Foglio di
informazione
professionale
Nr. 171
29/10/07
I nuovi oppiacei nel trattamento del dolore oncologico
Ogni anno, in Italia, muoiono di cancro circa 140.000 persone. Nel trattamento palliativo, due obiettivi risultano
essenziali: migliorare la qualità di vita e attenuare i sintomi, tra i quali, uno dei più importanti e ingravescenti è
sicuramente il dolore. Al momento della diagnosi, il dolore è presente nel 30% dei pazienti oncologici; nelle fasi
avanzate della malattia interessa tre/quarti di loro.
I principi generali del trattamento del dolore da cancro si basano sulla “scala analgesica a tre gradini” elaborata
dall’OMS. Con questo approccio, che prevede la somministrazione degli analgesici a orari fissi, con l’uso di farmaci
di salvataggio per il breakthrough pain (dolore episodico che si manifesta in pazienti con dolore cronico di base ben
controllato), si può eliminare il dolore nel 90% dei casi. Il 1° gradino della scala prevede l’impiego di analgesici non
oppiacei (FANS o paracetamolo); il 2°contempla l’aggiunta di un oppiaceo “debole” (codeina, tramadolo); il 3°
prevede la sostituzione dell’oppiaceo “debole” con uno “forte” (es. morfina, fentanil). La scelta del gradino dipende
dalla intensità del dolore e dalla tollerabilità dei farmaci nel singolo paziente. Nella decisione sull’uso degli oppiacei
“deboli” per il dolore lieve-moderato devono essere considerati: la presenza di un “effetto tetto” (se la dose del
farmaco supera una certa soglia, l’efficacia non aumenta, ma aumentano gli effetti indesiderati); i dosaggi subottimali di codeina (30mg) nelle preparazioni in commercio (es. Co-Efferalgan); la scarsa documentazione
disponibile sul tramadolo (es. Contramal, escluso dalla tabella degli stupefacenti col DL 19/06/2006), inadeguata a
stabilirne l’utilità nei pazienti oncologici1 e i suoi possibili gravi effetti indesiderati dose-dipendenti (soprattutto
convulsioni e turbe psichiatriche)2; l’assenza di evidenti benefici della combinazione rispetto al solo FANS o
paracetamolo. Il ricorso precoce alla morfina orale, a rilascio immediato e a basse dosi (5mg ogni 4 ore), saltando il
2° gradino, potrebbe favorire un maggior controllo del dolore nelle fasi iniziali della malattia e un adattamento
posologico alle richieste analgesiche nelle fasi successive.
La morfina rappresenta l’oppiaceo di prima scelta sia nel dolore cronico moderato-grave che nel trattamento di
salvataggio. E’efficace e mantiene la sua efficacia nel tempo; non ha “effetto tetto” e il dosaggio può essere
personalizzato (nel 75% dei pazienti si ottiene un buon controllo del dolore con 200mg/die; negli altri sono necessarie
dosi sino a 1.200mg/die)3; è ben tollerata (l’incidenza di eventi avversi intollerabili riguarda solo il 4% dei pazienti)4;
è disponibile in molte formulazioni e dosaggi, ha un costo contenuto. Nel dolore oncologico la via orale è preferibile
in quanto efficace e agevole nei diversi contesti di cura. Le vie di somministrazione alternative (sottocutanea,
endovenosa, spinale -esclusa l’intramuscolare che è dolorosa e ha un assorbimento irregolare) vengono utilizzate
nelle situazioni cliniche in cui la via orale è controindicata (es. vomito, disfagia grave). In particolare, l’infusione
sottocutanea continua con pompa elastomerica, va considerata elettiva per la più bassa incidenza di tossicità acuta
(sedazione, nausea, confusione), la possibilità di evitare iniezioni ripetute nonché di somministrare altri farmaci per
trattare sintomi concomitanti. Per via orale, la morfina ha una biodisponibilità variabile a causa dell’effetto di primo
passaggio epatico ed è quindi necessario ricercare la dose ottimale (titolazione) per ogni paziente. In virtù della
rapidità dell’effetto e la breve durata d’azione, la soluzione di morfina consente un aggiustamento posologico rapido
e l’individuazione della dose efficace nell’arco di 2-3 giorni. Le preparazioni a rilascio immediato, da assumere ogni
4 ore (Oramorph) e quelle retard, da assumere ogni 12 ore (es. MS Contin, Ticinan), sono sovrapponibili in termini di
efficacia e tollerabilità4. Non esistono prove che le preparazioni a cessione protratta siano diverse per efficacia
analgesica relativa e durata d’azione5. Nel nostro paese, l’uso di morfina, considerata indicatore di efficacia dei
programmi di gestione del dolore, è da sempre poco diffuso, probabilmente per i pregiudizi nei confronti di alcuni
suoi effetti indesiderati. In realtà, per quanto riguarda la dipendenza psicologica (necessità compulsiva del farmaco), i
casi riportati in letteratura, su oltre 35.000 pazienti trattati, sono solo 116, mentre la tolleranza (necessità di aumentare
la dose per mantenere l’iniziale effetto analgesico) è limitata, oltre ché lenta a verificarsi, e nella maggior parte dei
pazienti l’incremento della dose è richiesto dalla progressione della malattia. Infine, relativamente alla depressione
respiratoria, va detto che nell’uso terapeutico è praticamente assente7; vi sono, anzi, prove sulla efficacia della
morfina (e degli oppiacei) nel miglioramento della dispnea grave nei pazienti con cancro e BPCO8,9. Nemmeno i
provvedimenti legislativi, volti a favorire l’impiego degli oppiacei, sono riusciti a influenzare la prescrizione di
morfina che, anzi, mostra una tendenza alla diminuzione10.
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Nell’ultimo quinquennio, si registra il costante e progressivo aumento del fentanil, seguito dalla buprenorfina,
entrambi nella formulazione in cerotto, e nel 2006 il forte incremento dei prodotti a base di ossicodone. Di per sé, la
via di somministrazione transdermica è meno flessibile di quella orale per il ritardo nella comparsa dell’effetto
analgesico e la sua persistenza dopo la rimozione. Inoltre, lo spessore della cute, la temperatura corporea e la
temperatura esterna possono modificare in modo sostanziale la biodisponibilità del farmaco con aumenti improvvisi e
pericolosi dei livelli plasmatici. Per il fentanil, inoltre, l’effetto può durare meno di 3 giorni11; questo inconveniente
dovrebbe essere ovviato con la nuova formulazione a matrice adesiva che, a differenza di quella a serbatoio,
all’occorrenza può essere tagliata, ottenendo una riduzione della dose proporzionale all’area del cerotto asportato. Nei
tre studi, tutti di piccole dimensioni, che hanno confrontato il fentanil in cerotti (es. Durogesic Fentanil Hexal) con la
morfina orale a lento rilascio, i due farmaci si sono dimostrati simili per efficacia analgesica e tollerabilità, con una
minore propensione del fentanil a causare stipsi; non sono state, invece, rilevate differenze complessive nella qualità
di vita (quando misurata con questionari validati). La dose equianalgesica utilizzata è stata di 1:150; su questa base
25mcg/ora di fentanil corrispondono a 90mg/die di morfina orale. Per la scarsità di studi non è possibile trarre
informazioni conclusive sulla sicurezza del fentanil; esistono, tuttavia, segnalazioni di eventi avversi gravi (morti da
overdose) che hanno indotto la FDA statunitense a divulgare una nota di allerta12. Secondo le principali linee-guida, il
fentanil transdermico non rappresenta la prima scelta nel trattamento del dolore oncologico grave, ma una alternativa
alla morfina orale nei pazienti con dolore stabilizzato, soprattutto in quelli che non sono in grado di assumere farmaci
per via orale5. Nella specialità Actiq, il fentanil è incorporato in una matrice dolce aromatizzata collocata su un
bastoncino applicatore che va ruotato all’interno della guancia (“lecca-lecca”). Grazie alla sua liposolubilità, il
fentanil viene assorbito attraverso la mucosa orale (25%), evita il primo passaggio epatico, determinando una rapida
comparsa dell’effetto analgesico (5-10 minuti); il resto del farmaco entra in circolo attraverso il tratto
gastrointestinale. La durata d’azione varia da 2,5 a 5 ore. L’unico studio comparativo nel trattamento del
breakthrough pain in pazienti già in terapia con un oppiaceo “forte”, condotto su pochi pazienti, non evidenzia
vantaggi di rilievo sulla morfina orale a pronto rilascio13.
La buprenorfina, un agonista parziale sui recettori µ degli oppiacei, non dispone di dati favorevoli nella versione
transdermica. Il cerotto a matrice adesiva (Transtec) è stato valutato in tre studi randomizzati contro placebo, di breve
durata (massimo 15 giorni), realizzati su un totale di 462 pazienti con dolore moderato-grave (non esclusivamente di
origine neoplastica). In due studi, la buprenorfina non è risultata superiore al placebo nella riduzione del dolore per
nessuna delle dosi somministrate; nel terzo, si è dimostrata più efficace con i cerotti da 35 e 52,5mcg/h, ma non con
quelli da 70mcg/h14. In assenza di studi comparativi con altri oppiacei nelle preparazioni orali o transdermiche, è
impossibile definirne l’esatta collocazione terapeutica.
L’ossicodone orale è due volte più potente della morfina (5 mg equivalgono a 10 mg di morfina), ha una
biodisponibilità più prevedibile e per la titolazione non necessita della formulazione a rilascio immediato. Una
metanalisi di 4 studi non rileva differenze di efficacia e tollerabilità tra l’ossicodone (Oxycontin) e la morfina a
rilascio controllato, somministrati ogni 12 ore15. L’ossicodone può rappresentare una alternativa alla morfina nei
pazienti che manifestano effetti indesiderati intollerabili durante il trattamento o in quelli con insufficienza renale
(non produce metaboliti attivi). Depalgos è una associazione fra ossicodone (5, 10 e 20mg) a rilascio immediato e
paracetamolo alla dose fissa di 325mg, da somministrare ogni 4-6 ore. Mancano studi di confronto con altri oppiacei,
resta quindi da chiarire quale sia il ruolo del farmaco e quale sia, soprattutto, il valore aggiunto del paracetamolo
rispetto al solo ossicodone; al dosaggio più basso (5mg), l’associazione può essere collocata al 2° gradino della scala
analgesica dell’OMS, mentre ai dosaggi superiori rientra nel 3° gradino, ma senza alcun vantaggio sulla morfina
orale16.
A cura del dott. Mauro Miselli
Bibliografia
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