ovvero (almeno fino a quando la tensione d’uscita è tra le tensioni di alimentazione) è del tipo: V?A A · V5 V Tuttavia nella realtà il comportamento dell’operazionale non è lineare, ma può essere descritto dal grafico riportato nella figura seguente, il quale mostra come l’operazionale sia lineare solamente in un intervallo simmetrico all’origine. 3. 4. Guadagno di modo comune Se applichiamo all’operazionale ideale un segnale di modo comune, come in figura, l’uscita è nulla. Tuttavia l’operazionale reale si comporta diversamente, e fornisce un’uscita proporzionale al segnale di modo comune, con un fattore di amplificazione A dell’ordine di 1 æ 10: V?A A · V Un parametro cha valuta l’influenza di A in un circuito è il rapporto CMRR (Common Mode Rejection Ratio) tra il guadagno differenziale e il guadagno di modo comune del circuito. Resistenza d’ingresso e resistenza d’uscita A differenza di quanto visto per l’operazionale ideale, la resistenza in ingresso dell’operazionale reale non è infinita e quella di uscita non è nulla. Inoltre la risposta dell’operazionale ha un certo ritardo, e perciò possiamo inserire delle capacità in parallelo alle resistenze di ingresso, che rappresentino tale caratteristica. La presenza di tali resistenze e capacità può essere schematizzata come nella figura di seguito riportata. A lato della figura sono inoltre riportati gli ordini di grandezza di tali parametri. R n $ R 7 $ 100 MΩ R $ 100 kΩ æ 10 GΩ C dell’ordine dei pF Possiamo perciò affermare che il circuito equivalente dell’operazionale è quello rappresentato nella figura seguente, dove A è l’amplificazione differenziale (indicata anche solo con A). pag. 92 Fondamenti di Elettronica Appunti 5. Banda Introducendo l’A.O. ideale abbiamo detto che il fattore A è indipendente dalla frequenza, ma nella realtà non può essere così. Considereremo perciò il fattore A dell’amplificatore operazionale approssimandolo in modo che presenti un solo polo, ovvero supporremo sempre: As A 1 R s · τ Osservazioni: 1. La frequenza del polo è data da: 6. 1 2π · τ 2. La frequenza GBWP (Gain BandWidth Product) è il valore al quale il modulo di A(s) è pari ad 1 (ovvero 0 db). Tale frequenza è così chiamata perché è data dal prodotto tra f5 e A : GBWP f5 · A E perciò il produttore fornisce spesso i valori di GBWP e di A , ma non quello di f5 . Possiamo verificare che GBWP f5 · A osservando che se |As| 1, il denominatore è molto grande, perciò: A A As $ 1 R s · τ s · τ Possiamo quindi scrivere: A Ajω Aj · 2πf j · 2πf · τ Se poniamo il modulo uguale ad uno, otteniamo: A A |Aj · 2πGBWP| 1 a 1 a GBWP f5 · A 2πGBWP · τ 2π · τ Tensione di offset L’amplificatore operazionale reale presenta una certa tensione di offset VOS . La tensione di offset è una non idealità dell’operazionale la quale fa sì che, pur non applicando alcun tipo di segnale in ingresso, l’uscita si trovi ad un potenziale diverso da quello che ci si attenderebbe. Tale problema può essere schematizzato inserendo un generatore di tensione VOS come in figura. L’effetto sull’uscita è rappresentato dal grafico seguente: in sostanza, la caratteristica reale è uguale a quella ideale, ma traslata orizzontalmente di VOF . f5 La tensione di offset è un parametro statistico: il suo valore viene stimato statisticamente. Si osserva inoltre che l’offset è costante nel tempo, purché si mantenga costante la temperatura: la tensione di offset infatti è influenzata, oltre che dalle tecnologie costruttive del singolo operazionale, dalla temperatura alla quale lavora. Valori tipi della tensione di offset sono, in modulo, compresi tra 0,1 mV e 5 mV, ovvero: VOS $ ß0,1 mV æ ß5mV Osserviamo che il generatore di tensione VOS può essere indistintamente collegato all’ingresso invertente o a quello non invertente. pag. 93 Fondamenti di Elettronica Appunti 7. Correnti di Bias Un’altra caratteristica che differenzia tra loro l’operazionale reale da quello ideale è che, mentre quest’ultimo assorbe idealmente una corrente nulla, nella realtà la corrente entrante negli ingressi dell’A.O. non è nulla. Chiamiamo allora correnti di Bias le correnti assorbite dai due ingressi dell’operazionale, e in particolare indichiamo con IBç la corrente assorbita dal morsetto non invertente e con IB¿ quella assorbita dall’ingresso invertente. Tali correnti sono costanti nel tempo e non dipendono dalle tensioni applicate agli ingressi dell’operazionale. Possono perciò essere schematizzate con dei generatori indipendenti di corrente. Da un punto di vista grafico le correnti di Bias vengono indicate come nella parte a sinistra della figura seguente. Siccome tale rappresentazione è molto scomoda, si preferisce spesso utilizzare quella mostrata a destra. In genere le correnti di Bias sono all’incirca uguali tra loro e sono note, perciò si fornisce un solo valore che viene indicato con IB : IBç $ IB¿ $ IB Osserviamo che in genere è possibile dimensionare le resistenze del circuito in modo tale che gli effetti delle due correnti di Bias si annullino tra loro (anche se perché ciò avvenga è necessario inserire delle resistenze aggiuntive, come avremo modo di vedere in seguito attraverso opportuni esempi). Per annullare tali effetti è necessario quindi prima valutare come influisce ciascuna delle correnti di Bias, e quindi imporre che i due effetti si annullino. Per dimensionare le resistenze in maniera più rapida è tuttavia possibile applicare un altro metodo, ovvero quello di valutare la resistenza al morsetto invertente e quella al morsetto non invertente quando l’anello è aperto: uguagliando tali resistenze si ottiene la stessa condizione, senza però dover eseguire un numero molto elevato di calcoli. 8. Correnti di offset La differenza tra le due correnti di Bias viene indicata con I9 (ma non ha nulla a che fare con la tensione di offsete) ed è: I9 IBç IB¿ $ 10% IB 9. Tensione di saturazione La tensione d’uscita dell’A.O. reale è limitata tra le tensioni di alimentazione: V9 v?A RV9 Osserviamo che in realtà le due tensioni di saturazione possono anche non essere simmetriche, ma solitamente lo sono. In genere V9 è tra i 5 e i 15 V. 10. Limitazione della corrente d’uscita La corrente che viene erogata dall’operazionale non può assumere valori qualunque, ma in genere è limitata ad un valore massimo. Tale valore massimo è dovuto alle caratteristiche costruttive dell’operazionale e alle limitazioni della massima potenza dissipabile dell’operazionale. Valori tipici della massima corrente dissipabile sono tra i 20 mA e i 200 mA. 11. Slew rate Infine, si ha una limitazione della massima velocità di variazione della tensione d’uscita. Questo limite prende il nome di Slew Rate (SR): dv?A ¡ ¡ Ê SR dt V V Lo SR si misura in Volt/s e i suoi valori tipici sono 5 µ9 æ 500 µ9. 12. Errore statico lineare L’errore statico lineare è un errore è così definito: G= 0 G*h¬* 0 1 ε G= 0 1 G¬5 0 pag. 94 ε% 1 · 100 1 G¬5 0 Fondamenti di Elettronica Appunti 5. L’amplificatore invertente Introduzione: analisi di un semplice circuito non retroazionato (errato) con OpAmp Prima di analizzare l’amplificatore invertente, vogliamo fare una semplice osservazione. Se infatti dovessimo immaginare di realizzare un circuito con un amplificatore operazionale che sia in grado di fornire in uscita una tensione che sia pari a quella in ingresso, amplificata di un fattore A, l’idea più semplice sarebbe probabilmente quella di applicare come segnale differenziale la tensione d’ingresso e di misurare la tensione all’uscita dell’operazionale: Teoricamente infatti vale la relazione: V?A A · V5 V . Tuttavia è facile capire che un circuito come questo non può realizzare la funzione che noi desideriamo svolga, per varie ragioni: 1. Il fattore di amplificazione tende all’infinito, ma la tensione d’uscita è limitata tra RV9 e V9 , perciò per qualsiasi valore di V non infinitesimo la tensione d’uscita sarebbe pari a V9 oppure a V9 . 2. Il valore di A, che è un parametro costruttivo dell’A.O., non viene determinato in maniera molto precisa e quindi, anche se A non fosse infinito, l’errore nella valutazione di questo dato influenzerebbe molto le prestazioni del circuito. Si utilizzano perciò delle diverse configurazioni, che andremo ora ad analizzare nel dettaglio, partendo proprio dalla configurazione invertente. Schema elettrico L’amplificatore in configurazione invertente è il circuito realizzato secondo lo schema elettrico seguente: Analisi della configurazione invertente secondo le regole dell’Elettrotecnica Possiamo analizzare questo circuito facendo riferimento alle leggi dell’Elettrotecnica. i= 0 A - Sappiamo che l’impedenza d’ingresso dell’A.O. è nulla, perciò: i= R i. i 0 - Se applichiamo la LKC otteniamo che: i i= R i. 0 R i. i. Da cui ricaviamo: v=+ v i - Per la legge di Ohm applicata al resistore R : R v v?A i. - Per la legge di Ohm applicata al resistore R . : R. v?A A · v5 v - Per la relazione tra segnale differenziale e d’uscita dell’A.O.: v?A A · v Da cui ricaviamo, nel nostro caso specifico: v?A v E quindi: A v=+ v v v?A - Siccome i i. possiamo uguagliare le rel. trovate tramite Ohm: R R. v v v=+ R ?A ?A v?A xáâG A A - Sostituendo v nella precedente equazione: A R R. v=+ v?A v?A v?A Da cui ricaviamo: R R AR AR . R. 1 1 1 v=+ v?A · 1 R R 2 AR AR . R . R v=+ v?A 1 1 1 éAR R AR R R ê · R . . pag. 95 Fondamenti di Elettronica Appunti Guadagno reale e guadagno ideale del circuito Abbiamo così ricavato che il guadagno reale del circuito è dato dalla formula: v?A 1 G*h¬* 1 1 1 v=+ é R R ê · R AR AR . R . Se l’A.O. è ideale, allora A tende all’infinito e quindi: 1 R. G*h¬* a 1 R é0 R 0 R ê · R R. Diremo quindi che, nella configurazione invertente: R. G= R Osservazione: Il guadagno ideale è indipendente da A. Questo è un risultato molto importante, perché: 1. A non è fissato con precisione, e avere un guadagno da esso indipendente è molto vantaggioso. 2. Siccome G= dipende solo da due resistenze, che sono componenti semplici e stabili, anche il guadagno sarà stabile, preciso e lineare. 3. Possiamo cambiare il guadagno del circuito semplicemente cambiando le due resistenze, in modo che il loro rapporto sia diverso. Il guadagno quindi è semplice da definire. Inoltre, se consideriamo il caso reale e inseriamo dei valori di A simili a quelli effettivi degli A.O., possiamo facilmente osservare che le variazioni del guadagno sono molto piccole (dell’ordine dello 0,1%). Di conseguenza, possiamo assumere valide le proprietà finora analizzate anche nel caso dell’A.O. reale. Analisi intuitiva della retroazione Supponiamo di applicare inizialmente una tensione d’ingresso nullo. Possiamo facilmente verificare che, come è intuitivo aspettarsi, in tale situazione la tensione d’uscita e v sono entrambe nulle. 1. Supponiamo ora di far aumentare la tensione d’ingresso… 2. …A seguito di questa variazione, dovrà certamente aumentare anche v , che è una partizione della tensione in ingresso sulle resistenze R e R. … 3. …ma se aumenta v , allora il segnale differenziale diventa negativo e quindi la tensione d’uscita diventerà anch’essa negativa, perché è il segnale differenziale moltiplicato per un fattore A > 0… 4. …e se la tensione d’uscita diventa negativa, allora la tensione v deve necessariamente diminuire, perché rappresenta in qualche modo una partizione di v?A tra le resistenze R e R . . Di conseguenza, v presenta due tendenze contrastanti: quella di aumentare e quella di diminuire. Possiamo così concludere che il circuito si oppone alle variazioni di v . Questa caratteristica contraddistingue tutti i sistemi retroazionati. La ragione per la quale vogliamo che il circuito si opponga alle variazioni di v è che desideriamo che il circuito sia in grado di autoregolarsi. Individuazione dei blocchi che costituiscono il sistema retroazionato Avevamo accennato che in un circuito è difficile individuare quali sono i componenti che costituiscono il blocco in linea d’andata e quali costituiscono il blocco di retroazione. Torniamo allo schema a blocchi: ë ed H. Per il calcolo di H è sufficiente tenere conto che il Nel caso della configurazione invertente A guadagno ideale è il suo reciproco, quindi: 1 R H G= R. ë · H per calcolare il valore di A ë. Otteniamo infatti: Inoltre possiamo sfruttare la relazione G¬5 A R R R. ë· ë A · A · A a A R R R . R. R R R . I calcoli eseguiti quindi confermano quanto avevamo precedentemente affermato. pag. 96 Fondamenti di Elettronica Appunti Analisi della configurazione invertente come circuito retroazionato Possiamo a questo punto ripetere l’analisi dell’amplificatore invertente, utilizzando però la teoria della retroazione anziché le regole dell’Elettrotecnica. 1. Verifica della retroazione Un primo passo che è opportuno eseguire è la verifica della retroazione del circuito. Tale passo consiste nel verificare che il circuito sia effettivamente retroazionato, ovvero che ci sia davvero un nodo collegato sia al segnale d’ingresso, sia al segnale d’uscita. In questo caso tale nodo è il nodo N. 2. Calcolo del guadagno ideale A questo punto possiamo procedere al calcolo del guadagno ideale, che avviene semplicemente ipotizzando che la retroazione riesca effettivamente a “fare” ciò che “tende a fare”. Nel nostro caso abbiamo già visto che la retroazione tende ad annullare la tensione differenziale in ingresso. Per il calcolo del guadagno ideale quindi dobbiamo semplicemente risolvere il circuito ipotizzando: V V5 Nel fare ciò dobbiamo inoltre tener conto del fatto che la retroazione fa in modo che tutta la corrente in ingresso attraversi la resistenza R . (ovvero, i i. ). Abbiamo quindi: V=+ V V=+ 0 V=+ i R R R Inoltre: R. R. V?A R . i. V=+ a G= R R 3. Calcolo del guadagno d’anello A questo punto occorre calcolare il guadagno d’anello. Tagliamo l’anello in punto qualsiasi, ad esempio appena prima del nodo N, e applichiamo un generatore di tensione di test, dopo aver spento tutti i generatori indipendenti. Calcoliamo inoltre l’impedenza equivalente. a. Calcolo dell’impedenza equivalente: Come si osserva dal circuito seguente, l’impedenza equivalente è data dal parallelo tra la resistenza d’ingresso dell’A.O. e la resistenza R . b. Siccome però la resistenza d’ingresso dell’operazionale è molto alta (idealmente tendente all’infinito), allora possiamo trascurarla e considerare: Z*J R Risoluzione del circuito al quale è applicato il segnale di test Applichiamo ora il nostro segnale di test: V?A A · V=GEÙG Possiamo ora applicare il partitore di tensione e ricavare: Z*J R VGEÙG V?A A · ·V Z*J R R . R R R . =GEÙG E quindi: R G¬5 A · R R R . Sappiamo che: pag. 97 Fondamenti di Elettronica Appunti 4. 5. Calcolo del guadagno reale Infine è possibile calcolare il guadagno reale, semplicemente applicando la formula 1 1 R. R. 1 R . G*h¬* · G= · · R R R R RR 1 1 R R 1 R . R · é1 R A · R . ê 1G 1R R A · R ¬5 A· R R R . Ovvero, proseguendo con i passaggi algebrici: 1 1 G*h¬* R R R R . 1 1 1 é R R ê · R R . é1 R A · R ê AR AR . R . Che è lo stesso risultato ottenuto solamente con l’utilizzo dell’Elettrotecnica. Calcolo della resistenza d’uscita Vogliamo ora calcolare la resistenza d’uscita dell’amplificatore invertente. Come noto dall’Elettrotecnica, per farlo abbiamo bisogno di spegnere tutti i generatori indipendenti, di collegare all’uscita un generatore di tensione di test e di misurare la corrente che lo attraversa: il rapporto sarà la resistenza d’uscita. Tale circuito può essere utilizzato per il calcolo della resistenza di uscita, ma per farlo non possiamo utilizzare la teoria della retroazione: il generatore di test infatti fissa la tensione sulla resistenza R . e quindi il circuito non è più retroazionato. Possiamo allora utilizzare un generatore di corrente, misurando la tensione ai suoi capi, nel modo seguente: In questo caso il circuito è ancora retroazionato, perciò possiamo applicare la teoria della retroazione. Per quanto abbiamo visto introducendo la teoria della retroazione, abbiamo: ã S?A S?A 1 G¬5 E quindi possiamo sfruttare questa relazione nel modo seguente per il calcolo di VA*9A : VA*9A 9*+h *Ah=+* VA*9A 1 G¬5 Ci rimane ora solo da calcolare VA*9A 9*+h *Ah=+*. Per farlo, dobbiamo analizzare il circuito seguente: Sostituendo all’operazionale il suo circuito equivalente e spegnendo la retroazione (cioè ponendo A = 0), otteniamo: E quindi: VA*9A 9*+h *Ah=+* »R R R . //R ? ¼ · IA*9A R R R . //R ? VA*9A VA*9A 9*+h *Ah=+* 1 · IA*9A 1 G¬5 IA*9A 1 G¬5 Per calcolare il valore numerico della resistenza d’uscita si valuta G¬5 considerando A A . Perciò otteniamo: R?A pag. 98 Fondamenti di Elettronica Appunti 6. Calcolo della resistenza d’ingresso Nel caso ideale la resistenza di ingresso è data da R : questo è u no svantaggio, perché vorremmo una resistenza d’ingresso infinita. Nel caso reale invece dobbiamo considerare questo circuito: La resistenza d’ingresso sarà quindi la serie della resistenza R e della resistenza equivalente di tutta la parte di circuito a destra di R , che chiameremo RTV . Per calcolare R TV dobbiamo risolvere il circuito seguente: Ovvero dovremo calcolare VA*9A e poi eseguire il rapporto con la corrente erogata dal generatore di test: VA*9A R TV IA*9A Per valutare VA*9A dobbiamo spegnere la retroazione e valutare così VA*9A 9*+h *Ah=+* , per poi calcolare: VA*9A 9*+h *Ah=+* VA*9A 1 G¬5 Spegnendo la retroazione (A = 0) e sostituendo all’operazionale il suo circuito equivalente otteniamo: VA*9A 9*+h *Ah=+* IA*9A · R //R . VA*9A VA*9A 9*+h *Ah=+* 1 R //R . R TV · IA*9A 1 G¬5 IA*9A 1 G¬5 Rimane ora da calcolare il guadagno d’anello G¬5 , che può essere così determinato: Da cui: E quindi si ricava: V VA*9A · Da cui ricaviamo: G¬5 E per cui otteniamo: V R ·A VA*9A R . R R R TV E, in conclusione: R =+ R R R TV R ·A R. R R R //R . R 1R ·A R . R R R · R . R · R. R. R R R R R R R R R R R R · A . 1R ·A R. R R pag. 99 Fondamenti di Elettronica Appunti Effetto della tensione di offset sull’uscita Vogliamo a questo punto valutare quanto influisce la tensione di offset sull’uscita del nostro segnale. Se inseriamo la tensione di offset, il nostro circuito diventa il seguente: Possiamo facilmente ricavare tramite il principio di sovrapposizione che abbiamo: R. R. v?A · v=+ R 1 R 12 · v9 R R Un metodo che può essere adottato per ridurre l’effetto sull’uscita della tensione di offset è quello di inserire un condensatore in serie alla tensione di ingresso: Possiamo ancora una volta applicare il principio di sovrapposizione: 1. Se spegniamo il generatore v=+ , abbiamo solamente un generatore di tensione continua. Tutte le grandezze del circuito di conseguenza possono essere assunte continue, compresa la tensione ai capi del condensatore. Di conseguenza, la corrente che attraversa il condensatore, ovvero i , è nulla (perché è la derivata della tensione ai suoi capi, che abbiamo detto essere costante). Il condensatore perciò è un circuito aperto. Il circuito equivalente che otteniamo è dunque il seguente: 2. Dunque abbiamo: i. i= 0 A. Per la LKV inoltre abbiamo: v?A v9 R. i. v9 Se spegniamo il generatore v?A , abbiamo solamente un generatore di tensione v=+ , che genererà un segnale variabile nel tempo. Pur di fissare opportunamente i parametri del circuito (ad esempio, la capacità del condensatore), potremo considerare sufficientemente elevata la frequenza del segnale d’ingresso per poter assumere il comportamento del condensatore equivalente a quello di un cortocircuito. Il circuito equivalente che otteniamo è dunque il seguente: R. ·v R =+ In conclusione, l’effetto della tensione di offset è stato ridotto, perché la trasformazione di tale tensione R è diminuita di Rµ. Abbiamo infatti: ¢ R. v?A v?A R v?A · v R v9 R =+ Dunque abbiamo: 3. v?A pag. 100 Fondamenti di Elettronica Appunti Effetto della tensione di saturazione Consideriamo ora che l’operazionale sia ideale. Supponiamo di avere in ingresso: v=+ 5V sen2π · 1kHz · t Se abbiamo poi, ad esempio: R 10 kΩ R . 100 kΩ V9hA 12 V Idealmente, la tensione d’uscita sarebbe: v?A 50 V sen2π · 1kHz · t Siccome però la tensione d’uscita deve essere limitata a 12 V, in sostanza avremo una sinusoide tagliata, come mostrata nel grafico sottostante, nel quale è riportato in grigio l’andamento che l’uscita dovrebbe avere ed in nero l’andamento che l’uscita avrà se teniamo conto della limitazione di tensione. Supponiamo ora che all’amplificatore invertente sia applicata una resistenza di carico R L , come in figura. Effetto della corrente massima Supponiamo inoltre che valgano i seguenti valori: R 10 kΩ R . 100 kΩ R L 50 Ω v=+ 1 V sen2π · 1kHz · t IklF 125 mA Idealmente dovremmo avere: v?A 10 V sen2π · 1kHz · t Supponendo di avere ad esempio una tensione di saturazione di 12 V, ci aspetteremmo di trovare in uscita esattamente la tensione sinusoidale precedentemente calcolata. Tuttavia, nella realtà non è così, perché interviene la corrente massima in uscita. Valutiamo infatti I : Per la LKC, abbiamo: v?A v?A 1 R. 2v I I. IL 1 R. RL R R R L =+ E perciò: 1 R. äIklF ä 1 R 2 · äv=+klF ä $ 200,1 mA IklF R R R L E quindi: äv?AklF ä RL · äIklF ä $ 1,25 V E di conseguenza la sinusoide d’uscita è ancora tagliata, come nell’esempio precedente. pag. 101 Fondamenti di Elettronica Appunti Effetto dello Slew Rate Consideriamo ora la configurazione invertendo, assumendo che i parametri assumano i seguenti valori: As a ∞ R L 1 MΩ R 10 kΩ R . 100 kΩ |VSAT | 12V IklF 25 mA SR 10 V µs E supponiamo che la tensione applicata all’ingresso sia: v=+ t 1,2 V · sen2πf · t Possiamo facilmente verificare che non ci sono problemi dovuti alla tensione di alimentazione o alla massima corrente erogabile dall’operazionale. Limitiamoci a considerare lo slew rate. Idealmente, abbiamo: R. v?A t · v t 12V · sen2πf · t R =+ E perciò la derivata dell’uscita rispetto al tempo è: dv?A t R. 1,2V · · 2πf · cos2πf · t dt R Quindi: R. dv?A t ì 1,2V · · 2πf ì dt R h: Possiamo così calcolare la massima frequenza della sinusoide applicata in ingresso, risolvendo l’equazione: R. 1,2V · · 2πfh: SR R Da tale equazione otteniamo: SR fh: $ 133 kHz R 1,2V · R. · 2π Se la frequenza del segnale in ingresso è superiore a tale valore, l’operazionale non sarà in grado di fornire un’uscita che varia con velocità sufficiente per rispettare l’andamento ideale. Di conseguenza, l’uscita avrà una derivata pari alla massima derivata che l’operazionale può fornire, ovvero pari allo SR, come in figura: Se poi la frequenza d’ingresso dovesse superare di molto lo slew rate, allora l’uscita potrebbe addirittura ridursi ad un vero e proprio segnale triangolare. Si osserva infine che la frequenza fh: prende il nome di banda a piena potenza. pag. 102 Fondamenti di Elettronica Appunti 6. L’amplificatore non invertente Schema elettrico L’amplificatore non invertente è il circuito realizzato secondo lo schema elettrico seguente: Analisi circuitale A questo punto possiamo svolgere l’analisi circuitale solamente sfruttando la teoria della retroazione, senza ripetere l’analisi che utilizza solamente gli strumenti dell’Elettrotecnica. Analisi qualitativa della retroazione Se aumentiamo la tensione di ingresso, aumenta la tensione differenziale d’ingresso, e quindi aumenta anche la tensione d’uscita; se aumenta la tensione d’uscita aumenta anche la tensione all’ingresso invertente dell’A.O., quindi tende a diminuire la tensione differenziale d’ingresso. La retroazione perciò tende a mantenere nulla la tensione d’ingresso dell’A.O. Possiamo quindi concludere che, nel caso ideale, la retroazione mantiene nulla la tensione d’ingresso dell’operazionale. Calcolo del guadagno ideale Tenendo conto di quanto appena detto, possiamo calcolare il guadagno ideale del nostro circuito: tale calcolo infatti avviene supponendo nulla la tensione V5 V . Se vale tale relazione, avremo: V V=+ E perciò: V=+ i R Siccome la corrente in ingresso all’operazionale è nulla, abbiamo: i i. Inoltre, per la legge di Ohm, la tensione V. vale: R. V. R . i. R . i V R =+ Infine, per la LKV, possiamo ricavare la tensione d’uscita: R. R. V?A V R V. V=+ R V=+ 11 R 2 V=+ R R E dunque: V?A R. G= 1R V=+ R pag. 103 Fondamenti di Elettronica Appunti Calcolo del guadagno d’anello A questo punto possiamo calcolare il guadagno d’anello. Scegliamo ad esempio di tagliare l’anello appena dopo l’uscita dell’OpAmp. 1. Calcoliamo l’impedenza equivalente. Z*J R R R. Spegniamo i generatori indipendenti, applichiamo il generatore di test e l’impedenza equivalente, e quindi valutiamo la tensione d’uscita. Otteniamo così il circuito seguente: Dal circuito sopra riportato ricaviamo che: 2. Possiamo ricavare: E quindi: In conclusione: V R V R R R. =GEÙG VGEÙG A · V A · G¬5 A · R V R R R . =GEÙG R R R R . Calcolo del guadagno reale Non rimane infine che calcolare il guadagno reale del circuito: R R 1 R R. 1 R R. G= G*h¬* R R R . 1 1 1R 1 1R R A · R G¬5 A · R R R . Calcolo della resistenza d’ingresso Proviamo ora a calcolare la resistenza d’ingresso della configurazione non invertente. Anche in questo caso dobbiamo applicare un generatore di test all’ingresso e spegnere il generatore di tensione indipendente. Questa volta però applicando un generatore di corrente forzeremmo la corrente nell’anello, e quindi otterremmo un circuito che non è più retroazionato, ovvero nel quale non possiamo applicare la teoria della retroazione. pag. 104 Fondamenti di Elettronica Appunti Allora possiamo applicare un generatore di tensione di test, come in figura: Per calcolare la corrente di test possiamo sfruttare la teoria della retroazione e seguire il procedimento: iA*9A 9*+h *Ah=+* iA*9A 1 G¬5 Calcoliamo allora iA*9A 9*+h *Ah=+* dal circuito seguente: E quindi: iA*9A VA*9A R R R //R . VA*9A 1 · R R R //R . 1 G¬5 VA*9A »R R R //R . ¼ · 1 G¬5 iA*9A Che, al tendere ad infinito del guadagno d’anello, tende all’infinito. Calcolo della resistenza d’uscita Vogliamo adesso calcolare la resistenza d’uscita della configurazione non invertente. Per farlo dobbiamo risolvere il seguente circuito: Ed infine: iA*9A 9*+h *Ah=+* R=+ VA*9A iA*9A Per calcolare VA*9A possiamo sfruttare la teoria della retroazione e otteniamo: VA*9A 9*+h *Ah=+* VA*9A 1 G¬5 Ci rimane quindi da calcolare VA*9A 9*+h *Ah=+* risolvendo il circuito ottenuto sostituendo all’operazionale il suo circuito equivalente e togliendo la retroazione, ovvero ponendo A = 0. E calcolare: R ?A E quindi, supponendo che la resistenza di ingresso sia infinita: VA*9A 9*+h *Ah=+* »R //R R R . ¼ · iA*9A Perciò possiamo concludere: VA*9A VA*9A 9*+h *Ah=+* 1 R //R R R . R ?A · iA*9A 1 G¬5 iA*9A 1 G¬5 pag. 105 Fondamenti di Elettronica Appunti Effetto delle correnti di Bias sul funzionamento del circuito Se consideriamo le correnti di Bias all’interno del circuito, otteniamo il seguente schema elettrico: Per valutare la tensione d’uscita, applichiamo il principio di sovrapposizione. - Spegnendo V=+ e IB¿ otteniamo in uscita una tensione nulla: V?A 0V : - Spegnendo V=+ e IBç otteniamo in uscita la tensione V?A V?A R . IB¿ - Spegnendo IB¿ e IBç otteniamo in uscita la tensione V?A precedentemente calcolata: R . 11 R 2 V=+ V?A R R. - In conclusione, otteniamo: V?A R. IB¿ R 11 R 2 V=+ R Si osserva che in questo modo non è possibile eliminare l’effetto della corrente di Bias. Possiamo allora pensare di modificare lo schema elettrico, in modo tale che, con un opportuno dimensionamento delle resistenze, gli effetti delle correnti di Bias si annullino tra loro, come nei circuiti seguenti. Soluzione n. 1 Una prima soluzione al problema è rappresentata dal circuito seguente: Applicando nuovamente il principio di sovrapposizione, ricaviamo la seguente analisi: - Spegnendo V=+ e IB¿ otteniamo in uscita una tensione V?A : LKC: I! IBç legge di Ohm: V! R ! I! R! IBç LKV: V V! R ! IBç LKC e Ohm: I. I R¢ R¶ IBç V ¢ R ¢ V?A V R V. R ! IBç R R. I. R ! IBç R¶ R . IBç R ¢ Spegnendo V=+ e IBç otteniamo in uscita la tensione V?A : Abbiamo: I! 0 A a V! 0 V LKV: V 0 V a I 0 A LKC: I. I R IB¿ RIB¿ legge di Ohm: V. R . I. R . IB¿ LKV: V?A V R V. 0 R R . IB¿ R . IB¿ - Spegnendo IB¿ e IBç otteniamo in uscita la tensione V?A precedentemente calcolata: R . V?A 11 R 2 V=+ R - In conclusione, otteniamo: R. R. R ! 2 IBç R R. IB¿ V?A 11 R 2 V=+ 1R ! R R R Quindi, supponendo IB¿ IBç , possiamo annullare i relativi effetti imponendo: R. R! R R R . R R . 2 R. a R! 1 a R! R //R . R. R! R R R R R R . LKV e Ohm: - pag. 106 Fondamenti di Elettronica Appunti Soluzione n. 2 La soluzione precedentemente proposta però non sempre può essere soddisfatta nella realtà. Se infatti consideriamo un generatore di tensione reale, esso può essere visto come la serie tra un generatore ideale ed una resistenza interna R 9 . Tale resistenza quindi va in serie ad R ! e ricaviamo facilmente che la condizione per l’annullamento delle correnti di Bias diviene la seguente: R ! R R 9 R //R . Ovvero: R ! R //R . R 9 Ma, per valori sufficientemente elevati di R9 , ciò implica che la resistenza R ! sia negativa (e questo nella realtà è impossibile). La soluzione che si adotta in questi casi è perciò rappresentata dal circuito seguente: Anche in questo caso applichiamo il principio di sovrapposizione: - Spegnendo V=+ e IB¿ otteniamo in uscita una tensione V?A : LKC: I9 IBç legge di Ohm: V9 R 9 I9 R 9 IBç legge di Ohm: V! R ! I! 0 V LKV: V V9 R 9 IBç LKC e Ohm: Legge di Ohm: LKC: LKV: - V R ¢ ¢ V?A V V. R 9 IBç R R . I. R 9 IBç RÙ R . IBç R ¢ Spegnendo V=+ e IBç otteniamo in uscita la tensione V?A : LKC: I! IB¿ Legge di Ohm: V! R ! I! R ! IB¿ Legge di Ohm: V9 R 9 I9 0 V LKV: V V! R V9 R ! IB¿ LKV e Ohm: - I. I R¢ RÙ IBç I R¢ R¶ IB¿ V ¢ R ¢ I. I I! I R¢ B¿ R¶ IB¿ V?A V V. R! IB¿ R . I. R! IB¿ R Spegnendo IB¿ e IBç otteniamo in uscita la tensione V?A V?A R¶ R¢ R . IB¿ R R . IB¿ precedentemente calcolata: R. 11 R 2 V=+ R R. R9 R! 2 V=+ R 9 IBç R . IBç R R ! IB¿ R R I R R . IB¿ R R R . B¿ Quindi, supponendo IB¿ IBç , possiamo annullare i relativi effetti imponendo: R9 R. R. R ! R R R . R9 R. 2 R9 R R9 R R! R R R. a R! 1 R. R R R R Ovvero: R ! R R R . R R 9 R R 9 R . R R . R R9 R R 9 R . R R . R R R. R 9 R R. R! R 9 R //R . R R R . R R R. - In conclusione, otteniamo: V?A 11 R pag. 107 Fondamenti di Elettronica Appunti 7. Vantaggi della retroazione I vantaggi della retroazione Possiamo a questo punto analizzare quali sono i principali vantaggi della retroazione. 1. Insensibilità rispetto ad A ë. Sappiamo però che A ë Abbiamo già detto che il guadagno dell’OpAmp non retroazionato è pari ad A ë dipende dal parametro A, che non è costante. Le variazioni di A sono quindi uno svantaggio notevole. Se l’operazionale viene utilizzato con una retroazione, come in figura: 2. ë risultano ridotte sull’uscita di un fattore 1 G¬5 . Le variazioni di A Possiamo facilmente dimostrare questo risultato. Innanzitutto, sappiamo che: S?A A G*h¬* S=+ 1RA·H Perciò: dG*h¬* 1 R A · H A · H 1 1 R A · H. 1 R A · H. dA Ovvero: dA dG*h¬* 1 R A · H. Possiamo ora dividere entrambi i membri per G*h¬* : dA dG*h¬* 1 G*h¬* G*h¬* 1 R A · H. Da cui ricaviamo, sostituendo a G*h¬* la sua espressione inizialmente ricavata: 1 dA dA 1 dA 1 dG*h¬* · · A 1 R A · H. G*h¬* A 1RA·H A 1 G¬5 1RA·H Riduzione della distorsione Come abbiamo visto, l’operazionale ha un effetto di distorsione che possiamo così approssimare: Ad esempio, possiamo supporre: A 1000 A . 100 E quindi: A 10 A. Se invece inseriamo la retroazione, abbiamo, supponendo H 0,1: A A. G $ 9,9 G. $ 9,1 1 R A H 1 R A.H Inoltre il segnale in ingresso al blocco A è: ε S=+ HS?A S=+ HAε E perciò: S=+ ε 1 R AH E quindi nel caso in cui A A avremo in ingresso al blocco di andata un segnale ridotto rispetto a quello che abbiamo se A A . . Questo effetto tende perciò a far diminuire l’uscita all’aumentare di A, e perciò si contrappone a quello precedentemente descritto. In conclusione: se ad esempio applichiamo in ingresso al sistema retro azionato una sinusoide, la non linearità della retroazione crea una distorsione in ingresso della sinusoide, e la non linearità dell’operazionale distorce ulteriormente la sinusoide all’uscita. Siccome però tali distorsioni sono tra loro “contrapposte”, tendono a compensarsi, e l’uscita tende effettivamente ad una sinusoide. pag. 108 Fondamenti di Elettronica Appunti 3. Estensione della banda L’utilizzo della retroazione fa sì che la banda del sistema sia superiore rispetto a quella che si ha senza la retroazione stessa. Consideriamo ad esempio l’amplificatore invertente: Supponiamo di avere i seguenti dati: R 1 kΩ R . 10 kΩ A 108 f5 10 Hz Avremo allora: G*h¬* E perciò: 1 1 1 1 1 1 R sτ 1 R sτ 1 1 R R 2 · R é R R ê · R R. A R A R . AsR AsR . R . R. R. 1 1 R é1 R sτ R R 1 R sτ R 1ê R é R . τ R τ ê s R R . R R R A R A R . A A R A A R R. 1 G*h¬* A R R R . R R R A R íé R . τ R τ ê A R A R A R . R R R A R s R 1î G*h¬* fP 1 R τ R 2π é . R τ ê R R . R R R A R $ 909 kHz Il grafico sottostante mostra il guadagno reale del circuito retroazionato, comparato a quello dell’operazionale. 4. 5. Riduzione della resistenza d’uscita Con la retroazione la resistenza d’uscita dell’operazionale si riduce. Consideriamo ad esempio la configurazione invertente: abbiamo già dimostrato che la resistenza d’uscita è: R R R . //R ? R ?A 1 G¬5 Che, all’aumentare di G¬5 , tende a zero. Aumento della resistenza d’ingresso La retroazione aumenta inoltre la resistenza d’ingresso. Consideriamo ad esempio la configurazione non invertente: sappiamo che la resistenza d’ingresso è: R =+ »R R R //R. ¼ · 1 G¬5 Che, al tendere ad infinito del guadagno d’anello, tende all’infinito. pag. 109 Fondamenti di Elettronica Appunti 8. Amplificatore sommatore Schema elettrico L’amplificatore sommatore è il circuito realizzato secondo lo schema elettrico seguente: Analisi circuitale Svolgiamo ora l’analisi circuitale dell’amplificatore sommatore utilizzando la teoria della retroazione: 1. Calcolo dei guadagni ideali Per il calcolo del guadagno ideale supponiamo nulla la tensione differenziale. Allora, per legge di Kirchhoff delle tensioni, V?A è l’opposto della tensione ai capi della resistenza R > , ovvero: V?A I> · R > A questo punto possiamo applicare la LKC per valutare I> e otteniamo: I> I R I. E, applicando la legge di Ohm ai due resistori R e R . : V V. I> R R R . E quindi otteniamo: V V. R> R> V?A 1 R 2 · R > V V R R . R R. . Da cui ricaviamo che i due guadagno sono: R> R> G=¢ G=µ R R. 2. Calcolo del guadagno d’anello Passiamo ora al calcolo del guadagno d’anello. Otteniamo il circuito seguente: Da cui: E quindi: VGEÙG As · V As · V=GEÙG · G¬5 R //R . //R R F R R ? R R //R . //R VGEÙG A R //R . //R · V=GEÙG 1 R sτ R F R R ? R R //R . //R pag. 110 Fondamenti di Elettronica Appunti 3. Guadagno reale Il guadagno reale è dato da: G*h¬*¢ 1 1G 1 ¬5 · G=¢ Senza calcolarlo analiticamente, possiamo limitarci a valutarne il diagramma di Bode, approssimando il modulo di G*h¬* a |G=| quando äG¬5 ä 1 e a |G= · G¬5 | negli altri casi. Supponiamo di avere i dati seguenti: R R . R F 10 kΩ A 10V 1 100 Hz 2πτ Otteniamo allora: äG=¢ ä 1 0 db E i grafici seguenti: Calcoliamo f: A R //R . //R · ì1 1 R 2πj f τ R F R R ? R R //R . //R Siccome alla frequenza f abbiamo già passato il polo in τ (che è alla frequenza di 100 Hz), possiamo trascurare il termine additivo 1 al denominatore e considerare: A R //R . //R ì · ì1 2πj f τ R F R R ? R R //R . //R Ovvero: A R //R . //R · 1 2π f τ R F R R ? R R //R . //R E quindi: A R //R. //R f · $ 3,3 MHz 2πτ RF R R ? R R //R . //R Infine, il massimo modulo del guadagno d’anello è stato calcolato come segue: R //R . //R äG¬5 s 0ä A · $ 3,3 · 10å R F R R ? R R //R . //R 1aì äG¬5 fä pag. 111 Fondamenti di Elettronica Appunti 9. Amplificatore alle differenze Schema elettrico Lo schema elettrico più intuitivo per realizzare un amplificatore alle differenze è il seguente: L’uscita di tale schema può facilmente essere ricavata applicando il principio di sovrapposizione: R. R. V?A 11 R 2 V. V R R Si osserva perciò che l’uscita non è mai esattamente la differenza tra i due ingressi. Si adotta perciò lo schema elettrico seguente: Analisi circuitale Possiamo valutare l’uscita ideale del circuito nel modo seguente: Rå V V.ã Rå R R! . E quindi otteniamo: R. R. R. Rå R. V?A 11 R 2 V.ã V 11 R 2 V. V R R R R å R R ! R Per avere esattamente la differenza tra le tensioni in ingresso (opportunamente amplificata) fissiamo: R. Rå R. R R R . R å R. Rå R. 11 R 2 a a R R å R R ! R R R å R R ! R R å R R! R R R . Se tale condizione è rispettata, avremo: R. V V V?A R . Ad esempio, affinché ciò sia vero possiamo scegliere le resistenze nel modo seguente: R R. ~ { å R ! R Difetti del precedente circuito Il circuito che abbiamo appena analizzato presenta però 3 difetti importanti: 1. Influenza delle resistenze interne dei generatori I generatori indipendenti di tensione hanno sempre una certa resistenza interna, e perciò, se chiamiamo R S¢ la resistenza interna del generatore 1 e R Sµ la resistenza interna del secondo generatore: R. Rå R. V?A S1 R T V V R R R S¢ R å R R ! R R Sµ . R R R S¢ E di conseguenza i due trasferimenti non possono essere esattamente uguali. In altri termini: V?A Ø V. V · G 2. Guadagno di modo comune Se applichiamo i due segnali in ingresso uguali tra loro, si ha una tensione d’uscita che non è nulla, perché abbiamo un certo guadagno di modo comune. Di conseguenza, il CMRR risulta abbastanza basso (tanto più basso quanto più è alto il guadagno di modo comune). 3. Necessità di cambiare più componenti per cambiare il guadagno Se desideriamo cambiare il guadagno del circuito, dobbiamo cambiare almeno due componenti (cioè almeno due resistenze). pag. 112 Fondamenti di Elettronica Appunti Circuito che corregge i precedenti difetti Vediamo ora come risolvere, uno per uno, i difetti precedentemente elencati. Nell’ordine: 1. Per prima cosa, possiamo osservare che utilizzando il circuito seguente: 2. consentiamo una migliore lettura dei valori delle tensioni in ingresso, indipendente dalle resistenze interne dei generatori indipendenti. Possiamo inoltre modificare il precedente circuito come rappresentato nella figura seguente: Se analizziamo idealmente il circuito, abbiamo, per la legge di Ohm: V V. IV 2R V Tenendo conto che la corrente in ingresso all’operazionale è nulla e applicando la LKV, otteniamo poi: V V. V¢ V R IV R 8 V R R8 2R V E, in maniera analoga: V V. Vµ V. IV R 8 V. R8 2R V Di conseguenza, il segnale differenziale che viene applicato è: V V. V V. R8 R8 R8 2 V. V · 11 R 2 V Vµ V¢ V. R 8 V R8 V. V · 11 R R 2R V 2R V 2R V 2R V RV R Ovvero, è uguale a quello che si avrebbe nel precedente circuito, moltiplicato per é1 R ïê. Rð Se invece valutiamo il segnale di modo comune che viene applicato al circuito, abbiamo: V R Vµ 1 V V. V V. V R V. V ¢ · 1V R R 8 R V. R8 2 2 2 2R V 2R V 2 Ovvero, è uguale a quello che avremmo nel circuito precedentemente analizzato. Di conseguenza, abbiamo così innalzato il fattore CMRR, che risulta uguale a quello del circuito 3. precedentemente analizzato, ma moltiplicato per é1 R Rï Rð ê. Il terzo problema precedentemente introdotto è già stato risolto con la modifica appena apportata: nell’ultimo circuito che abbiamo disegnato, possiamo cambiare l’amplificazione semplicemente sostituendo la resistenza indicata con 2RV . pag. 113 Fondamenti di Elettronica Appunti 10. Integratore Schema elettrico L’integratore è il circuito realizzato tramite lo schema elettrico seguente: Quando sarà necessario, nella nostra analisi supporremo che nel circuito i parametri in gioco assumano i seguenti valori: 1 100 Hz R 100 kΩ C 10 pF A 10V 2π · τ Analisi del circuito nel dominio del tempo Per prima cosa, verifichiamo che effettivamente questo circuito sia un integratore. Se consideriamo ideale l’A.O. abbiamo: V 0 V. Perciò la tensione ai capi della resistenza è uguale alla tensione in ingresso e, di conseguenza: V=+ I R Siccome la corrente che entra nell’operazionale è nulla, per la LKC abbiamo poi: V=+ I. I R Inoltre, sappiamo che la relazione costitutiva del condensatore è: dVC I. C · dt Perciò: V=+ dVC C· R dt Da cui segue: dVC V=+ dt RC Ovvero: 1 VC · ½ V=+ dt RC Infine, abbiamo, dalla LKV: 1 V?A VC · ½ V=+ dt RC Effetto della tensione di offset sul circuito Se l’operazionale dovesse avere una certa tensione di offset, gli effetti sul funzionamento del circuito sarebbero gravissimi. Infatti tale tensione verrebbe in sostanza integrata, come se si sommasse al segnale d’ingresso. Essendo però una tensione costante, il suo integrale aumenterà linearmente con il tempo, e quindi porterà l’uscita al valore di saturazione in tempo molto brevi, qualunque sia il valore della tensione d’ingresso. Ad esempio, assumendo V=+ 0V, avremmo: V9 I. I R dVC I. V9 dt C RC 1 V9 V?A VC R V9 V9 R · ½ V9 dt V9 R ·t RC RC pag. 114 Fondamenti di Elettronica Appunti Analisi del circuito nel dominio delle frequenze Se passiamo al dominio delle frequenze, l’analisi del circuito sarà la seguente: 1. Calcolo del guadagno ideale Se passiamo nel dominio delle frequenze, il circuito che otteniamo è formalmente analizzabile esattamente come un amplificatore invertente, nel quale però consideriamo delle impedenze anziché delle resistenze e nel quale abbiamo R al posto di R e ZC al posto di R . . Perciò: ZC 1 G= R sRC I diagrammi di Bode del guadagno ideale possono allora essere facilmente ricavati. Per quanto riguarda il modulo, abbiamo solamente un polo nell’origine, perciò il diagramma sarà una retta con inclinazione di –20 dB/dec. Per quanto riguarda invece la fase, osserviamo che G= è sempre un numero puramente immaginario, e più precisamente ha sempre parte immaginaria positiva: 1 1 G= iω ·i iωRC ωRC perciò la fase è costantemente a 90°. I diagrammi sono dunque i seguenti: 2. Naturalmente però il diagramma del modulo sopra riportato è in realtà irrealizzabile: per frequenze basse il guadagno tende all’infinito e, in particolare, se l’ingresso è una costante (cioè possiede frequenza nulla), il guadagno del circuito è infinito. Da un punto di vista teorico questo è corretto, perché l’integrale di una costante è una rampa, che va all’infinito, ma dal punto di vista pratico non è realizzabile. Vediamo ora di calcolare il guadagno d’anello ed il guadagno reale. Calcolo del guadagno d’anello Calcoliamo ora il guadagno d’anello: Per il partitore di tensione abbiamo, considerando infinita l’impedenza d’ingresso dell’operazionale: R V V R R ZC =GEÙG Per cui la tensione d’uscita è: R VGEÙG As · V As · V R R ZC =GEÙG E quindi: V R A R A sRC G¬5 GEÙG As · · · V=GEÙG R R ZC 1 R sτ R R 1 1 R sτ 1 R sRC sC Il diagramma di Bode del guadagno d’anello è perciò il seguente: pag. 115 Fondamenti di Elettronica Appunti 3. Vediamo ora come abbiamo fatto a calcolare le quote di tale diagramma. Per prima cosa, calcoliamo le frequenze dei due poli: 1 1 f5¢ 100 Hz f5µ $ 16 kHz 2π · τ 2π · RC A questo punto dobbiamo calcolare i punti nei quali il modulo del guadagno d’anello assume valore pari a 0 dB, ovvero le frequenze per le quali il modulo è unitario. La prima delle frequenze alle quali ciò accade è più piccola sia di f5¢ , sia di f5µ , perciò nell’intorno di tale frequenza assumiamo: A sRC A sRC G¬5 · $ · A · sRC 1 R sτ 1 R sRC 1R0 1R0 E dobbiamo avere: |G¬5f | 1 a | A · j 2πf RC| 1 a A 2πf RC 1 E quindi otteniamo: 1 f $ 0,16 Hz 2πA RC Con un procedimento analogo calcoliamo la seconda di tali frequenze, tenendo però conto che essa è superiore alle frequenze di tutti gli zeri e di tutti i poli del circuito, perciò: A sRC A sRC A · $ · G¬5 1 R sτ 1 R sRC sτ sRC sτ E dobbiamo avere: A A |G¬5 f. | 1 a ¡ ¡1 a 1 j2πf. τ 2πf. τ E quindi otteniamo: A f. $ 10 MHz 2πτ Infine, per calcolare il modulo del guadagno d’anello all’interno della banda, dobbiamo considerare: A sRC A sRC A G¬5 · $ · · RC 1 R sτ 1 R sRC sτ 1 R 0 τ E quindi il modulo del guadagno d’anello assumerà il valore: A 10V · RC · 100 · 10! · 100 · 107. 2π · 100 $ 628,3 $ 56 dB 1 τ 2π · 100 Grafico del guadagno reale L’espressione analitica del guadagno ideale è la seguente: 1 1 sRC sRC G= A G*h¬* 1 1 1 R sτ 1 R sRC A sRC R 1 R sτ 1 R sRC 1 1R A 1R sRC G¬5 A sRC 1 R sτ · 1 R sRC Applicando l’approssimazione per ottenere il diagramma di Bode del modulo del guadagno ideale, otteniamo facilmente il seguente grafico: Per calcolare il guadagno a frequenza nulla si è semplicemente posto s = 0 nell’espressione analitica del guadagno reale precedentemente ricavata. pag. 116 Fondamenti di Elettronica Appunti 11. Derivatore Schema elettrico Il derivatore è il circuito realizzato tramite lo schema elettrico seguente: Analisi del circuito nel dominio del tempo Possiamo verificare che il circuito è un derivatore attraverso questa breve analisi nel dominio del tempo: Se consideriamo ideale l’A.O. abbiamo: V 0 V. Perciò la tensione ai capi del condensatore è uguale alla tensione in ingresso e, di conseguenza: dV=+ I C · dt Siccome la corrente che entra nell’operazionale è nulla, per la LKC abbiamo poi: dV=+ I. I C · dt Possiamo ora applicare la legge di Ohm dVC V. R · I. RC · dt Infine, abbiamo, dalla LKV: dVC V?A V. RC · dt Analisi del circuito nel dominio delle frequenze Vediamo ora l’analisi del circuito nel dominio delle frequenze, limitandoci però solamente all’analisi ideale. Il circuito che otteniamo è formalmente analizzabile esattamente come un amplificatore invertente, nel quale però consideriamo delle impedenze anziché delle resistenze e nel quale abbiamo ZC al posto di R e R al posto di R. . Perciò: R G= sRC ZC I diagrammi di Bode del guadagno ideale possono allora essere facilmente ricavati. Per quanto riguarda il modulo, abbiamo solamente uno zero nell’origine, perciò il diagramma sarà una retta con inclinazione di 20 dB/dec. Per quanto riguarda invece la fase, osserviamo che G= è sempre un numero puramente immaginario, e più precisamente ha sempre parte immaginaria negativa: G= iω iωRC perciò la fase è costantemente a -90°. I diagrammi sono dunque i seguenti: pag. 117 Fondamenti di Elettronica Appunti Limitazioni del circuito Naturalmente però questo circuito possiede una serie di limitazioni. Ad esempio, se noi applicassimo in ingresso una rampa con inclinazione α, in teoria la tensione d’uscita dovrebbe essere inizialmente nulla, e poi assumere un valore costante, proporzionale all’inclinazione di tale rampa (ovvero pari a – αRC), con una variazione istantanea: nella realtà però le variazioni istantanee di tensione non possono esistere. Supponiamo ora di applicare in ingresso al circuito un gradino di tensione che all’istante t = 0 va da 0 V ad una tensione pari ad a Volt. In tal caso la tensione d’uscita dovrebbe essere sempre nulla, tranne in t = 0. In tale istante teoricamente dovremmo avere un impulso di area – a RC, ma nella realtà la tensione d’uscita è limitata dalle tensioni di saturazione, e perciò tale risultato non potrebbe essere ottenuto (si ricorda infatti che l’impulso ha ampiezza infinita). pag. 118 Fondamenti di Elettronica Appunti Capitolo 9: Filtri 1. I filtri Definizione Un filtro è un circuito elettrico che è in grado di effettuare un’operazione (detta appunto di filtraggio) che consiste nella selezione delle componenti in ingresso sulla base delle loro frequenze: le componenti che possiedono determinate frequenze vengono lasciate passare inalterate, mentre quelle ad altre frequenze vengono attenuate (idealmente annullate). Sulla base del criterio di selezione delle frequenze in ingresso si distinguono varie categorie di filtri. Di queste, noi analizzeremo le seguenti: 1. I filtri passa basso, che lasciano passare solo le frequenze inferiori a una certa frequenza di riferimento. 2. I filtri passa alto, che lasciano passare solo le frequenze superiori ad una certa frequenza di riferimento. 3. I filtri passa banda, che lasciano passare solo le frequenze comprese tra due frequenze di riferimento. 4. I filtri notch (o escludi banda) che escludono solo le frequenze comprese tra 2 valori di riferimento. Banda passante e banda attenuata Da un punto di vista ideale possiamo semplicemente dare le seguenti definizioni: Banda passante Chiamiamo banda passante di un filtro l’intervallo di frequenze che vengono lasciate passare inalterate dal filtro stesso. Banda attenuata Chiamiamo banda attenuata di un filtro l’intervallo di frequenze che vengono attenuate (o tagliate) dal filtro stesso. Idealmente è molto semplice distinguere tra banda passante e banda attenuata. Nella realtà però si passerà dall’una all’altra con continuità, quindi è opportuno introdurre le definizioni seguenti: Banda passante La banda passante di un filtro reale è l’intervallo di frequenze nelle quali il comportamento reale differisce da quello ideale di meno di 3 dB. In altri termini, la banda passante è quell’intervallo di frequenze tali che: |Hf|=*h¬* 3 dB |Hf|*h¬* |Hf|=*h¬* R 3 dB Dove |Hf|=*h¬* è il valore che ha idealmente il modulo della funzione di trasferimento del filtro stesso all’interno della banda passante (definita idealmente, come precedentemente visto). Banda di transizione In un filtro reale, chiamiamo banda di transizione l’intervallo di frequenze compreso tra la banda passante e la banda attenuata. pag. 119 Fondamenti di Elettronica Appunti 2. Filtri passa basso Definizione Il filtro passa basso è un filtro che lascia passare tutte le componenti in bassa frequenza e attenua tutte quelle alle alte frequenze. Filtro passa basso ideale Idealmente quindi il comportamento del filtro passa basso è rappresentabile tramite il seguente diagramma di Bode, nel quale però il modulo non è espresso in decibel. In sostanza quindi il filtro passa basso ideale ha una funzione di trasferimento il cui modulo è costante per ogni frequenza inferiore al riferimento fL e nullo per tutte le frequenze superiori. Filtro passa basso reale Naturalmente nella realtà non potremo avere una simile discontinuità, ma avremo un comportamento che approssimerà tale andamento, come mostrato nel grafico seguente: La funzione di trasferimento di un filtro passa basso reale è sempre del tipo: k Hs a+ s + R É R a Osserviamo quindi che la funzione di trasferimento non ha nessuno zero ed ha un certo numero n di poli. Il numero di poli del filtro prende il nome di ordine del filtro. Tanto più è alto l’ordine del filtro, tanto meglio il filtro reale approssima quello ideale. pag. 120 Fondamenti di Elettronica Appunti Filtro passa basso del primo ordine Funzione di trasferimento Un filtro passa basso del primo ordine è un passa basso che possiede un solo polo. La sua funzione di trasferimento è quindi del tipo: k Hs 1 R sτ Banda passante Siccome sappiamo che quando la frequenza è pari alla frequenza del polo l’attenuazione rispetto al valore che si ha a frequenza nulla è pari a –3 dB, la banda passante del filtro è quella che comprende tutte le frequenze tra 0 Hz e la frequenza del polo. Per brevità, si dice anche semplicemente che la banda del filtro è: 1 fP 2π · τ Usi del filtro passa basso Il filtro passa basso può essere utilizzato per limitare il rumore. Esso infatti taglia tutte le componenti di frequenza superiori ad fP e perciò, a patto di scegliere fP in modo che tutte le frequenze del segnale di ingresso siano inferiori a tale valore, si potranno evitare gli effetti di tutte quelle componenti di rumore che hanno frequenza superiore ad fP . Esempio di filtro passa basso: filtro passa basso attivo del primo ordine Un esempio di filtro passa basso attivo del primo ordine è il circuito noto anche come integratore approssimato, che è rappresentato nella figura a lato. Siccome abbiamo un solo condensatore, la nostra funzione di trasferimento presenterà un solo polo. La resistenza equivalente vista dal condensatore è R . , perciò la frequenza del polo è: 1 fP 2π · R . C Inoltre, a frequenza infinita il condensatore è un cortocircuito e perciò è facile notare che la tensione d’uscita è nulla (e quindi lo è anche il guadagno). Ciò significa che avremo un numero di poli superiore rispetto al numero di zeri. In altri termini, non avremo alcuno zero (come è ovvio, altrimenti non sarebbe un filtro passa basso). A frequenza nulla invece il condensatore è un circuito aperto, perciò otteniamo la configurazione invertente ed abbiamo: R. v?A v=+ R Ricaviamo perciò la seguente funzione di trasferimento: R. 1 Hs · R 1 R sR. C E la banda passante è 0 æ fP . Il precedente filtro ha un diagramma di Bode che, per frequenze superiori a fP , ha inclinazione di -20 dB/dec. Se il numero di poli è superiore, tale inclinazione aumenta. Ad esempio, se consideriamo un filtro del secondo ordine, avremo un’inclinazione di -40 dB/dec. Nei due diagrammi presenti sono raffigurati due casi possibili. Il primo si riferisce al caso in cui si abbiano due poli coincidenti, mentre il secondo è relativo a circuiti con due poli complessi coniugati, nei quali cioè si ha risonanza. Cenno ai filtri passa basso del secondo ordine pag. 121 Fondamenti di Elettronica Appunti 3. Filtri passa alto Definizione Il filtro passa alto è un filtro che lascia passare tutte le componenti in alta frequenza e attenua tutte quelle alle basse frequenze. Filtro passa alto ideale Idealmente dunque il comportamento del filtro passa alto può essere rappresentato tramite il seguente diagramma di Bode, nel quale però il modulo non è espresso in decibel, ma in scala naturale. In sostanza quindi il filtro passa alto ideale ha una funzione di trasferimento il cui modulo è nullo per ogni frequenza inferiore al riferimento fL e costante per tutte le frequenze superiori. Filtro passa alto reale In realtà non potremo avere una discontinuità come quella rappresentata nel precedente grafico, ma avremo un comportamento che approssimerà tale andamento, come mostrato nel grafico seguente: La funzione di trasferimento di un filtro passa alto reale è sempre del tipo: s+ Hs k a+ s + R É R a Osserviamo quindi che gli zeri della funzione di trasferimento sono sempre tanti quanti sono i suoi poli, e che tutti gli zeri sono nell’origine. Il numero di poli del filtro prende il nome di ordine del filtro. Anche in questo caso, tanto più è alto l’ordine del filtro, tanto meglio il filtro reale approssima quello ideale. pag. 122 Fondamenti di Elettronica Appunti Filtro passa alto del primo ordine Funzione di trasferimento Un filtro passa alto del primo ordine è un passa alto che possiede un solo zero nell’origine. La sua funzione di trasferimento è quindi del tipo: s Hs k 1 R sτ Banda passante In maniera simmetrica a quanto visto per il passa basso, possiamo dire che la banda passante del filtro passa alto del primo ordine è sempre l’intervallo di frequenze tra fP ed infinito, dove abbiamo: 1 fP 2π · τ Esempio di filtro passa alto: filtro passa alto attivo del primo ordine Un esempio di filtro passa alto attivo del primo ordine è il circuito rappresentato nella figura sottostante. Siccome abbiamo un solo condensatore, la nostra funzione di trasferimento presenterà un solo polo. La resistenza equivalente vista dal condensatore è R , perciò la frequenza del polo è: 1 fP 2π · R C Inoltre, a frequenza infinita il condensatore è un cortocircuito e perciò è facile notare che il nostro circuito si comporta come una semplice configurazione invertente, perciò: R. HR∞ R A frequenza nulla invece il condensatore è un circuito aperto, e quindi la tensione d’uscita è nulla. Avremo dunque: H0 0 E ciò significa che (proprio come ci aspettavamo) abbiamo uno zero nell’origine. Naturalmente non potremo avere altri zeri, perciò possiamo scrivere: s Hs k · 1 R sR C Ci rimane solo da calcolare k. Possiamo farlo sapendo che: R. lim Hs 9an¾ R Da cui ricaviamo: k R. R C R Ovvero: k R. C Perciò la funzione di trasferimento può anche essere scritta nella forma: s Hs R . C · 1 R sR C pag. 123 Fondamenti di Elettronica Appunti 4. Filtri passa banda Definizione Il filtro passa banda è un filtro che lascia passare tutte le componenti in frequenze comprese tra due “frequenze limite” finite e attenua tutte quelle in frequenze non appartenenti a tale intervallo. Filtro passa banda ideale Idealmente dunque il comportamento del filtro passa banda può essere rappresentato tramite il seguente diagramma di Bode, nel quale però il modulo non è espresso in decibel, ma in scala naturale. In sostanza quindi il filtro passa banda ideale ha una funzione di trasferimento il cui modulo è nullo per ogni frequenza inferiore al riferimento fL o superiore a fH e costante per tutte le altre frequenze. Filtro passa banda reale Anche in questo caso, tale comportamento è irrealizzabile, perciò si avranno dei circuiti la cui funzione di trasferimento avrà un andamento esprimibile tramite diagrammi simili al seguente: + s. Hs k a+ s + R É R a Ancora una volta, definiamo ordine del filtro il numero di poli che il filtro stesso possiede. Si osserva perciò che non esistono filtri passa banda del primo ordine. Da un punto di vista logico, possiamo pensare di ottenere un filtro passa banda semplicemente connettendo in serie due filtri, uno passa basso e l’altro passa alto (l’ordine con il quale li connettiamo, naturalmente, non ha alcuna importanza). La funzione di trasferimento di un filtro passa banda reale è del tipo: pag. 124 Fondamenti di Elettronica Appunti Filtro passa banda attivo del secondo ordine Come abbiamo detto, il modo più semplice di ottenere un filtro passa banda attivo del secondo ordine è quello di connettere in serie un filtro passa basso ed uno passa alto, come mostrato in figura: Tale schema può però essere semplificato come mostrato di seguito: Possiamo facilmente verificare che: - A frequenze nulla i condensatori sono dei cortocircuiti e perciò la tensione d’uscita è nulla (perché è uguale a quella ai capi di C. , cambiata di segno). Perciò: H0 0 Abbiamo quindi uno zero nell’origine. - A frequenze infinita i condensatori sono dei circuiti aperti e perciò la corrente che attraversa il generatore di ingresso è nulla, quindi lo è anche quella su R . . Di conseguenza, la tensione d’uscita è nulla: HR∞ 0 Di conseguenza, il numero di poli è superiore al numero di zeri. Siccome abbiamo due condensatori, avremo due poli e siccome abbiamo già trovato uno zero nell’origine, significa che non avremo altri zeri nella nostra funzione di trasferimento. - La resistenza equivalente vista da C è pari a R , perciò: τP¢ R C - La resistenza equivalente vista da C. è pari a R . , perciò: τPµ R . C. - La funzione di trasferimento quindi sarà del tipo: s Gs k 1 R sτP¢ 1 R sτPµ - Supponiamo ora τP¢ τPµ , ovvero fP¢ fPµ . In tal caso, a centro banda dovremmo considerare C un cortocircuito e C. un circuito aperto, ottenendo quindi: R. GMF R Dall’espressione della funzione di trasferimento ricaviamo inoltre: s k GMF $ k sτP¢ τP¢ Di conseguenza: R. k τP¢ C R . R Si potrebbe dimostrare che lo stesso risultato si ottiene anche supponendo τP¢ τPµ . - Otteniamo perciò la seguente funzione di trasferimento: s Gs C R . 1 R sR C 1 R sR . C. pag. 125 Fondamenti di Elettronica Appunti 5. Filtri notch Definizione I filtri notch (detti anche escludi banda o arresta banda) sono dei filtri che lasciano attenuano tutte le componenti in frequenze comprese tra due “frequenze limite” finite e lasciano passare tutte le restanti frequenze. Filtro notch ideale Idealmente dunque il comportamento del filtro notch può essere rappresentato tramite il seguente diagramma di Bode, nel quale però il modulo non è espresso in decibel, ma in scala naturale. In sostanza quindi il filtro passa banda ideale ha una funzione di trasferimento il cui modulo è costante per ogni frequenza inferiore al riferimento fL o superiore a fH e nullo per tutte le altre frequenze. Filtro notch reale Come visto per tutti i precedenti filtri, anche nel caso del filtro notch non è possibile implementare nella realtà il comportamento ideale. Di conseguenza, i diagrammi di Bode dei filtri notch saranno simili al seguente: Filtro notch attivo del secondo ordine La realizzazione circuitale di un filtro notch si ottiene semplicemente connettendo in parallelo un filtro passa basso ed un filtro passa alto: pag. 126 Fondamenti di Elettronica Appunti Capitolo 10: Oscillatori e comparatori 1. Gli oscillatori Definizione Gli oscillatori sono dei circuiti che sono in grado di generare un segnale senza riceverne alcuno in ingresso. Per svolgere tale funzione, gli oscillatori devono sfruttare le proprietà della retroazione. Principio di funzionamento degli oscillatori Per comprendere il principio di funzionamento degli oscillatori dobbiamo riprendere la teoria della retroazione. Abbiamo già visto che vale la relazione: Proviamo ora a supporre che si abbia: A S?A S=+ 1 R AH AH 1 S?A a∞ S=+ Questo è proprio il principio sul quale si basa il funzionamento degli oscillatori. Se infatti si riesce ad imporre un guadagno d’anello G¬5 AH 1 e supponiamo di riuscire ad avere in ingresso, anche solo per un istante, una certa sinusoide, il sistema si auto sostiene. In altri termini, il sistema farà in modo che continui per un tempo indefinito ad esserci una sinusoide in uscita, proprio grazie alla retroazione. In tal caso si ha: La condizione di Barkausen La condizione precedentemente enunciata, ovvero: G¬5 1 Prende il nome di condizione di Barkausen ed è la condizione che il circuito deve rispettare per poter oscillare. Si osserva che in realtà tale condizione è una condizione necessaria ma non sufficiente. Tuttavia, nelle nostre applicazioni potremo considerarla sufficiente. La condizione di Barkausen può essere espressa in maniera equivalente attraverso le due condizioni seguenti: |G¬5 | 1 ËG¬5 0° R n · 360° Proviamo ora ad analizzare ciò che accade se G¬5 Ø 1 e supponiamo di applicare solo per un istante una certa sinusoide all’ingresso del sistema in analisi. - Se G¬5 1, la sinusoide viene di fatto attenuata, e quindi tende ad annullarsi. - Se G¬5 1, la sinusoide viene amplificata, e quindi l’uscita tende idealmente a diventare una sinusoide di ampiezza infinita. pag. 127 Fondamenti di Elettronica Appunti 2. L’oscillatore a ponte di Wien Schema elettrico L’oscillatore a ponte di Wien è un oscillatore sinusoidale, il cui schema elettrico è il seguente: Osserviamo che la parte di circuito costituita dall’operazionale e dalle due resistenze R ed R . si occupa in sostanza di definire l’amplificazione, mentre la restante parte del circuito è quella che svolge il compito di selezionare la frequenza alla quale il sistema oscilla. Analisi del circuito Calcolo del guadagno d’anello Per calcolare il guadagno d’anello possiamo tagliare il circuito come mostrato a lato. Otteniamo: Z*J ∞ E inoltre possiamo scrivere: R. v 11 R 2 · VIG R E inoltre abbiamo: R R//ZC sRC R1 VOG v · v · R 1 R//ZC R R R ZC RRR sRC R 1 sC Che possiamo anche scrivere nella forma: sRC VOG ·v sRC R sRCsRC R 1 R sRC R 1 E perciò otteniamo: sRC sRC R. VOG . . . ·v · 11 R 2 · VIG R C s R 3sRC R 1 R. C . s . R 3sRC R 1 R In conclusione, il guadagno d’anello è: VO sRC R. G¬5 G . . . · 11 R 2 VIG R C s R 3sRC R 1 R Imposizione della condizione di Barkausen Imponiamo ora la condizione di Barkausen. 1. Imponiamo che la fase del guadagno d’anello sia 0°. sRC R. sRC 11 R 2 Ë . . . ËG¬5 Ë . . . ËsRC ËR. C . s . R 3sRC R 1 R C s R 3sRC R 1 R R C s R 3sRC R 1 Se poniamo poi s jω, otteniamo: ËG¬5 ËjωRC ËR. C . ω. R 3jωRC R 1 90° ËR. C . ω. R 3jωRC R 1 Imponiamo perciò: 90° ËR. C . ω. R 3jωRC R 1 0° Da cui: Ë3jωRC R 1 R. C . ω. R90° Ciò significa che il numero complesso 3jωRC R 1 R. C . ω. deve avere parte reale nulla e parte immaginaria positiva. Ottengo così la seguente condizione: R. C . ω. 1 Da cui: 1 1 ω a f9 RC 2πRC pag. 128 Fondamenti di Elettronica Appunti 2. Imponiamo che il modulo del guadagno d’anello sia unitario Sostituiamo la pulsazione precedentemente determinata e calcoliamo il modulo: j RC j R. 1 R. RC ¡G¬5 1s 2¡ ò · 11 R 2ò 11 R 2 1 j RC R 3 R . . R. C . R 3 RC RC R 1 R C Quindi dobbiamo imporre: 1 R. 11 R 2 1 3 R Ovvero: R. 1R 3 R Da cui segue facilmente la relazione: R . 2 · R Conclusione Possiamo quindi concludere che, purché si abbia R . 2 · R Il circuito in analisi sarà in grado di oscillare (ovvero di presentare in uscita una sinusoide) alla frequenza data dalla formula: 1 f9 2πRC Osservazioni Possiamo fare inoltre le seguenti osservazioni: 1. Abbiamo inizialmente affermato che affinché l’oscillatore possa funzionare è necessario che, in qualche modo, esso si trovi all’ingresso una certa sinusoide alla frequenza di oscillazione, anche se solo per un brevissimo istante. Questo problema viene risolto grazie al rumore. Sappiamo infatti che il rumore è in genere bianco, ovvero ha componenti a tutte le frequenze. Di conseguenza, quando accendiamo il circuito (cioè lo alimentiamo), esso sarà sicuramente in grado di trovare al proprio ingresso la componente del rumore alla frequenza di oscillazione, e questo sarà sufficiente perché il sistema possa oscillare. 2. Le resistenze che vengono messe in commercio non hanno un valore nominale di resistenza esattamente corrispondente a quello reale, ma si ha sempre un certo errore. Di conseguenza, è molto difficile che la condizione riguardante le due resistenze venga esattamente rispettata. Risoluzione del problema relativo agli errori nei valori delle resistenze Per risolvere tale problema è possibile sostituire ad R un componente leggermente diverso, noto come termistore. Il termistore è in sostanza un normale resistore, nel quale però il valore di resistenza dipende dalla temperatura. Supponiamo di adottare un termistore nel quale la resistenza aumenta all’aumentare della temperatura e ipotizziamo che il valore di resistenza del nostro termistore sia, alla temperatura iniziale, inferiore rispetto al valore ideale di R . In questo modo avremo inizialmente un guadagno d’anello con modulo superiore ad 1. La tensione d’uscita tenderà quindi ad andare all’infinito. Questo comporterà così una grande dissipazione di energia, che si trasformerà in calore. Di conseguenza, la temperatura del termistore aumenterà, e quindi aumenterà anche la sua resistenza, fino a quando si raggiungerà la situazione di equilibrio, in cui il termistore ha esattamente il valore di resistenza pari a quello ideale. pag. 129 Fondamenti di Elettronica Appunti 3. Stabilità dei circuiti retroazionati Introduzione In tutti i circuiti con l’operazionale analizzati prima di introdurre gli oscillatori abbiamo sempre supposto di avere retroazione positiva e che il guadagno d’anello avesse modulo molto maggiore di 1. Vogliamo però ora verificare se effettivamente tali circuiti non rischiano di soddisfare la condizione di Barkausen, diventando così instabili. Chiamiamo margine di fase il valore che assume il guadagno d’anello alla frequenza f alla quale il modulo del guadagno d’anello stesso assume valore unitario: φ ËG¬5 f Il margine di fase indica quindi di quanto si è distanti (cioè “al sicuro”) dalla condizione di Barkausen. Affinché il circuito sia stabile è necessario che si abbia φ 0° (anche se nella pratica si pone φ 45°). Margine di fase Stabilità della configurazione invertente con operazionale ad un solo polo Analizziamo ora la configurazione invertente: Supponendo che valgano i dati seguenti: A 1 As 10 Hz A 108 1 R sτ 2πτ Come abbiamo già visto, avremo: R A G¬5 s · R R R . 1 R sτ Il diagramma di Bode del modulo è quindi quello rappresentato a lato. R 10 kΩ R. 90 kΩ Di conseguenza esiste una frequenza f alla quale il modulo del guadagno d’anello è unitario. Tale frequenza è (ricordando la definizione di GBWP): f 10 Hz · 10V 1 MHz Dobbiamo ora verificare che a tale frequenza lo sfasamento sia di 0°. In tal caso, il circuito risulterebbe instabile. Possiamo rappresentare il diagramma di Bode della fase del guadagno d’anello, che è il seguente: Si mette in evidenza che in tale diagramma il contributo del segno meno è stato considerato di 180° anziché di -180°, ma ciò è equivalente (perché differiscono esattamente di un angolo giro). Perciò è immediato osservare da tale diagramma che non c’è alcun pericolo che si incorra in problemi di stabilità. In particolare, abbiamo: φ $ 90° In conclusione, possiamo affermare che se nel circuito retroazionato abbiamo un solo polo, non corriamo alcun rischio che il circuito stesso soddisfi la condizione di Barkausen e perciò diventi instabile. pag. 130 Fondamenti di Elettronica Appunti Stabilità della configurazione invertente con operazionale a due poli Analizziamo ancora la configurazione invertente: Supponendo questa volta che valgano i dati seguenti: A 1 As 10 Hz A 108 R 10 kΩ R . 90 kΩ 1 R sτ 1 R sτ 2πτ A questo punto dobbiamo suddividere l’analisi ulteriormente. Caso a) Supponiamo di avere: 1 100 MHz 2πτ In tal caso, siccome il secondo polo interviene ad una frequenza molto più elevata di quella a cui interviene il primo, possiamo di fatto considerare ancora valida l’analisi precedentemente fatta e perciò avremo ancora: φ $ 90° Caso b) Supponiamo di avere: 1 1 MHz 2πτ In questo caso otteniamo facilmente che i diagrammi di Bode del modulo e della fase sono i seguenti: φ $ 45° Si osserva però che, effettuando i conti, si può verificare la presenza di una risonanza nel diagramma di Bode del modulo del guadagno reale del circuito, in corrispondenza proprio della frequenza di 1 MHz: E quindi ricaviamo: pag. 131 Fondamenti di Elettronica Appunti Caso c) Supponiamo di avere: 1 289 kHz 2πτ In questo caso otteniamo facilmente che i diagrammi di Bode del modulo e della fase sono i seguenti: Osserviamo perciò che il margine di fase diviene sempre più piccolo. Inoltre, in prossimità della frequenza di 540 kHz il modulo del guadagno reale aumenterà maggiormente di quanto visto nel caso precedente (avremo una risonanza molto più alta). Caso d) Supponiamo di avere: 1 1 kHz 2πτ In questa situazione il diagramma di Bode è ancora analogo al precedente, ma con quote diverse. In particolare, possiamo facilmente ottenere che a 1 kHz il modulo è pari a 60 dB, e quindi la frequenza alla quale il diagramma interseca l’asse a 0 dB è pari a 31 kHz. Il diagramma di Bode della fase è invece il seguente: φ 0° Dunque, per f = 31 kHz, è rispettata la condizione di Barkausen. Ciò significa che il circuito in analisi è in realtà diventato un oscillatore. Il guadagno reale, in corrispondenza della frequenza di 31 kHz, andrà quindi all’infinito. Si osserva inoltre che, se si stabilisce che il circuito è un oscillatore, allora i diagrammi di Bode non possono darci altre informazioni utili riguardanti il circuito. Essi quindi, in tal caso, ci servono solamente per arrivare a stabilire che il circuito si comporta come un oscillatore. Deduciamo quindi che abbiamo: Stabilità della configurazione invertente con operazionale a tre poli Analizziamo nuovamente la configurazione invertente: Questa volta però supponiamo di avere: A 1 As 10 Hz R 10 kΩ R . 90 kΩ A 108 1 R sτ ! 2πτ Per semplicità abbiamo supposto che i tre poli dell’operazionale siano coincidenti. In questo caso, il guadagno d’anello del circuito potrà essere scritto come segue: R A G¬5 s · R R R . 1 R sτ ! pag. 132 Fondamenti di Elettronica Appunti E quindi i diagrammi di Bode del nostro circuito saranno i seguenti: φ $ 90° Proviamo ora a calcolare il guadagno reale. Sappiamo che vale la formula: Da tali diagrammi ricaviamo: · ôô äG*h¬* f 464 Hzä äG= fä 1 1 1 ôô G¬5 f che non è rilevante, è consideriamo solamente il restante termine. Abbiamo: Trascuriamo il fattore äG= fä, G¬5 f e7Í õ° Perciò: ôô E inoltre: 1 1 1 √2 ¡ ôô ¡ Íõ° . . 1 e 2 ×1 R 1 1 G¬5 f 1 1 1 ù ü Ëø Ë S1 T Ë1 eÍõ° arctg1 45° 1 û G ¬5 f 1 G¬5 f ÷ ú Da ciò ricaviamo che, teoricamente, il modulo e la fase del guadagno reale (diviso per il guadagno ideale) sono rappresentati dai seguenti diagrammi di Bode: Osserviamo però che il diagramma della fase è decisamente anomalo: i poli normalmente infatti danno un contributo di fase negativo. I poli in questione invece sono dei poli particolari, che prendono il nome di poli nel semipiano destro, in quanto, a differenza di tutti quelli fino ad ora incontrati (che avevano parte reale negativa) questi poli hanno parte reale positiva. 1 Consideriamo ad esempio di avere un circuito RC. Sappiamo che in tal caso abbiamo un polo: s RC Il quale comporta sull’uscita un fattore del tipo: A e7RC In maniera analoga, se avessimo un polo con parte reale positiva, come ad esempio: A Potremmo dedurre, per pura analogia formale, che l’uscita avrà un fattore: sR 1 RC eRC E perciò l’uscita tende all’infinito per t che tende all’infinito. Di conseguenza, un sistema che presenta dei poli nel semipiano destro è un sistema instabile. Possiamo perciò concludere che anche in questo caso il sistema è instabile. pag. 133 Fondamenti di Elettronica Appunti 4. I comparatori Semplice circuito comparatore Il più semplice comparatore che possiamo pensare di realizzare utilizzando un operazionale è il circuito seguente, la cui caratteristica è riportata nel grafico a lato del circuito stesso. Difetti del comparatore semplice Tale circuito però presenta alcuni importanti difetti: 1. Se la tensione d’ingresso è molto vicina alla tensione di riferimento, l’operazionale non è ancora saturo e quindi si ha una dipendenza lineare della tensione d’uscita dalla tensione d’ingresso: V?A A · V=+ VREF Ciò accade in realtà solo per pochi µV, ma può comunque rappresentare un problema. 2. La tensione d’uscita è molto influenzata dal rumore. Consideriamo ad esempio i due grafici seguenti, che riportano l’andamento di una certa tensione applicata all’ingresso dell’operazionale e la tensione che idealmente dovremmo avere in uscita: Nella realtà però sulla tensione d’ingresso avremo un certo rumore, perciò dovremmo modificare come segue i due diagrammi temporali: pag. 134 Fondamenti di Elettronica Appunti 5. Il trigger di Schmitt invertente Caratteristiche di base Per risolvere i problemi del precedente circuito, vorremmo poter introdurre un circuito che non possieda una zona lineare e che sia progettato in modo che, una volta oltrepassata la tensione di riferimento, non faccia variare più volte in breve tempo la tensione d’uscita solamente a seguito del rumore. Schema elettrico Lo schema elettrico del circuito che utilizzeremo per risolvere tale problema è il seguente: Analisi del circuito Possiamo calcolare il guadagno d’anello del circuito sopra raffigurato, ottenendo: R R A G¬5 s · As · R R R . R R R . 1 R sτ Di conseguenza, i diagrammi di Bode relativi al guadagno d’anello sono i seguenti: φ $ 90° E quindi il nostro sistema è instabile. Osserviamo ora ciò che accade: - Se v=+ 0 e, per qualche ragione (es.: rumore), vn 0, allora la retroazione amplificherà vn e farà aumentare la tensione d’uscita. Se aumenta la tensione di uscita però aumenta anche la tensione al morsetto non invertente, ovvero vn , che è una partizione della tensione d’uscita. Di conseguenza, in breve (o meglio, istantaneamente) la tensione d’uscita raggiunge il valore di saturazione: v?A R V9hA - Se v=+ 0 e vn 0, allora, per un effetto del tutto analogo a quello appena descritto, avremo: v?A V9hA - Se v=+ 0 e vn 0, allora possiamo facilmente intuire che avremo: v?A 0 Si osserva perciò che l’uscita non è univocamente determinata dal valore assunto dalla tensione in ingresso, perché possiamo avere diversi valori di uscita pur con lo stesso valore di tensione in ingresso. In particolare, abbiamo descritto tre possibili punti di equilibrio. Tuttavia l’ultimo di questi tre è in realtà un punto di equilibrio instabile, nel quale il circuito non può restare. La tensione quindi andrà immediatamente a R V9hA oppure a V9hA . Ne consegue che il circuito in analisi è un bistabile, ovvero un circuito che possiede due soli stati stabili. Osserviamo dunque che abbiamo: pag. 135 Fondamenti di Elettronica Appunti La tensione d’uscita potrà perciò assumere solamente i valori R V9hA e V9hA . Quando la tensione d’uscita è pari a R V9hA , la tensione sul morsetto non invertente è: R VnklF R V9hA R R R . Analogamente, quando la tensione d’uscita è pari a V9hA , la tensione sul morsetto non invertente è: R Vnk V9hA R R R . Consideriamo dunque che si abbia inizialmente V?A RV9hA . In tal caso, fino a quando la tensione d’ingresso è inferiore a VnklF , la tensione d’uscita non potrà cambiare. Quando invece la tensione d’ingresso supera tale valore, la tensione d’uscita passerà al valore V9hA . Se invece abbiamo inizialmente V?A V9hA , allora la tensione all’ingresso non invertente è Vnk e fino a quando la tensione d’ingresso rimane superiore a tale valore, la tensione d’uscita rimane pari a V9hA , mentre quando passa al di sotto di Vnk la tensione d’uscita passa al valore di RV9hA. Questo comportamento si traduce nella seguente curva caratteristica: Determinazione della caratteristica del circuito Un sistema di questo genere viene detto dotato di memoria o di isteresi. Influenza del rumore sul trigger di Schmitt Osserviamo che il rumore influenza molto meno il circuito rispetto al semplice comparatore. L’unico effetto che si osserva è lo spostamento dell’istante di commutazione, ma tale spostamento è in realtà molto poco rilevante. Cenno al trigger di Schmitt non invertente Il trigger di Schmitt analizzato è invertente, perché assume un valore alto di tensione quando l’ingresso è inferiore alla soglia. Il trigger non invertente può essere realizzato come mostrato nello schema a sinistra tra i due seguenti. Lo schema a destra mostra inoltre come è possibile spostare la soglia, impostandola ad un certo riferimento VREF anziché a 0 V. pag. 136 Fondamenti di Elettronica Appunti 6. Multivibratore astabile (generatore di onda quadra) Schema elettrico Il multivibratore astabile è un circuito che vibra tra due condizioni senza mai raggiungere uno stato stabile. Esso è realizzato mediante il seguente schema elettrico: Analisi del circuito Consideriamo che i componenti del circuito abbiano i seguenti parametri: R 10 kΩ R. 100 kΩ R 1 MΩ C 100 nF VSAT 12 V Assumiamo che inizialmente si abbia: V?A RVSAT 12 V vC 0 V Dove vC è la tensione ai capi del condensatore. Sotto tale ipotesi, la tensione all’ingresso non invertente è: R 12 VnklF V V R. R R SAT 11 Inoltre, la resistenza avrà ai suoi capi una certa tensione, quindi sarà percorsa da una certa corrente. Tale corrente è sempre uguale a quella che attraversa il condensatore. Quindi siccome il condensatore è attraversato da una certa corrente, la tensione ai suoi capi aumenta. Quando poi tale tensione supera Vn , che è fino ad ora rimato costante al valore precedentemente calcolate, la tensione d’uscita passa da VSAT a VSAT . A questo punto il condensatore inizierà a scaricarsi sulla resistenza R, fino a quando la tensione ai suoi capi raggiunge il valore: R 12 Vnk V V 11 R . R R SAT A questo punto il condensatore inizia nuovamente a caricarsi, e si ripetono in sostanza tali dinamiche ciclicamente, all’infinito. Di conseguenza, è stato in sostanza realizzato un generatore d’onda quadra. pag. 137 Fondamenti di Elettronica Appunti Calcolo della frequenza di oscillazione Possiamo ora valutare la frequenza di oscillazione del nostro circuito. Per farlo, calcoliamo dapprima il periodo T della nostra onda quadra. Abbiamo: T t . t R t ! t . Iniziamo valutando ∆t t ! t . . Tale intervallo di tempo è lo stesso intervallo di tempo che impiega il . . condensatore per passare dalla tensione V alla tensione V. Possiamo scrivere analiticamente la tensione ai capi del condensatore anziché in funzione di t, in funzione di un tempo “traslato”: t t t . Osservando poi che la tensione ai capi del condensatore tenderebbe a raggiungere il valore VSAT e che la resistenza equivalente vista dal condensatore è R, otteniamo: A R 2þ · 11 e7RC 2 vC t ýVSAT 1VSAT R . R R Imponendo quindi: R vC ∆t VSAT R . R R Otteniamo un’equazione, la cui soluzione (non riportiamo qui tutti i passaggi) è la seguente: 2R R R . ∆t RC · ln R. E in maniera analoga possiamo ottenere esattamente lo stesso risultato per t . t . Perciò abbiamo: 2R R R . T 2 · ∆t 2RC · ln R. E quindi: 1 1 $ 2,7 Hz f9 T 2RC · ln 2R R R . R. Osserviamo quindi che, agendo opportunamente sui valori delle resistenze e delle capacità in gioco, possiamo modificare il valore della frequenza di oscillazione del circuito. pag. 138 Fondamenti di Elettronica Appunti Capitolo 11: Convertitori DAC e ADC 1. La conversione Introduzione Come abbiamo visto nel primo capitolo, i segnali possono essere fondamentalmente di due tipi: analogici oppure digitali. I segnali normalmente forniti dai sensori sono di tipo analogico. Tuttavia, è molto più semplice implementare un sistema di elaborazione digitale rispetto ad un sistema che manipoli direttamente dei segnali analogici. Per tale ragione si rende opportuno effettuare delle conversioni da segnale analogico a segnale digitale e viceversa, implementando di fatto uno schema come il seguente: Sensori Elaborazione analogica ADC Elaborazione digitale DAC Trasduttori di uscita Dove il blocco ADC (Analog to Digital Converter) rappresenta i convertitori analogico-digitali, che, come dice il nome stesso, trasformano un segnale analogico fornendone uno digitale in uscita. Il blocco DAC (Digital to Analog Converter) compie invece l’operazione inversa, ovvero la trasformazione di un segnale digitale in un segnale analogico. 2. Parametri di un DAC Il DAC In sostanza ciò che deve fare un DAC (convertitore digitale-analogico) è associare ad ogni possibile combinazione degli n ingressi digitali che esso possiede un certo livello di tensione in uscita: Parametri di un generico DAC Prima di analizzare le configurazioni effettivamente utilizzate per realizzare un convertitore digitaleanalogico (DAC), elenchiamo brevemente quelle che sono le caratteristiche principali che lo identificano: Numero di bit (n) In genere indichiamo con n il numero di bit che costituiscono la parola d’ingresso ricevuta dal DAC. Full Scale Range (FSR) Rappresenta l’intervallo di tensioni esplorate. Tale valore corrisponde perciò alla tensione di alimentazione ed è detto anche valore di fondoscala. Si osserva che il FSR non corrisponde alla tensione di uscita che si ha nel caso in cui tutti i bit vengano posti ad 1. Risoluzione LSB (Less Significant Bit) Il parametro LSB indica di quanto sono distanziati tra loro i valori di tensione in uscita associati a due codici d’ingresso successivi. La risoluzione del DAC è perciò data dalla formula: Fondamenti di Elettronica Appunti Principali errori dei DAC Offset L’offset è la differenza tra lo zero reale del DAC e lo zero ideale del convertitore stesso. Essa è quindi dovuta al contributo delle correnti di bias e della tensione di offset dell’operazionale. Guadagno L’errore di guadagno è l’errore dovuto ad una maggiore o minore pendenza della caratteristica del DAC rispetto a quella ideale. Tale errore può perciò essere così rappresentato: L’errore di guadagno è dovuto in genere a valori di resistenza che sono diversi da quelli nominali. Non linearità differenziale (DNL) La non linearità differenziale è un errore dovuto al scostamento che si ha nel passaggio da un codice al successivo. Idealmente infatti tale scostamento è di 1 LSB, ma nella realtà no. L’errore dovuto alla non linearità differenziale quindi si calcola con la formula seguente: Codice R 1 VElE Codice LSB V DNL ElE LSB Non linearità integrale (INL) La non linearità integrale è il massimo scostamento tra un punto reale della caratteristica del DAC e il punto corrispondente sull’interpolante ideale. V VÏElE INL ~ ElE ì LSB h: Setting time A differenza dei precedenti, il setting time è un parametro dinamico. Idealmente, se cambia la parola digitale in ingresso, la tensione d’uscita dovrebbe cambiare in maniera istantanea. Nella realtà però ciò non accade e ci vuole un certo intervallo di tempo prima che l’uscita si assesti al valore a regime. Il tempo di commutazione è definito proprio come il tempo che intercorre tra l’istante in cui varia la parola di ingresso e l’istante in cui la tensione d’uscita assume valori che si discostane a meno di metà LSB dal valore che deve assumere a regime, come mostrato nel grafico seguente: In particolare, il setting time viene definito proprio sulla base della transizione dalla parola di ingresso costituita da soli zeri alla parola di ingresso costituita solamente da 1. Precisione Come ogni altro circuito elettronico, anche il DAC è soggetto a rumore. Di conseguenza, anche applicando una tensione d’ingresso costante, la tensione d’uscita non sarà esattamente costante, ma ad essa sarà sovrapposto un certo rumore. La precisione quindi ci viene fornita per mezzo della deviazione standard della fluttuazione sovrapposta alla tensione ideale d’uscita quando il codice di ingresso è costante. In questo senso quindi la precisione è un indicatore della ripetibilità dell’uscita a parità di codice di ingresso (con ripetibilità si intende che con lo stesso ingresso si dovrebbe avere la stessa uscita). pag. 140 Fondamenti di Elettronica Appunti 3. DAC a resistori pesati Schema elettrico (a 3 bit) Possiamo realizzare un convertitore digitale analogico sfruttando il seguente schema elettrico: Tale schema elettrico sfrutta il nodo sommatore ed utilizza i diversi valori di resistenza per attribuire pesi diversi ai singoli bit. In sostanza esso è basato sul fatto che, per convertire un numero da digitale ad analogico, dobbiamo applicare la formula: N b · 2 R b · 2 R b. · 2. Se ad esempio N = 1, allora l’unico deviatore non a massa sarà quello relativo a b , ovvero il LSB. Perciò: VR R 1 v · ·V 4R 2 8 R Ad esempio, con VR 10 V avremo, nel caso N = 1, v 1,25 V. Se invece N = 3, allora l’unico deviatore a massa sarà quello relativo a b! , ovvero il MSB. Perciò: VR VR R 3 2 · · V 3,75 V v 1 R 4R 2R 2 8 R E in maniera analoga possiamo calcolare anche tutti gli altri livelli di tensione. Possiamo perciò riassumere nella tabella seguente il comportamento del circuito in analisi: b b b. v N Analisi del circuito 0 0 0 0 1 1 1 1 Ovvero: 0 0 1 1 0 0 1 1 0 1 0 1 0 1 0 1 v LSB · N pag. 141 0 1 2 3 4 5 6 7 0V 1,25 V 2,50 V 3,75 V 5,00 V 6,25 V 7,50 V 8,75 V Fondamenti di Elettronica Appunti Effetti delle non idealità dell’operazionale Tensione di offset Possiamo stimare l’effetto della tensione di offset sull’uscita osservando che, spegnendo tutti gli altri generatori indipendenti, otteniamo il circuito nella figura seguente. Le tre resistenze all’ingresso non invertente sono tra loro in parallelo, perciò possiamo sostituire ad esse R*J ed otteniamo: R ù v P1 R 2 Q · VOS ø1 R R *J R R ü 2 2 Q · V 13 · V · V P1 R OS OS û OS 1 4 8 1 1 1 5R R R ÷ R 2R 4R ú Di conseguenza la curva caratteristica del nostro convertitore risulterà traslata verso l’alto o verso il basso (a seconda del verso di VOS ). Nel nostro caso la tensione di offset non rappresenta un grosso problema, perché essa sarà dell’ordine dei millivolt, ovvero molto inferiore rispetto alla risoluzione del DAC. Tuttavia all’aumentare del numero di bit la risoluzione diminuirà e perciò l’offset potrebbe essere più influente sull’uscita. Correnti di bias Consideriamo ora l’effetto delle correnti di bias sull’uscita: La corrente IBç non produce alcun effetto sulla tensione d’uscita, perché va tutta verso massa. La corrente IB¿ invece produce sull’uscita l’effetto: R |v | IB¿ · 2 Di conseguenza avremo ancora una volta una traslazione verso l’alto o verso il basso della caratteristica del circuito. Resistenza degli interruttori Gli interruttori hanno una certa resistenza interna. Tale resistenza quindi, quando l’interruttore è chiuso, risulta essere in serie alla resistenza alla quale è collegato l’interruttore stesso. In questo modo la tensione d’uscita risulterà alterata. In particolare, tale errore risulta molto più grave rispetto ai precedenti, perché comporta la perdita di linearità: le tensioni non sono più equidistanti tra loro. Il grafico seguente riporta qualitativamente come dovrebbe essere l’uscita ideale del DAC (in grigio) e come invece è quella che si ha considerando la resistenza degli interruttori. Tale grafico mette in evidenza che la resistenza sugli interruttori ha maggiore effetto sui bit più significativi. pag. 142 Fondamenti di Elettronica Appunti Problemi specifici del DAC a resistenze pesate Oltre ai problemi che abbiamo già introdotto per ogni DAC, il convertitore digitale analogico a resistori pesati presenta altri due problemi: Grande escursione di resistenze: ridotta precisione e occupazione di spazio fisico Se il numero n di bit è molto elevato, le resistenze dovranno avere valori molto diversi tra loro. Dovremo perciò scegliere alcuni resistori con resistenze molto piccole, sui quali influirà molto la resistenza interna degli interruttori, e resistenze invece molto grandi. Inoltre, le tecnologie costruttive delle resistenze saranno molto diverse quindi si avranno errori molto diversi tra i valori nominali e reali delle resistenze del circuito. Questo quindi riduce di molto la precisione del convertitore. La necessità di avere anche resistenze molto grandi comporta una dimensione molto elevata di tali resistori. Questo naturalmente rappresenta un problema importante per l’elettronica integrata, nella quale è importante ridurre al minimo l’occupazione fisica dello spazio. Di conseguenza, il DAC a resistenze pesate si utilizza solamente per numeri ridotti di bit (n < 10). Variazione di corrente Nella realtà la tensione di riferimento è erogata da un generatore reale, il quale ha perciò una certa resistenza in serie ad esso: Si può facilmente osservare che la corrente che attraversa tale resistenza è diversa a seconda dello stato degli interruttori (ovvero dal codice in ingresso). A seconda della corrente che attraversa tale resistenza, la tensione di riferimento realmente fornita sarà diversa. Di conseguenza, si ha un disturbo sull’uscita che dipende dalla parola in ingresso. Questo rappresenta quindi una non linearità nel circuito. Per risolvere tali problemi si può introdurre un diverso convertitore, il quale però non sarà in grado di risolvere tutti i problemi precedentemente elencati. pag. 143 Fondamenti di Elettronica Appunti 4. DAC a scala R-2R Schema elettrico (a 4 bit) Lo schema del DAC a scala R-2R è il seguente: Analisi del circuito Si osserva che su ogni resistenza passa sempre la stessa corrente. Consideriamo come esempio il bit più significativo (MSB). Nel caso in cui il bit sia a 0 la resistenza si trova infatti tra VR e massa, mentre quando il bit è a 1, la resistenza si trova tra VR e la massa virtuale. La tensione ai suoi capi quindi è sempre la stessa e, per la legge di Ohm, possiamo dire lo stesso anche per la corrente. Tale corrente però viene deviata a massa se il bit è a 0, mentre entra nel nodo sommatore quando il bit è a 0. Possiamo così calcolare le tensioni ai capi delle resistenze: Sulla base della precedente considerazione possiamo scrivere: VR 1 VR 1 VR 1 1 R b · 1 2 · R b. · 1 2 · R b! · VR · IDAC b · 1 2 · 8 2R 4 2R 2 2R 2R Sappiamo inoltre che: v IDAC · R VR 1 1 1 VR · 1 · b R · b R · b. R b! 2 · b= · 2=7+ 4 2 2 8 2 + Di conseguenza il circuito realizza effettivamente un convertitore DAC. = Risoluzione dei problemi del DAC a resistori pesati Si osserva che, come già messo in evidenza, la corrente che attraversa i resistori è sempre la stessa. La corrente sul generatore indipendente di tensione quindi non dipende dal codice in ingresso. Abbiamo così risolto il problema della non linearità che era presente nel DAC a resistori pesati. Per quanto riguarda invece il problema dei diversi valori di resistenza, è evidente dallo schema circuitale che tutti i resistori hanno solamente i due valori R e 2R. pag. 144 Fondamenti di Elettronica Appunti 5. Amplificatore con guadagno variabile digitalmente Schema elettrico Possiamo sfruttare il DAC a scala R-2R per realizzare, tramite opportune modifiche a tale configurazione, un amplificatore invertente nel quale il guadagno può essere modificato digitalmente, ovvero varia in base al codice digitale ricevuto in ingresso dal circuito stesso. In particolare, lo schema che realizza tale circuito è il seguente: Schema elettrico L’analisi del circuito risulta in realtà molto semplice. Osserviamo infatti che la prima parte del circuito, ovvero la scala R-2R, è già stata analizzata quando è stato introdotto il DAC. L’unica differenza è che al posto della tensione di riferimento VR abbiamo in questo caso la tensione d’uscita, ovvero v . Di conseguenza, possiamo facilmente scrivere: IDAC 1 b b b. v v R R R b! 2 · · b= · 2=7+ 8 4 2 2R 2R +7 = Ricordando che la corrente in ingresso all’operazionale è sempre nulla e scrivendo la legge di Kirchhoff al nodo cui è collegato l’ingresso non invertente dell’operazione otteniamo poi: v=+ IDAC R Ovvero, sostituendo la precedente relazione: v v=+ · b= · 2=7+ 2R R +7 = 2 · v=+ v=+ 2+ · =7+ ∑+7 b N · 2 = = Si osserva poi che nel caso in cui la parola in ingresso dovesse essere 0, allora avremmo al denominatore di tale espressione una quantità nulla. Nella realtà, tale situazione comporta la mancanza di retroazione nel circuito: l’operazionale andrà perciò in saturazione. Da cui si ricava facilmente: v pag. 145 Fondamenti di Elettronica Appunti 6. Convertitori analogico-digitali (ADC) Convertitori analogico digitali I convertitori analogico digitali sono dei circuiti che ricevono in ingresso un segnale analogico (una tensione oppure una corrente) e restituiscono in uscita un segnale di tipo digitale, che rappresenta la conversione del segnale ricevuto in ingresso. In particolare, noi ci occuperemo solamente di ADC che ricevono in ingresso un segnale in tensione, e non in corrente. La caratteristica di un ADC può essere rappresentata nel modo seguente: Dove LSB rappresenta la risoluzione del convertitore ed è così calcolabile (chiamando n il numero di bit): VFS LSB + 2 Errore di quantizzazione Possiamo facilmente osservare che i convertitori ADC comportano una perdita inevitabile di informazione. Tale perdita di informazione è nota con il nome di errore di quantizzazione. L’errore di quantizzazione, definito come la differenza tra il livello di tensione che si otterrebbe riconvertendo in analogico il codice d’uscita dell’ADC e la tensione ricevuta in ingresso dall’ADC stesso. pag. 146 Fondamenti di Elettronica Appunti 7. Convertitore ADC di tipo Flash Schema elettrico Il convertitore ADC di tipo Flash è un circuito realizzato nel modo seguente: Dove il numero di comparatori (e perciò di operazionali) necessari per l’implementazione del convertitore è dato dalla formula seguente (nella quale è indicato con n il numero di bit del segnale digitale in uscita): n5hhA= 2+ 1 Il circuito di codifica è un circuito digitale che si occupa di elaborare le tensioni ricevute in ingresso per fornire la corrispondente uscita. Il codificatore è detto anche encoder termometrico. Caratteristiche 1. 2. Velocità Questo circuito è molto utilizzato perché è molto veloce: il nome “convertitore flash” fa riferimento proprio a questa sua caratteristica. In particolare, il tempo necessario per convertire la tensione di ingresso è pari al tempo che l’operazionale impiega a commutare di stato, che è dell’ordine dei nanosecondi. Elevato numero di comparatori Al vantaggio che abbiamo appena descritto va però aggiunto un notevole svantaggio: il numero di comparatori necessario per realizzare questo tipo di comparatori dipende esponenzialmente dal numero di bit che si utilizzano (ad esempio, con 16 bit abbiamo bisogno di 65.535 operazionali!). Questo comporta un duplice svantaggio: la dissipazione di molta potenza e una molto elevata occupazione di spazio richiesta dal circuito stesso. pag. 147 Fondamenti di Elettronica Appunti 8. Convertitore ADC a contatore-rampa Idea di base L’idea di base di questo circuito è quella di utilizzare un unico comparatore avente in uno dei suoi ingressi la tensione di ingresso, e nell’altro una tensione di riferimento variabile: facendo variare la tensione di ingresso saremo poi in gradi di trovare quel valore di tensione tale che ci dia un errore inferiore a mezzo LSB, e che perciò ci permetta di ottenere il codice digitale in uscita. Schema elettrico Lo schema elettrico utilizzato per realizzare tale funzione è il seguente: Analisi del circuito In sostanza il contatore continua ad aumentare il proprio conteggio. Quando viene portato ad 1 il reset, ² del latch viene portata a 1 e il contatore viene azzerato. Il reset viene poi subito riportato a zero, l’uscita Q ma in questo modo entrambi gli ingressi del latch S-R sono a zero, e quindi esso rimane in stato di memoria ² rimane alta. e l’uscita Q ² è alta, l’uscita della AND è sempre uguale al Possiamo inoltre facilmente osservare che, fino a quanto Q clock CK, perciò ad ogni periodo il contatore incrementerà di uno il proprio conteggio. Il DAC poi, ogni volta che viene incrementato il conteggio, aggiornerà la sua tensione d’uscita VDAC , che assumerà il valore di tensione corrispondente a quel particolare codice digitale contenuto nel contatore. Tale uscita viene comparata con la tensione d’ingresso. Se la tensione d’ingresso diventa inferiore rispetto a VDAC , la tensione d’uscita dell’operazionale sarà pari a RVSAT e quindi l’ingresso S del latch diventerà alto. In tal modo, l’uscita EOC (End Of Count) viene portata al livello logico alto e ciò indica che il convertitore ha terminato ² diventa basso e quindi la porta AND darà in uscita il valore 0: il contatore non le sue operazioni. Inoltre Q potrà più incrementare il proprio conteggio. A questo punto perciò si potrà prelevare in uscita dal contatore il codice che esso contiene: si avrà in tal modo una codifica digitale (sempre per eccesso) della tensione d’ingresso del convertitore ADC. Caratteristiche del circuito 1. Elevato tempo di conversione Dalla precedente analisi si osserva che il tempo di conversione del circuito è molto elevato. In particolare, esso dipende dal valore della tensione in ingresso (maggiore è la tensione d’ingresso, maggiore è il tempo di conversione). Naturalmente quindi il massimo tempo di conversione si ha quando il codice d’uscita sarà costituito solamente da cifre pari ad 1. Affinché il contatore raggiunga tale configurazione sono necessarie 2+ transizioni (si deve contare a 0 a 2+ 1). Perciò: T+xklF 2+ · TCK Se ad esempio abbiamo n = 16 e fCK 100 MHz, allora potremo effettuare fino a 1.530 conversioni al secondo. pag. 148 Fondamenti di Elettronica Appunti 9. Convertitore ADC a inseguimento Schema elettrico Il convertitore ADC ad inseguimento adotta una logica molto simile rispetto a quella dell’ADC a contatorerampa: anche in questo caso infatti si utilizza un contatore. Si osserva però che in genere la tensione non varia di molto da una conversione alla successiva, perciò in genere è sufficiente incrementare o decrementare di uno il precedente codice per ottenere quello nuovo. Tale osservazione si traduce nel seguente schema elettrico: Il blocco indicato con il termine “logica” implementa un semplice circuito digitale che attiva la linea UP quando riceve un segnale logico basso e la linea DOWN quando riceve un segnale logico alto. La linea UP indica al contatore che nel prossimo periodo di clock deve incrementare il proprio conteggio, viceversa se è attiva la linea DOWN il contatore dovrà decrementare il conteggio. Caratteristiche 1. Agganciamento del segnale Inizialmente il convertitore di questo tipo si comporterà esattamente come il precedente circuito (convertitore a contatore-rampa). Tuttavia, dopo che è stata effettuata la prima conversione, se il segnale non varia troppo velocemente, esso viene di fatto “agganciato” dal segnale, e perciò in un solo periodo di clock esso sarà in grado sempre di riallinearsi alla tensione di ingresso, come mostrato dal grafico seguente. Tuttavia, se il segnale di ingresso varia troppo velocemente, il convertitore non è in gradi di seguirlo, perché è troppo lento, e quindi si “sgancerà” dal segnale. Se tale fenomeno non si verifica, dopo la prima conversione si ha: T+x TCK pag. 149 Fondamenti di Elettronica Appunti 2. Massima frequenza del segnale in ingresso Vogliamo ora calcolare la massima frequenza che deve avere il segnale di ingresso perché l’uscita rimanga ad esso agganciata. Per fare tale calcolo, supponiamo di avere in ingresso una sinusoide come quella in figura: Si osserva che si è scelto di analizzare una sinusoide con ampiezza VREF . perché questo rappresenta di fatto il caso peggiore (ovvero il “caso critico”). Possiamo scrivere: VREF VREF VIN · sen2π · fIN · t R 2 2 Perciò: dVIN VREF 2π · fIN · · cos2π · fIN · t dt 2 E quindi: dV ~ IN ¡ π · fIN · VREF dt h: Sappiamo che la velocità di conversione (in Volts/secondo) del nostro convertitore ADC è data dall’espressione: LSB fDACklF TCK Dobbiamo quindi imporre: LSB π · fIN · VREF TCK Da cui si ricava immediatamente: VREF LSB 1 2+ fIN π · TCK · VREF π · TCK · VREF π · 2+ · TCK Possiamo prendere in analisi i seguenti esempi numerici: - Se fCK 100 MHz e n = 8 bit, abbiamo fIN 124 - Se fCK 10 MHz e n = 16 bit, abbiamo fIN 50 Osserviamo perciò che la frequenza del segnale di ingresso deve essere davvero molto bassa. 10. Convertitore ADC ad approssimazioni successive Schema elettrico Il convertitore ADC ad approssimazioni successive è realizzato per mezzo del seguente schema elettrico: pag. 150 Fondamenti di Elettronica Appunti Analisi del circuito Questo circuito, come dice il nome stesso, effettua delle approssimazioni, sfruttando di fatto lo stesso principio che è alla base della ricerca dicotomica. Supponiamo ad esempio di avere 3 soli bit. Al primo ciclo di clock, il comparatore stabilisce il valore del bit più significativo. La logica SAR infatti farà in modo che il DAC fornisca il valore di tensione corrispondente alla parola 100. Se la tensione d’ingresso è superiore, significa che il primo bit è a 1, mentre se è inferiore il primo bit viene posto a 0 (tale elaborazione è affidata ancora alla logica SAR). Al secondo ciclo di clock, la logica SAR porrà ad 1 il secondo bit, mentre il primo bit assumerà il valore che è stato precedentemente stabilito (0 se la tensione d’ingresso è inferiore al livello 100, 1 in caso contrario). In questo modo, procedendo analogamente a quanto precedentemente visto, si otterrà il valore del secondo bit. Si procede poi allo stesso modo per i restanti bit (nel nostro caso ne rimane solamente uno). Possiamo completare l’analisi riportando un grafico di esempio, il quale mostra come ad ogni periodo di clock ci si avvicini sempre di più alla codifica finale. Caratteristiche 1. 2. Tempo di conversione Dall’analisi svolta nel precedente paragrafo risulta evidente che si ha: T+x n R 1 · TCK Massima frequenza del segnale da convertire Così come abbiamo fatto nel caso del convertitore ADC ad inseguimento, consideriamo di avere in ingresso una sinusoide di ampiezza pari alla metà della nostra tensione di fondo scala. Possiamo perciò scrivere: VREF VREF VIN · sen2π · fIN · t R 2 2 Da cui ricaviamo: dVIN VREF 2π · fIN · · cos2π · fIN · t dt 2 E quindi: dV ~ IN ¡ π · fIN · VREF dt h: Perché la conversione abbia successo è necessario che la tensione in ingresso rimanga costante per tutto il tempo di conversione. In realtà però possiamo osservare che possiamo rendere meno restrittiva questa condizione: è sufficiente infatti che la tensione di ingresso vari di meno della metà di LSB. Perciò dobbiamo imporre: 1 LSB fDACklF · 2 T+x Da cui ricaviamo: 1 LSB π · fIN · VREF · 2 T+x E quindi: VREF LSB 1 2+ fIN + 2π · T+x · VREF 2π · T+x · VREF 2π · 2 · n R 1 · TCK Facendo un esempio numerico possiamo osservare che le prestazioni di questo circuito risultano addirittura peggiori rispetto al convertitore ADC ad inseguimento. Infatti, se fCK 100 MHz e n = 16 bit, abbiamo fIN 1,5 Hz. pag. 151 Fondamenti di Elettronica Appunti 11. Convertitore a doppia rampa Schema elettrico Il convertitore a doppia rampa è il circuito avente il seguente schema elettrico: Analisi del circuito Il principio che si basa sul funzionamento del convertitore a doppia rampa può essere descritto dal seguente grafico: Supponiamo che la tensione ai capi del condensatore sia inizialmente nulla: perché ciò accada è in realtà sufficiente chiudere l’interruttore S3, per poi riaprirlo quando inizia la conversione. L’interruttore S1 è inizialmente chiuso, mentre S2 viene lasciato aperto. Gli interruttori vengono lasciati in questo stato per un certo intervallo di tempo T , che viene fissato dal progettista. Naturalmente sarà la logica di controllo a gestire poi il cambiamento di stato degli interruttori. Durante tutto l’intervallo di tempo T , la tensione V in uscita dal primo operazionale è di fatto la tensione che si ha in uscita da un integratore. Possiamo inoltre supporre che la tensione di ingresso sia costante e positiva: in tal modo otterremo una retta come quella riportata nel grafico precedente. In particolare, avremo: A 1 VIN v t · ½ vIN t · dt ·t RC RC All’istante T la logica di controllo farà in modo che S1 si apra e S2 si chiuda. In questo modo la tensione in ingresso all’integratore cambierà e diventerà pari a VR . La tensione V quindi sarà data dalla seguente espressione: VR VIN ·t ·T v t RC RC Si osserva perciò che si hanno di fatto due diverse rette, delle quali la prima ha inclinazione incognita, mentre la seconda ha inclinazione nota. In uscita all’integratore è poi collegato un comparatore: quando la tensione V diventa nulla, la sua uscita (che era inizialmente VSAT ) diventerà VSAT . La logica di controllo, rendendosi conto di questo cambiamento, interromperà il conteggio del contatore e riaprirà S2. Essa sarà così in grado di fornire in uscita il valore digitale del segnale: la durata dell’intervallo T. infatti dipende solamente dal valore della tensione in ingresso (gli altri parametri sono fissati nel circuito) e, dimensionando opportunamente la frequenza di clock, sulla base dei cicli di clock contati dal contatore si sarà in grado di memorizzare all’interno del contatore stesso il codice digitale da associare alla tensione ricevuta in ingresso dall’ADC a doppia rampa. pag. 152 Fondamenti di Elettronica Appunti Calcolo di Per calcolare T. è sufficiente imporre che la tensione V diventi nulla, ovvero: v T. 0 Da cui ricaviamo la seguente equazione: VR VIN ·T ·T 0 RC . RC Che possiamo facilmente risolvere rispetto a T. : VIN T. ·T VR Tempo di conversione Possiamo osservare molto facilmente che abbiamo: T+x T R T. Naturalmente, se la tensione d’ingresso è nulla, allora T. sarà nullo e perciò possiamo scrivere: T+xk T Se invece la tensione di conversione è massima, ovvero è pari a VR , allora il tempo di conversione è massimo ed è pari a: T+xklF 2 · T Calcolo della frequenza di conversione Quando abbiamo VIN VR , allora dobbiamo avere in uscita una parola costituita solamente da cifre pari ad “1” (la parola massima). Affinché ciò accada è necessario che, durante T. , il contatore conti da 0 a 2+ 1, per un totale di 2+ cicli di clock. Di conseguenza, dobbiamo avere: T. 2+ · TCK Siccome sappiamo anche che quando si ha T+xklF vale la relazione T T. , possiamo scrivere: T+xklF 2 · 2+ · TCK La frequenza di conversione sarà perciò: 1 1 fCK f+x T+xklF 2 · 2+ · TCK 2+n Ad esempio, se abbiamo n = 16 bit e fCK 10 MHz, allora otteniamo fCK $ 76 conversioni/sec. Significato della conversione nel caso di tensione in ingresso variabile Naturalmente, durante l’intervallo T. la tensione all’ingresso dell’integratore sarà sempre costante e pari alla tensione di riferimento (a meno del rumore, che però trascuriamo). Durante l’intervallo di tempo T invece la tensione applicata all’integratore potrebbe variare: si tratta infatti solitamente della tensione proveniente da opportuni sensori, che non forniscono necessariamente dei valori costanti. Osserviamo però che vale la formula, già precedentemente vista, che riportiamo di seguito: A 1 v t · ½ vIN t · dt RC Quindi, se vIN t non è costante, per il Teorema del Valor Medio (noto dall’Analisi Matematica), potremo scrivere: ³³³³ VIN vIN T ·T RC ³³³³ Dove V IN è il valore medio della tensione in ingresso nell’intervallo di tempo (0 ; T ). Si osserva perciò che in questo caso il codice che si ottiene uscita ha un particolare significato anche quando la tensione in ingresso non è costante, a differenza di quanto invece avevamo visto studiando il precedente ADC. Caratteristiche 1. 2. 3. 4. pag. 153 Fondamenti di Elettronica Appunti Capitolo 12: Il campionamento 1. Il campionamento Introduzione Abbiamo già visto quali sono i circuiti che vengono comunemente utilizzati per trasformare una certa tensione analogica in un corrispondente segnale digitale. Tuttavia è stato messo in evidenza che tali circuiti impiegano un tempo piuttosto elevato per effettuare la conversione, durante il quale è necessario che il segnale da convertire rimanga costante (o comunque che subisca variazioni entro limiti tali da comportare l’errore di conversione). Sulla base di questa osservazione, viene effettuato un campionamento attraverso opportuni circuiti, i quali si occupano di “prelevare” il valore che il segnale assume in particolari istanti di tempo (equidistanti tra loro: esso opera quindi in maniera periodica) e di mantenerlo costante per tutto il tempo necessario ad effettuare la conversione del segnale stesso. Questi circuiti prendono il nome di “Sample and Hold” e spesso vengono indicati in breve come S&H. 2. I circuiti di Sample & Hold Schema elettrico del Sample & Hold Lo schema elettrico comunemente utilizzato per realizzare un Sample & Hold è il seguente: In realtà poi l’interruttore è costituito da un Mosfet, perciò lo schema elettrico risulterà essere il seguente: Tempo di sampling e tempo di holding L’operazione di campionamento è costituita in sostanza da due fasi: il campionamento vero e proprio e la tenuta, ovvero il mantenimento costante del valore di tensione (da qui il nome “sample and hold”). Possiamo allora dare le seguenti definizioni: • Tempo di sampling Il tempo di sampling (ovvero di campionamento) è il tempo necessario ad aggiornare il sample & hold, ovvero a far in modo che la tensione V diventi uguale a VIN . Tale tempo viene indicato con TS . • Tempo di holding Il tempo di holding (ovvero di tenuta) è il tempo durante il quale la tensione V viene mantenuta costante. Tale tempo viene indicato con TH . • Frequenza di sampling La frequenza di sampling è il reciproco del tempo totale necessario per ottenere un campione di VIN : 1 f9h5¬=+ TS R TH pag. 154 Fondamenti di Elettronica Appunti Analisi del circuito Consideriamo inizialmente il primo schema, nel quale viene utilizzato un interruttore: • Fase di sampling La fase di sampling viene effettuata tenendo chiuso l’interruttore presente nel circuito. Si avrà così un cero transitorio, terminato il quale avremo ai capi del condensatore la stessa tensione che si ha all’ingresso. La tensione ai capi del condensatore è poi l’ingresso di un buffer, perciò abbiamo: V VIN • Fase di holding Per mantenere costante la tensione d’uscita indipendentemente dalla tensione d’ingresso, è sufficiente aprire l’interruttore. In questo modo il condensatore vedrà una resistenza infinita (almeno idealmente) e quindi non potrà scaricarsi e la tensione ai suoi capi (e perciò anche quella in uscita) resta costante. Se consideriamo però lo schema con il Mosfet, l’apertura e chiusura dell’interruttore dovrà corrispondere ad opportune variazioni della tensione di Gate. In particolare, l’interruttore è chiuso se il Mosfet è in zona ohmica con una tensione nulla tra drain e source, perciò imponiamo: V VCH VT ~ { G VG VIN VT Da tale condizione segue che dobbiamo imporre (durante la fase di sampling): VG VINklF R VT Durante la fase di holding vogliamo invece che il Mosfet rimanga spento, in modo che possa essere modellizzato con un circuito aperto. Affinché ciò accada è sufficiente avere: V VCH VT ~ { G VG VIN VT E quindi possiamo semplicemente imporre: VG VT Di conseguenza la tensione applicata al gate avrà il seguente andamento: Calcolo del minimo tempo di sampling In precedenza abbiamo approssimato il comportamento del Mosfet con quello di un cortocircuito durante tutta la fase di sampling. Sappiamo però che tale approssimazione si discosta dalla realtà e che il Mosfet avrà sempre una certa resistenza, che possiamo indicare con R ON e che è data da: 1 R ON 2kVGS VT Di conseguenza il condensatore impiegherà un certo tempo per caricarsi (se la resistenza fosse nulla invece si caricherebbe in maniera istantanea). Più nel dettaglio, abbiamo: A VCH t VINlE VINflE · e RON·CH R VINflE Naturalmente la massima variazione della tensione d’ingresso è VINlE VINflE VR . Poniamoci allora in questo caso, che rappresenta la situazione peggiore: 7 A VCH t VINflE VR · e RON·CH Il nostro obiettivo è quello di arrivare ad un valore di VCH t che differisca da VIN a meno di 1 LSB, perciò: VCH t VINflE LSB Ovvero: 7 Da cui ricaviamo: Ad esempio, con RON VR · e 7 TS RON·CH LSB VR RON · CH · ln2+ R ON · CH · n · ln2 LSB 100 Ω, se n = 8 bit otteniamo TS 35 ns, mentre se n = 16 bit abbiamo TS 111 ns. TS R ON · CH · ln pag. 155 Fondamenti di Elettronica Appunti Non idealità del Sample & Hold Nel paragrafo precedente abbiamo analizzato come la resistenza equivalente del Mosfet quando è acceso rallenti il caricamento del condensatore, e perciò come sia auspicabile avere una resistenza di canale molto piccola. Oltre a questa non idealità però i sample & hold hanno anche una serie di altre problematiche che introducono degli errori più o meno significativi. Analizziamole una per volta: 1. Corrente di bias e corrente di leakage: droop Sappiamo che nella realtà l’operazionale avrà una certa corrente di bias entrante nei suoi morsetti (oppure uscente da essi). In questo modo, durante la fase di holding la corrente che attraversa il condensatore non è nulla, e quindi esso tenderà a scaricarsi. Si osserva inoltre che anche il Mosfet quando è spento è attraversato da una corrente che idealmente è nulla, ma in realtà, per quanto piccola, è diversa da zero. Tale corrente quindi ha lo stesso effetto della corrente di bias. Supponiamo ora che la corrente di bias sia entrante nell’operazionale (in caso contrario sarà sufficiente considerarla con segno negativo): Durante la fase di holding il condensatore è attraversato da una corrente: ICH I¬*hH R I=h9 Avremo perciò una variazione di carica: ΔQ ICH · TH I¬*hH R I=h9 · TH E perciò avremo: ΔQ I¬*hH R I=h9 · TH ΔVH CH CH Naturalmente, perché non si abbia un errore, dovremmo imporre che tale variazione sia inferiore a LSB, perciò: ΔVH 1 LSB Tale condizione può anche essere così scritta: VR ΔVH + 2 VR 2+ ΔVH VR + 2 ln2 ln 1 ΔVH 1 VR 2 · ln 1 n ln 2 ΔVH Ad esempio, se abbiamo i seguenti dati numerici: CH 100 pF I=h9 1 nA I¬*hH 1 nA TH 10 µs VR 10 V Otteniamo: ΔVH 200 µV E quindi: n 15,6 Perciò, con questi dati numerici, non possiamo avere convertitori a più di 15 bit collegati a valle del Sample & Hold (e tale valore è molto basso, inferiore ad esempio anche allo standard audio, che richiede campionamenti a 16 bit). Il fenomeno di scaricamento del condensatore durante la fase di hold prende il nome di droop. pag. 156 Fondamenti di Elettronica Appunti 2. Amplificazione finita dell’operazionale: buffer-induced non-linearity A questo punto possiamo osservare anche che, mentre nel caso ideale l’operazionale ha amplificazione infinita, in quello reale non è così. Di conseguenza, il guadagno reale del buffer non corrisponde esattamente a quello reale (ovvero, non è esattamente pari ad 1). Per calcolare il guadagno reale dobbiamo innanzitutto valutare il guadagno d’anello, tagliando la retroazione del circuito come in figura: G¬5 As Se consideriamo As A , allora possiamo scrivere: G= 1 G*h¬* 1 1 1G 1RA ¬5 Di conseguenza il segnale che arriva all’ADC risulta in realtà essere attenuato rispetto a quello che arriva al buffer. Naturalmente l’errore massimo si commette quando la tensione VH all’ingresso del buffer è massima, ovvero quando: VH VR L’errore che si ha è perciò data dalla differenza tra il caso ideale e quello reale, ovvero: 1 A VR 2 εh: VR · VR VR 11 1 A R 1 A R 1 1R A Dobbiamo imporre ancora una volta che tale errore sia inferiore rispetto a LSB, perciò: εh: LSB VR VR + A R 1 2 1 1 + A R 1 2 A 2+ 1 Se ad esempio abbiamo n = 16, otteniamo A 65.535, che comunque non è una condizione particolarmente restrittiva. Effetto della capacità gate-drain: charge injection Riprendiamo ora la struttura del Mosfet. Nella realtà la zona n del drain sarà leggermente sovrapposta all’ossido. In realtà quindi si avrà una struttura del tutto analoga a quella di un condensatore, come evidenziato nella figure in fondo alla pagina. Naturalmente la stessa situazione si presenta anche sul source. Possiamo perciò rappresentare il Mosfet con due capacità, una tra gate e drain e l’altra tra gate e source. Di conseguenza lo schema risulterà essere il seguente: Dalla figura risulta evidente che si ha: 3. Di conseguenza il sample & hold viene modificato come mostrato nella figura di seguito riportata: pag. 157 Fondamenti di Elettronica Appunti Durante la fase di sampling in sostanza non si hanno grossi problemi, perché semplicemente la resistenza equivalente del Mosfet dovrà caricare entrambi i condensatori. Ciò comporta semplicemente un rallentamento della fase di sampling, che comunque è trascurabile perché CH Û C . Anche durante la fase di holding la capacità di gate-drain non comporta grossi problemi. La capacità effettiva di holding è il parallelo tra CH e C , perciò possiamo scrivere: CHEEGGl CH R C Ma, se aumenta la capacità di holding, le correnti di bias e di leakage avranno addirittura influenza inferiore sul comportamento del circuito. Il problema si ha invece nel passaggio da una fase all’altra, quando la tensione al gate subisce una variazione istantanea ΔVG . Possiamo rappresentare la situazione nel modo seguente: Avremo quindi: ΔVH 1 sCH ΔV C ΔV C R CH 1 1 sCH R sC Vogliamo ora che l’errore sia inferiore rispetto ad LSB, perciò: C ΔV LSB C R CH Ovvero: C VR ΔV + C R CH 2 VR 1 C R CH 2+ · C · ΔV 2+ · C · ΔV C R CH VR 2+ · C · ΔV CH C VR pag. 158 Fondamenti di Elettronica Appunti 3. Il teorema del campionamento Introduzione Come abbiamo visto, la frequenza del campionamento è data dalla formula: 1 f9h5¬=+ TS R TH Dove TH è circa uguale al tempo di conversione dell’ADC. Siccome non ci sono ulteriori vincoli sul tempo di conversione, potremmo pensare che in questo modo si possano campionare segnali di qualunque tipo, ottenendone la relativa conversione digitale. In realtà naturalmente non è così, perché se non rispettati alcuni particolari vincoli non è possibile risalire dal segnale digitale a quello analogico di partenza. Ad esempio, se abbiamo un segnale sinusoide e prendiamo meno di 2 campioni in ogni periodo, avremo quello che prende il nome di “fenomeno di aliasing”: ricostruiremo di fatto una sinusoide a frequenza diversa rispetto a quella di partenza. Il teorema del campionamento Il teorema del campionamento afferma che, affinché sia possibile ricostruire il segnale analogico a partire da quello digitale, è necessario che quest’ultimo venga ottenuto campionando il segnale sorgente con una frequenza di campionamento almeno doppia rispetto alla massima frequenza del segnale d’ingresso: f9h5¬=+ 2 · f=+klF 4. Schema generale di un sistema di acquisizione Il filtraggio Quando si campiona un segnale, ad esso sarà sempre sovrapposto un certo rumore. Per eliminare l’effetto di tale disturbo si utilizza quindi un filtro passa basso, nel quale i parametri vengono opportunamente dimensionati in modo tale che vengano tagliate tutte le frequenze inferiori rispetto alla frequenza di campionamento. In tal modo, naturalmente, se ci dovessero essere dei rumori a frequenze inferiori continuerebbero a disturbare il campionamento, ma comunque il rumore risulta ridotto perché tutte le sue componenti a frequenza superiore vengono eliminate. Imponiamo quindi: f9h5¬=+ fL 2 Questo filtro viene detto “filtro antialiasing”. Schema complessivo Lo schema complessivo del sistema di acquisizione risulta essere perciò il seguente: Sorgente da campionare Amplificatore Filtro anti-aliasing S&H ADC Elaboratore In particolare, l’amplificatore si occupa in sostanza di modificare l’ampiezza del segnale in modo tale che la tensione in uscita dall’amplificatore stesso sia sempre compresa tra 0 V e VR . Il filtro anti-aliasing invece è il filtro passa basso utilizzato per evitare il fenomeno di equivocazione. La frequenza di taglio di tale filtro è fissata a meno della metà della frequenza di campionamento. pag. 159