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BOLLETTINO D’INFORMAZIONE SUI FARMACI
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Largo agli studi osservazionali
Benefici e rischi: le prove di efficacia si completano
con l’osservazione nella pratica clinica
Intervista a Jan P. Vandenbroucke1
e Bruce M. Psaty2
1. Department of Epidemiology, Leiden University
Medical Center, Leiden, The Netherlands
2. Medicine & Epidemiology, University of
Washington, Cardiovascular Health Research
Unit, US
Le revisioni sistematiche dovranno
nel prossimo futuro integrare i dati ottenuti
dagli RCT e dagli studi osservazionali al fine
di valutare efficacemente sia i benefici
che i danni delle terapie: “L’integrazione
tra le evidenze randomizzate
e osservazionali per stimare i danni
delle terapie mediche può davvero essere
una novità per molti ricercatori coinvolti
nella produzione di revisioni sistematiche,
così come per molti di coloro che «fanno»
la farmacoepidemiologia”.
Questo il fulcro dell’intervista
a Vandenbroucke e Psaty che trae origine
da un loro interessante articolo pubblicato
sul JAMA°. Ulteriore utile occasione per
tornare su un tema caro all’Agenzia Italiana
del Farmaco: opportunità, limiti e bias
della ricerca clinica.
°Vandenbroucke JP, Psaty BM. Benefits and risks
of drug treatments. JAMA 2008; 300: 2417-9.
Per giudicare i benefici di una terapia
farmacologica, il medico spesso dispone di fonti
autorevoli che forniscono informazioni: studi
randomizzati e revisioni sistematiche e metanalisi
di questi studi. Perché ritenete che nel caso degli
effetti avversi la situazione sia differente?
La durata media di una sperimentazione randomizzata
è spesso di mesi o di uno o due anni; il numero medio
di pazienti arruolati in uno studio di questo tipo è
spesso di dozzine o di poche centinaia. Per queste ragioni queste sperimentazioni sono più funzionali alla
scoperta e alla quantificazione di eventi avversi frequenti che occorrono precocemente nel corso della terapia. Inoltre, gli effetti indesiderati devono essere noti
in precedenza o anticipati per poter essere registrati sistematicamente durante lo studio. La popolazione oggetto di indagine nel trial, che spesso comprende
persone di giovane età con una singola patologia diagnosticata e senza comorbilità, molte volte non è rappresentativa di coloro che, alla fine, utilizzeranno il
medicinale nel mondo reale.
Volete in certo qual modo mettere in discussione
il valore delle sperimentazioni controllate
randomizzate, fino ad oggi considerate la pietra
angolare della medicina basata sulle prove?
Certamente no. Gli studi controllati randomizzati
(RCT) sono assolutamente il percorso migliore per valutare i benefici, gli effetti intesi o auspicati dei trattamenti. Il meccanismo di allocazione casuale permette
di superare la forte tendenza dei medici di prescrivere
le terapie in maniera selettiva sulla base di quella che si
suppone possa essere la prognosi e sul probabile esito
del problema del paziente.
D’accordo: ma una prescrizione “ritagliata”
sul paziente individuale non dovrebbe
rappresentare un risultato positivo da raggiungere?
Certamente; ma questo sforzo rende difficile mettere a
confronto i benefici delle diverse terapie, perché i malati ai quali sono prescritte hanno, per l’appunto, prognosi differenti. È quello che viene chiamato “confondimento da indicazione”.
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LARGO AGLI STUDI OSSERVAZIONALI
Quindi?
Quindi, in linea generale, i dati che scaturiscono dalla
pratica routinaria di ogni giorno non possono essere
usati per valutare i benefici dei trattamenti, specialmente quando si mettano a confronto coloro che usano
un medicinale con pazienti che, invece, non lo assumono.
Le metanalisi dei trial possono aiutarci
a risolvere il problema?
La situazione non migliora gran che con questo strumento: la tipica metanalisi di studi randomizzati considera una popolazione tra i 1000 e i 2500 individui di
cui solo la metà ha assunto il farmaco. La dimensione
del campione preclude una buona quantificazione degli effetti avversi, sempre che questi non occorrano almeno con una frequenza di circa 1 su 200 persone
l’anno. Le metanalisi dei trial non risolvono il problema degli effetti avversi che si manifestano tardivamente così come quello della ridotta dimensione del
campione di popolazione arruolato nello studio. Le
informazioni sui danni dovuti ai medicinali che possiamo ottenere da uno studio del genere sono incomplete ed è anche limitata la possibilità di usare e combinare le informazioni trasversalmente a diversi trial
con le revisioni sistematiche.
Le metanalisi dei trial non
risolvono il problema degli effetti
avversi che si manifestano
tardivamente così come quello
della ridotta dimensione
del campione di popolazione
arruolato nello studio.
Cosa, dunque, bisognerebbe fare per studiare
le reazioni avverse nei setting assistenziali “reali”?
Saranno sempre necessari studi osservazionali ben disegnati. Ne consegue che le revisioni sistematiche che
riguardano farmacoterapie dovranno prendere in considerazione non soltanto i risultati di studi randomizzati sui benefici, ma anche le evidenze derivanti dalla
ricerca osservazionale sul danno.
In altre parole: i dati che nascono dalla pratica
quotidiana possono essere utilizzati assai bene
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per approfondire gli effetti avversi dei medicinali?
Sì: gli effetti avversi dei nuovi farmaci sono spesso conosciuti o inattesi quando i medicinali vengono messi
sul mercato e solitamente non sono collegati alla patologia trattata. Al momento della prescrizione, il medico non è nelle condizioni di prestare attenzione ai
rischi di un effetto avverso ancora sconosciuto. I dati
osservazionali riflettono meglio la frequenza del
danno al quale è esposto il malato nella pratica di ogni
giorno.
Come dovrebbero essere integrati gli studi
osservazionali con gli RCT?
È una bella sfida che dovrebbe avvicinare due discipline. Da una parte il mondo delle revisioni sistematiche che usa rigidi protocolli per recuperare e combinare
le evidenze riguardanti i benefici dei trattamenti, così
come risultano dagli studi randomizzati; dall’altra il
mondo della farmacoepidemiologia che usa l’epidemiologia osservazionale per identificare i danni e che è
spesso profondamente assorbita dai più sottili aspetti
del ragionamento sul rapporto tra cause ed effetti. I due
ambiti vedono protagonisti persone diverse che pubblicano su riviste differenti e usano manuali ed approcci diversi.
L’integrazione tra le evidenze randomizzate e osservazionali per stimare i danni delle terapie mediche può
davvero essere una novità per molti ricercatori coinvolti
nella produzione di revisioni sistematiche, così come
per molti di coloro che “fanno” la farmacoepidemiologia. Ad ogni modo, per riuscire in futuro a considerare insieme sia le informazioni sui benefici sia quelle
sui danni, le revisioni sistematiche dovranno comprendere e integrare trial randomizzati e studi osservazionali.
Lavorando in collaborazione con tutte le parti interessate, le agenzie sanitarie e scientifiche europee e degli
Stati Uniti dovranno guidare lo sforzo per migliorare
l’integrazione sistematica delle informazioni sui rischi
e i benefici delle terapie.
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