UNIVERSITA’ POLITECNICA DELLE MARCHE FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIA Dottorato di Ricerca in Scienze della Sicurezza e della Tutela della Salute negli Ambienti di Lavoro Dipartimento di Scienze Cliniche e Molecolari Medicina del Lavoro REGOLAZIONE CIRCADIANA DEL SISTEMA DI RIPARO DEL DANNO OSSIDATIVO AL DNA Dottorando: Tutor: Dott. Manzella Nicola Prof.ssa Lory Santarelli Anno Accademico 2012/2013 1 2 Indice Abbreviazioni utilizzate Pag. 6 1 – L’orologio circadiano Pag. 7 1.1 – Introduzione ai ritmi biologici Pag. 7 1.2 – Caratteristiche generali dell’orologio circadiano Pag. 8 1.2.1 – Tempo “Zeitgeber” e Tempo “Circadiano” Pag. 10 1.2.2 – Componenti base del sistema biologico circadiano Pag. 11 1.2.3 – Funzioni biologiche con andamento circadiano Pag. 16 1.3 – Organizzazione molecolare dell’orologio biologico circadiano Pag. 17 1.3.1 – La Neurospora Pag. 18 1.3.2 – La Drosophila Pag. 19 1.3.3 – I Mammiferi Pag. 20 1.4 – Regolazione epigenetica dell’orologio molecolare circadiano Pag 23 2 – Lavoro a turni: Desincronizzazione dei ritmi circadiani e sviluppo di Pag.26 patologie 2.1– Lavoro a turni e disordini metabolici Pag. 28 2.2 – Lavoro a turni e rischio di tumori Pag. 30 2.3 – Fattori che influenzano la tolleranza del lavoro a turni e /o notturno Pag. 32 3- Danno e riparo del DNA Pag. 34 3.1 – Il danno al DNA Pag. 34 3.2 – Il riparo del DNA Pag. 37 3.2.1 – Riparazione per escissione di base (Base excision repair BER) Pag. 37 3.3 – Cancro e riparo del DNA Pag. 41 4 – Orologio circadiano e cancerogenesi Pag. 43 4.1 – Alterazione dei geni clock ed insorgenza di tumori Pag. 43 3 4.2 – Modulazione circadiana della risposta a stress genotossici Pag. 44 4.2.1 – Regolazione del ciclo cellulare e del processo apoptotico Pag. 45 4.2.2 – Regolazione dei sistemi di riparo del danno al DNA Pag. 48 4.2.3 – Regolazione della senescenza cellulare Pag. 50 4.2.4 – Cronoterapia Pag. 52 5 – Obiettivo dello studio Pag. 54 6 – Disegno dello studio Pag. 55 7 – Materiali & Metodi Pag. 56 7.1 – Arruolamento soggetti e raccolta campioni Pag. 56 7.2 – Analisi dei livelli plasmatici di cortisolo e melatonina Pag. 57 7.3 – Isolamento dei linfociti Pag. 58 7.4 – Estrazione RNA totale, Retrotrascrizione e Real Time PCR Pag. 59 7.5 – Analisi del danno basale e del riparo del danno al DNA Pag. 60 7.5.1 – Analisi SSBs e siti sensibili FPG Pag. 60 7.5.2 – Attività di incisione dell’enzima OGG1 Pag. 61 7.5.3 – Cinetica di espressione del gene Ogg1 e di riparo del danno al DNA indotto da stimolo ossidativo Pag. 66 7.6 – Colture cellulari e trasfezione Pag. 67 7.7 – Western Blotting Pag. 67 7.8 – Analisi statistica Pag. 68 8- Risultati Pag. 70 8.1 – Caratteristiche demografiche dei partecipanti Pag. 70 8.2 –Livelli plasmatici di melatonina e cortisolo Pag. 70 8.3 – Profilo di espressione dei geni clock Pag. 72 8.4 – Profilo di espressione del sistema BER Pag. 77 8.5 – Livelli di attività di incisione dell’enzima OGG1 nelle 24h Pag. 80 4 8.6 – Livelli proteici dell’enzima OGG1 Pag. 80 8.7 – Livelli basali di SSBs e siti sensibili FPG Pag. 84 8.8 – Cinetica di riparo di SSBs e siti sensibili FPG Pag. 85 8.9 –Livelli di espressione del gene Ogg1 nella cinetica di riparo dei siti FPG Pag. 87 8.10 – Livelli di espressione del gene Ogg1 in lavoratori a turni Pag. 88 8.11 – Profilo di espressione dei geni clock e Ogg1 nella linea cellulare HuDe wt e Bmal1-/- Pag. 90 9 – Discussione Pag. 94 10 – Conclusioni Pag. 100 10 – Bibliografia Pag. 102 Ringraziamenti Pag. 118 5 Abbreviazioni utilizzate CT: Circadian Time ZT: Zeitgeber Time CGC: Clock Controlled Genes NSC: nucleo soprachiasmatico FRQ: Frequency WC: Whitecollar CLK: Clock PER: Period TIM: Timeless CRY: Cryptochrome BMAL1: Brain and Muscle ARNT-Like protein 1 REV-ERB: Retinoic acid related orphan nuclear receptor SIRT1: Sirtuina1 CK1ε-δ: Casein Kinase 1ε- 1δ IARC: International Agency for Research on Cancer BER: Base excision repair SSBs: Single strand breaks OGG1: 8-Oxoguanine Glycosilase FPG: FormamidoPirimidine Glicosidasi ATM: Ataxia Telangiectasia Mutated ATR: ATM-Rad3 related UA: Unità Arbitrarie NER: Nucleotide Excision Repair XPA: Xeroderma Pigmentosum A 6 1 - L’orologio circadiano 1.1 Introduzione ai ritmi biologici Il tempo rappresenta una dimensione essenziale negli esseri viventi. Il tempo biologico è sia lineare (tempo cronologico) che ciclico (tempo periodico). La cronobiologia prende in considerazione gli eventi biologici ciclici, o periodici, che si ripetono con diverse frequenze e che vengono quindi definiti ritmi biologici (Cugini, 1993). Gli organismi viventi sono costantemente sottoposti a variazioni cicliche nell’ambiente in cui devono sopravvivere e riprodursi. La capacità di anticipare queste variazioni viene considerata un possibile vantaggio adattativo per aumentare la propria fitness riproduttiva e spiega l’evoluzione, in tutti gli esseri viventi, di meccanismi molecolari endogeni in grado di organizzare temporalmente numerose attività metaboliche e comportamentali (Dunlap, 1999; Sassone-Corsi, 1998). Le variazioni cicliche a cui sono sottoposti i viventi possono essere circadiane (dal latino circa diem, di 24 ore circa), ma anche ultradiane (con un periodo inferiore alle 24 ore) e infradiane (con un periodo superiore alle 24 ore), come i ritmi lunari, i ritmi delle maree e i ritmi stagionali. Orologi circadiani e infradiani sono utili per preparare per tempo lo stato fisiologico dell’organismo rispetto all’ambiente esterno ove esso vive. Fenomeni biologici che sono legati a questo tipo di meccanismi sono l’ibernazione, le migrazioni, la riproduzione, l’istinto di ricerca del cibo. Le prime osservazioni sistematiche di attività cicliche nel mondo vivente si possono far risalire a Carl von Linne (1707-1778) il quale descrisse l’apertura e la chiusura ritmica dei petali in varie specie di fiori. L’osservazione di un comportamento ritmico non è tuttavia sufficiente per avere la certezza che esso sia generato da un meccanismo in grado di dettare il tempo. Il ritmo 7 può essere imposto da fattori esterni e non durare più di un ciclo in condizioni costanti (in questo caso il ritmo è dettato da orologi detti a clessidra). Solo il persistere di un ritmo in condizioni costanti dimostra l’esistenza di un oscillatore in grado di autosostenersi; l’astronomo francese Jean Jacques de Mairan fu il primo nel 1729 ad osservare il movimento ritmico delle foglie nella pianta Mimosa pudica anche in condizioni di buio costante (De Marain, 1729). Orologi endogeni molecolari sono stati descritti ovunque nei viventi: batteri (Mitsui, 1986), singole cellule eucariote (Sweeney & Hastings, 1957), insetti (Beling, 1929), uccelli (Kramer, 1952) e mammiferi come roditori (Richter, 1922), scimmie (Simpson & Gaibraith, 1906) e l’uomo (Aschoff & Wever, 1962). 1.2 Caratteristiche generali dell’orologio circadiano Una data importante nello studio della ritmicità circadiana è il 1971. In quell’anno Seymour Benzer e Ronald Konopka pubblicarono uno studio in cui la schiusa pupale e l’attività locomotoria di Drosophila melanogaster, fenotipi comportamentali ritmici (con un periodo di circa 24 ore) dell’insetto, risultavano direttamente legati a un singolo gene, chiamato period. I due ricercatori isolarono tre diverse mutazioni in corrispondenza di questo locus: una era in grado di accorciare il periodo portandolo a 19 ore, una seconda mutazione allungava il periodo fino a 29 ore e la terza infine rendeva le mosche aritmiche (Konopka & Benzer, 1971). Gli orologi endogeni circadiani sono meccanismi molecolari innati negli organismi, localizzati a livello cellulare dove sono in grado di autosostenersi. Anche in organismi 8 molto lontani da un punto di vista filogenetico gli orologi circadiani mostrano caratteristiche comuni: • Capacità di rispondere e sincronizzarsi con stimoli ambientali esterni (Zeitgeber, dal tedesco, Zeit= tempo, geber= che dà), soprattutto la luce ma anche la temperatura (Aschoff et al., 1965). • In presenza di tali stimoli, l’orologio segue uno Zeitgeber Time; è importante distinguere tra stimoli ambientali che agiscono con effetti “indiretti” sull’orologio endogeno e che determinano variazioni della quantità di attività, come la risposta di “masking” alla luce (positiva o negativa), e stimoli ambientali che, al contrario, modificano in modo sostanziale l’orologio molecolare (gli Zeitgeber) generando una resincronizzazione dello stesso (“entrainment”); • Capacità di autosostenersi e misurare il tempo circadiano (TC) in condizioni costanti o di “free running”, vale a dire in assenza di Zeitgeber (Edmunds, 1983). In condizioni di “free running” la lunghezza di un ciclo (periodo) riflette esclusivamente il funzionamento dell’orologio endogeno e può essere diversa rispetto a quella misurata in condizioni ambientali cicliche determinate da Zeitgeber (Green, 1998). Essa può variare tra specie e specie, ma anche tra singoli individui all’interno di una specie. L’esistenza di un orologio biologico circadiano in tutti i taxa, a partire dagli invertebrati sino ai vertebrati, suggerisce che essa sia una struttura molecolare apparsa molto presto nel percorso evolutivo. È oggi generalmente accettato che un orologio si sia evoluto in maniera indipendente almeno quattro volte nel corso dell’evoluzione dal regno dei 9 procarioti a quello degli organismi animali. Nonostante l’eterogeneità evolutiva gli orologi endogeni circadiani dei diversi organismi presentano tutti un meccanismo comune di funzionamento basato sul sistema di retroazione negativa ciclica (Golden et al., 1997; Pittendrigh et al., 1959; Deguchi, 1979; Hall, 1995). Gli orologi circadiani sono ubiquitari e si trovano a vari livelli di organizzazione e complessità. In organismi eucarioti complessi, quali ad esempio insetti o mammiferi, essi sono distribuiti in molti tessuti ed organi; tuttavia si distinguono “orologi centrali” (pacemaker), espressi ad esempio negli animali nel sistema nervoso centrale, e “orologi periferici”, espressi negli altri tessuti del corpo. L’esistenza di orologi periferici pone la questione di quale sia la loro funzione locale ed eventualmente di come possano influenzare l’orologio “centrale” localizzato nel cervello (Levine, 2004; Stanewsky, 2003). La funzione biologica per molti orologi periferici non è conosciuta, ma è noto che alcuni di essi controllano ritmi locali. Una differenza importante tra gli orologi periferici degli insetti e quelli dei mammiferi consiste nel fatto che i primi percepiscono gli stimoli luminosi e sono capaci di rispondervi in modo indipendente dall’orologio centrale del cervello, mentre nei mammiferi vi è una organizzazione strettamente gerarchica tra centro (localizzato nel nucleo suprachiasmatico (NSC) e consistente in circa 20000 neuroni al centro della regione ipotalamica del cervello) e periferia (Stanewsky, 2003). 1.2.1 - Tempo “Zeitgeber” e Tempo “Circadiano” Relativamente alla modalità di misurazione sperimentale del tempo, bisogna quindi distinguere tra le condizioni di Tempo “Zeitgeber” (TZ) e Tempo Circadiano (TC). La differenza tra le due modalità di misurazione del tempo dipende dalla presenza 10 o assenza di stimoli (segnali provenienti dall’ambiente esterno) all’orologio biologico circadiano. Il tempo ZT prevede quindi che sia disponibile uno stimolo esterno in grado di indurre la sincronizzazione dell’orologio endogeno. Un fattore ambientale è definito Zeitgeber se rispetta quattro caratteristiche: 1) in sua assenza il periodo del ritmo é quello intrinseco dettato dall’orologio endogeno 2) in sua presenza il periodo risulta quello dettato dallo Zeitgeber stesso 3) genera un angolo di fase costante con il ritmo endogeno interno nel momento in cui si passa dall’uno all’altro o viceversa 4) detta la fase iniziale del ritmo nel passaggio dalle condizioni di Zeitgeber a quelle di free running Nella modalità di tempo TC l’orologio viene invece lasciato operare in assenza di stimoli esterni (“free running”), ovvero in condizioni costanti di luce e temperatura. In condizioni sperimentali di TC, gli organismi sono sottoposti a regimi di luce:buio continui (Light:Light o LL; Dark:Dark o DD) a temperatura costante. In questo caso lo Zeitgeber è la luce. In un ciclo LD 12:12, si definisce ZT 0 il momento di accensione della luce, mentre ZT 12 quello di spegnimento della luce. E’ possibile instaurare inoltre cicli in cui lo Zeitgeber è rappresentato dalla temperatura (Liu et al., 1997; Sidote et al., 1998); si mantengono gli organismi in condizioni di luce:buio costante 24 ore su 24, mentre la temperatura viene fatta variare. 1.2.2 - Componenti base del sistema biologico circadiano Un sistema biologico circadiano è costituito in genere da tre componenti fondamentali (Figura 1): 11 1. Vie di input. Una delle caratteristiche fondamentali dell’orologio endogeno circadiano è quella di non essere isolato dal’ambiente esterno ma di poter ricevere importanti segnali da esso al fine di regolare la sua fase in funzione delle variazioni dell’ambiente stesso. Una delle vie privilegiate con cui l’ambiente comunica con i meccanismi molecolari endogeni è la luce. Si possono distinguere due tipi di effetti della luce. Il primo è un effetto transiente, che non condiziona l’orologio circadiano endogeno ma si traduce in un aumento o una diminuzione dell’attività locomotoria in risposta ad una rapida variazione luminosa (effetto di masking positivo o negativo). Il secondo è la capacità della luce di agire da Zeitgeber regolando l’orologio endogeno attraverso specifici pathway molecolari che coinvolgono i fotorecettori del sistema visivo (fenomeno di entrainment). L’ambiente è in grado di intervenire sul meccanismo molecolare dell’orologio endogeno anche attraverso la temperatura. 2. l’orologio biologico propriamente detto, ovvero l’oscillatore endogeno autonomo, localizzato all’interno di ogni cellula. 3. Vie di output. Il “core” dell’orologio endogeno circadiano è in grado di “misurare” il tempo e dettare tutta una serie di trasformazioni molecolari (output) che regolano a loro volta i fenotipi circadiani. Esempi di output sono: la secrezione ciclica ormonale, il ritmo attività/riposo, il ritmo dell’assunzione di cibo, la variazione giornaliera della temperatura corporea e l’espressione di geni controllati a valle del core circadiano (clock controlled genes o cgc). I ccg sono coinvolti nella regolazioni di svariati processi cellulari (es. apoptosi, ciclo cellulare, sistemi di riparo del danno al DNA). 12 Figura 1: Rappresentazione schematica delle componenti dell’orologio circadiano: input, oscillatore centrale (core) ed output (Roenneberg & Merrow, 2003) Ogni orologio biologico circadiano è un oscillatore endogeno ed è costituito da un circuito a regolazione negativa in cui le proteine, responsabili dell’oscillazione, agiscono da repressori della trascrizione dei propri geni. Tale meccanismo da origine, in associazione a fattori di regolazione positiva, a variazioni cicliche dei livelli di mRNA e proteine dell’orologio biologico che consentono il mantenimento del ritmo circadiano (Figura 2). Tali orologi sono definiti auto-oscillanti in quanto, grazie alla presenza di circuiti endogeni complessi, sono in grado di mantenere il proprio ritmo e funzionare indipendentemente dalle condizioni ambientali. L’orologio biologico circadiano propriamente detto è fortemente conservato nella maggior parte degli organismi viventi, pertanto possiede caratteristiche morfofunzionali simili, mentre le componenti input e output possono essere diverse e speciespecifiche (Sassone-Corsi, 1998). In alcune specie la sede di ricezione dell’input ed il pacemaker coesistono in un'unica struttura: le stesse cellule che contengono l’orologio circadiano sono anche la sede di 13 recezione dell’input. In questo caso si parla di interazione diretta, un esempio è rappresentato dalla ghiandola pineale che negli uccelli, rettili e pesci è contemporaneamente la sede delle cellule fotosensibili (sede di recezione dell’input) e dell’attività del pacemaker (Sassone-Corsi, 1998; Deguchi, 1979). In altre specie, l’input e il pacemaker sono localizzate in strutture differenti. Nei mammiferi, ad esempio la retina raccoglie lo stimolo luminoso (input), questo viene trasmesso attraverso il fascio retino-ipotalamico all’orologio circadiano che ha sede nel NSC. Il NSC, localizzato nella parte anteriore dell’ipotalamo, è costituito da migliaia di neuroni che funzionano con attività circadiana e sono in rapporto anatomo-funzionale con la ghiandola pineale; questa a sua volta regola in modo circadiano la sua produzione di melatonina (Klein et al., 1991; Foulkes et al., 1997). L’evidenza sperimentale che il NSC è la sede di un importante pacemaker nei mammiferi, deriva da esperienze dirette di stimolazione e distruzione del nucleo stesso. Nel ratto a seguito della stimolazione elettrica e/o farmacologica di questi neuroni, si assiste ad uno slittamento di fase di alcuni ritmi circadiani (Ralph et al., 1990). Nel ratto, lesioni a carico del NSC portano ad un cambiamento dell’organizzazione del sonno: la gravità dell’alterazione del sonno è in funzione dell’ampiezza della regione lesa (Mouret et al., 1978). Esperimenti successivi nel criceto hanno dimostrato che la rimozione chirurgica di più del 75% del NSC promuove l’annullamento della ritmicità circadiana dell’attività locomotoria, dell’assunzione di cibo, della pressione arteriosa, della temperatura corporea e della secrezione di alcuni ormoni quali ad esempio melatonina e prolattina. Dopo questa drastica asportazione, le funzioni ritmiche non riprendono, ma possono essere ristabilite solo se vengono trapiantate cellule del NSC di un altro criceto donatore; in tal modo si ottiene una ripresa delle funzioni ritmiche che mostrano tutte le 14 caratteristiche del pacemaker circadiano dell’individuo donatore e non quelle del ricevente (Ralph et al., 1990). Numerosi dati sperimentali hanno evidenziato che nei mammiferi il NSC rappresenta l’orologio circadiano primario dal quale dipende il controllo degli orologi circadiani secondari; tuttavia non è stato ancora completamente chiarito il meccanismo mediante il quale il NSC modula l’azione dei pacemaker periferici. Pertanto, ogni organismo pluricellulare è regolato da un insieme di orologi biologici circadiani, questi includono sia gli orologi periferici contenuti in ogni singola cellula dei diversi distretti tissutali che quelli più complessi presenti nel sistema nervoso centrale; il risultato delle loro interazioni porta ad una modulazione circadiana della fisiologia dell’organismo (Figura 2). Figura 2: a) Organizzazione dell’orologio biologico interno: pacemaker centrale ed orologi periferici. b) Meccanismo di regolazione genica a feedback negativo dell’orologio circadiano molecolare (Kondratova & Kondratov, 2012) 15 1.2.3 - Funzioni biologiche con andamento circadiano Il sistema circadiano dell’uomo è costituito da una molteplicità di oscillatori autorigeneranti che sono interconessi e che a loro volta possono essere sincronizzati da fattori ambientali che fungono da Zeitebergs. L’organizzazione temporale delle funzioni biologiche di un individuo viene assicurata dall’interazione di questi fattori (Aschoff, 1978). Nell’uomo alcuni esempi di funzioni biologiche con andamento circadiano sono: la temperatura corporea, la secrezione di vari ormoni, il ciclo sonno/veglia, la pressione arteriosa, la frequenza cardiaca (Sassone-Corsi, 1998). L’andamento circadiano della temperatura corporea prevede un innalzamento al risveglio ed una diminuzione prima di andare a dormire; l’aumento mattutino della temperatura è evidente anche in assenza di luce e l’intero ritmo è mantenuto anche in soggetti a riposo prolungato. Ciascun individuo ha uno schema costante e caratteristico, e la curva crescente della temperatura corporea mostra una differenza misurabile tra individui. Il centro della termoregolazione è localizzato a livello dell’ipotalamo che agisce, pertanto, da orologio circadiano specifico per il controllo della temperatura. Un altro esempio importante è rappresentato dalle variazioni di ormoni, quali ad esempio il cortisolo e la melatonina. In particolare, la regolazione circadiana dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrenalico può essere osservata nelle variazioni dei livelli di cortisolo che fluttuano fra valori massimi, osservabili nelle prime ore del mattino, e livelli minimi presenti intono alla mezzanotte. E’ interessante notare che queste fluttuazioni sono abolite in condizioni patologiche, come nella sindrome di Cushing (caratterizzata da elevati livelli di cortisolo). 16 Per quanto riguarda la secrezione di melatonina, è stato ampiamente dimostrato che il sistema nervoso centrale prende le informazioni sulla durata del giorno dalla retina, le interpreta e trasduce il segnale alla ghiandola pineale la quale secerne l'ormone melatonina in risposta allo stimolo. Il picco di secrezione della melatonina si raggiunge durante la notte con successivo calo durante le ore diurne a causa dell’effetto inibitorio esercitato dalla luce. 1.3 - Organizzazione molecolare dell’orologio biologico circadiano negli organismi viventi Al fine di comprendere come gli orologi biologici circadiani siano in grado di autorigenerarsi e mantenere la loro periodicità di 24 ore, è stato necessario l’identificazione dei meccanismi molecolari responsabili del loro funzionamento finale. La forte pressione selettiva del ciclo giorno/notte ha verosimilmente fatto in modo che organismi evolutivamente molto distanti potessero sviluppare e conservare meccanismi simili e altamente vantaggiosi quali gli orologi biologici circadiani (Hall, 1995; Sogin, 1994). Infatti, l’esistenza di questi orologi è stata individuata in specie evolutivamente molto distanti, quali batteri, funghi, insetti e mammiferi. L’isolamento e la caratterizzazione di alcuni mutanti del ritmo circadiano, in organismi quali Cianobatteri, Neurospora, Drosophila, topo e uomo, hanno consentito l’identificazione di alcuni geni responsabili del funzionamento dell’orologio biologico circadiano 17 1.3.1 - La neurospora Il gene frequency (frq) è responsabile della sincronizzazione del ciclo della sporulazione assesuata in Neurospora (Fedelman & Hoyle, 1973). L’isolamento di un mutante di questo gene ha portato alla formulazione di un modello di regolazione ciclica fondamentale per la comprensione del meccanismo di autorigenerazione dell’orologio biologico circadiano. Il gene frq codifica per due forme alternative della proteina FRG, entrambe coinvolte nella sporulazione assesuata (Nakashima & Onai; 1996; Garceau et al., 1997). I livelli di espressione di mRNA e la sintesi di proteine FRQ sono ciclici. Infatti, se si analizzano le oscillazioni a partire dalla mezzanotte, quando i livelli di mRNA e di proteine sono bassi, si osserva un aumento della trascrizione che raggiunge il suo massimo nelle 10-12 ore successive. Questo aumento della trascrizione di frq è dovuto all’azione di un eterodimero costituito da due proteine whitecollar (WC1-2) (Crosthwaite et al., 1997). Tali proteine sono elementi di regolazione positiva e presentano un dominio, denominato PAS, caratteristico di una superfamiglia di fattori di trascrizione. Questo dominio è responsabile dell’interazione tra proteine e quindi consente la formazione di omo-eterodimeri. Inoltre le proteine WC1 e WC2 possiedono entrambe un dominio “Zn-finger” in grado di legare specificatamente il DNA; grazie alla presenza di questi domini l’eterodimero WC1-WC2 si lega al promotore del gene frq e ne promuove la trascrizione (Ballario & Mancino, 1997; Ballario et al., 1998). Dopo un intervallo di tempo le proteine FRQ vengono sintetizzate nel citoplasma ed entrano nel nucleo dove interagiscono con il dimero WC1-WC2 (Garceau et al., 1997; Luo et al., 1998). Questa interazione contrasta l’attivazione della trascrizione del gene frq da parte dell’eterodimero, e quindi la proteina FRQ regola negativamente la trascrizione del suo gene. Studi di cinetica hanno dimostrato che la proteina FRQ 18 rimane nel nucleo ad alti livelli, mantenendo represso lo stato di trascrizione del gene frq fino a tarda notte. Durante questo periodo, la proteina FRQ precedentemente fosforilata, viene degradata; la mancata trascrizione del gene frq e la contemporanea degradazione del prodotto proteico abbassano i livelli della proteina FRQ, che non è più in grado di esercitare la sua regolazione negativa. Al mattino, in risposta alla luce, le proteine WC1 e WC2, attivano la trascrizione del gene frq dando inizio ad un nuovo ciclo di regolazione (Crosthwaite et al., 1997). 1.3.2 - La Drosophila L’orologio endogeno molecolare in Drosophila melanogaster (Weber, 2008) è costituito dal “core” cioè l’oscillatore centrale vero e proprio regolato da un meccanismo a loop a retroazione negativa. Tale sistema coinvolge gli elementi positivi CLOCK (CLK) e CYCLE (CYC) (Allada et al., 1998; Rutila et al., 1998), fattori trascrizionali contenenti domini di interazione con il DNA (basic-helix-loop-helix, bHLH) e domini di dimerizzazione PAS e gli elementi negativi PERIOD (PER) e TIMELESS (TIM), proteine in grado di inibire la loro stessa trascrizione (Dunlap, 1999). Il gene Clock (clk) è trascritto ritmicamente con un picco di espressione attorno all’alba, mentre Cycle mantiene livelli di trascrizione costanti. Verso la metà del giorno CLK e CYC dimerizzano in un complesso in grado di legare delle particolari sequenze di DNA (dette E-box, CACGTG) (Kyriacou e Rosato, 2000) presenti nei promotori dei geni Per e Tim attivandone la trascrizione. L’attivazione dell’espressione di Per e Tim da parte dell’eterodimero CLK/CYC porta ad un progressivo aumento dei loro mRNA che raggiunge un massimo all’inizio della notte (Hardin et al.,1990; Zerr et al., 1990). Il 19 picco delle proteine tradotte a partire da questi due ultimi mRNA si verifica alla fine della notte (Curtin et al., 1995). La proteina PER è regolata a livello post-traduzionale mediante una serie di fofosrilazioni e defosforilazioni ad opera di chinasi (DOUBLETIME, DBT) e fosfatasi (proteina fosfatasi 2, PP2A). Durante la notte TIM si accumula e può cosi legare il complesso PER/DBT, stabilizzandolo e permettendone l’accumulo. Il complesso PER/TIM/DBT cosi formatosi tende ad entrare nel nucleo dove agiscono su CLK portando ad una progressiva riduzione dell’effetto attivatore del dimero CLK/CYC sui promotori di per e tim (Darlington et al., 1998). Questa inibizione porta a una diminuzione della proteina PER, che torna ad essere velocemente degradata in conseguenza anche dell’effetto della luce su TIM i cui livelli scendono rapidamente a causa della degradazione luce dipendente mediata da CRYPTOCHROME (CRY), fotorecettore della luce blu (Lin et al., 2001). A questo punto l’effetto di PER e TIM su CLK cessa e può ricominciare il ciclo. 1.3.3 - I mammiferi L’orologio endogeno circadiano dei mammiferi presenta numerose analogie con quello precedentemente descritto per Drosophila. Consiste anch’esso di due loop principali. Il primo loop si compone di due elementi positivi chiamati CLOCK e BMAL1 (brain and muscle ARNT-like protein 1), omologhi di CLOCK e CYC di Drosophila (King et al., 1997; Gekakis et al., 1998; Takahata et al., 1998). Questi elementi positivi contengono domini bHLH-PAS e sono in grado durante le ore diurne di accumularsi nel citoplasma formando eterodimeri che traslocano poi nel nucleo dove legano le sequenze E-box degli elementi negativi codificati dai geni Period (Per1, Per2 e Per3) e Cryprtocrome (Cry1 e Cry2). Durante il giorno fino alla sera i prodotti 20 proteici citoplasmatici di PER e CRY si accumulano e sono a loro volta in grado di dimerizzare ed entrare nel nucleo per inibire l’azione positiva del dimero CLOCK/BMAL1 chiudendo il ciclo in 24 ore (Reppert & Weaver, 2002) (Figura 3). Il secondo loop coinvolge la regolazione della trascrizione del gene bmal1 ad opera delle proteine REV-ERBα e β (Retinoic acid related orphan nuclear receptor) e RORa, b e c (Preitner et al., 2002). Questi fattori trascrizionali agiscono rispettivamente da repressore ed attivatore della trascrizione di bmal1 agendo in competizione sulle stesse sequenze del promotore (dette ROR elements, RORE) e sono a loro volta attivati dal dimero CLOCK/BMAL1 (Sato et al., 2004). Durante le ore notturne il calo dei livelli degli inibitori (PERs, CRYs e Rev-ERBα) permette l’attivazione del dimero CLOCK/BMAL che sancisce l’inizio di un nuovo ciclo. Il ciclo può ricominciare grazie alla specifica azione degradativa su PER e CRY da parte di specifiche protein chinasi quali le casein chinasi 1δ ed ε (Lee et al., 2001; Reppert & Weaver, 2001) (Figura 3). Un altro sistema di regolazione individuato a carico del dimero CLOCK/BMAL1 coinvolge le proteine DEC1 e DEC2, fattori di trascrizione in grado di inibire la formazione del dimero e regolati a loro volta dal dimero stesso in un terzo loop a retroazione negativa (Honma et al., 2002; Kawamoto et al., 2004). Un ultimo loop di recente scoperta vede l’attivazione da parte di CLOCK/BMAL1 del gene nampt che codifica un enzima che controlla la biosintesi del NAD+, in grado a sua volta di regolare l’attività della deacetilasi SIRTUINA1 (SIRT1) che agisce sulla trascrizione di Clock eBmal1 (Nakahata et al., 2008; Nakahata et al., 2009; Ramsey et al., 2009). Quest’ultimo loop ha permesso di integrare direttamente la funzione dell’orologio endogeno con le funzioni metaboliche cellulari considerando che SIRT1 è un regolatore 21 del metabolismo energetico attraverso i recettori PPAR-γ (Peroxisome proliferatoractivated receptor γ) e PGC1α (PPARγ coactivator 1α) (Lagouge et al., 2006). In relazione alle omologie presenti tra l’orologio molecolare di Drosophila e quello di mammifero la differenza più discussa riguarda il ruolo di TIM, che nel mammifero non sembra essere coinvolto nella generazione della ritmicità circadiana, sostituito da CRY che ha perduto la proprietà di fotorecezione. Anche l’orologio circadiano di mammifero è in grado di subire entrainment attraverso stimoli luminosi che vengono percepiti attraverso il tratto retino ipotalamico dal pacemaker centrale situato nel nucleo suprachiasmatico e causano l’attivazione della trascrizione di PER attraverso una risposta che coinvolge gli elementi di legame dell’AMP ciclico (CREB). I geni paraloghi Per1-2-3 e Cry1-2 non hanno un ruolo ridondante. Tuttavia a livello molecolare è stato messo in luce un meccanismo di compensazione secondo il quale se uno dei geni della famiglia PER e/o CRY viene perso, si assiste ad un incremento compensatorio del gene paralogo (Baggs et al. 2009). Comunque sia a livello comportamentale che molecolare almeno un membro della famiglia PER e/o CRY è necessario per il mantenimento della ritmicità circadiana. (Bae et al. 2001; Zheng et al.1999). 22 Figura 3: Meccanismo di regolazione a feedback negativo dei geni clock appartenenti al core circadiano (Fu & Lee, 2003). . 1.4 - Regolazione epigenetica dell’orologio molecolare circadiano Il rimodellamento della cromatina necessario per l’attività ciclica trascrizionale è regolato da una serie di proteine coinvolte nel circuito circadiano capaci di acetilare e deacetilare gli istoni (H3 e H4) in maniera ritmica a livello dei geni target (Etchegaray et al. 2003; Ripperger & Schibler 2006; Sahar & Sassone-Corsi 2013). Recenti studi hanno dimostrato come la proteina CLOCK agendo come acetiltrasferasi istonica (HAT) sia in grado di trasformare l’eterocromatina inattiva in eucromatina attiva permettendo l’attivazione dei ccg. Inoltre è stato dimostrato che con questa sua 23 attività acetiltrasferasica, CLOCK è in grado di regolare anche la trascrizione degli stessi geni clock per e cry, essenziali per il mantenimento della ritmicità circadiana (Doi et al., 2006). Il complesso CLOCK/BMAL1 è anche capace di facilitare l’attivazione trascrizionale mediante reclutamento sia della metiltransferasi Mixed-Lineage Leukaemia (MLL1) coinvolta nella metilazione ritmica dell’istone H3 che dell’inibitore della deacetilasi istonica (Histone Deacetylase, HDAC) (Katada & Sassone-Corsi 2010; DiTacchio et al., 2011). La deacetilazione è in parte mediata dal reclutamento da parte di PER1 del complesso deacetilasi SIN3-HDAC (SIN3-histone deacetylase) al dimero CLOCK/BMAL1-legato al DNA (Duong et al., 2011). La deacetilazione ritmica dell’istone H3 al livello dei promotori dei geni circadiani è regolata dalla deacetilasi SIRT1 in funzione dei livelli di NAD+ levels (Nakahata et al., 2008; Asher et al., 2008). Studi in vitro hanno dimostrato che il NAD+/NADH è capace di regolare la capacità di legame al DNA da parte del complesso CLOCK/BMAL1 (Rutter et al., 2001). Perciò il metabolismo cellulare potrebbe giocare un ruolo importante nella regolazione dell’attività trascrizionale e di conseguenza della fase dell’orologio circadiano (Marcheva et al., 2013). La degradazione delle proteine PER and CRY è richiesta per terminare l’attività di repressione e ricominciare un nuovo ciclo di trascrizione. L’equilibrio tra la stabilità e la degradazione delle proteine PER e CRY fondamentale per la regolazione del periodo dell’orologio molecolare risulta essere controllato dagli enzimi Casein Kinase 1ε- 1δ (CK1ε e CK1δ) (Lowrey et al., 2000). Tali enzimi sono deputati alla fosforilazione delle proteine PER necessaria per la conseguente ubiquitinazione e degradazione da parte del 24 proteosoma 26S (Camacho et al., 2001; Eide et al., 2005; Shirogane et al., 2005; Vanselow et al., 2006). In maniera simile la degradazione delle proteine CRY è regolata da eventi di fosforilazione e successiva ubiquitinazione mediati rispettivamente dalle chinasi AMPK1 e DYRK1A/GSK-3β eubiquitinasi FBXL3 (Busino et al. 2007; Lamia et al., 2009; Harada et al., 2005; Kurabayashi et al., 2010; Siepka et al., 2007; Godinho et al., 2007). 25 2 - Lavoro a turni: Desincronizzazione dei ritmi circadiani e patologie umane Il controllo circadiano della fisiologia e del comportamento è un presupposto fondamentale per uno stato di benessere psicofisico (Antoch & Kondratov 2013; Chen & McKnight, 2007; Rutter et al., 2002; Sack et al., 2007). Le alterazioni del ciclo circadiano possono essere la causa o avere valore predittivo di alcuni stati patologici (McClung, 2007; Ptacek et al., 2007; Gimble et al., 2011; Paschos & FitzGerald, 2010). In particolare la desincronizzazione dei ritmi circadiani è considerata la causa principale dei disturbi associati al sonno quali: la sindrome di avanzamento della fase di sonno (ASPS), la sindrome di ritardo delta fase di sonno (DSPS), l’alternanza irregolare del ciclo sonno/ veglia (Reid & Zee, 2009). I ritmi biologici hanno la funzione principale di sincronizzare le funzioni biologiche con le condizioni ambientali in modo da garantire all’organismo la migliore performance (Buhr & Takahashi, 2013). Nell’uomo le ore notturne rispetto a quelle diurne sono caratterizzate da bassi livelli di concentrazione e performance, elevata propensione al sonno ed al riposo, bassa temperatura corporea ed un picco nei livelli di melatonina. Negli ultimi anni, il progressivo passaggio alla “Società delle 24 ore”, che impone al mercato del lavoro una crescente competitività su scala mondiale, ha portato a modifiche sostanziali nell'organizzazione del lavoro. Si sta progressivamente andando, infatti, verso il superamento del rigido sistema tayloristico, tramite forme di organizzazione del lavoro che, grazie alle nuove tecnologie, consentono di ridefinire il rapporto uomo-lavoro in termini di relazioni spaziali (es. telelavoro) e temporali. Fino ad alcuni decenni fa il lavoro a turni e notturno era adottato quasi esclusivamente per garantire i servizi sociali essenziali (trasporti, ospedali, telecomunicazioni, pubblica 26 sicurezza) e per far fronte a fondamentali condizionamenti tecnologici dei settori siderurgico e chimico, come pure a peculiari aspetti del lavoro artigianale (per es. panificatori) e della pesca. Nel corso degli ultimi anni esso è diventato un importante fattore dell'organizzazione del lavoro, volto ad incrementare la produttività e a sostenere la competitività delle aziende, ed è pertanto andato estendendosi in tutti i settori lavorativi (industria tessile, meccanica, alimentare, commercio e grande distribuzione, alberghiero e della ristorazione, banche, svago e tempo libero). Per “lavoro a turni” si intende, in generale, ogni forma di organizzazione dell’orario di lavoro, diversa dal normale “lavoro giornaliero”, in cui l’orario operativo dell’azienda viene esteso oltre le consuete 8-9 ore diurne (in genere tra le 8:00 e le 17:00-18:00), fino a coprire l’intero arco delle 24 ore, mediante l’avvicendamento di diversi gruppi di lavoratori. Il lavoro a turni, e in particolare quello che comprende il turno notturno, obbliga il lavoratore ad invertire il normale ciclo “sonno-veglia” costringendolo a svolgere l’attività nel periodo usualmente dedicato al sonno e a riposare nel periodo usuale di veglia. Tale “adattamento” comporta un progressivo spostamento di fase (e una riduzione di ampiezza) dei ritmi biologici, che è tanto maggiore quanto più elevato è il numero dei turni notturni successivi, ma senza raggiungere (se non in casi del tutto particolari) la completa inversione (Copertaro, 2013). Il soggetto è pertanto esposto a uno stress continuo nel tentativo di adattarsi il più velocemente possibile ai diversi orari di lavoro, il che viene invariabilmente ostacolato dalla loro continua rotazione con rischi per la salute a breve e lungo termine (bassa qualità del sonno, diminuita performance maggior rischio di infortuni, patologie gastrointestinali, patologie cardiovascolari) (Herichova, 2013). 27 2.1 - Lavoro a turni e disordini metabolici Numerosi studi hanno recentemente evidenziato una prevalenza di disturbi metabolici nei turnisti con lavoro notturno, in particolare sovrappeso, obesità (sia generale che addominale), ipertriglieridemia, ipercolesterolemia (con ridotta frazione HFL) e diabete tipo 2 (aumentata resistenza all’insulina) (De Bacquer et al., 2009; Karlsson et al., 2001; Marcheva et al., 2013). L’insorgenza dei disturbi metabolici è certamente favorita dalle alterazioni dei ritmi circadiani delle funzioni digestive e metaboliche e dal cambiamento delle normali abitudini alimentari, condizionate dagli orari e dalla qualità dei cibi, ed è maggiormente evidente nel caso dei lavoratori con turni notturni (Lennernas et al., 1994; Biggi et al., 2008; Lowden et al., 2010). Sebbene le calorie assunte rimangano sostanzialmente invariate, la distribuzione temporale e la qualità del cibo assunto variano in relazione all’orario di turno. Nel caso in cui i turnisti mangino a casa, l’orario dei pasti è anticipato o ritardato in relazione all’orario di inizio dei turni; nel caso in cui essi mangino al lavoro, il pasto, il più delle volte di qualità non ottimale, è assunto velocemente nelle brevi pause consentite. I turnisti notturni, a causa della chiusura delle mense, mangiano spesso cibi preconfezionati e talvolta abusano di bevande stimolanti, alcolici e tabacco. Inoltre, il turnista notturno, se vuole assumere il pasto di mezzogiorno con i famigliari, è costretto ad interrompere forzatamente il sonno. Gli alimenti consumati nelle mense aziendali possono essere spesso lavorati con grassi e accentuare la sensazione di pesantezza e sonnolenza: ciò, a lungo andare, può favorire o incrementare i problemi e i disordini del sistema digestivo. Come concausa agiscono inoltre il frequente abuso di caffeina (o bevande contenenti caffeina) per sostenere la vigilanza durante il turno di lavoro (Linee guida SIMLI, 2011). 28 Un recente studio ha mostrato che topi esposti alla luce di notte mostrano un aumento in peso, ridotta tolleranza al glucosio e maggiore appetito durante la fase luminosa (fase di riposo per i topi) (Fonken et al., 2010). L’importanza della risposta metabolica in relazione al momento temporale in cui avviene l’assunzione di cibo è stata ulteriormente dimostrata in un altro studio in cui i topi nutriti con una dieta ricca in grassi durante la fase di luce presentavano un aumento in peso maggiore rispetto al gruppo di controllo alimentato nello stesso modo durante la fase buia (Arble et al., 2009). Tali risultati sembrano corroborare l’ipotesi secondo la quale sarebbe possibile controllare l’aumento del peso corporeo limitando l’assunzione di cibo alla fase “attiva” della giornata. Tuttavia non solo il momento temporale ma anche la qualità del cibo assunto può influenzare l’orologio circadiano. Topi alimentati con una dieta ricca in grassi presentavano un’alterazione dell’orologio circadiano, un allungamento del periodo relativo all’attività locomotoria e la tendenza a consumare una quantità di cibo maggiore durante la fase di luce (Kohsaka et al., 2007). Tali studi dimostrano chiaramente che il metabolismo è in gradi di controllare gli orologi periferici. L’interconessione esistente tra l’orologio circadiano e l’omeostasi metabolica è stata ulteriormente investigata mediante esperimenti di mutazione a carico dei principali geni clock coinvolti nel core del circuito circadiano. La delezione dei geni Clock e Bmal1, comporta l’insorgenza di anomalie a carico dell’apparato metabolico. I topi mutanti per il gene Clock risultano aritmici e diventano iperfagici ed obesi sviluppando i classici sintomi della sindrome metabolica come l’iperglicemia, dislipidemia e la steatosi epatica (Turek et al., 2005). Inoltre tali topi presentavano una riduzione evidente nei livelli di mRNA dei neuropeptidi orexina e ghrelina (ormoni coinvolti nella regolazione neuroendocrina dell’appetito) (Adamantidis & deLecea, 29 2009; Saper et al., 2002). In maniera analoga, un’alterazione nella regolazione circadiana del glucosio e dei livelli di trigliceridi è stata riscontrata nei topi resi aritmici dal silenziamento del gene Bmal1 (Bunger et al. 2000, Rudic et al. 2004). Un ruolo chiave nell’adipogenesi e nel metabolismo lipidico è svolto dal gene circadiano RevErbα (Fontaine et al., 2003). Evidenze sperimentali dimostrano che REV-ERBα controlla l’espressione di PPARγ, implicato nella regolazione del metabolismo lipidico e nel processo di differenziamento degli adipociti (Fontaine et al., 2003). La delezione di Rev-Erbα comporta un accumulo di lipidi e trigliceridi nel fegato (Feng et al., 2011). 2.2 - Lavoro a turni e rischio di tumori Recentemente alcuni studi epidemiologici hanno segnalato una possibile associazione tra lavoro a turni e cancro, in particolare per la mammella, l’endometrio, la prostata, il colon-retto, il linfoma non-Hodgkin (Costa et al., 2010). Sulla base di questi studi, e di altri di tipo sperimentale inerenti ai meccanismi fisiopatologici in grado di spiegare tale associazione, nel 2007 l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (International Agency for Research on Cancer, IARC) ha definito il “lavoro a turni che causa una perturbazione dei ritmi circadiani” come “probabilmente cancerogeno” (2A) per l’uomo in base ad una “limitata evidenza nell’uomo per la cancerogenicità del lavoro a turni che comprende il lavoro notturno” e “sufficiente evidenza negli animali da esperimento per la cancerogenicità dell’esposizione alla luce durante il periodo di buio (notte biologica)” (Straif et al., 2007). I meccanismi fisiopatologici attraverso i quali la desincronizzazione circadiana può favorire l’induzione e la promozione di tumori maligni sono complessi e multifattoriali. 30 Nel caso del cancro della mammella, per il quale vi sono maggiori evidenze, si ritiene che, in presenza o meno di predisposizione genetica, ripetute desincronizzazioni dei ritmi circadiani e deprivazioni di sonno possono portare a deficienze nella regolazione del ciclo cellulare circadiano e conseguenti effetti cancerogeni sulle cellule mammarie sensibili agli estrogeni, oltre che deprimere la sorveglianza immunologica (Davis et al., 2001; Hansen, 2001; Schernhammer et al., 2006). In particolare Stevens nel 1987 ha formulato la “melatonin hypotesis” secondo cui la ridotta produzione di melatonina che si verifica durante il turno notturno a causa dell’esposizione alla luce artificiale determinerebbe un aumento degli estrogeni, riconosciuti fattori di rischio per l’induzione del cancro al seno. La melatonina regola direttamente la produzione e l’attività degli estrogeni mediante l’interazione con il recettore estrogenico e indirettamente neutralizza gli effetti dell’estradiolo sulla proliferazione e l’invasività delle cellule tumorali mammarie in virtù delle sue proprietà oncostatiche ed antiossidanti (Stevens, 1987; Nelson, 2002; Schernhammer et al., 2004; Stevens et al., 2006; Cos et al., 2008). Più recentemente l’attenzione degli studiosi si è rivolta agli effetti indotti dalla desincronizzazione dei geni clock periferici su varie funzioni biologiche, a seguito dello spostamento di fase tra luce/attività e buio/riposo che caratterizza il lavoro a turni (Stevens, 2005; Rana et al., 2010). Numerosi lavori hanno messo in evidenzia il coinvolgimento di alcuni geni clock in importanti processi responsabili delle fasi iniziali della trasformazione neoplastica (es. riparo del danno al DNA, controllo del ciclo cellulare e apoptosi) (Collis & Boulton, 2007; Sancar et al., 2010; Kelleher et al., 2014). Da tali evidenze deriva l’ipotesi 31 secondo cui la deregolazione dell’orologio circadiano molecolare possa essere implicata nel processo della cancerogenesi. Recentemente la Medicina del Lavoro dell’Università Politecnica delle Marche ha condotto uno studio con lo scopo di valutare i livelli di espressione dei geni clock in associazione ai livelli di melatonina (aMT6s) urinari e del 17-β estradiolo sierico in un gruppo di infermiere turniste impegnate nel primo giorno della rotazione lavorativa, rispetto ad un gruppo di infermiere giornaliere di controllo. L’analisi dei risultati dello studio (Bracci et al., 2014) ha evidenziato nelle infermiere un’alterazione nei livelli di 17β-estradiolo e una deregolazione dei principali geni clock associata al lavoro a turni. 2.3 - Fattori che influenzano la tolleranza del lavoro a turni e /o notturno L’orologio circadiano interno è capace di adattarsi lentamente ai rapidi cambiamenti delle condizioni legate all’organizzazione del lavoro a turni. Durante il processo di adattamento, i ritmi biologici sono fuori fase rispetto alle condizioni ambientali (desincronizzazione esterna). Inoltre con il tempo si può stabilire una condizione di desincronizzazione interna (desincronizzazione circadiana vera e propria) caratterizzata da un’alterazione reciproca di fase tra i diversi ritmi che regolano i processi biologici nell’uomo. Durante un periodo di desincronizzazione, tipico dell’organizzazione del lavoro che prevede un turno di notte all’interno di una serie di turni mattutini, i lavoratori si trovano nella condizione di dover riposare e lavorare fuori fase rispetto all’orologio biologico interno. 32 In condizioni di lavoro notturno, è presumibile parlare di adattamento nel caso in cui si verifica uno shift nel picco di melatonina durante le ore diurne del sonno. Il lavoro a turni che prevede una rotazione veloce non permette un pieno adattamento dell’orologio interno alle nuove condizioni ambientali. Il rapporto tra la fase dei ritmi circadiani e l’adattabilità al lavoro a turni e/o notturno è stato oggetto di diversi studi. La fase dei ritmi circadiani è variabile da individuo a individuo e determina una maggiore attivazione psico-biologica in momenti diversi della giornata. I “tipi mattutini” (“larks”, allodole) hanno una attivazione psicobiologica maggiore durante le ore della mattina, mentre i “tipi serotini” (“owl”, gufi) più spostata verso le ore pomeridiane e serali. I “tipi mattutini” hanno una maggiore propensione ad alzarsi presto al mattino e a coricarsi presto alla sera; è stato quindi ipotizzato che siano più adattabili ai turni mattutini, mentre per i “tipi serotini” varrebbe il contrario. Un recente studio evidenzia che solo una piccola parte dei lavoratori turnisti è in grado di adattare il proprio orologio circadiano alle condizioni imposte dal lavoro. Tale allineamento oltre che dal cronotipo potrebbe essere favorito dal fatto di mantenere la fase di attività e sonno alterata rispetto alle condizioni luce-buio anche durante i giorni di riposo (Gamble et al., 2011). 33 3 - Danno e riparo del DNA 3.1 - Il danno al DNA Il genoma umano è continuamente soggetto a danni. Il DNA è una molecola che può accumulare diversi tipi di lesioni e la sua integrità è minacciata da diversi fattori (Hoeijmakers, 2009). Innanzitutto, il DNA và incontro a reazioni di idrolisi spontanee che portano alla formazione di siti abasici e provocano deaminazione (Akbari & Krokan, 2008); altre fonti di danno al DNA sono alcuni prodotti del normale metabolismo (radicali, prodotti di per ossidazione lipidica, agenti alchilanti) ed agenti fisici e chimici di natura esogena (Hoeijmakers, 2009). I maggiori danni vengono provocati da specie reattive, che possono modificarne la struttura ed influenzarne la normale funzionalità. Le specie chimiche reattive (SCR) sono ioni che reagiscono con altre specie chimiche con modalità diverse in base alla loro natura e al mezzo in cui si trovano. A seconda dell’atomo responsabile della loro reattività, le SCR vengono classificate in specie reattive dell’ossigeno (ROS), specie reattive dell’azoto (RNS). Le SCR possono modificare basi, indurre crosslink DNA-DNA o DNA-proteina e creare rotture del filamento di DNA, con effetti non solo mutagenici ma anche di inibizione della replicazione e trascrizione. Queste lesioni sono spesso associate a condizioni patologiche quali cancro, invecchiamento e patologie neurodegenerative (Jena, 2012). In particolare, i processi che inducono un danno al DNA e che modificano le basi sono processi ossidativi, di alchilazione, di nitrazione e alogenazione. Tutte le basi sono 34 suscettibili al danno, ma la guanina è solitamente la più attaccata dalle SCR (Jena, 2012). L’alogenazione delle basi del DNA ha effetti carcinogeni e dannosi per i tessuti in condizione di infiammazione; il composto alogenato più dannoso è l’HOCl, che reagisce con la guanina per formare l’8-cloroguanina (8-ClG) (Stanley et al., 2010). Anche la nitrazione è responsabile di una modificazione chimica a carico della guanina con la formazione della 8-nitroguanina (8-NO2-G) (Jena, 2012). La guanina è anche suscettibile all’alchilazione, in particolare al sito N7 (Ekanayake & Lebreton, 2010). Tra tutti i vari processi, il danno ossidativo è sicuramente il più esaminato e la 8-ossi-7,8diidrossi-2’deossi-guanosina (8-oxoG) è la lesione più investigata. Questa lesione non è citotossica ma l’incorporazione o la sua formazione possono essere mutageniche; l’8oxoG, infatti, è molto suscettibile all’ossidazione e può essere ulteriormente ossidata in altre lesioni mutageniche (Neeley & Essigmann, 2006). Tuttavia il danno ossidativo può essere a carico anche dell’adenina e della timina; in tal caso il blocco della DNA polimerasi indotto dalla lesione formata non determina gravi conseguenze, dal momento che altre polimerasi intervengono bypassando la lesione (Svilar et al., 2011). In generale, i ROS hanno comunque capacità mutazionale legata principalmente a modificazioni delle coppie CG, mentre le mutazioni che colpiscono AT raramente portano a variazioni genetiche (Svilar et al., 2011). Normalmente, la produzione di ROS e la possibilità di creare basi ossidate mutageniche è controllata dalle barriere antiossidanti dell’organismo: se la produzione supera queste barriere cellulari o quando tali barriere sono incapaci di neutralizzare gli effetti di proossidanti, si crea una condizione di stress ossidativo (Svilar et al., 2011). Fra le fonti endogene di ROS le principali sono i mitocondri (sulle cui creste sono localizzati i 35 complessi enzimatici della catena respiratoria deputati alla fosforilazione ossidativa), la membrana plasmatica (in particolare nei linfociti, dove l’attivazione delle ossidasi NADPH e delle lipoossigenasi in seguito a infezione, infiammazione o reazioni immunopatogene porta alla produzione di metaboliti ossidanti) (Valko et al., 2004), la membrana nucleare (che contiene citocromo ossidasi e sistemi di trasporto degli elettroni (Gutteridge & Halliwell, 2000), i perossisomi (in cui il principale ROS e l’H2O2), il reticolo endoplasmico liscio (REL) ed il citosol (in cui i ROS vengono prodotti in seguito al catabolismo dei nucleotidi purinici e la biogenesi delle poliammide) (Albright et al., 2003). Fonti esogene di ROS sono invece il fumo di sigaretta, UV, radiazioni ionizzanti, pesticidi, agenti chemioterapici, l’asbesto, la silice cristallina, carbone e ioni metallici (Sarasin & Kauffmann, 2008). Le fonti esogene possono metabolizzare direttamente a intermedi radicali o attivare fonti endogene di ROS (Klaunig et al., 2011). Il genoma mitocondriale sembra essere molto più suscettibile al danno ossidativo. La ragione và ricercata nel fatto che, rispetto al genoma nucleare, quello mitocondriale si trova in prossimità dei complessi proteici delle fosforilazione ossidativa, non è protetto dagli istoni e ha una capacità riparativa più limitata. In aggiunta, le cellule cancerose posseggono un metabolismo glicolitico accelerato rispetto a quelle sane: il conseguente burst respiratorio è stato associato ad un aumento della frequenza di mutazione nel genoma mitocondriale (Valko et al., 2007). 36 3.2 - Il riparo del DNA L’evoluzione ha sviluppato dei sistemi che hanno il compito di riparare il DNA danneggiato da ROS e, in generale, da agenti endogeni ed esogeni. I meccanismi principali operanti nelle cellule viventi sono 3: 1. Riparazione per escissione con conseguente rimozione di una regione danneggiata e sintesi di un nuovo segmento di DNA (sistemi BER, NER) 2. Riparazione degli accoppiamenti errati (Mismatch Repair), che avviene immediatamente dopo la sintesi del DNA e sfrutta il filamento parentale intatto come stampo 3. Riparazione delle interruzioni nel doppio filamento di DNA mediante il ricongiungimento delle estremità interrotte (sistemi HR, NHEJ) 3.2.1 - Riparazione per escissione di base (Base excision repair BER) Il BER è il sistema responsabile del riparo delle basi danneggiate o dei tagli a singolo filamento del DNA (Single Strand Breaks, SSBs) causati da modificazioni chimiche spontanee (deaminazione, depuri nazione, idrolisi) o da agenti quali ROS, UVA, radiazioni ionizzanti (Chan, 2006). Il sistema BER richiede normalmente la presenza di 4 proteine: una DNA glicosidasi (8-Oxoguanina Glicosilasi (hOgg1) nell’uomo o l’enzima omologo FormamidoPirimidine Glicosidasi (FPG) nei batteri), un AP endonucleasi (AP endonuclease, APEX) o AP DNA liasi, e una DNA ligasi (Kubota et al., 1996), che insieme hanno il compito di rimuovere la base danneggiata e rimpiazzarla con la base corretta. Il meccanismo generico del BER prevede che inizialmente la DNA glicosidasi riconosca la base danneggiata, comprima la doppia elica del DNA in modo da inglobarla e successivamente catalizzi il taglio di un legame 37 N-glicosidico rimuovendo la base danneggiata e creando un sito apurinico o pirimidinico (sito abasico AP). A questo punto, il meccanismo del BER può procedere in due modi differenti. Nello short-patch BER, preponderante nei mammiferi, interviene una DNA polimerasi ß che, attraverso la sua attività liasica, rimuove il deossiribosio abasico e riempie il gap formatosi col nucleotide corretto. Il processo viene poi completato grazie alla DNA ligasi 3 che in associazione alla proteina X-ray repair cross complementing 1 (XRCC1) ricrea il legame fosfodiesterico. Nel long-patch BER, invece, al posto della DNA pol ß interviene la DNA polimerasi δ o ε insieme alla proteina PCNA che allungano il 3’OH del sito AP attraverso una reazione detta “strand displacement”. Il filamento di DNA viene poi tagliato dalla nucleasi FEN1 e saldato dalla DNA ligasi 1 (Robertson et al., 2009). Il processo è schematizzato in Figura 4. In realtà il meccanismo con cui il sistema BER agisce è molto più complesso e i complessi proteici coinvolti variano a seconda della lesione presente e della chimica degli intermedi riparati. Attualmente, sono state proposte 3 variazioni del meccanismo del BER. Nel primo meccanismo, il riparo è iniziato da DNA glicosidasi bifunzionali (OGG1, NTH1 o NEIL3) che possiedono sia attività idrolitica che liasica. Questi enzimi tagliano la base modificata e idrolizzano il DNA attraverso una reazione di ß-eliminazione. Nel secondo meccanismo, il riparo è iniziato da DNA glicosidasi monofunzionali (MYH, UNG, SMUG1, TDG, MBD4, MPG) e procede come uno short-patch BER. L’ultimo meccanismo è indipendente dall’endonucleasi AP ed è iniziato dalle glicosidasi monofunzionali NEIL 1 e NEIL 2 a cui è associata un’attività di ß,δ-eliminazione (Svilar et al., 2011). 38 Il ruolo del BER nel cancro è stato ampiamente studiato e i vari studi hanno mostrato che mutazioni a carico dei geni del sistema o comunque alterazioni del processo sono correlate alla cancerogenesi (Chang et al., 2009). Ad esempio, sono stati descritti alcuni polimorfismi dei geni Ogg1 e Myh (Nohmi et al., 2005) e di Xrcc1 (Hung et al., 2005) a cui è stato associato un maggiore rischio di sviluppo di specifici tipi di cancro. È stato osservato, inoltre, che molto spesso tale rischio deriva dalla presenza di polimorfismi multipli a carico dei geni del BER: gli stessi polimorfismi, presi singolarmente, non hanno invece effetto sulla frequenza dello sviluppo del cancro. Ad esempio, la presenza simultanea di una mutazione del gene Apex1 e di Xrcc1 aumenta il rischio di sviluppo del cancro pancreatico, mentre ciascuna di queste varianti singolarmente non ha effetto (Jiao et al., 2006). 39 Figura 4: Meccanismo di riparo BER (KEGG PATHWAY database) 40 3.3 - Cancro e riparo del DNA La stabilità del genoma umano è un fattore fondamentale per la normale vita della cellula ed è ormai noto che essa dipenda in larga misura dall’efficienza dei sistemi di riparo del DNA. In maniera semplicistica, l’assenza di un riparo efficiente causa l’accumulo di lesioni al DNA che aumentano il tasso di mutazioni predisponendo la cellula alla trasformazione maligna (Sarasin & Kaufmann, 2008). A conferma di ciò, le cellule cancerose sono caratterizzate da un elevato insulto ossidativo, che può comportare modificazioni del metabolismo, alterazioni nel controllo del ciclo cellulare e la perdita di eterozigosità in corrispondenza di specifici loci (Tudek, 2007). Le lesioni non riparate possono essere citotossiche, citostatiche o mutageniche: in quest’ultimo caso, i cambiamenti apportati alla funzionalità del DNA possono essere permanenti ed esercitare il loro effetto continuamente. Se la mutazione riguarda un gene coinvolto nel riparo del DNA, la cellula diventa molto più suscettibile alle mutazioni con conseguente incremento dell’instabilità genomica (Hoeijmakers, 2009). Grazie alla sua capacità mutazionale, il danno ossidativo partecipa in particolare alla fase di iniziazione del cancro, ma anche alla fase di promozione perché può modificare l’espressione genica danneggiando tutte le macromolecole (DNA, RNA, proteine). L’effetto è più evidente se ad essere attivati sono fattori di crescita e protoncogeni come l’Nf-kB, Pxc, Hif-1 (Klaunig et al., 2011). La prova inequivocabile del ruolo fondamentale di un sistema di riparo inefficiente come caratteristica della trasformazione maligna è data, innanzitutto, dal grande numero di polimorfismi a carico dei principali geni di riparo ritrovati in molti tipi di neoplasie (Tudek, 2007). In secondo luogo, i tessuti cancerosi mostrano una forte deregolazione 41 dei geni codificanti i principali enzimi di riparo (Sarasin & Kaufmann, 2008). In molti casi questi geni sono risultati sovraespressi in associazione ad una maggiore frequenza di metastatizzazione. La ragione potrebbe essere nel fatto che le cellule con una maggiore capacità di formare metastasi mostrano un incremento nella velocità di replicazione e divisione cellulare. Da ciò ne deriva che l’aumento dell’espressione dei geni di riparo ha la funzione di stabilizzare il genoma delle cellule del tumore primario assicurando la stabilità sufficiente per l’invasività (Sarasin & Kaufmann, 2008). 42 4 - Orologio circadiano e cancerogenesi 4.1 - Alterazione dei geni clock ed insorgenza di tumori Numerosi studi epidemiologici hanno messo in evidenza il coinvolgimento dell’alterazione dei ritmi circadiani nell’incrementato rischio di insorgenza tumorale e prognosi infausta (Sahar & Sassone-Corsi 2007; Kelleher et al., 2014). In particolare l’espressione dei geni Per è risultata deregolata in soggetti affetti da tumore alla mammella (Chen et al., 2005), probabilmente a causa di un ipermetilazione a livello del promotore. Inoltre l’incrementato rischio di tumore alla mammella e il linfoma nonHodgkin’s sono stati associati alla mutazione nel gene circadiano Npas2 (Hoffman et al., 2008). Un ampio numero di studi utilizzando il modello murino hanno investigato il potenziale meccanismo molecolare in grado di spiegare il link esistente tra i geni clock e la tumorigenesi. I risultati di tali studi hanno messo in luce un’attività di sopressione tumorale associata ai geni Per1 and Per2 (Fu et al., 2002; Gery et al., 2006). In particolare, il silenziamento del gene Per2 porta allo sviluppo di linfomi maligni (Fu et al. 2002), mentre la sua sovraespressione in colture cellulari tumorali in vitro determina l’inibizione della crescita, l’arresto del ciclo cellulare, l’induzione dell’apoptosi e la perdita della capacità clonogenica (Gery et al., 2005). Inoltre l’espressione del gene Per2 è sottoregolata in numerose linee di linfoma in vitro e nei pazienti affetti da leucemia linfoide (Gery et al., 2005). In maniera analoga al Per2, la sovraespressione di Per1 è capace di sopprimere la crescita in vitro di linee tumorali (Gery et al., 2006), mentre in vivo si assiste ad una bassa espressione genica nei tessuti di soggetti affetti da tumore polmonare rispetto ai tessuti sani (Gery et al., 2006). 43 Varie evidenze in vivo ed in vitro hanno dimostrato anche il coinvolgimento della CK1ε nell’insorgenza di tumori (Yang & Stockwell, 2008). La destabilizzazione del recettore α degli estrogeni (ERα) conseguente al legame con la proteina PER2 potrebbe ulteriormente confermare il coinvolgimento dell’orologio circadiano nello sviluppo del tumore alla mammella (Gery et al., 2007; Green & Carroll, 2007). Tuttavia è importante ricordare che studi condotti sul modello murino hanno indicato che la mutazione di uno o più geni clock non è di per se sufficiente ad innescare il processo della tumorigenesi. Infatti i topi in cui sono stati silenziati i geni Cry (Gauger & Sancar, 2005) o Clock (Antoch et al., 2008), presentavano una compromissione evidente nei ritmi circadiani, ma senza alcuna predisposizione allo sviluppo di tumori in seguito al trattamento con radiazioni. Inaspettatamente il silenziamento dei geni Cry in topi p53-/- presentavano una minore predisposizione all’insorgenza di tumori (Ozturk et al., 2009). Tali evidenze suggeriscono che altri componenti di regolazione legati ai geni clock ma indipendenti dalle loro funzioni circadiane, potrebbero partecipare alla cancerogenesi. 4.2 - Modulazione circadiana della risposta a stress genotossici È stato stimato che circa il 10% del trascrittoma umano è caratterizzato da un’oscillazione circadiana controllata dai geni clock. Il meccanismo molecolare in base al quale la desincronizzazione dell’orologio circadiano sarebbe capace di influenzare lo sviluppo e la progressione di tumore potrebbe essere spiegato dall’abilità di alcuni geni clock di regolare alcune funzioni cellulari come il ciclo cellulare, la risposta al danno al DNA ed il metabolismo (Hunt & Sassone-Corsi, 2007; Antoch & Kondratov, 2013). 44 Le cellule sono dotate di una serie di sistemi capaci di rispondere all’esposizione ad agenti genotossici responsabili del danno al DNA. L’arresto della crescita è la prima strategia che le cellule attuano per rispondere al danno al DNA, successivamente se il danno è riparato la cellula ritorna a crescere normalmente, in caso contrario la cellula entra in apoptosi. Alternativamente se la proliferazione cellulare riprende prima che il danno sia riparato, la mutazione conseguente potrebbe potenzialmente favorire l’insorgenza di neoplasie. Un’ulteriore strategia cellulare di risposta al danno al DNA è l’arresto irreversibile della crescita che va sotto il nome di senescenza (Sancar et al., 2004). Recenti studi hanno messo in luce un possibile coinvolgimento dell’orologio circadiano nella regolazione delle diverse fasi della risposta cellulare al danno al DNA (es. ciclo cellulare, sistemi checkpoint del danno, sistemi di riparo del danno e senescenza). 4.2.1 - Regolazione del ciclo cellulare e del processo apoptotico Il controllo circadiano del ciclo cellulare osservato per la prima volta 40 anni fa in organismi unicellulari (Edmunds & Funch, 1969) è stato proposto come un meccanismo in grado di bloccare la replicazione del DNA in seguito all’esposizione ad UV al fine di proteggere il genoma dall’accumulo di mutazioni. La normale progressione del ciclo cellulare è regolata da numerosi checkpoint che hanno la funzione di preservare l’integrità genomica da lesioni indotte per via endogena (es. replicazione del DNA in fase di stallo, eccessiva produzione di ROS nei processi metabolici ) o esogena (UV, radiazioni ionizzanti, xenobiotici genotossici) al fine di promuovere la sopravvivenza cellulare. Il processo della cancerogenesi conseguente alla perdita di questo meccanismo di controllo, conferisce alle cellule il classico fenotipo 45 tumorale caratterizzato da crescita incontrollata, insorgenza di mutazioni al DNA ed aberranti divisioni mitotiche (catastrofe mitotica) (Galluzzi et al., 2007). Nel riconoscimento del danno a carico del DNA e successivo arresto del ciclo cellulare, sono coinvolte 2 protein chinasi: Ataxia Telangiectasia Mutated (ATM) e ATM-Rad3 related (ATR). L’arresto del ciclo cellulare in seguito al danno al DNA è regolato dall’attivazione (per fosforilazione) della CHK1 da parte dell’ATR in risposta a SSBs e della CHK2 in risposta a DSB da parte dell’ATM (Smith et al., 2010). E’ stato riportato che la proteina circadiana PER1 interagisce con il complesso ATM/CHK2 in risposta all’esposizione a radiazioni ionizzanti (Gery et al., 2006). Studi in vitro hanno dimostrato che la sopressione di PER1 compromette la fosforilazione di CHK2 in seguito a trattamento con radiazioni e rende le cellule tumorali più resistenti al trattamento con agenti chemioterapici (Gery et al., 2006; Gery & Koeffler, 2010). L’interconnessione tra l’orologio circadiano e la regolazione del ciclo cellulare coinvolge anche la proteina TIMELESS (TIM) omologa di quella descritta in Drosophila. TIM interagisce con la chinasi CHK1 e la proteina ATR in seguito a stimolazione indotta da agenti genotossici ( es. UV e idrossiurea). La sopressione di TIM mediante siRNA comporta una ridotta fosforilazione di CHK1 ATR-dipendente sia in condizioni normali che di stress. (Unsal-Kacmaz et al., 2005). La regolazione circadiana dei geni direttamente coinvolti nel ciclo cellulare come ad esempio Wee1 (deputato alla transizione delle fasi G2/M) (Matsuo et al., 2003), c-myc (transizione fase G0/G1) (Fu et al., 2002), e la ciclina D1 (transizione G1/S) (Fu et al., 2002), è stata ben documentata nei mammiferi. WEE1 è una chinasi che fosforila ed inattiva il complesso CDC2/ciclina B1 per il controllo della transizione G2/M durante la mitosi. Wee1 mostra una robusta oscillazione circadiana dipendente dal complesso 46 CLOCK-BMAL1 nel fegato murino (Matsuo et al. 2003). Inoltre i topi aritmici silenziati per il gene Cry mostravano un processo di rigenerazione epatica conseguente ad epatoectomia parziale compromesso in associazione ad una deregolazione del gene Wee1 (Matsuo et al., 2003). Questi studi indicano che la proteina WEE1 potrebbe svolgere un ruolo importante nella regolazione del ciclo cellulare mediata dall’orologio circadiano. Khapre et et al, hanno dimostrato che il dimero CLOCK–BMAL1 attiva l’ espressione di cMyc e p21 coinvolti nei processi di proliferazione e apoptosi cellulare (Khapre et al., 2010). Inoltre, il complesso CLOCK:BMAL1 partecipa all’attivazione di p53, un gene proaptotico, e Wee1 (Hunt et al., 2007). La regolazione del processo apoptotico mediato dall’orologio circadiano avviene anche mediante controllo dell’espressione del gene Bax (proapoptotico) e Bcl2 (antiapoptotico) (Granda et al., 2005). La proteina P53 agisce da soppressore tumorale, promuovendo l’apoptosi in cellule esposte ad agenti dannegginati il DNA o dotati di potenziale cancerogenico. In assenza di p53, la funzione di sopressione tumorale è esplicata da p73. L’induzione di p73 potrebbe spiegare l’aumento inaspettato (descritto nel paragrafo precedente) del processo apoptotico osservato in topi p53-/- e Cry-/-. Tale scoperta suggerisce un possibile ruolo terapeutico del silenziamento dei geni Cry nelle cellule tumorali con mutazione a carico di p53, caratterizzate da un fenotipo aggressivo (Lee & Sancar, 2011). 47 4.2.2-Regolazione dei sistemi di riparo del danno al DNA Un recente studio ha dimostrato che il sistema di riparo NER è regolato dalle proteine CRY del “core” circadiano. Le proteine CRY appartengono alla famiglia di Cryptochrome/fotoliasi. La maggior parte dei membri di questa famiglia si sono evoluti da un comune antenato CPD fotoliasi, un enzima coinvolto nella rimozione dei dimeri di ciclo butano-pirimidina indotti dai raggi UV a livello del DNA (Kanai et al., 1997). Una comune origine evolutiva suggerisce un’interazione funzionale tra l’orologio circadiano ed i sistemi di riparo. Infatti, le CPD-fotoliasi regolano l’attività del complesso CLOCK/BMAL1 nelle piante in maniera simile alle proteine CRY nei mammiferi e sono capaci di compensare la deficienza di CRY ristabilendo l’oscillazione dei geni circadiani nelle cellule in coltura e nel fegato (Chaves et al., 2011). Al contrario nei mammiferi le proteine CRY non possiedono un’attività fotoliasica, e la rimozione dei nucleotidi danneggiati dipende esclusivamente dal sistema NER (Nucleotide Excision Repair). E’ stato dimostrato nel topo che l’attività di rimozione del danno mediata dal sistema NER oscilla nell’arco delle 24 ore a livello cerebrale ed epatico (Kang et al., 2009; 2010) con un picco durante la fase di luce. Tale risultato potrebbe essere legato ad un meccanismo di adattamento all’esposizione agli UV della luce solare. Nel cervello, l’attività di NER coincide con l’oscillazione giornaliera dei livelli di ROS derivanti dall’attività metabolica cerebrale (Kondratova et al. 2010). Questa evidenza è in linea con il fatto che entrambe le lesioni ossidative a carico del DNA (8oxoG e timina-glicole) indotte dagli UV e dai ROS, sono rimosse dal sistema NER. L’orologio circadiano regola anche la rimozione mediata dal sistema NER degli addotti causati dal trattamento con il chemioterapico cisplatino (cisplatino-d(GpG) e cisplatino(GpXpG)) ampiamente utilizzato nel trattamento di vari tipi tumori (es.sarcoma, tumore 48 polmonare ed ovarico, linfoma) (Kelland, 2007). L’attività del sistema NER appare essere costante nel testicolo, a livello del quale è assente anche un’oscillazione circadiana evidente ed è costitutivamente alta nel fegato di topi silenziati per Cry. Tale risultato indica che il sistema di riparo è attivato dalla distruzione dell’orologio circadiano suggerendo che l’attività del sistema NER è downregolata in certi momenti del giorno in maniera dipendente dal sistema di regolazione circadiano. Nei mammiferi il sistema NER è costituito da 6 fattori: XPA, XPC, XPF, XPG, RPA, e TFIIH. E’ stato ben documentato che l’attività del sistema NER correla con l’oscillazione dei livelli della proteina xeroderma pigmentosum A (XPA) a dimostrazione del fatto che XPA è responsabile della fluttuazione circadiana dell’attività di riparo. La sincronizzazione temporale tra il picco dell’mRNA di Xpa e la massima attività del complesso CLOCK/BMAL1 suggerisce una regolazione diretta del gene Xpa da parte del complesso circadiano. In accordo con tale risultato, l’espressione del trascritto Xpa è costitutivamente alto nei tessuti dei topi silenziati per Cry e non mostra oscillazione a livello testicolare. Nel complesso da tali studi si evince che l’orologio circadiano regola il riparo dei nucleotidi danneggiati mediante escissione in diversi tessuti, attraverso il controllo dell’espressione del gene Xpa in maniera dipendente dal complesso CLOCK/BMAL1 (Kang et al., 2010). La regolazione circadiana del sistema NER è stata anche dimostrata a livello cutaneo nel modello murino. Di particolare interesse risulta l’evidenza che lo sviluppo del tumore cutaneo indotta da esposizione a carcinogeni dipende fortemente dal momento temporale dell’esposizione e correla direttamente con le oscillazioni nell’attività di riparo mediata dal sistema NER (Gaddameedhi et al., 2011). 49 Sebbene il controllo diretto del riparo di DSB da parte dell’orologio circadiano non è stato pienamente dimostrato, le evidenze relative all’interazione delle proteine circadiane PER e TIM con tale sistema di riparo ne suggerisce il potenziale coinvolgimento in questo processo. Ulteriori dimostrazioni indirette del controllo circadiano del riparo di DBS derivano dal fatto che la proteina CLOCK colocalizza con γ-H2AX, un noto marker di DBS (Cotta-Ramusino et al., 2011). Tale risultato indica un coinvolgimento della proteina CLOCK non solo nella regolazione trascrizionale dell’orologio circadiano in senso stretto, ma anche nel controllo della risposta allo stress genotossico sia attraverso la regolazione trascrizionale dei geni target che mediante meccanismi epigenetici. Le modificazioni della cromatina necessarie per il riparo di DBS sono legate all’attività intrinseca HAT della proteina CLOCK (Doi et al., 2006). Inoltre CLOCK è capace di reclutare a livello dei siti di danno del DNA altri enzimi capaci di modificare la cromatina o deputati direttamente al riparo. Un esempio è rappresentato dalla deacetilasi SIRT1 che è implicata nella regolazione della risposta allo stress (Rajendran et al., 2011). L’interazione di SIRT1 con il complesso CLOCK/BMAL1 (Nakahata et al., 2009; Ramsey et al., 2009) suggerisce che CLOCK potrebbe essere essenziale per il reclutamento di SIRT1 a livello delle lesioni del DNA. 4.2.3-Regolazione della senescenza cellulare E’ stato sperimentalmente dimostrato che la deregolazione nell’espressione di alcune proteine clock è associata al fenomeno della senescenza cellulare. A conferma di tale ipotesi, i topi Bmal1-/- sviluppano un invecchiamento precoce (Kondratov et al., 2006) caratterizzato da un fenotipo cellulare senescente a livello del tessuto epatico, 50 polmonare e della milza (Khapre et al., 2011). Probabilmente l’accumulo di cellule senescenti associato a fenotipi mutanti per i geni circadiani è associato ad una condizione di stress piuttosto che ad una vera e propria senescenza replicativa. Il fenomeno della senescenza potrebbe essere spiegato da una deficienza nelle proteine clock o dalla desincronizzazione dei processi metabolici indotta dalla deregolazione dell’orologio circadiano. Alla luce del fatto che l’induzione della senescenza mediante una condizione di stress cellulare è stato proposto come un meccanismo di soppressione tumorale (Campisi 2005), il coinvolgimento dell’orologio circadiano nell’attivazione del programma di senescenza consolida il potenziale ruolo terapeutico delle proteine clock. Tuttavia è importante sottolineare che spesso il fenotipo senescente promuove la tumorigenesi; tale dualismo della senescenza nel promuovere o reprimere lo sviluppo di tumori potrebbe spiegare il ruolo controverso delle proteine clock nella tumorigenesi. Infatti i topi con la mutazione nel gene Per2 presentavano un fenotipo tumorale caratterizzato da un decremento dell’apoptosi dipendente da p53 in seguito ad esposizione a radiazioni ionizzanti (Fu et al., 2002). Allo stesso tempo i mutanti per Clock in risposta alle radiazioni ionizzanti presentavano un invecchiamento precoce senza alcun sviluppo di tumori (Antoch et al., 2008), mentre la sottoregolazione di Cry ristabilisce un fenotipo non tumorale in topi mutanti per p53 (Ozturk et al., 2009). In funzione della specifica deregolazione indotta al livello circadiano e dei metodi utilizzati per indurre il tumore in vivo, l’esposizione ad agenti genotossici e l’attivazione del programma di senescenza cellulare possono stimolare la crescita tumorale in cellule normali ed allo stesso tempo sopprimerla nelle cellule cancerose. 51 In conclusione il coinvolgimento dell’orologio circadiano nella regolazione di importanti funzioni cellulari (es. ciclo cellulare, risposta ad agenti genotossici e tumori genesi) apre nuove prospettive sia nel trattamento che nella prevenzione dei tumori. 4.3.4 - Cronoterapia La scoperta di una regolazione di tipo circadiano di alcune fondamentali funzioni cellulari implicate nel controllo del processo cancerogenico ha permesso la nascita di un settore sicuramente tuttora in via di sviluppo rappresentato dalla cronoterapia. La cronoterapia si basa sul principio di poter identificare un tempo ottimale in cui somministrare il farmaco per poterne migliorare l’azione e diminuirne gli effetti collaterali (Ortiz-Tudelaet al., 2013). Un esempio di approccio cronoterapico è rappresentato dall’utilizzo delle statine nelle ore serali in modo da inibire in maniera più efficiente la sintesi del colesterolo ad opera dell’enzima HMG-CoA reduttasi che mostra una ritmicità circadiana con un picco nelle ore notturne. La cronoterapia rappresenta una speranza anche nella cura del cancro. Infatti è ampiamente accettato che il ciclo cellulare è controllato dall’orologio circadiano e che le cellule tumorali presentano una desincronizzazione dell’orologio molecolare (Lis et al., 2003). Sin dal 1987 Klevecz et al. hanno dimostrato che la proliferazione delle cellule del tumore ovarico rispetto a quelle sane differivano nel picco della fase S (Klecvecz et al., 1987). Tale scoperta suggerisce l’esistenza di una finestra temporale nella quale un farmaco chemioterapico è capace di uccidere le cellule tumorali più efficacemente di quelle non cancerose. Diversi studi clinici hanno confermato l’ipotesi della cronoterapia per differenti farmaci come ad esempio cisplatino, doxorubicina e ciclofosfammide (Levi et 52 al., 2007, Kobayashi et al.2002; Gorbacheva et al. 2005). L’assenza di una evidente variazione circadiana nella sensibilità ai chemioterapici osservata in topi mutanti per alcuni geni chiave dell’orologio circadiano, mette in luce chiaramente il ruolo chiave dell’orologio circadiano nella risposta allo stress genotossico indotto dai farmaci anticancro. La delezione del gene Per2 sembra essere associata ad una mancata risposta all’esposizione a radiazioni. (Fu & Lee, 2003). Tale evidenza è in linea con la dimostrazione che le radiazioni ionizzanti causano uno shift nella fase del ciclo circadiano in maniera tempo e dose dipendente (Oklejewicz et al., 2008). Perciò la modulazione dell’orologio molecolare da parte di uno stressor genotossico rappresenta un punto critico per la cronoterapia associata al trattamento di tumori in cui si fa ampio uso di agenti capaci di creare danno al DNA (Miyamoto et al., 2008). 53 5 - Obiettivo dello studio La desincronizzazione dei ritmi circadiani è stata ampiamente associata al processo tumorigenico nell’uomo. In particolare la deregolazione dei geni clock indotta dall’alterazione del ciclo sonno-veglia è una delle più recenti ipotesi che è stata avanzata per spiegare l’incrementato rischio di insorgenza di cancro nei lavoratori turnisti. Alla luce di recenti lavori che hanno evidenziato il coinvolgimento dell’orologio circadiano nella risposta al danno al DNA, il presente studio si propone l’obiettivo di investigare la regolazione della capacità di riparo del danno ossidativo al DNA nelle 24 ore in soggetti sani con regolare ciclo sonno-veglia. 54 6 - Disegno dello studio Lo studio si articola in 3 fasi: • Nella fase in vivo 12 soggetti sani sono stati studiati per 24 h. Nelle cellule linfocitarie è stata analizzata l’espressione dei principali geni clock, l’espressione dei principali geni del sistema BER e l’attività di incisione dell’enzima OGG1. Nel plasma sono stati dosati i livelli di melatonina e cortisolo. L’analisi di espressione del gene Ogg1 e dei principali geni clock è stata anche valutata in un gruppo di infermiere turniste (n=60) rispetto ad un gruppo di di controllo di infermiere giornaliere (n=56). • Nella fase ex vivo è stata valutata nel tempo la capacità di riparo nei linfociti raccolti in vivo dai 12 soggetti sani (nel punto di nadir e zenith dell’attività di OGG1) e trattati in vitro con l’agente ossidante Ro198022 al fine di studiare nei 2 tempi la cinetica di accumulo della base ossidata 8-oxoguanina. • Nella fase in vitro è stato utilizzato un modello cellulare di fibroblasti umani (HuDe) al fine di investigare l’oscillazione dei principali geni clock e del gene Ogg1 nelle 24h. L’espressione del gene Ogg1 è stata ulteriormente analizzata nella linea HuDe Bmal1-/- allo scopo di studiare potenziali alterazioni indotte dalla conseguente deregolazione dell’orologio circadiano molecolare rispetto alla linea wilde type (wt). 55 7 - Materiali & Metodi 7.1 - Arruolamento soggetti e raccolta campioni I soggetti arruolati su base volontaria nello studio dovevano essere sani, avere un’età compresa tra i 25-40 anni, sesso indifferente, etnia caucasica, aver dormito regolarmente i giorni precedenti all’analisi e non aver assunto farmaci da almeno una settimana precedente lo studio. A ciascun soggetto è stato illustrato il progetto e fatto firmare un consenso informato con il quale si dichiarava di rinunciare alla proprietà del materiale biologico. In totale 12 soggetti che rispettavano i criteri di selezione, hanno deciso di prendere parte allo studio. Il giorno dell’esperimento tutti i soggetti sono entrati in laboratorio alle ore 8:00 e vi sono rimasti per 24h. Dalle ore 8:00-24:00 è stata data loro la possibilità di bere e mangiare secondo le loro regolari abitudini e di muoversi secondo le proprie esigenze. Durante le ore di sonno (24:00-8:00) ad ogni soggetto è stata data la possibilità di dormire a luci spente su brandine appositamente allestite. La temperatura dell’ambiente di laboratorio è stata mantenuta constante intorno ai 23 °C per tutta la durata dello studio. A ciascun soggetto è stato effettuato un prelievo ematico (pari a 7 ml) ogni 4h per 24h [(8:00-12:00-16:00-20:00-24:00-04:00-8:00)]; una parte del campione ematico prelevato è stato utilizzato per la separazione del plasma e la restante parte per la separazione dei linfociti. Il rischio di una eventuale crisi lipotimica-sincopale connessa 56 al prelievo ematico è stata prevenuta effettuando il prelievo ematico dopo aver disteso i soggetti in posizione supina. 7.2 - Analisi dei livelli plasmatici di cortisolo e melatonina La componente plasmatica è stata separata dal sangue mediante centrifugazione per 10 min a 10.000 rpm e conservata a -80°C fino all’analisi. Il dosaggio del cortisolo e della melatonina nei campioni plasmatici è stato effettuato mediante Kit ELISA di tipo competitivo secondo le linee guida del produttore (DRG, USA). In breve, per quanto riguarda il dosaggio del cortisolo, un volume pari a 20µl di ciascun standard, controllo e campione è stato aggiunto ad ogni pozzetto della piastra e mescolato per 10 secondi a 200 µl di una soluzione contenente cortisolo coniugato con l’enzima perossidasi. Dopo un’incubazione pari a 60 minuti e successivi 3 lavaggi con apposito buffer (400 µl), 100 µl della soluzione di substrato (tetrametilbenzidina) sono stati aggiunti per un tempo di incubazione pari a 15 min a temperatura ambiente. La lettura spettrofotomentica finale (450nm) è stata effettuata immediatamente dopo l’aggiunta della soluzione di stop (0.5M H2SO4). Relativamente al dosaggio della melatonina, ciascun standard, controllo e campione preliminarmente estratto mediante l’utilizzo di colonnine, è stato aggiunto (50 µl) nei pozzetti della piastra ed incubato per 20h a 4°C con un ugual volume di melatonina biotinilata ed una soluzione di antisiero (anti-melatonina). Dopo 3 lavaggi con apposito buffer, 150 µl di una soluzione contenente l’enzima perossidasi coniugato con la streptavidina sono stati aggiunti a ciascun pozzetto per un periodo di incubazione pari a 2h a temperatura ambiente. Successivamente dopo 3 ulteriori lavaggi, 200 µl di 57 soluzione substrato (paranitrofenilfosfato) sono stati aggiunti e la piastra è stata sottoposta per 40 min ad agitazione (500 rpm). La lettura spettrofotometrica finale (405nm) è stata effettuata immediatamente dopo l’aggiunta della soluzione di stop (50 µl). Per entrambi gli ormoni, i valori di concentrazione sono stati ottenuti mediante apposita curva standard calcolata secondo l’equazione logistica a 4 parametri. 7.3 - Isolamento dei linfociti Il campione ematico è stato raccolto in appositi tubi contenenti l’anticoagulante EDTA. I linfociti sono stati isolati mediante uno specifico gradiente di densità (Lympholyte-H, Cedarlane Laboratories LTD, Canada) secondo le specifiche istruzioni del produttore. In breve una quantità pari a 6 ml di sangue stratificata su 3 ml di Lympholyte precedentemente aggiunto in provette sterili è stata sottoposta a centrifugazione per 30 min a 2000 rpm a temperatura ambiente. Dopo centrifugazione l’anello linfocitario raccolto mediante pipetta pasteur è stato trasferito per la fase di lavaggio in una nuova provetta sterile contenente 10 ml di PBS (GIBCO) e sottoposto a centrifugazione per 5 min a 1400 rpm. Successivamente il pellet linfocitario è stato raccolto, trasferito in una nuova eppendorf contenente 1 ml di PBS e sottoposto a centrifugazione per 5 min a 1400 rpm. Il pellet cellulare finale è stato conservato a -80 °C fino al momento dell’estrazione dell’RNA. 58 7.4 - Estrazione RNA totale, Retrotrascrizione e Real Time PCR L’RNA totale è stato estratto utilizzando il kit PerfectPure RNA Cultured Cell (5Prime, Eppendorf) secondo le istruzioni del costruttore. L’RNA è stato successivamente quantizzato allo spettrofotomero (Nanodrop 1000; Thermo Scientific) e per le successive analisi sono stati presi solo gli RNA che mostravano un rapporto A260/A280>2.0 e A260/A230>1.7. 10 µl della soluzione di RNA totale sono stati quindi retrotrascritti in cDNA utilizzando il kit HighCapacity cDNA (Applied Biosystem). Successivamente, 80 ng del cDNA prodotto sono stati usati per l’analisi di qRT-PCR (Mastercycler S, Eppendorf) in una mix composta da 10 µl di TaqMan Universal PCR Master Mix, No AmpErase UNG (Applied Biosystem) e 1 µl di primer 20X (PrimeTime qPCR Assay, IDT). Le condizioni di PCR sono state quelle suggerite dalla ditta della mix di reazione. Il gene utilizzato per la normalizzazione (housekeeping gene, HKG) è stato il GAPDH. Tutti i test sono stati eseguiti in duplicato. I valori di Ct sono stati estrapolati dal software dello strumento e normalizzati (∆Ct) rispetto al relativo HKG. I livelli relativi di espressione sono stati calcolati secondo la seguente formula: 2-∆Ct . Le variazioni di espressione rispetto al controllo sono state espresse come fold change e calcolate secondo le formule del ∆∆Ct method (Livak & Schmittgen, 2001): ∆∆Ct ═ ∆Ct(campione)- ∆Ct(controllo) Fold change ═ 2- ∆∆Ct Il fold change ═ 1 esprime nessuna variazione di espressione genica. Fold change >1 o <1 indicano valori di sovra e sotto espressione. 59 7.5 - Analisi del danno basale e del riparo del danno al DNA 7.5.1-Analisi SSBs e siti sensibili all’enzima FPG I danni al DNA, valutati come presenza di SSBs e 8-oxoG (sito sensibile all’enzima FPG) sono stati analizzati tramite Comet Assay a pH alcalino. Circa 4 x 104 linfociti isolati da ciascun soggetto sono stati sospesi in 80 µl di agarosio 1% LMP e posizionati su un vetrino da microscopio agarosato. Per ciascun campione sono stati effettuati due gel. Le cellule sono state lisate in una soluzione di lisi (2.5 M NaCl, 0.1 M Na2EDTA, 10 mM Tris-HCL, pH 10, 1% Triton X-100) per 1h a 4°C. Immediatamente dopo la lisi, i vetrini sono stati lavati (3 volte) per 5’ con un tampone (40mM HEPES, 0.1M KCL, 0.5 mM EDTA, 0.2mg/ml BSA pH 8) e poi incubate per 30’ con un enzima di riparo specifico per le purine ossidate (+FPG) e con il tampone tal quale per l’individuazione dei SSBs. Successivamente, i vetrini sono stati immersi in una soluzione alcalina (0.3 M NaOH, 1 mM Na2EDTA) per 40’ a 4°C e sottoposti a separazione elettroforetica a 0.8 V/cm per 30’. Dopo la neutralizzazione, i vetrini sono stati colorati con il colorante DAPI e osservati al microscopio a fluorescenza. Se un nucleo non presentava danni appariva al microscopio come una struttura rotonda e omogenea; in presenza di danni, invece, i frammenti di DNA migravano verso l'anodo formando in questa direzione una struttura allungata e disomogenea, come la coda di una cometa. Per il calcolo dei risultati, l’estensione della migrazione del DNA è stata valutata assegnando le comete a 5 categorie (0-4) in ordine crescente di estensione. La classificazione è stata effettuata sulla base della lunghezza della cometa secondo il 60 metodo descritto da Collins (Collins et al., 1993). Per ogni vetrino, sono state contate 100 comete. Ogni campione è stato analizzato in doppio ed il numero di SSBs e basi ossidate (dopo sottrazione del valore relativo ai SSBs) sono stati espressi come unità arbitrarie (UA). 7.5.2 - Attività di incisione dell’enzima OGG1 L’attività di riparo delle basi puriniche ossidate è stata saggiata utilizzando una versione modificata del Comet Assay alcalino (Collins et al., 2001). Con questo metodo viene misurata l’attività di un estratto cellulare di riconoscere ed incidere una lesione su un substrato di DNA indotta dalla luce visibile in presenza di un agente ossidante (Ro198022, specifico per l’ossidazione delle purine). Il metodo consiste, quindi, nell’incubazione dell’estratto cellulare con il substrato di DNA contenente la lesione specifica (Figura 5) e successiva osservazione microscopica delle comete. Il punteggio totale è direttamente proporzionale alla capacità di incisione dell’estratto. A tale scopo sono stati effettuati esperimenti preliminari al fine di standardizzare il metodo ed individuare le condizioni ottimali per le nostre esigenze sperimentali relativamente al tempo di incubazione dell’estratto con il substrato ossidato e la concentrazione proteica dell’estratto da utilizzare. Preparazione dell’estratto cellulare: i linfociti isolati sono stati risospesi in 50 µl del buffer di estrazione A (45 mM HEPES, 0.4 M KCl, 1mM EDTA, 0.1 mM DTT 10% glicerolo pH 7.8) e conservati a -80°C fino al momento dell’analisi. Il giorno dell’esperimento, il pellet risospeso è stato supplementato con 12 µl del buffer A contenente l’1% di Triton-X. Il lisato è stato poi centrifugato 5’ max rpm per rimuovere i detriti cellulari. 61 Le proteine presenti nell’estratto sono state quantizzate tramite spettrofotometro (Sunrise, Tecan) utilizzando il Bredford Reagent (Sigma). La concentrazione proteica finale di interesse è stata ottenuta diluendo il surnatante con il buffer B (45 mM HEPES, 0.25 mM EDTA, 2% glicerolo, 0.3 mg/ml BSA ph 7.8). Preparazione del substrato: La linea cellulare T linfoblastoide (cellule Jurkat) è stata scelta per la preparazione del substrato. Le cellule sono state seminate in una piastra da 6 wells (5 x 104cell/ciascun campione da analizzare) e lasciate tutta la notte. Il giorno successivo, il terreno è stato eliminato, le cellule sono state lavate per 2 volte con PBSG freddo (PBS 0.1 % glucosio, 0.01% CaCl2, 0.01%MgCl2, pH7.4) ed incubate con 0.1 µM Ro19-8022. Le cellule sono state irradiate per 5’ in ghiaccio ad una distanza di 330 mm con una lampada alogeno tungsteno di 1000 Watt per attivare la sostanza fotosensibilizzante Ro198022. Le cellule sono state successivamente lavate per 2 volte con PBS-G, e risospese in 80 µl di agarosio LMP 1%. Nell’analisi ciascun campione è stato analizzato in doppio, ed è stato incluso anche un controllo positivo (per verificare l’attivazione del Ro19-8022) ed un controllo negativo (per il dosaggio dei SSBs basali della cellula). I vetrini sono stati lasciati soldificare per 5’ a 4°C e successivamente immersi nella soluzione di lisi (2.5 M NaCl, 0.1 M Na2EDTA, 10 mM Tris-HCl, 1% Triton X-100) 1h a 4°C. Al termine della lisi, i vetrini sono stati lavati per 3 volte 5’ ciascuno con il buffer B (45 mM HEPES, 0.25 mM EDTA, 2% glicerolo, 0.3 mg/ml BSA ph 7.8). Il vetrino di controllo positivo e quello negativo sono stati incubati per 30’ rispettivamente con l’FPG e con buffer B, mentre gli altri vetrini sono stati incubati per diversi tempi (0, 15, 30, 45, 60 min) a 37°C con 50 µl contenenti diverse concentrazioni (0, 25, 50, 75 e 100µg) dell’estratto precedentemente preparato. 62 I vetrini sono stati poi immersi in una soluzione alcalina (0.3 M NaOH, 1 mM Na2EDTA) per 40 min a 4°C e sottoposti a separazione elettroforetica a 0.8 V/cm per 30 min. Dopo la neutralizzazione, i vetrini sono stati colorati col DAPI e osservati al microscopio a fluorescenza. Per ciascun gel, sono state scelte casualmente 100 comete a vetrino a cui è stato assegnato un punteggio dallo 0 al 4 (danno massimo) in modo da identificare uno score tra 0 e 400 unità arbitrarie (UA). L’attività di incisione finale dell’estratto è stata calcolata sottraendo a ciascun estratto il valore relativo ai SSBs basali. Il risultato finale è stato espresso in unità arbitrarie/µg di proteina. Standardizzazione del metodo sperimentale: Il substrato cellulare appositamente ossidato è stato incubato per diversi tempi (0, 15, 30, 45, 60 min) a 37°C con 50 µl di estratto linfocitario contenenti diverse concentrazioni (0, 25, 50, 75 e 100µg) proteiche. In funzione dei risultati in figura 6, le condizioni ottimali relative al tempo di incubazione e alla concentrazione proteica dell’estratto sono risultate rispettivamente di 45 minuti e 50 µg. La specificità relativa alla capacità dell’agente fotosensibilizzante Ro198022 di indurre la formazione della 8-oxoG e dell’estratto cellulare di incidere tale base modificata è stata testata incubando il substrato di DNA non ossidato con il buffer (privo di nucleasi), l’enzima FPG e con l’estratto cellulare ed il substrato ossidato con il buffer, l’enzima FPG, ENDOIII e con l’estratto cellulare. I risultati in Figura 7 dimostrano chiaramente che il substrato di DNA non ossidato presenta bassi livelli di SSBs e purine ossidate che si riflettono in una scarsa attività di riconoscimento ed incisione dell’estratto. In presenza di substrato ossidato (+ Ro198022), l’attività di taglio della 8oxoG da parte dell’enzima FPG e dell’estratto cellulare è maggiore a dimostrazione della specificità di induzione del danno da parte dell’agente Ro198022 e di 63 riconoscimento ed incisione da parte dell’estratto. Inoltre il trattamento con l’agente Ro198022 determina la formazione di un numero trascurabile di SSBs e pirimidine ossidate (+ENDO III) rispetto ai livelli della base 8-oxoG. L’analisi definitiva dell’attività di incisione dell’enzima OGG1 nei soggetti che hanno preso parte allo studio è stata quindi effettuata considerando le condizioni sperimentali suddette relativamente al tempo di incubazione ed alla concentrazione proteica dell’estratto cellulare. Figura 5: Saggio in vitro dell’attività di incisione dell’enzima di riparo OGG1 descritto nel 2001 da Collins et al. 64 Figura 6: a) Cinetica dell’attività di incisione dell’enzima OGG1 in estratti cellulari nei tempi 0min, 15min, 30min, 45min e 60min. I risultati sono stati espressi come UA/ µg proteina. b) Attività di incisione dell’enzima OGG1 negli estratti cellulari contenenti 0 µg, 25 µg, 50 µg,75 µg e 100 µg di proteina totale. I risultati sono stati espressi come UA. a) b) Figura 7: Livelli di SSBs (+Buffer), purine e pirimidine ossidate (+ enzima FPG, ENDOIII) ed attività di incisione dell’ estratto linfocitario (media ± DS) su substrati di DNA con e senza trattamento Ro198022. I risultati sono stati espressi come UA/µg proteina. 65 7.5.3 - Cinetica di espressione del gene Ogg1 e di riparo del danno al DNA indotto da stimolo ossidativo I linfociti isolati (1 x 106) sono stati risospesi in 2 ml di PBS-G in piastre petri con diametro di 35mm con l’agente fotosensibilizzante Ro198022 alla concentrazione finale di 100nM. I campioni sono stati irradiati in ghiaccio con una lampada alogena 1000W per 5 min ad una distanza di 33 cm. Successivamente i linfociti sono stati lavati in PBS-G e incubati a 37°C-5% CO2 in terreno RPMI 1640 per 3h. A intervalli regolari (0min, 30min, 60min, 120min e 180min) un’aliquota dei campioni (circa 3 x 104 linfociti) è stata raccolta, contata ed analizzata in Comet asssay alcalino. I risultati sono stati espressi come percentuale di danno residuo rispetto al 100% di danno corrispondente al tempo 0 mediante la seguente formula: % danno reiduo=[( Tn − Tbasale/T0 − Tbasale)]× 100. La parte restante dei campioni per ogni tempo è stata raccolta per l’estrazione dell’RNA e successiva analisi di espressione genica in Real Time PCR. I livelli di mRNA (2-ΔCt) sono stati espressi come livelli relativi rapportati in % rispetto al valore corrispondente al tempo 0 (normalizzato al 100%). 66 7.6- Colture cellulari e trasfezione La linea cellulare scelta è una linea umana di fibroblasti cutanei (HuDe) ottenuta dall’American Tissue-Cell Collection (ATCC). Le cellule sono state coltivate a 37°C-5% CO2 in terreno DMEM (GIBCO) supplementato con siero fetale bovino (10%) e con antibiotici streptomicina-penicillina (1%). Per ottenere una linea cellulare di HuDe stabilmente silenziata per il gene Bmal1, 0.2 × 106 cellule sono state trasfettate con 1 µg del plasmide hRNA pRS per Bmal1 o con 1 µg del plasmide pRS vuoto (OriGene) usando il reagente trasfettante TransIT-LT1 (Mirus). Entrambi i plasmidi recavano il gene per la resistenza all’antibiotico Puromicina. La selezione dei cloni silenziati è stata effettuata aggiungendo al terreno di coltura una concentrazione di Puromicina pari a 1 µg/ml dopo 48h dalla trasfezione. I cloni resistenti alla Puromicina sono stati isolati, espansi ed analizzati per i livelli proteici di BMAL1. I cloni selezionati sono stati mantenuti in terreni di coltura contenenti 1 µg/ml di puromicina. 7.7 - Western Blotting Le cellule sono state lisate nel RIPA buffer (150 mm NaCl, 50 mm Tris-HCl (pH 7.2), 1 mm EDTA (pH 8), 1% Nonidet P-40, 0.1% SDS, 0.5% sodium deossicolato) supplementato con un mix di inibitori delle proteasi (2 µg/ml aprotinina, 2 µg/ml leupeptina, 1 mm fenilmethilsulfonil fluoruro, 2 µg/ml pepstatina, 2 µg/ml sodio orto vanadato) e conservate a −80 °C fino all’analisi. I livelli proteici nel lisato sono stati quantificati mediante saggio Bradford (Sigma). Per ogni campione, una quantità pari a 80 µg di proteina è stata sottoposta a separazione mediane corsa elettroforetica (80V, max AmP,) in un gel SDS-PAGE al 12.5% e successivamente trasferiti in una 67 membrana di nitrocellulosa (Protran). Dopo la fase di bloccaggio di 1h con una soluzione di PBS-Tween al 5% di latte, le membrane sono state incubate con l’anticorpo anti-BMAL1 IgG (Origene), anti-OGG1 IgG (Origene), e anti-β-ACTINA (Bethyl) a 4 °C per un’intera notte. Dopo 3 lavaggi con PBS-T, le membrane sono state incubate con l’anticorpo secondario coniugato con la perossidasi di rafano (HRP) per 2h a temperatura ambiente. L’analisi finale delle bande proteiche è stata effettuata usando il sistema di rilevazione ECL (Pierce) mediante lo strumento ChemiDoc (Bio-Rad) che permette la visualizzazione delle bande in chemiluminescenza. L’analisi densitometrica delle bande è stata valutata usando il software Quantity One (Bio-rad). 7.8- Analisi statistica L'analisi statistica dei risultati è stata effettuata mediante software Statistical Package Social Sciences (SPSS. versione 19) (SPSS Inc.USA). La distribuzione normale delle variabili prese in esame è stata valutata mediante il test di KolmogorovSmirnov. Tutte le variabili continue sono state espresse come media ± deviazione standard (DS). Le differenze tra le medie dei risultati di due gruppi indipendenti sono state valutate mediante test di Student nel caso di variabili con distribuzione normale e con Test Mann-Whitney nel caso di variabili non parametriche. La correlazione tra le variabili continue è stata valutata mediante correlazione di Pearson. L’analisi delle variabili in funzione del tempo è stata effettuata mediante ANOVA misure ripetute ad una via. Il confronto tra due condizioni distinte (mattina e sera) di misure ripetute nel tempo è stata effettuato mediante ANOVA misure ripetute a 2 vie. L’assunzione della sfericità è stata verificata mediante test di Mauchly e l’analisi LSD è stata effettuata 68 come post-hoc. La ritmicità circadiana ed i parametri relativi all’ampiezza, mesor, acrofase e robustezza dell’oscillazione è stata valutata mediante analisi Cosinor. Nell’analisi sono stati utilizzati esclusivamente test statistici a due code ed i risultati sono stati considerati significativi per valori di p<0.05. Allo scopo di calcolare il numero di soggetti da arruolare per ottenere una potenza statistica pari a 0.80 ed un errore della stima di 0.05 è stata effettuata un’analisi a posteriori mediante il software G*Power3. L’analisi relativa alle misure ripetute è stata effettuata considerando la famiglia dei “test F” ed il test statistico “ANOVA: Repeated measures, within factors”. In funzione di un “effect size” grande (0.60) (calcolato a partire dal valore η2 parziale per ciascuna variabile in esame relativo ai risultati ottenuti), per avere una potenza statistica di 0.80 ed un errore della stima di 0.05 è sufficiente il campionamento di almeno 10 soggetti. 69 8 - Risultati 8.1 – Caratteristiche demografiche dei partecipanti L’età media (±DS) dei 12 soggetti che hanno preso parte allo studio era pari a 32.4±4.27. La percentuale dei partecipanti di sesso maschile e femminile era rispettivamente di 40 e 60%. 8.2 – Livelli plasmatici di melatonina e cortisolo Per escludere una possibile compromissione dei ritmi fisiologici giornalieri nei partecipanti allo studio, i livelli plasmatici di melatonina e cortisolo sono stati analizzati nel gruppo dei 12 soggetti volontari ad intervalli di 4h per un periodo complessivo di 24h. In linea con precedenti studi (Marchenay et al., 2001, Kusangi et al., 2008), i livelli plasmatici di melatonina presentavano un picco nelle ore notturne, mentre quelli di cortisolo nelle ore diurne. In particolare, la concentrazione plasmatica media nelle 24h (±DS) era 11.9±16.6 pg/ml per la melatonina e 78.1 ±60.6 ng/ml per il cortisolo nel gruppo di studio. Una significativa variazione nelle 24h è stata dimostrata sia per la melatonina (p<0.05) che per il cortisolo plasmatico (p<0.001) mediante analisi ANOVA misure ripetute. Dall’analisi post hoc LSD i livelli ormonali risultavano statisticamente differenti nei rispettivi punti di nadir (massimo) e zenith (minimo) (p<0.05). Come mostrato in Figura 8, la concentrazione media della melatonina plasmatica presentava un minimo alle ore 16:00 (3.1±1.6) ed un massimo alle 04:00 (48.4±15.0). La concentrazione media del cortisolo plasmatico era minima alle 08:00 (185.6±54.0) e raggiungeva un massimo alle 20:00 (21.8±19.7). Tra i soggetti analizzati, il fold change 70 relativo alla variazione individuale dei livelli ormonali nelle 24h era pari a 7.5 (valore minimo: 37.5 ng/ml - valore massimo:112.5 ng/ml) per la melatonina e 3.0 (valore minimo: 3.9 pg/ml - valore massimo: 29.1 pg/ml) per il cortisolo. I risultati ottenuti con l’analisi Cosinor hanno confermato una significativa oscillazione circadiana per entrambi i livelli ormonali studiati (p<0.05). In particolare l’oscillazione relativa ai livelli di melatonina e cortisolo presentava rispettivamente l’acrofase alle ore 03:50 ±00:45 e 7:12±1:45 (Figura 9). Figura 8: Livelli di melatonina e cortisolo plasmatici (media±DS) analizzati in 12 soggetti nelle 24h. La regione bianca della barra in basso indica le ore diurne, mentre quella nera indica le ore notturne (*p<0.05 vs 08:00, ANOVA misure ripetute post hoc LSD). 71 Figura 9: Valori di acrofase (media ± DS) dei livelli ormonali, espressione dei geni clock e Ogg1. La regione grigia e quella bianca indicano rispettivamente le ore notturne e quelle diurne. 8.3 – Profilo di espressione dei geni clock Per ogni soggetto partecipante allo studio è stato caratterizzato l’orologio molecolare circadiano mediante l’analisi nei linfociti dei livelli di espressione di 8 geni clock, Clock, Bmal1, Per1, Per2, Per3, Cry1, Cry2 e Rev-Erbα in RT-PCR ad intervalli di 4h nell’arco delle 24h. Ad eccezione del gene Clock, tutti i geni circadiani analizzati presentavano una variazione significativa nelle 24h nei soggetti presi in esame (ANOVA misure ripetute, p<0.05). In linea con evidenze presenti in letteratura (Kusangi et al., 2008; Watanabe et al., 2012), il gene Bmal1, attivatore del core circadiano, mostrava un profilo di espressione in antifase con quello dei repressori della famiglia Per e Cry ed in fase con 72 quello del gene target Rev-erbα. Nello specifico i geni Bmal1 e Rev-erbα presentavano un aumento graduale dei livelli di espressione con una differenza significativa tra il nadir alle ore 20:00 e il valore di zenith alle ore 08:00-12:00; i geni della famiglia Per e Cry mostravano un profilo di espressione caratterizzato da una progressiva diminuzione dal punto di nadir delle ore 08.00 a quello di zenith delle ore 20.00 (ANOVA misure ripetute, post hoc LSD) (Figura 10). La corretta sincronizzazione dell’orologio molecolare circadiano è stata ulteriormente confermata dalla significativa correlazione reciproca tra i livelli di espressione di tutti i geni clock nel gruppo dei partecipanti (Tabella 1). L’analisi di correlazione ha inoltre dimostrato una significativa associazione tra i ritmi fisiologici del cortisolo e l’espressione dei geni clock nelle 24h (Tabella 1). L’analisi Cosinor ha confermato i risultati ottenuti mediante analisi ANOVA, evidenziando una significativa oscillazione circadiana per tutti i geni analizzati ad esclusione del gene Clock (p<0.05). La tabella 2 mostra i risultati dei valori di mesor, ampiezza e robustezza relativi all’oscillazione dei singoli geni clock la cui variazione circadiana è risultata significativa all’analisi Cosinor. L’oscillazione genica mostra una robustezza minima (70%) per il gene Bmal1 e massima (89%) per il gene Cry2; l’ampiezza ed il mesor mostrano valori minimi per il gene Per3 e massimi per il gene Cry2. I risultati dell’analisi Cosinor relativamente ai valori di acrofase sono stati riassunti nella figura 9. Il gene Bmal1 presentava un picco nelle ore serali (22:00±01:24), il gene Rev-Erbα in quelle notturne (04:00±01:51) mentre i geni Per1 (07:23±02:15), Per2 (08:28±1:46), Per3 (07:40±0:34), Cry1 (08:08±02:33) e Cry2 (08:19±00:48) raggiungevano il picco di espressione durante le ore mattutine. 73 Table 1: Correlazione di Pearson tra l’espressione dei geni clock ed i livelli ormonali in tutti i soggetti. (*p<0.05) Geni Clock CLOCK BMAL1 PER1 PER2 PER3 Melatonina Cortisolo CRY1 CRY2 REVERBα Geni Clock CLOCK 1 -0.28 0.38 0.49 0.36 0.34 0.36 -0.15 -0.65 0.59 BMAL1 -0.28 1 -0.32 -0.59 -0.47 -0.64 -0.67 0.86* 0.02 -0.52 PER1 0.38 -0.32 1 0.92* 0.86* 0.83* 0.86* -0.52 0.13 0.94* PER2 0.49 -0.59 0.92* 1 0.87* 0.92* 0.91* -0.71 -0.05 0.96* PER3 0.36 -0.47 0.86* 0.87* 1 0.95* 0.70* -0.46 0.32 0.80* CRY1 0.34 -0.64 0.83* 0.92* 0.95* 1 0.80* -0.62 0.25 0.82* CRY2 0.36 -0.67 0.86* 0.91* 0.70* 0.80* 1 -0.80* 0.05 0.93* REVERBα -0.15 0.86* -0.52 -0.71 -0.46 -0.62 -0.80* 1 0.09 -0.65 Melatonina -0.65 0.02 0.13 -0.05 0.32 0.25 0.05 0.09 1 -0.13 Cortisolo 0.59 -0.52* 0.94* 0.96* 0.80* 0.82* 0.93* -0.65 -0.128 1 74 Tabella 2. Risultati dell’analisi Cosinor dei geni clock; (N.V.=Non valutabile) GENI CLOCK MESOR AMPIEZZA ROBUSTEZZA p CLOCK N.V. N.V. N.V. >0.05 BMAL1 9.8±1.8 PER1 2.6±0.5 3.6±1.5 1.6.6±0.6 70.0±15.5 75.7±3.6 <0.05 <0.05 PER2 8.1±2.4 5.0±4.6 75.9±11.2 <0.05 PER3 1.6±0.6 0.7±0.2 82.2±11.0 <0.05 CRY1 7.9±2.5 2.1±1.0 87.0±14.0 <0.05 CRY2 17.0±2.4 5.3±1.2 89.2±4.4 <0.05 REVERBα 12.6±3.8 5.0±2.7 89.0±6.4 <0.05 75 Figura 10: Livelli di espressione dei geni clock (media±DS) analizzati in 12 soggetti nelle 24h. La regione bianca della barra in basso indica le ore diurne, mentre quella nera indica le ore notturne (*p<0.05 ore 20:00 vs ore 08:00, ANOVA misure ripetute, post hoc LSD). 76 8.4 – Profilo di espressione del sistema BER Allo scopo di studiare la regolazione del sistema di riparo del danno ossidativo al DNA, l’espressione dei principali geni facenti parte del suddetto sistema è stata valutata nei linfociti dei 12 soggetti ad intervalli di 4h per un periodo complessivo di 24h. Sono stati presi in esame i seguenti geni: Ogg1, Apex1, Xrcc1 e Parp1. Ad eccezione del gene Ogg1, i geni analizzati non presentavano una variazione significativa nelle 24h (ANOVA misure ripetute, p>0.05) (Figura 11). Il gene Ogg1 mostrava una variazione nei livelli di espressione nelle 24h con valori significativamente differenti nei punti di nadir ore 08:00 e zenith ore 20:00 (ANOVA misure ripetute, post hoc LSD, p<0.05). L’espressione del gene Ogg1 correlava in maniera positiva con i geni della famiglia Per e Cry e negativamente con il gene Bmal1 e Rev-Erbα (p<0.05) (Figura 12). I risultati dell’analisi di Pearson hanno inoltre evidenziato una correlazione positiva tra l’espressione del gene Ogg1 ed i livelli plasmatici relativi di cortisolo (p<0.05). L’analisi Cosinor ha confermato i risultati ottenuti mediante analisi ANOVA; l’oscillazione circadiana del gene Ogg1 (p<0.05) presentava un’acrofase alle ore 7:45±2:00 (Figura 9), un mesor pari a 31.5±5.7 ed un’ampiezza di 13.5±6.7. 77 Figura 11: Livelli di espressione dei geni del sistema BER (media±DS) analizzati ad intervalli temporali di 4h in un periodo complessivo di 24h nei linfociti di 12 soggetti volontari. La regione bianca della barra in basso indica le ore diurne, mentre quella nera indica le ore notturne (*p<0.05 vs 08:00, ANOVA misure ripetute post hoc LSD). 78 Figura 12: Analisi di correlazione di Pearson tra i livelli di espressione del gene Ogg1 ed i geni clock (*p<0.05). 79 8.5 - Livelli di attività di incisione dell’enzima OGG1 nelle 24h L’attività di incisione dell’enzima OGG1 è stata valutata nei linfociti dei 12 soggetti ad intervalli di 4h per un periodo complessivo di 24h. L’attività del’enzima OGG1 mostrava una variazione nelle 24h caratterizzata da una graduale diminuzione dalle ore 08:00 (nadir) alle ore 20:00 (zenith) (ANOVA misure ripetute, post hoc LSD, p<0.05) (Figura 13) in linea con i risultati relativi all’espressione genica. L’analisi di Pearson ha evidenziato una significativa correlazione tra i livelli di espressione e di attività dell’enzima OGG1 nel gruppo dei partecipanti (Figura 14). L’analisi Cosinor ha confermato i risultati ottenuti mediante analisi ANOVA, evidenziando una significativa curva di oscillazione circadiana dell’attività di incisione dell’enzima OGG1 (p<0.05) con valori di acrofase alle ore 8:05±1:50, mesor pari a 3.7±0.7 ed un’ampiezza di 1.3±0.3. 8.6 - Livelli proteici dell’enzima OGG1 Nei punti di nadir (ore 08:00) e zenith (ore 20:00) della curva di oscillazione relativa all’espressione genica ed all’attività enzimatica sono stati valutati i livelli della proteina OGG1 mediante Western Blot. L’analisi densitometrica ha evidenziato valori significativamente più bassi alle ore 20:00 rispetto alle ore 08:00 nei 12 soggetti analizzati (Test Student per campioni appaiati, p<0.05) (Figura 15). I livelli di espressione, proteina e attività di OGG1 nelle 24 h sono stati riassunti nella figura 16. I risultati sono stati espressi come valori relativi rapportando in percentuale ciascun valore della curva al punto iniziale delle ore 08:00. Dal grafico è possibile notare in corrispondenza del punto di zenith delle ore 20.00 una riduzione complessiva 80 tra il 30 ed il 47 % relativa all’espressione genica e proteica ed all’attività dell’enzima OGG1 rispetto al punto di nadir delle ore 08:00. Figura 13: Livelli di attività di incisione dell’enzima OGG1 (media±DS) analizzati ad intervalli temporali di 4h in un periodo complessivo di 24h nei linfociti di 12 soggetti volontari. La regione bianca della barra in basso indica le ore diurne, mentre quella nera indica le ore notturne (*p<0.05 ore 20:00 vs ore 08:00, ANOVA misure ripetute, post hoc LSD). 81 Figura 14: Analisi di correlazione di Pearson tra espressione genica ed attività dell’enzima OGG1 in tutti i soggetti.*p<0.05. Figura 15: Livelli proteici dell’enzima OGG1 alle ore 08:00 e 20:00. I risultati sono espressi come livelli relativi rapportando in percentuale il valore delle ore 20:00 al valore delle ore 08:00 (*p<0.05 0re 20:00 vs ore 08:00, Test di Student). 82 Figura 16: Livelli di espressione genica e dell’attività di incisione dell’enzima OGG1 nelle 24h. Nel riquadro in alto a sinistra sono presentati i livelli proteici di OGG1 alle ore 08:00 e 20:00. I risultati sono espressi come livelli relativi rapportando in percentuale ciascun valore al punto iniziale delle ore 08:00. (*p<0.05 ore 20:00 vs ore 08:00, ANOVA misure ripetute, post hoc LSD) 83 8.7 - Livelli basali di SSBs e siti sensibili FPG I livelli basali di SSBs e dei siti sensibili all’enzima FPG sono stati valutati nei punti di nadir (ore 08.00) e zenith (ore 20.00) della curva di attività di OGG1 mediante Comet assay alcalino. I siti sensibili all’enzima FPG (purine ossidate) erano presenti in misura maggiore nel punto serale di zenith dell’attività dell’enzima OGG1 rispetto al punto di nadir mattutino (Test Student per campioni appaiati, p<0.05). Nessuna differenza è stata invece trovata nei livelli di SSBs tra i due momenti della giornata presi in considerazione (Test Student per campioni appaiati, p>0.05) (Figura 17). Figura 17: Livelli basali di SSBs e siti sensibili FPG (media ± DS dei) nei linfociti alle ore 08:00 ed alle ore 20:00 nei 12 soggetti (*p<0.05 ore 20:00 vs ore 08:00, test Student per campioni appaiati). 84 8.8 - Cinetica di riparo di SSBs e dei siti sensibili FPG Nei punti corrispondenti al nadir (ore 08:00) e zenith (ore 20:00) della curva di attività dell’enzima OGG1, da ciascun soggetto è stato raccolto un campione di linfociti per analizzare la cinetica di riparo nel tempo di un danno ossidativo (SSBs e siti FPG) indotto in vitro con l’agente ossidante Ro198022. I risultati (UA) rappresentati in figura 18 sono stati espressi come danno residuo percentuale rispetto al danno iniziale normalizzato al 100%. L’analisi ANOVA misure ripetute a due vie ha dimostrato una significativa interazione (p<0.05) tra le due condizioni in esame [(condizione 1: Mattina vs Sera), (Condizione 2: tempo 0min, 30min, 60min, 120min e 180min)] evidenziando quindi una differenza significativa nei livelli di danno residuo nei tempi successivi al tempo iniziale 0 tra i due momenti della giornata studiati. In particolare prendendo in esame i singoli tempi (30min, 60min, 120min e 180min) nelle due cinetiche (ore 08.00 vs ore 20.00), l’attività di riparo risulta più lenta nelle ore serali rispetto a quelle mattutine (Test di Student per campioni appaiati, p<0.05). Tale differenza nella capacità di riparo si traduce dopo 3h in un danno residuo alle ore 20:00 pari al 29% in più rispetto alle ore 08:00. 85 Figura 18: Cinetica di riparo dei SSBs e dei siti sensibili FPG nei linfociti raccolti alle ore 08:00 e 20:00 nei tempi 0min, 30min, 60min, 120min e 180min successivi all’induzione del danno mediante trattamento con Ro198022. I risultati (UA) sono espressi come danno residuo percentuale rispetto al danno relativo al tempo 0 normalizzato al 100% (*p<0.05 ore 20:00 vs ore 08:00) 86 8.9 - Livelli di espressione del gene Ogg1 nella cinetica di riparo dei siti FPG L’espressione del gene Ogg1 è stata valutata mediante Real Time PCR nei tempi 0min, 30min, 60min, 120min e 180min successivi al danno ossidativo indotto con l’agente Ro198022 in vitro. I livelli di mRNA (2-ΔCt) sono stati rappresentati nella figura 19 come livelli relativi rapportati in % rispetto al valore corrispondente al tempo 0 (normalizzato al 100%). Dal confronto delle figure 18 e 19 si evince chiaramente che sia durante le ore mattutine che in quelle serali, l’attività di riparo del danno ossidativo non è supportata da una concomitante espressione del gene Ogg1 deputato al sistema di riparo BER. In particolare non c’è nessuna differenza significativa tra la le due cinetiche analizzate alle ore 08:00 e alle ore 20:00 (ANOVA misure ripetute a due vie, p>0.05) mentre è evidente per ciascuna cinetica una significativa riduzione nei livelli di espressione del gene Ogg1 in maniera graduale durante le 3 h successive all’induzione del danno ossidativo (Figura 19) (ANOVA misure ripetute a due vie, p<0.05). 87 Figura 19: Livelli di espressione del gene Ogg1 (media±DS) nei tempi 0min, 30min, 60min, 120min e 180min successivi al trattamento con Ro198022. I risultati sono espressi come livelli relativi rapportando in percentuale ciascun valore al tempo 0. 8.10 - Livelli di espressione del gene Ogg1 in lavoratori a turni Uno studio pubblicato recentemente dal nostro grppo di ricerca (Bracci et al., 2014) ha evidenziato una significativa deregolazione dei principali geni clock in un gruppo di infermiere turniste (n=60) impegnate nel primo giorno della rotazione lavorativa, rispetto ad un gruppo di infermiere giornaliere di controllo (n=56) (Figura 20). 88 Gli effetti della desincronizzazione circadiana sul processo biologico di riparo del danno ossidativo al DNA sono stati studiati nei suddetti lavoratori mediante l’analisi dei livelli di espressione del gene Ogg1. I risultati in figura 20 mostrano una significativa sottoespressione del gene Ogg1 (Fold change=0.2) nei lavoratori turnisti rispetto al gruppo di controllo (Test Mann Whytney, p<0.05). Figura 20: Livelli di espressione dei geni clock e del gene Ogg1 in 60 infermiere turniste e 56 infermiere giornaliere. I risultati sono espressi come valori di fold change della media dei valori del gruppo delle turniste rispetto alla media dei valori del gruppo di controllo delle infermiere giornaliere (*p<0.05). 89 8.11- Profilo di espressione dei geni clock e Ogg1 nella linea cellulare HuDe wt e Bmal1-/L’espressione dei geni clock è stata ampiamente documentata in diverse linee cellulari in vitro. Tuttavia in tali condizioni l’oscillazione genica è assente a causa della mancanza di stimoli notoriamente riconosciuti come sincronizzatori dell’orologio molecolare circadiano in vivo (es. segnali neuroendocrini). Precedenti studi hanno dimostrato la possibilità di indurre un’oscillazione dei geni clock in colture cellulari in vitro mediante trattamento con shock sierico (SS) (Balsalobre et al.; 1998; Osland et al., 2011; Manzella et al., 2013). Allo scopo di valutare una possibile oscillazione circadiana del gene Ogg1, l’espressione del suddetto gene in associazione all’espressione dei principali geni clock (Clock, Bmal1, Per1, Per2, Per3, Cry1 e Cry2) è stata analizzata in una linea di fibroblasti umani HuDe wt. La linea HuDe wt è stata preliminarmente stimolata con terreno al 50% di siero per 2h; successivamente le cellule sono state trasferite in un terreno serum free e raccolte ad intervalli regolari nelle 24h successive (0h, 2h, 4h, 8h, 16h e 24h) per l’analisi in Real Time PCR. Una significativa variazione è stata verificata nelle 24h nei livelli di mRNA relativamente ai geni clock (ad eccezione di Clock e Per1) ed al gene Ogg1 (ANOVA misure ripetute, p<0.05) (Figura 21). In particolare l’espressione del gene BMAL1 (attivatore del complesso trascrizionale circadiano), mostrava un picco dopo 8h dal trattamento; tra i repressori del circuito circadiano, il picco dell’espressione era evidente dopo 2h (Per2, Per3, e Cry2) 4 h (Cry1) e 24 h (Per). L’oscillazione del gene Ogg1 era caratterizzata da un graduale aumento con picco dopo 4h dal trattamento con lo SS e 90 successiva riduzione sino al raggiungimento dei livelli iniziali di espressione dopo 24h. I risultati dell’analisi cosinor hanno confermato una significativa oscillazione circadiana per tutti i geni (p<0.05) ad eccezione di Clock e Per1 in linea con i risultati dell’analisi ANOVA. La regolazione dell’oscillazione del gene Ogg1 da parte dell’orologio circadiano, è stata ulteriormente studiata nella linea cellulare HuDe silenziata per il gene Bmal1 che gioca un ruolo centrale nell’attivazione trascrizionale dei geni clock. Il silenziamento della proteina BMAL1 è stato verificato mediante Western Blot. I risultati dell’analisi densitomentrica in figura 22 mostrano una riduzione del 70% nei livelli della proteina BMAL1. Nella linea cellulare silenziata per il gene Bmal1, i livelli proteici di OGG1 erano ridotti del 55% (Figura 22). L’oscillazione dei geni clock e del gene Ogg1 è stata indotta nella linea Bmal1-/- mediante trattamento con SS. I risultati dell’analisi ANOVA e Cosinor hanno evidenziato nella linea HuDe Bmal1-/la perdita dell’oscillazione circadiana per tutti i geni clock e per il gene Ogg1 rispetto alla linea wt (Figura 21). 91 Figura 21: Profilo di espressione dei geni clock e Ogg1 nella linea HuDe wt e Bmal1-/-. I risultati sono espressi come valori di fold change rispetto al Tempo 0 normalizzato ad 1; *p<0.05. 92 Figura 22: Analisi densitometrica dei livelli proteici di BMAL1 e OGG1 nella linea HuDe wt e Bmal1-/-. I risultati sono espressi come livelli relativi rapportando in % i valori ottenuti dall’analisi densitometrica al risultato relativo alla linea wt normalizzato al 100%. In alto a sinistra i risultati relativi alle bande relative alle proteine target BMAL1, OGG1 ed housekeeping ACTINA. 93 9 - Discussione La funzione principale dell’orologio circadiano è quella di regolare finemente in maniera ritmica la risposta biologica a quelle condizioni ambientali che si susseguono in maniera regolare nell’arco delle 24h. Recentemente alcuni studi hanno dimostrato un coinvolgimento dell’orologio circadiano nella modulazione della risposta ad un danno di tipo genotossico (Antoch et al., 2005; Collis et al., 2007; Kang et al., 2009; Sancar et al., 2010; Gaddameedhi et al., 2011). Obiettivo della presenti tesi è stato quello di studiare una potenziale modulazione della suscettibilità ad un danno ossidativo al DNA nelle 24 ore valutando il ruolo dell’orologio circadiano nella regolazione dei principali componenti del sistema BER. A tale scopo sono stati arruolati 12 soggetti sani con un regolare ciclo sonno/veglia ed analizzati ogni 4 h per un periodo complessivo di 24h. La sincronizzazione circadiana dei partecipanti allo studio è stata valutata mediante l’analisi della secrezione plasmatica della melatonina e del cortisolo. In linea con precedenti studi (Marchenay et al., 2001; Kusangi et al., 2008), nei 12 soggetti i livelli di melatonina e cortisolo presentavano un picco rispettivamente nelle ore notturne e nelle prime ore diurne con un regolare shift di fase pari circa a 4h. La robusta oscillazione circadiana dei due ormoni ha permesso di escludere per tutti i soggetti una possibile alterazione dei ritmi fisiologici giornalieri legata ad eventuali anomalie individuali nell’orologio circadiano o imputabili al disegno sperimentale del nostro studio. 94 La caratterizzazione dell’orologio circadiano molecolare per ciascun partecipante è stata effettuata mediane analisi dei principali geni clock. Recenti studi hanno evidenziato che le cellule leucocitarie umane mostrano proprietà circadiane (Boivin et al., 2003; Kusangi et al., 2004; Takimoto et al., 2005) ed in particolare il pattern di espressione dei principali geni clock è stato ben caratterizzato a livello leucocitario (Kusangi et al., 2008). Dal momento che il sangue rappresenta un tessuto facilmente accessibile per le valutazioni cliniche, la popolazione dei linfociti rappresenta una fonte ideale per analizzare il sistema genico circadiano nell’uomo. A tale scopo i livelli di espressione di 8 geni clock (Clock, Bmal1, Per1, Per2, Per3, Cry1, Cry2 e Rev-Erbα) sono stati analizzati nei linfociti per un periodo complessivo di 24h ad intervalli regolari. Ad eccezione del gene Clock, tutti i geni analizzati presentavano una robusta oscillazione circadiana nei soggetti presi in esame. In linea con evidenze presenti in letteratura (Kusangi et al., 2008; Watanabe et al., 2012), il gene Bmal1, attivatore del core circadiano, mostrava un profilo di espressione in antifase con quello dei repressori della famiglia Per e Cry ed in fase con quello del gene target Rev-erbα. La corretta sincronizzazione dell’orologio molecolare circadiano è stata ulteriormente confermata dalla reciproca correlazione tra i livelli di espressione di tutti i geni clock e dalla significativa correlazione tra i ritmi di secrezione plasmatica del cortisolo e l’espressione degli stessi geni clock nel gruppo dei soggetti in esame. Durante le ore diurne in misura maggiore rispetto alle ore notturne l’uomo viene esposto a diversi fonti (endogene ed esogene) di stress ossidativo potenzialmente in grado di danneggiare il DNA. Dal momento che l’impatto dannoso degli stressors è inversamente proporzionale all’efficienza di quei sistemi deputati alla loro eliminazione 95 (o riparo del danno conseguente), risulta di notevole importanza studiare la regolazione dei geni coinvolti nel riparo del danno al DNA. In particolare, il sistema BER è in grado di riparare mediante meccanismo per escissione un ampio numero di basi modificate (Dianov et al., 1998; Pascucci et al., 2002). In caso di mancato riparo durante il processo replicativo, una delle modificazioni più pericolose risulta essere l’ossidazione della guanina (8-oxoG) che appaiandosi erroneamente con l’adenina è responsabile di mutazione per trasversione. Questo tipo di mutazione è comunemente osservata nel processo di tumorigenesi (Kasai, 1997). Nel sistema di riparo BER, la DNA glicosilasi OGG1 gioca un ruolo chiave nella rimozione della 8-oxoG mediante la sua attività di incisione della base danneggiata (Dianov et al., 1998; Bruner et al., 2000). Allo scopo di studiare il coinvolgimento dell’orologio circadiano nella regolazione del sistema di riparo del danno ossidativo al DNA, l’espressione dei principali geni facenti parte del suddetto sistema (Ogg1, Apex1, Xrcc1 e Parp1) è stata valutata in associazione all’espressione dei geni clock nelle 24h. Dei 4 geni analizzati, solamente l’espressione di Ogg1 presentava una significativa variazione circadiana nelle 24h con un profilo di espressione caratterizzato da valori di nadir alle ore 08:00 e zenith alle ore 20:00. La variazione circadiana nell’espressione genica si rifletteva nell’oscillazione dell’attività di riparo dell’enzima OGG1. La regolazione circadiana dei ritmi di espressione e attività del gene Ogg1 è stata ulteriormente confermata dalla significativa correlazione con i ritmi di espressione dei geni clock. 96 I nostri risultati indicano che la downregolazione fisiologica del gene Ogg1 (codificante per la proteina implicata nell’escissione della base mutagenica) durante le ore serali è associata a livelli basali di 8-oxoG più alti rispetto alle ore mattutine. Mediante approccio ex vivo i linfociti raccolti in vivo nei punti corrispondenti al massimo (ore 08:00) e minimo (ore 20:00) della curva di espressione ed attività dell’enzima OGG1, sono stati esposti in vitro ad un agente ossidante per verificare la cinetica nel tempo della risposta di riparo. I risultati evidenziano che livelli fisiologici più bassi di espressione e di attività di OGG1 durante le ore serali comportano un’attività di riparo più lenta rispetto alle ore mattutine con un accumulo di danno ossidativo al DNA nel tempo. La risposta di riparo del danno ossidativo non comportava una maggiore espressione bensì una sua sottoespressione del gene Ogg1. Tale risultato suggerisce che l’esposizione ad un agente ossidante in un momento della giornata in cui si verifica una diminuzione della capacità di riparo del danno ossidativo non comporta una risposta trascrizionale idonea per controbilanciare la bassa attività di riparo regolata dall’orologio circadiano. Tale evidenza conferma l’ipotesi che l’espressione del gene Ogg1 non è inducibile in presenza di un danno ossidativo (Mistry & Herbert, 2003) ma potrebbe seguire un’oscillazione circadiana regolata dall’orologio biologico interno. Alla luce di tali evidenze, la desincronizzazione dei ritmi circadiani che si verifica in particolari condizioni di lavoro che implicano l’alterazione del ciclo sonno veglia (es. lavoro a turni) a lungo termine potrebbe causare un rischio per la salute dell’uomo a causa di una potenziale deregolazione dei sistemi di riparo del danno. Un nostro studio pubblicato recentemente (Bracci et al., 2014) ha evidenziato una significativa desincronizzazione dei principali geni clock in un gruppo di infermiere impegnate nel primo giorno della rotazione lavorativa, rispetto ad un gruppo di 97 infermiere giornaliere di controllo. Al fine di studiare le potenziali conseguenze di tale deregolazione circadiana sul processo biologico di riparo del danno ossidativo al DNA, i livelli di espressione del gene Ogg1 sono stati valutati in questi gruppo di lavoratori. I risultati mostrano una significativa sotto-espressione del gene Ogg1 potenzialmente indotta dalla generale deregolazione dell’orologio circadiano molecolare. Un recente studio ha evidenziato che lo stress ossidativo conseguente all’elevato metabolismo degli estrogeni associato al tumore alla mammella è capace di reprimere l’espressione del gene Ogg1 (Singh et al., 2013). In maniera coerente con tale risultato, i bassi livelli di espressione del gene Ogg1 potrebbero essere ulteriormente influenzati dall’aumento dei livelli di estrogeni osservati nelle infermiere turniste rispetto alle infermiere con turno esclusivamente diurno (Bracci et al, 2014). Le nostre evidenze indicano che la desincronizzazione dell’orologio biologico in associazione ad elevati livelli di estrogeni potrebbero comportare una diminuzione della capacità di riparo durante le ore diurne con un maggior rischio potenziale di cancerogenesi per i lavoratori esposti a sostanze tossiche durante il proprio turno di lavoro. Una possibile oscillazione circadiana del gene Ogg1 in associazione all’espressione dei principali geni clock (Clock, Bmal1, Per1, Per2, Per3, Cry1 e Cry2) è stata ulteriormente investigata mediante esperimenti in vitro in una linea di fibroblasti umani HuDe. L’espressione dei geni clock è stata ampiamente documentata in diverse linee cellulari; tuttavia in vitro l’oscillazione circadiana dei geni clock deve essere indotta mediante trattamento con shock sierico (Balsalobre et al.; 1998; Osland et al., 2011; Manzella et al., 2013). 98 Una significativa variazione è stata osservata nelle 24h per tutti i geni circadiani ad eccezione di Clock e Per1 in linea con le evidenze già presenti in letteratura (Osland et al., 2011). In particolare il profilo di espressione dell’attivatore Bmal1 (attivatore del complesso trascrizionale circadiano) era in antifase con quello dei repressori del circuito circadiano (Per e Cry). In maniera coerente con i risultati ottenuti in vivo, l’espressione genica di Ogg1 seguiva una significativa oscillazione circadiana nelle 24h con un andamento in fase con i repressori Per e Cry ed in antifase con l’attivatore Bmal1. Allo scopo di investigare una possibile relazione diretta esistente tra l’orologio circadiano ed il sistema di riparo del danno ossidativo al DNA, nella linea cellulare HuDe è stato silenziato il gene Bmal1 che gioca un ruolo cardine nel sistema circadiano. Il silenziamento del gene Bmal1 si rifletteva nell’assenza di una evidente oscillazione di espressione dei geni clock in associazione alla perdita della regolazione circadiana del gene Ogg1. Tale risultato sottolineava ulteriormente l’importanza di un corretto funzionamento dell’orologio molecolare circadiano nella modulazione dell’enzima OGG1. In conclusione, come schematizzato in figura 23 il nostro studio dimostra che l’attività di riparo del sistema BER oscilla in maniera circadiana nelle 24h in funzione dei livelli di espressione dell’enzima OGG1. La bassa attività dell’enzima OGG1 durante le ore serali si riflette in più alti livelli basali di danno ossidativo al DNA ed un accumulo maggiore di danno residuo in seguito ad esposizione con agente genotossico rispetto alle ore mattutine. L’accumulo della 8-oxoG potrebbe rappresentare una condizione di rischio per il processo della tumorigenesi a causa della mutazione per trasversione conseguente all’errato appaiamento delle basi (Kasai, 1997). 99 10 - Conclusioni L’uomo è un animale diurno che nella propria evoluzione ha associato lo stato di veglia-attività al periodo di luce e lo stato di sonno-riposo al periodo di buio, con una regolare ritmicità dei principali processi biologici nell’arco delle 24 ore. I risultati del nostro studio (schematizzati in figura 23) suggeriscono che l’alterazione del ciclo sonno-veglia (conseguente ad errati stili di vita) potrebbe comportare per l’uomo il rischio di essere in fase attiva durante le ore (specialmente notturne) in cui si verifica una diminuzione nei livelli di difesa contro eventuali danni ossidativi al DNA. L’andamento circadiano dell’attività di riparo delle basi ossidate nell’uomo determina una differente sensibilità nell’arco delle 24h ad agenti di natura genotossica. Tale ipotesi è in linea con il concetto di cronotossicità recentemente proposto in alcuni studi. A tal riguardo, Xu et al. hanno evidenziato una diversa sensibilità ad agenti epatotossici nelle 24h in funzione dell’oscillazione nei sistemi antiossidanti e dei meccanismi coinvolti nella detossificazione degli stimoli xenobiotici (Xu et a., 2012). Inoltre, Gaddameedhi et al. hanno dimostrato che in funzione della diversa attività di riparo del danno nelle 24h, l’esposizione ai raggi del sole determina un incremento di tumori alla pelle in maniera differente a seconda del momento dell’esposizione. Recentemente alcuni studi epidemiologici hanno indicato una possibile associazione tra lavoro a turni e cancro, in particolare per la mammella, l’endometrio, la prostata, il colon-retto, il linfoma non-Hodgkin (Costa et al., 2010). La desincronizzazione dei ritmi circadiani che si verifica in coloro che effettuano un lavoro a turni potrebbe causare nel tempo una deregolazione dei sistemi di riparo. Questa condizione potrebbe tradursi per il lavoratore in una maggiore suscettibilità ad un danno al DNA anche durante le ore diurne in cui notoriamente l’esposizione esogena ad agenti tossici è più frequente. 100 Tale evidenza potrebbe contribuire a spiegare l’incrementato rischio di tumore legato alla perturbazione dei ritmi circadiani indotta dal lavoro a turni. Figura 23: Orologio circadiano e risposta al danno ossidativo al DNA. Bassi livelli di attività di riparo del sistema BER durante le ore serali rispetto alle ore mattutine, rendono l’uomo più suscettibile all’insulto ossidativo con conseguente accumulo di basi ossidate e maggior rischio potenziale di tumorigenesi. 101 10 – Bibliografia Adamantidis A, de Lecea L. The hypocretins as sensors for metabolism and arousal. J. Physiol. 2009; 587:33–40. Albright CD, Salganik RI, Craciunescu CN, Mar MH, Zeisel SH. 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The mPer2 gene encodes a functional component of the mammalian circadian clock. Nature. 1999; 400:169–17. 117 Ringraziamenti La sensazione che si prova quando si arriva ai ringraziamenti è sempre piacevole, perché questo momento segna la fine di un percorso e forse l'inizio di qualcosa di nuovo e stimolante. In queste pagine colgo l'occasione di ringraziare tutte le persone che mi sono state vicine nel raggiungimento di questo traguardo e spero vivamente di non dimenticare nessuno. Ringrazio innanzitutto la Prof.ssa Lory Santarelli, per aver creduto in me sin dall’inizio concedendomi questa opportunità di crescita. Ringrazio la mia famiglia per essermi stata vicina sempre, per avermi incoraggiato e sostenuto nelle mie scelte, per avermi permesso di studiare e di conseguire prima una laurea e poi il dottorato. Ringrazio di cuore la mia ragazza che mi è stata sempre vicina in questi 3 anni e dalle cui manifestazioni di affetto ho tratto la forza per superare i momenti più difficili, trovando gli stimoli per dedicarmi a questa tesi di dottorato. Ringrazio tutto il gruppo del laboratorio dove ho svolto la tesi, che mi “sopportano”quotidianamente. Questa tesi più che mai è il frutto di un lavoro di gruppo in cui davvero tutti hanno dato qualcosa (sangue compreso!!!). Grazie, quindi, alla Dott.ssa Amati ed alla generosa Erny che mi ha incoraggiato in questi anni dispensando utili consigli. Un ringraziamento speciale alle mie colleghe Sara, Elisabetta e Veronica che mi son state vicine durante le 24h passate all’interno dell’università (a fare esperimenti!!!) ed al “cinico” Dott. Marco Tomasetti che (nonostante tutto!!) mi ha aiutato “a suo modo” a superare le debolezze ed a maturare nel corso di questa esperienza. 118 Tra tutti vorrei ringraziare in particolare il Dott. Massimo Bracci per aver esaltato in questi anni di formazione le mie potenzialità aiutandomi a superare momenti di dubbi e difficoltà. Un grazie anche al Dott. Copertaro per aver contribuito attivamente e con passione allo studio ed agli specializzandi della clinica di Medicina del Lavoro: Matteo, Viviana, Roberta, Daniele, Alessandra e Giacomo, che in maniera del tutto “volontaria” hanno preso parte al lavoro. Per ultimo ma non meno importante ringrazio me stesso, per essere riuscito ad ottenere questo nuovo traguardo nel labirintico percorso della ricerca scientifica. …e infine grazie a tutti quelli che mi sono dimenticato di menzionare. P.S. Riconosco che questi ringraziameneti possono risultare un po’ sintetici e poco passionali…ma alla forza delle parole ho sempre preferito quella dei fatti!! Grazie di cuore a tutti!!! 119