BOLLETTINO D’INFORMAZIONE SUI FARMACI | BENE , BRAVO , BIF ! | 255 Largo agli studi osservazionali Benefici e rischi: le prove di efficacia si completano con l’osservazione nella pratica clinica Intervista a Jan P. Vandenbroucke1 e Bruce M. Psaty2 1. Department of Epidemiology, Leiden University Medical Center, Leiden, The Netherlands 2. Medicine & Epidemiology, University of Washington, Cardiovascular Health Research Unit, US Le revisioni sistematiche dovranno nel prossimo futuro integrare i dati ottenuti dagli RCT e dagli studi osservazionali al fine di valutare efficacemente sia i benefici che i danni delle terapie: “L’integrazione tra le evidenze randomizzate e osservazionali per stimare i danni delle terapie mediche può davvero essere una novità per molti ricercatori coinvolti nella produzione di revisioni sistematiche, così come per molti di coloro che «fanno» la farmacoepidemiologia”. Questo il fulcro dell’intervista a Vandenbroucke e Psaty che trae origine da un loro interessante articolo pubblicato sul JAMA°. Ulteriore utile occasione per tornare su un tema caro all’Agenzia Italiana del Farmaco: opportunità, limiti e bias della ricerca clinica. °Vandenbroucke JP, Psaty BM. Benefits and risks of drug treatments. JAMA 2008; 300: 2417-9. Per giudicare i benefici di una terapia farmacologica, il medico spesso dispone di fonti autorevoli che forniscono informazioni: studi randomizzati e revisioni sistematiche e metanalisi di questi studi. Perché ritenete che nel caso degli effetti avversi la situazione sia differente? La durata media di una sperimentazione randomizzata è spesso di mesi o di uno o due anni; il numero medio di pazienti arruolati in uno studio di questo tipo è spesso di dozzine o di poche centinaia. Per queste ragioni queste sperimentazioni sono più funzionali alla scoperta e alla quantificazione di eventi avversi frequenti che occorrono precocemente nel corso della terapia. Inoltre, gli effetti indesiderati devono essere noti in precedenza o anticipati per poter essere registrati sistematicamente durante lo studio. La popolazione oggetto di indagine nel trial, che spesso comprende persone di giovane età con una singola patologia diagnosticata e senza comorbilità, molte volte non è rappresentativa di coloro che, alla fine, utilizzeranno il medicinale nel mondo reale. Volete in certo qual modo mettere in discussione il valore delle sperimentazioni controllate randomizzate, fino ad oggi considerate la pietra angolare della medicina basata sulle prove? Certamente no. Gli studi controllati randomizzati (RCT) sono assolutamente il percorso migliore per valutare i benefici, gli effetti intesi o auspicati dei trattamenti. Il meccanismo di allocazione casuale permette di superare la forte tendenza dei medici di prescrivere le terapie in maniera selettiva sulla base di quella che si suppone possa essere la prognosi e sul probabile esito del problema del paziente. D’accordo: ma una prescrizione “ritagliata” sul paziente individuale non dovrebbe rappresentare un risultato positivo da raggiungere? Certamente; ma questo sforzo rende difficile mettere a confronto i benefici delle diverse terapie, perché i malati ai quali sono prescritte hanno, per l’appunto, prognosi differenti. È quello che viene chiamato “confondimento da indicazione”. AGENZIA ITALIANA DEL FARMACO | BIF XV N. 6 2008 256 AGGIORNAMENTI | BENE, BRAVO, BIF ! | LARGO AGLI STUDI OSSERVAZIONALI Quindi? Quindi, in linea generale, i dati che scaturiscono dalla pratica routinaria di ogni giorno non possono essere usati per valutare i benefici dei trattamenti, specialmente quando si mettano a confronto coloro che usano un medicinale con pazienti che, invece, non lo assumono. Le metanalisi dei trial possono aiutarci a risolvere il problema? La situazione non migliora gran che con questo strumento: la tipica metanalisi di studi randomizzati considera una popolazione tra i 1000 e i 2500 individui di cui solo la metà ha assunto il farmaco. La dimensione del campione preclude una buona quantificazione degli effetti avversi, sempre che questi non occorrano almeno con una frequenza di circa 1 su 200 persone l’anno. Le metanalisi dei trial non risolvono il problema degli effetti avversi che si manifestano tardivamente così come quello della ridotta dimensione del campione di popolazione arruolato nello studio. Le informazioni sui danni dovuti ai medicinali che possiamo ottenere da uno studio del genere sono incomplete ed è anche limitata la possibilità di usare e combinare le informazioni trasversalmente a diversi trial con le revisioni sistematiche. Le metanalisi dei trial non risolvono il problema degli effetti avversi che si manifestano tardivamente così come quello della ridotta dimensione del campione di popolazione arruolato nello studio. Cosa, dunque, bisognerebbe fare per studiare le reazioni avverse nei setting assistenziali “reali”? Saranno sempre necessari studi osservazionali ben disegnati. Ne consegue che le revisioni sistematiche che riguardano farmacoterapie dovranno prendere in considerazione non soltanto i risultati di studi randomizzati sui benefici, ma anche le evidenze derivanti dalla ricerca osservazionale sul danno. In altre parole: i dati che nascono dalla pratica quotidiana possono essere utilizzati assai bene BIF XV N. 6 2008 | AGENZIA ITALIANA DEL FARMACO per approfondire gli effetti avversi dei medicinali? Sì: gli effetti avversi dei nuovi farmaci sono spesso conosciuti o inattesi quando i medicinali vengono messi sul mercato e solitamente non sono collegati alla patologia trattata. Al momento della prescrizione, il medico non è nelle condizioni di prestare attenzione ai rischi di un effetto avverso ancora sconosciuto. I dati osservazionali riflettono meglio la frequenza del danno al quale è esposto il malato nella pratica di ogni giorno. Come dovrebbero essere integrati gli studi osservazionali con gli RCT? È una bella sfida che dovrebbe avvicinare due discipline. Da una parte il mondo delle revisioni sistematiche che usa rigidi protocolli per recuperare e combinare le evidenze riguardanti i benefici dei trattamenti, così come risultano dagli studi randomizzati; dall’altra il mondo della farmacoepidemiologia che usa l’epidemiologia osservazionale per identificare i danni e che è spesso profondamente assorbita dai più sottili aspetti del ragionamento sul rapporto tra cause ed effetti. I due ambiti vedono protagonisti persone diverse che pubblicano su riviste differenti e usano manuali ed approcci diversi. L’integrazione tra le evidenze randomizzate e osservazionali per stimare i danni delle terapie mediche può davvero essere una novità per molti ricercatori coinvolti nella produzione di revisioni sistematiche, così come per molti di coloro che “fanno” la farmacoepidemiologia. Ad ogni modo, per riuscire in futuro a considerare insieme sia le informazioni sui benefici sia quelle sui danni, le revisioni sistematiche dovranno comprendere e integrare trial randomizzati e studi osservazionali. Lavorando in collaborazione con tutte le parti interessate, le agenzie sanitarie e scientifiche europee e degli Stati Uniti dovranno guidare lo sforzo per migliorare l’integrazione sistematica delle informazioni sui rischi e i benefici delle terapie.