DIARIO la Repubblica GIOVEDI 16 MAGGIO 2013 DI REPUBBLICA ■ 50 La politica del rigore si è dimostrata inefficace e anche la sua base teorica si rivela sbagliata. E i governi europei incominciano a trarne tutte le conseguenze POST-AUSTERITY La fine di un’ideologia moralista che ha aggravato la crisi FEDERICO RAMPINI LA SERIE SU REPUBBLICA 1. USA E TOKYO SPENDONO Investimenti e più liquidità: la ricetta di Stati Uniti e Giappone (11/04/13) 2. “ITALIA PENALIZZATA” Il Nobel Stiglitz chiede “più Europa o meno euro contro la crisi” (12/04/13) 3. “ORA GLI EUROBOND” “Con l’austerity vince il populismo, come in Italia” dice Roubini (14/04/13) 4. “CI VUOLE SOLIDARIETÀ” Ulrich Beck: “L’ossessione della moneta deprime il lavoro” (15/04/13) 5. BASTA RIGORE Viene smentita la teoria di Reinhart e Rogoff su debito e recessione (18/04/13) 6. MORATORIA SUL DEFICIT Per Pisani-Ferry servono “tre-quattro anni senza sacrifici” (19/04/13) a parabola del pensiero unico neoliberista sta volgendo al termine, la sua fine consuma anche l’ideologia dell’austerity. Eppure l’austerity ha cercato di accreditarsi – soprattutto nella sua versione europea – come l’antidoto agli eccessi del liberismo. Meglio ancora: una forma di catarsi, di espiazione. È un aspetto importante, che spiega la pervicacia della Germania nell’applicare e imporre al resto d’Europa ricette disastrose che prolungano la recessione. Spiega anche perché interi pezzi dell’establishment europeo siano stati soggiogati dall’austerity fino ad accettarla come verità suprema (salvo scoprire che “il re è nudo”, con la scoperta che la famosa soglia invalicabile del 90% di debito/Pil era un errore di calcolo). In partenza, i tedeschi furono tra i primi a mettere sotto accusa il neoliberismo, come causa della crisi del 2008. Videro in quel disastro sistemico della finanza mondiale, scatenato da Wall Street, la condanna della “economia del debito”. E avevano ragione, in quel contesto. I mutui subprime furono il fattore dirompente. Quei mutui “scadenti” (questa la traduzione più sincera) erano tali perché concessi a famiglie già troppo indebitate, o dai redditi palesemente insufficienti per ripagare le rate. Elargendo con facilità credito a tutti, Wall Street aveva inventato un by-pass finanziario per risolvere un gigantesco problema sociale: la dilatazione patologica delle diseguaglianze, l’impoverimento dei lavoratori e del ceto medio, il crollo della capacità di risparmio delle famiglie, la difficoltà di accesso alla prima casa. Il sistema poteva funzionare finché la bolla speculativa faceva lievitare il valore degli immobili: le famiglie sovraindebitate potevano sempre sperare di rivendere la casa per ripagare i debiti. I banchieri, dal canto loro, si erano apparentemente immunizzati dal rischio, frazionando e cartolarizzando i loro crediti, spalmando il rischio sui mercati e sugli investitori. Quando il castello di carte è crollato è stato giusto puntare il dito contro “la cultura del debito facile”. Questa cultura, made in Usa, si era avvalsa dell’ideologia liberista: la convinzione cioè che i mercati stessi avevano la capacità di autoregolarsi. Uno dei massimi guru di quel pensiero unico fu Alan Greenspan, presidente della Federal Reser- Cultura L All’origine c’è la cultura liberista, che sostiene che i mercati si autoregolino e trovino sempre da soli il loro equilibrio Superiorità La Germania si è convinta della propria superiorità morale oltre che economica e finanziaria SCAFFALI Italia anni 70 Scaffali vuoti nei supermercati durante la crisi petrolifera ve durante l’Età dell’Oro (Clinton-Bush), il quale aveva sempre snobbato gli allarmi sulle bolle speculative e debitorie, perché convinto che i mercati nel loro perfetto equilibrio erano già in grado di calcolare il rischio, di proteggersi, di ritrovare un equilibrio naturale. Dopo il 2008, è dalla Germania che sono giunte alcune delle requisitorie più spietate contro l’ame- SILLABARIO POST-AUSTERITY ricanizzazione della finanza, l’esportazione della cultura del debito facile verso paesi tanto diversi come l’Irlanda o la Spagna. A ragione la Germania di Angela Merkel stabilì nelle sue diagnosi un nesso forte tra il fenomeno sub-prime e l’altra dimensione dei debiti: la tendenza degli Stati Uniti ad accumulare deficit commerciali e passività con il resto del mondo (so- JOSEPH E. STIGLITZ miti peggiori sono che l’austerità porterà alla ripresa e che un aumento della spesa governativa non lo farà. Il ragionamento è che il mondo degli affari, vedendo i conti del governo più in ordine, sarà più fiducioso e che tale aumento di fiducia porterà a maggiori investimenti. È interessante notare come, in base a questo ragionamento, chi lo sostiene dovrebbe appoggiare la nostra prima strategia per la ripresa economica: aumentare l’investimento pubblico. Poiché vi sono opportunità di investimento pubblico ampiamente riconosciute quali fonti di ritorni attesi elevati, ben più elevati del tasso di interesse che il governo deve pagare per prendere a prestito il denaro, un maggiore investimento pubblico porterebbe nel lungo periodo a un debito pubblico inferiore; e la convinzione che sarebbe così dovrebbe instillare fiducia, portando a un’esplosione di attività economica. I © RIPRODUZIONE RISERVATA prattutto le potenze esportatrici: Cina, Giappone, Germania). L’abitudine, cioè, degli Stati Uniti di “vivere al di sopra dei propri mezzi”. Da quel momento in poi, la Germania si è convinta della propria superiorità morale, oltre che economica. La sua visione etica, sulle virtù della parsimonia, è diventata un lasciapassare per reintrodurre nel senso comune una vecchia versione del liberismo. Lo chiamano “ordo-liberalismus”, ha avuto radici profonde nel mondo germanico. Somiglia all’ideologia che professava Herbert Hoover, presidente americano nel crac del 1929. Hoover non era un mostro insensibile alle sofferenze dei disoccupati. Provò ad attivare alcune leve dello Stato per attutire i colpi della Grande Depressione. Era però fermamente convinto che l’America dovesse “purgarsi” per gli eccessi del periodo precedente (The Gilded Age, l’Età del Jazz, quella del Grande Gatsby): debiti, bolle speculative, eccesso di consumi. Una visione moralistica dell’economia, insieme con la fiducia nelle capacità autoregolatrici del mercato, conducevano a pensare che “sette anni di vacche magre” dovessero biblicamente castigare il troppo benessere dell’epoca precedente. A questo si aggiungeva una fede dalle tinte morali- stiche, sulle virtù del pareggio di bilancio. Angela Merkel non è un clone di Herbert Hoover: governa un paese con un Welfare State avanzato e generoso. E tuttavia le politiche che ha imposto al resto d’Europa sono simili agli errori pre-keynesiani. Sono gli errori che ha evitato l’America di Barack Obama. La ripresa Usa John Maynard Keynes Enrico Berlinguer Christopher Isherwood Il momento giusto per le politiche di austerità è l'espansione, non la recessione L’austerità deve avere come scopo giustizia, efficienza, ordine e una moralità nuova “Austerity” ha un suono severo, così come le sue alternative “mortificazione” e “disciplina” Lettera al presidente Roosevelt, 1937 Austerità: occasione per trasformare l'Italia, 1977 Gli aforismi yoga di Patanjali, 1983 ■ 51 LA CRISI IL CASO GRECIA LA “CURA MONTI” LA SVOLTA DI OGGI Nel 2007-2008 esplode la crisi dei mutui subprime negli Usa. Nel 2010 l’Europa viene travolta dalla crisi del debito Irlanda, Portogallo e soprattutto Grecia sono i Paesi più colpiti dalla crisi. Vengono salvati dall’Ue che impone l’austerity Anche l’Italia va in crisi e rischia il fallimento. Cade il governo Berlusconi, arriva Monti che approva dure politiche di rigore Cresce il numero di economisti e capi di governo che chiedono la fine dell’austerity imposta dalla Germania di Merkel Le tappe Nella storia Usa i maggiori deficit sono frutto dei governi di destra I CONTI SBAGLIATI DEI CONSERVATORI PAUL KRUGMAN questo punto l’argomentazione economica a favore dell’austerità – del decurtare gli interventi statali a dispetto di un’economia debole – è crollata. La convinzione secondo la quale i tagli alla spesa avrebbero di fatto incentivato l’occupazione promuovendo la fiducia è venuta meno. La presunta esistenza di una sorta di linea rossa del debito che i Paesi non oserebbero oltrepassare ha dimostrato di poggiare su dei calcoli confusi e per certi versi, semplicemente, sbagliati. Le previsioni di una crisi fiscale continuano a non avverarsi, mentre quelle di un disastro determinato dalle stringenti norme di austerità si sono dimostrate sin troppo accurate. E tuttavia, gli appelli che invocano un’inversione della distruttiva rotta verso l’austerità continuano a cadere nel vuoto, o quasi. Ciò riflette, in parte, gli interessi acquisiti – dal momento che una politica di austerity giova agli interessi dei ricchi creditori; e in parte la riluttanza delle persone influenti ad ammettere i propri errori. Ritengo però che vi sia un ulteriore ostacolo al cambiamento, rappresentato da un cinismo diffuso e profondamente radicato rispetto alla A con il fluttuare del mercato del lavoro, e rappresentano una percentuale del Pil che è addirittura la metà rispetto alla soglia da loro raggiunta durante un recente picco. L’intera nozione di permanenza degli stimoli è dunque una fantasticheria camuffata da cocciuto realismo. Tuttavia, anche se non pensate che gli stimoli durino per sempre, l’economia keynesiana non afferma solo che nei momenti difficili occorre spendere in deficit, ma anche che in tempi di prosperità sia necessario ripianare i debiti. Inoltre, ripercorrendo la storia degli Usa dalla seconda Guerra mondiale in poi, scopriamo che dei dieci presidenti che hanno preceduto Barack Obama sette hanno terminato il proprio mandato con un rapporto tra debito e Pil più basso di quello che avevano trovato al loro arrivo alla Casa Bianca. Quali sono state le tre eccezioni? Ronald Reagan e i due George Bush. Gli aumenti del debito pubblico non riconducibili a una guerra o a una crisi finanziaria straordinaria sono dunque del tutto associati a dei governi irriducibilmente conservatori. Tale associazione ha un motivo: da tempo i conservatori Usa seguono la strategia LA SERIE SU REPUBBLICA 7. IL MODELLO CALIFORNIA Tasse più alte ai ricchi e investimenti nelle infrastrutture (22/04/13) 8. IL CASO NORD EUROPA La teoria del rigore fallisce anche nei “virtuosi” Paesi nordici, in crisi (23/04/13) Dottrina dura ormai da tre anni. Genera posti di lavoro a un ritmo medio di duecentomila nuove assunzioni al mese. Non ha curato tutti i suoi mali: resta l’eredità di diseguaglianze abnormi, un “arretrato” di disoccupati giovani e sottoqualificati, un peso della lobby di Wall Street tuttora temibile. Ma l’America dimostra che divincolarsi dal pensiero COPERTINA Sopra, copertina del Petit Journal degli anni 20. Sotto, Italia propaganda anni 30 Gli autori IL SILLABARIO di Joseph E. Stiglitz è tratto da Il prezzo della disuguaglianza (Einaudi). Federico Rampini ha pubblicato recentemente “Non ci possiamo permettere uno Stato sociale”. Falso! (Laterza). Paul Krugman, economista ed editorialista del New York Times, nel 2008 ha vinto il Premio Nobel per l’economia. I Diari on line TUTTI i numeri del “Diario” di Repubblica, comprensivi delle fotografie e dei testi completi, sono consultabili su Internet in formato pdf all’indirizzo web www.repubblica.it. I lettori potranno accedervi direttamente dalla homepage del sito, cliccando sul menu “Supplementi”. unico neoliberista – anche nelle sue varianti moralistico puritane – è il passaggio obbligato per iniziare a riparare l’enorme disastro sociale. Obama ha aggiornato la lezione di John Maynard Keynes, l’unico pensiero forte non-autoritario generato dagli anni Trenta: prima bisogna rilanciare la crescita, ad ogni costo (Il “costo” di Obama: un deficit/Pil oltre il 10% durante il periodo più buio della recessione, 2009/2010). Quando l’economia torna a generare lavoro, il risanamento dei conti pubblici è più facile: lo dimostra il calo del debito pubblico Usa, in atto per la prima volta dal 2007, trainato dall’aumento del gettito fiscale. Lo Stato è anche, nella dottrina Obama, il catalizzatore di una nuova stagione di innovazioni: dalla Green Economy alla rifondazione dei nostri sistemi educativi. Il modello California, il più grosso degli Stati Usa ad avere raggiunto il pareggio di bilancio aumentando le tasse sui ricchi, dimostra questo anti-dogma, l’antidoto al neoliberismo: lo sviluppo riparte solo se il potere d’acquisto viene diffuso nei ceti più numerosi, classi lavoratrici e ceto medio, la cui sofferenza è la prova di un fallimento storico delle politiche gemelle. Austerity e neoliberismo affondano abbracciate insieme. © RIPRODUZIONE RISERVATA La dottrina keynesiana afferma che nei periodi di recessione occorre aumentare la spesa pubblica Ma anche che i tempi di crescita sostenuta siano il momento giusto per ripianare i debiti capacità dei governi democratici di cambiare rotta una volta che hanno intrapreso una politica di stimolo economico. Perlomeno in America, ci siamo quasi sempre comportati in maniera fiscalmente responsabile, con una sola eccezione – ovvero, nel caso dell’irresponsabilità fiscale che prevale quando, e solo allora, al potere vi sono degli irriducibili conservatori. Negli Stati Uniti le iniziative di intervento statale mirate a incoraggiare l’economia sono di fatto rare – il “New Deal” di Roosevelt e, in misura assai minore, il “Recovery Act” del presidente Barack Obama rappresentano gli unici esempi di rilievo. E nessuna di queste due iniziative è diventata permanente – anzi: entrambe sono state ridimensionate decisamente troppo presto. Roosevelt ridusse radicalmente la propria nel 1937, gettando nuovamente l’America nella recessione; quanto agli effetti del “Recovery Act”, dopo aver raggiunto il loro culmine nel 2010 si sono affievoliti – e questo affievolimento è una delle cause principali della nostra lenta ripresa. Che dire inoltre delle iniziative pensate per aiutare coloro che sono stati colpiti da un’economia depressa? Non rischiano forse di diventare permanenti? Anche in questo caso la risposta è negativa. I sussidi di disoccupazione hanno fluttuato dell’“affamare la bestia” – ovvero: decurtare le tasse in modo da privare il governo delle entrate di cui ha bisogno per finanziare le proprie iniziative sociali. Il buffo è che oggi questi stessi conservatori irriducibili dichiarano che in un momento di crisi economica aumentare il deficit non sia possibile. Perché mai? Perché, dicono, nei momenti di prosperità i politici non faranno ciò che sarebbe giusto fare, ovvero ripianare il debito. A quali politici irresponsabili si riferiscono? Lo avete indovinato: a loro stessi. Mi sembra una versione “fiscale” della classica definizione del termine yiddish chutzpah – la sfacciata impudenza di colui che dopo aver ucciso i propri genitori esige comprensione perché rimasto orfano. Nel nostro caso, ci troviamo di fronte a dei conservatori che ci dicono che dobbiamo stringere la cinghia, a dispetto della disoccupazione di massa, perché in caso contrario, una volta che l’emergenza sarà terminata, i conservatori a venire continueranno ad allargare i deficit. Messa in questi termini, naturalmente, la situazione appare ridicola. Ma non lo è. È tragica. La disastrosa svolta verso l’austerità ha distrutto milioni di posti di lavoro e rovinato molte famiglie. È arrivato il momento di invertire la rotta. (Traduzione di Marzia Porta) © RIPRODUZIONE RISERVATA 9. “BASTA SACRIFICI” Per Padoan (Ocse) “l’Ue deve concedere più tempo a tutti i Paesi” (25/04/13) 10. IL METODO ISLANDA Come l’isola nordica ha battuto la crisi senza troppi sacrifici (26/04/13) 11. LA DITTATURA DELL’1% Secondo Krugman, “gli economisti pro-tagli sono al k.o. tecnico” (27/04/13) 12. “ALZARE I REDDITI” L’economista Fitoussi: “Il problema vero è la deflazione” (15/05/13)