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Infantino A
La terapia dell’asma: cosa, quanto, quando, ma soprattutto come
Asthma treatment: what, how much, when, and especially how
Sanguinetti CM
Controllo dell’infiammazione nell’asma: presupposti
per un intervento efficace
Control of inflammation in asthma: requirements
for an effective intervention
anno 4 - suppl. 4 - Reg.Trib. Novara n.120 dell’11/11/2005
ISSN 1828-695X
Supplement for GPs
Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (convertito in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1, DCB MILANO
vol.4 suppl.4/october 2009:65s-82s
Associazione Scientifica Interdisciplinare
per lo Studio delle Malattie Respiratorie
4 supplement n. 4
Multidisciplinary Respiratory Medicine
volume
Suppl. MRM GPS 05-09.def:Layout 1 26/10/09 12:47 Pagina 264
MULTIDISCIPLINARY RESPIRATORY MEDICINE
Associazione Scientifica Interdisciplinare
per lo Studio delle Malattie Respiratorie
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La terapia dell’asma: cosa, quanto, quando, ma soprattutto come
Asthma treatment: what, how much, when, and especially how
69s
Antonio Infantino
Rassegna / Review
Controllo dell’infiammazione nell’asma: presupposti
per un intervento efficace
Control of inflammation in asthma: requirements
for an effective intervention
Claudio M. Sanguinetti
72s
INDICE / INDEX
Editoriale / Editorial
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Editoriale / Editorial
La terapia dell’asma: cosa, quanto, quando,
ma soprattutto come
Asthma treatment: what, how much, when,
and especially how
Antonio Infantino
AIMEF – Associazione Italiana Medici di Famiglia, Responsabile Nazionale Dipartimento di Pneumologia
Nel corso degli anni le conoscenze della medicina
sulle malattie si evolvono di pari passo con la scoperta di nuovi fattori etiologici, di nuovi meccanismi patogenetici, di ulteriori strumenti o metodiche
diagnostiche e fortunatamente anche di nuovi farmaci e strategie terapeutiche o gestionali che sostituiscono o si aggiungono a quanto fino a quel
punto conosciuto.
Parallelamente a questo complesso e articolato processo, che in una parola si potrebbe definire come
“ricerca clinica”, le malattie modificano il loro
impatto sulla salute e sulla qualità di vita di chi ne
è affetto grazie ad un miglioramento globale della
prognosi e spesso dell’incidenza, lì dove dai risultati della ricerca scaturiscano o sia possibile affinare
anche le strategie di prevenzione.
Naturalmente i progressi della medicina non sono
purtroppo così scontati e pieni in ogni caso, e questo è particolarmente vero nell’ambito delle malattie croniche dell’apparato respiratorio, dove la
BPCO risulta ancora essere una patologia in forte
aumento così come la sua mortalità prevista nel
prossimo decennio, o l’asma, malattia che negli
ultimi 15-20 anni è profondamente mutata, dimostrando un andamento meno aggressivo, pur a fronte di un netto aumento della sua incidenza e prevalenza.
Chi di noi ha studiato l’asma bronchiale da studente
sul Teodori alla fine degli anni Settanta, ricorderà
che la sua espressione clinica era essenzialmente
messa in relazione alle modificazioni funzionali dei
bronchi e quindi al broncospasmo come sintomo, e
che il suo approccio terapeutico era prevalentemente basato sull’uso dei broncodilatatori betaadrenergici per uso topico (BA) pressocché solo di
tipo short-acting (SABA).
Successivamente l’attenzione si è focalizzata sulla
natura infiammatoria della malattia, sulla sua cellularità, sulle sedi dell’infiammazione localizzata
tanto nelle grandi quanto nelle piccole vie aeree e
sull’uso dei farmaci antinfiammatori corticosteroidei per uso topico (ICS) che hanno cominciato ad
affiancare i broncodilatatori inalatori nell’armamentario terapeutico a disposizione, divenendone
presto il cardine.
Ma come con il solo uso dei broncodilatatori shorte/o long-acting (LABA) la malattia non è risultata
mai sufficientemente controllata, anche l’impiego
degli ICS nella sola fase di esacerbazione dei sintomi non ha portato ad un controllo della malattia
soddisfacente. L’approfondimento di questo aspetto
ha quindi portato a definire il concetto di cronicità
dell’infiammazione, presente nell’epitelio bronchiale anche quando la malattia appariva asintomatica, e pertanto all’introduzione dell’uso degli ICS a
lungo termine e per mesi, non già per settimane.
La necessità della somministrazione precoce e a
lungo termine degli ICS nella terapia dell’asma, più
o meno associata ai BA, ha avuto il suo riconoscimento scientifico grazie alla evidenza che la flogosi
bronchiale, persistente perché non opportunamente
trattata per dosi di farmaco e per tempi di terapia,
portava al “rimodellamento” delle vie aeree, altra
pietra miliare nella conoscenza di questa insidiosa
patologia. Il rimodellamento della parete bronchiale, quell’insieme di alterazioni strutturali del bronco, fra le quali spicca la fibrosi sottoepiteliale per la
sua correlazione diretta con la gravità della malattia, una volta instauratasi rende irreversibile il ripristino del normale calibro dei bronchi e della loro
funzione, ed è quindi condizione da prevenire e
curare adeguatamente. Ma anche questo concetto
+ Antonio Infantino
Via P. Tibaldi 1, 70010 Casamassima (BA), Italia
email: [email protected]
Multidisciplinary Respiratory Medicine 2009;4(suppl.4):69s-71s
MRM
69s
Multidisciplinary Respiratory Medicine 2009;4(suppl.4):69s-71s
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70 MRM
ha impiegato diversi anni per essere metabolizzato
dalla classe medica e forse non lo è ancora del
tutto.
Da qualche anno gli studiosi dell’asma verificano
ancora che, nonostante l’implementazione delle
linee guida e la disponibilità di farmaci di provata
efficacia, molti pazienti stentano ancora a tenere
sotto controllo la loro malattia, e l’attenzione della
comunità scientifica si è pertanto concentrata nel
cercare di comprendere quali altre ragioni potessero ancora essere alla base dello scarso controllo
dell’asma per un ancora troppo ampio numero di
pazienti.
Un’attenta e ordinata analisi di questi aspetti e delle
loro soluzioni è riportata in un recente articolo [1]
frutto di una ricerca eseguita da un gruppo collaborativo internazionale, sotto l’egida dell’IPCRG
(International Primary Care Respiratory Group) nel
setting delle cure primarie, e cioè proprio in quel
contesto dove l’asma viene principalmente gestita,
partendo dal presupposto che il controllo dell’asma
rimane un obiettivo sfuggente per la maggioranza
degli asmatici nel mondo, nonostante i progressi.
Fra le cause alla base dello scarso controllo gli
autori hanno individuato l’errata diagnosi, il fumo
di sigaretta, la comorbilità con la rinite, la variabilità di risposta ai farmaci legata a fattori individuali,
la cattiva tecnica di inalazione ed infine la scarsa
aderenza al trattamento da parte dei pazienti.
A mio avviso queste due ultime cause rappresentano, se ben affrontate e risolte, l’ennesimo passo
epocale nel trattamento di questa malattia dopo
quelli che hanno rappresentato i principali momenti evolutivi nella gestione dell’asma nell’ultimo ventennio, quali la definizione della sua natura infiammatoria cronica, del rimodellamento bronchiale
come causa di aggravamento ed irreversibilità, e la
terapia di prima scelta a lungo termine con i corticosteroidi inalatori fin dalle fasi precoci della
malattia associati ai LABA negli stadi medio-avanzati.
C’è grande fermento infatti nella comunità scientifica internazionale su questi temi che in qualche
modo coincidono visto che non utilizzare in maniera appropriata un device equivale, per quanto non
intenzionalmente, a non aderire allo schema terapeutico. Certo le cause di non aderenza sono molte
e spesso complesse, atteso che esse possano essere
anche intenzionali come nel caso dell’abbandono
o della riduzione della terapia per paura degli effetti
collaterali dei farmaci, steroidei in particolare, sottostimando il paziente la necessità di una terapia
quotidiana e prolungata nel tempo a fronte di una
sintomatologia che appare spesso episodica e che
altrettanto spesso il paziente si abitua anche a tollerare. Ma le problematiche collegate al corretto
impiego degli inalatori sono il punto chiave della
questione, tanto da assurgere ad una importanza
almeno pari a quella della scelta dei farmaci che
essi veicolano [2] visto che, per di più, non c’è far-
maco inalatorio meno attivo di quello che non
viene inalato!
Quante volte chiediamo ai nostri pazienti se hanno
assunto nella giornata il numero di compresse o di
bustine da noi prescritto? Spessissimo. Ma non ci
sogniamo neanche di chiedere loro se hanno assunto le compresse o le bustine per via orale perché è
talmente ovvio oltre che semplice. Ma pensate per
assurdo se il paziente anziché ingerire la compressa
la inalasse o anziché praticare un farmaco per via
intramuscolare se lo frizionasse sulla pelle, eccetera… di fatto non praticherebbe alcuna terapia!
Quindi non è importante solo cosa, quanto e quando, ma è fondamentale il come la terapia viene praticata. E questo è quanto mai vero per la terapia
delle malattie ostruttive dell’apparato respiratorio
come l’asma o la BPCO, dove si può dire che quasi
la totalità dei farmaci di prima scelta viene somministrata per via inalatoria. Come “per la compressa
inalata”, deglutire il farmaco anziché inalarlo equivale a far male la terapia fino al paradosso di non
farla per niente, lasciando la malattia al suo destino, e non accertarsi ad ogni visita di controllo della
corretta tecnica di inalazione è un comportamento
almeno colposo per il medico. Oggi il medico ha a
sua disposizione un gran numero di device con i
quali impostare la terapia [2], dando per scontata la
corretta scelta dei farmaci contenuti, siano essi
sotto forma di polveri secche oppure in forma gassosa all’interno di bombolette pressurizzate.
Ognuno di loro, piccoli gioielli di tecnologia, ha
caratteristiche che meglio si adattano ad un paziente piuttosto che ad un altro, caratteristiche sempre
studiate a monte dall’ingegneria biomedica sulla
base delle complesse interazioni fra la fisica degli
aerosol, le caratteristiche del farmaco e le peculiarità del paziente (età, grado di istruzione, stadio
della malattia, pattern respiratorio, eccetera), perseguendo la miglior resa terapeutica attraverso una
minor velocità del flusso di farmaco all’inalazione,
di una minor necessità di coordinazione manorespiro, di una maggiore omogeneità e minore
dimensione delle particelle aerosolizzate e della
possibilità di aggredire anche la flogosi delle vie
aeree più periferiche, come nel caso degli ultimi
nati, i PDI realizzati con la sofisticata Tecnologia
Modulite.
L’educazione all’uso degli inalatori è fondamentale
fin dalla prima prescrizione visto che solo il 50%
dei pazienti finisce per usarli correttamente [3], ma
è altresì importante che sia il medico a scegliere il
tipo di inalatore che ritiene adatto per quel determinato paziente mettendolo così nelle migliori condizioni di aderire quanto più possibile alle sue prescrizioni e rendendo così efficace qualsiasi tipo di
device [4,5]. Questi aspetti devono essere particolarmente curati nel setting della medicina di famiglia dove il numero dei pazienti con asma ben controllato si riduce alla metà rispetto al numero dei
pazienti trattati dagli specialisti [6].
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A Infantino
Editoriale - Editorial
Bibliografia
MRM
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Rassegna / Review
Controllo dell’infiammazione nell’asma:
presupposti per un intervento efficace
Control of inflammation in asthma: requirements
for an effective intervention
Claudio M. Sanguinetti
UOC di Pneumologia, AO San Filippo Neri, Roma
RIASSUNTO
L’asma è una malattia infiammatoria che interessa sia le grandi
che le piccole vie aeree (cioè i bronchioli con diametro interno
compreso fra 0,5 e 2 mm). L’infiammazione, specie se lasciata
incontrollata, può determinare un rimodellamento strutturale
delle vie aeree che è alla base della sintomatologia cronica, dell’iperreattività bronchiale e delle alterazioni funzionali respiratorie di tipo ostruttivo.
I farmaci che controllano l’infiammazione e migliorano la pervietà delle vie aeree sono fondamentali per il controllo della
malattia e debbono poter raggiungere tutti i siti di alterazione
patologica. Rispetto agli inalatori spray predosati (pMDI) classici con clorofluorocarburi (CFC) come propellente, i nuovi
pMDI con idrofluoroalcani (HFA) e la tecnologia di erogazione
Modulite® consentono l’erogazione di particelle più fini che
possono raggiungere anche le piccole vie aeree, permettendo
un controllo globale della flogosi asmatica.
Parole chiave: Asma, broncodilatatori, corticosteroidi, HFA,
infiammazione, piccole vie aeree, rimodellamento, tecnologia
Modulite®.
ABSTRACT
Asthma is an inflammatory disease affecting both large and
small airways (bronchioles with an internal diameter of 0.5-2
mm). The inflammation, especially when uncontrolled, may
cause an airways remodelling which is the basis of chronic
symptoms, hyperreactivity, and obstructive alterations in respiratory function tests. Drugs able to attenuate the inflammation and improve airway patency are fundamental for controlling the disease, and they should reach all sites of pathologic derangement. Compared to classic chlorofluorocarbon
(CFC)-propelled metered dose inhalers (pMDIs), the new
hydrofluoroalkane (HFA)-pMDIs and the Modulite® technology deliver extrafine particles that can also reach the small airways enabling a global control of the asthmatic syndrome.
Keywords: Asthma, bronchodilators, corticosteroids, HFA,
inflammation, Modulite® technology, remodeling, small airways.
Asma, malattia infiammatoria cronica
L’asma è una malattia cronica particolarmente diffusa in tutto il mondo e in Italia la sua prevalenza è del
3-5% negli adulti e del 10% nei bambini, con costi
sanitari e sociali alquanto rilevanti.
La definizione corrente di questa malattia precisa
che l’asma è una condizione infiammatoria cronica
delle vie aeree cui partecipano molti tipi cellulari,
che si associa a iperresponsività delle vie aeree e
che porta a episodi ricorrenti di respiro sibilante,
dispnea, costrizione toracica e tosse, particolarmente di notte o nelle prime ore del mattino. Tali
episodi sono generalmente associati ad una diffusa,
ma variabile bronco-ostruzione, che spesso regredisce sia spontaneamente che in seguito al trattamento [1].
La scoperta ormai non più recente [2] che l’esposizione a fattori irritanti può determinare alterazioni
infiammatorie e funzionali delle vie aeree, correlando la flogosi alla reattività bronchiale e alle espressioni sintomatologiche, ha confermato il concetto
di asma come caratterizzata da una risposta infiammatoria del tutto particolare delle vie aeree [3]. Si è
quindi aperta la strada a innumerevoli studi che
hanno avuto come obiettivo non solo quello di
caratterizzare meglio la flogosi stessa, per poterne
definire le sedi prevalenti [4,5] e gli specifici costituenti cito-umorali [6-8], ma anche per associarne
le peculiari caratteristiche con le più frequenti
+ Claudio M. Sanguinetti
UOC di Pneumologia, AO San Filippo Neri
Via Martinotti 20, 00135 Roma, Italia
email: [email protected]
Data di arrivo del testo: 24/06/09 – Accettato per la pubblicazione: 27/07/2009
Multidisciplinary Respiratory Medicine 2009;4(suppl.4):72s-82s
72s MRM
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di un aumentato numero di eosinofili sia nel sangue
che nelle secrezioni delle vie respiratorie ed è stata
osservata una correlazione diretta fra quantità di tali
cellule e gravità della malattia [6,18]. Tuttavia esistono dei fenotipi, spesso con espressione clinica di
maggiore gravità, ma pure di entità più lieve, in cui
non si osserva aumento degli eosinofili, a riprova
dell’esistenza di una pluralità di fenotipi diversi
ricompresi sotto l’ampio ombrello della sindrome
asmatica [19,20]. È inoltre importante sottolineare
che nel fenotipo con evidente incremento degli
eosinofili le alterazioni strutturali dell’albero respiratorio sono sempre presenti e molto più marcate.
Le mastcellule sono gli elementi cellulari critici
della reazione asmatica immediata conseguente al
contatto con l’allergene, specie quei tipi cellulari
che si trovano più superficialmente nella mucosa
bronchiale, mentre quelli situati più profondamente
nella parete bronchiale e anche nei bronchioli più
periferici avrebbero una maggiore responsabilità
nel mantenimento di una infiammazione cronica,
partecipando al processo di rimodellamento strutturale tramite la stimolazione della fibrogenesi e dell’ipertrofia del muscolo liscio delle vie aeree [2123]. Una volta attivate, le mastcellule rilasciano
mediatori preformati come l’istamina, la triptasi e
altre proteasi, eparina e alcune citochine, come
pure elementi di nuova formazione come la prostaglandina D2, il trombossano A2 e i cisteinil-leucotrieni C4 e D4, che esercitano tutti un potente stimolo alla contrazione del muscolo liscio bronchiale e alla permeabilità microvascolare [12,21].
Nell’asma cronico particolare rilievo hanno anche i
monociti e i macrofagi, che sono una fonte di cisteinil-leucotrieni, di radicali ossidanti e di vari enzimi,
contribuendo in maniera attiva al rimodellamento
delle vie aeree. Il ruolo dei granulociti basofili nella
patogenesi dell’asma non è ancora completamente
chiarito [12].
La presenza di granulociti neutrofili è molto frequente nelle secrezioni bronchiali di pazienti con
asma, soprattutto quando la malattia abbia una
maggiore gravità [24] e sia presente un elevato
grado di ostruzione bronchiale [25], quasi a significare un possibile rapporto consequenziale fra neutrofilia delle vie aeree e bronco-ostruzione cronica
[10]. Il contenuto di neutrofili e di loro prodotti
nelle secrezioni delle vie aeree è apparso aumentato anche nelle riacutizzazioni gravi di asma, sia che
esse siano precedute da una flogosi delle alte vie
aeree [26], sia in assenza di evidenti fattori scatenanti di tipo infettivo [27].
Il substrato immunoallergico dell’asma non allergico è assimilabile a quello delle forme allergiche,
anche se con variazioni relative alla composizione
cellulare della flogosi [12,28]. Diversi marker di
infiammazione bronchiale evidenziabili nell’espettorato indotto, e in particolare il livello di eosinofili
e dei loro mediatori, sono stati correlati con i dati
clinici e funzionali nell’asma, ma i risultati non
sono apparsi univoci [29-31].
Il processo di conoscenza dei meccanismi immunopatologici e dello spettro dei fenotipi dell’asma è
CM Sanguinetti
Controllo dell’infiammazione nell’asma - Control of inflammation in asthma
espressioni cliniche, in modo da determinare quali
apporti farmacologici siano maggiormente adatti a
ottenere il controllo della malattia, che è l’obiettivo
cardine della terapia dell’asma. Questi studi hanno
anche evidenziato come l’infiammazione delle vie
aeree e il loro conseguente rimodellamento siano
presenti in tutte le fasi di malattia e anche nelle
forme lievi di asma [9].
La definizione di asma bronchiale sopra riportata,
cioè quella che si legge nelle linee guida internazionali e nazionali, esprime una visione piuttosto unitaria della malattia, mentre si va sempre più affermando, sulla base di numerose dimostrazioni, il
concetto di asma come malattia eterogenea, che
comprende fenotipi diversi per base genetica, meccanismi patogenetici, espressione clinica e risposta
alla terapia. Questo rappresenta anche lo stimolo
per uno sforzo a comprendere meglio e più compiutamente i vari tipi clinici e molecolari dell’asma,
così che i singoli pazienti o gruppi di pazienti possano ricevere il trattamento più adatto alle loro
caratteristiche [10].
L’infiammazione nell’asma è un processo multicellulare che coinvolge eosinofili, neutrofili, T-linfociti,
mastociti e altri tipi cellulari [11] e tale processo
sembra inizialmente confinato alle vie aeree di conduzione, estendendosi poi nel suo decorso anche a
distretti più periferici [12].
Numerosi studi hanno dimostrato che le cellule T
del tipo CD4+ hanno un ruolo centrale in questo
contesto, specialmente per ciò che riguarda il loro
sottogruppo Th2: infatti nei soggetti asmatici si reperisce un profilo citochinico proprio di questo sottogruppo, in cui, oltre alle interleuchine (IL)-3-4-5-69, la IL-13 rappresenta un elemento di spicco per la
sua dimostrata capacità di indurre l’asma in esperimenti su animali [8,13].
Vi è al momento sufficiente evidenza che, almeno
nelle forme di asma da lieve a moderato, nelle vie
aeree vi è una marcata prevalenza di cellule Th2 [14],
ma quando la malattia si avvia verso fasi di maggior
aggravamento e cronicizzazione, diviene più frequente il reperto di cellule di tipo Th1, le quali secernono anche il fattore di necrosi tumorale (TNF)-α e
l’interferone gamma (IFN-γ), che hanno potenzialità
molto aggressive, rappresentando il tramite del maggiore danno tessutale che è presente in queste forme
di asma [15].
L’epitelio delle vie aeree esercita un’importante
funzione di barriera fisica, ma è stato dimostrato
che esso ha un ruolo fondamentale anche nella
patogenesi dell’asma e in prelievi bioptici presenta
aree di metaplasia e di danno, con ispessimento
della membrana basale sottoepiteliale, associate
alle lesioni muscolari e vascolari tipiche del rimodellamento [16]. L’epitelio delle vie aeree è in
grado di rispondere alla stimolazione esercitata da
fattori ambientali come gli allergeni e i virus, favorendo la differenziazione delle cellule dendritiche
(cellule di processazione e presentazione dell’antigene ai linfociti T) e dei linfociti T CD4+ con richiamo e accumulo di eosinofili e macrofagi [17].
In effetti è reperto paradigmatico dell’asma quello
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in continua evoluzione e man mano si rafforza il
concetto di asma come sindrome che sottende
entità cliniche e fisiopatologiche completamente
diverse. Infatti alle forme più lievi, cioè quelle allergiche basate su una infiammazione Th2 mediata, si
associano le malattie con sintomatologia più grave
e cronica in cui può almeno parzialmente verificarsi un’alterazione dei rapporti epitelio-mesenchimali, con produzione di fattori di crescita e di citochine che perpetuano l’infiammazione, a sua volta
substrato per stimoli ambientali di vario tipo oltre
agli allergeni, e infine anche le forme in cui il difetto di comunicazione tra epitelio e mesenchima è
dominante e si realizzano i gradi più elevati di
rimodellamento e di broncocostrizione. Perché
questa condizione si realizzi debbono coesistere il
persistere di una rilevante reattività da parte della
via aerea strutturalmente rimaneggiata e un
microambiente in grado di sostenere cronicamente
la risposta infiammatoria [16].
Il rimodellamento delle vie aeree
La prima descrizione del rimaneggiamento strutturale delle vie aeree che può verificarsi nell’asma
risale agli inizi del secolo scorso sulla base di reperti autoptici in soggetti morti per questa malattia
[32]. Sul piano clinico il rimodellamento è definibile come ostruzione bronchiale persistente nonostante l’intrapresa di terapie anti-infiammatorie, ed
esso consiste essenzialmente in: perdita della integrità epiteliale, ispessimento della membrana basale, fibrosi subepiteliale, ipertrofia delle cellule caliciformi e delle ghiandole sottomucose, incremento
della massa muscolare liscia delle vie aeree, diminuzione dell’integrità cartilaginea, aumento della
vascolarizzazione delle vie aeree [33].
Dal punto di vista clinico è stata trovata correlazione fra estensione del danno epiteliale e grado di
iperreattività bronchiale, a significare un diretto
rapporto fra perdita dell’integrità epiteliale e predisposizione all’asma e alla sua evoluzione verso una
condizione di maggiore gravità [34-37].
La fibrosi sottoepiteliale è stata descritta in casi di
asma di gravità diversa e anche in soggetti affetti da
rinite allergica e si determina per deposizione da
parte dei fibroblasti di proteine della matrice cellulare come i collageni I, III e V, la fibronectina, la
tenascina e altri [38-41]. È stata segnalata una correlazione diretta tra questa alterazione della struttura sottoepiteliale e la gravità dell’asma: nei pazienti
più compromessi è infatti costante il reperto di
ispessimento della membrana basale [42]. Sulla
base di esperimenti nell’animale e di studi nell’uomo è stato supposto che tale rimodellamento della
parete bronchiale potrebbe avere una finalità protettiva, rendendo la parete stessa più resistente alla
contrazione, ma questa almeno per ora rimane
un’ipotesi [43,44].
Quello che invece appare evidente è che nell’asmatico il muscolo liscio delle vie aeree è aumentato
sia in termini di volume che di numero di fibre ed è
noto che le cellule muscolari sono in grado di rilasciare citochine pro-infiammatorie, contribuendo al
rimodellamento [45].
L’iperplasia delle cellule caliciformi e delle ghiandole della sottomucosa bronchiale è all’origine dell’ostruzione bronco-bronchiolare per accumulo di
secreto vischioso e denso che si osserva nei casi
gravi e fatali di asma [46].
L’edema della parete è un altro aspetto caratteristico delle trasformazioni che avvengono nella struttura bronchiale e ad esso contribuisce in maniera
determinante la formazione di nuovi microcapillari
associata ad un’aumentata espressione di fattori di
crescita vascolare [47,48].
Un fenomeno collaterale, ma egualmente importante, è l’aumento della rete nervosa nella parete
bronchiale dell’asmatico, attraverso l’intermediazione di fattori di crescita e di neurotrofine, con
conseguente alterazione della regolazione neurogena [49].
La consapevolezza che il rimodellamento delle vie
aeree nell’asma può portare ad una perdita irreversibile di funzione respiratoria è di stimolo al riconoscimento precoce della sua presenza.
L’infiammazione persistente delle vie aeree è un
importante fattore che contribuisce al rimodellamento della parete bronchiale attraverso la produzione di mediatori e fattori di crescita, come il
TGF-β1 secreto dagli eosinofili. Tuttavia, sulla base
di osservazioni che indicano come i farmaci antinfiammatori non sempre siano in grado di controllare la flogosi e impedire il rimodellamento, probabilmente altri fattori entrano in gioco nell’alterazione
strutturale, almeno in alcuni pazienti asmatici in cui
la malattia evolve verso livelli di estrema gravità
nonostante un corretto approccio terapeutico, e tra
essi sicuramente ha ruolo molto importante il fatto
che i farmaci riescano a raggiungere il distretto
delle piccole vie aeree. Infatti la problematica del
rimodellamento induce a considerazioni anche
sulla sede del rimaneggiamento strutturale all’interno del sistema respiratorio: studi basati su metodiche diverse, contrariamente a quanto ritenuto in
passato, hanno dimostrato nell’asma l’interessamento diffuso di tutto il tratto respiratorio, anche di
quello più periferico.
Asma, malattia delle grandi e piccole vie aeree
Le piccole vie aeree, per definizione bronchioli con
diametro interno inferiore ai 2 mm (da 0,5 a 2 mm),
tappezzati da un minor numero di cellule ciliate e
privi di struttura cartilaginea, ma con evidente strato muscolare [4,50], identificabili con i bronchioli
terminali e respiratori, cioè le diramazioni bronchiali comprese fra la settima e la diciannovesima
generazione, hanno una minore capacità di eliminare le secrezioni, ma una parete particolarmente
adattabile alle modificazioni di calibro per cui sono
maggiormente influenzate dalle variazioni di volume del polmone [51]. Questa zona più periferica
del polmone appare essere una sede molto importante di infiammazione nella sindrome asmatica
[52]. Infatti, riscontri autoptici hanno dimostrato la
presenza di infiltrato infiammatorio, soprattutto
linfocitario ed eosinofilo, lungo tutto l’albero bron-
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aumento dell’attività chemiotattica sia nella circolazione sistemica che in quella polmonare e poiché
le piccole vie aeree sono il tramite più diretto di
comunicazione fra questi due distretti vascolari, è
in quella sede che si ha il maggior accumulo di cellule potenzialmente molto attive in termini di
danno strutturale e funzionale. Inoltre l’epitelio
bronchiolo-alveolare libera nell’asma una rilevante
quantità di eotassina e di proteina 4 chemiotattica
per i monociti, che hanno potente azione di richiamo degli eosinofili. D’altra parte anche le cellule di
Clara che rivestono le piccole vie aeree producono
una proteina (CC10) che ha effetti immunomodulatori e antinfiammatori e tale proteina è risultata
ridotta in diverse malattie respiratorie croniche, tra
cui l’asma [62].
La presenza di spiccata infiammazione a livello
delle piccole vie aeree si associa ad aumento della
resistenza al flusso aereo a questo livello, come
dimostrato in pazienti asmatici con la misura diretta
della resistenza mediante catetere munito di manometro alla sua estremità, introdotto nei bronchioli
di piccolo calibro. Tale manovra dimostrava un
significativo incremento della resistenza a livello
delle piccole vie aeree e solo una lieve tendenza
all’aumento nei grossi bronchi [63].
Vi sono comunque ancora degli aspetti da chiarire
per quanto concerne il preciso ruolo delle piccole
vie aeree nell’asma e più specificamente in quali
fenotipi di asma esse siano particolarmente implicate, anche perché gli studi basati su reperti autoptici e bioptici non sono numerosi ed estesi. Tuttavia,
quello che al momento è certo è che la flogosi
nell’asma è estesa a tutto l’albero bronchiale e
anche al parenchima polmonare e questo ha delle
importanti conseguenze di ordine terapeutico.
Essendo infatti la terapia di questa affezione, come
del resto altre malattie respiratorie, basata sostanzialmente sull’uso di spray dosati e polveri per inalazione, le dimensioni delle particelle erogate e la
tecnica di erogazione debbono essere tali da consentire la deposizione del farmaco anche a livello
delle piccole vie aeree, il che si traduce in un
miglior controllo della malattia con una minore
assunzione di farmaco da parte del paziente.
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Controllo dell’infiammazione nell’asma - Control of inflammation in asthma
chiale, sia centrale che periferico [46,53], e addirittura anche a livello alveolare [54], ma con disposizione diversa nei differenti distretti, per cui nelle vie
aeree maggiori le cellule infiammatorie si trovano
particolarmente fra la membrana basale e il muscolo liscio, mentre nelle piccole vie aeree la loro presenza è reperibile maggiormente fra il muscolo
liscio e gli attacchi alveolari [55]. Nei soggetti affetti
da asma notturno il richiamo di eosinofili nelle piccole vie aeree è correlato direttamente con il decremento notturno del valore di FEV1 [55].
Questa diversa localizzazione degli elementi
infiammatori, specie eosinofili, nelle grandi e nelle
piccole vie aeree nell’asma potrebbe condizionare
alterazioni fisiopatologiche differenti a seconda del
distretto. Infatti nelle piccole vie aeree la broncoostruzione potrebbe essere prevalentemente determinata, oltre che dal rimaneggiamento strutturale
della parete, anche dalla perdita di attacchi alveolo-bronchiolari, che in condizioni di normalità
mantengono pervi i bronchioli. Invece a livello
delle vie aeree di maggior calibro la presenza prevalente di eosinofili e di loro prodotti in sede subepiteliale, a diretto contatto con il muscolo liscio e
anche al suo interno, può rappresentare stimolo per
una maggiore contrazione del muscolo stesso.
Nei soggetti normali le piccole vie aeree contribuiscono solo per il 10% alla resistenza totale [50,56],
tanto che esse sono state denominate “silent zone”
(zona muta) perché la loro ostruzione determina
solo piccole variazioni dei test convenzionali di
misura della funzione respiratoria. Forse per questo
in passato si era affermato che tale distretto dell’albero respiratorio è scarsamente interessato nell’asma [57], opinione tuttavia successivamente smentita [58]. In verità, sono state impiegate numerose
tecniche per lo studio delle piccole vie aeree, sia
invasive – come le biopsie per via broncoscopica e
la misura diretta delle resistenze delle piccole vie
aeree con catetere endobronchiale - che non invasive - quali l’analisi del tratto sforzo-indipendente
della curva flusso-volume, della pendenza della
fase III del wash-out dell’azoto, il rapporto isovolumetrico dei flussi su curve di espirazione forzata
massimali e parziali; le metodiche radiologiche di
imaging come la TAC ad alta risoluzione e altre -.
Nessun singolo metodo disponibile è ancora sufficientemente adeguato per misurare da solo la funzionalità delle piccole vie aeree; inoltre le metodiche di valutazione funzionale basate sull’espirazione forzata, che sono le più facili da eseguire e le più
correntemente impiegate, non hanno dimostrato
correlazione con la gravità dell’infiammazione a
livello delle vie aeree distali [59].
Stabilito ormai che la flogosi nell’asma interessa
tutte le vie aeree di vario calibro, alcuni studi hanno
anche evidenziato come l’infiammazione possa
essere particolarmente marcata nel distretto delle
piccole vie aeree [60], con presenza di eosinofili
attivati (cellule EG2+) e produzione prevalente di
alcune citochine (IL-4 e IL-5) rispetto ai bronchi di
maggior calibro [61]. Tale reperto viene da alcuni
autori [51] interpretato come espressione di un
Caratteristiche fisico-chimiche dell’inalato ed efficacia terapeutica
Lo scopo principale della terapia dell’asma è di
curare l’infiammazione delle vie aeree, attenuando
o abolendo l’iperreattività bronchiale e la sintomatologia ad essa conseguente, eliminando gli episodi
di riacutizzazione e ottenendo in sintesi quello che
viene definito il “controllo” della malattia, con
miglioramento sensibile della qualità di vita del
paziente. Per questo scopo il trattamento dell’asma
si basa essenzialmente su due classi di farmaci: i
cosiddetti “controllers”, cioè farmaci che si assumono con continuità per controllare l’infiammazione delle vie aeree, e i “relievers”, ovvero farmaci a
rapida azione broncodilatatrice usati per una rapida
risoluzione dei sintomi di broncospasmo [64].
Tra i primi, i corticosteroidi per via inalatoria (ICS)
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hanno il ruolo principale esercitando un’azione
antinfiammatoria più potente di quella di altri farmaci [65,66]. I broncodilatatori simpaticomimetici
a lunga durata di azione (LABA) hanno un’azione di
potenziamento dell’effetto degli steroidi su vari
indicatori clinici e funzionali respiratori nei pazienti asmatici e la loro associazione ai corticosteroidi
(ICS+LABA) si è rivelata particolarmente utile per il
controllo dell’asma [67].
Uno dei presupposti per l’efficacia della terapia è
l’aderenza del paziente al trattamento, che nell’asma è risultata molto variabile [68]. La non aderenza è condizionata da vari fattori che riguardano il
paziente, il medico, la classe dei farmaci prescritti,
la loro efficacia e le modalità di assunzione
[69,70]. Va anche aggiunto che non solo una certa
percentuale di pazienti ritengono di non essere
affetti da asma quando la malattia è ben controllata
e quindi smettono autonomamente il trattamento,
ma spesso gli asmatici hanno una scarsa convinzione della necessità e dell’opportunità delle cure,
soprattutto di tipo steroideo, per il timore di effetti
collaterali derivanti dalla terapia [71,72]. L’efficacia
della cura e quindi l’adesione al trattamento dipende anche dalla percezione di benessere che il
paziente acquisisce quando usa un determinato farmaco e/o sistema di erogazione.
In questo contesto, quindi, la validità della terapia e
la sua valorizzazione da parte del paziente dipendono dal livello di efficacia che il farmaco è in
grado di esercitare in termini di riduzione dei sintomi e delle riacutizzazioni, ma anche di minori effetti collaterali. Poiché è prevedibile che per molti
anni la terapia dell’asma sarà ancora basata sulla
inalazione di ICS e LABA, la qualità dell’inalazione
in termini di dimensioni delle particelle erogate e di
distribuzione del farmaco all’interno dell’apparato
respiratorio appare critica per il controllo della
malattia e la conseguente aderenza del paziente al
trattamento.
Infatti, in relazione all’importanza che le piccole
vie aeree hanno nell’asma, un trattamento adeguato
deve essere considerato quello che raggiunge l’intero tratto respiratorio, comprese le parti più periferiche del polmone. Tuttavia studi sulle caratteristiche
di deposizione dei farmaci inalati hanno dimostrato
che molti dei sistemi di erogazione più utilizzati
nella pratica clinica non hanno le caratteristiche
per soddisfare questo criterio [73].
Gli inalatori spray predosati (pMDI), in cui il farmaco è in sospensione, hanno costituito negli ultimi
decenni ubiquitariamente il sistema più diffuso per
l’erogazione dei farmaci respiratori nelle sindromi
bronco-ostruttive e mantengono ancora questo primato grazie alla loro economicità e alla uniformità
tecnologica, applicabile a varie classi di farmaci
[74]. Essi tuttavia erogano particelle di farmaco non
uniformi e in prevalenza di dimensioni (3-4 micron)
che non raggiungono le piccole vie aeree, così che
la loro deposizione nel polmone avviene soprattutto a livello centrale e molto poco in periferia, inoltre solo una percentuale di farmaco, che varia
dall’8 al 16%, raggiunge il polmone. Questo è stato
dimostrato in particolare per i corticosteroidi inalatori [75]; ne è riprova la persistenza dell’infiammazione a livello delle piccole vie aeree nonostante il
loro utilizzo continuativo [76]. Il limite della quantità di farmaco che riesce a raggiungere i distretti
polmonari più periferici è accentuato dalla nozione
che anche i broncodilatatori possono esplicare a
tale livello un’azione molto efficace [77]. Un’altra
difficoltà dei pMDI è che per un loro corretto uso è
necessaria una buona coordinazione fra spruzzo
della dose e inalazione. La maggioranza dei
pazienti non è in grado di usare adeguatamente
questo dispositivo [78] ed è dimostrato che l’uso
non corretto si associa ad uno scarso controllo
dell’asma [79].
Infine i pMDI di vecchia concezione usavano come
propellente i clorofluorocarboni (CFC) che, oltre
alle problematiche ambientali, possono determinare broncocostrizione [80], e questo problema è
stato superato con l’introduzione degli idrofluoroalcani (HFA) come propellente. Dei nuovi sistemi di
erogazione pMDI, con particolare riferimento alle
dimensioni delle particelle inalate, tratteremo nel
successivo capitolo di questa rassegna.
Gli inalatori di polvere secca (DPI) hanno numerosi
vantaggi rispetto ai pMDI [74]: sono attivati dal
respiro, consentono una deposizione maggiore a
livello polmonare e quindi un minor impiego di farmaco [81], non contengono propellenti; ma, almeno alcuni di essi, hanno comunque degli svantaggi,
come la mancanza di controllo della correttezza
dell’inalazione, la mancanza di odore o sapore
della polvere inalata, così che il paziente rimane
incerto sulla sua assunzione, la riduzione della
dose di farmaco erogata in condizioni di elevata
umidità [82], la presenza di un’elevata resistenza
intrinseca, con necessità di flussi inspiratori elevati
per generare una nuvola di particelle fini [83], cioè
una dipendenza delle dimensioni delle particelle
dall’entità del flusso inspiratorio [84].
I dispositivi in grado di erogare particelle di piccole
dimensioni offrono maggiore probabilità che il farmaco raggiunga le vie aeree distali e minore opportunità di depositarsi a livello orofaringeo, come
dimostrato dal confronto tra la formulazione pMDI
convenzionale con CFC di beclometasone dipropionato e quella con HFA: la prima si depositava
solo per il 4-7% nel polmone e per il resto nel cavo
orofaringeo, la seconda per il 55-60% nel polmone
e per il 29-30% a livello orale [85]. Un’ulteriore
riprova di questa più efficace distribuzione del corticosteroide inalatorio con le nuove formulazioni è
data dall’osservazione che la flunisolide HFA è in
grado di sopprimere efficacemente la flogosi eosinofila di tutte le vie aeree, anche quelle distali, con
miglioramento clinico e funzionale dei pazienti
[86]. Un confronto simile, effettuato anche con
HRCT a livello di volume residuo per determinare
l’intrappolamento aereo, tra beclometasone dipropionato CFC e HFA ha evidenziato una maggiore
efficacia della formulazione HFA nel ridurre l’intrappolamento aereo regionale, rilevabile con la
metodica di imaging, ma non con gli abituali studi
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Le formulazioni “extrafini”: effetti terapeutici e
sicurezza di impiego
I pMDI rappresentano un sistema sicuro e affidabile
per l’erogazione di farmaci antinfiammatori e broncodilatatori nell’asma e di fatto essi costituiscono i
due terzi di tutto il mercato mondiale dei sistemi di
inalazione per le sindromi bronco-ostruttive
[91,92].
Tuttavia i pMDI tradizionali soffrono delle limitazioni cui si è in precedenza accennato e in relazione a
ciò si potrebbe asserire che nella maggior parte dei
casi l’infiammazione delle vie aeree (centrali e periferiche) presente nell’asma non viene trattata adeguatamente, specie se non vengono utilizzati
dosaggi piuttosto elevati di farmaco, cioè potenzialmente adatti a raggiungere anche le piccole vie
aeree [93], ma a prezzo di rilevanti effetti collaterali, anche sistemici.
Inoltre, a seguito dell’adesione della Unione
Europea al protocollo di Montreal stilato nel 1987,
con divieto assoluto di tutti i clorofluorocarburi dal
1 gennaio 2015, la ricerca in questo specifico settore si è orientata verso la sostituzione graduale dei
vecchi spray contenenti CFC con nuove formulazioni con idrofluoroalcani (HFA-134a o norflurano e
HFA-227) [94].
Una delle innovazioni più importanti del passaggio
agli HFA è stata quella di formulare il farmaco non
più in sospensione, come nei composti con CFC,
ma in soluzione, con conseguente miglior controllo
delle dimensioni delle particelle erogate e della
loro distribuzione all’interno dell’apparato respiratorio [95]. Infatti è noto che i pMDI con CFC producono aerosol caratterizzati da particelle di grosse
dimensioni e da elevata velocità di erogazione e
sappiamo che la dimensione delle particelle e la
velocità di generazione dell’aerosol sono fattori critici per la diffusione del farmaco e la sua efficacia.
In questo contesto si inserisce la tecnologia innovativa registrata con il termine di Modulite®, che pre-
vede la soluzione del farmaco e l’impiego di
HFA-134a [95]. Queste caratteristiche determinano
come risultato principale la possibilità di adattare la
taglia delle particelle di farmaco alle necessità di
distribuzione dello stesso nelle varie zone respiratorie, creando una nuvola di elementi cosiddetti
“superfini”, cioè una miscela di particelle extrafini
(diametro di circa 1 µ o inferiore) e ultrafini (diametro inferiore a 0,1 µ).
Le peculiarità di questa nuova formulazione relative
alle dimensioni dell’orifizio dell’erogatore, alla
camera di dosaggio e alla pressione di vapore
del propellente condizionano la quantità di particelle fini, mentre quelle riguardanti le dimensioni
delle particelle dipendono dalla quantità di componenti (co-solventi come l’etanolo) nella soluzione
HFA [94].
In particolare, il diametro aerodinamico di massa
mediana (MMAD), che è la misura internazionale
delle dimensioni delle particelle erogate, varia con
questa formulazione tra 0,8 e 1,2 µ. Inoltre, l’impiego di orifizi molto piccoli ha l’effetto di rallentare la
velocità della nuvola erogata, così che in questo
sistema la velocità di uscita dello spruzzo si riduce
fino a 1,2 metri al secondo (cioè circa 4,3 km/h
anziché gli oltre 100 km/h dei pMDI classici con
CFC), mentre si allunga il tempo in cui la nuvola di
erogato rimane a disposizione per l’inalazione,
ovviando significativamente al problema della
coordinazione fra erogazione e inalazione [94,96].
Il fatto che il farmaco sia in soluzione e non in
sospensione mantiene integra ed egualmente efficace la dose erogata durante tutto il periodo di validità
dello spray dosato, cosa che può non accadere con
gli inalatori contenenti farmaco in sospensione a
motivo di cattiva conservazione o uso non corretto.
Le particelle ultrafini contenute in una nuvola di
nebulizzato raggiungono i distretti polmonari più
periferici, come dimostrato in diversi studi [97,98],
e si depositano prevalentemente a livello bronchiolo-alveolare con una relazione nel meccanismo di
diffusione di tipo indiretto (minore la taglia delle
particelle, maggiore la diffusione), confermata da
studi condotti con tecniche di imaging [99].
Lo scopo principale della terapia inalatoria è quello
di portare elevate concentrazioni di farmaco direttamente nella sede patologica, minimizzando gli
effetti collaterali sistemici, ottenendo una rapida
risposta, evitando la metabolizzazione epatica al
primo passaggio del farmaco e ottenendo con dosi
minori effetti favorevoli maggiori che con la somministrazione sistemica [100,101]. Per cui, il fatto che
il farmaco possa raggiungere miratamene tutte le
sedi patologiche, nella fattispecie laddove si è stabilita l’infiammazione che sottende l’asma, minimizzando i meccanismi di metabolizzazione del
farmaco stesso e accrescendone la persistenza nelle
zone interessate, appare un risultato del tutto significativo in termini di efficacia.
Nell’intento di sostituire i dispositivi contenenti
CFC con quelli contenenti HFA sono stati effettuati
numerosi studi di confronto per verificare che dosi
equipollenti del farmaco erogato con i due diversi
CM Sanguinetti
Controllo dell’infiammazione nell’asma - Control of inflammation in asthma
di funzionalità respiratoria [87].
Una correlazione tra dimensioni delle particelle
erogate ed efficacia terapeutica è stata dimostrata
anche per i broncodilatatori, per cui l’inalazione di
aerosol con particelle fra 1,5 e 2,5 micron determinava un maggiore picco di broncodilatazione alla
valutazione funzionale, dovuto verosimilmente al
raggiungimento delle piccole vie aeree da parte del
farmaco [88,89].
L’infiammazione delle piccole vie aeree può svolgere un ruolo critico nella genesi e nel mantenimento dell’iperreattività bronchiale, nell’asma notturno, nelle forme complicate dall’abitudine al
fumo, nelle riacutizzazioni della sintomatologia,
spesso in conseguenza di virosi respiratorie e nelle
forme steroide-dipendenti [90]. Pertanto la diffusione del farmaco antinfiammatorio deve essere assicurata anche e soprattutto nelle zone più distali del
tratto respiratorio, perché è in questa sede che si
realizza il più marcato rimodellamento delle vie
aeree a seguito della flogosi persistente, con le
maggiori conseguenze dal punto di vista clinico.
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somministrazione dei singoli farmaci presenti nella
combinazione B/F, il beclometasone come pMDICFC e il formoterolo come DPI.
Più dettagliatamente, in uno studio di non inferiorità, multicentrico, multinazionale, randomizzato,
Papi e coll. [110] hanno messo a confronto la formulazione extrafine della combinazione B/F
(200/12 mcg/die) con quella di fluticasone/salmeterolo (F/S) (250/100 mcg/die) in 228 pazienti con
asma di grado da moderato a grave trattati in maniera randomizzata con l’una o l’altra combinazione
per 12 settimane. La variabile di outcome primaria
era il valore di picco di flusso espiratorio (PEF) diurno nelle ultime due settimane di trattamento. In
entrambi i gruppi si avevano equivalente miglioramento dei sintomi e del valore di PEF diurno e riduzione dell’utilizzo di broncodilatatori al
bisogno.Tuttavia, la combinazione B/F determinava
una broncodilatazione che si manteneva significativamente più rapida rispetto a F/S fino a un’ora dopo
la somministrazione.
Inoltre, al termine dello studio (Figura 1), il miglioramento della capacità vitale forzata (FVC) nei
pazienti trattati con la combinazione B/F era significativamente maggiore rispetto a quello ottenuto
con F/S, a ulteriore conferma della riduzione della
iperdistensione polmonare che si ottiene con la
broncodilatazione delle piccole vie aeree conseguibile con la formulazione extrafine, che è in grado di
depositare una maggiore quantità di farmaco nelle
parti più periferiche del polmone. Non emergevano
differenze significative tra le due combinazioni per
quanto riguardava la tollerabilità ai farmaci.
In uno studio simile al precedente, Papi e coll. (112)
hanno messo a confronto la combinazione extrafine B/F (200/12 mcg/die) con quella di
budesonide/formoterolo (BU/F)(400/12 mcg/die)
DPI in 219 pazienti trattati per 12 settimane con
l’una o l’altra combinazione. Anche qui la variabile
primaria di risultato era il PEF diurno valutato nelle
ultime due settimane di trattamento, mentre altri
FIGURA 1: CAMBIAMENTI NELLA CAPACITÀ VITALE FORZATA
CON DUE COMBINAZIONI
CAMBIAMENTI NELLA FVC (l)
propellenti producessero risultati almeno equivalenti. Per questo scopo sono stati somministrati con
la formulazione Modulite® i farmaci basilari della
terapia dell’asma, cioè i corticosteroidi e i broncodilatatori.
Uno studio multicentrico, randomizzato, in doppio
cieco e a gruppi paralleli, ha confrontato l’efficacia
e la tollerabilità del beclometasone dipropionato
500 mcg due volte al giorno con propellente HFA134a rispetto allo stesso farmaco erogato con propellente CFC in un totale di 154 pazienti affetti da
asma di grado lieve-moderato trovando una sostanziale equivalenza di effetti benefici, ma con un
significativo miglioramento dei valori funzionali
espressivi del flusso nelle piccole vie aeree con la
formulazione HFA [102]. In un altro studio in doppio cieco, randomizzato, che ha riguardato 172
pazienti con asma lieve-moderato, un miglioramento significativo del volume espiratorio forzato in un
secondo (FEV1) rispetto al valore pre-studio si otteneva con la somministrazione per 6 settimane di
beclometasone dipropionato (BDP) mediante sistema Modulite®, ma non con pMDI-CFC [103]. Per
quanto riguarda la sicurezza di impiego della formulazione HFA rispetto a quella CFC si è evidenziato che il BDP-HFA interferisce con la funzionalità dell’asse ipofiso-surrenalico nella stessa misura
del BDP-CFC [104].
Studi di confronto fra budesonide HFA e CFC hanno
confermato gli stessi risultati di equivalenza in termini di effetti funzionali e clinici e di sicurezza
[105], ma con un dato interessante e cioè che la
monosomministrazione giornaliera di BDP-HFA per
molti aspetti ha dimostrato di poter sostituire quella
abituale di due volte al giorno [106].
Anche la formulazione Modulite® di formoterolo ha
dimostrato effetti equiparabili, non solo alla forma
CFC, ma anche a quella DPI, sia in termini di
miglioramento degli indici funzionali respiratori,
che di attenuazione della reattività delle vie aeree
[107,108].
A riprova della maggiore efficacia della formulazione HFA sulle piccole vie aeree nell’asma, uno studio (109), confermando precedenti risultati [87], ha
confrontato gli effetti funzionali del BDP-HFA con
quelli del fluticasone propionato-CFC a dosi equivalenti in 30 pazienti con asma scarsamente controllato. Il BDP-HFA diminuiva significativamente
l’iperdistensione polmonare, quale riprova di effetto
specifico di broncodilatazione a livello delle piccole vie aeree, con conseguente incremento del flusso
espiratorio medio su curva flusso-volume massimale e della capacità vitale.
La possibilità attuale di disporre dell’associazione
beclometasone/formoterolo (B/F) in unico pMDI
con tecnica Modulite® è sicuramente un ulteriore
vantaggio per attuare una terapia globalmente efficace della flogosi delle vie aeree e per il miglioramento clinico-funzionale dei pazienti.
Anche per questa combinazione Modulite® sono
stati effettuati studi di confronto, sia con le altre
combinazioni di ICS+LABA maggiormente usate
nella pratica clinica, sia – più recentemente - con la
0,5
*
0,4
*
0,3
*
*‡
*
*
*
*
BDP/F
Fluticasone/
salmeterolo
0,2
0,1
0,0
0
2
4
6
8
10
12
Settimane
Cambiamenti della FVC (l), misurati nei due gruppi.
*p < 0,001 versus basale.
‡
p = 0,040 tra i due trattamenti.
Definizione delle abbreviazioni: BDP, beclometasone dipropionato; F,
formoterolo; FVC, capacità vitale forzata.
Tratto da [111] mod.
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CONCLUSIONI
Poiché l’asma è una malattia infiammatoria polmonare cronica caratterizzata da danno epiteliale,
ipertrofia e iperplasia del muscolo liscio delle vie
FIGURA 2: NUMERO GLOBALE DI RIACUTIZZAZIONI
DELL'ASMA PER PAZIENTE DURANTE LO STUDIO
(POPOLAZIONE ITT; ANALISI POST-HOC).
Numero globale di riacutizzazioni
per paziente (valore di media)
2
1,5
*
1
0,5
0
BDP/FF
combinazione
fissa
BDP+FF
combinazione
libera
BDP
monoterapia
* p< 0,05 vs BDP in monoterapia.
Definizione delle abbreviazioni: BDP, beclometasone dipropionato;
FF, formoterolo fumarato; ITT, intention to treat.
Tratto da [113] mod.
aeree, fibrosi subepiteliale, in sintesi da rimodellamento della struttura broncopolmonare, i farmaci
antinfiammatori e broncodilatatori debbono poter
esplicare la loro azione in tutte le sedi interessate
dalla flogosi. In questo contesto emerge sempre più
rilevante il ruolo delle piccole vie aeree (bronchioli
terminali e respiratori) e del distretto alveolare che
pure sono sede di intensa flogosi cronica e marcato
rimodellamento strutturale. Di qui la necessità di
poter disporre di formulazioni terapeutiche che
siano in grado di raggiungere i distretti più periferici
del polmone. In realtà numerosi studi di varia natura hanno dimostrato che le formulazioni più diffuse,
i pMDI classici e, entro certi limiti, anche i DPI,
operano una distribuzione del farmaco prevalentemente centrale.
L’introduzione dei propellenti HFA e soprattutto
della nuova tecnologia Modulite® consente di ottimizzare la distribuzione del farmaco, con diffusione anche alle piccole vie aeree ed ottenere una
maggiore efficacia sulle espressioni clinico-funzionali conseguenti alle alterazioni di questo distretto.
Quello che comunque merita di essere sottolineato
è che abbiamo già a disposizione strumenti validi e
sicuri per poter approcciare questa malattia infiammatoria delle vie aeree di grande rilevanza sociale
con correttezza, adattando formulazioni e posologie ad ogni singolo paziente in relazione alle sue
caratteristiche ed alle sue necessità.
CM Sanguinetti
Controllo dell’infiammazione nell’asma - Control of inflammation in asthma
indici di outcome erano rappresentati dall’entità
della sintomatologia e dalla frequenza e gravità
delle riacutizzazioni di asma. L’analisi di non inferiorità dimostrava che non vi erano differenze fra
gruppi in termini sia di efficacia che di tollerabilità
e quindi gli effetti della formulazione Modulite® di
B/F equivalgono a quelli della combinazione BU/F
DPI, ma con un dosaggio nominale di beclometasone che è la metà rispetto a quello della budesonide. Questo aspetto, pur tenendo conto che non è
solo la dose nominale di cortisonico che condiziona l’esposizione sistemica allo steroide, ma anche
la quota di farmaco che raggiunge il polmone,
potrebbe comunque rappresentare un vantaggio
non trascurabile per il paziente.
Infine, Huchon e coll. [113] hanno valutato gli
effetti della somministrazione della combinazione
extrafine B/F in unico inalatore, in termini di miglioramento funzionale respiratorio e di controllo dell’asma, in confronto a quella di beclometasone
pMDI con CFC e di formoterolo DPI somministrati
separatamente. In uno studio multicentrico in doppio cieco, della durata di 24 settimane, 645 pazienti con asma da moderato a grave, non controllato
dalla somministrazione regolare dei soli corticosteroidi inalati, ricevevano 200/12 mcg di B/F extrafine
due volte al giorno, oppure beclometasone pMDICFC 500 mcg e formoterolo DPI 12 mcg due volte
al giorno. La variabile primaria di risultato era il PEF
diurno e altre variabili erano la sintomatologia e il
controllo dell’asma (Figura 2), la frequenza delle
riacutizzazioni e altri parametri di funzione respiratoria misurati in laboratorio. Il valore di PEF migliorava in maniera simile nei due gruppi, ma un risultato molto importante era che il controllo dell’asma
si raggiungeva in maniera più efficace con la combinazione extrafine in unico inalatore rispetto ai
due farmaci somministrati separatamente. Inoltre
entrambe le combinazioni determinavano un
miglioramento della funzione respiratoria superiore
a quello che si otteneva assumendo il solo beclometasone. Non vi erano differenze di tollerabilità.
Anche in questo studio si conferma che con la formulazione extrafine di beclometasone è possibile
ottenere un effetto paragonabile a quello della formulazione non extrafine a dosaggi di farmaco nettamente inferiori.
Da questi studi appare chiaro che la combinazione
extrafine di beclometasone/formoterolo, oltre ad
assicurare un livello di efficacia quanto meno paragonabile a quello delle altre combinazioni diffusamente impiegate nella terapia dell’asma, ha dei
vantaggi in termini di migliore distribuzione polmonare e di minore impiego di corticosteroide.
DICHIARAZIONE DI CONFLITTO DI INTERESSI: L’autore non ha
relazioni finanziarie con un’entità commerciale che abbia interesse nell’oggetto di questo articolo.
MRM
79s
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