M LE GUIDE Fondazione Humanitas ieloma multiplo Fondazione Federico Calabresi M ieloma multiplo Andrea Nozza Armando Santoro Humanitas Cancer Center Istituto Clinico Humanitas Rozzano-Milano INTRODUZIONE N el plasma, la parte liquida ottenuta per centrifugazione o sedimentazione del sangue periferico, è presente un gran numero di proteine con funzioni ormonali, di trasporto ed anticorpale. La loro concentrazione fisiologica varia nel soggetto adulto da 6,5 a 8 grammi/decilitro: l’albumina ne costituisce il 50% e le immunoglobuline il 20% circa. Un semplice esame di laboratorio ormai utilizzato di routine, l’elettroforesi delle sieroproteine, sfruttando la carica elettrica delle diverse proteine, permette di separarle tra loro (zona albuminica, zona α1, α2, β e γ) ed individuarle, evidenziandone eventuali alterazioni quantitative e qualitative. Prevalentemente nella zona γ dell’elettroforesi riscontriamo le Immunoglobuline (Ig), proteine con funzione anticorpale, fisiologicamente sintetizzate da specifiche cellule del midollo osseo: le plasmacellule. 2 Normalmente le Ig aumentano in caso di stimolazione del sistema immunitario (infezioni, infiammazioni, neoplasie): all’elettroforesi si riscontra un quadro di ipergammaglobulinemia. In questi casi le Ig sono diverse tra loro in quanto prodotte da diverse plasmacellule midollari e l’incremento è definito policlonale. Vi sono dei casi in cui all’elettroforesi si evidenzia un picco nella zona gamma, costituito cioè da immunoglobuline tutte uguali fra loro, prodotte in assenza di cause apparenti da un unico clone patologico di plasmacellule. In questi casi l’incremento è monoclonale. Il riscontro in clinica di un picco monoclonale è definito gammopatia monoclonale e le Ig patologiche vengono chiamate "componente monoclonale"(CM). 3 COMPONENTE MONOCLONALE: COSA SIGNIFICA? N ella popolazione il riscontro di una CM aumenta con l’età, passando da meno dell’1% in soggetti di età inferiore a 35 anni all’8% circa in età superiore a 65 anni. Nella maggior parte dei casi il riscontro di una CM sierica avviene occasionalmente nel corso di accertamenti clinici di routine e non sempre identifica una condizione morbosa che necessita di terapia. Infatti le patologie che maggiormente si correlano ad una CM sierica sono essenzialmente: • la gammopatia monoclonale di incerto significato (MGUS), che richiede solo periodici controlli. Queste forme erano una volta impropriamente definite come gammopatie monoclonali benigne, ma evidenziano invece una tendenza alla trasformazione neoplastica di circa l’8% a 5 anni e del 15% a 10 anni; 4 • il mieloma multiplo (MM), neoplasia ematologica che necessita nella maggior parte dei casi di trattamenti specifici. la macroglobulinemia di Waldenström, la malattia delle catene pesanti o leggere; • l’amiloidosi • la POEMS Syndrome. Pertanto nel caso in cui venga riscontrata una CM sierica, ci si deve sottoporre ad accertamenti atti a determinare la causa di questa alterazione delle proteine. Questi accertamenti comprendono una completa routine ematologica (emocromo, funzionalità renale ed epatica, elettroliti, calcemia, esame delle urine, immunofissazione del siero e delle urine), radiografia dello scheletro e prelievo di sangue midollare. 5 GAMMOPATIA MONOCLONALE DI INCERTO SIGNIFICATO (MGUS) L a diagnosi di MGUS è sempre una diagnosi di esclusione effettuata dopo un’attenta valutazione delle condizioni cliniche del paziente, della sua anamnesi e del risultato degli accertamenti eseguiti. Il paziente con MGUS non presenta sintomi specifici e gli esami ematochimici risultano nei valori di norma, la valutazione radiologica dello scheletro non evidenzia lesioni osteolitiche e la CM sierica è solitamente di modica entità, con una minima quota di plasmacellule midollari. Nel corso degli anni la MGUS può evolvere verso un MM conclamato: attualmente non si dispone di strumenti atti a stabilire la benignità della condizione o la probabilità che questa evolva verso il MM, sebbene la persistenza di bassi valori di CM sierica e la mancanza di soppressione delle altre classi immunoglobuliche siano fattori altamente probanti di una non evolutività clinica. Evidenze recenti in letteratura 6 dimostrano come sia possibile stratificare il rischio di evoluzione tra le MGUS utilizzando tre semplici parametri, che sono il tipo di CM (IgA o IgM), l’entità della stessa CM (superiore a 1.5 g/dl) e l’eventuale alterazione del rapporto delle catene leggere K/L sieriche (FLC ratio). La MGUS non richiede di alcun trattamento ma unicamente di controlli atti a valutarne evoluzione nel tempo: pertanto va impostato un programma di follow-up periodico, la cui frequenza varia tra i 6 e i 12 mesi, tempistica correlata all'entità della CM e dall'alterazione di alcuni fattori prognostici. Un’eventuale progressione di malattia solitamente avviene con un incremento della CM e/o comparsa di dolori ossei in circa il 15% dei pazienti entro 10 anni dalla diagnosi di MGUS. Se durante il follow-up viene confermata la stazionarietà del quadro, i soggetti con MGUS non necessitano di alcuna terapia. 7 N MIELOMA MULTIPLO el Mieloma Multiplo (MM) riscontriamo una proliferazione incontrollata plasmacellule tumorali, che si accumulano nel midollo osseo e producono elevate quantità di CM, riscontrabile nel nel siero e nelle urine (proteinuria di Bence Jones). La CM solitamente è un Ig di classe G o di classe A, (raramente di classe IgM, rarissime di classe IgD e IgE). Le cause del MM non sono note e la sua patogenesi è ancora in via di definizione. Fra le possibili cause vi sono fattori ambientali, quali esposizioni a pesticidi o altri agenti chimici, radiazioni, agenti infettivi. Esistono sporadiche segnalazioni di MM familiare. L’incidenza annua è di circa 3-4 casi su 100.000, variando tuttavia da paese a paese: da 1 caso annuo su 100.000 in Oriente, si passa a 4 casi su 100.000 nella maggior parte dei paesi occidentali. Nella popolazione di colore si riscontra un’incidenza doppia rispetto ai bianchi. In Italia il MM rappresenta l'1,2% di tutti i tumori diagnosticati tra gli uomini e l'1,3% tra le donne 8 con un’incidenza, media ogni anno di 9,5 casi ogni 100.000 uomini e 8,1 ogni 100.000 donne. Le stime indicano un totale di 2.315 nuovi casi diagnosticati ogni anno fra i maschi e di 2.098 fra le femmine. Il MM è una patologia dell’età avanzata, l’età mediana alla diagnosi è di 68 anni, circa il 2% dei pazienti all’esordio ha meno di 40 anni mentre il 38% dei pazienti ha un'età superiore a 70 anni. I tassi d'incidenza per MM sono abbastanza omogenei sia come distribuzione regionale sia come andamento nel tempo. L’incidenza del MM è nel complesso stabile mentre la mortalità è in lieve calo. 9 PLASMOCITOMA SOLITARIO R ispetto al MM, il plasmocitoma interessa pazienti più giovani (50-55 anni). E’ per definizione una lesione singola, solitamente localizzata a livello delle ossa della colonna vertebrale, del bacino e dei femori o a livello delle mucose prevalentemente del distretto orofaringeo. In questi pazienti l’analisi del midollo osseo risulta normale, non vi sono altre lesioni osteolitiche, non si evidenzia nè anemia, nè insufficienza renale, nè ipercalcemia. Solo nella metà dei casi si evidenzia una CM sierica o urinaria, che scompare con l’asportazione del plasmocitoma. Il trattamento è chirurgico ed eventualmente radioterapico. Si può riscontrare un evoluzione verso un MM anche dopo molti anni dalla diagnosi di plasmocitoma. 10 I MIELOMA MULTIPLO: CLINICA n circa il 30% dei casi la diagnosi MM risulta occasionale, con evidenza di una CM sierica e/o urinaria in corso di esami di controllo. Negli altri pazienti il sintomo che maggiormente indirizza al medico è il dolore osseo. Tutti i sintomi sono dovuti alla proliferazione delle plasmacellule neoplastiche: dolore osseo, immunodepressione, insufficienza midollare e sintomi legati alla CM. Dolore osseo. Le plasmacellule neoplastiche, tramite la produzione di varie sostanze chiamate citochine, determinano un incremento dell’attività degli osteoclasti, cellule coinvolte nel fisiologico rimaneggiamento del tessuto osseo, causando rarefazione ossea e lesioni litiche spesso multiple. Queste lesioni sono maggiormente localizzate al bacino, alla teca cranica ed alla colonna vertebrale, causando spesso fratture patologiche. Il dolore osseo è solitamente localizzato, aumenta nelle ore notturne e peggiora con i movimenti. Insufficienza midollare. A livello del midollo osseo la presenza di plasmacellule tumorali deter11 mina una diminuzione del normale tessuto emopoietico midollare, con conseguente riduzione delle normali cellule del sangue (globuli rossi, globuli bianchi e piastrine): ciò comporta un aumentato rischio di infezioni e di emorragie, nonché di anemia. Immunodepressione. La produzione di Ig monoclonali determina una riduzione delle normali classi immunoglobuliniche, causando nel paziente uno stato di immunodepressione che aumenta il rischio di infezioni. Componente Monoclonale (CM). La presenza di una CM sierica e/o urinaria può causare insufficienza renale, polineuropatie periferiche, amiloidosi e sindrome da iperviscosità. L’insufficienza renale si manifesta alla diagnosi circa nel 20% dei casi e compare durante l’evoluzione della malattia in almeno il 50% dei pazienti: può peggiorare per l’ipercalcemia dovuta al coinvolgimento osseo. Le manifestazioni neurologiche in corso di MM sono varie, ma per lo più sono polineuropatie che alterano la sensibilità e la motilità agli arti superiori o inferiori. La presenza della CM nel siero rende il sangue meno fluido: in circa il 4-10% dei pazienti si evidenzia un quadro clinico definito "Sindrome da iperviscosità", caratterizzato da astenia, mal di testa, vertigini, sonnolenza, manifestazioni emorragiche (epistassi, gengivorraggie) ed insufficienza cardiaca. 12 COME DIAGNOSTICARE IL MIELOMA MULTIPLO (MM). D i fronte ad un sospetto di MM il paziente dovrà eseguire esami di laboratorio (emocromo, funzionalità renale ed epatica, calcemia, elettroforesi ed immunoelettroforesi sierica ed urinaria), esami radiologici (radiografia dello scheletro) e un prelievo di sangue midollare (aspirato midollare e biopsia ossea). Si parla di MM quando si riscontrano una CM sierica e/o urinaria, lesioni osteolitiche ed un infiltrato patologico di plasmacellule nel midollo osseo (almeno superiore al 10%). Per impostare il miglior trattamento, per valutare la gravità e quindi la prognosi dei pazienti, si deve definire la diffusione della malattia, eseguire cioè una stadiazione. Il sistema di stadiazione attualmente usato è quello di Durie & Salmon, che si basa sui valori della CM, dell’emoglobina e della calcemia, sulla presenza e quantità di lesioni ossee e di alterazioni della funzionalità renale, 13 permettendo di dividere i pazienti in tre stadi. Parallelamente, in diversi studi clinici è emersa l’utilità a fini prognostici di alcuni parametri ematochimici valutati all’esordio della malattia, come il dosaggio della proteina C reattiva, dell'albumina e della β2-microglobulina. 14 MIELOMA MULTIPLO: COSA FARE? L approccio terapeutico ai pazienti affetti da MM è sensibilmente modificato in questi ultimi anni: dipende essenzialmente dallo stadio della malattia e dall’età del paziente. I pazienti in stadio iniziale (stadio I), il più delle volte asintomatici, non necessitano d’alcun trattamento, non diversamente da una MGUS. Il clinico dovrà tenere in stretto controllo il paziente evidenziando eventuali segni di progressione (incremento della CM, comparsa di dolori ossei, insufficienza renale, anemizzazione). La malattia in stadio limitato può rimanere tale per molto tempo senza alcuna terapia specifica. Si deve inoltre sottolineare che il MM è una malattia che si può curare ma non guarire: fino ad ora nessuno studio clinico ha dimostrato che anticipare il trattamento permette di ottenere benefici in termini di efficacia, di qualità di vita e di sopravvivenza. Pertanto il trattamento chemioterapico viene quindi riservato ai pazienti 15 con malattia sintomatica, ai pazienti in stadio avanzato (II e III stadio). L’introduzione dei nuovi farmaci nel prontuario terapeutico per il MM (come talidomide, lenalidomide e Bortezomib, spesso in combinazione con cortisonici e/o chemioterapici) ha comportato un miglioramento della sopravvivenza, sia nei pazienti alla diagnosi che alla recidiva della malattia. I pazienti con MM sintomatico vengono avviati a trattamento di prima linea e, in casi selezionati, a successiva terapia di consolidamento ad alte dosi con supporto di cellule staminali emopoietiche autologhe (Trapianto autologo). Generalmente i pazienti con età superiore a 65 anni vengono esclusi dalle procedure trapiantologiche, mentre i pazienti più giovani, possono essere trattati con terapia ad alte dosi previa valutazione della funzionalità cardiaca, polmonare, renale, epatica e l’esclusione di eventuali infezioni attive. Peraltro, va sottolineato come la presenza di insufficienza renale ed età anagrafica avanzata, non sono controindicazioni assolute a trattamenti intensificati. Nei pazienti di età superiore ai 65 anni, gli obbiettivi principali del trattamento sono l’ottenimento della risposta completa, al fine di prolungare l’intervallo libero da malattia e la spettanza di vita e ridurre il più 16 possibile la tossicità della terapia, per non inficiare eccessivamente sulla qualità della vita dei pazienti. Per conseguire questi obiettivi, la terapia deve essere adeguata non solo alle caratteristiche della malattia, ma anche all’età biologica e al performance status del paziente. Inoltre è importante il trattamento con bisfosfonati (Pamidronato e Zolendronato) la cui somministrazione mensile determina una riduzione del rischio di fratture patologiche. Tuttavia, inizialmente l’utilizzo di questi farmaci, soprattutto lo Zolendronato, si correlava al rischio di sviluppare una grave complicazione odontoiatrica, ossia l’osteonecrosi della mandibola (ONJ). Tale complicazione è caratterizzata da un area di osso esposto nella mascella o nella mandibola che persiste per più di 6 settimane, associato o meno a dolore ed edema dei tessuti molli, e insorge prevalentemente dopo un intervento odontoiatrico (soprattutto avulsioni). Una corretta valutazione odontoiatrica preventiva prima di iniziare il trattamento (con indicazione ad eseguire eventuali interventi mirati) associata ad una costante igiene orale quotidiana, hanno permesso di ridurre drasticamente l’incidenza di questa grave complicazione. 17 I "NUOVI FARMACI" C ome già accennato in precedenza, l’associazione di nuove molecole alla classica chemioterapia, ha consentito di ottenere notevoli benefici ai pazienti affetti da MM. Queste molecole sono la talidomide, il Bortezomib e la lenalidomide. Talidomide. La talidomide negli anni cinquanta e sessanta veniva prescritto come sedativo e antiemetico soprattutto in gravidanza. Alla fine del 1961 venne ritirato dal commercio in seguito all’evidenza di gravi effetti teratogeni: le donne che avevano assunto talidomide davano alla luce neonati con gravi alterazioni dello sviluppo degli arti (focomelia). Peraltro, negli anni 90, le sue proprietà antiangiogeniche e immunomodulanti ne hanno fatto farmaco efficace nel trattamento del MM, con evidenza di risposte anche nei pazienti pesantemente pretrattati. Da allora la talidomide è stata ampiamente utilizzata in questa patologia. Attualmente la talidomide è prescrivibile nel paziente di età superiore a 65 anni con MM all’esordio nell’associazione MPT, 18 nel paziente candidabile a trapianto nello schema VTD, o come terapia di mantenimento dopo il trapianto. La talidomide è un farmaco che si assume per os, preferibilmente nelle ore serali: infatti uno dei maggiori effetti collaterali è la sonnolenza (soprattutto a dosi elevate) che tende a scomparire con il prosieguo della cura. Un altro effetto collaterale che si riscontra nei pazienti che assumono talidomide è l’insorgenza di una Neuropatia periferica, spesso irreversibile, caratterizzata da riduzione della sensibilità alle dita delle mani e dei piedi e formicolio. Bortezomib. Il Bortezomib è un inibitore di alcune molecole contenute nelle cellule (il proteosoma) con conseguente blocco della crescita e conseguente morte cellulare. Il proteosoma si trova in tutte le cellule dell’organismo ma soprattutto nelle cellule tumorali e solo in piccola parte sulle cellule sane, dato che ne giustifica l’azione mirata verso il MM. Il Bortezomib è disponibile per la somministrazione endovenosa e, da pochi mesi anche per la somministrazione sottocutanea. Attualmente il Bortezomib è registrato in associazione a Melphalan e prednisone (schema VMP) per il trattamento del mieloma multiplo non candidato a trapianto e in associazione a talidomide e Desametasone (VTD) nell’induzione pretrapianto nel paziente giovane. 19 Il Bortezomib è un farmaco molto efficace con un ottimo profilo di tossicità: infatti il Bortezomib, oltre ad una lieve riduzione transitoria delle piastrine, può determinare insorgenza di neuropatia periferica, spesso dolorosa a livello delle piante dei piedi, che si risolve nella maggioranza dei casi alla riduzione della dose o sospensione del farmaco. Da sottolineare come il passaggio alla somministrazione sottocutanea riduca di molto l’insorgenza e l’entità di questo effetto collaterale. Lenalidomide. Questa molecola deriva dalla talidomide rispetto alla quale ha maggiore efficacia senza evidenza di effetti neurotossici. Anche per la lenalidomide viene segnalato il rischio teratogeno. Il farmaco si assume per os, per 21 giorni consecutivi ogni 28 e il trattamento viene proseguito fino a quando la malattia risulta responsiva. E’ un farmaco ben tollerato: gli effetti collaterali riportati sono: riduzione dei leucociti, globuli rossi e piastrine; comparsa di rush cutanei e rischio di sviluppare trombosi: quest’ultimo problema viene praticamente eliminato con una profilassi antitrombotica con aspirina a basse dosi o (in casi particolari) con eparina a basso peso molecolare. Praticamente assente la tossicità neurologica. 20 PAZIENTE GIOVANE: TERAPIA AD ALTE DOSI CON REINFUSIONE DI CELLULE STAMINALI EMOPOIETICHE PERIFERICHE I l paziente candidabile a tale procedura esegue 3-4 cicli di terapia di induzione per ridurre la massa neoplastica. Generalmente gli schemi di induzione comprendono Bortezomib, talidomide, Ciclofosfamide e Desametasone, spesso in associazione, e consentono di ottenere una risposta rapida in oltre la metà dei pazienti. In seguito viene somministrato un ciclo di terapia citoriduttiva con ciclofosfamide definita di “mobilizzazione” seguita da somministrazione di fattore di crescita emopoietico (G-CSF), farmaco che il paziente effettua domiciliarmente per via sottocutanea. La combinazione tra chemioterapia e fattore di crescita ha lo scopo di “mobilizzare” nel sangue periferico le cellule definite staminali totipotenti, cellule potenzialmente in grado di dare origine a tutte le cellule del sangue, che normalmente sono presenti solo a livello del midollo osseo. 21 Con un semplice prelievo del sangue si è in grado di valutare la quantità di queste cellule staminali circolanti nel sangue periferico e, se i valori risultano adeguati, il paziente eseguirà una o più procedure di leucoaferesi, per raccogliere e criopreservare le stesse cellule staminali. 22 LA LEUCAFERESI L a leucaferesi è la procedura che permette di raccogliere le cellule staminali: si collega il paziente all’apparecchio per la leucaferesi, tramite due aghi posizionati in due vene periferiche (meglio un catetere centrale ed una vena periferica); il sangue viene prelevato da una vena, fatto circolare attraverso particolari filtri contenuti nella macchina della leucoaferesi, dove vengono identificate e separate le cellule staminali e quindi reinfuso attraverso il secondo accesso vascolare. La procedura dura solitamente tre ore e non richiede ricovero. Le cellule raccolte vengono criopreservate, in pratica conservate in azoto liquido (a -180 °C) fino al giorno del trapianto. 23 CHEMIOTERAPIA AD ALTE DOSI E REINFUSIONE DI CELLULE STAMINALI L a fase successiva comprende la somministrazione di chemioterapia (Melphalan) ad un dosaggio elevato e la reinfusione delle cellule staminali emopoitiche in precedenza raccolte e criopreservate, il cosiddetto trapianto di cellule staminali autologhe. Il trapianto consiste nell’infusione rapida delle cellule staminali attraverso il catetere venoso centrale. Tutto ciò consente alcuni vantaggi: ✔ Gli elevati dosaggi di chemioterapico consentono teoricamente di eradicare la malattia dal midollo osseo, superando la barriera della chemioresistenza delle cellule neoplastiche. ✔ La reinfusione delle cellule staminali permette di ridurre il periodo di pancitopenia (carenza di globuli bianchi, globuli rossi e piastrine) dovuti alla somministrazione del chemioterapico, con conseguente riduzione del rischio infettivo e del fabbisogno trasfusionale. Le cellule staminali non sono “curative” ma ci permettono di effettuare la chemioterapia a dosi elevate, riducendone la tossicità. 24 L TOSSICITÀ a tossicità di questa procedura risulta accettabile: infatti l’utilizzo delle cellule staminali periferiche, dei fattori di crescita emopoietici e il miglioramento della terapia di supporto (soprattutto antibiotica) consentono di ridurre gli effetti collaterali e il periodo di degenza di questi pazienti. Gli effetti collaterali che si riscontrano sono essenzialmente: ✔ Nausea e vomito, di solito di modica entità. ✔ Pancitopenia: di grado elevato, che nella maggior parte dei casi richiede un supporto trasfusionale e somministrazione di fattori di crescita emopoietici, anche se generalmente per pochi giorni. ✔ Infezioni, legate alla neutropenia: per limitare il rischio infettivo i pazienti sono posti in regime di isolamento protettivo per la durata della neutropenia, mediamente di una settimana. ✔ Mucosite: con dolore al cavo orale, difficoltà ad alimentarsi e diarrea. 25 Il ricovero ospedaliero per tale procedura dura solitamente tre settimane. In base alla risposta ottenuta dopo il trapianto, è eventualmente possibile effettuare una secondo trapianto a distanza da 3-6 mesi dal precedente. 26 CONSOLIDAMENTO E MANTENIMENTO L a terapia di consolidamento ha l’obiettivo di migliorare ulteriormente la risposta ottenuta con le alte dosi; si basa quindi su di un regime terapeutico altamente efficace, somministrato per un breve periodo di tempo, per ridurne al minimo la tossicità. In seguito all’introduzione dei “nuovi farmaci” nell’armamentario terapeutico del mieloma sono stati sperimentati regimi di consolidamento comprensivi di talidomide, Bortezomib e lenalidomide, con conseguente aumento del numero dei pazienti che ottenevano una risposta completa. La terapia di mantenimento è finalizzata invece a conservare nel tempo la risposta ottenuta e a prolungare la sopravvivenza, senza alterare in modo significativo la qualità di vita. Consiste in un trattamento con un farmaco a bassi dosaggi, per un periodo di tempo prolungato (anche alcuni anni). Fino a 10 anni fa circa, le uniche possibilità erano rappresentate dall’interferone e dallo steroide, che peraltro risultavano tossi27 che e assai poco efficaci. L’impiego di talidomide come terapia di mantenimento ha in alcuni casi determinato un miglioramento della durata della risposta e della sopravvivenza globale: Il problema principale relativo all’impiego di talidomide come terapia di mantenimento a lungo termine riguarda la sua neurotossicità, che determina una sua sospensione nel 60% dei pazienti. La lenalidomide in considerazione dell’assenza di neurotossicità, appare farmaco ideale come terapia di mantenimento, con vantaggio della sopravvivenza. Peraltro, nei pazienti che assumevano lenalidomide è emerso un incrementato rischio di seconde neoplasie e pertanto il suo utilizzo va attentamente valutato. Pochi e non conclusivi dati esistono sulla terapia di mantenimento con Bortezomib, essendo inoltre di non poco rilievo il problema della via di somministrazione endovenosa e la sua neurotossicità. La recente disponibilità del farmaco per via sottocutanea, e la conseguente riduzione degli effetti collaterali potrebbe favorirne l’impiego. 28 PAZIENTI ANZIANI: QUALE TERAPIA? C ome già messo in evidenza precedentemente, l’età mediana d’insorgenza del MM è di circa 68 anni. Pertanto la possibilità di eseguire terapie aggressive con intento curativo, rimane limitato alla minoranza di pazienti. Peraltro, l’introduzione delle nuove molecole nella terapia del mieloma (talidomide, Bortezomib e lenalidomide) ha consentito di migliorare i risultati che si ottengono anche nel paziente non candidabile a terapie intensificate. 29 RADIOTERAPIA: QUANDO UTILIZZARLA? D iversamente da altre neoplasie oncoematologiche, dove la radioterapia viene affiancata alla chemioterapia con intento curativo, nei pazienti affetti da MM è utilizzata solamente a scopo sintomatico. Il MM è una neoplasia altamente radiosensibile ma essendo una malattia sistemica, in altre parole diffusa, si dovrebbe irradiare tutto l’organismo, con gravi effetti collaterali per il paziente. Questo tipo di trattamento (chiamato Irradiazione corporea globale) è attualmente utilizzato solo come regime preparatorio ad un trapianto di midollo o cellule staminali allogeniche. Solitamente la radioterapia è utilizzata per controllare localmente la malattia, in caso di localizzazione ossea e fratture patologiche (soprattutto a livello delle vertebre, del bacino e degli arti), allo scopo di ridurre o eliminare il dolore osseo. 30 TERAPIE FUTURE (ma non troppo...) S ono già in corso in molti paesi, tra cui l’Italia, studi con nuove molecole. Infatti a breve potrebbero essere disponibili per i pazienti affetti da MM farmaci come la Pomalidomide (altro farmaco immunomodulante derivato dalla lenalidomide) il Carlfizomib (un nuovo inibitore del proteosoma) o anticorpi monoclonali diretti contro proteine di superficie della plasmacellula tumorale, farmaci diretti contro particolari proteine regolatorie della plasmacellula. 31 I CONCLUSIONI n questi ultimi anni la terapia e di conseguenza la prognosi dei pazienti affetti da MM è radicalmente modificata, permettendo di superare l’approccio palliativo dei decenni precedenti. Nel paziente giovane, l'utilizzo di programmi sequenziali ad alte dosi con trapianto di cellule staminali periferiche autologhe o allogeniche ha permesso di migliorare la qualità di vita di questi pazienti e, in ultima analisi, di prolungarne la sopravvivenza. Nel paziente anziano, l’approccio di associazione tra farmaci biologici (talidomide, Borterzomib e lenalidomide) e chemioterapia, ha consentito di ottenere ottimi risultati, garantendo un trattamento adeguato anche in questa categoria di pazienti ove, fino a poco tempo fa, le cure erano unicamente indirizzate al controllo dei sintomi. Lo sviluppo di modalità innovative e l’introduzione di nuovi farmaci (ma soprattutto la loro migliore “combinazione”) sarà certamente in grado di migliorare ulteriormente ed in maniera significativa i risultati terapeutici ottenuti in questa patologia. 32 Questo opuscolo è stato realizzato grazie alla Fondazione Federico Calabresi Onlus Via Angelo Brunetti 54 - 00186 Roma Cell. 349/3163072 [email protected] Banca Intesa San Paolo Piazza di Spagna 18 00186 Roma IBAN: IT67 E030 6903 2591 0000 0006 179 5x1000 Codice Fiscale 97355930583 Se Vi è stato di aiuto sosteneteci a realizzarne altri! 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