Erica Cosentino, Come nasce un soggetto

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Come nasce un soggetto
Mental Time Travel e identità
di Erica Cosentino
2.1
Introduzione
Supponiamo che un giorno qualcuno ci dica che gli eventi del nostro passato, in realtà, non sono
mai esistiti. Come la protagonista del film Blade Runner scopriamo di essere dei “replicanti”, degli
organismi non umani dotati, tra l’altro, di finti ricordi di una vita mai vissuta. Il senso del nostro
passato si dissolve e con esso anche la nostra identità: se quei ricordi non ci appartengono, chi
siamo noi allora? Diversi filosofi hanno ragionato sullo stretto legame tra memoria del passato e
identità:
Tu sei la stessa persona le cui avventure infantili stai attualmente ricordando (talvolta chiaramente, talvolta
confusamente)? Le avventure di quel bambino, il cui percorso nello spazio e nel tempo in apparenza ha
accompagnato ininterrottamente quello del tuo corpo, sono le tue stesse avventure? Quel bambino con il
tuo nome, quel bambino la cui firma scarabocchiata ti ricorda il modo in cui tu scrivevi il tuo nome, è (era)
te quel bambino? (Dennett, 1991, p. 470).
Se le nostre esperienze, i nostri ricordi e i racconti che ne facciamo costituiscono il nostro io,
chi è, allora, quel soggetto che fa esperienza, che ricorda e che racconta? La questione è
determinare se il soggetto è fonte di una storia personale o suo prodotto. In termini più
generali, cosa costituisce l’identità di un soggetto? Il CAP. I affrontava la questione dal punto di
vista dei criteri metodologici per avanzare una risposta invitando, inoltre, a tener conto dei vincoli
neurobiologici; tuttavia, la natura del funzionamento cerebrale e il livello subpersonale di analisi
della struttura della cognizione, oggetto di molte ricerche neurobiologiche e psicologiche
contemporanee, sembrano restituire un’immagine del soggetto che sfida la visione unitaria
ordinaria, in cui la sua irriducibilità è posta a fondamento della nostra comprensione di chi siamo.
È possibile, oggi, a partire da quelle ricerche che vincolano empiricamente le nostre assunzioni su
1
come nasce un soggetto, ricomporne l’unità? Lo sfondo disegnato da tale questione ridefinisce gli
strumenti per interrogarsi su un problema filosofico tradizionale: che cosa costituisce l’unità e
continuità del soggetto nel tempo, cioè la sua identità personale?
Nel Saggio sull’intelletto umano (1690), Locke rifletteva sulla memoria come artefice principale
dell’identità del soggetto; alla luce di studi recenti e a partire da un’analisi del ruolo della memoria,
proveremo a mettere a fuoco anche un altro aspetto, complementare, della questione. Pensiamo
ancora al caso del replicante di Blade Runner. La perdita improvvisa della propria storia è
accompagnata dalla totale dissoluzione dell’asse temporale intorno al quale la ragazza ha costruito
la propria vita: non perde solo il senso del proprio passato; perde anche il proprio futuro. Gli
scenari che aveva progettato decadono; le attività del presente, orientate a realizzarne alcuni o
fuggirne altri, non hanno più senso. L’uomo è costantemente teso al futuro; tuttavia, le nostre
capacità di decidere come agire, progettare, anticipare sono per larga parte dipendenti dal
repertorio di scenari passati che ci fornisce la nostra memoria.
In questo capitolo sosterremo che il pensiero orientato al futuro svolge una funzione
determinante per la costituzione dell’identità: è l’esigenza di decidere come agire in futuro che
determina il pensiero degli eventi del passato. Potremmo sostenere, anche, che è proprio perché
concepiamo la nostra vita come progetto che è possibile ripercorrerla e raccontarla
retrospettivamente come una storia. L’identità personale sembra costituirsi, dunque, almeno in
parte, tra le immagini degli eventi del proprio passato e quelle dei progetti e delle azioni del
proprio sé futuro. Nel presente capitolo affronteremo tali questioni relative all’identità dal punto
di vista dei processi mentali ed evolutivi implicati nella sua formazione1. L’obiettivo è mostrare
che il processo tramite il quale costruiamo il senso di chi siamo dipende necessariamente (ma non
esclusivamente) da uno stesso meccanismo sottostante sia alla memoria per eventi personalmente
esperiti – la memoria episodica –, sia all’anticipazione e pianificazione del futuro. Discuteremo le
ragioni evolutive dell’associazione tra le due abilità e argomenteremo che la capacità cognitiva
ampia che le comprende, sebbene affondi le radici nella cognizione degli animali non umani, è
una prerogativa esclusivamente umana. Gli umani sono i soli animali a costruire un’identità
personale. La questione della specificità ci condurrà ad analizzare brevemente il problema di
quanto essa sia genuina o rifletta la peculiarità umana per il linguaggio.
2.2
Identità personale e Mental Time Travel
1
Per una prospettiva di matrice storico-teoretica cfr. CAPP. 5-8.
2
2.2.1. Memoria episodica e memoria semantica
Invertiamo per un momento il flusso del tempo e torniamo con la memoria a un evento recente
di grande impatto emotivo per milioni di persone, la morte di Giovanni Paolo II. Dove eravamo e
con chi quando abbiamo appreso la notizia? Come lo abbiamo saputo? Che cosa abbiamo
provato? Probabilmente, molti di noi possono rispondere a queste domande con precisione.
Il processo di recupero di questi ricordi sembra essere radicalmente diverso dal ricordare,
per esempio, la capitale dell’Australia. Tulving (1985) poneva una distinzione fondamentale tra
conoscere un fatto, per esempio sapere che Canberra è la capitale dell’Australia, e ricordare un
evento, come quello in cui abbiamo appreso quel fatto. Le memorie del primo genere sono dette
semantiche; esse costituiscono la nostra base di conoscenze circa il mondo. La memoria episodica
è, invece, la memoria di eventi personalmente esperiti. Secondo una tassonomia condivisa
(Squire, 2004), memoria semantica ed episodica costituiscono il sistema esplicito o dichiarativo, il
quale è distinguibile dalla memoria implicita o non dichiarativa (come le procedure che guidano
certi comportamenti automatici). La distinzione all’interno del sistema dichiarativo è comprovata
da manipolazioni sperimentali, da studi di imaging, da dissociazioni nei deficit che seguono a danni
cerebrali. Nei casi di amnesia è la memoria episodica che viene compromessa; i soggetti colpiti
perdono, infatti, i ricordi del proprio passato, ma conservano intatta la base di conoscenze che
hanno acquisito, per esempio sanno giocare a scacchi ma non ricordano come o dove hanno
imparato (Tulving, 2002).
La memoria episodica non implica il semplice recupero di un ricordo da una banca dati;
essa richiede, piuttosto, un processo di ricostruzione attiva dell’evento (Friedman, 1993) e una
proiezione nello scenario ricostruito, dunque una ri-esperienza, con la consapevolezza che esso
appartiene al nostro passato. Questi processi sono gli stessi implicati nell’anticipazione del futuro
tramite la costruzione e la pre-esperienza di scenari potenziali, capacità grazie alla quale
prepariamo le nostre risposte a certe situazioni, pianifichiamo attività, progettiamo le nostre vite.
Suddendorf e Corballis (1997) e, indipendentemente, Wheeler, Stuss e Tulving (1997) hanno
argomentato che memoria episodica e anticipazione del futuro sono associate, nell’ontogenesi e
nella filogenesi, perché componenti di una capacità più ampia, il Mental Time Travel (MTT). Diverse
evidenze sostengono questa ipotesi; consideriamone alcune.
2.2.2. Evidenze per il MTT
3
Il concetto di
MTT
nasceva inizialmente per specificare la definizione di memoria episodica
(Tulving, 1972, 1983), cioè per designare l’esperienza soggettiva che accompagna la rievocazione
di un evento passato. Sulla memoria episodica si sono concentrate molte ricerche. Solo
recentemente, invece, si è iniziato a prestare attenzione alla costruzione mentale di potenziali
scenari futuri. Tuttavia, vi è stato un crescente riconoscimento del fatto che le due abilità sono
correlate. Una fonte di questa evidenza sono i casi di pazienti affetti da gravi disturbi della
memoria episodica; essi mostrano, allo stesso tempo, anche una forte incapacità di generare piani
per il futuro. Alcuni soggetti noti come K.C. (Tulving, 1985; Tulving et al., 1991) e D.B. (Klein et
al., 2002), per esempio, non solo non riuscivano a recuperare l’informazione relativa ad eventi
passati; essi erano anche incapaci a costruire episodi futuri circa ciò che avrebbero fatto in certe
situazioni (cfr. anche Levine et al., 1998). Uno studio di
PET
imaging ha dimostrato, inoltre, che
molte aree cerebrali attive quando un individuo ricostruisce eventi passati si attivano anche
quando egli anticipa eventi futuri (Okuda et al., 2003). Ancora, D’Argembeau e Van der Linden
(2004) hanno trovato, considerando adulti senza alcun tipo di deficit, che molti degli stessi fattori
che influenzavano l’esperienza soggettiva dei partecipanti di rivivere episodi del proprio passato,
condizionavano anche l’esperienza associata alla proiezione nel futuro, incluse la distanza
dell’evento dal presente e la sua valenza emotiva.
Un’altra fonte di evidenza proviene dall’analisi dello sviluppo cognitivo infantile; se
memoria episodica e anticipazione di eventi futuri compongono la stessa abilità per il
MTT,
ci
aspetteremmo che esse emergano circa alla stessa età. Gli studi condotti indipendentemente sullo
sviluppo della memoria episodica e sul «pensiero episodico futuro» (Atance, O’Neill, 2001)
convergevano nel mostrare che il bambino inizia ad acquisire queste abilità fra i 3 e i 5 anni. Uno
studio recente (Busby, Suddendorf, 2005) ha evidenziato che non si tratta di una semplice
correlazione: le capacità di richiamare eventi passati e di predire eventi futuri sono strettamente
interdipendenti.
Se la costruzione del passato e del futuro personale dipendono dalla capacità ampia per il
MTT,
la questione della sua acquisizione filo- e ontogenetica è determinante per il problema di
come si costruisca l’identità di sé. In questo capitolo ci interesseremo principalmente all’aspetto
legato all’evoluzione. Da questo punto di vista, una questione centrale è quella della specificità: la
capacità per il
MTT
è una prerogativa esclusivamente umana? Quanto di essa condividiamo con
altri animali? A quali assunzioni circa “il posto dell’uomo nella natura” ci legano le risposte a
queste domande?
4
2.3
Continuità e specificità
Occorre essere molto chiari su un punto centrale: la questione della specificità umana per il
MTT
non deve essere intesa come una presunzione di “specialità” dell’essere umano (cfr. Ferretti,
2007). Il
MTT
è una capacità dominio-generale che include vari sottocomponenti; per esempio,
l’individuo che costruisce scenari di sé nel passato o nel futuro potenziale è un individuo
consapevole di essere l’attore e il regista di queste simulazioni. Nel formulare questi scenari il
soggetto utilizza anche, per esempio, una psicologia ingenua per considerare gli stati mentali dei
personaggi coinvolti ed una fisica ingenua per predire il comportamento di oggetti
conformemente al mondo reale; affinché egli agisca coerentemente agli eventi anticipati deve
inibire altre risposte guidate dagli stimoli esterni e allora un altro componente coinvolto nel
MTT
sono le funzioni esecutive. Questo complesso di abilità, d’altra parte, non compare all’improvviso
nella mente umana; alcuni animali non umani possiedono capacità cognitive più basilari che
fungono da fondamento. Un componente centrale del
MTT
è, per esempio, la consapevolezza di
sé. Le ricerche, iniziate da Gallup (1970), sull’autoriconoscimento allo specchio2 nei primati non
umani sono considerate le pietre miliari dello studio dell’autoconsapevolezza negli individui non
linguistici. Nonostante il dibattito circa la natura delle capacità cognitive coinvolte in questa prova
sia aperto – davvero essa dice qualcosa della consapevolezza di essere un soggetto oltre che un
corpo? – il suo superamento è una tappa significativa nel processo di costituzione del senso di sé.
L’autoriconoscimento implica, infatti, al minimo, la capacità di confrontare l’immagine percettiva
riflessa dallo specchio e l’immagine attesa, dunque la rappresentazione mentale, di come si
dovrebbe apparire (Nielsen et al., 2006); il semplice confronto tra input visivi e input
propriocettivi (Mitchell, 1993; Gergely, 1994) non è sufficiente.
Gli altri primati hanno, inoltre, una ricca conoscenza del mondo sociale, come indica, per
esempio, la loro capacità di ingannare (Byrne, Whiten, 1988) e di utilizzare una basilare psicologia
ingenua (Suddendorf, Whiten, 2001); questo complesso di evidenze potrebbe suggerire la loro
capacità di costruire un certo senso di sé, in opposizione ad una certa conoscenza delle menti
degli altri. Alcune recenti rassegne della letteratura sulla cognizione dei primati non umani hanno
mostrato che le scimmie antropomorfe3, i nostri parenti primati più vicini, esibiscono un
complesso di abilità globalmente riscontrato negli umani intorno ai 2 anni (per esempio,
Suddendorf, Whiten, 2001). Ciò significa che il nostro antenato comune, tra i 15 e i 17 milioni di
anni fa, possedeva capacità cognitive che hanno costituito i precursori di quelle coinvolte nel
Il test consiste nell’apporre, di nascosto, una macchia sulla testa del soggetto. Egli si riconosce se, davanti ad uno
specchio, mostra comportamenti diretti alla macchia.
3 L’espressione traduce l’inglese great apes: scimpanzé, bonobo, gorilla e orango.
2
5
MTT.
Tuttavia, l’identità personale richiede l’abilità di identificarsi con il proprio sé passato e
futuro e di collegare queste rappresentazioni al proprio stato presente; questa comprensione
sembra essere fuori dalla portata degli altri primati (e dei bambini di 2 anni). Il senso di sé che li
caratterizza è allora fondamentalmente vincolato al loro stato attuale; questo sé è, d’altra parte, un
referente necessario intorno al quale vengono organizzati in memoria eventi personalmente
esperiti (Howe, Courage, 1993) e vengono costruiti potenziali eventi futuri. Il complesso di abilità
che lo definisce è un prerequisito per il
MTT;
quest’ultimo, a sua volta, sembra necessario per
l’identità personale, cioè affinché si acquisisca il senso della propria dimensione temporale
(Suddendorf, Corballis, 1997).
La questione della specificità umana per il
MTT
si colloca, allora, in un quadro continuista.
Tale questione può essere affrontata, tuttavia, solo alla luce di un’attenta analisi della letteratura
sulla cognizione episodica degli altri animali. Una rassegna debitamente approfondita esula dalle
possibilità di questo lavoro; dunque, individuando le definizioni più diffuse di memoria e di
anticipazione episodica, valuteremo solo alcuni tra gli studi che maggiormente possono
contestare la nostra ipotesi di specificità.
2.3.1. Memoria episodica in altri animali:
definizioni e stato attuale della ricerca
Alcuni autori hanno sostenuto, per ragioni molto diverse, che la memoria episodica è una
prerogativa esclusivamente umana (Suddendorf, Corballis, 1997; Tulving, 1983; Macphail, 2000).
Altri hanno affermato, invece, che questo sistema di memoria è ampiamente diffuso nel regno
animale (Donald, 1991; Olton, 1984). Vi sono poi molteplici ipotesi intermedie che rivendicano
questa capacità solo per alcune specie e non per altre. Evidentemente, questi autori fanno
riferimento a differenti definizioni operative di memoria episodica; può essere opportuno,
dunque, confrontarle brevemente.
Le principali linee di ricerche sono probabilmente due. La prima definisce la memoria
episodica in relazione al contenuto, utilizzando il cosiddetto criterio what, where e when; altri due
paradigmi in quest’ambito fanno leva su alcuni aspetti specifici del funzionamento della memoria
episodica umana, in un caso sull’aspetto della spontaneità del recupero del ricordo, nell’altro sul
suo orientamento al passato. La seconda definizione è incentrata sulle metodologie utilizzate per
attestare la memoria episodica negli umani; essa tenta di fornire una migliore analogia a queste
procedure, mediante la richiesta inaspettata di riportare informazioni circa un evento passato. Nel
primo caso, sulla base dell’indicazione di Tulving (1972) delle tre caratteristiche che dovrebbero
6
essere identificate, è stato sostenuto che un individuo possiede memorie episodiche se ricorda
cosa è accaduto (what), dove (where) e quando (when). Questo paradigma è stato utilizzato con
alcuni tipi di uccelli - le ghiandaie - che, in natura, accumulano provviste alimentari in certi
nascondigli, per poi tornarvi quando il cibo è scarso. Clayton, Yu e Dickinson (2001) hanno
verificato, in laboratorio, che questi uccelli sembrano ricordare la collocazione di due tipi di cibo,
vermi e arachidi, sulla base della loro preferenza per i primi a distanza di brevi intervalli di tempo
e per i secondi quando il periodo trascorso è più lungo e dunque i vermi sono deteriorati.
Affinché siano capaci di trovare il nascondiglio del cibo prescelto in relazione alla quantità di
tempo trascorso dal nascondimento, le ghiandaie devono essere capaci di ricordare il tipo di cibo
(cosa) che si trova in un certo nascondiglio (dove) e quando esso è stato nascosto.
Tuttavia, queste proprietà potrebbero non essere sufficienti né necessarie per la memoria
episodica. Innanzi tutto, molte memorie episodiche possono mancare di uno dei componenti del
contenuto assunti come necessari. Molto spesso possiamo ricordare dettagliatamente che cosa sia
accaduto in una certa circostanza e non essere capaci di stabilire quando o dove l’evento ha avuto
luogo. Inoltre, anche qualora tutti i componenti fossero presenti questo non sarebbe conclusivo
per stabilire che una memoria è episodica; per esempio, sappiamo che la Dichiarazione di
Indipendenza Americana fu firmata a Filadelfia il 4 luglio 1776, ma nessun individuo attualmente
vivente potrebbe dire di ricordare l’evento (Zentall, 2005). Simili critiche colpiscono anche gli
studi di Menzel (1999) sulla memoria dello scimpanzé linguisticizzato Panzee e quelli di Schwartz,
Hoffman e Evans (2005) sulla memoria dei gorilla. Nel primo caso, sono sottolineati due aspetti
centrali della memoria episodica: Panzee, utilizzando lessigrammi, comunicava, senza indizi
esterni, cosa e dove era stato nascosto da uno sperimentatore 16 ore prima, quindi il ricordo I. era
recuperato spontaneamente, 2. era trattenuto per un tempo sufficientemente lungo. Tuttavia,
questo studio trascura un presupposto centrale: il recupero dell’informazione deve essere
orientato all’evento passato; lo studio di Menzel, però, non è disegnato per escludere che il
ritrovamento possa essere determinato da un aggiornamento costante della conoscenza dello
stato di cose attuale.
Schwartz, Hoffman e Evans sono attenti a questi presupposti; tuttavia, oggetto di indagine
è la memoria dei gorilla per alcuni elementi del contenuto dell’evento e, come abbiamo notato,
stabilire se un individuo possa accedere all’informazione circa il che cosa, dove e quando di un evento
non corrisponde a stabilire che possieda memorie episodiche. Un aspetto interessante
sottolineato dai tre studiosi è che i gorilla sembravano ricordare sequenze temporali; il concetto di
tempo può essere effettivamente una condizione necessaria per la memoria episodica. D’altra
parte, ricordare sequenze, considerare intervalli di tempo, essere sensibili alle diverse fasi del
7
giorno richiedono una capacità molto limitata ad agire sulla base di informazione temporale.
Roberts (2002) ha mostrato che si può dar conto della cognizione temporale degli altri animali
appellandosi a meccanismi elementari; per esempio, molte specie animali sono provviste di
meccanismi circadiani. Un numero di processi interni, come la temperatura o la concentrazione di
ormoni subisce variazioni regolari attraverso i cicli giornalieri. L’associazione tra fasi di cicli
circadiani, come il ciclo sonno-veglia e mutazioni dello stato fisiologico dell’animale è un potente
meccanismo per svolgere certe attività in certi momenti precisi; nulla in queste associazioni
implica un concetto del tempo, piuttosto indizi circadiani interni spingono l’animale a
comportarsi in un certo modo.
L’elemento centrale della seconda definizione è presentare all’animale (in questo caso,
piccioni) la richiesta inaspettata di indicare se precedentemente aveva compiuto o no una certa
azione. Zentall e colleghi (2001) hanno addestrato dei piccioni a scegliere una luce rossa dopo
aver beccato e una verde se non lo avevano fatto. In seguito, i piccioni erano addestrati a beccare
se veniva presentato loro uno stimolo giallo e a non beccare se lo stimolo era blu. A questo punto
interveniva la “domanda” inaspettata: per esempio, essi beccavano perché era stato presentato
loro uno stimolo giallo e, a quel punto, venivano presentate le luci rossa e verde. I piccioni erano
considerati capaci di dichiarare una memoria episodica perché sceglievano la luce associata al
comportamento che avevano appena eseguito (in questo caso, la rossa), senza alcun
addestramento specifico in merito. Alcune osservazioni contestano questa conclusione. Le
memorie episodiche sono memorie a lungo termine; in questo studio, però, l’intervallo di
ritenzione (cioè il tempo trascorso tra il comportamento e la richiesta di “descriverlo”) è troppo
breve, dunque la performance potrebbe implicare piuttosto il recupero di informazione dalla
memoria a breve termine o di lavoro. Inoltre, anche in questo caso l’accesso all’informazione
circa un fatto precedente può essere dissociato dall’esperienza del ricordare, come nel caso delle
memorie semantiche.
Le evidenze più forti finora raccolte non sono sufficienti, pertanto, a sostenere che anche
altri animali possiedono il sistema della memoria episodica. D’altra parte, le evidenze per il MTT in
altri animali potrebbero provenire anche dagli studi sull’anticipazione di potenziali scenari futuri e
sulla pianificazione di attività in relazione al bisogno previsto.
2.3.2. Anticipazione e pianificazione
In un certo senso è chiaro che anche altri animali pianificano per il futuro; per esempio, gli uccelli
costruiscono nidi, i castori dighe, molti altri animali fanno provviste di cibo. Particolarmente
8
dotati di capacità di anticipazione e pianificazione sembrano essere gli altri primati; gli scimpanzé,
per esempio, selezionano e trasportano (a brevi distanze) dei bastoncini per “pescare” le termiti.
Rispetto ad adattamenti specie-specifici per la nutrizione nell’ambito dei quali anche altri animali
possono usare strumenti, l’uso che ne fanno i primati, attraverso una varietà di contesti, è più
ampio e flessibile (Parker, Gibson, 1977). Tale uso sembra implicare effettivamente foresight, in
quanto essi selezionano uno strumento per una particolare situazione senza precedenti prove ed
errori e, talvolta, costruiscono i loro strumenti (McGrew, 1992); essi, dunque, rappresentano
mentalmente i bisogni in una data situazione prima di scegliere o formare lo strumento. Tuttavia,
scelto o costruito uno strumento, non vi applicano ulteriori modifiche dopo il primo uso
(Boesch, Boesch, 1990); gli altri primati, cioè, non costruiscono strumenti per uso ripetuto.
Questo è indicativo di un fatto più generale: le loro capacità di anticipazione e pianificazione
dipendono dal bisogno attuale; essi pianificano perché hanno fame, sete o freddo.
Secondo quella che Suddendorf e Corballis (1997) hanno definito «ipotesi BischofKöhler», gli altri primati possono pianificare per bisogni presenti; solo l’uomo, tuttavia, può
pianificare anticipando bisogni futuri. Anche Köhler (1925, p. 272) scriveva: «il tempo in cui vive
lo scimpanzé è limitato nel passato e nel futuro». Possiamo distinguere, dunque, due forme di
pianificazione: immediata e anticipatoria (Gulz, 1991); solo la seconda implica l’abilità a modellare
mentalmente gli eventi futuri e le loro conseguenze e, dunque, la capacità di MTT.
Mulcahy e Call (2006) hanno realizzato uno studio per verificare la capacità di alcuni primati
di anticipare un bisogno futuro. Il test prevedeva l’utilizzo di due stanze: nella stanza-test si
trovava un apparato che attivato con lo strumento adeguato dispensava cibo; la seconda era,
invece, una stanza d’attesa. I soggetti dell’esperimento dovevano selezionare lo strumento
appropriato nella stanza-test e portarlo con loro nella stanza d’attesa; dopo un certo periodo (fino
a quattordici ore) potevano ritornare nella stanza-test. Essi erano ritenuti capaci di pianificazione
anticipatoria se al momento di tornare nella stanza-test riportavano anche lo strumento. Alcuni
soggetti rispondevano alle aspettative degli sperimentatori; tuttavia, possiamo dubitare che ciò
attesti la loro capacità di proiettarsi mentalmente nel futuro. Innanzi tutto, non può essere escluso
che i partecipanti associassero lo strumento e la ricompensa (Suddendorf, 2006); soprattutto,
però, il test non considera un presupposto centrale: lo stato motivazionale dell’animale.
L’esperimento non può dimostrare che il primate immagini un bisogno attualmente non esperito,
poiché non controlla i suoi bisogni al momento della prova; egli, dunque, portando con sé lo
strumento può semplicemente pianificare per obiettivi immediati. In effetti, diverse osservazioni
attestano una sorta di “miopia temporale” negli altri animali. Alcuni primati nutriti una volta al
giorno, per esempio, dopo aver consumato la quantità di cibo sufficiente a soddisfarli in quel
9
momento, gettavano il cibo in esubero fuori dalla gabbia (Roberts, 2002); nonostante fossero
abbastanza affamati quando venivano nuovamente nutriti, essi non utilizzavano la strategia di
conservare il cibo rimanente.
L’affermazione della specificità umana per il
MTT
è basata, allora, sull’attuale mancanza di
evidenze che anche altri animali abbiano questa capacità; tuttavia, alcuni hanno sostenuto che vi
sarebbe piuttosto un’impossibilità a priori di ottenere evidenze. I sostenitori di queste “petizioni di
principio” hanno focalizzato il dibattito intorno alla relazione tra linguaggio e MTT.
2.3.3. MTT e linguaggio
Il linguaggio è stato considerato da alcuni (Macphail, 2000) il Rubicone mentale che divide
soggetti dotati di un concetto di sé da quelli che ne sono sprovvisti. Poiché un senso di sé è
necessario per il
MTT,
la conclusione è che quest’ultimo può costituirsi solo all’interno del
linguaggio o che, in ogni caso, senza linguaggio non è possibile stabilire se altri animali
possiedono questa capacità. La prospettiva che proponiamo è che l’assenza di linguaggio non
preclude la capacità di
MTT,
né la possibilità di attestarne la capacità in altri animali, qualora vi
fosse. Questa posizione implica, naturalmente, la convinzione che vi siano altri mezzi per
esprimere memorie episodiche e piani futuri al di fuori del linguaggio. Uno di questi mezzi può
essere rappresentare, e ri-rappresentare, gli eventi tramite pantomima (Donald, 1991). In alcuni
casi questo mezzo può essere più adatto dell’espressione linguistica; per esempio, quando si
vogliono esercitare le proprie risposte comportamentali a eventi previsti ma non ancora esperiti,
oppure per provare apertamente, non solo mentalmente, una certa performance futura o per
ripetere un’azione precedentemente eseguita (come un goal durante una partita).
La capacità di
MTT
può essere verificata, inoltre, in modalità non linguistica esplorando
paradigmi non verbali con i bambini e comparando i risultati con prove verbali per convalidare la
misura; successivamente, un tale test potrebbe essere utilizzato con animali non umani.
Suddendorf e Busby (2005) e Tulving (2005) hanno proposto un analogo paradigma non verbale
che potrebbe servire allo scopo. La struttura dell’esperimento è simile al test delle due stanze di
Mulcahy e Call (2006); tuttavia, lo stato motivazionale del soggetto è attentamente vigilato.
L’esperimento pensato per i primati non umani consiste nell’indurre regolarmente lo stato di sete
nella stanza-test e verificare se l’animale, che nella stanza d’attesa può avere l’acqua, sceglierà
comunque, tra varie opzioni, ciò che gli servirà a soddisfare la sete futura. Una versione
preliminare del test è stata realizzata in uno studio con bambini dai tre ai cinque anni
10
(Suddendorf, Busby, 2005)4 e i risultati sono stati coerenti con quelli dei test linguistici; il
superamento di questa prova potrebbe implicare, dunque, la capacità di MTT.
Alla luce delle evidenze attuali, tuttavia, la capacità di
MTT
risulta essere specificamente
umana; la sua specificità, d’altra parte, non sembra essere dovuta al linguaggio. Queste
osservazioni non escludono che il rapporto tra linguaggio e
MTT
possa essere molto stretto; in
effetti, alcune considerazioni di carattere evolutivo suggeriscono che la relazione tra i due
dovrebbe essere investigata approfonditamente. In quanto segue argomenteremo che
probabilmente la principale funzione evolutiva del
MTT
è stata provvedere un’efficace sistema di
anticipazione del futuro. Anche altre specie sono dotate di meccanismi che svolgono funzioni
analoghe. La specificità del
MTT
risiede, tuttavia, nella possibilità di proiettarsi nel futuro
attraverso la costruzione di scenari alternativi. Un aspetto fondamentale del processo è che gli
scenari costruiti tramite MTT possono essere virtualmente infiniti, a partire da un numero finito di
elementi (un lessico) variamente combinati; esso è, cioè, un meccanismo generativo. La
generatività è stata considerata (per esempio da Chomsky, 1975) la proprietà critica del linguaggio
umano. Hauser, Chomsky e Fitch (2002) hanno sostenuto che ciò che rende possibile la
generatività del linguaggio umano è la sua basilare struttura ricorsiva. Anche il
MTT
è ricorsivo,
data la possibilità, nella simulazione mentale e nella ricostruzione di eventi, di aprire scene
all’interno della scena principale, come nel linguaggio frasi subordinate possono essere incassate
nelle frasi principali. Poiché sembrano condividere la medesima struttura ricorsiva e
combinatoriale,
MTT
e linguaggio potrebbero essere strettamente correlati nell’evoluzione.
Gärdenfors (2004) ha affermato, per esempio, che la cooperazione circa obiettivi futuri anticipati
e la comunicazione simbolica devono aver coevoluto. Tuttavia, come si colloca precisamente il
MTT
rispetto ai sistemi di anticipazione di cui sono dotate altre specie animali? Perché solo gli
umani hanno evoluto questo sistema?
2.4
Identità ed evoluzione
2.4.1. MTT come adattamento per anticipare il futuro
Il vantaggio evolutivo provvisto dal
MTT
può essere correlato non tanto alla capacità a
ricordare il passato, quanto alla possibilità di accedere al futuro (Dudai, Carruthers, 2005;
Suddendorf, Corballis, 1997; Tulving, 2005). Il
4
MTT
può essere considerato, infatti, il culmine di
Inducendo non la sete, naturalmente, ma il desiderio di giocare o di evitare la noia.
11
una gerarchia di adattamenti comportamentali orientati al futuro che variano in flessibilità. Al
livello più basso, vi sono adattamenti come le caratteristiche corporee (la taglia, per esempio) o i
modelli di comportamento innati (l’istinto di migrazione); essi sono estremamente rigidi e
coinvolgono tutti gli individui di una certa popolazione. L’apprendimento coinvolge, invece, il
singolo individuo, tuttavia è ancora un sistema di anticipazione poco flessibile, come nel caso del
condizionamento classico od operante. In questi termini, è possibile stabilire una gerarchia anche
dei sistemi di memoria. Il sistema non dichiarativo guida fenomeni – come le abilità procedurali o
il condizionamento – la cui flessibilità è limitata, in quanto il comportamento è vincolato allo
stimolo. Le memorie esplicite, al contrario, possono essere richiamate volontariamente e, dunque,
utilizzate off-line per trasferire l’apprendimento da un contesto ad un altro e ai fini della presa di
decisioni e della pianificazione. Il sistema più flessibile è la memoria episodica, in quanto
consente di accedere non solo ad una base di conoscenze relative agli aspetti costanti
dell’ambiente; essa permette di considerare anche le particolarità dell’evento stesso di
apprendimento. La sua funzione orientata al futuro non dipende, tuttavia, dall’accuratezza del
ricordo; frammentaria e imprecisa, essa fornisce dettagli di molteplici scenari e, di conseguenza,
aumenta la capacità di pianificare e agire in contesti simili e consente di anticipare altri scenari e
preparare, quindi, le risposte comportamentali. Il soggetto è il protagonista consapevole;
attraverso queste simulazioni crea un senso di identità personale (Schacter, 1996).
Considerata l’indubbia utilità di questo flessibile sistema di anticipazione e pianificazione del
futuro, perché solo gli umani lo hanno acquisito? Quali pressioni selettive specifiche possono
aver agito?
2.4.2. Le ragioni della specificità
Cognizione anticipatoria e uso di strumenti
Se solo gli umani sono capaci di pianificazione anticipatoria, essa deve essere stata selezionata nel
corso dell’evoluzione degli ominidi. Osvath e Gärdenfors (2005) hanno raccolto evidenze valide a
ricostruire il legame tra uso di strumenti e
MTT.
Lo strumento più antico ritrovato risale a 2,5
milioni di anni fa, al periodo della cosiddetta tecnologia olduvaiana; secondo Osvath e
Gärdenfors l’uso di strumenti può inizialmente essere stato selezionato nell’ambito del lancio di
pietre come armi per difendersi e per cacciare. In continuità con l’uso e il trasporto di strumenti
da parte dei primati non umani e in relazione ad alcuni fattori anatomici (in particolare, il
bipedismo) e condizioni ecologiche (come la vita nella savana), all’interno della nicchia costruita
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intorno a questa attività devono aver agito pressioni selettive specifiche al trasporto estensivo
degli strumenti. In termini di costi-benefici, la vicinanza immediata dello strumento poteva
provvedere diversi vantaggi; efficace nella difesa e nella caccia, questa strategia consentiva, inoltre,
un risparmio energetico: lo strumento non doveva essere costruito ad ogni uso, piuttosto era
utilizzato ripetutamente e ciò permetteva anche di evitare ricerche improvvisate di materiali per la
costruzione, considerando che questi potevano trovarsi in luoghi distanti dalla preda o dal
predatore. Queste pressioni possono aver portato ad adattamenti morfofisiologici e cognitivi
specifici; tra questi ultimi, in particolare la cognizione anticipatoria del
MTT,
l’abilità a
rappresentare mentalmente bisogni ed eventi futuri.
Gli strumenti costruiti nel periodo successivo, la fase acheuleana, mostrano un’ulteriore
sofisticazione; per esempio, gli strumenti bifacciali, i più antichi dei quali risalgono a 1,6 milioni di
anni fa, manifestano un certo grado di standardizzazione nella tecnica di produzione e un
complesso set di procedure ad ogni fase del processo (Johanson, Edgar, 2006); sembra evidente
che siano stati costruiti per uso ripetuto e che, dunque, gli ominidi che li producevano
comprendessero che uno stesso strumento sarebbe potuto servire, in circostanze simili, anche in
futuro. Altri comportamenti, come le migrazioni fuori dall’Africa o la capacità di mantenere il
fuoco implicano, ancora, pianificazione anticipatoria e a lungo termine.
Tuttavia, è possibile che le attività connesse al controllo sull’ambiente naturale non siano
state il principale motore dell’evoluzione di adattamenti cognitivi specifici nell’uomo; il controllo
ecologico può essere stato conseguente all’acquisizione di certe abilità cognitive evolutesi
primariamente nell’ambito sociale.
Cognizione anticipatoria e competizione sociale
Secondo l’ipotesi dell’«intelligenza machiavellica» (Byrne, Whiten, 1988), la pressione che ha
guidato l’evoluzione dell’intelligenza, non solo negli umani ma in tutti i primati, è stata di tipo
sociale piuttosto che ecologico (Humphrey, 1976). Allora le abilità cognitive dei primati sarebbero
il risultato della loro costante lotta per la supremazia nell’ambito sociale, in cui la sopravvivenza è
legata alla capacità ad anticipare gli altri, ingannarli, cooperare con loro o manipolarli. Questa
ipotesi, d’altra parte, non spiega perché la pressione sociale dovrebbe aver agito più a lungo negli
umani comportando l’acquisizione di abilità cognitive specifiche, come il
MTT.
Modelli basati sul
problem solving sociale collegato alle condizioni ecologiche offrono scenari più convincenti. In
questo senso, una potenziale spiegazione è stata offerta da Alexander (1989; 1990). Egli ha
sostenuto che, avendo conseguito una certa supremazia sull’ambiente naturale, i primi ominidi si
sono trovati a dover fronteggiare come pericolo principale i loro conspecifici: essi – ed essi
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soltanto – «sono diventati la loro stessa principale forza ostile della natura» (Alexander, 1989, p.
469). Il meccanismo dominante della vita sociale è diventato la cooperazione per competere, tra i
gruppi e all’interno del gruppo. Come hanno efficacemente sintetizzato Flinn, Geary e Ward
(2005, p. 11):
data la precondizione della competizione tra coalizioni, basate sulla parentela e la reciprocità sociale
(condivisa con gli scimpanzé), era iniziata una lotta autocatalitica per la supremazia sociale, la quale alla
fine è risultata nell’inusuale collezione di tratti caratteristici della specie umana, come l’ovulazione
nascosta, la cura prolungata della prole, la socialità complessa e una straordinaria collezione di abilità
cognitive.
La funzione centrale evolutasi a seguito di questa competizione sociale “fuori controllo” è stata,
secondo Alexander (1989), l’abilità di anticipare il futuro – esplicitamente il futuro sociale. Tale
funzione è conseguita attraverso la costruzione di scenari alternativi – il MTT; tutti gli altri tratti o
proprietà della mente sono secondari a questa funzione strategica fondamentale. Tuttavia, il
meccanismo della cooperazione per competere è diventato centrale solo perché gli ominidi erano
riusciti ad acquisire un certo controllo ecologico, diminuendo la pressione selettiva di fattori
esterni come i predatori, il clima, la scarsità di cibo. Il problema è stabilire come e quando questa
supremazia ecologica, conservata dagli umani attuali, sia stata conseguita. Controllo ecologico e
intelligenza complessa devono aver coevoluto, rinforzandosi reciprocamente ad ogni stadio; forse
la creazione di una certa nicchia (in occorrenza di fatti anatomici e ambientali come quelli cui
abbiamo accennato e forse in relazione al trasporto di strumenti, come vogliono Osvath e
Gärdenfors, 2005), riducendo le pressioni selettive dell’ambiente esterno, ha consentito che la
principale pressione al suo interno fosse quella sociale.
Il modello di Alexander è particolarmente interessante perché consente di collegare
condizioni ecologiche e sociali all’acquisizione della consapevolezza autonoetica (Tulving, 2002),
la rappresentazione conscia e temporalizzata di sé. Il nucleo centrale della costruzione di scenari
è, infatti, il modello mentale autonoetico:
il sistema pone l’individuo auto-consapevole al centro della costruzione o ricostruzione simulata del
mondo sociale o ecologico e – più importante – permette all’individuo di controllare i risultati in questo
mondo. […] Le strategie comportamentali simulate sono, in effetti, esercizi di problem solving focalizzati sui
modi per acquisire accesso e controllo nelle relazioni e nelle dinamiche sociali e sulle forme di risorse che
migliorano la sopravvivenza o la riproduttività nell’attuale ecologia (Flinn et al., 2005, p. 34).
La capacità umana di
MTT
è stata selezionata per permettere la costruzione e l’uso di tali
simulazioni.
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2.5
Conclusioni
La costruzione dell’identità personale implica la capacità di considerare, coscientemente, il sé
attraverso il tempo; essa coinvolge, dunque, l’abilità di richiamare esperienze personali del
passato, metterle in relazione alle situazioni attuali e progettare se stessi nel futuro. Tali processi
richiedono la formulazione di molteplici scenari, come modelli mentali (Johnson-Laird, 1983) nei
quali il sé è il protagonista principale e, soprattutto, è consapevole di esserlo. La funzione di
queste simulazioni è permettere al soggetto di formare coscientemente obiettivi e programmare
azioni orientati al futuro e integrarli con gli scenari degli eventi che compongono la storia della
propria vita; tali simulazioni sono strategiche quando si ha a che fare con situazioni che
differiscono dalle routine quotidiane (Levine, 1999), come variazioni nelle dinamiche sociali o nei
contesti ecologici. Solo gli umani possono affacciarsi a queste finestre temporali; tuttavia, il
percorso che conduce, infine, al soggetto pienamente consapevole della propria dimensione
temporale è lungo e antico; esso inizia con forme più basilari di soggettività, condivise con altri
animali. L’umano non è speciale; come tutte le altre specie siamo un prodotto accidentale
dell’evoluzione; tuttavia, come ha scritto Gould (cit. in Pievani, 2006, p. 123), siamo «un glorioso
accidente».
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