NOVEMBRE 2013
GfK | EURISKO SOCIAL TRENDS |NUMERO
LUGLIO 2013
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EURISKO SOCIAL TRENDS
I L
C A M B I A M E N T O
S O C I O C U LT U R A L E
FARE
SISTEMA
Basta crisi. I politici hanno deciso che ne
siamo fuori - quasi. L’anno prossimo il PIL
finalmente crescerà, o non decrescerà. Ma
le domande drammatiche permangono,
anche nel nostro settore, nel mondo della
comunicazione, del marketing, della
ricerca sociale. Se ci fermiamo a riflettere ci
rendiamo conto che tutto si tiene, che la buona ricerca favorisce la comunicazione efficace, e che i
media più efficienti e reputati sono i migliori veicoli per i contenuti propri ma anche per la pubblicità
che ospitano. Dietro le pratiche migliori di marketing si scorgono ricercatori e comunicatori capaci
di fare sistema, di parlarsi reciprocamente in una fertilizzazione incrociata che crea risultati virtuosi.
Per questo Social Trends inaugura i dialoghi tra professionisti, iniziando da un confronto tra
ricercatori e professionisti della pubblicità. Per favorire conoscenza reciproca e per far cadere inutili
steccati. Vogliamo contribuire a fare sistema, per le nostre professioni, per il futuro del nostro Paese.
SOMMARIO CENTODICIANNOVE
2 DIALOGO TRA UN RICERCATORE E UN PUBBLICITARIO
DAL FALSO MITO DEI PERSUASORI OCCULTI
AL RISCHIO DEI SUGGERITORI DIGITALI
8 ALLA RICERCA DELLA HUMAN SATISFACTION
di Marzio Bonferroni
12 BANCO ALIMENTARE: UNA PRATICA DI HUMAN SATISFACTION
di Elena Todesco
18 TOTAL SINGLE SOURCE PANEL
UNO STRUMENTO DA SCOPRIRE
20 PROGETTO, DUNQUE INVESTO: UN ANNO DI OSSERVATORIO ANIMA
di Pierluigi Giverso e Matteo Tagliaferri
26 SEMINARIO WORKSHOP GfK EURISKO
EXPO MILANO 2013. ISTRUZIONI PER L’USO
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Dialogo tra un Ricercatore e un Pubblicitario
DAL FALSO MITO DEI PERSUASORI OCCULTI
AL RISCHIO DEI SUGGERITORI DIGITALI
Dopo tanta ricerca sull’efficacia
e l’efficienza della comunicazione
pubblicitaria, pensiamo sia utile aprire
un confronto con chi la pubblicità la crea.
Lo facciamo con Andrea Fontanot,
International Strategy Director
di Saatchi & Saatchi Health, figura
di grande esperienza nella comunicazione,
che ha recentemente suscitato interesse
con un suo contributo (“Un mito duro
a morire. Deconstructing Vance.
Storia e attualità del clichè
pubblicitario = persuasore occulto”)
pubblicato sull’ultimo numero di BILL,
un nuovo periodico voluto da pubblicitari
impegnati, decisi a dibattere sul ruolo
non solo commerciale di questa forma
di comunicazione. Fontanot trae spunti
da una rilettura critica dell’opera
di Vance Packard I persuasori occulti
(1957), titolo originale The hidden
persuaders. Partiamo da qui.
GM (Giuseppe Minoia)
Esistono aspetti da chiarire, pensieri nascosti che riguardano
la relazione tra ricerca (psicosociale o in quanti altri modi la
vogliamo definire) e mondo della pubblicità, relativamente ai
prodotti di comunicazione commerciale?
Ci stiamo avvicinando e incontrando, o siamo ancora fermi
agli anni 70/80, quando gli uomini della pubblicità pensavano “vade retro ricercatore, perché tarpi le ali alla mia creatività”?
AF (Andrea Fontanot)
Ho l’impressione che la situazione possa essere addirittura un
po’ peggiorata negli ultimi anni. Spiego perché. Inutile nascondere che un pregiudizio, serpeggiante tra i corridoi delle
agenzie, c’è sempre stato. Io ho cominciato alla fine degli anni
’80 e ricordo le reazioni di scoramento, quando il cliente comunicava “Bisogna testare questa campagna; prima di produrre
facciamo una qualitativa”. Questo soprattutto in un’agenzia di
pubblicità, che ha vari aspetti e molte anime e dove il pregiudizio parte dal reparto creativo. È abbastanza comprensibile,
visto il rapporto filiale che un creativo ha verso la propria pubblicità. Dopo aver superato i vari assalti, prima quelli interni
del reparto account, poi quelli del cliente, c’è l’ennesima tagliola
della ricerca sulla strada del parto felice dell’idea.
Io, in passato, come account, poi negli ultimi anni da strategy
planner, ho avuto un rapporto un po’ meno conflittuale con
la ricerca qualitativa. L’ho vista più come un mio strumento,
una risorsa, ma questo non è il punto di vista dominante. Le
cose, dicevo, sono un po’ peggiorate negli ultimi anni, un po’
per l’accelerazione dei tempi e dei processi, e forse anche per
la perdita di una certa cultura nei due lati della nostra dialettica quotidiana, che sono quelli dell’azienda e dell’agenzia. Questo peggioramento ha fatto sì che negli ultimi tempi si sia utilizzata la ricerca come una sorta di oracolo. Ho visto addirittura - e siamo all’aberrazione massima - utilizzare la ricerca
come discriminante per far vincere una gara. La spada di Damocle massima. Invece di usare la ricerca come una risorsa di
arricchimento, approfondimento, comprensione delle dina-
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miche di comunicazione che si vanno a suscitare nei target che
si vuole raggiungere, l’ho vista usare come un semaforo per indicare: “va bene” / “non va bene”. Frustrante per tutti, agenzia
e ricercatori.
GM Sorge la domanda: perché, dopo decenni dedicati ad approfondire, a fare ricerche, a scrivere libri sul ruolo della ricerca
esistono ancora questi preconcetti? Abbiamo spiegato alle aziende che la ricerca serve se crea circoli virtuosi di sapere e di arricchimento cognitivo, utili come insight per nuovi concept,
da mettere a tema in racconti, da parte delle più belle menti
della creatività. E abbiamo aggiornato sui valori, sui convincimenti, e sui nuovi segmenti di pubblico.
Mi chiedo: i pubblicitari ci leggono? Sono interessati ai nostri
discorsi? O pensano di essere fuori dal gioco, in una sorta di
terreno legibus solutus, al di fuori delle correlazioni culturali, sociali ed economiche?
AF Non vedo in giro tanta voglia di approfondire, di confrontarsi su queste tematiche. Noi facciamo un lavoro che riguarda la comunicazione che potrebbe attingere da tantissimi campi per arricchirsi. La ricerca è uno di questi, con tutti
i risvolti di derivazione psicologica, sociale e semiotica.
Ci sono mille aspetti che rendono questo lavoro tuttora, a mio
parere, affascinante. Però non vedo molta voglia di rimettersi in discussione. Io credo che quello che abbiamo vissuto negli ultimi anni nel mondo della pubblicità sia stato un processo
di affannata corsa all’evoluzione tecnica, nel senso di tecnica
del proprio mestiere, dovuto alla trasformazione veloce del sistema mediatico. Questo tipo di rincorsa, che siamo stati costretti a fare, temendo la perdita di contatto con quello che stava succedendo nel mondo (e anche questo forse non siamo riusciti a farlo compiutamente, se valutiamo come la pubblicità sta reagendo all’evoluzione digitale dei mezzi) ha appiattito tutto il resto. Per cui alla tua domanda rispondo: No, purtroppo non c’è, forse non c’è più, forse c’era in passato, quando ho cominciato, con le persone che mi hanno insegnato questo mestiere. Il primo è stato Marco Vecchia, che mi ha portato in pubblicità. Allora vedevo che c’era un altro tipo di approccio. Oggi ci si accontenta di dire “ho fatto questa verifica
internamente, quindi sono a posto”. La ricerca diventa uno step
di un processo, piuttosto che un momento di arricchimento,
di evoluzione, di apprendimento delle dinamiche che creiamo
con i nostri atti comunicativi.
Dal punto di vista del cliente basta pensare: “mi è stato detto
che la pubblicità funziona, quindi va bene” oppure “non va bene
e non si va avanti”.
GM Forse qualcosa è mancato dal mondo della ricerca. Forse
non ci siamo resi conto della delicatezza del dover entrare nei
territori della comunicazione creativa, in una logica un po’ da
elefante che con la sua pesantezza distrugge la cristalleria creativa. Credo che ci sia anche questo nella preclusione dei pubblicitari verso la ricerca. Abbiamo visto ricerche che qualche volta potevano essere accusate di superficialità, o di errori interpretativi, o di supponenza. Suggerirei un mea culpa da parte del
mondo della ricerca verso la pubblicità. Ma penso anche che
la pubblicità abbia fatto pochissimo per aprirsi e mettersi in una
posizione di ascolto. Se faccio riferimento alle mie non poche
esperienze, ricordo che non raramente le presentazioni di ricerca avvenivano di fronte all’azienda e all’agenzia schierate entrambe in posizione di difesa, considerando la ricerca appunto come intrusione che tarpa le ali invece di servizio che le rende più agili. D’altra parte, non raramente anche le innovative
segmentazioni dei nostri stili di vita sono state percepite come
un nodo per stringere e costringere dentro percorsi che venivano considerati asfittici e prevedibili. Ma le cose forse stanno
cambiando. Queste resistenze, che si sono create anche per colpa nostra, perché non siamo stati capaci di dialogare con e per
gli insight creativi, forse sono solo un ricordo.
AF Quello che sta emergendo - è il motivo per cui siamo qui
a parlarne - è che oggi le occasioni di dialogo sono momenti
rari di confronto. Da parte dell’agenzia si notano certamente
mancanze nei ricercatori, che si possono riassumere in due punti fondamentali:
1. Il rispetto dei ruoli: un elemento che anche a me dà fastidio, quando lo noto, nelle discussioni tra ricerca ed agenzia, è
il voler entrare troppo negli aspetti tecnici di comunicazione,
non avendone spesso padronanza; si creano così situazioni imbarazzanti, con la richiesta di cambiare, per esempio, un frame. Il nostro obiettivo invece è di cogliere il problema per poi
favorirne una libera rielaborazione.
2. Il secondo aspetto riguarda il linguaggio. Ritorniamo ai tempi di Vance Packard; mi viene in mente la serie televisiva Mad
Men (ndr Mad Men è un serial statunitense prodotto dal 2007,
ideato da Matthew Weiner, che utilizza il mondo pubblicitario di New York degli anni settanta come specchio per raccontare
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GRAZIE ALLA PUBBLICITÀ
SONO CRESCIUTI
GLI ATTEGGIAMENTI
CONSUMERISTICI E SONO
STATI MESSI IN CRISI
SEMPRE PIÙ I MESSAGGI
NON VERI, MANIPOLATORI,
BASATI SU DESIDERI
SENZA COSTRUTTO.
i grandi cambiamenti avvenuti nella società americana durante
il decennio). Nella prima puntata della prima serie c’è una scena in cui, per un cliente che si occupa di un marchio di sigarette, arriva una ricercatrice motivazionale, presentata come
una psicologa di stampo freudiano, che fa un lungo discorso
sul rapporto con le sigarette. Il direttore creativo, una volta che
lei è uscita, prende la ricerca e la getta nel cestino; un account
prende dal cestino la ricerca e cerca di presentare i risultati al
cliente per “farsi bello”, ma il direttore creativo lo smentisce e
propone un’idea esattamente contraria, rendendo felicissimo
il cliente che voleva sentirsi dire esattamente quello. È chiaro
che è un problema di linguaggi differenti, che non si incontrano
e che hanno bisogno di trovare invece momenti di scambio costruendo un nuovo e condiviso “contratto comunicativo”.
GM Siamo stati ingenui, a volte anche incolti, nel modo di affrontare questi temi delicati. E nel porgere i risultati dell’analisi alla committenza. Ma voltiamo pagina. Noi qui in GfK Eurisko siamo convinti che la ricerca per la pubblicità abbia anche favorito la crescita culturale ed economica. Il pubblico è
cresciuto in consapevolezze, grazie alla pubblicità sono cresciuti
gli atteggiamenti consumeristici e sono sempre più stati messi in crisi i messaggi non veri, manipolatori, basati su desideri senza costrutto. Inoltre, siamo sempre più convinti che le ricerche per la pubblicità abbiano aiutato a far crescere i beni del
nuovo benessere. È difficile fare un bilancio, ma noi riteniamo che sia decisamente positivo, a meno di non condividere
il paradigma della decrescita felice alla Latouche.
Ma noi sappiamo che il pubblico desidera la crescita felice, una
crescita che sia verde e blu, rispettosa della sostenibilità ambientale e socioculturale. Oggi le persone si lamentano perché
non crescono felicemente, e perché decrescono infelicemen-
te. Le teorie alla Latouche ben vengano per alimentare il dibattito, ma non possono essere risolutive chiavi interpretative per capire gli atteggiamenti e i comportamenti dei cittadini e dei consumatori oggi.
AF L’articolo sui persuasori occulti e in generale il progetto della rivista BILL nasce dalla percezione del deficit di cultura della pubblicità e della comunicazione attuale nei mass media, la
cui responsabilità viene molto superficialmente affibbiata a noi
pubblicitari e ai ricercatori. In sostanza, si semplifica troppo
sul “bravo consumatore ingenuo” e sulla decrescita felice.
Nel vostro seminario annuale “Saper vedere oltre la crisi”, si parla dell’indice di benessere sociale basato su bisogni di secondo ordine, che avete dimostrato essere addirittura più importante del Pil nel definire lo stato generale di un Paese. In
sostanza, voi dite, occorrono risposte più ricche e complesse
per un individuo che manifesta bisogni di un nuovo benessere
che sono a cavallo tra il materiale e l’immateriale.
La pubblicità, se lavora bene, lavora in questa direzione, della crescita felice, nell’accrescimento di questi bisogni.
GM Proseguiamo sul tema dei bisogni di secondo tipo. Qualcuno mi ha chiesto di spiegare meglio cosa intendiamo per questo tipo di bisogni. La formula è seducente ma forse un po’ nebulosa. Ci provo: i bisogni di secondo tipo sono un aggregato di desideri che si configurano in bisogni di nuove esperienze.
Esempio: ho sete ma desidero dissetarmi in un percorso di esperienza di rinfrescamento; desidererei quel tipo di bottiglia che
sarà di un colore particolare, evocativo di una certa emozione e che esteticamente rimanderà a precise esperienze artistiche, tra design e artigianato. Ovviamente mi voglio dissetare,
ma di un liquido che abbia una determinata origine, con un
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valore del tutto peculiare per me ma anche per la sociocultura cui appartengo, che mi garantisca anche che non sta facendo
morire di sete altri. Come si può capire, è un secondo livello
difficile da cogliere, pertanto il nostro invito ai pubblicitari è
di procedere assieme, per tentativi ed errori, sino a creare nuove rappresentazioni, nuovi racconti efficaci nell’evocare questo tipo di bisogni. Difficilmente noi occidentali oggi moriremmo di sete, ma potremmo soffrire di insoddisfazione perché i nostri bisogni di secondo tipo non sono stati intercettati. Ad esempio, quando scegliamo un albergo, ci muoviamo secondo questo orientamento di secondo livello. Dove, fatti salvi i bisogni primari, conta un certo tipo di esposizione “con vista” o un certo tipo di colazione con determinati contenuti salutistici, edonistici, estetici. Questo la pubblicità smart deve percepire e tradurre in racconto, in comunicazione.
AF È un territorio molto affascinante e anche piuttosto minato, perché poi bisogna essere bravi nella definizione di queste storie e questi racconti, a far sì che questo percorso non sia
percepito come forzato, lontano dalla realtà. Parlare di bisogni di secondo tipo, per esempio, può avvenire se quelli di primo tipo sono soddisfatti. Non bisogna sottovalutare l’impatto con la realtà. Specie in questi tempi di crisi, che coinvolgono fasce ampie di popolazione. Questo è comunque un terreno
di dialogo molto interessante.
GM Continuiamo sul tema della pubblicità che diventa racconto. Fino a 10 anni fa non si usava il termine racconto; le campagne avevano una loro schematicità, sostanzialmente facile
da analizzare. Oggi invece la pubblicità è racconto, storytelling.
Secondo te, il “racconto” pubblicitario attuale in che cosa è nuovo e diverso?
OGGI I NUOVI MEZZI OFFRONO
L’OPPORTUNITÀ DI INSTAURARE
UN TIPO DI DIALOGO E DI RAPPORTO
CON IL PROPRIO TARGET MOLTO PIÙ
RICCO, PIÙ DURATURO NEL TEMPO,
CHE SI ARTICOLA IN MODO DIVERSO
PROPRIO PER LE CARATTERISTICHE
DEI MEZZI CHE FAVORISCONO
RAPPORTI MOLTO PIÙ COMPLESSI.
AF Credo che il racconto sia figlio dell’evoluzione dei mezzi
di cui parlavo prima. Fino a 10-15 anni fa quando si lavorava
quasi esclusivamente sulla comunicazione tradizionale, ai tempi pre-Internet, si puntava sulla sintesi estrema, in una logica
di sottrazione molto hemingwaiana.
Oggi i nuovi mezzi offrono l’opportunità di instaurare un tipo
di dialogo e di rapporto con il proprio target molto più ricco,
più duraturo nel tempo, che si articola in modo diverso proprio per le caratteristiche dei mezzi che favoriscono rapporti
molto più complessi. Ma non è detto che chi è bravo nelle sintesi sia altrettanto bravo nello storytelling. Come se un Hemingway improvvisamente dovesse passare a uno stile più ricco, se non addirittura barocco. Forse vale anche il contrario e
ci sono persone che con lo storytelling riescono ad articolare
meglio il messaggio, a lavorare più sull’esperienza. E un altro
aspetto che favorisce tale evoluzione è il retail, che richiede comunicazioni nuove, di tipo fisico e non solo verbale. Penso a
tutta l’evoluzione dell’esperienza multisensoriale che vediamo
nei punti vendita più evoluti, da Ikea a Nike, ad Abercrombie.
Non è la storia raccontata con testo e immagini, ma la realtà
che diventa esperienza, che da virtuale diventa fisica. È il genius loci, dove il brand prende vita.
GM In questo quadro ritorniamo alla domanda di apertura:
con il racconto non si rischia di tornare a quella persuasione
occulta che siamo concordi la pubblicità tabellare non riesce
a creare? In sostanza, raccontare alla fine non significa inventare, fare fiction?
AF No, non vedo tanto questo rischio perché c’è una sorta di
disclaimer; nel momento in cui entro in uno di questi mondi sono abbastanza conscio di esserci. Mi fanno più paura quelle tipologie di comunicazione che sono veramente occulte e che
hanno più a che fare con certe forme di giornalismo. Detto sottovoce, perché trattasi di territorio minato, dove oggi ci sono
rischi di persuasione occulta è in quegli ambiti che non sono
ufficialmente etichettati come comunicazione pubblicitaria
commerciale. Se la narrazione si svolge in un territorio branded, il consumatore sempre più “scafato” è in grado di coglierne
il senso, e di eventualmente difendersi. Dove si annidano maggiori pericoli, anche per le persone più consapevoli, è nel tipo
di comunicazione online, dove si assiste all’utilizzo abbastanza spregiudicato di opinioni e suggerimenti da blog.
È il caso di “Trust Me, I’m Lying. Confessions of a Media Ma-
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al cinema, alla letteratura. Mi chiedo se oggi la pubblicità possieda statuti formali, narrativi, contenutistici tali da incidere sull’evoluzione socioculturale, oltre che sui rapporti di
desiderio con i prodotti.
AF Noi di BILL pensiamo che la pubblicità sia tuttora
un fattore culturale e sociale centrale nella vita di un
Paese; per questo siamo andati a studiare come è oggi
la comunicazione nei Paesi emergenti. Riteniamo che la
Primavera Araba, ad esempio, si sarebbe capita in anticipo analizzando la comunicazione pubblicitaria di quei Paesi.
nipulator”, di Ryan Holiday, (PR americano noto per alcune
campagne controverse). Creava le notizie, le faceva circolare.
Lui stesso spiega “Funziona in maniera piuttosto semplice: qualcuno mi paga, io costruisco una storia e la confeziono, e si fa
in modo che risalga tutta la catena dell’informazione, da un
piccolo blog a Gawker, al sito web di un network locale, all’Huffington Post, ai quotidiani nazionali e ai network TV e poi
all’inverso, finché il falso diventa reale. Qualche volta creo la
storia dal nulla, qualche volta mi invento un documento e lo
spaccio come trafugato da un’azienda, può succedere veramente
in mille modi”. I casi riportati spaziano dalla fabbricazione vera
e propria di una candidatura per le Presidenziali alla costruzione di pseudo-scandali per provocare attenzione e appeal al
proprio brand. Se pensiamo a questi approcci, la pubblicità che
vediamo sui media (cosiddetta “tabellare”), cioè spot, annunci
stampa, comunicati radio, poster, ma anche su internet, che nella stragrande maggioranza dei casi si dichiara ed è perfettamente
riconoscibile come tale, non è affatto “occulta”.
I rischi allignano lì, a mio parere, dove raccomandazione, vendita, indicazione commerciale e autorevolezza giornalistica della testata si mescolano. Ma pensiamo anche più semplicemente
a Trip Advisor: bisogna leggere tra le righe per capire se e quando ci si possa fidare di queste recensioni. Sono nuovi tipi di informazione e di relazione intorno a un prodotto o a un brand,
che richiedono nuove regolamentazioni.
GM Concludiamo con una riflessione sul peso specifico della pubblicità. Per una persona della mia generazione la pubblicità è stata un fattore culturale rilevante, dove non soltanto il contenuto ma anche la forma hanno avuto un ruolo importantissimo. Pensiamo alla Pop Art, alla grafica, ma anche
GM Mi vengono in mente i film Barilla anni ‘90, con il padre
che tornava a casa con tanta voglia di spaghetti, o “chi mi ama
mi segua” dei jeans Jesus. Sono stati cornerstones della pubblicità. Oggi esistono esempi altrettanto risonanti?
AF Sì esistono, forse non tanto in Italia dove di coraggio ce n’è
poco. Mi viene in mente la campagna Chrysler con Clint Eastwood che parla dello stato di crisi di Detroit e che è stata alla
base di un dibattito che fece scandalo. Quando la pubblicità
prende una posizione forte, anche ideologica, credo che possa essere molto risonante.
GM In Italia c’è qualcosa di così memorabile oggi?
AF Forse no, ma la capacità c’è. Per questo ci vuole coraggio.
Mettiamo assieme ricercatori e pubblicitari e partiamo per studiare nuove campagne. Ma occorre un cliente con una mentalità molto aperta. L’analisi dei Paesi del Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) ci ha permesso di utilizzare la pubblicità come sistema di comprensione di quello che sta succedendo. Ogni Paese ha una storia particolare, in tutti la pubblicità
è recente e urbana. La Russia ha una cultura visiva molto vivace e si sta velocemente affermando sulla scena dei festival internazionali. I brasiliani sono considerati all’avanguardia;
hanno vinto al festival di Cannes il premio Agenzia dell’Anno. Anche i Cinesi stanno producendo cose molto interessanti.
Sono tutti Paesi caratterizzati da una grande energia che si ritrova nei loro messaggi. C’è grande fertilità.
GM Expo 2015 potrebbe mettere a disposizione spazi per mostrare queste nuove produzioni, queste testimonianze dell’energia creativa “per la vita” dei Paesi emergenti.
> SOMMARIO
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ALLA RICERCA
DELLA HUMAN SATISFACTION
di Marzio Bonferroni
http://it.wikipedia.org/wiki/Marzio_Bonferroni
Con il termine human satisfaction si intende
una diversa visione e relativo metodo per integrare
ed evolvere il modello di consumatore,
che è ritenuto ormai umanamente restrittivo
e non più utile, per lo stesso profitto delle imprese.
La sfida per la human satisfaction sta nella sua
misurazione. Su questo anche GfK Eurisko
ha aperto un Think Thank per capire quale potrà
essere il modo migliore di integrare e parametrare
le necessità/items delle persone-clienti e dei vari
stakeholder, nelle aree dell’emotività, della razionalità
e dell’etica. Con questa premessa, può essere utile
riflettere su alcuni elementi che riguardano
l’origine e le prospettive di questa visione.
La vera opportunità, oggi,
per le imprese e per le stesse modalità
di ricerca, è offerta dal riconsiderare
il consumatore in una prospettiva
più completa, di “ascolto”
e comprensione del suo modo
di essere. L’atto di consumo,
i comportamenti e le attitudini
ad esso collegate direttamente,
sono sempre più secondari rispetto
all’essere umano nella sua integrale
realtà psichica, che ne determina
preferenza e tempi di decisione.
Il concetto della customer
satisfaction, dunque, oggi deve
evolvere nella più completa human
satisfaction, per ottenere vendite
e profitto attraverso la creazione
di relazione, fiducia e soddisfazione
dell’essere umano-cliente
verso l’impresa e i suoi brand.
Obiettivo primario per l’impresa
del futuro, che produca sia per larghe
masse di pubblico, sia per altre
imprese industriali o commerciali,
è dunque quello non di catturarne
semplicemente l’attenzione,
ma di ottenere una forte relazione
fiduciaria con ogni singola
persona-stakeholder, interno
o esterno all’impresa, per fornire
risposte alle sue necessità allargate
alle aree dell’emozione, della ragione
e dell’etica, quest’ultima oggi
particolarmente rilevante.
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Per ottenere la relazione fiduciaria,
per l’impresa è determinante
conoscere dunque a fondo, attraverso
analisi e ricerche ad hoc, le necessità
emotive, razionali ed etiche.
Queste tre aree compongono
nel loro complesso la totale human
satisfaction, all’interno della quale
l’atto di consumo non è che una
piccola porzione di vita
della persona-cliente dell’impresa.
Si passa, dunque, sempre
più decisamente da un’economia
orientata alla produzione
a un’economia orientata all’ ascolto
del cliente, sempre con intenti
di profitto, ma come frutto
di un rapporto relazionale e umano
fra impresa e mercato.
Nelle tre aree della human satisfaction
si devono analizzare le necessità/item,
diverse da impresa a impresa,
e la cui soddisfazione è determinante
per creare prima attenzione,
poi opinione positiva e infine
desiderio di acquisto e acquisto
ripetuto nel tempo, misurazione
concreta del rapporto fiduciario
tra impresa e cliente.
L’impresa moderna, secondo
gli economisti più attenti, si rende
pienamente conto dell’importanza
vitale e strategica della comunicazione,
che alcuni considerano addirittura
il “bene economico dominante”
nell’economia del prossimo futuro.
Attenzione a non commettere più
l’errore di considerare la pubblicità
quale sinonimo di comunicazione.
Le tecniche pubblicitarie sono sempre
valide per attirare l’attenzione
e dire in pochi secondi cos’é
una marca e un prodotto, pur
non assolvendo al compito sempre
più determinante di realizzare
una forte relazione fiduciaria con
i pubblici di interesse, fino ad arrivare
alla loro fidelizzazione, attraverso
un processo integrato tra impatto
e relazione fidelizzata.
Per l’impresa moderna, e sempre più
in futuro, non è più determinante
la semplice attrazione del cliente,
ottenuta con tecniche di “aggancio
dell’attenzione”, bensì la fidelizzazione
(loyalty) ottenuta attraverso una
relazione costante e utile per i diversi
stakeholder. In questo il web,
il mondo digitale e le conseguenti
tecniche diventano determinanti.
I progetti di comunicazione
e sviluppo utili per le imprese,
nella concezione della totale human
satisfaction, come nella costruzione
di un edificio, hanno necessità
di basarsi su forti fondamenta.
I progetti dunque si devono realizzare
attraverso un preliminare
orientamento indicato da ricerche
quali-quantitative approfondite
sulle necessità degli stakeholder,
e attraverso una strategia globale
orientata all’essere umano (strategia
olistica e integrale), nella quale
si considerino tutti gli aspetti,
dal posizionamento-impatto iniziale,
alla relazione continuativa,
alla fidelizzazione, per ottenere
comunicazione sia interna
sia esterna, fino al presidio
della “comunità” potenzialmente
esistente per ogni marca.
La comunicazione, nei progetti
di sviluppo di un’impresa, diventa
una voce sempre più importante.
Occorre considerare, dunque,
che i pubblici, esposti ai messaggi,
razionalmente o inconsciamente
si chiedono ….“a cosa serve questo
messaggio”, cioè come
la comunicazione realizza o accresce
il valore della marca, e soprattutto
quali necessità risolve?
Il valore di un brand, per il pubblico,
si identificherà sempre più
nella sua capacità di risolvere
necessità emotive, razionali ed etiche.
Il problema é trasversale, e si presenta
in tutto il settore della comunicazione
d’impresa, in modo evidente,
nei messaggi che vengono diffusi
nei diversi media, off e online,
semplici o complessi che siano,
ed è definibile in alcuni elementi:
- Scarsa consistenza nei contenuti
- Eccesso di attenzione
agli aspetti estetici e formali
- Scarsa attenzione alle istanze
del pubblico e alle sue necessità
- Scarsa propensione alla promozione
del dialogo e della relazione,
fino alla fidelizzazione
da mantenere e sviluppare.
Dopo tanti anni di analisi,
esperimenti, esperienze dirette
e indirette, l’orientamento non è più
verso la pubblicità, ma verso
la comunicazione, metodo
e non tecnica, basato sulle logiche
IL VALORE DI UN BRAND, PER IL PUBBLICO,
SI IDENTIFICHERÀ SEMPRE PIÙ
NELLA SUA CAPACITÀ DI RISOLVERE
NECESSITÀ EMOTIVE, RAZIONALI ED ETICHE.
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di processo e orientata a una nuova
considerazione e rispetto dell’essere
umano, visto in tutte le sue integrali
componenti psicologiche ed economiche
nelle aree emotive-razionali-etiche.
Per sintesi, possiamo tentare
di configurare tre pilastri per i progetti
di sviluppo e comunicazione
di marketing attuale, ovvero:
per mezzo della comunicazione
e del marketing, di ridurre
il più possibile il gap esistente fra
le necessità rivelate nell’essere
umano-cliente, e le soluzioni offerte
dall’impresa e dai suoi brand.
Questo non solo nell’area emozionale
(che la pubblicità per tanto tempo
ha ben presidiato).
1. La human satisfaction,
come obiettivo della comunicazione
e del marketing, per passare
decisamente dalla vecchia visione
ristretta della customer satisfaction
e dell’atto di consumo quale elemento
dominante, a una visione allargata
a considerare le necessità che l’essere
umano ha pur sempre nelle aree
dell’emozione, ma anche della ragione
e dell’etica e che, insieme,
in modo complementare e sinergico,
determinano la human satisfaction,
misurabile nel rapporto che esiste
e che si evolve, fra necessità umane
e soluzioni proposte dall’impresa.
L’obiettivo è quello di tentare,
2. La multicreatività,
quale nuovo prodotto della creatività
di un team multidisciplinare,
rappresentativo di tutte le discipline
e tecniche umanistiche, di marketing
e di comunicazione tendenti insieme
a generare una strategia unitaria
per risolvere le necessità emotive,
razionali ed etiche. Il nuovo creativo
sarà dunque il team multidisciplinare,
generatore della strategia dalla quale
nasceranno i messaggi orientati
a risolvere le esigenze delle human
satisfaction di ogni singolo
stakeholder, e non limitarsi
al customer, che rappresenta soltanto
una parte dell’essere umano-cliente.
3. La logica di processo,
per tendere a eliminare il gravissimo
problema rivelato da imprenditori
e manager attenti e innovativi,
che consiste nell’eccesso
di frammentazione delle diverse
tecniche della pubblicità, della
comunicazione, della relazione
e della loyalty che fra di loro
non si parlano o, peggio ancora,
tendono a escludersi a vicenda
per motivi essenzialmente collegati
ai singoli business e aree di
competenza. Occorre in pratica
un’entità super partes
(team multidisciplinare) che,
come un architetto, realizzi prima
il progetto per l’interesse
della persona-cliente e poi, soltanto
successivamente, e su basi
di capitolato di tecniche necessarie,
pensi alla valutazione e all’acquisto
di quello che realmente serve
all’impresa e non ai suoi fornitori
di beni e di servizi. La stessa parola
“Agenzia” è notevolmente invecchiata,
e dovrà necessariamente evolversi
verso una pratica consulenziale
indipendente, rivelando spesso
in se stessa più l’intenzione di “agire
per conto di”…, ovvero di vendere,
più che quella di ascoltare le esigenze
e di condurre una consulenza
tendenzialmente obiettiva.
In sintesi dunque questa è la sfida.
Una sfida di metodo e culturale,
prima che tecnica, avendo comunque
sempre a disposizione metodi
e tecniche scientifici per la ricerca
quali-quantitativa e per l’analisi
delle necessità e anche dell’efficacia
obiettiva dei programmi
di sviluppo e comunicazione.
> SOMMARIO
12 | GfK | EURISKO SOCIAL TRENDS | NOVEMBRE 2013
GfK | EURISKO SOCIAL TRENDS | NOVEMBRE 2013 | 13
BANCO ALIMENTARE
Una pratica di Human Satisfaction
di Elena Todesco
Eccedenza: sostantivo femminile singolare
di radice latina (ex-cedĕre, andare oltre)
che significa quantità, parte che supera
i limiti stabiliti. Non c’è valore emozionale
in questa definizione. Né sentimentalismo.
È un dato di fatto, semplicemente.
Banco Alimentare si occupa da anni
di eccedenze. È una realtà organizzativa
consolidata che svolge un servizio
quotidiano, efficace, civile, ma silenzioso.
Se incontrassimo qualcuno per strada
e gli dicessimo “Banco Alimentare”
sarebbe interessante collezionare
le risposte e capire le associazioni
di pensiero. Noi l’abbiamo chiesto
direttamente ad Andrea Giussani,
presidente della Fondazione Banco
Alimentare, da sempre esperto
di marketing e di comunicazione.
Dottor Giussani, come spiegare il Banco Alimentare a un
profano…
“La nostra fondamentale missione, scritta anche nello Statuto, è il recupero di eccedenze (provenienti da produzione, distribuzione e catering) e cioè alimenti perfettamente e lecitamente commestibili, ma non più commerciabili, per varie ragioni (rottura delle confezioni, scadenze ravvicinate, difetti di
packaging, etichette non adeguate). Noi recuperiamo tutto questo, che altrimenti verrebbe buttato, lo selezioniamo e lo distribuiamo gratuitamente a strutture caritative (Caritas, parrocchie, associazioni, Mense e Comunità) che hanno come interlocutori famiglie e persone indigenti. Questa organizzazione
si avvale del contributo di circa 1.700 volontari che operano
continuativamente, a seconda della loro disponibilità, applicando una regola per noi fondamentale: fare tutto gratuitamente. Il Banco Alimentare non paga il cibo che raccoglie e non
chiede compensi alle strutture che lo ricevono. È un dono, un’opera di carità: condividere il bisogno per condividere il senso
della vita. Questo è il nostro slogan che richiama alla povertà, al bene come alimento, come significato della vita”.
Quella del Banco Alimentare è ormai una lunga storia…
“Il Banco compirà 25 anni nel 2014. La Giornata Nazionale
della Colletta Alimentare, che è per noi un ‘fuori mission’, perché non si recuperano eccedenze, ma si dona del cibo, ha, invece, 17 anni. La Colletta, che è molto conosciuta, si svolge
l’ultimo sabato di novembre. In questa giornata si richiede a
tutti di fare una spesa in più che sarà donata a una famiglia
povera. Sul territorio nazionale si muovono circa 135mila volontari delle principali strutture caritative che poi riceveranno gli alimenti. L’ultimo anno sono state raccolte circa 9mila
e 200 tonnellate di cibo e i consumatori che abbiamo incontrato sono stati circa 5 milioni”.
Avete altre iniziative sul territorio?
“C’è SitiCibo, una raccolta quotidiana di eccedenze di grandi mense, strutture di ristorazione, ospedali, scuole e grandi aziende.
14 | GfK | EURISKO SOCIAL TRENDS | NOVEMBRE 2013
A fine orario-mensa, il cibo non servito e non toccato (la teglia intera di pasta, il pane, la pentola di riso, la frutta, la verdura) viene preparato, caricato su camioncini e portato in strutture convenzionate vicine, che lo servono al pasto successivo.
In caso di alimento cotto, utilizziamo frigo che abbattono in pochi minuti la temperatura, portandola a 2°C, e consentendo la
massima sicurezza. Così si riescono a servire pasti completi. L’anno scorso si è trattato, su tutto il territorio, di 700mila porzioni equilibrate sotto il profilo nutrizionale!”
Come si finanzia tutto questo? Se tutto è gratuito e organizzato secondo i criteri del volontariato, la domanda sorge davvero spontanea…
“Con fatica, purtroppo. Con donazioni private, scarsi contributi pubblici e bandi. Ora, però, ci sono due limiti fondamentali:
i bandi sono pochi e sono comunque più attenti al front-end
cioè a chi si interfaccia con il povero (noi non ci occupiamo
direttamente di lui). Negli ultimi anni abbiamo usufruito anche di bandi regionali e di una contribuzione che deriva da un
bando del Ministero del Welfare che sostiene associazioni di
volontariato. Poi ci sono donazioni di aziende e di privati…
Abbiamo anche una buona risposta al direct/mailing. Inoltre
organizziamo esperienze di co-marketing con alcune aziende
e facciamo volontariato di impresa con i dipendenti che vengono a fare i volontari per un giorno…
Sono tutte attività che toccano la Social Responsability. Anche
se siamo oculati nelle spese, la situazione è complessa, perché
i donatori sono diminuiti mentre la richiesta di alimenti è in
continuo aumento. Poi, naturalmente, ci sono le spese di esercizio, i trasporti e gli affitti… quest’anno la Fondazione, che
ha in carico un piccolo nucleo di persone e di servizi centrali, ha chiuso in rosso e le 21 associazioni che fanno parte della rete Banco Alimentare stentano a raggiungere il pareggio.
Il nostro fiore all’occhiello è che i soldi sono destinati allo scopo e non alla gestione, o agli eventi…
Noi spendiamo in gestione il 16% dei denari di cui disponiamo; le grandi Charity spendono percentuali molto più elevate per promuoversi e quindi hanno rientri molto elevati. La nostra percentuale è corretta, ma lo sforzo di autopromozione e
pubblicità è scarso e quindi i ritorni proporzionalmente limitati.
Il movimento dei vostri finanziamenti non è chiaramente
espresso sul vostro sito…
“Noi siamo orgogliosi di spendere poco in pubblicità e promozione, ma è pur vero che altre realtà di volontariato hanno
maggiore visibilità e potere attrattivo. I proventi del 5 X mille,
per esempio, per noi sono ancora scarsi: siamo al 200esimo posto, con 170mila euro circa.
Per permettere a tutte le 21 associazioni della nostra rete di fare
la propria campagna, le donazioni sono state distribuite su di-
GfK | EURISKO SOCIAL TRENDS | NOVEMBRE 2013 | 15
A NOI DEL BANCO ALIMENTARE,
INVECE, DELLO SPRECO
INTERESSA PRIORITARIAMENTE
LA POSSIBILITÀ DI RECUPERARLO
E RIDISTRIBUIRLO.
versi codici fiscali… ma questa si è rivelata una linea perdente che pensiamo di cambiare. La nostra comunicazione sul 5
x mille inoltre è stata scarsa fino a oggi. Compare solo in calce alla nostra mail… poi c’è il passaparola di amici… nient’altro”.
Sembra dunque che anche per fare del bene, e per farlo in
modo sensibile, sia necessaria visibilità…
“Noi non esibiamo temi di carità da sostenere immediatamente
perché emozionanti, gravi malattie, denutrizione nel terzo mondo. Non abbiamo a che fare con bisogni in qualche modo di
moda: non restauriamo castelli fatiscenti, non avviamo ricerche scientifiche. Possiamo solo far vedere i nostri magazzini che
producono prodotti per destinatari operosi, ma silenziosi. Noi
non siamo una Charity, ma un’impresa di logistica che fa carità. Salvo la Colletta, per il pubblico vasto non abbiamo frequente visibilità con il nostro tipo di attività. Le grandi Onlus,
le ‘imprese filantropiche’ fanno eventi pubblici e raccolgono molti soldi. Noi facciamo la Colletta che raccoglie cibo da distribuire, ma è una giornata che non dà margini per pagare il resto dell’attività quotidiana.”
Voi non siete una Onlus caritatevole a tutto tondo, ma una realtà pragmatica che si occupa di solidarietà laica. Dichiarate di
lavorare ‘nel perseguimento di finalità di solidarietà sociale
nei settori dell’assistenza sociale e della beneficienza nel solco della dottrina cristiana, della dottrina sociale della Chiesa e del suo magistero’...
“Laico… cristiano… il problema non si pone. All’origine della nostra storia c’è un elemento religioso che cerchiamo di testimoniare, ma che non ha mai posto limiti alla nostra attività.
Noi consegniamo pacchi a qualsiasi tipo di organizzazione: a chi
si occupa di Rom come di extracomunitari di varie religioni.
Chi ci dona le eccedenze non si è mai posto il problema: sposa
l’attenzione alla persona, la nostra efficienza organizzativa e la
qualità del risultato. I fatti dimostrano la nostra mission.
Quando parliamo di eccedenze, noi ci riferiamo a opportunità di recupero. Si dice che in Italia c’è spreco, che è uno scan-
dalo, che si butta via un sacco di cibo… È certamente vero, è
uno scandalo. E allora cosa possiamo fare?
Suggerire, come accade in certe trasmissioni televisive, di recuperare l’avanzino per fare le polpette? Non è la nostra competenza né ci sembra la priorità del tema dello spreco. È elegante
parlarne in uno studio televisivo, procura anche quella sottile
colpevolizzazione della società dei consumi che piace a tutti noi,
anche a chi ha comportamenti iperconsumistici.
A noi del Banco Alimentare, invece, dello spreco interessa prioritariamente la possibilità di recuperarlo e ridistribuirlo. La
nostra società dei consumi impone alla produzione comportamenti che producono sprechi: impone l’estetica, la
perfezione della scatoletta… Allora, invece di flagellarci modificando eventualmente un comportamento individuale, lavoriamo per recuperare. Diamo valore a ciò che altrimenti sarebbe perso. Dare questi prodotti al Banco Alimentare trasforma l’eccedenza in nuovo valore.
E parliamo allora di valori; la vostra attività rientra in un
comportamento ecologico- ambientale che però voi non sottolineate…
“A questo proposito, c’è un dibattito interno, in Fondazione.
Noi svolgiamo un’attività che ha a che fare con la carità; questo è il nostro focus principale, ma è una carità sociale che ha
anche conseguenze ecologiche (di non spreco), etiche (di comportamento), di educazione ambientale (per via della diminuzione di rifiuti/emissioni). Questi aspetti per noi sono solo
conseguenze. Qualcuno ci dice ‘ mettetevi un vestito più alla
moda, non dite di ricevere alimenti eccedenti per distribuirli.
Anche GfK Italia contribuisce al successo della Colletta
del Banco Alimentare, l’ultimo sabato di novembre.
16 | GfK | EURISKO SOCIAL TRENDS | NOVEMBRE 2013
IN ITALIA APPARENTEMENTE NON SI MUORE DI FAME. INVECE SIAMO
UN PAESE CON 4 MILIONI DI POVERI A RISCHIO DI POVERTÀ
ALIMENTARE, 1 SU 37 ITALIANI. E A RISCHIO SIGNIFICA
CHE CI SONO PERSONE CHE NON SANNO SE MANGERANNO DOMANI.
PER QUESTE PERSONE IL CIBO NON È SOLO UN VALORE ECONOMICO.
Dite di essere ambientalisti perché diminuite lo spreco recuperando alimenti che altrimenti andrebbero all’inceneritore. Avreste più credito, così’. In Italia apparentemente non
si muore di fame. Invece siamo un Paese con 4 milioni di poveri a rischio di povertà alimentare, 1 su 37 Italiani. E a rischio significa che ci sono persone che non sanno se mangeranno domani. Per queste persone il cibo non è solo un valore economico.
Difficile far capire il messaggio che il cibo ha un valore etico e passarlo di mano è una necessità reale. Abbiamo brand
della GDO che da anni ci danno non solo le loro eccedenze
alimentari, ma hanno implementato dei processi interni di
cernita di ogni singola scatoletta. Se non è più che perfetta,
ci viene consegnata. Noi la controlliamo, verifichiamo che il
prodotto all’interno sia integro e la distribuiamo. Queste aziende della GDO non pubblicizzano il fatto di essere nostri partner, ma lavorano con noi; vogliono che il cibo che ci consegnano con la loro etichetta sia conservato bene, e ci sotto-
pongono a test su come gestiamo i loro alimenti. Sono prototipi virtuosi di aziende. Chi ci dà alimenti, progressivamente
aumenta le quantità perché scopre che si tratta di un vantaggio
sociale, etico, ma anche di efficienza.
Alla fine l’azienda spende meno. Buttare la roba costa, ci sono
procedure impegnative… noi aiutiamo le aziende a ridurle.”
Ma se cedendo le eccedenze le aziende diventano più efficienti,
innescano un circolo virtuoso, pagano meno tasse, producono
meno rifiuti, senza considerare che quello che non si vende
non verrà sprecato... perché non tutte le aziende si rivolgono
al Banco Alimentare?
“Noi dobbiamo dare più voce alla comunicazione… abbiamo
aziende amiche, che hanno molti filoni di prodotto e che invitiamo periodicamente a raccontare la positività del rapporto che hanno con noi, come donatori di alimenti.
Le comunità che ricevono alimenti da noi, invece, solitamente non vogliono essere visibili.
GfK | EURISKO SOCIAL TRENDS | NOVEMBRE 2013 | 17
Anche se hanno comunità molto attive, mense, case di accoglienza, servizi sociali generalmente non cercano la fama.
Avete in programma di comunicare di più?
“Al momento non avremmo nemmeno i soldi per fare
grandi campagne. Un guru della comunicazione ci ha detto una cosa interessante: se uno pensa alle associazioni che
si occupano dei drogati pensa a Don Picchi, Don Mazzi, Don
Ciotti… ma i nomi delle associazioni che queste persone hanno creato, nessuno li conosce. Si ha in mente il testimonial
in genere, il leader. E allora ci ha suggerito di trovarci un testimonial che sia il nostro simbolo perché la gente si affezioni
a lui. Ma il Banco Alimentare non è una persona. È un intero popolo dietro uno scopo...”
Ritorniamo alle aziende. Si potrebbero facilitare le procedure della donazione al Banco?
La nostra attività trae grande sostegno dalla legge del buon
Samaritano (Legge 155/2003) che ci ha permesso il crescente sviluppo di SitiCibo. Ma da un anno, ad esempio, se si donano merci del valore superiore ai 5 mila euro, si deve comunicare l’operazione all’Agenzia delle Entrate.
Le aziende vorrebbero evitare questa procedura, sulla quale
noi non possiamo, però, intervenire. Le norme dovrebbero
essere facilitanti e spesso non lo sono.”
Parliamo un po’ di controlli di sicurezza sui prodotti…
“Noi rispettiamo tutte le norme igieniche. Consumiamo tempo e denaro per formare persone addestrate e subiamo controlli di ogni genere.
Siamo una macchina efficiente, ma il discorso è difficilmente
divulgabile; resta tra tecnici. Siamo spesso noi a fare corsi sulla sicurezza alimentare agli addetti delle aziende. Ma anche
di questo nessuno parla”.
Quali difficoltà logistiche dovete superare per la raccolta
delle eccedenze alimentari?
“È una procedura standard. Ci sono giri scadenzati. Esiste un
calendario. È come accade nella grande distribuzione normale… c’è un programma di massima e poi ci sono gli adattamenti, anche con le comunità che serviamo.
Esiste una qualità nell’eccedenza che deriva dalla qualità dell’azienda. Ci vuole un buon livello di coscienza ed efficienza per lavorare bene.
Sembrerebbe questa la sua conclusione
“La qualità non è vendibile se il mondo non lavora sulla qualità. Bisogna lavorare per innalzare la qualità complessiva…
ci vorrebbe una vera rivoluzione culturale. Quella che fa scoprire che la bellezza della vita e delle opere produce ancor più
desiderio di far bene e quindi fa stare meglio tutti.
> SOMMARIO
18 | GfK | EURISKO SOCIAL TRENDS | NOVEMBRE 2013
TOTAL SINGLE SOURCE PANEL
UNO STRUMENTO DA SCOPRIRE
Una svolta nel mondo della ricerca
è il nuovo Total Single Source Panel
che permette di raggiungere 30.000
potenziali individui e 13.000 famiglie,
monitorandoli a largo spettro - in modo
diretto, oggettivo e spesso anche
inconsapevole - utilizzando tecnologie
d'avanguardia. “Portiamo il nostro lavoro
in una dimensione spazio-temporale più
moderna. La società moderna produce
sicuramente più dati, ma meno
informazioni e molta più complessità
di ieri. il nostro sistema Total Single
Source Panel è un risolutore di complessità,
in grado di sostenere manager e aziende
nel recuperare integrazione e coerenza
fra le informazioni cruciali per
le loro decisioni, permettendo di agire
in tempi sempre più rapidi e con efficacia
ed efficienza maggiori”.
Così spiega Silvio Siliprandi AD e Presidente
GfK Eurisko, al quale abbiamo chiesto
di sintetizzare i plus che rendono
il Total Single Source Panel
lo strumento più adatto al nuovo millennio.
Con questa nuova risorsa qualunque
tipo di azienda può avere una serie
importante di informazioni
sul posizionamento competitivo
dei propri prodotti, sui target attuali
e potenziali, e su come gli investimenti
pubblicitari vadano a ricadere
sui comportamenti d’acquisto/consumo.
Attraverso questa analisi avremo,
quindi, anche il tracciato di come
gli investimenti dell’azienda intercettano
le spese e le scelte delle famiglie
per diventare prodotti e servizi.
Una soluzione straordinariamente
efficace per dare informazioni, supporto
e chiavi di lettura ad aziende e società,
nonché al mondo della consulenza
e delle Pubbliche Amministrazioni,
su come oggi si possano trattare
i dati che riguardano le persone.
Il Total Single Source Panel fornisce
dati su tutti i mezzi, a casa e fuori casa.
È anche dotato di GPS, fondamentale
per rilevare il territorio, importante
oggi, e ancor più in futuro, perché esso
stesso un Media. Il tutto incrociato per
i consumi e gli Stili di Vita degli Italiani.
Il Total Single Source Panel fa convergere
tutti i risultati delle ricerche GfK Eurisko
che hanno sempre lavorato su campioni
distinti. Il vantaggio? Tutta l’informazione
all’interno di un’unica fabbrica.
Il Total Single Source Panel utilizza
tecnologie d’avanguardia.
TOTAL SINGLE SOURCE PANE
GfK | EURISKO SOCIAL TRENDS | NOVEMBRE 2013 | 19
I panelisti hanno a disposizione:
A. Il Dialogatore, un tablet customizzato
GfK Eurisko, con software particolari:
va tenuto a casa; è sempre acceso perché,
attraverso questo mezzo,
GfK Eurisko dialoga e formula,
anche quotidianamente se necessario,
delle domande. Nel corso dell’anno,
attraverso questo mezzo, vengono
raccolte le informazioni psicografiche,
tipiche di Sinottica, i consumi fuori casa,
i consumi di beni e servizi.
D. Il barcode scanner
per la rilevazione degli acquisti:
i panelisti devono scansionare
i prodotti come avviene alla cassa
del supermercato.
I dati sono sempre trattati in modo
aggregato, senza alcun collegamento
con l’identità della persona.
Non c'è alcun tipo di collegamento
all'individuo, al suo nome
e cognome.
B. L’Eurisko Media Monitor,
un device grande circa la metà
di uno smartphone: serve a rilevare
l’esposizione a tv, radio e territorio.
Una volta all’anno, 4000 membri
del panel devono accettare di usarlo
per tre mesi e mezzo.
Trascorso questo tempo, il device
viene passato ad altri 4000 membri
del panel per i successivi tre mesi
e mezzo, e, quindi, a un terzo gruppo
per lo stesso periodo di tempo.
Il device deve essere tenuto in tasca,
in borsetta, attaccato alla cintura.
C. Il tracciatore automatico
della navigazione (software Meter):
viene inserito all'interno del pc,
dello Smartphone e del Tablet,
con il compito di rilevare
la navigazione Internet (ma non
il traffico mail di posta elettronica).
PER MAGGIORI INFORMAZIONI
[email protected]
> SOMMARIO
20 | GfK | EURISKO SOCIAL TRENDS | NOVEMBRE 2013
GfK | EURISKO SOCIAL TRENDS | NOVEMBRE 2013 | 21
PROGETTO, DUNQUE INVESTO
Un anno di Osservatorio ANIMA
di Pierluigi Giverso e Matteo Tagliaferri
Ha compiuto un anno l’Osservatorio
ANIMA - GfK Eurisko sui risparmi
e i progetti delle famiglie italiane.
Un lavoro articolato in analisi ricorrenti,
distanziate di alcuni mesi l’una dall’altra,
su un campione di 550 soggetti maggiorenni
e bancarizzati, rappresentativi di circa
39 milioni di Italiani. L’Osservatorio
è nato allo scopo di studiare i progetti
delle famiglie italiane (che richiedono
un impegno economico), le modalità
con cui li perseguono, l’orientamento
e le preferenze rispetto agli strumenti
di investimento e, non ultimo, il sentiment
sulla congiuntura economica
del momento e le prospettive del Paese,
variabili esterne che influenzano le decisioni
di spesa, risparmio e investimento.
In sintesi, l’Osservatorio evidenzia che
gli Italiani vedono il risparmio come
un ‘paracadute’ da aprire in caso di crisi,
sono disposti a rinunciare a rendimenti
elevati in cambio della sicurezza
del capitale, e sono tradizionalisti
nell’approccio ai consumi.
PRIMO RILIEVO: I PROGETTI
Quanti progetti? Quali progetti? Cominciamo con il dire che
sono due su tre gli Italiani che hanno progetti (figura 1), una
percentuale in crescita nel maggio 2013 (ultima indagine), rispetto alla rilevazione di un anno prima, che evidenziava un 62%
di famiglie con progetti, e di quella di fine 2012, con solo il 56%
di risposte positive, un dato che si spiega almeno in parte con
l’elevata incertezza economica e politica di quel momento. Il
numero di progetti si rivela piuttosto stabile: oscilla tra 0,9 e 1,1
nelle diverse rilevazioni.
Gli Italiani risparmiano con il proposito di costruire una sorta di ‘cuscinetto’ per emergenze o imprevisti (il 27% del campione) o una riserva per il futuro (il 14%).
FIGURA 1 IL ‘PROGETTOMETRO DEGLI ITALIANI’
Può dirmi se ha qualche progetto per i prossimi mesi,
per lei, per la sua vita, per la sua famiglia? Se sì, quanti?
GLI ITALIANI CHE HANNO PROGETTI
66
maggio 2013
56
dicembre 2012
62
maggio 2012
40
50
60
30
70
20
80
10
0
90
100
0
QUANTI PROGETTI HANNO
1,1
maggio 2013
1,0
dicembre 2012
50
0,8
40
1,0
maggio 2012
0,6
30
3
2
0
20
1,4
80
1,6
1,8
0,2
0
1,2
70
0,4
10
1
0
Base: popolazione bancarizzata (N=550)
1
60
90
0
100
2
Valori in percentuale
22 | GfK | EURISKO SOCIAL TRENDS | NOVEMBRE 2013
ATTUALMENTE IL 34% RISPARMIA O INVESTE, IL 14% ATTINGE A SOLDI MESSI
DA PARTE E SOLO IL 6% PAGA A RATE O DILAZIONA NEL TEMPO I PAGAMENTI.
SONO DUNQUE FONDATE SUL BUON SENSO E SULLA LINEARITÀ LE STRATEGIE
CHE GLI ITALIANI METTONO IN CAMPO PER REALIZZARE I PROPRI PROGETTI
Ci sono poi progetti ‘stagionali’ - come le vacanze - che catturano maggiormente l’attenzione degli Italiani almeno nel mese
immediatamente precedente l’estate: andare in vacanza è indicato, infatti, dal 31% del campione. Provvedere all’istruzione dei
figli figura stabilmente come il quarto progetto più citato, seguito
dall’aiutare economicamente i familiari, dal rimborsare i debiti, acquistare o ristrutturare casa o altri beni importanti.
LA PREVIDENZA COMPLEMENTARE? IN CODA
Ultima nella scala degli interessi la previdenza complementare, dato che si presta a una duplice interpretazione: una che vede
gli Italiani come essenzialmente fatalisti o convinti che qualcun
altro (lo Stato) provvederà, come è avvenuto finora e a dispetto di ogni evidenza, un’altra che individua piuttosto un gap tra
l’esigenza di risparmiare anche per la pensione (almeno per quella fetta di persone impegnate ad accumulare un capitale come
riserva di sicurezza per il futuro) e gli strumenti di previdenza complementare. Insomma, l’offerta non sarebbe in grado di
convertire la domanda in soluzioni concrete di investimento.
La quota di chi progetta di iniziare o continuare a costituirsi una
pensione integrativa, un modesto 4% dei bancarizzati, potrebbe
però crescere in maniera clamorosa, secondo quanto rilevato
dall’Osservatorio. Il 41% del campione, infatti, (figura 2) a una
domanda sul tema si è dichiarato disposto a sottoscrivere una
forma di previdenza complementare, ammesso che questa sia
in grado di rispondere ad alcune esigenze. Quali? Il 18% degli
Italiani bancarizzati vorrebbe che le forme di previdenza
complementare gli permettessero di coprire eventuali esigenze impreviste, il 14% pone come questione preliminare il conoscere “con precisione l’ammontare della pensione obbligatoria rispetto allo stipendio netto” e un altro 9% desidera sapere “con precisione l’ammontare dell’integrazione rispetto allo
stipendio netto”. Il 14% vorrebbe la “garanzia di mantenere l’attuale tenore di vita” e solo il 5% indica come determinante il
fatto di “godere di vantaggi/agevolazioni fiscali”. Posto che alcune di queste esigenze trovano già oggi risposta nella regolamentazione esistente (si pensi al regime delle anticipazioni) e
nell’attuale offerta di mercato, rimane sul tavolo il problema di
una comunicazione non efficace.
COME RAGGIUNGERE I PROPRI OBIETTIVI
Se si provasse a tratteggiare un primo profilo degli Italiani sulla base di questi dati emergerebbe un popolo di risparmiatori, più formiche che cicale, anche se formiche che difficil-
FIGURA 2 PREVIDENZA COMPLEMENTARE? SÌ, A CERTE CONDIZIONI
Sottoscriverebbe
una pensione integrativa
a patto che...
41
Non sottoscriverebbe
una pensione integrativa
59
18
14
14
9
Citazioni spontanee, risposte multiple
Base: ha progetti per il futuro
Rilevazione di maggio 2012
Valori in percentuale
permettesse
di coprire
eventuali
esigenze
impreviste
sapesse
con precisione
l'ammontare
della pensione
obbligatoria
rispetto allo
stipendio netto
desse
la garanzia
di mantenere
l'attuale
tenore di vita
sapesse
con precisione
l’ammontare
dell’ integrazione
rispetto allo
stipendio netto
5
permettesse
di godere
di vantaggi /
agevolazioni
fiscali
GfK | EURISKO SOCIAL TRENDS | NOVEMBRE 2013 | 23
FIGURA 3
LA RIDUZIONE
DEL SUPERFLUO
RIMANE LA STRATEGIA
PRIORITARIA.
CHE SI ACCOMPAGNA
OGGI A UN MAGGIOR
RICORSO ALLE ‘SCORTE’
77
maggio 2013
75
dicembre 2012
68
maggio 2012
43 42
34
E quali sono le strategie,
dal punto di vista economico,
che sta mettendo/metterà
in atto per realizzare
questi progetti?
Citazioni spontanee, risposte multiple
Base: ha progetti per il futuro
Valori in percentuale
14
14
13
8
ridurre
le spese
superflue
in vacanza
mettere
del denaro
da parte,
risparmiare
/investire
mente riescono a incanalare gli sforzi verso precisi obiettivi
a lunga scadenza, e che privilegiano un approccio tattico a
uno strategico. Quanto alle modalità per raggiungere i propri obiettivi, gli Italiani non cercano scorciatoie (figura 3): il
75% del campione dichiara di ridurre le spese superflue, il
12% riduce (anche?) quelle importanti, evidenze confermate
dai dati Istat sulla spesa media mensile delle famiglie italiane, scesa del 2,8% nel 2012, la caduta più forte dal 1997, anno
di inizio delle nuove serie storiche di Istat.
Attualmente il 34% risparmia o investe, il 14% attinge a soldi messi da parte e solo il 6% paga a rate o dilaziona nel tempo i pagamenti. Sono dunque fondate sul buon senso e sulla
linearità le strategie che gli Italiani mettono in campo per realizzare i propri progetti. In ottica dinamica, un anno di crisi
ha lasciato il segno: rispetto a un anno fa è salita dal 68 al 75
la percentuale di coloro che applicano una qualche forma di
spending review al bilancio familiare, mentre è scesa dal 43 al
34% quella di coloro che riescono effettivamente a mettere del
denaro da parte o risparmiare/investire.
Da ultimo, evidenziamo che ‘risparmiare di più’ era, a fine
2012, un proposito per l’anno nuovo per la metà del campione.
Le prossime rilevazioni potranno saggiare quanto gli Italiani hanno dato seguito ai loro propositi.
usare i soldi,
i risparmi
messi
da parte
11 12
ridurre
le spese
importanti
8
9
6
pagare a rate,
dilazionare
nel tempo
i pagamenti
Nel primo caso , il 43% degli intervistati investirebbe, avendone la possibilità, un valore stabile nelle diverse rilevazioni (oscilla tra il 46% e il 41%). Tra la prima e l’ultima rilevazione emerge, però, una piccola rivoluzione in ordine alle
forme di investimento predilette: se un anno fa il 25% del campione si dimostrava disponibile a investire in immobili e il
19% in prodotti finanziari, nel maggio di quest’anno la situazione si presentava opposta, in quanto il 23% indicava i
prodotti finanziari come prima scelta e ‘solo’ il 18% avrebbe optato per l’investimento immobiliare (figura 4).
FIGURA 4 L’INVESTIMENTO IMMOBILIARE
PERDE APPEAL (NON È PIÙ UN BENE RIFUGIO?)
Se oggi avesse dei soldi da investire, quali prodotti sceglierebbe?
25
PRODOTTI FINANZIARI
23
20
18
19
19
CASE / IMMOBILI
GLI INVESTIMENTI?
VERSO VALORI STABILI, NON PIÙ IMMOBILI
Nell’ambito degli investimenti, l’Osservatorio indaga sia la
propensione a investire nei diversi strumenti, sia gli aspetti
a cui le persone prestano maggiore attenzione. Ma andiamo
con ordine. Come investirebbero gli Italiani? Le evidenze cambiano a seconda che si consideri l’intero campione o solamente
il sottoinsieme di risparmiatori/investitori.
7
6
maggio 2013
dicembre 2012
Base: popolazione bancarizzata (N=550)
LIQUIDITÀ / CC
6
maggio 2012
Valori in percentuale
24 | GfK | EURISKO SOCIAL TRENDS | NOVEMBRE 2013
FIGURA 5 MENTRE CHI GIÀ È NEL MONDO DEGLI INVESTIMENTI RIPETEREBBE CON MAGGIORE
CONVINZIONE LA SUA SCELTA, ORIENTANDOSI DI PIÙ VERSO I TITOLI DI STATO
E se oggi avesse dei soldi da investire, quali dei seguenti prodotti sceglierebbe?
80 81 79 Investirebbe in...
maggio 2013
72
dicembre 2012
maggio 2012
53
55
Non investirebbe 11%
Non ha soldi
da investire 5%
29 28
13 12
16
15
7
non investirebbe
/ non ha soldi da investire
7
6
5
non indica
prodotti di investimento
e cioè >
Citazioni guidate, risposte multiple - Base: n = 110 (maggio 2012), 136 (dicembre 2012), 107 (maggio 2013)
Molti fattori concorrono a questo cambio di preferenze: primi
fra tutti, l’allungamento dei tempi delle transazioni e il calo dei
prezzi, la difficoltà a ottenere un mutuo, l’introduzione dell’Imu che è andata a pesare ulteriormente sui bilanci delle famiglie; a proposito di quest’ultima, tra l’altro, rispondendo a una
domanda specifica, circa l’85% del campione si è espresso a favore di una riforma dell’imposta e a parere del 44%, addirittura, questa rappresenta una delle iniziative prioritarie su cui si ritiene che il Governo debba intervenire. Dall’altra parte, gli investimenti mobiliari (titoli di stato, fondi comuni, ecc.) hanno
potuto contare nel periodo intercorso tra la prima e l’ultima rilevazione (maggio 2012 - maggio 2013) di un vento favorevole, vale a dire di un andamento complessivamente positivo. Limitando l’analisi al sotto-campione (decisamente più piccolo)
degli investitori (figura 5), cioè coloro che detengono almeno un
prodotto finanziario, la propensione all’investimento raddoppia (all’80%) e si amplificano i fenomeni già evidenziati. La preferenza per i prodotti di investimento sale dal 53% della prima
rilevazione al 72% della più recente, mentre la preferenza per gli
immobili si dimezza, dal 29 al 15%, passando addirittura per il
37% dell’autunno 2012. L’interesse per Btp e simili è stato anch’esso piuttosto altalenante, essendo passato dal 27 al 36, e poi
al 22 e nuovamente al 36% nel corso delle quattro rilevazioni.
È facile individuare nell’evoluzione dello spread dei Titoli di Stato Italiani il motivo del loro altalenante appeal nei diversi frangenti, anche sullo sfondo dell’evoluzione della scena istituzionale e politica italiana. A livello di maggior dettaglio è interessante la progressione dell’investimento in fondi obbligazionari/obbligazioni, che fra gli investitori vede le preferenze passa-
case / immobili
8
10
terrebbe i soldi sul c/c
/ in liquidità
Valori in percentuale
re in un anno dal 12 al 21%. Il fenomeno dei ‘fondi a scadenza’, che hanno intercettato più della metà della raccolta netta dell’industria del risparmio gestito nei primi cinque mesi del 2013,
conferma il trend. Passando poi al secondo tema, cioè le caratteristiche che maggiormente orientano le decisioni di investimento, la protezione del capitale (indicata dal 44% del campione
complessivo e dal 65% del sottoinsieme dei risparmiatori) e la
presenza di un rendimento minimo (citata rispettivamente dal
38% e dal 68%) sono di gran lunga le principali, seguite a grande distanza dai costi contenuti (20% di citazioni in entrambi gli
universi) e dalla semplicità (16% e 26% di citazioni).
L’attenzione per questi aspetti ancora una volta contribuisce a
spiegare il favore di cui godono i fondi a scadenza, che hanno
fra i loro punti di forza naturali l’implicita protezione del capitale (costruiti come portafogli diversificati di titoli obbligazionari con scadenza allineata a quella dei prodotti) e la capacità
di offrire un rendimento minimo attraverso lo stacco di cedole periodiche dall’ammontare spesso dichiarato. L’orizzonte temporale necessario per valutare la bontà di un investimento è in
media di circa due anni, ma un intervistato su quattro (il 27%
per la precisione) riconosce che esso deve variare in funzione del
tipo di investimento. Poi, circa la metà di coloro che possiedono prodotti di investimento si dichiara molto o abbastanza soddisfatto del proprio portafoglio, valore che non mostra una forte volatilità nel corso del tempo.
È affine per certi versi al tema della soddisfazione, in quanto autoriferito, quello dell’atteggiamento verso gli investimenti, rilevato
nell’Osservatorio di dicembre 2012 e in quello del maggio 2013.
La cautela risulta essere un binomio quasi inscindibile quando
GfK | EURISKO SOCIAL TRENDS | NOVEMBRE 2013 | 25
ALL’INDUSTRIA DEL RISPARMIO SPETTA IL COMPITO DI AIUTARE
LE FAMIGLIE ITALIANE A NON ‘SCHIACCIARSI’ SU SOLUZIONI
DI RISPARMIO TROPPO BASICHE E ALLA LUNGA IMPOVERENTI,
A NON RINUNCIARE A GUARDARE AL FUTURO
si parla di investimenti, per gli Italiani: oltre il 90% degli intervistati si dichiara infatti prudente. Una certa disillusione sul mondo del risparmio contraddistingue poi oltre la metà delle persone. Non sono del tutto assenti le indicazioni di segno positivo: il 40% del campione si dichiara molto o abbastanza aperto
alle novità, il 34% molto o abbastanza ottimista e il 31% molto o abbastanza dinamico. Insomma, gli investimenti vanno affrontati con prudenza, ma non con una totale chiusura, è il messaggio che si può leggere da questi dati.
LA CRISI E L’ITALIA VISTI DAGLI ITALIANI
L’Osservatorio ANIMA - GfK Eurisko ha anche fornito l’occasione di verificare l’opinione degli Italiani sulla direzione del
Paese e dell’Europa. Così, nel maggio di un anno fa, il 33% si
attendeva una situazione economica e finanziaria invariata dell’Italia rispetto alla Germania, a fronte di un 17% di ottimisti
(per i quali la situazione dell’Italia sarebbe migliorata) e un 32%
di pessimisti (situazione in peggioramento relativo).
A fine anno, invece, l’Osservatorio ha catturato le previsioni sul
processo di integrazione europea: per il 15% esso avrebbe fatto passi avanti nel 2013, ma per il 42% avremmo vissuto una
fase di stallo e il 43% anticipava un peggioramento. Passata da
poco la metà dell’anno, possiamo lasciare ai posteri l’ardua sentenza sulla bontà della previsione. Infine, a maggio 2013 il 19%
del campione ha previsto un miglioramento, nei mesi successivi, della situazione economica dell’Italia, il 42% ha previsto
stabilità e il 29% ha previsto un peggioramento (figura 6).
FIGURA 6 NEI PROSSIMI MESI, COME CAMBIERÀ
LA SITUAZIONE ECONOMICA DELL’ITALIA?
1%
Migliorerà
di molto
18%
10%
Non sa /
non indica
Migliorerà
di poco
17%
Peggiorerà
di molto
42%
Non subirà
variazioni
Base: popolazione bancarizzata (N=550)
12%
Peggiorerà
di poco
Valori in percentuale
PIACE L’INVESTIMENTO A SCADENZA
Lo scorso anno i fondi obbligazionari a scadenza
hanno raccolto 14 miliardi di euro*, oltre la metà
dei 24 miliardi ottenuti da tutti i fondi obbligazionari,
una tendenza proseguita nella prima metà del 2013.
È un gradimento commerciale e di pubblico che trova
fondamento in alcune caratteristiche intrinseche di questi
prodotti, che ANIMA ha cominciato a proporre dal 2009.
In particolare, i fondi obbligazionari a scadenza mixano
le caratteristiche proprie delle obbligazioni - cioè una
scadenza predefinita, una cedola periodica e la sicurezza
del rimborso a scadenza, aspetti che li fanno assimilare
ai titoli di Stato - con i vantaggi tipici dei fondi comuni,
vale a dire la diversificazione degli investimenti
e una gestione attiva e professionale del portafoglio.
Che la proposizione dei fondi obbligazionari a cedola piaccia
lo dice anche GfK Eurisko, secondo cui i risparmiatori
genericamente propensi ad investire sono il 36%,
ma diventano il 44% quando si parla di investimenti verso
progetti finalizzati e addirittura il 54%** nel caso dei fondi
obbligazionari a scadenza. Numeri a parte, il vero plus
dei fondi a cedola sembra essere la capacità di raccontare
per intero e fin dal principio l’intero ‘film’ dell’investimento
e di mettere a calendario un ‘appuntamento’
con il proprio denaro. Insomma, progetto dunque investo.
* Elaborazione ANIMA su dati Assogestioni ** Fonte: GfK Eurisko
Questa stabilità velata di pessimismo è una visione del futuro
con cui anche l’industria del risparmio gestito si deve confrontare.
All’industria del risparmio, dunque, spetta il compito di aiutare le famiglie italiane a non ‘schiacciarsi’ su soluzioni di risparmio troppo basiche e alla lunga impoverenti, a non rinunciare a guardare al futuro e insomma ad aiutarle a risparmiare e investire nel modo più efficace per realizzare i propri
progetti di vita. I fondi obbligazionari a scadenza da una parte sono un interessante passo in questa direzione. I consulenti possono appoggiarsi ai fondi flessibili di nuova generazione
costruiti con l’obiettivo di difendere il capitale e le fasi di ribasso
dei mercati. Proporre prodotti complessi sotto il profilo gestionale
all’interno di una confezione semplice sarà una delle chiavi del
successo per gli operatori del risparmio gestito.
Se spetta alle Sgr raccogliere questa sfida, agli intermediari del
risparmio - banche e sim - spetta un compito altrettanto impegnativo: adottare nuovi modelli di consulenza più vicini al
modo di pensare dei risparmiatori: la teoria del portafoglio
comportamentale (Behavioral portfolio theory), che non ha
ancora trovato applicazione su scala industriale, può fornire
qualche spunto sulla direzione da seguire.
> SOMMARIO
26 | GfK | EURISKO SOCIAL TRENDS | NOVEMBRE 2013
SEMINARIO WORKSHOP GfK EURISKO
EXPO
MILANO
2015
Il Seminario Workshop GfK Eurisko,
dedicato alle imprese di tutti i tipi,
non solo food, intende essere
l’occasione per individuare
le opportunità che EXPO
MILANO 2015 offrirà loro.
ISTRUZIONI
PER L’USO
Il Seminario vuole essere il luogo
ove cogliere insight, da parte
delle imprese, sui contenuti,
indipendentemente dall’essere
presenti o meno nell’esposizione.
MILANO 4 DICEMBRE 2013
PRESSO IL CENTRO SVIZZERO VIA PALESTRO, 2
EURISKO
SOCIAL TRENDS
I L C A M B I A M E N T O
S O C I O C U L T U R A L E
Direttore responsabile
Giuseppe Minoia
Comitato Editoriale
Paolo Anselmi, Isa Cecchini,
Fabrizio Fornezza, Remo Lucchi,
Giuseppe Minoia, Vitalba Paesano,
Silvio Siliprandi
Coordinamento editoriale
e ufficio stampa
Vitalba Paesano
Grafica e impaginazione
Fabio Berrettini
L’AGENDA È LA SEGUENTE:
1. prima di tutto, che cosa intende essere EXPO 2015 per le imprese
(intervento a cura della direzione marketing di EXPO)
2. quindi, quattro interventi dedicati ai contenuti, ai valori,
ai segment più significativi che visiteranno EXPO
- i valori veicolabili dall’evento, dalla responsabilità
alla sostenibilità sociale, culturale, ambientale
- i segmenti-target del pubblico più interessanti
per l’intercettazione da parte delle imprese
- le prefigurazioni e le attese del pubblico, “cavalcabili” dalle imprese
- lo stretching del tema food, dall’alimentare all’entertainment
3. di seguito, le “istruzioni per l’uso”
- come creare sinergia con le imprese (a cura di PriceWaterHouse)
- il modello di workshop GfK Eurisko ad hoc per le imprese
sensibili ai contenuti di EXPO.
Gli interventi saranno a cura di Giovanni Sacripante (EXPO),
Vincenzo Grassi (PriceWaterHouse), e di Paolo Anselmi, Fabrizio Fornezza,
Remo Lucchi, Giuseppe Minoia, Gianni Para, Stefano Pironi (GfK Eurisko).
Per partecipare, si prega di contattare la segreteria organizzativa
[email protected]
Per accredito stampa
[email protected]
Segreteria
Maura Giovannini, Tiziana Pascali
Il numero è stato inviato in formato PDF
via email il 29 novembre 2013.
Eurisko Social Trends è edito da GfK,
allo scopo di migliorare la conoscenza
delle trasformazioni della società,
in ambito nazionale e internazionale.
È diffuso, in forma gratuita, a una mailing
list riservata. L’iscrizione alla mailing
può essere richiesta da istituzioni
o imprese, oppure dalle persone
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e siano investite di responsabilità,
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