LA FEBBRE MEDITERRANEA FAMILIARE: UN`ANTICA EREDITA

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La febbre mediterranea familiare: un’antica eredità
Gabriella Nucera, Micaela La Regina, Marialuisa Diaco, Giovanni Neri*, Giovanni Gasbarrini, Raffaele Manna
Familial Mediterranean fever (FMF) is an autosomal recessive disorder that mainly affects people living around the Mediterranean sea (i.e. Turks, Armenians, Arabs and Jews), but cases of
FMF are now being increasingly diagnosed in every country of the world (including Italy).
Described for the first time in 1945, it has recently become more relevant, after the discovery of
the responsible gene, the MEFV gene which encodes a 781-aminoacid protein called pyrin that
seems to play a role in the regulation of the inflammatory process.
As the prototype of an emerging group of disorders fated to become more and more popular –
the hereditary auto-inflammatory disorders – FMF is an under-diagnosed cause of fever of
unknown origin.
Fever is the main but not the only symptom; sterile serosites are the most common associated features. The classical clinical picture is being continuously enriched. Geno-phenotype correlations
and interval-free symptoms are the new clinical insights, while fundamentally important studies
attempt to enlighten its obscure pathogenesis.
In spite of the introduction of alternative treatments, colchicine is still the only suitable drug for
the prevention of acute episodes and the development of amyloidosis.
(Ann Ital Med Int 2003; 18: 136-148)
Key words: Colchicine; Familial Mediterranean fever; MEFV gene; Pyrin; Serosites.
ch’essi di origine ebraica, con attacchi ricorrenti di febbre, peritonite e manifestazioni orticarioidi.
Seguirono negli anni ’50 le descrizioni di due ricercatori francesi, Mamou e Cattan4, in ebrei sefarditi, provenienti dal Nord-Africa. Essi furono i primi a sottolineare
il carattere familiare della malattia e la possibile associazione con una nefropatia letale.
Nello stesso periodo Reimann et al.5 descrissero altri casi in famiglie di armeni, prospettando l’esistenza di un’eredità dominante.
Nel 1955 la stessa malattia fu descritta anche in alcuni
pazienti turchi6,7, ma furono Heller et al.8 che stabilirono
nei dettagli i suoi caratteri clinici, in particolare l’ereditarietà autosomico-recessiva, la presenza di artriti e la
natura amiloidotica della nefropatia associata8-10. Sempre
Heller et al. proposero alla comunità scientifica il nome
di “febbre mediterranea familiare” che la designa tuttora.
Un consorzio internazionale e francese ne hanno isolato, indipendentemente ed in parallelo, il gene responsabile
(MEFV) nell’estate del 199711,12. Esso è localizzato sul cromosoma 16 (16p13.3) e codifica per una proteina di 781
aminoacidi, chiamata pirina/marenostrina che, espressa
principalmente dai neutrofili, sembra giocare un ruolo
nel controllo dell’infiammazione9,10. Dal 1997 più di 30
differenti mutazioni sono state identificate13.
Introduzione e cenni storici
La febbre mediterranea familiare (FMF) (OMIM
*249100), chiamata anche polisierosite ricorrente benigna
o polisierosite familiare parossistica, è una malattia febbrile
ereditaria, a carattere autosomico-recessivo che colpisce prevalentemente le popolazioni del bacino del Mediterraneo:
ebrei non ashkenazi, turchi, armeni, arabi, greci.
Tuttavia, le innumerevoli migrazioni compiute da tali
popoli nel corso dei secoli, hanno diffuso il gene responsabile di questa malattia anche in Europa e in Medio
Oriente e, non mancano segnalazioni di casi anche dalla
Polonia, dal Brasile, dall’Australia e addirittura dall’Asia.
Nella maggior parte di questi casi, però, l’esatta origine
ancestrale non è sempre nota e non è escluso che possa trattarsi di altra febbre periodica1.
La FMF è caratterizzata da attacchi ricorrenti, di breve
durata, di febbre e sierosite o, talora, dermatiti simil-erisipela con incremento delle proteine di fase acuta. L’amiloidosi, con conseguente insufficienza renale cronica, può
essere una grave complicanza a lungo termine.
Sebbene nota sin dai tempi biblici, la descrizione del primo caso risale a Janeway e Mosenthal (1908) e mezzo secolo è stato necessario perché fosse riconosciuta come entità nosologica distinta2. La prima serie di pazienti affetti da FMF risale ad un allergologo newyorkese, di origini ebree, Siegal3 che riportò sotto il nome di “peritonite
parossistica benigna” il suo caso e di altri 5 pazienti, an-
Epidemiologia
La frequenza del gene responsabile varia ampiamente
tra le popolazioni affette (armeni 1:7, ebrei sefarditi 1:51:16, ebrei ashkenazi 1:135).
Istituto di Medicina Interna (Direttore: Prof. Giovanni Gasbarrini),
*Istituto di Genetica Umana (Direttore: Prof. Giovanni Neri),
Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma
© 2003 CEPI Srl
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Gabriella Nucera et al.
pochissime erano le segnalazioni di casi italiani, prima del
nostro recente lavoro che include 71 pazienti16; dalla data di ultimazione di tale lavoro ad oggi, nuovi pazienti hanno continuato ad affluire, cosicché, il nostro gruppo di ricerca al momento annovera 130 casi italiani.
Storicamente sono almeno cinque le ragioni che giustificano la presenza della FMF nel nostro paese:
1) la colonizzazione greca della Sicilia e del Sud Italia (antica Magna Græcia, VIII-VI secolo a.C.) che portò, secondo gli studi di Piazza et al.17, ad un rapporto di 1/101/15 tra greci ed autoctoni;
2) la diaspora degli ebrei nel 70 d.C. e la nascita della comunità ebraica di Roma;
3) l’arrivo dei primi cristiani a Roma durante l’Impero (erano tutte genti di stirpe mediterranea: greci, ebrei, nordafricani, ecc., I-II secolo d.C.);
4) la colonizzazione turca delle coste sudorientali (X secolo d.C.);
5) la conquista araba della Sicilia (IX secolo d.C.).
A ciò si aggiunga che dal Medio Oriente, dove le più frequenti mutazioni della FMF sarebbero originate circa
2500 anni fa, provenivano anche le popolazioni indoeuropee alla base delle stirpi italiche e non ultimi, stando al
racconto di Erodoto, anche i misteriosi etruschi16.
La correlazione genetico-territoriale relativa alla nostra penisola ha documentato un gradiente di incidenza decrescente dal Sud verso il Nord e due aree a maggiore incidenza: le regioni dell’Italia meridionale corrispondenti
all’antica Magna Græcia e il territorio intorno a Roma. Al
di fuori di tali regioni, non solo si riduce il numero degli
affetti, ma si osserva anche un aumento delle mutazioni
sconosciute (60 vs 37%)18. Inoltre, la distribuzione dei diversi genotipi all’interno della nostra penisola ha messo
in evidenza una prevalenza della M694V (ad elevata frequenza nella popolazione ebraica ed anche greca) in
Calabria (antica Magna Græcia) e della M680I (ad elevata
frequenza nella popolazione araba) in Sicilia.
Oggigiorno, grazie all’identificazione del gene responsabile, è stato possibile, per certe regioni, ricostruire la diffusione del gene durante i secoli.
Oltre il 90% dei pazienti ebrei sono sefarditi o di origine
mediorientale. Gli ebrei sefarditi sono i discendenti di
quelli espulsi dalla Spagna nel XV secolo e dispersi fra il
Nord-Africa e il resto dei paesi del bacino mediterraneo.
I pazienti con FMF dell’isola di Majorca presentano lo stesso aplotipo degli ebrei nordafricani, mentre quelli negativi per tale aplotipo mostrano mutazioni analoghe agli
ebrei iracheni testimoniando che i primi derivano da ebrei
convertitisi al Cristianesimo (che, pertanto, non furono costretti ad abbandonare la Spagna), i secondi, invece, da
un’ulteriore diffusione diretta dal Medio Oriente alla
Spagna.
Gli ebrei del Medio Oriente (soprattutto quelli iracheni) invece sono i discendenti degli ebrei esiliati dalla
Mesopotamia ad opera dei Babilonesi oltre 2500 anni fa.
Gli ebrei ashkenazi, colpiti più raramente, infine, provengono soprattutto dall’Europa orientale ed occidentale e la loro origine è mista con quella degli ebrei esiliati
dalla Giudea ad opera dei romani 2000 anni fa1.
L’area relativamente limitata della primitiva distribuzione della malattia (Mediterraneo sudorientale) testimonia che essa sia originata proprio in questa regione, e
suggerisce l’ipotesi di un vantaggio evolutivo selettivo derivato dal possesso delle mutazioni del MEFV (per esempio nella risposta ad alcune infezioni). Non si possono, tuttavia, escludere fenomeni come la “deriva genetica” e
l’“effetto fondatore”.
Recentemente, Ozen14 ha cercato di identificare il “bersaglio” del supposto vantaggio selettivo. Poiché i pazienti
con FMF ed i loro familiari presentano più elevati livelli
di proteina C reattiva in risposta alle infezioni, egli ha cercato un agente infettivo endemico, anticamente, nel
Mediterraneo orientale. Sfortunatamente, non è riuscito a
dimostrare un ruolo selettivo per il Mycobacterium tuberculosis; mentre ha riscontrato un’aumentata risposta
Th1 negli eterozigoti e ha speculato che le mutazioni del
MEFV proteggano contro le allergie (a loro volta incrementate dall’inurbamento). L’allergia, tuttavia, non è una
malattia fatale e ci si potrebbe chiedere se l’aumentata risposta Th1 sia solo uno spettatore innocente o un elemento
associato alla causa della selezione.
I movimenti delle popolazioni del Mediterraneo mediorientale attraverso i secoli hanno quindi diffuso questa
malattia ai paesi adiacenti e continuano a diffonderla, cosicché, al giorno d’oggi, essa mostra una distribuzione paneuropea, e addirittura mondiale15.
In Italia, essa era considerata una malattia molto rara,
nonostante la posizione mediterranea della nostra penisola;
Patogenesi
Nel corso degli anni sono state avanzate diverse ipotesi sul meccanismo patogenetico della FMF.
Matzner et al.19 proposero per primi la teoria dell’inibitore del C5a (C5ai). Analogamente al deficit della C1q
esterasi nell’angioedema ereditario, essi ipotizzarono che
ci fosse un deficit di un fattore di regolazione dell’infiammazione, nella fattispecie un deficit del C5ai. Secondo
tale ipotesi, i pazienti con FMF presenterebbero un’incontrollata attività proinfiammatoria del C5a19.
Altri autori hanno ipotizzato che alla base della FMF vi
potesse essere un’alterazione del metabolismo delle catecolamine, data la capacità del metaraminolo di provo-
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care un attacco acuto simil-FMF nel 50% dei soggetti affetti20.
Altri ancora, per la presenza di manifestazioni cliniche
in comune con il lupus eritematoso sistemico (artriti, febbre e sierositi) hanno avanzato la possibilità di un’eziopatogenesi autoimmune. La malattia, tuttavia, non risponde agli steroidi, né agli immunosoppressori e non è
associata ad autoanticorpi.
La recente identificazione del MEFV e, in parte, della
funzione del suo prodotto, la pirina/marenostrina, ha fornito un contributo notevole nella comprensione della patogenesi della FMF.
La pirina/marenostrina è una proteina basica, di 781 aminoacidi organizzati in più domini con differenti funzioni.
La funzione globale sembra essere quella di regolatore
(“down-regulator”) dell’infiammazione.
È espressa esclusivamente dai granulociti neutrofili
maturi durante la fase di attivazione19.
La mancanza di espressione della pirina a livello delle
cellule sinoviali o peritoneali esclude un effetto tessutospecifico.
Alla luce di ciò, una mutazione a carico della pirina,
comporta un’incontrollata attivazione e migrazione dei neutrofili verso le sierose (è in dubbio, tuttavia, che le sierose siano i principali bersagli dell’infiammazione nella
FMF). Fin qui l’ipotesi di Matzner et al. potrebbe essere
ancora valida, ma alla luce del sequenziamento della pirina e del C5ai, possiamo concludere che la pirina non si
identifica con esso o con qualsiasi altro inibitore diretto
dei mediatori dell’infiammazione, in quanto non possiede attività serinproteasica come il C5ai o il C1qi21.
Al contrario, per la presenza nella sua sequenza di “segnali di richiamo nucleare” che ne consentono dopo la sintesi la migrazione dal citoplasma al nucleoplasma attraverso i pori nucleari, è verosimile che la pirina possa essere piuttosto un fattore di regolazione trascrizionale22.
L’ipotesi più moderna è che possa funzionare da fattore
trascrizionale negativo dello stesso C5ai (i livelli di C5ai
sono ridotti nel fluido peritoneale o sinoviale di pazienti
con FMF durante l’attacco acuto). A sostegno di ciò vi è
la stretta omologia di un suo dominio, il B30.2, con quello di molte altre proteine nucleari.
Tuttavia, la pirina sembra svolgere numerose altre funzioni. Essa condivide con la neoscoperta criopirina (associata ad altre febbri periodiche quali chronic infantile
neurological, cutaneous and articular syndrome e MuckleWells syndrome/familial cold urticaria), con l’apoptosisassociated speck-like protein (ASC) (ASC containing a caspase recruitment domain-CARD) e con la Apaf1-like
protein containing a pyrin domain, il dominio pirinico
(PyD), di 90 aminoacidi disposti a formare 6 α-eliche. Tale
dominio, importante per le interazioni proteina:proteina,
è strutturalmente correlato ai domini di morte, implicati,
insieme ai death effector domains e al CARD, nel processo
apoptotico. Recenti evidenze sperimentali suggeriscono che
la pirina, mediante interazione PyD:PyD con l’ASC, acquisisce un dominio CARD che le consente di reclutare
le caspasi, enzimi implicati sia nel processo infiammatorio (caspasi 1) che apoptotico. Inoltre, mediante interazione
CARD:CARD tra ASC e kinase containing CARD e attivazione del complesso IkappaB kinases o di un omologo, la pirina è in grado di attivare il pathway del nuclear
factor kappa B (NF-κB) che ancora una volta svolge un
ruolo cruciale di controllo tanto nell’infiammazione quanto nell’apoptosi (induzione NF-κB-dipendente di citochine proinfiammatorie e inibizione NF-κB-dipendente
dell’apoptosi nella fase iniziale dell’infiammazione, viceversa nella fase finale).
L’analogia funzionale di pirina e criopirina con le proteine nucleotide-binding oligomerization domain, implicate nel morbo di Crohn e nella sindrome di Blau ha fatto ipotizzare che anche esse possiedano un dominio per il
riconoscimento degli stimoli infiammatori, analogo al
dominio LRR del nucleotide-binding oligomerization domain23.
La figura 1 riassume il modello attualmente proposto per
il funzionamento della pirina (e della criopirina).
Il deficit della pirina, presente nei pazienti con FMF, tuttavia, non si evidenzia in maniera continua, ma episodicamente, in concomitanza di eventi “stressanti”, quando
uno stimolo, generalmente innocuo, viene a perturbare, in
maniera intermittente, un sistema fisiologico già deficitario.
Il meccanismo patogenetico della FMF ricalcherebbe
quello di altre patologie, come l’anemia falciforme in cui
le crisi emolitiche sono scatenate dall’ipossia o dall’acidosi, l’angioedema ereditario in cui i fattori scatenanti sono rappresentati da traumi minori che attivano il fattore di
Hageman e consumano l’inibitore del C1q, già presente
in quantità minime e la paralisi periodica ipercaliemica in
cui un eccesso dietetico di potassio provoca la disfunzione dei canali del sodio mutati a livello del muscolo scheletrico.
Genetica
Il MEFV, identificato nel 1997, è un gene della lunghezza di 3505 nucleotidi di cui 2300 codificanti, riuniti
in 10 esoni.
È localizzato sul braccio corto del cromosoma 16
(16p13.3), in prossimità dei geni delle catene α dell’emoglobina e di un altro gene, a funzione sconosciuta, indicato semplicemente come D16S8422.
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Gabriella Nucera et al.
FIGURA 1. Funzioni della pirina. La pirina e la criopirina (prodotti rispettivamente
dei geni, MEFV e CIAS1), mediante interazione PyD:PyD con l’“apoptosis associated speck-like protein” (ASC) sono in grado di reclutare le caspasi, enzimi implicati sia nel processo infiammatorio (caspasi 1) che apoptotico. Inoltre, esse mediante interazione CARD:CARD tra ASC e “kinase containing” CARD (RICK) e attivazione del complesso “IkappaB kinases” (IKK) o di un omologo possono attivare
il pathway del “nuclear factor κB” (NF-κB) che, ancora una volta, svolge un ruolo cruciale di controllo tanto nell’infiammazione quanto nell’apoptosi (induzione
NF-κB-dipendente di citochine proinfiammatorie e inibizione NF-κB-dipendente
dell’apoptosi nella fase iniziale dell’infiammazione, viceversa nella fase finale). RICK
- (RIP2/CARDIAK) una CARD contenente una chinasi che si lega alla subunità IKKγNEMO del complesso IKK e l’attiva.
Alle due estremità del MEFV sono posizionati, da un lato, il PKD1 e il TSC2, implicati in due sindromi renali (il
rene policistico e la sclerosi tuberosa), dall’altro il
CREBBP, responsabile della sindrome di RubinsteinTaybi caratterizzata da numerose malformazioni congenite e ritardo mentale22.
Ad oggi si conoscono oltre 30 mutazioni a carico del
MEFV associate ad un fenotipo clinico di FMF. Sono tutte mutazioni “missense”, ad eccezione di 2 short in-frame
deletions ed una mutazione “non-sense” (Y688X) identificata in una nostra paziente13,24. Le mutazioni, finora
identificate, sono a carico degli esoni 2, 3, 5, 9 e 10. Due
sono gli “hot spots”: l’esone 10 con almeno 15 mutazioni identificate e l’esone 2. Mentre nell’ambito dell’esone
2 le mutazioni sono più diffuse, a livello dell’esone 10 colpiscono preferenzialmente 2 codoni, il 694 e il 680. L’esone 10 codifica per l’estremità C terminale della proteina
e include la sequenza di codoni che va dal 598 al 774 e rappresenta il dominio B30.2, responsabile delle supposte interazioni nucleari della pirina (a conferma che la pirina agirebbe come down-regulator dell’infiammazione attraverso un meccanismo trascrizionale)13,22.
La mutazione riscontrata più frequentemente è la
M694V, presente nel 42% dei cromosomi finora testati,
seguono in ordine decrescente di frequenza, la V726A
(9%), la M680IG/C (8%), la M694I (5%) e la E148Q
(5%). L’M680IG/C e la E148Q sono stati riscontrati anche in associazione sullo stesso allele, complex allele13.
Fermo restando che le mutazioni più frequenti sono
quelle a carico dei codoni 694 e 680 in tutte le popolazioni,
quelle a più alta frequenza di malattia (ebrei sefarditi, ad
esempio) presentano una netta prevalenza della M694V,
mentre fra quelle a minore incidenza, la nostra presenta
una maggiore frequenza della E148Q e della M680IG/A
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una popolazione di pazienti con FMF confermata geneticamente e un gruppo di soggetti di controllo di pari età e
sesso, giunti presso il nostro pronto soccorso per addome
acuto, è emerso che i pazienti con FMF avevano subito in
media 0.74 interventi/paziente vs lo 0.25 del gruppo di controllo (p = 0.01) e il tempo medio di ricorrenza dell’addome
acuto era di 36 giorni nei pazienti con FMF, di 10 anni nei
controlli26.
Dal momento che non è esclusa la possibilità di una vera appendicite in un paziente con FMF, alcuni clinici raccomandano un’appendicectomia laparoscopica nei primi
stadi della malattia anche a fini diagnostici27.
Fortunatamente, le peritoniti ricorrenti della FMF si
accompagnano raramente alla formazione di aderenze.
Il dolore toracico da pleurite è un’altra frequente manifestazione della FMF (45%). L’attacco pleuritico ha le
caratteristiche di una tipica pleurite acuta monolaterale ad
insorgenza improvvisa, ma a rapida risoluzione (le pleuriti da piogeni durano più a lungo). Il paziente lamenta dolore trafittivo che aumenta con l’inspirazione profonda; il
suono chiaro polmonare e il murmure vescicolare possono essere ridotti dal lato affetto. Alla radiografia del torace si può evidenziare una piccola quota di essudato che
oblitera il seno costofrenico corrispondente.
La pericardite è un’evenienza più rara (0.5%). Si manifesta con dolore retrosternale ad insorgenza improvvisa e si associa a segni elettrocardiografici (elevazione del
tratto ST) ed ecocardiografici e radiologici (versamento
e slargamento del profilo cardiaco).
L’interessamento articolare è la seconda più frequente
manifestazione clinica di FMF (75% se si considerano solo le forme artritiche franche, di più se si includono anche
le artralgie), soprattutto in pazienti di origine ebrea, provenienti dal Nord-Africa. Traumi di lieve entità o sforzi
fisici, come per esempio lunghe passeggiate, possono
precipitare gli attacchi articolari. Clinicamente si distinguono tre forme:
• artrite asimmetrica non distruttiva: attacchi di breve durata (24-48 ore), ad insorgenza improvvisa e senza prodromi, a risoluzione completa, colpiscono le grandi articolazioni degli arti inferiori (ginocchio, anca, caviglia) o
degli arti superiori (polsi);
• artrite cronica distruttiva (2-5%): attacchi prolungati
(oltre 1 mese) con danno permanente colpiscono per lo più
caviglie e ginocchia. In questa categoria rientra anche
una sacroileite HLA B27 negativa;
• poliartrite migrante simil-reumatismo articolare acuto:
in tal caso la diagnosi differenziale può essere assai difficile28.
Le manifestazioni cutanee simil-erisipela (7-40%) sono rappresentate da lesioni del diametro fino a 10-15 cm2,
(rispettivamente, 22 e 6% nella nostra serie)25 e gli ebrei
ashkenazi della V726A, meno comuni nelle popolazioni
ad alta incidenza13.
Sono stati descritti anche dei polimorfismi di restrizione
nel gene MEFV, 17 nella regione codificante e 5 nella regione intronica, ma il loro significato non è ancora noto13.
Manifestazioni cliniche
Nel 50% circa dei casi, i primi sintomi di malattia compaiono nella prima decade di vita, solo il 5% dei pazienti sviluppa la malattia dopo i 30 anni di età. L’incidenza
nel primo anno di vita è difficile da accertare, anche se non
vi è alcun dubbio che i sintomi possono iniziare già a poche settimane dalla nascita.
La malattia si presenta sotto forma di attacchi ricorrenti.
Un attacco tipico consiste in febbre e sierosite della durata variabile di 1-4 giorni e si risolve spontaneamente. La
frequenza degli attacchi può variare da uno a settimana fino ad uno ogni 3-4 mesi o anni. La tipologia, la severità
e la frequenza degli attacchi, variano da paziente e, anche
nello stesso paziente, nel corso della storia naturale della malattia. Generalmente, severità e frequenza decrescono nei pazienti più anziani.
La febbre è presente nella quasi totalità degli attacchi;
la temperatura corporea può raggiungere valori di 3840°C. Nel 20-30% dei pazienti è preceduta da brividi e dura dalle 12 alle 72 ore. Raramente, soprattutto nei bambini,
essa può costituire l’unica manifestazione di FMF.
Il dolore addominale è presente nel 95% dei pazienti; in
circa la metà di essi caratterizza il primo attacco. Il quadro clinico può essere quello tipico di una peritonite con
rigidità addominale, Blumberg positivo e peristalsi torpida all’esame obiettivo; presenza di livelli idroaerei alla radiografia in bianco dell’addome. Alcuni pazienti hanno in
associazione stipsi, mentre nei bambini è molto più comune
la diarrea.
Il dolore addominale, generalmente, precede la febbre
di poche ore e persiste per 1-2 giorni dopo la scomparsa
della febbre; può essere localizzato (epigastrio, ipocondrio
o fossa iliaca destra-sinistra) e poi diffuso o diffuso fin
dall’inizio. Altre volte può rimanere localizzato e simulare un’appendicite o una colecistite. Meno frequentemente può essere interessato anche il peritoneo posteriore, mimando, in tal caso, una colica renale o una malattia
infiammatoria pelvica acuta.
Il 30-40% dei pazienti vanno incontro ad interventi
chirurgici non indicati (appendicectomia, colecistectomia, altro) che, pertanto, non risolvono la sintomatologia
clinica che torna a ripresentarsi a distanza variabile di tempo. In uno studio condotto dal nostro gruppo in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Chirurgiche su
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Gabriella Nucera et al.
eritematose, calde, rilevate, molli, localizzate tra l’anca e
il ginocchio, sulla superficie anteriore della gamba o sul
dorso del piede che si risolvono nel giro di 2-3 giorni. La
loro comparsa può associarsi a bruschi e repentini aumenti
della temperatura corporea che durano 24-48 ore. Le biopsie cutanee mostrano edema ed iperemia del derma con
infiltrazione di polimorfonucleati10.
La mialgia in corso di FMF può presentarsi con 3 pattern differenti: a) spontanea; b) indotta dallo sforzo; c) “protracted febrile myalgia syndrome”. La prima non si associa a febbre, è caratterizzata da dolore lieve-moderato e
dura poche ore; la seconda, può essere accompagnata da
febbre, produce dolore intenso e dura da 8 ore a 3 giorni,
l’ultima si associa sempre a febbre elevata; il dolore è assai intenso e dura alcune settimane29.
Fra le manifestazioni cliniche minori si ricordano: l’orchite acuta con edema scrotale e dolore; la meningite
asettica di Mollaret; alterazioni elettroencefalografiche
asintomatiche; la retinopatia con riscontro di corpi colloidali all’esame del fundus oculi; la splenomegalia e le
afte orali.
Tradizionalmente gli intervalli tra un attacco e l’altro
vengono definiti “liberi”: i pazienti godono di buona salute e recuperano pienamente tutte le loro attività.
Recentemente, però, sono state descritte delle manifestazioni cliniche cosiddette protratte o croniche che persistono anche durante tali intervalli30,31. Queste possono
essere la conseguenza di sierositi ripetute (peritonite sclerosante, pericardite costrittiva) oppure vere e proprie manifestazioni infiammatorie croniche (artrite cronica distruttiva, fibromialgia, sterilità maschile e femminile).
Alcune, infine, non sono legate al meccanismo patogenetico della FMF, ma sono effetti collaterali della terapia
(diarrea cronica, alopecia, sterilità e teratogenicità da colchicina).
La complicanza a lungo termine più temibile è l’amiloidosi. Essa colpisce prevalentemente i reni, manifestandosi con una proteinuria persistente o ingravescente
fino alla sindrome nefrosica e all’insufficienza renale cronica, ma può interessare anche altri organi come l’intestino
(diarrea e malassorbimento), la milza e il fegato (epatosplenomegalia), il cuore e le ghiandole endocrine. È di tipo AA, come tutte le forme reattive ad infezioni e malattie infiammatorie croniche. Nei pazienti con FMF l’amiloidosi presenta alcuni caratteri peculiari:
• è frequente nei pazienti non trattati e in quelli ebrei di
provenienza nordafricana (90%);
• è ad insorgenza precoce (il 90% di questi pazienti muore al di sotto dei 40 anni e il 6% al di sotto dei 10);
• la presentazione clinica è generalmente con sindrome nefrosica.
La mutazione genetica che maggiormente correla con
lo sviluppo di amiloidosi è l’M694V, probabilmente anche perché si associa ad un fenotipo più severo con attacchi
di maggiore intensità e durata30.
In base ad acquisizioni più recenti, un ulteriore contributo allo sviluppo dell’amiloidosi deriva dal locus della
sieroamiloide (SAA), altra proteina della fase acuta che raggiunge livelli fino a 1000 volte la norma durante gli attacchi32. È stato dimostrato che il genotipo SAA1 a/a accresce il rischio di amiloidosi renale33.
Si definisce fenotipo II della FMF quello di pazienti con
amiloidosi (prevalentemente renale), ma senza storia di attacchi ricorrenti di febbre e sierosite, né altre malattie infiammatorie o infezioni croniche; al più la febbre è riferita dal 10% di essi e non è specifica; l’interessamento articolare è di tipo artralgico e il dolore addominale, quando presente, non è tipico. Si tratta, per lo più, di soggetti
di sesso maschile, con storia familiare di “nefropatia di natura da determinare” che cominciano a manifestare i primi sintomi di amiloidosi (proteinuria, sindrome nefrosica) ad un’età maggiore rispetto ai pazienti con FMF e amiloidosi (fenotipo I)30,34.
Il fenotipo III, infine, è quello di soggetti portatori di due
mutazioni a carico del MEFV, ma inspiegabilmente senza manifestazioni cliniche35.
È stata osservata anche la coesistenza nella stessa famiglia di 2 o addirittura di tutti e 3 i fenotipi possibili. La
spiegazione biologica di tale fenomeno che rientra in
quello più ampio dell’eterogeneità clinica della FMF, non
è ancora nota (difetti di penetranza?)13.
Nella nostra serie, le frequenze relative alle differenti manifestazioni sono sovrapponibili a quelle di casistiche più
ampie, fatta eccezione per una minore incidenza di amiloidosi, verosimilmente da correlare al differente background genetico (Tab. I)29.
Associazione con altre malattie
Il numero delle patologie descritte in associazione con
la FMF è in continuo aumento. Assai spesso si tratta di patologie sempre a carattere infiammatorio (o autoimmuneinfiammatorio) nella cui genesi non è escluso un effetto
favorente delle mutazioni del MEFV, date le supposte attività antinfiammatorie della pirina.
Le associazioni note da più tempo e più frequenti sono
quelle con le vasculiti (la poliarterite nodosa, la porpora
di Henoch-Schoenlein), la fibromialgia e varie forme di
glomerulonefriti36.
La somiglianza tra le manifestazioni della FMF e queste vasculiti possono generare confusione e ritardare la diagnosi.
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Anche i livelli plasmatici di immunoglobuline (Ig) possono essere al di sopra del limite superiore del range di normalità durante gli attacchi. Alcuni ricercatori hanno riportato che IgG, IgA, IgM e IgD sono normali negli intervalli liberi fra gli attacchi, anche se possono permanere elevati i livelli di IgA e di IgD39.
Alcuni gruppi hanno segnalato, infine, valori plasmatici relativamente aumentati dell’enzima di conversione
dell’angiotensina40 e della dopamina β-idrossilasi41.
In caso di amiloidosi renale, all’esame delle urine si riscontrano microalbuminuria e/o proteinuria che possono
essere anche quantizzate, previa raccolta delle 24 ore. In
tal caso si associano a livello plasmatico ipoprotidemia e
ipoalbuminemia. L’aumento degli indici di funzionalità renale e la riduzione della clearance della creatinina sono
usuali nelle fasi terminali dell’insufficienza renale amiloidotica.
Il processo infiammatorio acuto della FMF viene indotto
e mantenuto dalla secrezione di citochine, pertanto, i livelli circolanti di interleuchina (IL)-1, interferone, IL-6,
IL-8 risultano significativamente aumentati durante gli attacchi.
Il fattore di necrosi tumorale (TNF)-α può, invece, risultare stranamente ridotto; a tal proposito si ritiene che
tale citochina venga rilasciata all’inizio dell’attacco in
quantità elevate che decrescono nel corso del processo, per
l’aumento secondario dei suoi specifici recettori solubili
(TNFR p75 e p55) che lo neutralizzano. Questo potrebbe spiegare, almeno in parte, il carattere autolimitante
degli attacchi della FMF42.
Gli esami strumentali possono essere del tutto normali (alterazioni al di sotto della risoluzione della metodica)
o documentare le seguenti alterazioni:
• livelli idroaerei intestinali durante gli attacchi, alla radiografia in bianco dell’addome;
• versamento libero endoaddominale durante gli attacchi, all’ecografia dell’addome;
• versamento pleurico, per lo più monolaterale; slargamento
dell’ombra cardiaca alla radiografia del torace in caso, rispettivamente, di pleurite e pericardite;
• quadro di artrosinovite acuta o cronica alla radiografia
di articolazioni colpite;
• reni di dimensioni globalmente aumentate per infiltrazione amiloidotica, all’ecografia renale nei pazienti con
amiloidosi;
• alterazioni aspecifiche ed incostanti, sopraslivellamento del tratto ST, in caso di pericardite; alterazioni della conduzione in caso di amiloidosi cardiaca, all’elettrocardiogramma;
• sporadiche alterazioni aspecifiche e asintomatiche del ritmo di base, all’elettroencefalogramma.
TABELLA I. Manifestazioni cliniche della febbre mediterranea familiare: confronto tra italiani (nostra casistica personale) ed israeliani.
Manifestazioni cliniche
Febbre
Dolore addominale
Dolore articolare
Dolore toracico
Lesioni cutanee
Mialgie
Lesioni renali
Orchiti
Italiani (%)
Israeliani (%)
92
91
65
52
25
12
7
3
90
90
75
45
25
18
90
4
Da Pras29, modificata.
Tuttavia, le vasculiti associate alla FMF possono presentare delle differenze rispetto alle forme idiopatiche
come nel caso della panarterite nodosa che in forma associata colpisce pazienti più giovani, è spesso precipitata da infezioni streptococciche, si presenta con dolori muscolari e può accompagnarsi ad ematoma perinefritico36.
È degli ultimi anni, invece, il riconoscimento dell’associazione con il morbo di Behçet e con le malattie infiammatorie croniche dell’intestino (IBD). Per quanto riguarda la prima37, FMF e morbo di Behçet condividono
molti aspetti epidemiologici, clinici e fisiopatologici (entrambe sono malattie diffuse nel bacino mediterraneo,
geneticamente determinate in cui i neutrofili giocano il ruolo principale).
Per quanto riguarda la seconda, Cattan et al.38 hanno segnalato un’aumentata incidenza di IBD (8-14 volte) in famiglie affette da FMF; inoltre, le IBD associate a FMF sono apparse clinicamente più severe. L’alta frequenza di associazione riscontrata potrebbe essere dovuta a fattori
epigenetici, a “founder effects” indipendenti o a fattori genetici comuni; a tal proposito va ricordato che il MEFV
è stato escluso come potenziale gene implicato nella patogenesi delle IBD, ma si trova comunque sul cromosoma 16 dove è localizzato, in regione pericentromerica,
l’IBD-1, un locus con stretto linkage con le IBD.
Dati di laboratorio e strumentali
Non esistono test di laboratorio specifici per la diagnosi di FMF.
I comuni esami ematochimici in pazienti con attacco acuto evidenziano un aumento generalizzato, ma transitorio
degli indici di flogosi (velocità di eritrosedimentazione,
proteina C reattiva, SAA, fibrinogeno, ferritina, ceruloplasmina, transferrina, α1-antitripsina, ecc.) e leucocitosi neutrofila (anche fino a 20 000 e più globuli bianchi/mm3) che vanno incontro a completa normalizzazione con la risoluzione della sintomatologia.
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Gabriella Nucera et al.
Il test al metaraminolo (infusione di 10 mg in 500 mL
di soluzione fisiologica e.v.) che evoca un attacco acuto
di FMF nel 50% dei soggetti affetti, in passato eseguito
nei casi sospetti, è attualmente in disuso43.
Nel corso degli anni sono stati elaborati da diversi autori dei criteri di supporto diagnostico (criteri di arthritis
and rheumatism; criteri di Sohar ed Eliakim)8,44,45.
I criteri attualmente più utilizzati sono quelli di TelHashomer (Tab. II)29 la cui importanza risiede nel fatto che
includono anche il fenotipo II, gli attacchi incompleti,
gli episodi esclusivamente febbrili e la risposta alla colchicina.
Nel corso dell’ultima conferenza mondiale, tuttavia,
essi sono stati ulteriormente semplificati nei criteri di
Montpellier del 2002 (episodi ricorrenti di febbre e/o sierosite; risposta favorevole alla colchicina).
Diagnosi
Nonostante l’identificazione del MEFV e la scoperta di
oltre 30 mutazioni a suo carico, ancora oggi, non si dispone
di un test accurato e sicuro per la diagnosi di FMF13 che
rimane esclusivamente clinica.
La diagnosi clinica è facile in presenza di attacchi acuti tipici che si verificano in soggetti appartenenti ai ceppi etnici notoriamente colpiti e con storia familiare positiva per FMF.
Nei pazienti con attacco di tipo peritoneale, all’atto
della prima visita occorre escludere la possibilità che i sintomi siano attribuibili ad altre malattie addominali, come
ad esempio, l’appendicite acuta, la pancreatite acuta, la
porfiria, la colecistite acuta, la chetoacidosi diabetica,
l’occlusione intestinale, la colica renale, le IBD e la malattia infiammatoria pelvica. Alcune delle forme ereditarie di iperlipidemia possono simulare il quadro clinico della FMF, ma lo studio dei lipidi sierici chiarisce la diagnosi
differenziale.
I pazienti affetti da FMF, tuttavia, non sono immuni da
altre malattie e, perciò quando un attacco si presenta con
sintomi insoliti o è particolarmente protratto, è necessario prendere in considerazione altre possibilità diagnostiche.
Talvolta è difficile differenziare le forme ad interessamento pleurico da un’infezione polmonare acuta o da un
infarto polmonare, ma la rapida scomparsa della sintomatologia chiarisce il quesito.
Le manifestazioni articolari possono presentare un decorso più protratto rispetto ad altri sintomi della FMF; è
necessario stabilire una diagnosi differenziale con l’artrite
settica, l’artrite gottosa, la malattia reumatica acuta.
Anche l’eritema cutaneo pone problemi di diagnosi differenziale con una tromboflebite superficiale o una cellulite.
Indipendentemente o meno dall’appartenenza a un determinato gruppo etnico, i pazienti con FMF che costituiscono il più difficile problema diagnostico sono quelli che presentano soltanto febbre. In questi casi è opportuno procedere secondo lo stesso protocollo diagnostico
che si utilizza per le febbri di origine sconosciuta. Questi
casi sono fortunatamente rari e quasi tutti sviluppano in
seguito interessamento delle sierose.
Una difficoltà diagnostica maggiore è il fenotipo II,
caratterizzato da amiloidosi senza attacchi di febbre e
sierositi. L’ipotesi di una FMF va presa in considerazione in tutti i pazienti con malattia amiloidotica (prevalentemente renale: proteinuria persistente, sindrome nefrosica) senza evidenza di infezioni o altre malattie infiammatorie croniche, ma con familiarità per “nefropatia di natura da determinare”, soprattutto se di origine ebrea e
provenienza nordafricana.
Diagnosi genetica
Lo studio genetico delle mutazioni del MEFV non ha
ancora raggiunto l’accuratezza diagnostica auspicabile, anzi la sua introduzione ha comportato una serie di nuovi problemi.
La diagnosi genetica di FMF è considerata positiva
quando sono presenti due mutazioni nel locus del MEFV,
una per ciascun allele, non necessariamente identiche.
Gli individui con la stessa mutazione su entrambi gli alleli si definiscono omozigoti per tale mutazione; quelli con
due mutazioni differenti, eterozigoti compositi.
In presenza di una mutazione o in assenza di qualsiasi
mutazione, il test è considerato non contributivo per la diagnosi genetica, ma ciò non inficia la diagnosi clinica, in
quanto non si può escludere la presenza di mutazioni ancora sconosciute nei casi in cui non si esegua lo screening
completo del gene o la responsabilità di altri loci non ancora identificati negli altri.
Per evitare errori nella diagnosi genetica è bene testare anche i genitori (che possono essere entrambi portatori o presentare, uno solo dei due, un complex allele che è
TABELLA II. Criteri di Tel-Hashomer.
Maggiori
Episodi ricorrenti di febbre accompagnati da peritonite, sinovite o
pleurite
Amiloidosi di tipo AA senza malattie predisponenti
Risposta favorevole alla colchicina
Minori
Episodi febbrili ricorrenti
Eritema simil-erisipela
Febbre mediterranea familiare in un parente di primo grado
Da Pras29, modificata.
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andato incontro a cross-over), ed usare sistematicamente
due tecniche per ogni mutazione.
Le tecniche generalmente utilizzate per lo screening
delle mutazioni del MEFV sono: il “denaturing gradient
gel electrophoresis” nello screening degli esoni, il “restriction fragment length polymorphism” e l’“amplification refractory mutation system” per l’analisi di specifiche mutazioni.
Attualmente, solo il 60% dei pazienti con diagnosi clinica certa di FMF sono omozigoti o eterozigoti compositi
per le mutazioni conosciute.
L’analisi genetica può rivelarsi particolarmente utile
solo nei pazienti con presentazione atipica, in cui si evidenzino due mutazioni del MEFV.
L’eterogeneità clinica, frequentemente osservata in tale malattia, ha una base genetica rappresentata dall’eterogeneità allelica e di locus46.
L’eterogeneità allelica è emersa da tentativi di correlazione genotipo/fenotipo. Finora, vi sono concrete evidenze che le mutazioni M694V, M680I, M694I presentano penetranza completa e alto rischio di amiloidosi, mentre le mutazioni E148Q e V726A sono a bassa penetranza e a basso rischio di amiloidosi. A ciò va aggiunto il “modifying effect” di un allele rispetto all’altro nel caso di eterozigoti compositi (mild + mild = severe) e quello di
eventuali polimorfismi allelici funzionali (che non sono
obbligatoriamente causa della malattia, ma possono comunque influenzarne il fenotipo).
L’eterogeneità di locus, invece, è stata chiamata in causa per spiegare l’eterogeneità clinica osservata in pazienti con mutazioni identiche (individui della stessa famiglia,
ad esempio). “Modifier genes” sono attualmente denominati fattori genetici diversi da quelli causali, appartenenti
ad altri loci, anche molto lontani, in grado di influenzare
l’espressione clinica della malattia. Un esempio è il complesso maggiore di istocompatibilità: esso contiene un
locus, il MICA, capace di modificare il fenotipo FMF. I
pazienti con FMF portatori del MICA A9 hanno una prognosi peggiore rispetto ai portatori del MICA A4.
Non è esclusa neppure la responsabilità diretta di altri
loci (ad esempio geni codificanti per proteine recettoriali della pirina o coinvolte nella trasduzione postrecettoriale
del segnale pirina-indotto, mutazioni del promoter, degli
introni, della regione 3’ non codificante, delezione o splicing alterato con perdita eterozigote di uno o più esoni).
Tutti questi sono i loci candidati nei casi di sindrome simil-FMF, ma senza mutazioni del MEFV.
Di seguito riportiamo un algoritmo (Fig. 2) che intende fornire una traccia per il conseguimento di una diagnosi
corretta di FMF in individui con manifestazioni cliniche
FIGURA 2. Algoritmo diagnostico della febbre mediterranea familiare (FMF).
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Gabriella Nucera et al.
tipiche, atipiche o, anche, asintomatici, elaborato sulla
base dei più recenti e accreditati test disponibili per tale
malattia.
Gli step decisivi dell’albero sono, per l’appunto, rappresentati dall’analisi genetica e dalla risposta alla colchicina.
L’analisi genetica (due mutazioni del MEFV) permette di fare diagnosi certa di FMF anche in assenza di manifestazioni cliniche tipiche o di mancata risposta al trattamento con colchicina.
Nei casi tipici, responsivi alla colchicina, invece, la
diagnosi di FMF è probabile anche quando il test genetico risultasse negativo per le mutazioni attualmente conosciute.
Infine, i pazienti con sintomi suggestivi di FMF, ma
senza mutazioni o con una sola mutazione, necessitano per
la diagnosi di essere sottoposti a test diagnostico-terapeutico con colchicina; in caso di risposta positiva al trial con
colchicina, la diagnosi di FMF verrà giudicata possibile.
L’omissione di una dose giornaliera può essere prontamente seguita da un attacco.
Oltre ad influenzare gli attacchi, la colchicina si è dimostrata in grado anche di prevenire la deposizione della sostanza amiloide. Per tale ragione, attualmente viene
raccomandata anche nei pazienti “non-responders” a dosi di 2 mg/die, a scopo profilattico30.
Resta il problema dei pazienti intolleranti ad essa, per
i quali al momento non si dispone di alcun trattamento alternativo di efficacia sovrapponibile e provata.
Le prime somministrazioni possono essere gravate da
effetti collaterali come sintomi dispeptici o diarrea che, in
genere, migliorano nel prosieguo della terapia o con una
dieta priva di lattosio.
In generale, l’incidenza degli effetti collaterali aumenta nei pazienti anziani e in quelli con insufficienza epatica o renale.
Gli effetti collaterali possono essere: gastrointestinali
(nausea, vomito, dolore addominale e diarrea che migliorano con dieta priva di lattosio); ma anche muscolari, neurologici, ematologici, cutanei e della sfera riproduttiva.
Non esistono al momento alternative terapeutiche di pari efficacia; preliminari ancora i risultati dell’impiego di
farmaci biologici come l’interferone e l’anti-TNF.
Terapia
La colchicina, universalmente conosciuta come farmaco per il trattamento della gotta, rappresenta l’unica terapia efficace, attualmente disponibile, nei pazienti con
FMF. Introdotta per la prima volta nel trattamento della
FMF da Goldfinger47 nel 1972, è un alcaloide neutro, liposolubile che può rivelarsi estremamente tossico in caso di sovradosaggio (livelli plasmatici > 3 ng/mL).
È disponibile in commercio in granuli per os o in fiale
per uso endovenoso (queste ultime non sono distribuite in
Italia).
Il farmaco agisce legandosi alla tubulina ed impedendone la polimerizzazione all’interno dei microtubuli citoplasmatici e nucleari, con conseguente deficit del trasporto intracellulare e della mitosi, riduzione dell’espressione di molecole di adesione e inibizione della chemiotassi nelle cellule polimorfonucleate. Raggiunge elevate
concentrazioni all’interno dei neutrofili perché queste
cellule mancano della glicoproteina P di efflusso48. Tale
caratteristica la rende particolarmente utile nelle malattie
infiammatorie ad elevata attività neutrofila, fra cui la
FMF e il morbo di Behçet.
La colchicina determina, nei “responders”, una risposta
clinica valutabile in termini di riduzione della frequenza,
dell’intensità e della durata degli attacchi (risposta parziale)
o scomparsa completa dei sintomi (risposta completa).
Il trattamento viene generalmente iniziato con dosi di 1
mg/die per os tenendo conto dell’età e del peso corporeo,
tale dosaggio può essere aumentato fino a 1.5-3 mg/die per
os fino ad ottenere una risposta significativa. Dosi più elevate di 1 mg/die devono essere frazionate in più somministrazioni giornaliere.
Prognosi a medio e lungo termine
Nonostante la gravità delle manifestazioni cliniche durante gli attacchi, la maggior parte dei pazienti recupera
alla fine di essi un discreto stato di salute che gli consente una vita pressoché normale negli intervalli liberi con la
possibilità di compiere le abituali attività quotidiane.
Il problema principale è rappresentato dalle lunghe
ospedalizzazioni e dai trattamenti impropri a cui tali pazienti vanno spesso incontro prima della diagnosi corretta. Non è raro che questi pazienti vengano sottoposti a numerosi interventi chirurgici inutili e debilitanti.
Come tutte le patologie sotto o misdiagnosticate è gravata da un importante ritardo diagnostico con conseguente
peggioramento della prognosi a lungo termine (il ritardo
diagnostico massimo osservato nella nostra serie di 130
pazienti è stato di 62 anni; quello medio di 16 anni).
Una malattia di lunga data, non trattata, si associa ad una
maggiore incidenza di amiloidosi che è l’unica complicanza in grado di influenzare la prognosi quoad vitam di
questi pazienti. In Israele i pazienti con FMF rappresentano il 6% di tutti i pazienti trapiantati per amiloidosi. Il
trapianto di un organo in un paziente con amiloidosi è gravato da una maggiore incidenza di sanguinamento (deposizione di amiloide anche a livello dei piccoli vasi, interferenze dell’amiloide con i fattori della coagulazione).
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Ann Ital Med Int Vol 18, N 3 Luglio-Settembre 2003
La percentuale di pazienti che sviluppano recidiva di malattia sul rene trapiantato si aggira intorno al 20%. I pazienti
con FMF e amiloidosi, sottoposti a trapianto di rene, costituiscono un gruppo privilegiato in quanto presentano un
fabbisogno minore di farmaci immunosoppressori, anche
se, dall’altro lato, sono gravati da una maggiore incidenza di tossicità gastrointestinale da colchicina, attribuibile
ad un sinergismo tra questa e la ciclosporina. Tuttavia, i
tassi di sopravvivenza post-trapianto sono accettabili; il picco di mortalità si ha nel periodo immediatamente dopo il
trapianto. Le cause di morte più frequenti sono il rigetto
e la sepsi, da una parte, e la morte cardiaca per interessamento amiloidotico del miocardio, dall’altra. Per tale motivo è mandatorio l’accertamento pre-intervento di interessamento miocardico con metodiche non invasive (risonanza magnetica nucleare, ecocardiografia)49.
Per quanto attiene alla prognosi quoad valetudinem,
essa è fortemente limitata nel corso degli attacchi, mentre negli intervalli liberi è condizionata solo in quei pazienti
che sviluppano le manifestazioni croniche o protratte (peritonite sclerosante, pericardite costrittiva, sindrome nefrosica, artrite cronica distruttiva, ecc.) o in quelli con compromissione della funzione renale che necessitano di trattamento dialitico o di trapianto renale. Uno studio sulla qualità di vita dei pazienti con FMF condotto dal nostro gruppo in collaborazione con l’Istituto di Psichiatria, ha documentato che la FMF interferisce non solo “periodicamente” sia con lo svolgimento delle attività quotidiane che
con il senso di benessere e compromette lo stato emotivo,
la vita sociale e professionale oltre a causare problemi di
ordine medico ai pazienti affetti. La colchicina è in grado di migliorare la qualità di vita, sia durante gli attacchi
che al di fuori (i pazienti che non assumevano colchicina
avevano una qualità di vita costantemente ridotta (≤ 500
su una “point scale” di 1000; 1000 indica il massimo benessere)50.
Dal follow-up a medio e lungo termine di pazienti con
FMF sono emersi anche altri due problemi connessi, in parte, con la malattia di base e, in parte, con il trattamento cronico con colchicina. Si tratta dell’infertilità maschile e femminile e della sicurezza dell’uso della colchicina in gravidanza51.
I maschi affetti da FMF possono presentare non raramente azospermia e deficit di motilità degli spermatozoi
che, a volte, migliorano con la sospensione della terapia,
ma altre volte persistono richiamando la responsabilità anche delle orchiti e dell’amiloidosi testicolare.
Allo stesso modo, le pazienti con FMF possono essere infertili. Tale difetto può essere ascritto ad un’insufficienza
ovarica primaria (effetto dell’infiammazione cronica sull’attività gonadica, infiltrazione amiloidotica) o potrebbe essere
secondaria all’uso di colchicina o ancora essere dovuta a problemi di ordine meccanico (aderenze postperitonitiche che
angolano, distorcono e restringono le tube).
Non è completamente chiarito né nel sesso maschile, né
in quello femminile se la colchicina, di per sé, possa essere responsabile di infertilità.
L’incidenza di infertilità maschile in corso di colchicina è maggiore nel morbo di Behçet nel quale, fra l’altro,
sono più frequenti le orchiti; per quanto riguarda il sesso
femminile, sono stati segnalati casi di donne che hanno
concepito sotto colchicina o di altre che non hanno recuperato la funzione riproduttiva neanche dopo la sospensione del farmaco. Addirittura è stato ipotizzato che la colchicina possa preservare dalla forma di infertilità femminile dovuta a problemi meccanici, in quanto previene la
formazione di aderenze peritoneali.
Per quanto riguarda, infine, la sicurezza dell’uso della
colchicina in gravidanza, sulla base del suo meccanismo
d’azione, è teoricamente ipotizzabile che essa possa avere un effetto sulla divisione del materiale genetico in corso di meiosi/mitosi con conseguente aneuploidia o poliploidia, ma tali alterazioni nelle serie di pazienti finora esaminate non hanno raggiunto mai livelli significativi. In effetti l’incidenza di “miscarriage” nelle donne con FMF
sembra essere superiore a quello della popolazione generale, indipendentemente dalla colchicina. Inoltre, la colchicina non ha dimostrato di aumentare l’incidenza di
parti prematuri o di neonati con basso peso alla nascita,
anzi si è rivelata utile in quelle pazienti che manifestavano un aggravamento della sintomatologia proprio in gravidanza.
Le linee guida attuali consigliano di continuare il trattamento con colchicina durante la gravidanza e di eseguire,
se richiesta, l’amniocentesi nei primi mesi di gestazione52,53.
Conclusioni
La FMF, a lungo considerata una malattia rara nel nostro paese, è presente in Italia. Solide ragioni geografiche
e storiche supportano la sua presenza nel nostro paese.
L’identificazione del gene responsabile ed i primi dati
sulla funzione biologica della proteina implicata, la pirina/marenostrina, hanno richiamato l’attenzione di un gran
numero di scienziati in tutto il mondo.
Essa rappresenta un buon modello per lo studio delle malattie infiammatorie: i progressi finora compiuti nello studio della FMF appaiono applicabili anche ad altre malattie infiammatorie (IBD, artrite reumatoide, ecc.) e possono
contribuire, in particolare, al chiarimento di aspetti di base di due processi biologici fondamentali, l’infiammazione e l’apoptosi.
146
Gabriella Nucera et al.
Riassunto
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La febbre mediterranea familiare (FMF) è una malattia
genetica, autosomico-recessiva che colpisce prevalentemente le popolazioni del bacino Mediterraneo (turchi,
armeni, arabi ed ebrei), tuttavia, un numero crescente di
casi viene segnalato oggigiorno da ogni parte del mondo
(Italia compresa). Descritta per la prima volta nel 1945,
essa ha acquistato maggiore rilevanza negli ultimi anni in
seguito alla scoperta del gene responsabile. Quest’ultimo,
denominato MEFV, codifica per una proteina di 781 aminoacidi, chiamata pirina, che sembra giocare un ruolo
cruciale nel controllo del processo infiammatorio.
Prototipo di una classe emergente di malattie, quella delle malattie ereditarie autoinfiammatorie, la FMF è una causa spesso mis- o sottodiagnosticata di febbre di origine sconosciuta.
La febbre è il sintomo principale; sierositi sterili sono altre manifestazioni comunemente associate. Il quadro clinico classico di tale malattia è in continua espansione: le
correlazioni genotipo-fenotipo, le manifestazioni protratte e quelle al di fuori degli attacchi sono le nuove aree di
interesse, mentre gli studi di biologia molecolare cercano
di chiarirne la patogenesi ancora in gran parte oscura.
La colchicina è ancora il solo farmaco disponibile per
prevenire gli attacchi e lo sviluppo dell’amiloidosi, anche
se non mancano trattamenti alternativi sperimentali.
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Ringraziamenti
Questo articolo è dedicato al Prof. Angelo Serra S.J.,
Docente Emerito di Genetica Umana presso l’Università
Cattolica del Sacro Cuore di Roma dal 1964 al 1989, suscitatore in tutti noi di limpido entusiasmo scientifico per
la Genetica ed esempio di rigore scientifico e morale.
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Manoscritto ricevuto il 10.3.2003, accettato il 9.6.2003.
Per la corrispondenza:
Dr. Raffaele Manna, Istituto di Medicina Interna, Università Cattolica del Sacro Cuore, Policlinico “A. Gemelli”, Largo A. Gemelli 8, 00168
Roma. E-mail: [email protected]
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