Aggiornamenti Scientifici FADOI È ora di cercare i veri "colpevoli" della disfunzione erettile. Nuovi dati sui ß-bloccanti. Piergiuseppe Agostoni e Mauro Contini UO Scompenso Cardiaco e Cardiologia Clinica e Riabilitativa, Centro Cardiologico "Monzino", Milano Introduzione La disfunzione erettile (DE), definita come l’incapacità di raggiungere o mantenere un’erezione peniena sufficiente ad un’attività sessuale soddisfacente, è un’alterazione molto frequente nella popolazione di età > 40 anni (prevalenza circa del 40% nella popolazione generale) e comporta una riduzione apprezzabile della qualità di vita. L’incidenza di DE è particolarmente elevata nella popolazione affetta da malattie cardiovascolari e per molto tempo questa associazione è stata in gran parte ascritta all’effetto collaterale dei farmaci utilizzati, in particolar modo il ß-bloccante. Ancor oggi, d’altronde, benché la letteratura abbia sostanzialmente sfatato il mito, il binomio “comparsa di DE” e “effetto collaterale della terapia ß-bloccante” costituisce un’associazione molto diffusa, spesso automatica e quasi inconscia. Gli studi più recenti, tuttavia, hanno dimostrato in modo piuttosto evidente come sia la malattia cardiovascolare per sè ad essere associata alla DE, mentre nella maggior parte dei casi l’interferenza reale del trattamento farmacologico appare di secondo piano, se non addirittura trascurabile. Il ruolo dei farmaci nella comparsa della disfunzione erettile Perché è opinione comune che la DE sia spesso dovuta ad un effetto iatrogeno, in particolare nel caso di utilizzo dei ß-bloccanti? Per quanto riguarda i ß-bloccanti, l’effetto è stato ascritto al blocco dei recettori ß-2 della muscolatura liscia vascolare del pene e alla conseguente riduzione della capacità di vasodilatazione di questi vasi, che è alla base del processo di erezione. D’altronde, studi animali hanno evidenziato come il trattamento ß-bloccante (nella fattispecie propranololo) induca DE tramite meccanismi centrali e periferici, con un incremento della latenza dell’eiaculazione e dell’erezione e una riduzione del numero di riflessi di erezione. Negli studi sull’uomo è stata identificata una prevalenza di DE tra il 10 e il 15% con l’assunzione di propranololo. Si è osservata una dose-dipendenza dell’effetto e una prevalenza apparentemente maggiore con i composti lipofilici rispetto a quelli idrofilici e con i composti non selettivi rispetto a quelli ß1-selettivi, anche se non tutti gli studi sono concordi a tale proposito. Oltre ai beta bloccanti, diversi altri farmaci di pertinenza cardiovascolare sono stati implicati nell’insorgenza di DE: diuretici tiazidici: ipotizzato un ruolo di deplezione di zinco e/o un effetto secondario all’ipovolemia; anti-ipertensivi centrali come clonidina e metilDOPA: per la ridotta attività simpatica indotta dalla stimolazione -2 centrale; spironolattone: effetto mediato da alterazione degli ormoni sessuali; verapamil: meccanismo poco chiaro, possibile ruolo di prolattinemia; ACE-inibitori. Nr. 1 – gennaio 2014 1/5 Aggiornamenti Scientifici FADOI Particolare enfasi all’effetto dei farmaci sulla DE si deve al lavoro apparso nel 1999, ad opera di Keene e Davies (1), secondo il quale circa il 25% dei casi di DE era riconducibile a effetto collaterale farmacologico. I farmaci anti-ipertensivi venivano segnalati come quelli maggiormente implicati, con un diverso peso per le diverse classi farmacologiche. In una revisione sull’argomento del 2006 (2), sulla base degli studi disponibili, il ruolo delle diverse classi farmacologiche di anti-ipertensivi veniva riassunto come illustrato nella tabella 1. Tabella 1 Classe di farmaci anti-ipertensivi Effetto sulla funzione erettile Farmaci ad azione centrale Negativo +++ Diuretici Negativo ++ ß-bloccanti Negativo + Calcio-antagonisti Neutro ACE-inibitori Neutro Positivo -bloccanti AT II-bloccanti Positivo A dispetto di queste osservazioni, l’associazione causale tra farmaci cardiovascolari e DE è apparsa estremamente labile alla luce della semplice osservazione di come le malattie cardiovascolari per sé, attraverso diversi meccanismi fisiopatologici, possano provocare DE e del fatto che malattie cardiovascolari e DE riconoscano di fatto meccanismi eziopatogenetici, fattori fisiopatologici di progressione della malattia e fattori di rischio comuni (età, dislipidemia, ipertensione, insulino-resistenza, diabete, fumo, obesità, sindrome metabolica, depressione). La DE è d’altronde essa stessa, per una parte dei casi, una malattia vascolare, dipendendo, almeno per le forme vasculogeniche, da un’alterazione nel normale funzionamento dei meccanismi della vasodilatazione a livello delle arterie dei corpi cavernosi, che come è noto dipende dalla normalità della funzione endoteliale. È opportuno ricordare che la classificazione eziologia delle DE distingue grossolanamente 3 patogenesi: (tabella 2). Tabella 2 Classificazione eziopatogenetica della disfunzione erettile Vasculogenica Organica Ormonale Neurogenica Psicogena Mista La percentuale di forme di DE su base psicogena è tutt’altro che trascurabile. Sulla base di questa considerazione è possibile ipotizzare che l’aumentata incidenza di DE con l’assunzione di farmaci possa essere riconducibile, almeno in parte, ad una sorta di “effetto nocebo”. 2/5 Aggiornamenti Scientifici FADOI A questo riguardo è molto interessante il risultato di uno studio italiano (3), che ha valutato l’impatto della consapevolezza del trattamento assunto e/o della conoscenza dei possibili effetti collaterali sulla sfera sessuale sull’incidenza di DE in corso di trattamento ß-bloccante in pazienti con malattia cardiovascolare. Sono stati arruolati 96 pazienti (età media 52 ± 7 anni) di sesso maschile con recente diagnosi di malattia cardiovascolare (nel 40% dei casi ipertensione e nel 60% angina) e nei quali non fosse basalmente presente alcun tipo di DE. I pazienti sono stati divisi in 3 gruppi tutti trattati con atenololo: 32 soggetti in cieco; 32 soggetti a conoscenza del trattamento assunto e del fatto che tale farmaco apparteneva alla categoria dei ß-bloccanti, ma senza essere esplicitamente informati di possibili effetti collaterali sulla funzione erettile; 32 soggetti, ricevendo anche una specifica informazione sulla possibilità, ancorché rara, di effetti negativi sulla funzione erettile indotta dai farmaci ß-bloccanti. Ebbene, l’incidenza osservata di DE, misurata mediante la somministrazione di un apposito questionario, che veniva compilato prima e dopo il periodo di trattamento farmacologico, fu rispettivamente: 3.1% (un unico paziente) nel gruppo che non era informato della terapia assunta; 15.6% (5 pazienti) nel gruppo che era al corrente di stare assumendo un farmaco ß-bloccante; 31.2% (10 pazienti) nel gruppo che veniva anche informato dei possibili effetti collaterali del farmaco. Si osservava pertanto un incremento di 10 volte nell’incidenza di DE quando il paziente era consapevole di assumere un farmaco ß-bloccante e dei possibili effetti collaterali di tale categoria farmacologica. A ulteriore testimonianza di un prevalente effetto psicologico alla base della insorgenza di DE con l’assunzione di ß-bloccante vengono poi i dati della seconda parte di tale studio: nei pazienti che riferivano una problema di DE dopo assunzione di atenololo, la somministrazione in cieco con un disegno in cross-over di sildenafil o di placebo era ugualmente efficace nel ripristinare una normale funzione erettile nella quasi totalità dei soggetti (con l’eccezione di un solo paziente che non rispondeva ad alcun trattamento in cieco, ma che riferiva un beneficio quando trattato con sildenafil in aperto). I risultati di questo studio suggeriscono in modo abbastanza convincente che buona parte dell’aumentata incidenza di DE osservata negli studi clinici osservazionali con i farmaci anti-ipertensivi, o quanto meno con i ß-bloccanti, possa in realtà essere di natura squisitamente psicogena. Di fatto gli studi clinici più recenti non sono riusciti a dimostrare una significativa associazione tra DE e terapia farmacologica cardiovascolare, con la sola eccezione, forse, dei diuretici tiazidici. Per quanto riguarda i ß-bloccanti, in particolare, la presenza di effetto vasodilatante nelle molecole di terza generazione sembra addirittura rivestire un ruolo favorevole sulla funzione erettile, come dimostrato per il nebivololo. Qualche dubbio persiste ancora per le statine somministrate ad alto dosaggio, con una possibile relazione con alterati livelli ematici di testosterone. L’associazione tra disfunzione erettile e malattie cardiovascolari: un nuovo fattore di rischio? Mentre l’associazione tra farmaci cardiovascolari e DE è, con rare eccezioni, più una credenza comune da “smitizzare” che una realtà oggettiva, l’associazione tra DE e malattie cardiovascolari rimane un punto di estremo interesse. Ciò non tanto, o non solo, perché alcune malattie cardiovascolari, come l’ipertensione o lo scompenso cardiaco, siano in grado di provocare o peggiorare la DE, ma soprattutto perché la DE costituisce per sè stessa un fattore di rischio cardiovascolare indipendente (4). 3/5 Aggiornamenti Scientifici FADOI Nella cardiopatia ischemica la prevalenza di DE è molto alta, variando tra 47 e 75% a seconda degli studi. Nel trial COBRA (assoCiatiOn Between eRectile dysfunction and coronary Artery disease) la prevalenza di DE è apparsa funzione dell’estensione della malattia coronarica, essendo maggiore nei pazienti con malattia coronarica cronica o con eventi acuti e malattia multivascolare, rispetto a pazienti con sindrome coronarica acuta e malattia monovascolare. Altri studi hanno evidenziato come in pazienti con DE senza manifestazioni cliniche di coronaropatia fosse possibile evidenziare ischemia inducibile a test provocativi in una percentuale significativamente più alta di quanto generalmente osservato nella popolazione generale con analoghi fattori di rischio cardiovascolare e come nei soggetti che venivano successivamente avviati a coronarografia, fosse dimostrabile una malattia ostruttiva coronarica in più del 90% dei casi. Numerosi studi hanno d’altronde chiaramente evidenziato come la presenza di DE sia in grado di predire eventi cardiovascolari futuri sia nella popolazione generale che in soggetti con plurimi fattori di rischio cardiovascolare, in soggetti diabetici o in soggetti con scompenso cardiaco cronico. In particolare, in una metanalisi coinvolgente quasi 100.000 pazienti con un follow-up di circa 6 anni, la presenza di DE aumentava significativamente, e indipendentemente dai fattori di rischio tradizionali, il rischio di eventi cardiovascolari, di mortalità cardiovascolare, di infarto miocardico acuto, di eventi cerebrovascolari e il rischio di mortalità per qualsiasi causa (incremento del rischio relativo rispettivamente del 44, 19, 62, 39 e 25%). Nei pazienti di sesso maschile con nota malattia cardiovascolare il rischio di morte aumentava addirittura del 90% in presenza di DE. È già stato sottolineato come le malattie cardiovascolari, cardiopatia ischemica in prima linea, e DE condividano diversi fattori patogenetici. Come precedentemente discusso, la DE è sostanzialmente secondaria alla compromissione del funzionamento dei sistemi di vasodilatazione dell’arteria peniena. Nella forma vasculogenica, quella che con maggiore evidenza si associa alla cardiopatia ischemica, il meccanismo patogenetico risiede nella disfunzione dei meccanismi di rilasciamento della muscolatura liscia vascolare, più o meno correlata a disfunzione endoteliale, e/o nell’occlusione della arterie cavernose per aterosclerosi. Secondo l’ipotesi della “dimensione dell’arteria”, inoltre, è plausibile che un’alterazione vascolare a livello arterioso si manifesti prima in arterie di piccolo calibro (come quelle peniene che hanno diametro pari a circa 1 o 2 mm) e solo successivamente in arterie di maggior calibro come le coronarie (diametro 3-4 mm), le carotidi (diametro 5-7 mm) o arterie periferiche quali le femorali (diametro 6-8 mm). Questa ipotesi fisiopatologica renderebbe conto di un dato clinico di fondamentale importanza, vale a dire del fatto che nell’uomo la DE non solo si associa alla coronaropatia, ma precede le manifestazioni cliniche cardiovascolari di un periodo mediamente intorno ai 3 anni (range 2-5 anni). Per quanto riguarda lo scompenso cardiaco cronico, condizione nella quale la DE è particolarmente frequente e disabilitante e nella quale il ruolo dell’interferenza dei farmaci, in particolare ß-bloccanti, è tuttora spesso sovrastimato, l’associazione tra la malattia cardiaca e la DE è stata oggetto di uno studio condotto nei nostri laboratori (5). In questo studio, l’associazione tra DE e scompenso e la correlazione tra diversi gradi di gravità delle due malattie è stata valutata mediante la somministrazione di plurimi questionari e la determinazione di variabili cliniche che comprendevano esami ematochimici e parametri ottenuti da test da sforzo cardiorespiratorio in 110 soggetti di sesso maschile ed età ≤ 70 anni, con FE ≤ 40% e in stabili condizioni di compenso emodinamico. La prevalenza di DE è stata del 69.3% in tutta la popolazione (81.1% e 56% rispettivamente nei pazienti con o senza coronaropatia), risultando di grado 4/5 Aggiornamenti Scientifici FADOI moderato o severo in 37 pazienti. L’analisi multivariata identificava in età, presenza di diabete, uso di diuretici e valori di emoglobina gli unici fattori associati alla presenza di DE. L’uso o il dosaggio di farmaci ßbloccanti non risultava in particolare in nessun modo correlato alla presenza di DE. Quale ulteriore dato di interesse clinico, l’analisi dei dati provenienti dal test da sforzo cardiopolmonare ha evidenziato nel VO2 > 10 mL/kg/min al picco dell’esercizio un requisito minimo per permettere una normale attività sessuale in questa categoria di pazienti. Conclusioni La DE appare piuttosto frequente nella popolazione maschile di età > 40 anni, ma soprattutto la sua prevalenza appare elevata nella popolazione affetta da malattie cardiovascolari. Benché l’identificazione di una relazione causa-effetto tra queste due entità patologiche sia complicata dalla presenza di fattori di rischio ed eziopatogenetici comuni, una grossa mole di dati dimostra che la DE costituisce un fattore di rischio cardiovascolare indipendente sia nella popolazione generale che nei pazienti con cardiopatia nota. Di particolare interesse il fatto che nei soggetti senza segni clinici di malattia cardiovascolare l’insorgenza di disfunzione erettile rappresenta un importante campanello di allarme, potendo precedere di anni le manifestazione cliniche della cardiopatia. L’idea che la DE rappresenti, in un’elevata percentuale dei casi, un effetto collaterale della terapia farmacologica cardiovascolare risulta invece, alla luce delle evidenze cliniche più recenti, priva di fondamento scientifico. Ciò appare particolarmente vero se si prendono in considerazione i farmaci ßbloccanti e soprattutto quelli di ultima generazione, per i quali è addirittura ipotizzabile un effetto positivo sulla funzione erettile. L’unica categoria di farmaci probabilmente implicata nella genesi della DE rimane invece quella dei diuretici tiazidici. Bibliografia 1. Keene LC, Davies PH. Drug-related erectile dysfunction. Adverse Drug React Toxicol Rev 1999, 18: 5-24. 2. Doumas M, Douma S. The effect of antihypertensive drugs on erectile function: a proposed management algorithm. J Clin Hypertens 2006, 8: 359-64. 3. Silvestri A, et al. Report of erectile dysfunction after therapy with beta-blockers is related to patient knowledge of side effects and is reversed by placebo. Eur Heart J 2003, 4: 1928-32. 4. Vlachopoulos C, et al. Erectile dysfunction in the cardiovascular patient. Eur Heart J 2013, 34: 2034-46. 5. Apostolo A, et al. Erectile dysfunction in heart failure: correlation with severity, exercise performance, comorbidities, and heart failure treatment. J Sex Med 2009, 6: 2795-805. 5/5