Elettronica di Front End nei rivelatori di particelle Corso di formazione per personale tecnico giugno – luglio 2011 Flavio Dal Corso I tecnologo INFN-Padova Sommario • • Introduzione Analog Signal processing nei rivelatori di particelle Breve ripasso di elettronica fondamentale • Transistors - BJT, JFET, MOSFET • La transconduttanza • Circuiti basilari • L’Amplificatore Operazionale • Funzione di trasferimento • Impedenza d’ingresso con reazione R||C • Teoria del rumore • • • • Rumore come processo stocastico ergodico Potenza del rumore e spettro di potenza Trasformazione dello spettro di rumore nei sistemi lineari Tipi di rumore • Johnson, Shot, Flicker • Rappresentazione del rumore nelle reti – relazione tre noise figure, temperatura di rumore e spettro del rumore • Rumore nei componenti • Resistori • BJT, JFET, MOSFET • Amplificatore Operazionale 2 • Formazione del segnale nei rivelatori • Teorema di Shokley-Ramo • Soluzioni particolari • Blocchi funzionali di una catena analogica • Modello del detector – accoppiamento DC o AC • Preamplificatore • Disegno di un amplificatore di carica • Un amplificatore integrato custom • Shaper (filtro) • Teoria del filtro ottimo per misura di energia • • • • Spettro di rumore in ingresso Spettro di rumore in uscita ENC Forma del filtro ottimo • Altre cause di perdita di risoluzione • Panoramica sui filtri reali • Filtri semigaussiani a poli complessi coniugati • Uno shaper semigaussiano commerciale • Uno shaper semigaussiano integrato • Preamplificatori per situazioni particolari • Adattamento ottimale con rivelatori ad alta capacità • Matching capacitivo • Matching con trasformatore • Terminazione attiva 3 • Un premaplificatore commerciale • Un premaplificatore a componenti discreti per rivelatore a bassa capacità • Filtro ottimo per misura del tempo • Read-out • Acquisizione • Sample & hold • Peak Detector • Pipeline Analogica • Conversione digitale • • • • • • • Wilkinson ADC ADC ad integrazione Dual Slope ADC ad inseguimento ADC ad approssimazioni successive Flash ADC Σ∆ ADC Riferimenti e bibliografia 4 Analog Signal Processing nei rivelatori di particelle L’obbiettivo fondamentale del processamento dei segnali fornito dai rivelatori è estrarre le informazioni rilevanti dal “rumore” ovunque presente, ottenendo il migliore rapporto possibile tra il segnale utile e il rumore. Sono due le quantità di maggior importanza che si possono estrarre dal segnale di un rivelatore: la sua ampiezza e il tempo di occorrenza. L’ampiezza è correlata all’energia e al tipo di particella; la misura di tempo serve per lo più alla sua localizzazione (sebbene talvolta la posizione si ricavi da misure di “baricentro” delle ampiezze in canali contigui). I rivelatori che qui ci interessano “rivelano” il passaggio di una particella dalla ionizzazione di un opportuno mezzo. Rilasciano quindi un segnale elettrico – tipicamente una certa quantità di carica elettrica – in qualche misura proporzionale all’energia della particella incidente. 5 Rivelatori che non producono un segnale elettrico (Čerenkov, transition radiation, scintillatori …) richiedono eventualmente un secondo stadio di rivelazione che trasformi il segnale originale in segnale elettrico (rivelatori ad effetto fotoelettrico: PM, MCP, SiPD, APD, HPD, SiPM …). Dal punto di vista dell’elettronica è quest’ultimo “il rivelatore”. In altre situazioni la proporzionalità con l’energia è abbandonata a favore di un segnale più ampio, qualora serva solo la misura di posizione o di tempo sulla particella incidente; (RPC, LST, contatori Geiger …). In tali casi all’elettronica può non essere richiesta amplificazione e ottimizzazione del rapporto segnale/rumore, bastando una immediata digitalizzazione (discriminatori). Nota sul termine “elettronica di front-end” Spesso (anche in questa dispensa) questa locuzione è usata per indicare complessivamente l’elettronica di processamento dei segnali analogici sviluppati dai rivelatori di particelle, mentre a stretto rigore di termini, essa dovrebbe indicare solo l’elettronica che riceve immediatamente il segnale del rivelatore e che è posta nelle sue immediate vicinanze. Solitamente solo uno stadio (preamplificatore o discriminatore) dell’intera catena di processamento risiede fisicamente vicino al rivelatore. 6 L’elettronica di front end può dover affrontare due diverse situazioni: 1. La carica è proporzionale all’energia della particella incidente (rivelatori proporzionali) a) misura analogica della carica b) misura analogica del tempo ⇒ amplificatori di carica – filtro ottimo (a e b differiscono al livello del circuito di campionamento) 2. La proporzionalità con l’energia è abbandonata a favore di un segnale più ampio, e serve solo l’informazione sul tempo di occorrenza del segnale nel rivelatore (RPC, LST, contatori Geiger…) a) misura digitale del tempo ⇒ discriminatori Questo corso sarà dedicato alle tecniche di processamento analogico finalizzate alla ottimizzazione delle misure di ampiezza e di tempo (punto 1), lasciando ad altra occasione le tecniche basate su discriminatori (punto 2) 7 A grandi linee possiamo intendere per “signal processing” la formazione del segnale nel rivelatore dovuta al passaggio della particella, la sua amplificazione e “formatura” (signal shaping) utili ad ottenere il migliore rapporto segnale/rumore, e il read-out. Pertanto il corpo principale del corso sarà organizzato in tre parti: 1. studio della formazione del segnale nei rivelatori; 2. tecniche di processamento analogico, con particolare attenzione alle tecniche di disegno degli amplificatori di carica, e presentazione di una ampia panoramica sui filtri; 3. dedicata alle diverse tecniche di campionatura del segnale e di conversione analogico-digitale, limitatamente alla tecniche tradizionali di campionamento unico del segnale ad un istante ottimale, tralasciando tecniche più recenti (e poco usate nell’ambito dei rivelatori di particelle) di campionamento continuo e ricostruzione digitale del segnale. Allo scopo di fornire gli strumenti necessari alla comprensione degli argomenti presentati, sarà premesso un breve richiamo di elettronica fondamentale sul funzionamento dei principali dispositivi, e un po’ di teoria del rumore, necessaria alla comprensione delle tecniche di ottimizzazione del rapporto segnale/rumore. 8 Breve ripasso del funzionamento dei transistors e amplificatori operazionali Presenterò una essenziale descrizione del principio di funzionamento dei tre tipi di transistor – BJT, JFET, MOSFET – senza entrare nel dettaglio di tutte le varianti possibili (gli esempi e i disegni si riferiranno solo a dispositivi a canale n); introdurrò poi il concetto di transconduttanza, quindi presenterò alcuni circuiti base, necessari alla comprensione degli amplificatori che verranno illustrati in seguito. Richiamerò poi brevemente l’amplificatore operazionale e svilupperò in qualche dettaglio le configurazioni tipicamente usate per realizzare i filtri dei processori analogici per rivelatori di particelle. 9 Il BJT A grandi linee il BJT può essere visto come una coppia di giunzioni PN contrapposte, in cui la sezione centrale di semiconduttore è estremamente sottile e la conformazione geometrica è tale per cui il collettore racchiude base ed emettitore. La giunzione base-emettitore è polarizzata direttamente, mentre la giunzione basecollettore è polarizzata inversamente. I portatori iniettati dall’emettitore, per lo spessore della base e la configurazione geometrica, hanno alta probabilità di attraversarla ed essere raccolti dal volume depleto della giunzione di collettore. Si ha quindi: Ic = α Ie e quindi con α prossimo a 1 I b = I e − I c = 1−αα I c ⇒ Ic = β Ib Con β = 20 ÷ 500 10 β non è indipendente dalla corrente di collettore … … né dalla frequenza Il comportamento in dettaglio è definito dalle caratteristiche d’uscita (sin) e di trasferimento (dx) 11 Il JFET Il JFET è un dispositivo il cui la conduzione di corrente avviene nello spessore del semiconduttore (bulk), in un canale la cui sezione viene “strozzata” dalla zona di svuotamento della giunzione inversa del gate. La caratteristica d’uscita non è dissimile da quella del BJT, mentre è alquanto diversa quella di trasferimento. Quindi con il JFET si potrà realizzare un dispositivo da comportamento simile al BJT, ma con tensioni di gate diverse da quelle di base di un BJT. 12 Il MOSFET Il funzionamento del MOSFET si basa sullo stesso principio del JFET, salvo che il canale di conduzione è ricavato immediatamente sotto l’ossido di isolamento del gate. La caratteristica d’uscita è sostanzialmente identica a quella del JFET, mentre quella di trasferimento è assai variabile con il modello di MOS (enanchement o depletion mode) e livelli di drogaggio. Benché il MOS sia usato prevalentemente come interruttore (tra interdizione e zona ohmica), può operare come dispositivo analogico in zona di “saturazione” realizzando comportamenti non dissimili dal BJT e JFET Caratteristiche di un enanchement MOS a canale n. Per un depletion MOS la Vth scende a valori negativi, e il comportamento diviene quasi identico ad un JFET 13 La transconduttanza Tutti e tre i dispositivi illustrati agiscono come “modulatori” della corrente d’uscita (collettore o drain) in funzione della tensione d’ingresso (base o gate). I segnali applicati al transistor possono essere visti come piccole variazioni dei valori di polarizzazione, sufficientemente piccole da considerare lineare il comportamento del transistor rispetto ai segnali. Si conviene di indicare con lettere maiuscole i valori di polarizzazione e con minuscole i segnali. La transconduttanza è il rapporto tra il segnale d’uscita (corrente) e il segnale d’ingresso (tensione); è il “guadagno” del dispositivo: io i ∆I ∂I gm ≡ o ≡ o ≈ o vi ∆Vi ∂Vi Si dimostra che per il BJT vale la relazione: gm = Ic Ic q ≈ kT 25 mV vi gm a T = 300° K Mentre per JFET e MOSFET gm dipende dalla geometria del dispositivo 14 Circuiti basilari Vediamo alcuni dei circuiti fondamentali che si possono costruire con i tre tipi di transistors, quasi dei “bulding blocks” con cui affronteremmo più avanti l’analisi di circuiti più complessi (nei disegni c’è un JFET, ma potrebbe essere indifferentemente un BJT o un MOS). VCC Amplificatore a singolo transistor R (configurazione Common Emitter/Source) v −i R Av ≡ o = o = − g m R vi vi gm vi Common Base/Gate Si dimostra che per tutti i tre tipi di dispositivo l’impedenza d’ingresso di emettitore/source è ≈1/gm. Quindi, se R>>1/gm, il trasferimento di corrente di questo circuito vale (nel BJT si trascura la corrente di base): Ai ≡ io ≈ −1 ii vo io ii gm R 15 Emitter/Source Follower Si dimostra che se R>>1/gm, per tutti i tre tipi di dispositivo vale la relazione: gm vi v Av ≡ o ≈ 1 vi vo R (104-106 Ω Poiché l’impedenza d’ingresso è alta per BJT; 1010 -1014 Ω per JFET e MOS) e quella d’uscita è bassa, il circuito “adatta” l’impedenza della sorgente al carico. Cascode e Folded Cascode Usando la definizione di gm e le proprietà del common base/gate, per questi circuiti si ha: io ≈ gm vi Vcc io Vp vi gm R vi Vp gm Quindi non modificano la transconduttanza del dispositivo d’ingresso, ma ne migliorano molto la risposta in frequenza, perché inibiscono l’effetto della capacità di drain. Il folded cascode permette anche di aumentare la dinamica d’uscita. io 16 Generatori di corrente Esiste un’ampia gamma di circuiti che emulano un generatore di corrente ideale, quindi con alta impedenza. Tutti generano corrente dal collettore/drain, che è un terminale ad alta impedenza (la corrente è ≈ indipendente dalla sua tensione). Le migliori configurazioni arrivano ad impedenze dell’ordine di 107 Ω. I Vp R Vengono usati come elementi di polarizzazione di un circuito o come carichi attivi per spingere l’amplificazione senza necessità di usare alte resistenze. 17 MOS come resistori Un MOS polarizzato nella regione ohmica può sostituire una resistenza (con grande risparmio di silicio, nei circuiti integrati). Il comportamento non sarà molto lineare, ma dove non è critica la precisione, offrono un grande vantaggio alla densità di integrazione. 18 Coppia differenziale io È il circuito d’ingresso degli amplificatori operazionali. È costituito da una coppia di dispositivi (BJT, JFET o MOS) identici, accoppiati in emettitore/source, polarizzati con un generatore di corrente sul nodo comune. gm vd/2 vcm È sostanzialmente insensibile alla tensione di modo comune ed amplifica solo la tensione differenziale: gm -vd/2 I io g m ≈ vd 2 Al variare del tipo di dispositivo cambia solo l’ampiezza della zona lineare: BJT JFET MOSFET 19 Amplificatore operazionale È un amplificatore differenziale con elevato guadagno (anche oltre 106). Di conseguenza gli ingressi sono quasi equipotenziali, pure essendo tra loro isolati; si dice che sono in contatto “virtuale”. Con gli operazionali si realizzano una grande varietà di funzioni, che non possiamo qui analizzare. Mi limiterò a presentare alcuni concetti ed alcuni circuiti utili all’analisi di un processore analogico di segnali da rivelatori. Nella configurazione più comune le funzioni di trasferimento rispetto ai due ingressi sono: Zf vo =− v1 Zd Zf vo = 1+ v2 Zd Zf v1 v2 Zd A vo 20 Configurazione tipica – impedenza d’ingresso Usualmente, nelle nostre applicazioni, l’ingresso non invertente è posto a massa. Esso quindi diviene un amplificatore invertente ad alto guadagno, privo (idealmente) di offset in uscita. Nel primo stadio dell’elettronica di front end è richiesto un amplificatore invertente ad elevato guadagno, che quindi potrebbe essere fatto con un operazionale con ingresso non invertente a massa, ma diverse ragioni sconsigliano questa scelta. L’amplificatore viene quindi realizzato con il solo ingresso invertente, il che comporta che abbia un considerevole offset. Cf Cf Rf Rf A Charge Preamp A OpAmp Negli stadi successivi, invece, è conveniente usare amplificatori operazionali commerciali. Inoltre l’amplificatore di front end viene usato come integratore, quindi con reazione R||C (resistore, di alto valore, in parallelo ad un condensatore). 21 È interessante valutare l’impedenza d’ingresso dell’amplificatore, nel caso sia realizzato con un OpAmp commerciale oppure con un tipico preamplificatore da front end. Per il teorema di Miller, l’impedenza d’ingresso vale: A Z in = Zf 1+ A A>>1 → A + s AC f R f −1 ACf Rf /A quindi è come se all’ingresso ci fosse, verso massa, un condensatore ACf molto grande (essendo A molto grande), che è la condizione ideale per un integratore. Compare anche un resistore Rf/A, che disturba, ma è inevitabile; nell’assunzione che Rf → ∞ essa è trascurabile. Ma valutiamo come l’impedenza varia con la frequenza. 22 La risposta in frequenza dell’amplificatore può, con buona precisione, essere descritta in termini del suo polo dominante: A= A0 1 + ωs0 Espressa anche l’impedenza di feedback in termini del suo polo ωf=1/RfCf essa diviene: 1 + A0 = Z in = 1 + A (1 + ωsf ) 1 + ωs0 Zf Rf Che può essere riscritta così: −1 Z in = Rf 1 + ωs0 A0 (1 + ωsf )(1 + s A0ωo ) 23 Proviamo una stima numerica in queste condizioni: • Zf data da: • OpAmp commerciale con • Rf=100 MΩ • A0=120dB (=106) • Cf=1pF • ω0=314 s-1 (⇒ GBW=50MHz) • ωf=104 s-1 Il modulo dell’impedenza è illustrato nella figura sottostante. Si vede che fino a ω0 (50 Hz) l’impedenza è resistiva e bassa (100 Ω), poi cresce con andamento induttivo fino a ωf (1590 Hz), dove riprende andamento resistivo con valore relativamente alto (3184 Ω). Prende a decrescere con andamento capacitivo solo a frequenza A0 ω0 (50 MHz). Ω 2000 1000 500 200 100 1000 10000 100000. 1. × 10 6 1. × 10 7 1. × 10 8 Hz 1. × 10 9 Il risultato è che, nelle frequenze interessanti, è come se il segnale del rivelatore venisse raccolto su una R||C con R≈kΩ e C=Cf, che non è proprio la soluzione ideale! 24 Vediamo ora cosa succede usando 100000. 50000 un amplificatore da front end: • Zf come prima Ω 10000 5000 • Amplificatore invertente con 1000 500 • A0=60dB (=103) 1000 10000 100000. 1. × 10 6 1. × 10 7 1. × 10 8 Hz 1. × 10 9 • ω0=3,14·106 s-1 (⇒ GBW=500MHz) Ora l’impedenza è resistiva e pari a Rf/A0 fino a ωf, dove diventa capacitiva. Il risultato netto è, nelle frequenze di interesse, un impedenza d’ingresso dato da una R||C con R=Rf/A0 che rimane abbastanza alta, e C=Cf ·A0, che è ciò che si desidera. Il trucco sta nell’avere il polo dominante dell’amplificatore più alto del polo del feedback; ω0>>ωf. Tra ω0 e Ao ω0 l’impedenza ritorna resistiva, ma a queste frequenze non si può più (come implicitamente è stato fatto) trascurare la capacità del dispositivo d’ingresso. Una situazione interessante si ha quando ω0=ωf. Verrà ripresa in considerazione più avanti. 25 Un po’ di teoria sul Rumore in elettronica La teoria del rumore è ritenuta una disciplina oscura e difficile; cercherò di dare qualche informazione, senza eccessiva pretesa di rigore. Debbo presumere alcune conoscenze di analisi statistica, teoria dei circuiti, trasformate di Fourier e Laplace. In un sistema elettronico rumore è qualsiasi segnale che si sovrappone al segnale utile, ostacolandone le misura. Possiamo distinguere tra rumore deterministico, causato essenzialmente da interferenze con altri sistemi o variazioni di parametri ambientali, che in linea di principio (molto teoricamente) può essere analizzato in modo totalmente deterministico e rimosso. Non verrà preso in considerazione in questo corso, ma rimando ad una fonte fondamentale al rif. 7, e rumore casuale, che non può essere analizzato se non in termini statistici e non può mai essere totalmente rimosso, perché intimamente connesso alle proprietà fisiche fondamentali dei componenti elettronici. 26 Rumore come processo stocastico ergodico La forma d’onda del rumore, come ciò che si vede all’oscilloscopio quando la sonda è connessa ad un circuito privo di segnale, è una funzione del tempo dalla forma irregolare e del tutto imprevedibile. Diciamo che è un processo casuale, e lo chiamiamo n(t). Comunemente per descriverlo usiamo un unico valore: la deviazione standard (o valore rms), ma nel fare ciò facciamo implicitamente alcune assunzioni non banali: 1. Assumiamo che la distribuzione statistica di n(t) sia indipendente dal tempo 2. Assumiamo che la distribuzione sia gaussiana con media nulla 3. Assumiamo anche a priori che tale distribuzione esista per qualsiasi circuito ed in qualsiasi circostanza. Sono assunzioni che ci detta l’esperienza, ma su quali principi fisici e matematici si fondano? 27 Per fissare le idee, poniamo che n(t) sia la tensione ai capi di una resistenza. A causa dell’agitazione termica degli elettroni e degli atomi, in generale sarà n(t)≠0. Operativamente, come determiniamo la statistica di n(t), ad esempio la media? 1. Possiamo prendere una schermata sufficientemente lunga all’oscilloscopio e valutarne la media (statistica temporale). 2. Oppure possiamo prendere molti campioni a tempi sufficientemente lontani tra loro da poter assumere che siano statisticamente indipendenti, e farne la media (statistica d’insieme). T 1 n = ∫ n(t )dt T 0 n = E{n(ti )} Se facciamo bene le cose (a meno di variazioni delle condizioni ambientali), l’esperienza ci dice che otteniamo lo stesso risultato. In realtà non è neppure raro che le misure non tornino, perché non sappiamo bene cosa voglia dire, nelle preposizioni suddette, l’avverbio “sufficientemente”. Come determinarne la statistica di n(t) senza fare assunzioni che non sappiamo giustificare? 28 Poiché la resistenza è un insieme di ≈1023 particelle in equilibrio termodinamico con l’ambiente, il cui microstato è impossibile da determinare, si usano alcuni concetti della meccanica statistica(10). Si ricorre ad un esperimento ideale, immaginando di disporre di un insieme arbitrariamente grande di resistenze identiche (statistical ensemble), idealmente una per ciascun dei microstati possibili della resistenza. Avremmo quindi a disposizione un insieme {ni(t)} di processi casuali. L’insieme, pensato come un tutt’uno, è chiamato processo stocastico. processo stocastico = {ni(t)} Il processo stocastico descrive, quindi, l’evoluzione temporale di tutti i microstati possibili del sistema. Ad ogni istante possiamo calcolare le grandezze statistiche del processo (media, rms, densità di probabilità …) operando sugli elementi dell’insieme (statistica d’insieme), e saranno in genere funzione del tempo. 29 Ad esempio, la media d’insieme degli ni può essere espressa come: n (t ) ∑ E{n (t )} = = i i i {ni } +∞ ∫ np(n)dn −∞ |{ni}| indica la cardinalità dell’insieme {ni}, p(n) è la densità di probabilità di {ni}, E sta per “expected value” ed è, in genere, funzione del tempo. Quando invece le grandezze statistiche d’insieme risultano indipendenti dal tempo, il processo stocastico è detto stazionario. Alternativamente alla statistica d’insieme, per un processo stazionario si può valutare la statistica temporale. Ad esempio la media temporale è espressa come: 1 µ ni = lim T → ∞ 2T +T ∫ n (t )dt i −T ed è una variabile casuale (dipende dall’indice i ma non dal tempo), i cui valori di aspettazione sono difficili da esprimere analiticamente. 30 Vi sono tuttavia dei processi in cui le due tecniche di calcolo conducono allo stesso risultato; per esempio per la media: 1 ∀(i, t ) µ ni = E{ni } ⇒ lim T → ∞ 2T +T +∞ ∫ n (t )dt = ∫ np(n)dn i −T −∞ cioè le medie temporali sono tutte uguali e coincidono con le medie d’insieme, che non dipendono dal tempo. Tali processi sono detti ergodici. Sintetizzando, possiamo quindi definire ergodico un processo stocastico in cui le medie d’insieme sono uguali alle medie temporali. Di conseguenza, tutte le proprietà statistiche di un processo ergodico possono essere determinate per mezzo di una singola funzione del processo. 31 Il postulato fondamentale relativo all’analisi del rumore è che esso sia un processo ergodico. Il fondamento della ragionevolezza del postulato sta nel fatto che assumiamo la sorgente di rumore attiva ab eterno e, per il principio di omogeneità del tempo, immutabili nel tempo le sue proprietà (a condizioni ambientali ferme, ovviamente). Si deve poi assumere che il valore medio del rumore sia nullo, per non violare qualche principio fondamentale (la tensione di rumore di una resistenza deve avere media nulla, per evitare che essa diventi una sorgente gratuita di energia). Infine, si deve ritenere che la distribuzione di probabilità del rumore sia gaussiana: questo assunto è conseguenza del teorema del limite centrale e del fatto che il rumore dipende da un grandissimo numero di fattori casuali. Va comunque detto che alcune grandezze si definiscono più facilmente nella statistica d’insieme (caso notevole, la densità di probabilità), altre nella statistica temporale (caso notevole, l’autocorrelazione). 32 Riassumendo, il rumore è un processo casuale con queste proprietà: • È ergodico • Ha media nulla • Ha distribuzione normale (gaussiana) È quindi completamente determinato statisticamente da un solo parametro; la sua varianza (o dal valore rms, che della varianza è la radice quadrata). +∞ 1 E{ni } = ∫ n p(n) dn = lim T →∞ 2T −∞ 2 2 +∞ 2 n ∫ dt ≡ σ n2 −∞ 33 Potenza del rumore e spettro di potenza La varianza del rumore è chiamata potenza di rumore. Può essere espressa sotto forma di un integrale nella frequenza: ∞ σ n = ∫ W ( f ) df 2 0 W(ν) è detto spettro della potenza di rumore, ed esprime la potenza di rumore per unità di banda di frequenza. Lo spettro di potenza è uno strumento fondamentale nell’analisi del rumore. I datasheets dei componenti spesso riportano questo parametro (nella forma della sua radice quadrata), oppure la noise figure, che è ad esso legato, come vedremmo. 34 Teorema di Wiener-Khintchine Lo spettro di potenza è esprimibile in termini della trasformata di Fourier della autocorrelazione del rumore, cioè: +∞ Wn ( f ) = 2 S (ω ) S (ω ) = con −iωτ R ( τ ) e dτ ∫ (ω = 2πf ) −∞ L’autocorrelazione è una grandezza statistica la cui prima definizione avviene nel dominio della statistica d’insieme, ed esprime la correlazione tra due valori della stessa variabile casuale, calcolati un due istanti diversi. Dà quindi una misura di quanto lontani debbano due campioni di una stessa variabile casuale per essere statisticamente indipendenti. Rni (t1, t2 ) = E{ni (t1)ni (t2 )} Per i processi ergodici l’autocorrelazione è funzione solo di t2-t1=τ e si può esprimere con una media temporale: 1 Rn (τ ) = lim T → ∞ 2T Si vede subito che: Rn (0) = σ n +T ∫ n(t − τ )n(t ) dt −T 2 35 Dimostrazione. Data l’anti-trasformata di Fourier di R(τ): +∞ 1 R (τ ) = 2π 1 = 2π 1 = 2π iωτ ω S e dω ( ) ∫ −∞ +∞ ∫ S (ω ) [cos(ωτ ) + i sin(ωτ )] dω −∞ +∞ +∞ ∫ S (ω ) cos(ωτ ) dω + i ∫ S (ω ) sin(ωτ )] dω −∞ −∞ poiché R(τ) è reale e simmetrica, anche S(ω) lo è. Allora il secondo integrale è nullo e il primo può essere scritto: 2 R (τ ) = 2π che per τ=0 dà: +∞ ∫ S (ω ) cos(ωτ ) dω 0 2 R ( 0) = σ = 2π 2 +∞ +∞ 0 0 ∫ S (ω ) dω = ∫ 2 S (ω ) df 36 Trasformazione del rumore nei sistemi lineari Un sistema elettrico lineare tempo-invariante deterministico (= privo di rumore) può essere descritto mediante un operatore lineare: x(t) L h(t) H(iω) y(t)=L[x(t)] Si dimostra che se x(t) è un processo ergodico, anche L[x(t)]=y(t) lo è, purché il circuito sia attivo da sempre (ovvero, in pratica, sia esaurito il transitorio). Lo studio del rumore non prevede l’analisi al transitorio, per tale ragione si usa la trasformata di Fourier e non quella di Laplace. Il comportamento del circuito è descritto anche dalla sua risposta all’impulso h(t) o dalla sua funzione di trasferimento H(iω), legate dalla trasformata di Fourier: +∞ H (iω ) = ∫ h(t ) e −iωτ dt −∞ 1 h(t ) = 2π +∞ iωτ H ( i ω ) e dω ∫ −∞ 37 Per i segnali deterministici applicati al circuito, valgono le ben note relazioni (la lettera maiuscola indica la trasformata della corrispondente variabile con lettera minuscola): Y (iω ) = X (iω ) H (iω ) y (t ) = +∞ +∞ −∞ −∞ ∫ x(t − τ ) h(τ ) dτ = ∫ x(τ ) h(t − τ ) dτ Per il rumore si dimostra una formula analoga, che esprime lo spettro di rumore in uscita in funzione di quello d’ingresso: È una formula fondamentale nell’analisi del rumore. Wo ( f ) = Wi ( f ) H (iω ) In una catena di sistemi posti in cascata, lo spettro di rumore del primo stadio dà il maggior contributo al rumore totale, rispetto alle sorgenti intermedie, che subiscono una amplificazione minore. Per questo ragione l’analisi del rumore dei circuiti si concentra particolarmente sullo stadio d’ingresso. H1 W1 H2 W2 Wo 2 Wo = W1 H1 H 2 + W2 H 2 2 38 2 Dimostrazione della Wo ( f ) = Wi ( f ) H (iω ) 2 +∞ Dalla: y (t ) = ∫ x(t − τ ) h(τ ) dτ −∞ +∞ moltiplico prima per x(t-θ) e poi per y(t+θ), e valuto i valori d’aspettazione dei due risultati (media d’insieme). le medie sono rispettivamente la correlazione tra x e y e l’autocorrelazione di x e di y, e dipendono solo dalla differenza dei tempi (processi stazionari). E{ y (t ) x(t − ϑ )} = ∫ E{x(t − τ ) x(t − ϑ )} h(τ ) dτ −∞ +∞ E{ y (t + ϑ ) y (t )} = ∫ E{ y(t + ϑ ) x(t − τ )} h(τ ) dτ −∞ E{ y (t ) x(t − ϑ )} = Rxy (ϑ ) E{x(t − τ ) x(t − ϑ )} = Rx (ϑ − τ ) E{ y (t + ϑ ) y (t )} = R y (ϑ ) E{ y (t + ϑ ) x(t − τ )} = Rxy (ϑ + τ ) 39 Quindi si ha (* indica la convoluzione): +∞ Rxy (ϑ ) = ∫ R (ϑ − τ ) h(τ ) dτ = R (ϑ ) * h(ϑ ) x x −∞ +∞ R y (ϑ ) = ∫R xy (ϑ + τ ) h(τ ) dτ = Rxy (ϑ ) * h(−ϑ ) −∞ Passando alle trasformate di Fourier e osservando che F[h(-t)]=H*(iω): Combinando i risultati: Ricordando il teorema di W-K: S xy (iω ) = S x (iω ) H (iω ) S y (iω ) = S xy (iω ) H * (iω ) S y (iω ) = S x (iω ) H (iω ) 2 Wy ( f ) = Wx ( f ) H (iω ) 2 40 Nota sull’integrale di convoluzione La formula di convoluzione permette di calcolare nel dominio del tempo la risposta di un circuito. La formula più usuale e nota è quella nel dominio della variabile di Laplace: Y ( s) = X ( s) H ( s) Ovvero, l’uscita del circuito è data dall’ingresso, moltiplicato per la funzione di trasferimento, o “guadagno”, del circuito. Poiché con il rumore si opera sempre in regime stazionario, alla variabile s si sostituisce iω e si lavora con la trasformata di Fourier, anziché quella di Laplace. Ciò che nel dominio delle frequenze è un prodotto, nel domino del tempo, cioè delle anti-trasformate, diventa un integrale di convoluzione: y (t ) = +∞ +∞ −∞ −∞ ∫ x(t − τ ) h(τ ) dτ = ∫ x(τ ) h(t − τ ) dτ Ovvero, il segnale d’uscita del circuito è dato dalla convoluzione del segnale d’ingresso con la risposta all’impulso del circuito. 41 Il calcolo dell’integrale di convoluzione può essere talvolta molto arduo (ma allora si opera nello spazio delle trasformate, dove diventa un banale prodotto), però lo si può rappresentare, molto intuitivamente, in maniera grafica. Fissando le idee sulla prima forma dell’integrale: +∞ y (t ) = ∫ x(t − τ ) h(τ ) dτ −∞ lo si può interpretare come l’integrale delle due funzioni (di cui la prima è l’immagine riflessa del segnale d’ingresso), fatte “scivolare” l’una rispetto all’altra. Forse la cosa è più chiara passando dal tempo continuo al tempo discreto e alle funzioni campionate ad intervalli ∆t. Allora l’integrale diventa: y (ti ) = ∑ j x(ti − τ j ) h(τ j ) ∆t Con questa formula ho fatto un esercizio numerico e cercato di visualizzare come la convoluzione si costruisce 42 Si ottiene una cosa del genere: h(tau) 7 x(tau-t) 6 -5,E-06 h(tau) 7 x(tau-t) 6 h(tau) 7 x(tau-t) 6 5 5 5 4 4 4 4 3 3 3 3 2 2 2 2 1 1 1 1 5,E-06 -5,E-06 0 0,E+00 5,E-06 -5,E-06 0 0,E+00 x(tau-t) 6 5 0 0,E+00 h(tau) 7 0 0,E+00 5,E-06 -5,E-06 5,E-06 La convoluzione finale è questa: 70 convoluzione 60 50 40 30 20 10 0 0,0E+00 -10 2,0E-06 4,0E-06 6,0E-06 8,0E-06 1,0E-05 1,2E-05 1,4E-05 1,6E-05 43 Tipi di Rumore Il rumore esibito dai componenti fisici si descrive mediante tre modelli fondamentali di rumore: • Rumore termico o Johnson; causato dall’agitazione termica dei portatori nei conduttori • Rumore granulare o shot; compare con correnti dovute a pochi portatori che attraversano in tempi brevissimi una barriera di potenziale, generando una successione casuale di impulsi di corrente. • Rumore 1/f o Flicker; comprende un’ampia gamma di sorgenti di rumore, spesso di origine poco chiara, che mostrano uno spettro di tipo 1/fα con α prossimo a 1. Nei componenti fisici reali vi può essere un tipo di rumore dominante, ma possono essere anche tutti compresenti. 44 Rumore Johnson Ai capi di un resistore R in equilibrio termico alla temperatura T compare una tensione di rumore dovuta al moto casuale degli elettroni di conduzione. Questo fenomeno fu studiato sperimentalmente da J.B. Johnson nel 1928 (11) e lo spettro di potenza fu ben presto determinato da H. Nyquist (12). La resistenza connessa ad un circuito, e con esso in equilibrio termico, a causa del rumore scambia con esso energia, con una potenza per unità di banda di frequenza data da: dP = hf hf kT df e −1 Per tutte le frequenze di interesse in elettronica, questo spettro è “bianco” cioè indipendente dalla frequenza. 1. × 10 −21 1. × 10 −22 1. × 10 −23 1. × 10 −24 1. × 10 −25 dP ≈ kT df kT per f << h 1. × 10 8 1. × 10 9 1. × 10 10 1. × 10 11 1. × 10 12 1. × 10 13 1. × 10 14 dP(f) a T=10, 20, 40, 80, 160, 320 °K 45 Una resistenza reale è allora rappresentata da una resistenza ideale (priva di rumore) con un generatore di tensione in serie, o un generatore di corrente in parallelo (teorema di Thevenin-Norton), tali da generare rumore con la stessa potenza. en R in R Lo spettro di potenza dei due generatori vale allora: Win ( f ) = 4kT R [A 2 /Hz] Wen ( f ) = 4kT R [V 2 /Hz] Vale la pena di rimarcare che, ricordando come lo spettro di potenza è legato alla varianza della rispettiva variabile di rumore, le dimensioni di Win sono A2/Hz e quelle di Wen sono V2/Hz 46 Rumore Shot Si ha quando la corrente è dovuta a pochi portatori che generano brevi impulsi con occorrenza casuale. È un fenomeno importante nella emissione di elettroni da fotocatodi, nelle valvole termoioniche, nelle correnti di portatori minoritari (correnti di gate nei JFET e MOSFET, e di base nei BJT). Viene descritto mediante la statistica di Poisson, con la quale si calcola media e varianza della corrente: • Corrente media (q = carica dell’elettrone f = frequenza media degli impulsi) • Varianza della corrente I= f q σI2 = I q ∆t 47 Come intuibile, la varianza della corrente è tanto più piccola quanto è lungo l’intervallo ∆t di osservazione. Per calcolare spettro del rumore shot bisogna trovare l’autocorrelazione del processo che lo descrive e trasformarla secondo Fourier. Trattando gli impulsi di corrente come delta di Dirac, si ottiene che: (cfr. rif. 10 pag. 350): Ws ( f ) = 2 Iq [A 2 /Hz ] È anche questo un rumore bianco, nel limite in cui regge l’approssimazione degli impulsi come delta di Dirac; quindi fino a frequenze dell’ordine dell’inverso della durata degli impulsi. 48 Rumore Flicker Un un’ampia serie di fenomeni, non solo fisici ed elettronici, mostrano fluttuazioni di ampiezza crescente all’aumentare del tempo di osservazione, descrivibili come un rumore con uno spettro proporzionale a 1/f,. Le cause fisiche del rumore 1/f sono spesso oscure; sappiamo che resistori a carbone mostrano più rumore 1/f rispetto a quelli metallici, e se ne imputa la causa alle discontinuità di resistività dovuta ai contati più o meno buoni tra i granuli della pasta resistiva di cui essi sono composti. Nei dispositivi a semiconduttore il rumore 1/f cresce al crescere dei difetti reticolari. Di conseguenza, dispositivi a conduzione superficiale (i.e. MOS) hanno più rumore 1/f dei dispositivi a conduzione di bulk (i.e. BJT e JFET). Va infine detto che il rumore 1/f è assolutamente presente ovunque. La trattazione teorica del rumore 1/f è complessa,(13) (14) perché non può essere considerato un processo stazionario. La sua varianza diverge verso le basse frequenze; questa “catastrofe” è evitata perché in realtà nessun circuito ha banda che si estende a frequenza zero. 49 Dal punto di vista pratico, le prestazioni dei dispositivi sono caratterizzate dalla frequenza di 1/f noise corner, sopra la quale il rumore 1/f diventa trascurabile rispetto al rumore bianco. Nelle applicazioni pratiche si cerca di minimizzare l’effetto del rumore 1/f, mantenendo le frequenze di interesse sopra il noise corner. Esso può essere un problema serio per circuiti in continua ad alta sensibilità, p.es. generatori di tensioni di riferimento, che notoriamente sono soggetti a lente pendolazioni e richiedono periodiche calibrazioni. Nei nostri circuiti, osservata l’avvertenza di stare sopra il noise corner, solitamente il rumore 1/f è trascurato. Slope = -1/2 LMV793 MOS input OpAmp equivalent input noise voltage LMP7731 Bipolar input OpAmp equivalent input noise voltage 50 Rappresentazione del rumore nelle reti Un generico sistema elettronico lineare viene rappresentato come un doppio bipolo. In esso ci sono molteplici sorgenti di rumore, ciascuna produce rumore in uscita secondo la sua funzione di trasferimento. Il rumore in uscita può essere riportato in ingresso mediante la funzione di trasferimento del bipolo. Poiché il bipolo è descritto da un sistema lineare nelle tensioni e correnti d’ingresso e d’uscita: Vo = h11Vi + h12 I i I o = h21Vi + h22 I i Io Ii Vi allora tutto il rumore del sistema può essere riportato in ingresso mediante due generatori, uno di tensione in serie, detto anche rumore serie, ed uno di corrente in parallelo, detto rumore parallelo. Tutto il rumore è quindi espresso dallo spettro delle due sorgenti (ed eventualmente dalla mutua correlazione)(3). doppio bipolo en in Vo doppio bipolo privo di rumore I datasheets dei componenti esprimono il rumore con la radice quadrata dei relativi spettri. Quindi danno il valore dei due generatori con le dimensioni: [en]=V/√Hz [in]=A/ √Hz 51 Relazione tra spettro di rumore, e noise figure Un altro parametro spesso usato per quantificare il rumore, soprattutto di amplificatori e grandi sistemi, è la noise figure, che esprime il rapporto tra rumore rms in uscita al sistema e quello dovuto alla sola sorgente, espresso in decibell: 2 n NF = 10 log o 2 ( ns H ) i o H ns Nel rumore in uscita separiamo la parte dovuta al sistema da quello dovuto alla sorgente (i due rumori sono statisticamente indipendenti, quindi i loro rms si sommano quadraticamente): nH 2 no = (ns H ) 2 + nH ( 2 ) Osservando che nH/H è il rumore del sistema riportato in ingresso, nHi: nHi = ns 10 10 − 1 In termini di spettro, e considerando che il rumore della sorgente è dovuto tipicamente ad una resistenza Rs: WHi = 4k T 10 10 − 1 Rs 2 2 [( La quantità T(10NF/10-1) è detta temperatura equivalente di rumore, ed esprime la temperatura a cui dovrebbe trovarsi la sorgente per rendere conto del rumore del sistema. NF )] NF 52 Rumore nei componenti elettronici Rumore nei componenti passivi Del rumore generato da resistenze si è già detto. A rigori, andrebbe aggiunto la componente 1/f, che dipende dalle particolarità costruttive delle resistenza en Win ( f ) = 4kT R R in R Wen ( f ) = 4kT R Forse non è inutile dire che condensatori e induttanze (trascurando loro resistenze parassite) non generano rumore. 53 Rumore nel BJT Ci sono molteplici sorgenti di rumore nel BJT: il rumore shot dei portatori minoritari, il rumore termico delle resistenze diffuse, il rumore di generazione e ricombinazione, il rumore 1/f… Il modello che presento non tiene conto di tutto, ma è sufficiente in tutte le situazioni pratiche (senza ricorrere a tecniche computazionali), e soprattutto non richiede conoscenze di parametri “esotici” dei dispositivi . 54 Secondo questo modello le sorgenti di rumore nel BJT sono: • Shot noise delle corrente di base. Essa infatti è dovuta ai portatori iniettati dell’emettitore, che nel volume della base sono portatori minoritari • Johnson noise della resistenza diffusa di base. A causa del suo ridotto spessore, la base presenta una resistenza non trascurabile (≈10-100Ω), che genera rumore termico. Spesso viene trascurato. • Shot noise delle corrente di collettore. Essa è dovuta ai portatori iniettati dall’emettitore, che attraversano la base e giungono nel volume depleto della giunzione base-collettore. Sono quindi portatori minoritari. Questo rumore viene riportato in ingresso, mediato dalla transconduttanza del transisor. 55 Disegnando il transistor come un doppio bipolo con funzione di trasferimento gm (che vale a bassa frequenza, ma assumiamo di usare il transistor ben sotto la sua ft): gm ≈ Ic Ic q ≈ kT 25 mV io vi vn a T = 300° K in allora lo spettro del rumore serie e parallelo valgono, rispettivamente: 2 Ic q 2kT Wen = + (4kTRbb ) = + (4kTRbb ) 2 g gm m Win = 2 I b q = 2 Ic β q Dove Rbb è la resistenza diffusa di base. Si usa rappresentare gli spettri di rumore bianco in termini di resistenza equivalente di rumore, definita come la resistenza che genera lo stesso spettro di rumore. Allora le resistenze di rumore equivalenti del BJT per il rumore serie e parallelo valgono, rispettivamente: Wen 0,5 Rns ≡ = + (Rbb ) 4kT g m Rnp ≡ 4kT 2β = Win g m 56 Rumore nel JFET Il JFET è un dispositivo il cui la conduzione di corrente avviene nello spessore del semiconduttore (bulk), in un canale la cui sezione viene “strozzata” dalla zona di svuotamento della giunzione inversa del gate. La corrente di drain è quindi dovuta ai portatori maggioritari ed è affetta da rumore termico. Anche in questo caso il rumore della corrente di drain viene riportato in ingresso mediato dalla transconduttanza del transistor. La corrente di gate invece è affetta da shot noise, essendo la corrente di una giunzione polarizzata inversamente. Andrebbe anche considerato un contributo dovuto all’accoppiamento capacitativo tra in canale ed il gate, che riporta sul gate un po’ del rumore della corrente nel canale. 57 Si dimostra che per il JFET lo spettro del rumore serie e la resistenza equivalente di rumore serie valgono: Wen ≈ 0,7 4kT gm Rns = 0,7 gm io vi vn in E lo spettro di rumore parallelo vale: 4kT 2 Win = 2 I G q + 0.2 ω CGS 2 gm Il confronto con il BJT ci dice che: • Il rumore serie è confrontabile (ma nel BJT è molto più facile ottenere un’alta gm) • Il rumore parallelo è molto più alto nel BJT 58 Rumore nel MOSFET Il MOSFET ha un modello circuitale molto simile a quello del JFET, ed anche le sorgenti di rumore sono molto simili. Ma ci sono non trascurabili differenze. MOSFET a confronto con il JFET : • La transconduttanza gm è più alta nel MOS, a parità di corrente di drain; quindi minor rumore serie. • Correnti di gate più basse nel MOS; quindi minor rumore parallelo. • Rumore 1/f più alto nel MOS, perché la conduzione di corrente avviene sulla superficie del silicio, subito sotto l’ossido di gate, dove i difetti reticolari sono più densi. 59 Il bilancio dei pro e dei contro e la scelta finale dipendono dalle applicazioni: • In amplificatori realizzati a componenti discreti il MOS è svantaggiato dal rumore 1/f e dal fatto che le protezioni sul gate vanificano il minor rumore parallelo. • In amplificatori integrati il MOS è avvantaggiato dal fatto che la tecnologia d’integrazione dei MOS è più semplice. • Il trend tecnologico da un lato porta ad una riduzione del rumore 1/f nei MOS, dall’altro va verso amplificatori a sempre più alta frequenza, dove il rumore 1/f pesa poco. • In amplificatori a tempo di formatura lunga (p.es. per spettroscopia nucleare, tipicamente a componenti discreti) il dispositivo d’elezione resta il JFET • Negli amplificatori integrati su larga scala per gli esperimenti HEP il MOS è l’unica scelta praticamente possibile. 60 Rumore dei vari dispositivi a confronto. • La risalita a tempi piccoli è dovuta al rumore serie • La risalita a tempi grandi è dovuta al rumore parallelo • Il rumore 1/f è indipendente dal tempo di formatura 61 Rumore nell’Amplificatore Operazionale Generalizzando la rappresentazione del rumore nei doppi bipoli, e dopo aver visto come si rappresenta il rumore nei transistor, la rappresentazione più immediata del rumore nell’AmpOp è data mediante una coppia, per ciascun ingresso, di generatori di rumore serie e parallelo. enen+ in- in+ I generatori di corrente rappresentano essenzialmente il rumore (shot) delle correnti di bias. I generatori di tensione rappresentano essenzialmente il rumore (termico e/o shot) delle correnti di drain/collettore del dispositivo d’ingresso . Le coppie di generatori di tensione e di corrente sono, in prime approssimazione, identici e statisticamente indipendenti. I due generatori di tensione sono connessi agli ingressi dell’OpAmp, che sono equipotenziali; possono quindi essere “fusi” in un unico generatore con spettro dato dalla somma dei due. 62 Questo è il modello usato dai costruttori per rappresentare il rumore di un OpAmp, con un unico generatore di rumore serie, a cui contribuiscono entrambi gli ingressi. Ovvero en è √2 volte il rumore serie del singolo ingresso en in- in+ Spettri del rumore serie e parallelo dell’OpAmp LMP7731 63 Formazione del segnale nel rivelatore Il segnale elettrico fornito dai rivelatori elettronici è una certa quantità di carica rilasciata in un tempo solitamente molto breve. Un esempio semplice Nel situazione più semplice possiamo immaginare il rivelatore come un condensatore piano carico, nel cui volume una particella ionizzante generi una coppia elettrone/ione. Le cariche migrano nel volume del rivelatore, sotto l’azione del campo elettrico, e generano sul circuito esterno una corrente I(t) che trasporta una carica e. Le due cariche generano corrente finché non raggiungono gli elettrodi. L’elettrone, che si muove velocemente, genera una corrente alta per un tempo breve; lo ione positivo, più lento, genera una corrente più bassa e più lunga. -e +e I(t) I Corrente da eCorrente da e+ t 64 La forma del segnale Teorema di Shockley-Ramo La descrizione analitica generale della corrente indotta da una carica in movimento sui conduttori circostanti è formulata dal teorema di Shockley-Ramo; W. Shockley, J. Appl. Phys. 9 (1938) 635 - S. Ramo, Proc. IRE 27 (1939) 584 r r I i = qv ⋅ Eni Ii v Eni è la corrente indotta dalla carica q sul conduttore i; è la velocità della carica, determinata dal campo totale sentito dalla carica; è il campo “normalizzato” sentito dalla carica (cioè, applicando un potenziale unitario al conduttore i, e nullo agli altri conduttori). La soluzione generale di questa equazione, in presenza di molti conduttori, non può che venire affrontata con simulazioni numeriche. Dal punto di vista dell’elettronica di front end interessa solo trovare la corrente sull’elettrodo di lettura. 65 Soluzioni particolari del teorema di Shockley-Ramo Condensatore piano e cariche con velocità saturata È un buon modello di rivelatori con elettrodi piani a ionizzazione di liquido o gas (nei gas la condizione di velocità satura può essere violata – cfr rif. 2 pag. 22 ss). v = µE la velocità della carica è proporzionale al campo elettrico (gli urti con gli atomi del mezzo “saturano” la velocità); En = 1/d è il campo ottenuto applicando una differenza di potenziale unitaria agli elettrodi (l’indice i scompare perché c’è una sola corrente da calcolare). -e +e x carica dell’elettrone/ione; E q = ±e d Assumiamo di avere una coppia elettrone/ione creata a distanza x dall’elettrodo di riferimento. Sia d la distanza tra gli elettrodi. Nell’equazione di Shockley-Ramo vanno quindi messe le quantità (con i corretti segni): 66 Le correnti create dal movimento delle due cariche valgono quindi: 1 eµ + E I = qv ⋅ En = +e( µ E ) = d d x 1 eµ − E I = qv ⋅ E n = − e ( − µ E ) = d d − -e +e d + E + − La durata delle due correnti è rispettivamente: x t = + µ E + s d−x t = − µ E − s I − eµ E d e d−x d Corrente da ee eµ + E d Poiché µ->> µ+ allora ts-<<ts+ (per dare un’idea, nell’argon liquido µ-/µ+ ≈1000) x d Corrente da e+ t d−x µ −E x µ+E La carica totale trasportata dalle due correnti vale: eµ + E x eµ − E d − x x d −x q = ∫ ( I + I )dt = + = e + =e + − d µ E d µ E d d + − 67 Una particella ionizzante che attraversi tutto lo spessore del rivelatore, crea n coppie lungo tutto il percorso, che arrivando progressivamente agli elettrodi, generano due impulsi di corrente di forma triangolare, alto e corto gli elettroni, basso e lungo gli ioni. Ciascun impulso porta metà della carica totale, tuttavia, a causa del lungo tempo di raccolta, di solito il contributo degli ioni positivi è trascurato. I neµ − E d Corrente da elettroni 1 2 ne Corrente da ioni neµ + E d 1 d µ− E 1 d µ+ E t 68 Rivelatore proporzionale a geometria cilindrica (camera a fili) Nelle camere a fili il campo elettrico raggiunge intensità sufficienti a generare moltiplicazione della carica nelle immediate vicinanze del filo. Gli elettroni vengono rapidamente raccolti dal filo, e danno un contributo modesto al segnale totale (tanto più piccolo quanto più è sottile il filo), mentre il grosso del segnale è dovuto agli ioni che si allontanano dal filo. Appare quindi come un impulso inizialmente molto ampio, seguito da una lunga, debole coda. (cfr rif. 2 pag. 44 ss) Forma del segnale calcolata per contatore proporzionale a geometria cilindrica (tratto da rif. 8) 69 Rivelatori a silicio Sono essenzialmente una giunzione PN polarizzata inversamente e con un esteso volume svuotato da portatori liberi. Possono allora essere rappresentati come un condensatore piano con una distribuzione spaziale di carica che altera l’uniformità del campo. La distribuzione di carica, e quindi la forma dell’impulso generato da una particella ionizzante, dipende dal profilo di drogaggio e dal potenziale di polarizzazione, rendendo possibili una varietà di forme del segnale. È significativo che, avendo gli elettroni e le hole mobilità comparabili, contribuiscono entrambi al segnale. Segnale generato da traccia passante in silicon pad detector, under-depleted (sin) e over-depleted (dx) Tratto da rif. 9 70 Tratto da rif. 6 Blocchi funzionali di una catena analogica. In una catena completa di processamento analogico dei segnali da rivelatori possiamo individuare a grandi linee tre blocchi funzionali. Cf Detector Rf Shaper A Q(t) Cd Rd Charge Preamp Signal Precessing Sampling ADC Hf DAQ trigger Data Acquisition 71 Detector Il detector è rappresentato con il suo circuito equivalente (può variare nei dettagli; dipende dalla configurazione), composto essenzialmente da: • generatore di corrente che eroga un impulso di corrente Q(t). Solitamente si assume che abbia durata nulla, o comunque molto più breve della risposta all’impulso della catena analogica, per cui può essere assimilato ad una delta di Dirac: Q(t) = Q δ(t) Detector A Q(t) Cd Charge Preamp Rd Sign • capacità Cd che è principalmente la capacità del rivelatore, ma include ogni capacità parassita (capacità del dispositivo d’ingresso, di interconnessioni …). La minimizzazione delle capacità parassite e delle interferenze è la ragione per cui il preamplificatore è posto immediatamente vicino al rivelatore. • resistenza Rd che è principalmente la resistenza di polarizzazione del rivelatore, ed include ogni resistenza parassita (perdite delle interconnessioni e del rivelatore stesso…) 72 Accoppiamento in DC o AC Il rivelatore può essere connesso all’amplificatore in continua o mediante un condensatore di isolamento. Il circuito equivalente varia nei due casi, ma si assume che i condensatori di blocco e di isolamento siano tanto grandi da rendere trascurabili le loro impedenze. Ci sono pro e contro per entrambe le configurazioni. La scelta è un compromesso tra diverse esigenze; è più frequente l’accoppiamento AC. • Nell’accoppiamento in DC l’amplificatore vede anche l’eventuale corrente di perdita del rivelatore, cosa talvolta utile, ma porta uno spostamento in continua del livello di base dell’uscita. Vb Rb Cb all'amp Accoppiamento in DC Vb Rb Cb all'amp • L’accoppiamento in AC elimina la corrente di perdita del rivelatore e, può introdurre un taglio utile ad attenuare il rumore a bassa frequenza (1/f, microfonicità, interferenze…). Per contro, impedisce una formatura esattamente unipolare, con errore tanto più grande quanto è piccolo il condensatore. • Può essere difficile trovare condensatori da alta tensione di elevato valore (e magari anche piccoli). Accoppiamento in AC 73 Preamplificatore (amplificatore di carica) È il componente più critico dell’intera catena; da esso dipendono in maniere cruciale le prestazioni al rumore del sistema. Cf Rf È costituito da un amplificatore di tensione con alta impedenza d’ingresso e alto guadagno invertente, con reazione capacitiva, in modo da realizzare un integratore. Nella reazione compare una resistenza, per fornire la tensione di polarizzazione all’ingresso, ma il suo contributo deve essere trascurabile. A Charge Preamp Signal Precessing Funzioni fondamentali: 1. Massimizzare la raccolta di carica. Efficienza di raccolta: AC f AC f + Cd A Cd ≈1 Rd ACf Rf /A se ACf>>Cd. 2. Ottimizzare le prestazioni rispetto al rumore. 3. Fornire il primo stadio di signal shaping. 4. Fornire un adattamento di impedenza (raro). Il preamplificatore è tagliato su misura per ogni rivelatore 74 Disegno di un amplificatore di carica La “configurazione operazionale” che forma il nucleo dell’amplificatore di carica deve avere queste caratteristiche: 1. Alto guadagno invertente ad anello aperto 2. Alta impedenza d’ingresso; 3. Alto prodotto guadagno-banda; 4. Basso rumore; 5. Dispositivo d’ingresso “adattato” al rivelatore. Non è invece necessario che abbia ingresso differenziale, anzi è controindicato dai punti 3 (l’ingresso non invertente contribuisce comunque al rumore) e 4 . Non sarà quindi un amplificatore operazionale commerciale. Il punto 2, per quanto visto a proposito dell’impedenza d’ingresso di un operazionale con reazione R||C, porta a dire che il polo dominante dell’amplificatore deve essere maggiore del polo dell’impedenza (ω0>>ωf). Tutto ciò porta a concludere che un operazionale commerciale è poco indicato per realizzare un amplificatore di carica. 75 Un amplificatore a componenti discreti con ingresso JFET L’amplificatore qui presentato, nonostante la semplicità, mostra eccellenti prestazioni per costruire un amplificatore di carica. È uno schema derivato, con qualche modifica, dal classico schema di Radeka. Aol ≈ -1000 ÷ -8000 @ Rl=0,4 ÷ 5 kΩ, Cl=50 pF GBW ≈ 400 MHz (simulati) Power ≈ 23 mW Q1=BF851A Q2 ÷ Q5 = HFA3096 Nota: l’amplificatore è disegnato senza feedback. È chiaro che il gate d’ingresso ha bisogno di una tensione di polarizzazione, che sarà prelevata dall’uscita mediante una resistenza di alto valore. L’uscita quindi avrà un offset pari alla tensione Vgs del JFET. 76 Il segnale di tensione Vin sul gate induce un segnale di corrente id=gmVin sul drain, che viene catturata (quasi) integralmente dal folded cascode id vin Folded cascode 77 La corrente id viene convertita in tensione sul carico attivo, costituito da una resistenza “bootstrapped”. Il generatore di corrente fornisce le correnti di polarizzazione senza caricare l’uscita. id Il guadagno totale è dato da gmZo dove Zo è l’impedenza vista sul collettore di Q2 Carico attivo Generatore di corrente 78 Lo stadio d’uscita è costituito da un emitter follower con un booster di corrente che ne abbassa ulteriormente l’impedenza d’uscita. La correte su carico si ripartisce su Q3 e Q4 in proporzione inversa al rapporto delle resistenze di collettore, su Q4, e di emettitore, su Q3. booster Emitter follower 79 Il risultato è un amplificatore con un’ottima risposta in frequenza, seppure alquanto sensibile al carico. Rl=5 kΩ Rl=400 Ω ωo≈1 MHz GBW=400 MHz 80 Un amplificatore integrato MOSFET Questo invece è l’amplificatore in tecnologia MOS, integrato nel chip HELIX, usato nel read out del microvertice di ZEUS Resistenze variabili cascode Level shifter Il MOS d’ingresso ha piccola “gate length” (⇒ alta risposta in frequenza) e grande “gate width” (⇒ grande gm). Non ha buffer d’uscita perché è usato con 81 un carico ben definito, che partecipa alla definizione del guadagno. Filtro o Shaper. Subito dopo il preamplificatore di carica viene il cosiddetto “shaper” che svolge le seguenti funzioni fondamentali: 1. Filtrare il segnale in modo da ottimizzare il rapporto segnale/rumore (teoria del filtro ottimo). 2. Dare al segnale una forma adeguata alle successive elaborazioni: la carica è misurata dal valore di picco della forma d’onda, il tempo dall’istante di occorrenza del picco. Nel caso di soluzione a componenti discreti esso si trova, in tutto o in parte, lontano dal rivelatore, per minimizzare la dissipazione di potenza dentro il rivelatore. Il che comporta lo sviluppo di componenti dedicate alla trasmissione (line driver). Nel caso di soluzione integrata, solitamente il chip di front end alloggia tutta la catena fino alla digitalizzazione. 82 Teoria del filtro ottimo Per trovare qual è il filtro con il quale si ottiene il migliore rapporto segnale/rumore, bisogna tornare a guardare l’intero sistema, compreso il rivelatore (rappresentato dalla sua impedenza equivalente, Zd). Il filtro che segue il preamplificatore è rappresentato dalla sua funzione di trasferimento Hf(s), di modo che la funzione di trasferimento dell’intera catena è H(s)=-Zf(s)·Hf(s) Si dimostra che esiste una forma di H(s) che permette la misura del segnale d’ingresso con il migliore rapporto segnale/rumore. Cercheremo poi le migliori realizzazioni pratiche del filtro ottimo, che concilino semplicità costruttiva con buone prestazioni, anche nei confronti di altre cause di perdita di risoluzione, diverse dal rumore casuale. 83 Spettro di rumore in ingresso Usando un principio già enunciato, tutto il rumore del sistema è rappresentato dai due generatori di rumore serie e parallelo, e ricordando che pesano di più i generatori di rumore vicini alla sorgente, con buona approssimazione tutto il rumore può essere ricondotto a pochissimi elementi. In questa rappresentazione si ha: Rumore parallelo in dovuto a: • Rumore termico di Rd • Rumore termico di Rf • Rumore shot della corrente di leackage del detector • Rumore shot del dispositivo d’ingresso dell’amplificatore • Rumore 1/f Zf en Zd A Hf (s) in Rumore serie en dovuto a: • Rumore riportato in ingresso dei primi dispositivi dell’amplificatore (transistor d’ingresso, resistenza di drain, cascode…) • Rumore 1/f 84 Rappresentando globalmente la componente bianca del rumore parallelo mediante la resistenza di rumore equivalente, lo spettro del rumore parallelo vale: 4kT 4kT 2 2 f p in (ω ) = + 0,2 Ci ω + Rp gm ω 2 Il termine tra parentesi esiste nel caso che il dispositivo d’ingresso sia un JFET o un MOS (molti autori lo trascurano comunque). Analogamente, il rumore serie si può scrivere: 2 en (ω ) = 4kTRs + fs ω Zf Per portare in uscita il rumore bisogna trovare le funzioni di trasferimento del circuito rispetto ai due generatori, che sono: vo = −Z f ⋅ H f in vo Z f + Z d = ⋅Hf en Zd en Zd A Hf (s) in 85 Spettro di rumore in uscita al filtro Lo spettro di rumore in uscita viene determinato mediante la relazione fondamentale: Wo ( f ) = Wi ( f ) H (iω ) 2 La applichiamo a ciascuna delle due sorgenti e sommiamo i contributi: 2 Wo ( f ) = in Z f 2 2 H f + en 2 Z f + Zd Zd 2 2 Hf 2 2 2 = in H + en 2 1 1 + Z f Zd H 2 Osservando che è: 2 1 1 + Z f Zd = 1 2 2 ( ) + Cf + Cd ω 2 (R f || Rd ) (Rf||Rd indica il parallelo di Rf e di Rd) 86 E inserendo le precedenti espressioni degli spettri d’ingresso, lo spettro d’uscita diviene: 4kT Wo ( f ) = Rp R p Rs 1 + H 2 (R || R ) f d 2 2 0,2 Ci 2 2 2 + 4kT Rs (Cd + C f ) + ω H Rs g m 1 fs H 2 + f s (Cd + C f )2 ω H + fp + 2 ( ) R || R f d ω rumore parallelo rumore serie 2 rumore 1/f Conviene introdurre qualche approssimazione: • RpRs << (Rf||Rd)2 • Cf << Cd • Trascuriamo tutto il rumore 1/f, assumendo che il filtro abbia un adeguato taglio in bassa frequenza. 87 Con queste approssimazioni, lo spettro d’uscita diviene: 4kT 2 0,2 Ci 2 2 ω H + 4kT Rs Cd + Wo ( f ) = Rs g m R p 2 La quantità tra parentesi quadre è chiaramente lo spettro del rumore totale riportato in ingresso come sorgente parallela, e può essere scritto come: ( 4kT 2 Wi ( f ) = 1+τ c ω 2 Rp ) 2 0,2 Ci 2 τ c = R p Rs Cd + Rs g m con La quantità τc è detta “noise corner time constant” Ora bisogna ricordare una formula presentata nelle teoria del rumore, e un paio di proprietà della trasformata di Fourier: ∞ σ n = ∫ W ( f ) df 2 0 1 2π +∞ ∫ −∞ +∞ 2 H (iω ) dω = ∫ −∞ 2 h(t ) dt 1 2π +∞ +∞ 2 dh(t ) 2 ω H ( i ω ) d ω = ∫−∞ ∫−∞ dt dt 2 88 Da cui si ottiene che la varianza del rumore in uscita vale: σ no2 2kT = Rp 2 ∞ 0 , 2 C 2 2 i & 2 (t ) dt h ( t ) dt + 2 kT R C + h s d ∫−∞ R g ∫ s m −∞ ∞ Quindi la varianza del rumore in uscita dipende dalla forma, nel dominio del tempo, della risposta all’impulso del filtro. Poiché Q·h(t) è la risposta del sistema all’impulso di carica in ingresso Q ·δ(t), misurando la risposta all’instante tM in cui il segnale ha la massima ampiezza, sarà possibile determinare Q con la migliore precisione. Si definisce rapporto segnale/rumore la quantità: Q ⋅ h(t M ) σ no Ovvero il rapporto tra il segnale d’uscita, misurato al picco, e il valore rms del rumore in uscita. 89 ENC Si definisce Equivalent Noise Charge (ENC) la carica in ingresso che fornisce un segnale pari a σno, ovvero la carica per la quale si ha un rapporto segnale/rumore pari ad 1. Quindi : ENC = σ no h(t M ) L’ENC è il parametro fondamentale per esprimere la qualità, rispetto al rumore, di una catena di amplificazione (ed è determinato quasi esclusivamente dal preamplificatore di carica). Se definiamo hn(t)=h(t)/h(tM) [cioè la normalizziamo ad altezza unitaria] si può scrivere: 2kT ENC = Rp 2 2 0,2 Ci 2 ∞ 2 & (t ) dt h ( t ) dt + 2 kT R C + h n s d ∫−∞ R g ∫ n s m −∞ ∞ 2 La ricerca del filtro ottimo si basa sulla minimizzazione dell’ENC al variare della hn(t) . 90 Filtro ottimo Nelle ipotesi usate (segnale d’ingresso impulsivo, rumore bianco), si dimostra che il filtro ottimo è descritto dalla forma: hn (t ) t hn (t ) = e −τ c Ma un filtro con questa caratteristica è concettualmente impossibile da realizzare … (è definito da t=-∞, conseguenza dell’aver usato la trasformata di Fourier). h&n (t ) 91 Tuttavia l’ENC del il filtro ottimo costituisce il termine di paragone per tutti i filtri realizzabili: ENCopt = 4kT τc Rp Per i filtri realizzabili si definisce un fattore di merito, dato dal rapporto dell’ENC con quello del filtro ottimo: F= ENC ENCopt 92 Altre cause di perdita di risoluzione Oltre al rumore casuale, ci sono altre cause che provocano perdita di risoluzione nella misura del segnale, e che condizionano la scelta del filtro. • Deficit balistico. Compare quando la durata dell’impulso d’ingresso è non trascurabile e variabile. Si compensa con una h(t) a sommità piatta di durata superiore alla massima (ragionevole) durata dell’impulso d’ingresso. Dall’integrale di convoluzione si vede che con questa forma la risposta ha ampiezza di picco indipendente dalla durata dell’impulso d’ingresso. • Pile-up. Compare quando la frequenza degli impulsi d’ingresso è tale da provocare sovrapposizione delle risposte. Si minimizza richiedendo una h(t) più corta del periodo medio tra gli impulsi d’ingresso, con rapido ritorno a zero. Nei rivelatori asincroni la probabilità di pile-up non può essere mai eliminata del tutto. 93 • Rumore a bassa frequenza (microfonicità, rumore 1/f …). Si riduce introducendo un taglio a bassa frequenza. Un taglio a frequenza molto bassa (i.e. accoppiamento in AC) produce perdita di risoluzione per baseline shift. Un taglio a frequenza meno bassa produce una formatura bipolare, che ha scarso fattore di merito, scarse prestazioni verso il deficit balistico e il pile-up, ma può essere l’estrema ratio contro rumore a (non tanto) bassa frequenza. • Rumore d’interferenza e di massa. Bisogna curare shielding, grounding e layout circuitale. In linea di principio non ha influssi sulla scelta del filtro. 94 Filtri reali Esiste un’incredibile varietà di soluzioni per realizzare filtri, alla ricerca del miglior compromesso tra le diverse esigenze. In tutti si verifica che gli integrali nell’espressione dell’ENC assumano la forma: ∞ ∫ hn (t ) dt = tM K p 2 −∞ ∞ & 2 (t ) dt = K s h ∫−∞ n tM L’ENC dei filtri diventa allora: 2 2 kT 0 , 2 C 2 2 i Ks ENC = t M K p + 2kT Rs Cd + t Rp R g s m M Dove Kp e Ks dipendono solo dalla “forma” di h(t), normalizzata in altezza e durata, e sono dei parametri specifici di ciascun filtro. Il tempo di picco viene detto shaping time 95 Dato un particolare filtro, con definite Kp e Ks il rumore (ENC) ora dipendono solo dallo shaping time, ed esiste un valore che lo minimizza. 96 Una veloce panoramica … 97 Una nota sul nome di filtri molto comuni I più comuni filtri “time invariant” (cioè, che non usano curcuiti commutati o linee di ritardo) vengono indicati con denominazioni del tipo “CR-RC” o “CR-(RC)4” ecc … Queste denominazioni derivano da una rappresentazione equivalente un po’ datata e, a mio avviso, fuorviante. Ad esempio, la forma normalizzata del così detto filtro CR-RC è e −τ τ −1 e C1 ed è la risposta di un filtro a due poli reali coincidenti, che non contiene alcun circuito CR (infatti è perfettamente unipolare). R1 A C2 R2 R1C1=R2C2 A 98 Cancellazione polo-zero Questo è un circuito che si incontra frequentemente nel disegno dei filtri per elettronica di front end. Supponiamo (come spesso è) che la τf del preamplificatore sua molto maggiore dello shaping time desiderato, con un circuito così si può “cancellare” il polo del preamp e portare il filtro alla forma voluta. La funzione di trasferimento del circuito è: Cf C2 Rf R2 C1 ii A R3 vo R1 A Charge Preamp Rf R2 1 + sτ f 1 + sτ 2 R f R2 vo Z2 1 + sτ 1 = Zf = = ii Z 3 ( R1 + R3 )(1 + sR1 || R3C1 ) R1 + R3 (1 + sτ f )(1 + sτ 2 )(1 + sR1 || R3C1 ) 1 + sτ 1 È una funzione che ha uno zero e tre poli. Se lo zero in 1/R1C1 viene fatto coincidere con il polo in 1/RfCf, e gli altri due poli vengo posto allo stesso valore, la funzione si semplifica in: R f R2 vo 1 = ii R1 + R3 (1 + sτ ) 2 99 Che realizza un filtro a due poli reali coincidenti, con risposta: hn (τ ) t −τ e h(t ) = ( R1 + R3 )τ τ 1 0.8 t R f R2 0.6 0.4 0.2 1 2 3 4 5 Bisogna prestare attenzione che in uscita al preamp si può avere un notevole pile-up; quindi il preamp deve avere adeguato range dinamico . Cf C2 Rf R2 C1 ii A R3 R1 A vo Charge Preamp 100 Filtri semigaussiani Tra le curve analitiche che meglio approssimano la cuspide del filtro ottimo c’è la gaussiana, che però è anch’essa irrealizzabile, essendo definita da t=-∞. La si può approssimare, con approssimazione crescente al numero di poli, con filtri a molti poli reali coincidenti (cfr. esempi a pag. 97), e ancor meglio (per fattore di merito del filtro e minor uso di elettronica), con filtri a poli complessi coniugati, per i quali si dimostra che esiste una disposizione ottimale dei poli(5). Il “bulding block” di base per questi filtri è il passa basso attivo del secondo ordine, che con un solo OpAmp realizza una coppia di poli complessi coniugati. A Non si trovano molto frequentemente, perché difficili da analizzare, ma sono molto efficienti. Il fattore di merito è attorno a 1,20-1,15 e decresce molto lentamente all’aumentare del numero di poli. 101 Uno shaper semigaussiano commerciale E’ uno shaper semigaussiano a 2 coppie di poli complessi coniugati. Molto versatile, è ampiamente usato in spettroscopia nucleare. La funzione di trasferimento non è fornita dal costruttore, ma con un po’ di ingegno … Uscita dello shaper campionata a 10 MHz e interpolata con la f(t) 102 Uno shaper “semigaussiano” integrato E’ lo shaper del chip HELIX. Realizza una formatura “semigaussiana” a un polo reale (dovuto al preamp) e due poli complessi coniugati, con accoppiamento in AC. Funzione di trasferimento e risposta all’impulso sono dati da: H (s) = K ( s + p )[(s + β ) 2 + α 2 ] h(t ) = Ae − tp − Ae −tβ cos tα + Betβ sin tα In questo caso il progettista, per minimizzare i componenti ha “giocato” con i poli interni degli amplificatori. 103 I parametri della h(t) non sono noti con esattezza; sono stati determinati con tecniche di minimizzazione dall’interpolazione della risposta Le prestazioni al rumore del chip HELIX •ENC(e-) ≈ 430 + 35*Cd(pF) •ENC(20pF) ≈ 1200 e•S/N ≈ 20 (1 MIP = 24000 e-) 104 Adattamento ottimale con rivelatori ad alta capacità Quando il rivelatore ha alta capacità, il contributo dominante all’ENC è dato dal rumore serie: 2 0,2 Ci 2 Ks ENC s = 2kT Rs Cd + Rs g m t M 2 Si dovrà quindi lavorare con tempi di formatura lunghi (il che esclude l’uso di BJT) e cercare di massimizzare la trasconduttanza gm. Per un preamplificatore integrato, significa fare il MOS d’ingresso molto grande. Per un preamplificatore a discreti con JFET si può ottenere lo stesso risultato mettendo molti dispositivi in parallelo. Tuttavia, poiché aumentando la transconduttanza si aumenta anche la capacità d’ingresso del dispositivo, ci sarà un valore limite a cui si ottiene il minimo ENC. 105 Per determinare le condizioni di ENC minimo osserviamo che: gm = ωt Ci ωt è la “pulsazione di taglio” del dispositivo. È un parametro del processo di produzione. Per i migliori JFET è circa 5·109 s-1 C d → C d + Ci Cd include tutte le capacità connesse in ingresso; ora assumo che ci sia solo il rivelatore ed il dispositivo d’ingresso (trascuro le interconnessioni) 1 Rs ≈ gm La resistenza di rumore serie per un JFET o MOS è circa 0,7/gm. Assumo Rs≈1/gm per tener conto approssimativamente anche degli altri contributi. L’ENC diventa allora: 2kT K s ENC s = ωt t M 2 Cd 2 + 2 C + 1 , 2 C d i C i 106 La condizione di minimo si trova uguagliando a zero la derivata rispetto a Ci. L’ENC minimo si trova a Ci≈0,9·Cd e vale: 2 ENC s ≈ 2kT K s 4Cd ωt t M Quindi si possono mettere JFET in parallelo, o aumentare le dimensioni del MOS, fino quasi a raggiungere la capacità del rivelatore. Naturalmente la cosa funziona fino a capacità del rivelatore “ragionevoli”; non si possono mettere troppi dispositivi in parallelo (le capacità parassite crescono anch’esse) né fare MOS grandi a piacere. 107 Un esempio di matching capacitativo Preamplificatore a componenti discreti per lettura di PIN diode da 5 cm2 (read out di HPD) 108 ENCs = K Cd tM ⇒ K ≈ 1,8 e pF µs ≈ 2,8 e / pF ≈ 2 e / pF ≈ 1,5 e / pF ≈ 1,3 e / pF 109 Matching con trasformatore Cf Rf 1:n Per capacità del rivelatore ancora maggiori il rivelatore può essere accoppiato al preamplificatore mediante un trasformatore. Usando le relazioni ideali di ingresso/uscita di un trasformatore: Qδ(t) Cd A Charge Preamp Vo I i = =n Vi I o il circuito sul primario viene riportato sul secondario con il circuito equivalente mostrato in figura. Quindi, la carica viene ridotta di un fattore n, ma la capacità viene ridotta di un fattore n2, permettendo un miglioramento del rapporto segnale rumore. (Q/n)δ(t) Cd/n² I risultati in realtà sono assai meni brillanti, a causa dei molteplici problemi che presenta un trasformatore reale. Cfr rif. 17 e 18 110 Terminazione attiva In qualche raro caso non si può assolutamente mettere il preamplificatore vicino al rivelatore, ed il segnale deve venire portato con una linea di trasmissione (non è una situazione esclusiva dei rivelatori di particelle). Situazione analoga si ha con l’accoppiamento tramite trasformatore, che deve essere caricato su una resistenza perché non induca oscillazioni. In questi casi si dovrebbe mettere in seria una resistenza, che darebbe un contributo al rumore maggiore di quello dell’amplificatore. Si ricorre allora alla terminazione attiva; amplificatori che hanno impedenza d’ingresso reale che non contribuisce al rumore. Si parla anche di resistenza fredda. 111 Il punto fondamentale sta nel disporre di un amplificatore ad alto guadagno, con polo dominante a frequenza molto bassa. Il circuito equivalente di un tale amplificatore potrebbe essere questo: vp gm Zi Ci x1 Ro Cf Co Rfs Rf in cui Ro è la resistenza (virtuale) vista in collettore del cascode e Co è la capacità (reale, ma con il contributo di capacità parassite) sullo stesso nodo. Per compensare l’effetto della capacità Ci d’ingresso del transistor (JFET o MOS), nella rete di feedback viene aggiunta una resistenza Rfs in serie a Cf. 112 In queste condizioni il guadagno ad anello aperto vale: A = − gmZo = − g m Ro 1 + sRoCo Se si pone RoCo=RfCf, trascurando per ora Ci e Rfs, l’impedenza d’ingresso diviene: 1 Rf 1 Co Zi = = g m Ro g m C f che è reale (resistiva), a cui si aggiunge in parallelo Ci. Aggiungendo in serie a Cf una resistenza Rfs è possibile compensare la presenza di Ci e mantenere Zi reale fino a frequenze abbastanza alte (secondo Radeka …). 113 Un preamplificatore commerciale E’ quanto di meglio offra il mercato (a circa 500€ …) 114 Preamplificatore a componenti discreti per rivelatore a bassa capacità per esperimento DONEVET (maggio 1988) 115 ENC vs capacitance 250 ENC = 14,3pF+ 151 200 ENC = 10,6pF + 116 ENC = 7.0pF + 99 electrons 150 tp = 1,3 us tp = 2,6 us tp = 5,2 us tp = 7,8 us tp = 15,5 us ENC= 5,1pF + 95 100 ENC = 3,6pF + 102 50 0 0 1 2 3 pF 4 5 6 116 ENC vs peak time 250 200 150 electrons Cd = 0 pF Cd = 1,8 pF Cd = 3,9 pF Cd = 5,7 pF 100 50 0 0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 micro sec 117 Filtro ottimo per la misura del tempo La misura dell’istante di occorrenza degli eventi è l’informazione primaria dei sistemi di trigger. Viene anche usata per la localizzazione dell’evento (camere a drift, localizzazione longitudinale mediante misura di ritardi …). La teoria del filtro ottimo dice che la forma migliore è quella che, all’istante della misura, passa per zero con la massima pendenza, minimizzando il time jitter dovuto al rumore. Quindi la migliore forma per la misura di tempo è la derivata del filtro ottimo per la misura di energia. La determinazione del tempo si fa quindi con un discriminatore zero crossing, che è esente da time walk (non risente dell’ampiezza del segnale). Il deficit balistico e il pile-up contribuiscono al time jitter; bisogna scendere a compromessi diversi da quelli per la misura di energia (la formatura a flat top non è buona per la misura di tempo). Hanno un grave svantaggio: l’informazione temporale è disponibile solo dopo il tempo di picco (intollerabile per i sistemi di trigger). Di conseguenza, prevalentemente la misura di tempo è fatta mediante discriminatori. 118 Acquisizione L’ampiezza del segnale d’uscita dello shaper è proporzionale alla carica depositata nel rivelatore. Il segnale deve essere quindi campionato al valore di picco e digitalizzato. Esistono varie soluzioni circuitali, che dipendono anche del sistema di acquisizione nel cui contesto il canale analogico è inserito (ADC per ciascun canale o ADC asservito a molti canali). • Sample & Hold • Peak Detector • Pipeline analogica • (Sampling continuo e processamento digitale – non presentato in questo corso) 119 Sample & Hold (Track & Hold) Lo schema di principio è assai semplice: a switch chiuso la tensione d’uscita segue l’ingresso, Quando lo switch si apre, il valore della tensione d’ingresso resta memorizzato sul condensatore Ch e mantenuto per il tempo necessario alla conversione. Chiaramente l’OpAmp deve avere ingressi a MOS. Se l’ADC è asservito a molti canali, il S&H deve mantenere la tensione con errore trascurabile anche per il tempo di multiplexing e conversione di tutti i canali Hold Vo Vin Ch Il comando sul gate dello switch è fornito da un sistema di trigger, all’istante in cui il segnale analogico raggiunge il picco. 120 In pratica, ci sono svariati problemi che complicano il disegno di un buon S&H: 1. Iniezione di carica dal segnale di commando dello switch. La tensione di commutazione applicata al gate dello switch inietta, attraverso le capacità parassite, della carica che disturba il segnale memorizzato nel condensatore. 2. “Feedtrough” del segnale d’ingresso. A switch aperto la capacità di feedtrough forma un partitore capacitivo con la capacità di hold. 3. Ritardo di fase della tensione sul condensatore. La resistenza Ron dello switch chiuso con la capacità Ch forma un passabasso che ritarda la tensione sul condensatore rispetto all’ingresso. 4. Ritardo di commutazione dello switch. Lo switch commuta con un po’ di ritardo rispetto a segnale su gate 5. Perdite di carica sul condensatore. La carica sul condensatore subisce perdite per varie cause: corrente di bias dell’OpAmp, leackage dello switch e del condensatore stesso. 6. Rilassamento della tensione sul condensatore. I tempi di polarizzazione dei dielettrici dei condensatori, che per certi dielettrici possono arrivare alle decine di secondi, provocano un rilassamento della tensione sul condensatore, anche con tempi alquanto lunghi. 121 Contro l’iniezione di carica si può ricorrere a switch analogici basati su “pass gate”che, in opportune condizioni, minimizzano l’iniezione di carica. Per contro, le capacità parassite sono più alte rispetto ad un singolo MOS MAX313 Hold quad analog switch Vin SD5000 quad D-type N-channel MOS 122 La perdite di carica dovute alle correnti di leakage e di bias si possono compensare con questo circuito: Assumendo che condensatori, switch e correnti di bias siano uguali, la deriva sui due condensatori è uguale mantenendo, in prima approssimazione, costante l’uscita. Anche l’iniezione di carica e viene compensata. Hold Ch Vo Vin Ch Il ritardo di fase e il ritardo di commutazione agiscono in direzioni opposte e in qualche misura si compensano. Il feedtrough si minimizza imponendo un valore alto alla capacita di hold. Si impone che la frazione di segnale che passa a switch aperto sia minore della risoluzione dell’ADC. Poiché una capacità alta è controindicata in fase di ritorno in tracking, si può ridurre il feedtrough con una resistenza in serie allo switch; ciò aumenta il ritardo di fase e il segnale di hold deve essere opportunamente ritardato. 123 Il rilassamento della tensione sul condensatore, dovuto ai ritardi di polarizzazione del dielettrico, può essere ridotto usando condensatori con dielettrici veloci e a bassa perdita (mica, policarbonato, teflon …). Questo è un circuito completo (da rif. 16), con reazione globale che offre maggiore precisione, e con circuiti di compensazione delle perdite e di protezione del buffer d’ingresso. La resistenza r è richiesta per ragioni di stabilità del circuito nella fase di ritorno in tracking, ed introduce un ritardo di fase che va compensato con un opportuno ritardo sul segnale di hold. 124 Peak Detector Anche in questo caso il circuito è concettualmente molto semplice. A switch aperto l’uscita segue l’ingresso se esso è crescente; rimane stabile se è decrescente. Lo switch viene chiuso per resettare il sistema ad acquisizione completata. Di fatto le complicazioni sono anche maggiori del S&H, e la precisione è minore, essenzialmente perché è difficile compensare le perdite che avvengono durante lo spegnimento del diodo, e a causa del ritardo (deve uscire dalla saturazione) con cui il primo amplificatore si mette in tracking quando il diodo rientra in conduzione. Vo Vin Reset Ch 125 In pratica, quando è necessario realizzare un peak detector di precisione, si costruisce un S&H con un circuito che riconosce il picco. 126 Questo è un vero Peak Detector, con reazione globale. Lo stato di tracking o reset è comandato da una coppia differenziale. L’iniezione di carica allo spegnimento del diodo è minimizzata tenendo molto bassa la sua corrente diretta. La precisione poggia su un accurato bilanciamento delle correnti dei generatori. L’analisi è un po’ complicata (cfr. rif. 16 pag 383) 127 Questo è un circuito di Peak Detection suggerito da una application note Intersil (an1309), che restituisce la modulante di un segnale modulato in ampiezza. Per adattarlo come peak detector per un segnale di uno shaper, R23 va sostituita con uno switch. Il circuito attorno a Q1 serve a prevenire la saturazione del primo OpAmp. R1, R2 e C3 vanno “tunati” con la risposta in frequenza dello shaper. 128 Pipeline analogica È una struttura in cui la tensione analogica d’ingresso viene campionata e conservata su un array di condensatori. Dal punto di vista circuitale può essere visto come un S&H con condensatori multiplexati. read write Ch read write Vo Vin Ch write read Ch sia il campionamento di più eventi che occorrano sullo stesso ingresso, permettendo realizzare multi event buffers (⇒sistemi DAQ privi di tempo morto). In questo caso gli switches devono essere controllati da una opportuna logica di controllo, pilotata dal sistema di trigger. Pipeline 128x141 Permette sia il campionamento continuo della tensione d’ingresso, per la ricostruzione della forma d’onda, attivando in successione gli switches; E’ realizzabile solo in tecnologie VLSI 129 ADC L’ultimo stadio della catena analogica: la conversione analogico-digitale. L’ingresso analogico è convertito in un numero binario per il successivo processamento digitale. I parametri essenziali che definiscono un ADC: • Range dinamico (FS=Full Scale) • Numero di bits (Nfs=2N-1) • Tempo di conversione Da questi si ricava il guadagno, o risoluzione: • Gain=FS/Nfs 130 Gli errori più comuni di cui è affetto un ADC: • Offset error • Gain error • Integral non linearity • Differential non linearity • Non monotonicità INL = max Vn − G ⋅ n V fs DNL = max ∆Vn − G G 131 Alcune architetture di ADC ADC Wilkinson. È l’architettura più antica (1950). Un condensatore caricato alla tensione del segnale d’ingresso (potrebbe essere il condensatore di memoria del S&H o del Peak Detector) viene scaricato con corrente costante. Il tempo di scarica, misurato da un contatore con un clock ad alta frequenza, fornisce la conversione. La conversione richiede fino a 2N cicli. Ha buone prestazioni. Richiede elettronica di qualità. È ancora usato in spettroscopia nucleare. Vin stop Counter Ch start Trigger clock 132 ADC ad integrazione “dual slope”. Adatto a segnali lenti. Buone prestazioni di linearità e risoluzione. Richiede elettronica analogica e componenti di alta qualità. Un integratore viene caricato con il segnale d’ingresso per un tempo fisso, quindi scaricato con corrente costante; il tempo di scarica è proporzionale al segnale d’ingresso. La conversione richiede fino a 2N cicli, più il tempo di carica. La tecnica “dual slope” fornisce una conversione indipendente dai componenti critici R e C 133 ADC ad inseguimento. Un contatore Up/Down alimenta un DAC, la cui uscita viene confrontata con il segnale d’ingresso. L’uscita del discriminatore controlla la direzione del contatore. La conversione è data dal contatore, quando il DAC ha agganciato l’ingresso: richiede fino a 2N cicli. In grado di inseguire segnali relativamente veloci. Ottime prestazioni di linearità (legate alla qualità del DAC, che è facilmente integrabili con buone prestazioni di linearità). Realizzazione semplice; poca elettronica analogica, ed elettronica digitale semplice. 134 ADC ad approssimazioni successive La logica di controllo alza un bit alla volta di un registro a N bits, a partire dal più pesante. Il contenuto del registro viene convertito in valore analogico da un DAC, e confrontato mediante un discriminatore con il valore d’ingresso. Il bit viene tenuto o rifiutato a seconda dell’uscita del discriminatore. La conversione richiede N cicli. Velocità di campionamento ≤ 10 Ms/s Risoluzione 16-18 bit. Ottime prestazioni di linearità (legate alla qualità del DAC). Realizzazione semplice; poca elettronica analogica, ed elettronica digitale moderatamente complessa. E’ l’architettura attualmente più diffusa. 135 Flash ADC E’ il convertitore più veloce: 100 Ms/s e oltre. Ha una limitata risoluzione: 8-10 bits (n. di comparatori = 2n-1) Linearità limitata dalla qualità del partitore resistivo. Molto costoso, non è integrabile in piccole dimensioni, richiede molta energia, ma è insostituibile in applicazioni ad alta velocità. 136 Σ∆ ADC (One bit ADC) Fornisce uno stream di bits (ampiezza fissa) a frequenza molto elevata (oversampling), in cui la densità di 1 è proporzionale all’ampiezza del segnale d’ingresso. Un contatore con clock alla frequenza di oversamplig, resettato alla frequenza di sampling, fornisce la conversione. Relativamente lento (≈1 Ms/s). Risoluzione molto spinta (fino a 24 bit) E’ molto economico (parte analogica ridottissima; parte digitale molto complessa, ma facilmente integrabile in VLSI). Poco usato, per ora, in sistemi di acquisizione. 137 Riferimenti e bibliografia. 1. P. Reahk. Detection and Signal Processing in High Energy Physics. Rendiconti della Scuola Internazionale di Fisica “Enrico Fermi” LXXXIV corso (1981). 2. F. Sauli. Principles of Operation of Multiwire Proportional and Drift Chambers. Cern 77-09 (1977). 3. H.A. Haus. Rappresentation of Noise in Linear Twoports. Proc. IRE, vol 48 (1960). 4. P.W. Nicholson. Nuclear Electronics. J. Wiley. 5. S. Ohkawa et al. Direct Synthesis of the Gaussian Filter for Nuclear Pulse Amplifier. NIM 138 (1976) 85-92 6. E. Gatti, P.F. Manfredi. Processing the Signal from Solid State Detector in Elementary-Particle Phisics. La rivista del Nuovo Cimento, vol 9 serie 3 num 1 (1986). 7. H.W. Ott. Noise Reduction Techniques in Electronic Systems. J. Wiley. 8. R.A. Boie, A.T. 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