maxi circolare 21/10/2013 oggetto: 1) certificazione

MAXI CIRCOLARE 21/10/2013
OGGETTO: 1) CERTIFICAZIONE MEDICA: IMMOTIVATA CONFUSIONE
2) CHI SONO GLI “SPORTIVI DILETTANTI”: DUE RECENTI PRONUNCE IN MERITO DEI TRIBUNALI DI
ROMA E FIRENZE – SEZIONE LAVORO;
3) SPONSORIZZAZIONI: VIA LIBERA ALLA DEDUZIONE – SENTENZA N. 191/01/13 DELLA
COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI MANTOVA E DEPOSITATA IL 14 OTTOBRE.
CERTIFICAZIONE MEDICA: IMMOTIVATA CONFUSIONE.
Si ha notizia, da molte Associazioni Sportive, che non pochi Medici ritengono , sulla
scorta della Circolare interpretativa dell’’11 settembre u.s., del Ministero della Salute,
(clicca qui) che non vi sia più l’obbligo del rilascio del certificato medico per “iscriversi in
palestra”. Se vera, tale notizia, andrebbe senz’altro ascritta alla categoria “bufale” che di
tanto in tanto animano il settore sportivo dilettantistico.
Invero, la citata Circolare interpretativa, non a caso intitolata “Criticità interpretative
nell’applicazione delle norme sulla certificazione di attività sportiva” non pare dare adito
ad interpretazioni soggettive: quanto sopra è stato da questo Studio chiaramente
esposto con largo anticipo con la Circolare n° 13 del 18/09/2013, scaricabile dal sito
ambrosiepartners.it
Nei fatti:
1) E’ stato abrogato l’obbligo di certificazione medica per l’attività ludico motoria e
amatoriale:
“Al fine di salvaguardare la salute dei cittadini promuovendo la pratica sportiva, per non
gravare cittadini e SSN di ulteriori onerosi accertamenti e certificazioni, viene abrogato
l’obbligo di certificazione per l’attività ludico motoria e amatoriale previsto dall’art.7,
comma 11 del Dl 158 del 2012, e dal conseguente Decreto del Ministero della Salute 24
aprile 2013, GU n° 169 del 20/07/2013.
Tuttavia:
2) Rimane l’obbligo di certificazione presso il medico o pediatra di base per l’attività
sportiva non agonistica. Sono i medici o pediatri di base annualmente a stabilire,
dopo anamnesi e visita, se questi ultimi necessitano di ulteriori accertamenti
come l’elettrocardiogramma”
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Riepilogando, quindi, rimane l’obbligo di certificazione per coloro che svolgono attività
organizzate dal CONI, da società sportive affiliate alle Federazioni sportive nazionali,
alle Discipline sportive associate, agli Enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI,
che non siano considerati agonisti ai sensi del decreto ministeriale 18 febbraio 1982
Rispetto all’originario Decreto Balduzzi, è stato rimosso l’obbligo di sottoporsi a
elettrocardiogramma, che resta pertanto un esame a discrezione del medico o del
pediatra.
La circostanza di dover tornare a parlare di questa problematica ci offre, peraltro,
l’occasione per “rispolverare” una nostra vecchia Circolare (n° 008 del 6/4/2007) nella
quale, fra le altre cose (erano tempi nei quali qualcuno sosteneva la validità delle
“autodichiarazioni” di sana e robusta costituzione fisica !) scrivevamo:
“Considerati i problemi che l’assenza di un certificato di buona salute (indipendentemente
dall’obbligo legale) o di idoneità agonistica comportano a livello di responsabilità (civile
e/o assicurativa) del Presidente del sodalizio sportivo e/o degli amministratori della
struttura sportiva nonché, a livello di sport agonistici, di coloro che verosimilmente
potevano essere al corrente della situazione quali i dirigenti della società e l’allenatore, È
ASSOLUTAMENTE RACCOMANDABILE CHE I SOGGETTI (ASD, ENTI, CIRCOLI SPORTIVI,
PALESTRE) RICHIEDANO, come conditio sine qua non per l’accesso alle strutture e ai
Centri Sportivi, qualunque sia l’attività ginnica praticata, IL CERTIFICATO MEDICO.”
Questo pensiero è, a nostro parere, a distanza di sei anni, tuttora condivisibile;
ricordiamo infatti, al di là della distinzione, per certi aspetti, speciosa, fra attività ludico –
motoria ed attività sportiva “non agonistica”, che fra il “partecipante” all’attività
sportiva, lato sensu, ed il gestore dell’impianto (vuoi ASD ovvero SSD), si realizza un
contratto e, pertanto, in caso di incidente o comunque di “danno ingiusto” dovuto a
colpa imputabile alla ASD/SSD, saranno i legali rappresentanti di quest’ultime a doversi
difendere.
La preventiva richiesta del certificato medico, quindi, al di là dell’obbligo di Legge, deve
costituire, in prima istanza, atto di autotutela finalizzato a ridurre, o comunque a
mitigare, le responsabilità del sodalizio organizzatore dell’attività motoria e dei propri
Dirigenti.
Last but not least, la mancata richiesta del certificato, potrebbe, in caso di controllo
fiscale, essere indizio della “non sportività” del sodalizio verificato, con possibili
conseguenze in tema di “riconoscimento” al fine della fruizione delle agevolazioni fiscali.
In ogni caso, “l’acquisizione del certificato medico di idoneità all’attività sportiva non
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agonistica corrisponde ad una realtà ben consolidata. Innegabile dunque la
responsabilità del Centro per violazione di quelle norme di accortezza e prudenza
consistita nell’omessa verifica dell’idoneità fisica del soggetto leso allo svolgimento di
attività sportive implicanti sforzi fisici e defaticamento tali da risultare in taluni casi non
sostenibile, risultando indispensabile, pertanto, a tal proposito , una preventiva selezione,
sulla base delle condizioni individuali di salute, dei soggetti che intendano cimentarsi”
(Tribunale di Bari, sentenza n. 2546 del 20 dicembre 2004).
CHI SONO GLI “SPORTIVI DILETTANTI”: DUE RECENTI PRONUNCE IN MERITO DEI
TRIBUNALI DI ROMA E FIRENZE – SEZIONE LAVORO.
Chi ha preso parte ai nostri Corsi di formazione e/o aggiornamento, ovvero fosse venuto
ad ascoltarci in uno dei nostri Convegni, ben potrebbe testimoniare sul distinguo che
insistiamo a ribadire circa chi debba essere considerato “sportivo dilettante”, ovvero
“lavoratore autonomo”, “lavoratore subordinato” o comunque “parasubordinato”.
Più specificamente, abbiamo sempre pensato che allorché ricorrano anche uno solo dei
seguenti elementi, e cioè “continuità della prestazione” (leggi giorni ed orari prestabiliti),
“ammontare del compenso rilevante” , e “particolari competenze tecniche”, sarà difficile
sostenere che siamo di fronte ad uno “sportivo dilettante”.
Se poi, come succede spesso, lo “sportivo dilettante trae il suo unico reddito da
“prestazioni sportive dilettantistiche”, ancorché operate a favore di più committenti,
allora, a quel punto, non avremo dubbi di trovarci al cospetto di un vero e proprio
“lavoratore autonomo”.
Le due sentenze in esame riguardano opposizioni avverso cartelle di pagamento emessi
dall’INPS/ENPALS a fronte di omessi contributi in presenza di compensi erogati per
prestazioni sportive dilettantistiche ( si parla dell’arcinoto art. 67, comma 1, lettera m del
TUIR).
Nei casi di specie, tuttavia, non viene contestato alle Associazioni verificate la sussistenza
di un lavoro subordinato e, in questo senso, mi sento di affermare, sforzandomi di
vedere il bicchiere mezzo pieno, che, tutto sommato, è andata loro bene !
Viene invece contestato, sul presupposto della presenza di una rilevante professionalità
nella prestazione, il mancato inquadramento dell’istruttore nell’alveo del lavoro
autonomo e la conseguente evasione fiscale (IRPEF/IRAP) e contributiva (INPS/ENPALS).
Nella sentenza del Tribunale romano (n. 9284 dell’11/7/2013, clicca qui) viene sancita la
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natura professionale della prestazione sportiva dilettantistica per tre istruttori che
“tenevano corsi stabili presso l’associazione almeno tre volte la settimana, di tre o
quattro ore per giornata, erano dotati di competenze tecniche e venivano remunerati con
contributi significativi se proporzionati all’impegno richiesto”. Per essere precisi un
istruttore percepiva 1.700 euro mensili, un altro 1.500 ed il terzo veniva pagato ad ore (9
euro) effettuando però un cospicuo numero di lezioni.
Nella sentenza del Tribunale fiorentino (n. 671 del 6/6/2013, clicca qui) la “pesca” è
stata di proporzioni maggiori, riguardando 33 istruttori e 22 “assistenti agli spogliatoi”
(questa “figura” di sportivo dilettante, a dire il vero, mi mancava, n.d.r.) con un
conseguente contenzioso che sfiorava il mezzo milione di euro; anche in questo caso, si
contestava “l’attività con carattere di continuità e ripetitività, risultando di aver lavorato
per almeno tre annualità con cadenza periodica, percependo compensi di natura
sicuramente non marginale”.
Purtroppo, in entrambi i casi, le Associazioni ricorrenti, particolare che neppure si evince
dalle sentenze, hanno omesso nelle loro difese l’eventuale circostanza, che pertanto
resta da verificare, relativa ad eventuali altre occupazioni principali o prevalenti degli
sportivi accertati; mi spiego: è mai possibile che fra i 55 istruttori non ve ne fosse
qualcuno che aveva già un posto di lavoro a tempo indeterminato o qualcosa comunque
che si assomigliasse ?!
Ad ogni buon conto, sia a Roma come a Firenze , gli istruttori sono stati considerati
Professionisti, e quindi lavoratori autonomi, sulla scorta di:
a) Possesso di competenze tecniche tipiche delle mansioni svolte;
b) Entità dei compensi;
c) Continuità temporale nelle prestazioni.
La disamina dei singoli punti necessiterebbe un approfondimento che neppure un
Convegno di qualche giorno riuscirebbe completamente a sviscerare; tuttavia una
qualche considerazione, “a caldo”, la si può fare.
Per quanto concerne le “competenze tecniche” che sarebbero indicative di una supposta
“professionalità” e come tale inquadrabile nel lavoro autonomo, ancora una volta pare di
avere a che fare con persone che non hanno mai messo piede in una palestra o
comunque in un centro sportivo. Non si tiene in alcun conto, per tacere d’altro, che nel
settore sportivo dilettantistico è assolutamente normale, e, anzi, oserei dire, oramai
necessario, che gli istruttori posseggano abilitazioni e/o competenze tecniche, acquisite a
titolo personale (leggi esperienza sul campo) ovvero ottenute a seguito della
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frequentazione dei corsi organizzati dalle Federazioni ovvero dagli Enti di Promozione
Sportiva e ciò a prescindere se poi “spenderanno” la loro preparazione per esercitarla a
titolo oneroso o gratis et amore dei.
Per quanto concerne il punto b) , nella sentenza del tribunale di Firenze, ricordiamo
sezione lavoro, viene ritenuto indicatore di professionalità, accanto alla durata triennale
del rapporto di collaborazione, l’entità dei compensi (si parla di una media di 5.000/6000
euro/anno per percettore) , ben al di sotto quindi della soglia di imponibilità ex artt.
67/69 del T.U.I.R. , legittimando così la “vecchia” posizione assunta dall’ENPALS che,
motu proprio, aveva posto tale “soglia di marginalità” a 4.500 euro.
Per finire, non poche perplessità desta l’eccezione sollevata in merito alla “continuità” e
“ripetitività” nelle prestazioni, quasi a voler dire che un allenatore di una squadra di
calcio deve allenare la squadra una settimana sì ed una no per non rischiare di vedersi
contestare la “professionalità” della prestazione !
E’ difficile non pensare che da queste sentenze, non derivino conseguenze sull’intero
comparto sportivo dilettantistico, già fortemente minato dalle verifiche fiscali che
sempre più spesso vedono soccombere le associazioni accertate.
Pare evidente, a questo punto, che se il CONI , le Federazioni Sportive Nazionali, gli Enti
di Promozione Sportiva e le Discipline Sportive Associate non si daranno una mossa,
l’intero comparto potrebbe “saltare” in quanto ci saranno sempre meno Presidenti e
Dirigenti Sportivi disposti a sacrificarsi per l’inerzia di chi, invece, li dovrebbe tutelare.
SPONSORIZZAZIONI: VIA LIBERA ALLA DEDUZIONE – SENTENZA N. 191/01/13
DELLA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI MANTOVA E DEPOSITATA IL
14 OTTOBRE.
Con ordinanza n. 3433 depositata il 5/3/2012 la Corte di Cassazione affermava che
sponsorizzare su un auto da corsa il nome dell’impresa, non rientra nelle spese di
pubblicità ma in quelle di rappresentanza se l’azienda sponsor non dimostra l’effettivo
incremento commerciale ottenuto: pertanto, in assenza di incremento commerciale
reale e concreto, le spese di pubblicità vengono riqualificate come spese di
rappresentanza con la conseguente inapplicabilità del regime fiscale più vantaggioso
disposto a favore delle spese di pubblicità.
Di parere contrario si è invece dimostrata la Commissione Tributaria Provinciale di
Mantova, (la sentenza è stata deposita pochi giorni fa), per la quale i costi sostenuti
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dall’azienda sono deducibili anche quando l’Ufficio non riscontri un aumento significativo
dei ricavi derivanti dal messaggio pubblicitario; l’imprenditore, infatti, non può sapere in
anticipo quale sarà il ritorno economico dell’operazione.
Nel caso di specie, l’Agenzia delle Entrate di Mantova notificava ad una Società in
accomandita semplice, esercente attività nel settore degli impianti civili ed industriali, un
avviso di accertamento con il quale recuperava a tassazione circa 50.000 euro per spese
di sponsorizzazione e pubblicità riconducibili a contratti stipulati con una locale
Associazione Sportiva Dilettantistica di calcio.
L’Ufficio, oltre a ravvisare alcune anomalie nei contratti, ne contestava principalmente
l’ingente somma sostenuta, a fronte di un improbabile ritorno, considerato che il
campionato al quale partecipava l’Associazione sponsorizzata era di dimensioni locali.
Nei fatti, successivamente alla sponsorizzazione, non si verificava alcun incremento del
fatturato dello sponsor , sicché se ne doveva desumere, a parere dell’Agenzia, la “non
inerenza” all’attività di impresa, e quindi la loro “non deducibilità”.
Per fortuna (è il caso di dire !)
dello sponsor e dell’Associazione, tuttavia, la
Commissione Tributaria di Mantova, premettendo che l’art. 90 , comma 8, della Legge
289/2002 e il contenuto della Circolare n. 21/E del 2003 hanno introdotto, ai fini delle
imposte sui redditi, una presunzione assoluta circa la qualificazione nelle “spese di
pubblicità” dell’eventuale somma corrisposta, purché nel limite massimo di 200.000
euro/anno, ne consentiva l’integrale deducibilità.
“Si evidenzia (si legge nella sentenza) che l’impegno finanziario per le spese di
sponsorizzazione costituisce un rischio per l’imprenditore il quale tende ad ottenere un
incremento dei ricavi e l’acquisizione di una clientela ulteriore ma non può avere la
certezza che i risultati siano quelli sperati. In tal senso non può ritenersi che le somme
versate all’Associazione siano incongrue per le due annualità. Anche il messaggio
pubblicitario lanciato attraverso il sostegno economico fornito all’associazione sportiva
dilettantistica non raggiunge solo il pubblico presente agli eventi ma viene recepito
positivamente da un numero molto più elevato di persone anche per effetto della cronaca
sportiva della stampa locale”.
La sentenza in esame, peraltro, conferma l’orientamento già espresso dal Giudice di
Mantova, con la n. 114 del 30/04/2013: in quel caso si parlava di un agente di commercio
monomandatario al quale, analogamente, l’Agenzia contestava l’antieconomicità
dell’operazione ed il successivo mancato incremento del fatturato negli anni successivi.
Studio Leonardo Ambrosi & Partners
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