Talidomide. La nuova vita di un farmaco nefasto

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SCIENZE E RICERCHE • N. 24 • 1° MARZO 2016 | SCIENZE DELLA SALUTE
Talidomide: la nuova vita
di un farmaco nefasto
ERMINIO GIAVINI
Università degli Studi di Milano
L
a talidomide fece la sua comparsa sul mercato alla fine degli anni ’50, quando ormai le
popolazioni occidentali erano relativamente
al sicuro dalle gravi malattie infettive grazie
alla scoperta degli antibiotici e all’uso di alcuni vaccini. L’industria farmaceutica rivolse, allora, l’attenzione ad altri disturbi: cominciarono ad entrare in commercio pillole non per malattie organiche ma, per così dire, per
disagi o per un maggior benessere psicofisico. Si calcola che
già a quei tempi circa un milione di inglesi facesse uso di sedativi e negli USA l’utilizzo dei barbiturici era molto diffuso.
Risale a quegli anni la sintesi e la commercializzazione di
benzodiapine quali Valium e Librium. Nell’ambito di questo
redditizio mercato farmaceutico arrivò un nuovo sedativo:
la talidomide. Sintetizzata e venduta originariamente dalla
tedesca Grunenthal, fu successivamente data in concessione
alla Distillers Company che la distribuì in Gran Bretagna e in
tutto il Commonwealth. Fu venduta in circa quaranta stati con
denominazioni diverse. I pochi esperimenti effettuati su animali da laboratorio (quelli previsti dalla legislazione dell’epoca) ne avevano evidenziato una tossicità incredibilmente
bassa. I test clinici furono inizialmente scarsi: il farmaco
veniva dato ai dipendenti della Grunenthal ed a medici che
lo distribuivano ai loro
pazienti senza un adeguato disegno sperimentale
con la sola regola che ciò
che non fa male, può fare
bene. Così la talidomide
divenne in breve tempo
il più venduto sedativo
da banco del mondo. La
prima bambina con malformazioni agli arti probabilmente indotte dal
farmaco nacque il 25 dicembre del 1956, prima
che il farmaco venisse immesso sul mercato, ed era figlia di
un dipendente della Grunenthal che lo aveva dato alla moglie
durante i primi mesi di gravidanza. Nel novembre del 1957
fu lanciato sul mercato tedesco con il nome di Contergan.
Già nel dicembre 1959 il dottor Weidenbach segnalava, in un
meeting tenutosi in Germania, la nascita di un bambino privo
di arti. Nel settembre 1961 il prof. Wiedeman pubblicava un
articolo scientifico che richiamava l’attenzione su un inspiegabile incremento dell’incidenza di malformazioni agli arti:
13 casi negli ultimi 10 mesi. Il 16 dicembre 1961 il pediatra
australiano W.G. McBride pubblicava una lettera su Lancet
(1) in cui segnalava la nascita di bambini con gravi malformazioni agli arti da donne che avevano assunto la talidomide
(Distaval in Australia) durante la gravidanza. Questo dato
veniva confermato da W. Lenz (2) che il 29 dicembre 1961
riportava sulla rivista Deutsche Medizinische Wochenschrift
41 casi di malformazioni agli arti correlati all’assunzione di
talidomide in gravidanza. Inoltre, sulla base di ben condotte
sperimentazioni cliniche, venivano segnalati numerosi casi
di neuriti periferiche nella popolazione adulta trattata con
questo nuovo farmaco.
Si stima che la talidomide abbia provocato, nel breve periodo in cui fu commercializzata, oltre 400.000 casi di neuriti periferiche e più di
10.000 casi di malformazioni in bambini esposti
al farmaco in gravidanza.
Negli USA la talidomide
non entrò mai sul mercato, nonostante le pressioni
della Richardson-Merrell,
licenziataria per gli USA,
perché una funzionaria
della Food and Drug Administration, la dottoressa Francis Kelsey, aveva
continuamente richiesto
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nuovi studi e chiarimenti proprio in relazione alle segnalazioni di neuriti periferiche. Nel frattempo la Grunenthal,
sulla base dello scandalo provocato dall’enorme numero di
bambini malformati attribuiti all’uso della talidomide come
antiemetico e ansiolitico in gravidanza, ritirava il farmaco
dal mercato. L’evento talidomide fu il punto di partenza per
rivedere tutta la legislazione sulla sicurezza dei farmaci prima della loro immissione sul mercato che ha portato alle sofisticate e costose sperimentazioni cliniche e di laboratorio
ancora oggi in atto
La storia della talidomide avrebbe potuto concludersi
definitivamente nella prima metà degli anni ‘60 del secolo
scorso, se non fosse stato per il dermatologo israeliano Jacob Sheskin che nel 1964 stava curando un paziente affetto
da lebbra presso l’Hadassah University Hospital di Gerusalemme. Disperato perché non riusciva ad alleviare i terribili
dolori del suo paziente e avendo trovato alcune confezioni
di talidomide nella farmacia dell’ospedale, decise di provare
anche quel sedativo e ne somministrò due pastiglie al suo
lebbroso il quale, dopo notti insonni, dormì finalmente bene
e senza dolori, fu in grado di alzarsi dal letto e, dopo alcuni
giorni di trattamento con il farmaco, le sue lesioni cominciarono a migliorare fino a scomparire del tutto (3). La casuale
scoperta del prof. Sheskin (un caso di serendipity?) portò ad
effettuare ulteriori studi sulla possibile attività antiinfiammatoria della talidomide, studiandone più approfonditamente
il meccanismo d’azione. Si constatò, così, che quel terribile
agente teratogeno era in grado di interferire con alcuni tipi
di reazioni immunitarie e poteva essere efficace non solo sui
pazienti affetti da lebbra, in particolare contro l’eritema nodoso tipico di questa malattia, ma anche in altre forme infiammatorie. Gli studi condotti sul suo meccanismo d’azione
hanno, infatti, evidenziato che essa è in grado di inibire la
protein-chinasi α e, di conseguenza, la sintesi di interleuchine e del TNF-α (Tumor Necrosis Factor α), molecole attive
nei processi infiammatori. L’efficacia della talidomide nel
controllare l’evoluzione dell’eritema nodoso della lebbra
sembra proprio legato alla sua capacità di inibire il TNF-α
con conseguente riduzione dell’infiammazione. Non solo,
per queste sue caratteristiche è stata utilizzata anche in pazienti affetti da artrite reumatoide (ma con scarso successo) e
nella cura delle ulcerazioni della mucosa boccale in soggetti
HIV positivi. Sembra anche funzionare bene nella sindrome
di Behcet, una rara malattia autoimmune caratterizzata da un
disordine infiammatorio generalizzato che coinvolge cute,
mucose (afte), articolazioni e vasi sanguigni (flebiti).
Le numerose ricerche condotte per cercare di comprendere il meccanismo d’azione attraverso il quale la talidomide
esercita il suo potente effetto teratogeno hanno fornito numerose risposte (stress ossidativo, degenerazione dei nervi,
ecc.). La scoperta che la talidomide è, nell’embrione, un potente inibitore dell’angiogenesi (4) ha indotto alcuni ricercatori a sperimentarla anche come un possibile antitumorale.
In questi ultimi anni si è dimostrata essere un buon farmaco
nella terapia del mieloma multiplo. Già nel 1965 KB Olson
(un pioniere in questo campo) aveva riportato un rallenta6
mento nella progressione della malattia in una paziente trattata con talidomide. Ma fu Bart Barlogie, uno dei più grandi
esperti di mieloma, ad introdurne l’utilizzo dopo un importante e ben condotto esperimento clinico su 84 pazienti. Le
conclusioni di questo trial iniziato nel 1995 furono che la
talidomide ha una effettiva attività antitumorale in pazienti
affetti da mieloma multiplo in stadio avanzato: il 40% dei
pazienti ha avuto una completa remissione del tumore ed il
32% ha avuto una remissione parziale, come indicato dai parametri chimico-clinici (5). Gli autori attribuirono gli effetti osservati alle proprietà della molecola, in particolare alla
sua capacità di inibire la sintesi di TNFα e alla sua notevole
capacità antiangiogenica. Studi clinici su un numero significativo di pazienti hanno, successivamente, confermato che
il trattamento con questo farmaco, in associazione con desametasone, è in grado di aumentare l’aspettativa di vita di
otre il 40% in pazienti affetti da questa forma tumorale (6).
IL 16 aprile del 2008 la Commissione Europea ha rilasciato
l’autorizzazione alla commercializzazione della talidomide
proprio per il trattamento del mieloma multiplo, una forma
tumorale che colpisce il midollo osseo provocando un’eccessiva proliferazione di plasmacellule. Così un vecchio medicinale con scarsi effetti sedativi e una pessima fama legata
al suo devastante effetto sullo sviluppo embrionale è assurta
a nuova vita diventando un farmaco d’elezione per la lebbra
ed un valido farmaco contro il mieloma multiplo. Tutto ciò
evidenzia, ancora una volta, quanto sia essenziale la conoscenza dei meccanismi d’azione dei farmaci. Questa conoscenza può spesso aprire orizzonti insperati per l’utilizzo di
molecole apparentemente prive di una buona attività farmacologica. Nel caso della talidomide, il fatto stesso che fosse
così devastante sullo sviluppo dell’embrione significava che
possedeva un’attività a livello molecolare che, se adeguatamente compresa e finalizzata, avrebbe potuto svolgere una
qualche attività farmacologica sull’individuo adulto. Cosa
che si è puntualmente verificata.
BIBLIOGRAFIA
1) McBride WG. Thalidomide and congenital malformations. Lancet, 278: 1358, 1961.
2) Lenz W. Kindliche Mißbildungen nach MedicamentEinnahme während der Gravidität? Dtsch. Med. Wochenschr. 86: 2555-2556, 1961.
3) Sheskin J. Thalidomide in lepra reaction. Int.J. Dermatol. 14: 575-576, 1975.
4) D’Amato RJ. et al. Thalidomide is an inhibitor of angiogenesis. PNAS, 91: 4082-4085, 1994.
5) Singhal S. et al. Antitumor activity of thalidomide in
refractory multiple myeloma. NEJ Med., 341: 1565-1571,
1999.
6) Rajkumar SV et al. Phase III clinical trial of Thalidomide plus Dexamethasone compared with Dexamethadosone alone in newly diagnosed multiple myeloma: a clinical
trial coordinated by Eastern Cooperative Oncology Groups.
J. Clin. Oncol. 24: 431-436, 2006.
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