Febbre mediterranea familiare: peculiarità genetiche ed

Rivista Italiana di Genetica e Immunologia Pediatrica - Italian Journal of Genetic and Pediatric Immunology
Anno I numero 3 - ottobre 2009 | direttore scientifico: Carmelo Salpietro - direttore responsabile: Giuseppe Micali
Febbre mediterranea familiare: peculiarità genetiche ed immunologiche
Familial Mediterranean fever: genetic and immunological aspects
Romina Gallizzi, Giovanna Elisa Calabrò, Maria Amorini, Silvana Briuglia, Carmelo Salpietro
Dipartimento di Scienze Pediatriche, UOC Genetica e Immunologia Pediatrica, Università di Messina
Abstract
Familial Mediterranean Fever (FMF, OMIM *249100) is an autosomal recessive
disorder characterized by recurrent attacks of fever and inflammation in the
peritoneum, synovium, or pleura, accompanied by pain. Destructive
oligoarthritis and potentially life-threatening secondary amyloidosis are the
major long-term complications associated with the disease. The FMF presents
in 90% of the cases before the age of 20 years. It is encountered more
frequently in the people from the Mediterranean region (non-Ashkenazi Jews,
Armenians, Turks and Arabs), which are considered as four classically
affected populations. It is inherited by a gene (MEFV) located on the short arm
of chromosome (16p13.3). The gene encodes a protein of 781 aminoacids and
was named pyrin /marinostrin. To date, more than 40 mutations have been
identified in the MEFV gene, most of which are substitutions, one is
duplication, two are insertions and two are deletions. Of these mutations, five
account for more than 70% of FMF cases – V726A, M694V, M694I, M680I and
E148Q and have different frequencies in classically affected populations.
Riassunto
La Febbre Mediterranea Familiare (FMF) (OMIM *249100), chiamata anche
polisierosite ricorrente benigna o polisierosite familiare parossistica, è una
malattia febbrile ereditaria, a carattere autosomico-recessivo che colpisce
prevalentemente le popolazioni del bacino del Mediterraneo: ebrei non
ashkenazi, turchi, armeni, arabi, greci (Fig.1). Tuttavia, le innumerevoli
migrazioni compiute da tali popoli nel corso dei secoli, hanno diffuso il gene
responsabile di questa malattia anche in Medio Oriente, in America ed in
Europa, quindi in Italia [1].
Fig.1 - Area del Mediterraneo maggiormente colpita dalla FMF
Il gene malattia (MEFV) è stato identificato nell’estate del 1997 [2, 3]. Esso è
localizzato sul cromosoma 16 (16p13.3) e codifica per una proteina di 781
aminoacidi, chiamata pirina/marenostrina che, espressa principalmente dai
neutrofili, sembra giocare un ruolo nel controllo dell’infiammazione [4, 5]. Dal
1997 più di 40 differenti mutazioni sono state identificate [6].
La Febbre Mediterranea Familiare è caratterizzata da episodi febbrili
ricorrenti, che insorgono acutamente, di breve durata, associati ad uno dei
seguenti sintomi: dolori addominali spesso con versamento peritoneale,
dolore toracico da pleurite, interessamento articolare, manifestazioni cutanee
tipo eresipela, mialgie, pericardite, orchite acuta, afte orali, splenomegalia,
meningite asettica [7]. L’amiloidosi, con conseguente insufficienza renale
cronica, può essere una grave complicanza a lungo termine [8].
I primi sintomi di malattia compaiono nella prima decade di vita nel 50% circa
dei casi e solo il 5% dei pazienti sviluppa la malattia dopo il trentesimo anno di
età. L'incidenza nel primo anno di vita è difficile da accertare, anche se non vi
è alcun dubbio che i sintomi possono già iniziare a sole due settimane dalla
nascita [9].
Introduzione
La FMF fa parte di un gruppo eterogeneo di malattie definite Malattie
Autoinfiammatorie Sistemiche (MAIS). Queste sono un gruppo di affezioni di recente
inquadramento caratterizzate da episodi infiammatori recidivanti, apparentemente
primitivi, a carico di vari organi od apparati, in particolare articolazioni e cute [10]. La
definizione di autoinfiammatorie fa riferimento allo sviluppo apparentemente
spontaneo di infiammazione associata ad uno sregolamento del sistema
dell’immunità innata, senza coinvolgimento dei linfociti T specifici o di (auto) anticorpi
specifici. Alcune di queste malattie costituiscono un subset delle MAIS chiamate
“sindromi delle febbri periodiche ereditarie” che includono la febbre mediterranea
familiare (FMF), la sindrome da IperIgD (HIDS), ma anche la Muckle-Wells
syndrome (MWS), l’orticaria da freddo familiare (FCU) e la tumor necrosis factor
receptor-1-associated periodic syndrome (TRAPS). Alcuni autori hanno proposto di
includere in questa categoria anche le meno caratterizzate sindromi febbrili quali la
periodic fever aphthous stomatitis and adenitis (FPAPA) e la chronic infantile
neurological cutaneous and articular syndrome (CINCA), nota anche come neonatal
onset multisystem inflammatory disease (NOMID) [11].
Sebbene tutte questi sindromi abbiano caratteristiche genetiche distinte e peculiari,
esse hanno molte espressioni cliniche comuni e spesso difficilmente distinguibili. La
maggior parte delle crisi recidivanti tipiche di queste malattie sono caratterizzate da
febbre, artriti, sierositi ed interessamento cutaneo e, dal punto di vista bioumorale,
da una notevole reazione della fase acuta ed una marcata neutrofilia nel sito
infiammatorio. Una possibile grave evoluzione per i soggetti affetti è l’amiloidosi, con
conseguente grave nefropatia [12].
Queste affezioni vanno distinte sia dalle comuni infezioni delle prime vie
respiratorie sia da malattie infiammatorie croniche, quali la malattia di Crohn o la
malattia di Behçet, che possono esordire con la sola componente febbrile.
Nell’inquadramento di tali condizioni patologiche l’analisi genetica rappresenta un
importante strumento di indagine diagnostica, in quanto, le principali forme di MAIS
sono dovute a mutazioni di geni malattia già identificati (Tab. I).
Tab. I - Geni e prodotti genici identificati in sindromi autoinfiammtorie su base
monogenica
La FMF si presenta sottoforma di attacchi ricorrenti. L'attacco tipico è caratterizzato
da febbre e sierosite della durata variabile di 1-4 giorni e si risolve spontaneamente.
La frequenza degli attacchi può variare da uno a settimana fino a uno ogni 3-4 mesi
o più. La febbre è presente nella quasi totalità degli attacchi (97%). La temperatura
corporea può raggiungere valori di 38-40°C, anche se gli attacchi di media gravità
sono caratterizzati da una temperatura inferiore. Nel 20-30% dei pazienti il rialzo
febbrile è preceduto da brividi e la febbre generalmente dura dalle 12 alle 72 ore
(Fig.2) [13]. Anche se raramente, può costituire l'unica manifestazione di FMF
(soprattutto nei bambini possono aversi brevi picchi di temperatura fino a 40°C
senza altri sintomi e segni, della durata di poche ore).
Fig.2 - Andamento temporale della febbre nella FMF (da R. Scolozzi et al.
Reumatismo, 2004; 56 (3):147-155)
criteri minori; probabile in presenza di 1 criterio maggiore e 1 criterio minore.
La FMF è caratterizzata da una eterogenicità clinica verosimilmente legata ad
altrettanta eterogenicità genetica. Per tale motivo, nel corso degli anni, sono stati
formulati diversi score diagnostici per valutare il grado di severità della malattia. Tra i
più recenti vi è il Pras’ Score [20] in cui a ciascun segno clinico (età d’insorgenza,
numero degli attacchi in un mese, artrite, eritema erisipela-like, amiloidosi, dosaggio
colchicina) viene attribuito un valore numerico e dal totale si ottiene il grado di
severità della malattia: grado lieve tra 3 e 5, intermedio tra 6 e 8, severo > 9.
Un altro recente score diagnostico (Fig.3) [21] è stato formulato per valutare nei
pazienti con febbre periodica il “rischio”, basso o alto, di essere affetti da FMF e
quindi l’eventuale indicazione ad effettuare l’indagine genetica.
In letteratura vengono descritti dei fattori scatenanti la malattia, molte dei quali
ancora sconosciuti. Quelli al momento noti sono: lo stress fisico ed emotivo,
l'esposizione al freddo, i pasti ricchi di grassi, le infezioni, l’uso di farmaci come il
cisplatino [14] e il ciclo mestruale [15].
Il vero e proprio attacco della malattia è comunque caratterizzato, oltre che dal
rialzo febbrile, anche da sintomi specifici ed aspecifici. (Tab. II).
Tab. II - Manifestazioni cliniche della FMF
Tradizionalmente gli intervalli tra un attacco e l’altro vengono definiti “liberi”: i
pazienti godono di buona salute e recuperano pienamente tutte le loro attività.
Recentemente, però, sono state descritte delle manifestazioni cliniche cosiddette
protratte o croniche che persistono anche durante tali intervalli [16]. Queste possono
essere la conseguenza di sierositi ripetute (peritonite sclerosante, pericardite
costrittiva) oppure vere e proprie manifestazioni infiammatorie croniche (artrite
cronica distruttiva, fibromialgia, sterilità maschile e femminile). Alcune, infine, non
sono legate al meccanismo patogenetico della FMF, ma sono effetti collaterali della
terapia (diarrea cronica, alopecia, sterilità e teratogenicità da colchicina) [17]. La
complicanza a lungo termine più temibile è l’ amiloidosi [18]. Essa colpisce
prevalentemente i reni, manifestandosi con una proteinuria persistente o
ingravescente fino alla sindrome nefrosica e all’insufficienza renale cronica, ma può
interessare anche altri organi come l’intestino (diarrea e malassorbimento), la milza
e il fegato (epatosplenomegalia), il cuore e le ghiandole endocrine. E’ di tipo AA,
come tutte le forme reattive ad infezioni e malattie infiammatorie croniche.
In rapporto alla sintomatologia clinica con cui si presenta possiamo distinguere tre
fenotipi di FMF:
1. FENOTIPO I: Forma tipica caratterizzata dalla triade: febbre, dolore addominale,
artrite monoarticolare.
2. FENOTIPO II: Caratterizzata da amiloidosi e artralgie senza attacchi di febbre,
sierositi, artriti.
3. FENOTIPO III: Asintomatico.
Nonostante l’identificazione del gene malattia e la scoperta di oltre 40 mutazioni a
suo carico, ancora oggi, non si dispone di un test accurato e sicuro per la diagnosi di
FMF, che rimane esclusivamente clinica.
La diagnosi clinica è facile in presenza di attacchi acuti tipici (Tab.III) che si
verificano in soggetti appartenenti ai ceppi etnici notoriamente colpiti e con storia
familiare positiva per FMF, e dopo avere escluso contestualmente patologie
infiammatorie, infettive e neoplastiche e le altre forme di febbri periodiche.
Tab. III - Caratteristiche generali degli attacchi febbrili nella FMF
Nel corso degli anni diversi criteri clinici sono stati proposti per la diagnosi di
malattia. Attualmente sono universalmente accettati i criteri di Tel-Hashomer [19].
La diagnosi è definitiva in presenza di 2 criteri maggiori o 1 criterio maggiore e 2
Fig. 3 - Score diagnostico per FMF (www.printo.it)
Secondo gli autori un punteggio > di 1.32 si associa ad un alto rischio di malattia e
quindi ad una maggiore probabilità di risultare positivi all’indagine genetica.
Ad oggi, non esistono test di laboratorio ed esami strumentali specifici per la
diagnosi di FMF al di là del test genetico. I comuni esami ematochimici in pazienti
con attacco acuto evidenziano un aumento generalizzato degli indici di flogosi (VES,
Proteina C rettiva, SAA, fibrinogeno, ferritina) e leucocitosi neutrofila che vanno
incontro a completa normalizzazione con la risoluzione della sintomatologia. I livelli
plasmatici di Immunoglobuline possono essere al di sopra del limite superiore del
range di normalità durante gli attacchi. Per completezza diagnostica i pazienti con
FMF, durante gli attacchi o nel corso del follow-up, possono essere sottoposti ai
seguenti esami strumentali:
• RX addome in bianco (livelli idroaerei intestinali durante gli attacchi)
• Ecografia dell'addome (quota di versamento libero endoaddominale durante gli
attacchi)
• RX torace (quota variabile di versamento pleurico, per lo più monolaterale;
slargamento dell'ombra cardiaca)
• RX articolazioni (quadro di artrite acuta o cronica)
• Ecografia renale (reni di dimensioni globalmente aumentate per infiltrazione
amiloidotica)
• Elettrocardiogramma (alterazioni aspecifiche ed incostanti, segni di pericardite,
alterazioni della conduzione in caso di amiloidosi cardiaca).
Lo studio genetico delle mutazioni del MEFV non ha ancora raggiunto l'accuratezza
diagnostica auspicabile. L'analisi delle mutazioni genetiche, pertanto, non si
sostituisce alla diagnosi clinica, ma ne costituisce solo un semplice supporto. La
diagnosi genetica di FMF, essendo essa autosomica recessiva, è considerata
positiva quando sono presenti due mutazioni nel locus del gene MEFV, una per
ciascun allele, non necessariamente identiche. Gli individui con la stessa mutazione
su entrambi gli alleli si definiscono omozigoti per tale mutazione; quelli con due
mutazioni differenti, eterozigoti compositi. In presenza di una mutazione o in
assenza di qualsiasi mutazione, il test è considerato non contributivo per la diagnosi
genetica, ma ciò non inficia la diagnosi clinica, in quanto non si può escludere la
presenza di mutazioni ancora sconosciute [22]. I pazienti con sintomi suggestivi di
FMF, ma senza mutazioni o con una sola mutazione, necessitano per la diagnosi di
essere sottoposti a test diagnostico-terapeutico con colchicina, per un periodo di
almeno sei mesi; in caso di risposta positiva al trial con colchicina, ossia remissione
degli attacchi durante il trattamento e ripresa dei sintomi alla sua sospensione, la
diagnosi di FMF verrà giudicata possibile.
L’unica terapia efficace, attualmente disponibile, nei pazienti con FMF è, appunto,
la colchicina, alcaloide neutro, liposolubile che può rivelarsi estremamente tossico in
caso di sovradosaggio (livelli plasmatici > 3 ng/mL). E’ disponibile in commercio in
granuli per os o in fiale per uso endovenoso (queste ultime non sono distribuite in
Italia).
Il trattamento viene generalmente iniziato con dosi di 1 mg/die per os tenendo
conto dell’età e del peso corporeo, tale dosaggio può essere aumentato fino a 1.5-3
mg/die per os fino ad ottenere una risposta significativa [23]. Dosi più elevate di 1
mg/die devono essere frazionate in più somministrazioni giornaliere. In età pediatrica
vengono consigliati i seguenti dosaggi: al di sotto dei 5 anni ≤ 0.5 mg/die; tra i 6 ed i
10: 1 mg/die; per età superiori ai 10: 1.5 mg/die. La dose può, via via, essere
aumentata di 0.25 fino ad un massimo di 2 mg [24]. Oltre ad influenzare gli attacchi,
la colchicina si è dimostrata in grado anche di prevenire la deposizione della
sostanza amiloide. Le prime somministrazioni possono essere gravate da effetti
collaterali come sintomi dispeptici o diarrea che, in genere, migliorano nel tempo o
con una dieta priva di lattosio. In generale, l’incidenza degli effetti collaterali aumenta
nei pazienti anziani e in quelli con insufficienza epatica o renale. Non esistono al
momento alternative terapeutiche di pari efficacia; preliminari ancora i risultati
dell’impiego di farmaci biologici come l’interferone e l’anti-TNF [25].
Eziopatogenesi e peculiarità immunologiche della FMF
Nel corso degli anni sono state avanzate diverse ipotesi sul meccanismo
patogenetico della FMF. Matzner et al. proposero per primi la teoria dell’inibitore del
C5a (C5ai). Essi ipotizzarono che ci fosse un deficit di un fattore di regolazione
dell’infiammazione, ad azione inibitoria, nella fattispecie un deficit del C5ai. Secondo
tale ipotesi, i pazienti con FMF presenterebbero un’incontrollata attività
proinfiammatoria del C5a [26]. Altri autori hanno ipotizzato che alla base della FMF
vi potesse essere un’alterazione del metabolismo delle catecolamine, data la
capacità del metaraminolo, derivato catecolaminico, di provocare un attacco acuto
simil-FMF nel 50% dei soggetti affetti [27]. Altri ancora, per la presenza di
manifestazioni cliniche in comune con il lupus eritematoso sistemico (artriti, febbre e
sierositi) hanno avanzato la possibilità di un’eziopatogenesi autoimmune. La
malattia, tuttavia, non risponde agli steroidi, nè agli immunosoppressori e non è
associata ad autoanticorpi.
La recente identificazione del MEFV e, in parte, della funzione del suo prodotto, la
pirina/marenostrina, ha fornito un contributo notevole nella comprensione della
patogenesi della FMF. La pirina/marenostrina è una proteina basica, di 781
aminoacidi organizzati in più domini con differenti funzioni. La funzione globale
sembra essere quella di regolatore (“down-regulator”) dell’infiammazione [28]. Tale
proteina è espressa nei granulociti neutrofili maturi durante la fase di attivazione ed
ha il ruolo di controllare l'infiammazione fungendo da regolatore negativo
dell'infiammazione. L' ipotesi più moderna è che la pirina possa funzionare da fattore
trascrizionale per l'inattivatore di un fattore chemiotattico dei neutrofili, (forse proprio
il C5a), fisiologicamente presente nei fluidi che bagnano le sierose. In condizioni
fisiologiche, stimoli patogeni subclinici provocano sì il rilascio di tale fattore
chemiotattico dei neutrofili, ma esso viene prontamente antagonizzato dal suo
inattivatore per cui il processo infiammatorio non si innesca per stimoli minimi. Nei
pazienti con FMF le mutazioni della pirina causerebbero un'assenza completa o una
carenza di tale inattivatore prolungando di conseguenza l'emivita e l'attività del
fattore chemiotattico dei neutrofili così da consentire un sufficiente afflusso di
neutrofili nelle sierose e il conseguente rilascio dei loro prodotti di degranulazione fra
cui un enzima che amplifica la produzione di C5a. Il risultato è una spirale di
attivazione che conduce ad un'esplosione infiammatoria, l'attacco di FMF, per
l'appunto, anche in presenza di stimoli minimi o inapparenti (Fig.4).
Fig. 4 - Probabile meccanismo di sviluppo di attacchi infiammatori nella FMF
Il prodotto del gene MEFV, la Pirina o marenostrina, attiva la biosintesi
dell'inattivatore del fattore chemiotattico (C5ai)
La mancata produzione dell'inattivatore causa attacchi infiammatori tipici della FMF
E' ipotizzabile, tuttavia, che la pirina svolga numerose altre funzioni, ancora
sconosciute, essendo dotata di due domini (uno ad alfa-elica e un B-box zinc-finger)
che, notoriamente, consentono l'interazione fra macromolecole (Fig.5).
Fig. 5 - Struttura della Pirina (da Jae J. Chae et al. British Journal of
Haematology, 146, 467–478, 2009)
Ma se vogliamo comprendere meglio la patogenesi della FMF dobbiamo partire dal
suo sintomo principale: la febbre.
La febbre è una risposta adattativa, sistemica ad uno stimolo infiammatorio.
Durante la febbre, la temperatura corporea è regolata ad un di livello superiore e,
anche se i meccanismi centrali della febbre sono in gran parte sconosciuti, molti
sembrano dipendere dall’azione delle PGE2 [29]. Le sostanze che possono attivare
la produzione di PGE2 e conseguenzialmente determinare l’aumento della
temperatura corporea sono oggi note come "pirogeni" e sono divise in due gruppi
[30]. Il primo gruppo è costituito da sostanze esogene quali componenti della parete
cellulare batterica (ad esempio, LPS) e altri prodotti microbici [31], che condividono
alcune piccole strutture molecolari chiamate PAMPs (pathogen-associatedmolecular-patterns). I PAMPs sono polisaccaridi essenziali e polinucleotidi che
differiscono di poco da un agente patogeno all’ altro, ma non si trovano nell'ospite.
Sono riconosciuti da una famiglia di recettori dell’ immunità innata nota come Toll-like
receptors (TLR) (Fig.6) [32].
Fig. 6 - Riconoscimento PAMPs-TLR e attivazione del Sistema Immunitario
Negli ultimi anni ci si è dedicati molto anche a questi altri protagonisti dell’immunità
innata e sono stati identificati diversi polimorfismi dei TLRs, soprattutto del TLR2
(TLR2-R753Q), e del TLR4 (TLR4-D299G, TLR4-T399I), associati alla FMF. Studi
recenti [33] indicano un’associazione, in negativo, tra il polimorfismo TLR4-D299G e
la suscettibilità alla malattia, nel senso che i pazienti affetti studiati presentano una
ridotta presenza di tale polimorfismo.
Il secondo gruppo di pirogeni comprende le citochine pirogene, anche dette
"pirogeni endogeni". Le citochine considerate come intrinsecamente pirogene sono
quelle in grado di determinare in pochi minuti una rapida comparsa delle febbre [34],
ossia l’IL-1β, l’IL-1α, il TNF-α, il TNF-β, l’IL-6 e il ciliary neurotrophic factor [35].
Queste citochine, naturalmente, esercitano la loro azione attraverso i propri recettori
specifici.
La febbre è accompagnata da una reazione sistemica chiamata risposta di fase
acuta, anch’essa associata all’azione di alcune citochine. In questa fase vi è un
aumento di alcune proteine di fase acuta come la Proteina C-reattiva e la
Sieroamiloide. Ci sono, tuttavia, anche proteine di fase acuta, come l’ albumina, la
cui concentrazione diminuisce [36]. La funzione esatta della maggior parte delle
proteine della fase acuta non è ancora chiara, ma si pensa che possano svolgere un
ruolo emblematico nella risposta immunitaria. Gli episodi di febbre nelle sindromi
autoinfiammatorie sono sempre accompagnati da una risposta marcata della fase
acuta. Talvolta, anche tra un episodio febbrile e l’altro, si assiste ad un movimento
degli indici di fase acuta. Questo sembra indicare che la cascata infiammatoria è
attivata molto più spesso ed indipendentemente dall’attacco febbrile acuto. Anche se
la maggior parte delle citochine viene prodotta direttamente in forma attiva, ci sono
comunque delle eccezioni. L'eccezione più importante, correlata soprattutto alle
febbri periodiche su base genetica, riguarda l’IL-1β. Essa è un mediatore chiave
dell’infiammazione, con una grande varietà di azioni che comprendono l’induzione
della febbre, lo stravaso di leucociti, l'espressione di molecole di adesione sulla
cellule endoteliali e l'induzione del riassorbimento osseo [37].
L’IL-1β viene inizialmente sintetizzata come un precursore inattivo di 31 kDa
(pro-IL1β), in seguito alla interazione dei TLR con prodotti microbici come il LPS
[38]. Mediante clivaggio viene trasformata nella forma attiva di 17-kDa. Questa
scissione della pro-IL1β avviene ad opera della caspasi-1 (conosciuto enzima di
conversione dell’IL). Anche la caspasi-1 è di per sé prodotta in forma di precursore
inattivo (pro-caspasi-1), che può essere attivato dopo la stimolazione di alcune
proteine NOD-LRR ed attivazione di un inflammasoma.
Le proteine NOD-LRR (anche note con il nome di CATERPILLER) (Fig.7) sono un
gruppo di proteine intracellulari coinvolte nella regolazione della risposta immune
[39]. Presentano le seguenti caratteristiche strutturali:
- due DOMINI CARDs (caspases recruitment domains) : domini effettori all’aminoterminale che mediano l’interazione con le caspasi;
- un DOMINIO NBD (nucleotide-binding oligomerization domain) : dominio centrale;
- DOMINI LRR (leucine rich-repeat domain) : al carbossi terminale, che
determinano l’interazione con componenti microbiche (per esempio con i PAMPs) ;
- DOMINIO PIRINICO: dominio effettore che media l’interazione con domini pirinici
di altre proteine (interazione poteina-proteina).
Sono state formulate due ipotesi funzionali delle CATERPILLER:
1) Proteine importanti per la risposta cellulare a molecole derivate da patogeni
(NOD1, NOD2 e CIAS1) ;
2) Proteine che inibiscono la risposta infiammatoria e immunitaria adattiva.
È possibile che abbiano sia effetto attivante che inibitorio a seconda dei livelli di
espressione delle proteine o degli interattori, dell’espressione di altre variabili intra- o
extracellulari.
Una delle principali componenti del gruppo delle CATERPILLER è la Criopirina
(CIAS1), associata ad altre febbri periodiche quali chronic infantile neurological,
cutaneous and articular syndrome e Muckle- Wells syndrome/familial cold urticaria.
La pirina condivide con la criopirina, con l’apoptosis associated speck-like protein
(ASC) (ASC contiene una caspase recruitment domain-CARD) e con la Apaf1-like
protein containing a pyrin domain, il dominio pirinico (PyD). Tale dominio, importante
per le interazioni proteina:proteina, è strutturalmente correlato ai domini di morte,
implicati, insieme ai death effector domains e al CARD, nel processo apoptotico.
Fig. 7 - Proteine NOD-LRR
L’espressione della pirina è stimolata da mediatori dell’ infiammazione quali INF-α,
TNF ed IL-4. La pirina endogena si trova nel citoplasma dei monociti, ove si correla
ai microtubuli [40], ma si localizza soprattutto nel nucleo di granulociti, cellule
dendritiche e fibroblasti sinoviali [41].
Recenti evidenze sperimentali suggeriscono che la pirina, mediante interazione
PyD:PyD con l’ASC [42], acquisisce un dominio CARD che le consente di reclutare
le caspasi, enzimi implicati sia nel processo infiammatorio (caspasi 1) che
apoptotico. Inoltre, mediante interazione CARD:CARD tra ASC e kinase containing
CARD e attivazione del complesso IkappaB kinases o di un omologo, la pirina è in
grado di attivare il pathway del nuclear factor kappa B (NF-κB) che ancora una volta
svolge un ruolo cruciale di controllo tanto nell’infiammazione quanto nell’apoptosi.
L’interazione della pirina con ASC determina l’attivazione dell’ IL-1β.
A tale riguardo vengono formulate due ipotesi sul meccanismo d’azione della pirina:
- la prima (Fig. 8-I), detta “ipotesi del sequestro” (sequestration hypothesis),
sostiene che la pirina abbia un effetto inibitorio sulla caspasi 1, in quanto può legarsi
ad ASC mediante il dominio pirinico (a), alla pro-caspasi-1 (b) attraverso un altro
dominio (B30.2), impedendo loro di essere incorporati nell’inflammosoma-ciopirina.
La pirina può interferire anche nel clivaggio della caspasi-1 (c) e prevenire la sua
azione sull’ IL-1β [43, 44].
- La seconda ipotesi (Fig. 8-II) detta “ipotesi dell’ inflammosoma-pirina” sostiene
che la pirina forma un suo inflammosoma con l’ASC e altre proteine adattatrici
ignote, con conseguente attivazione dell’IL-1β [45].
Concludendo, dunque, nella patogenesi della FMF, così come in altre febbri
periodiche, inteviene la disregolazione dell’ inflammosoma.
Fig. 8 I-II - Ipotesi sui meccanismi d’ azione della pirina (da Anna Simon et al.
Am J Physiol Regul Integr Comp Physiol 292: R86–R98, 2007)
Peculiarità genetiche della FMF
La Febbre Mediterranea Familiare (FMF), è una malattia febbrile ereditaria, a
carattere autosomico-recessivo che colpisce prevalentemente le popolazioni del
bacino del Mediterraneo: ebrei non ashkenazi, turchi, armeni, arabi, greci. Il gene
responsabile MEFV (MEditerranean FeVer) è stato identificato da un consorzio
internazionale e francese, indipendentemente ed in parallelo, nell’estate del 1997.
Esso è localizzato sul cromosoma 16 (16p13.3) (Fig.9) in prossimità dei geni delle
catene α dell’emoglobina e di un altro gene, a funzione sconosciuta, indicato come
D16S84. Alle due estremità del gene MEFV sono posizionati, da un lato, il PKD1 e il
TSC2 (Fig.10), implicati in due sindromi renali (il rene policistico e la sclerosi
tuberosa), dall’altro il CREBBP, responsabile della sindrome di Rubinstein- Taybi
caratterizzata da numerose malformazioni congenite e ritardo mentale [46]. Sul
braccio lungo dello stesso cromosoma vi è il gene NOD2 che predispone al Morbo di
Crohn [47].
Fig. 9-10 - Localizzazione del gene MEFV (16p13.3)
Il gene MEFV ha una lunghezza di 3505 nucleotidi di cui 2300 codificanti, riuniti in
10 esoni e 781 codoni [48]. Il gene malattia codifica per una proteina di 781
aminoacidi, chiamata pirina/marenostrina che è espressa principalmente dai
neutrofili e sembra giocare un ruolo nel controllo dell’infiammazione [49]. Ad oggi si
conoscono oltre 40 mutazioni a carico del gene MEFV, di cui le più frequenti a carico
degli esoni 10, 2, 3 e 5. Mutazioni rare sono state descritte negli esoni 1, 7 e 9 (Fig.
11) [50]. La maggior parte delle mutazioni note sono sostituzioni aminoacidiche, 78
sono mutazioni missenso, una sola mutazione nonsense, identificata di recente, che
è la Y688X [51], due sono piccole delezioni (I692del, M694del) [52], 17 sono
localizzate negli introni, una è una duplicazione e 2 sono inserzioni.
Fig. 11 - Spettro delle mutazioni del gene MEFV
Il gene è composto da 10 esoni
Circa 30 mutazioni oggi sono conosciute
Con la sottolineatura sono indicate le più frequenti
In grassetto sono quelle presenti negli “hot spots”
In corsivo vengono indicate le delezioni e nei box le mutazioni nonsense (da
Isabelle Touitou. European Journal of Human Genetics 9, 473 ± 483, 2001)
Sono stati descritti due “hot spots”: l’esone 10 con almeno 15 mutazioni identificate
e l’esone 2. Mentre nell’ambito dell’esone 2 le mutazioni sono più diffuse, a livello
dell’esone 10 colpiscono preferenzialmente 2 codoni, il 680 [53] e il 694 [54]. Tre
mutazioni sono state identificate in ciascuno di questi codoni, ed è interessante
notare come l’unica mutazione nonsense conosciuta è localizzata proprio tra questi
due codoni. Questa osservazione è fondamentale per capire che questa piccola
regione del gene MEFV svolge un ruolo fondamentale nella patogenesi della FMF.
Nell’ esone 2 due mutazioni sono state identificate nel codone 148 [55].
Delle mutazioni note 5 sono quelle più frequenti in quanto si presentano nel 70%
dei casi di FMF e sono le V726A, M694V, M694I, M680I e E148Q. Esse hanno una
differente distribuzione nelle diverse popolazioni comunemente affette [56]. I primi
studi condotti sulle mutazioni del gene MEFV si sono focalizzati soprattutto sulle
popolazioni comunemente affette dalla malattia, vale a dire: gli Arabi, gli Armeni, gli
Ebrei non Ashkenazi e i Turchi. La M694V è la mutazione più frequente in tutte e
quattro le popolazioni, con una percentuale che va dal 20 al 65%.
Studi più recenti sono stati condotti anche su altri gruppi etnici, come per esempio
gli Europei. Una vasta gamma di mutazioni sono state riscontrate anche negli
Italiani, soprattutto nei meridionali (Calabria e Sicilia). In Italia la FMF, seppure
ritenuta malattia rara, è da considerarsi sottodiagnosticata ed oltre la M694V,
sembra essere presente da noi un’elevata frequenza della mutazione E148Q (circa i
18%). Tuttavia la correlazione di questa mutazione con la patogenesi della malattia
sembrerebbe ancora controversa [57]. In Spagna le mutazioni più comuni sono la
M694V (32%) e la E148Q (14%). I dati dei Greci sono pressoché sovrapponibili a
quelli italiani. Da uno studio recente, condotto su 152 greci affetti da FMF, è emerso
che la più comune mutazione presente è la M694V (38.1%), a seguire la M680I
(19.7%), la V726A (12.2%), la E148Q (10.9%) e la E230K (6.1%) [58].
Nel 2008 Papadopoulos et al. [59] pubblicarono una meta-analisi condotta su 14
differenti popolazioni del Mediterraneo, ossia Arabi, Armeni, Cretesi, Ciproti,
Francesi, Greci, Italiani, Ebrei, Giordani, Libanesi, Spagnoli, Siriani, Tunisini e
Turchi. In ciascuna popolazione ricercarono le 5 più comuni mutazioni del gene
MEFV vale a dire la M694V, V726A, M680I, M694I e la E148Q (Fig. 12). Da questo
studio si evince come le mutazioni del gene MEFV non siano uniformemente
distribuite nell’area del mediterraneo e le 4 popolazioni ritenute “classiche” sono gli
Ebrei, gli Armeni, i Turchi e gli Arabi. Le mutazioni si presentano con la seguente
percentuale: M694V (39.6%), V726A (13.9%), M680I (11.4%), E148Q (3.4%) e
M694I (2.9%). Ci sono, inoltre, mutazioni rare che sembrano correlarsi
maggiormente con alcuni gruppi etnici anziché con altri. Per esempio la T177I, la
S108R e la E474K sono state identificate nei pazienti Libanesi, la I591T negli
Europei occidentali (Francesi e Spagnoli), la E225K e la R202Q sono state associate
ai Greci insieme, la S702C ai Cretesi, la F479L e la E167D agli abitanti di Cipro.
Fig.12 - Distribuzione delle mutazioni del gene MEFV nelle 14 popolazioni
studiate (da V. P. Papadopouloset al. Annals of Human Genetics (2008) 72,
752–761)
La FMF è caratterizzata, come testimoniano le diverse mutazioni identificate, da
una eterogenicità genetica legata ad altrettanta eterogenicità fenotipica. Nel corso
degli anni diversi studi sono stati condotti proprio con l’obiettivo di identificare una
correlazione genotipo-fenotipo. Ruth Gershoni-Baruch et al. in un articolo del 2002
pubblicato sull’European Journal of Human Genetics [60] proposero una loro
correlazione genotipo-fenotipo in rapporto alle mutazioni riscontrate in una
popolazione di 220 pazienti affetti da FMF. Nel loro studio riscontrarono che la
mutazione più frequente, ossia la M694V in omozigosi, si associava ad un quadro
clinico più severo, con dolori articolari, ad esordio precoce, associato ad un
maggiore rischio di amiloidosi renale ed ad un più alto dosaggio di colchicina per
controllare gli attacchi rispetto alla forma in eterozigosi od alle forme di eterozigosi
composta della M694V con le mutazioni V726A, M680I o E148Q e rispetto alle forme
omozigoti delle mutazioni V726A o M680I. Un altro dato che emerge dallo studio di
Ruth Gershoni-Baruch è che non sussiste alcuna differenza tra i quadri clinici legati
alla forma di eterozigosi composta V726A /E148Q e la forma M694V in omozigosi,
eccetto che per una maggiore ricorrenza di artriti in quest’ ultima forma.
Isabelle Touitou nel suo studio, pubblicato su European Journal of Human Genetics
nel 2001, ci propone un’altra correlazione genotipo-fenotipo. La mutazione più
frequente rimane sempre la M694V associata, in omozigosi, ad un quadro clinico
severo ad esordio più precoce, soprattutto in Arabi ed Armeni. Essa inoltre presenta
in omozigosi alta penetranza (99%). Altre mutazioni associate ad una maggiore
severità del quadro clinico sono le M680I e M694I in omozigosi. Mutazioni, invece,
associate ad un quadro clinico “mild” ossia lieve sono la E148Q, la V726A, la K695R
e la P369S. La mutazione E148Q, fra le più frequenti tra le mutazioni del gene
MEFV, in omozigosi nel 55% dei casi è associata a pazienti asintomatici che non
manifestano mai l’ amiloidosi. In uno studio di Nurit Zaks MD del 2003 pubblicato su
Genetics [61], invece, si evince che la mutazione E148Q in omozigosi si associa ad
un fenotipo severo, così come nei casi cui la mutazione si associa ad altre come la
M694I e la V726A. Quest’ultima mutazione sembra associarsi all’amiloidosi. Tuttavia
in eterozigosi la E148Q sembrerebbe essere una mutazione “benigna” non associata
a malattia sintomatica [62].
Malgrado nel corso degli anni ci sia dedicati alla correlazione genotipo-fenotipo
della FMF, questa associazione non è stata del tutto identificata. E ciò sta ad
indicare la presenza di diversi fattori, come per esempio il sesso del paziente, in
grado di modificare le manifestazioni cliniche della malattia [63] e, verosimilmente, la
presenza di altre mutazioni ancora non identificate o l’eventuale azione modificatrice
di altri geni sul gene MEFV. Un locus modificatore indipendente dal gene MEFV è
stato recentemente identificato ed è il locus MICA (Major Histocompatibility Complex
class I chain-related gene A) [64]. L’esordio precoce della malattia legato alla
mutazione M694V in omozigosi è aggravato nei pazienti MICA A9, mentre MICA A4
sembra essere associato ad una forma più lieve di FMF. Ancora la suscettibilità
all’amiloidosi renale sembra correlarsi a pazienti con genotipo SAA-1 alpha/alpha e
di sesso maschile [65].
Da quanto detto appare evidente che la correlazione genotipo-fenotipo della FMF
non è ancora del tutto chiara e numerosi altri studi devono essere condotti per
chiarirne le peculiarità genetiche connesse ad altrettanta variabilità fenotipica.
Nostra casistica (Tab.IV)
Dal luglio 2007 ad oggi presso la Sezione di Immunoinfettivologia e Reumatologia
Pediatrica dell’U.O.C. di Genetica ed Immunologia Pediatrica sono afferiti 93 pazienti
per Febbre Periodica. Di questi 49 presentavano uno score diagnostico, calcolato su
www.printo.it, > di 1.32 e quindi indicativo di alto rischio di malattia. Per tale motivo è
stata eseguita indagine genetica per la ricerca delle più frequenti mutazioni del gene
MEFV. Di questi 24 sono risultati positivi all’indagine genetica per FMF. Di 5 pazienti
l’indagine molecolare è ancora in corso di refertazione. In 2 pazienti è stata posta
diagnosi clinica di FMF dopo risposta al trattamento con colchicina pur in assenza di
mutazioni all’indagine genetica. Nel restante gruppo di pazienti è stata avviata
indagine molecolare per le altre forme di febbri periodiche su base monogenica
(HIDS e TRAPS). Per ciascun paziente, risultato positivo all’indagine genetica per
FMF, è stato calcolato il grado di severità della malattia secondo Pras’ Score in cui
ciascun segno (età d’insorgenza, numero degli attacchi in un mese, artrite, eritema
erisipela-like, amiloidosi, dosaggio colchicina) ha un valore numerico e dal totale si
ottiene il grado di severità della malattia: lieve tra 3 e 5, intermedio tra 6 e 8, severo
≥ 9. Nel nostro gruppo di pazienti affetti una percentuale significativa si caratterizza
per la presenza di singola mutazione, soprattutto la E148Q, associata ad un quadro
clinico suggestivo per FMF, di grado intermedio-severo secondo Pras’ score.
Naturalmente, in questi pazienti eterozigoti, la diagnosi è stata posta dopo un
trattamento continuativo con colchicina per almeno 6 mesi. I pazienti, infatti, hanno
presentato una remissione dei sintomi con l’avvio della terapia ed una ripresa degli
stessi dopo la sospensione della colchicina. Ciò ci ha permesso di confermare la
diagnosi di FMF. Solo 2 pazienti eterozigoti non hanno risposto al trattamento con
colchicina.
Un’altra percentuale importante è rappresentata dai pazienti omozigoti M694V, che
sappiamo essere la mutazione più frequente associata ad un fenotipo più severo con
maggiore rischio di amiloidosi ed ad esordio precoce. Questo dato è stato
confermato anche nei nostri pazienti che presentano un Pras’ Score severo (score
diagnostico ≥9).
Tab. IV - Nostra casistica: 24 pz positivi all’indagine genetica e 2 con diagnosi
clinica di FMF
Dai nostri dati, inoltre, è emerso un caso del tutto peculiare di una febbre a
trasmissione oligogenica (Fig.13), ossia, il caso di una ragazza di 21 anni con tipici
sintomi di FMF ma che allo screening molecolare del gene MEFV è risultata solo
portatrice della mutazione ricorrente V726A. Vista la sovrapposizione fenotipica delle
febbri ricorrenti è stata effettuata anche l’analisi mutazionale del gene MVK. Il
risultato ha rivelato l’alterazione di entrambi gli alleli, ciascuno dei quali porta
rispettivamente le mutazioni V377I e la nuova P228L. I dati ottenuti ci hanno fatto
ipotizzare una trasmissione triallelica delle sindromi associate con le febbri
periodiche, sulla base dell’identificazione di 3 alleli mutati in 2 differenti geni.
Fig. 13 - Nostro caso clinico di febbre a trasmissione oligogenica
la nostra pz risulta essere eterozigote composta per le mutazioni V377I /P228L del
gene MVK (HIDS) ed eterozigote per la mutazione V726A del gene MEFV.
Conclusioni
La Febbre Mediterranea Familiare (FMF) è una malattia febbrile ereditaria, a
carattere autosomico-recessivo. In Italia è la più frequente tra le sindromi
autoinfiammatorie con alta incidenza in Calabria e Sicilia. E’ dovuta a mutazioni del
gene MEFV. Ad oggi si conoscono oltre 40 mutazioni a carico di questo gene, di cui
le più frequenti a carico degli esoni 10, 2, 3 e 5. Mutazioni rare sono state descritte
negli esoni 1, 7 e 9.
La presenza di due mutazioni uguali, quindi di omozigosi, oppure di due diverse
(eterozigote composto) si riscontra in circa il 60% dei pazienti con diagnosi clinica di
FMF. Come abbiamo visto 5 sono le mutazioni più frequenti ossia la M694V, M694I,
M680I, V726A e la E148Q [66].
La prima, in omozigosi, si associa ad un fenotipo più severo, ad esordio precoce,
con alta frequenza degli attacchi infiammatori e più alto rischio a sviluppare
amiloidosi.
Questa sembrerebbe essere l’unica certa correlazione genotipo-fenotipo. Essendo
la FMF una malattia autosomica recessiva la diagnosi genetica è positiva se
vengono identificate due mutazioni del gene MEFV nel probando.
Tuttavia in alcuni casi vengono riscontrate mutazioni in eterozigosi, ossia singola
mutazione [67]. In questi casi è opportuno valutare la risposta alla terapia
continuativa con colchicina per un periodo di almeno sei mesi.
La remissione degli attacchi durante il trattamento con colchicina ed una ripresa dei
sintomi alla sua sospensione consente di confermare la diagnosi.
Verosimilmente in questi pazienti eterozigoti, in cui è possibile confermare la
diagnosi in base alla risposta terapeutica, possiamo ipotizzare la presenza di altre
mutazioni rare non ancora indagate o una forma di pseudodominanza. In questi casi
risposte, a livello molecolare, si potrebbero ottenere con il sequenziamento completo
dei 10 esoni del gene.
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Trimestrale di divulgazione scientifica dell'Associazione Pediatrica di Immunologia e Genetica
Legge 7 marzo 2001, n. 62 - Registro della Stampa Tribunale di Messina n. 3/09 - 11 maggio 2009
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