11 Dieci ciclamini, febbraio e la neve. di Lella Russi E’ caduta la neve. E ha riempito anche la buca dove è piantato l’oleandro. A ridosso gli vive accucciata una vecchia pianta di ciclamino. La neve appesantisce ogni sua foglia e trasforma la pianta in un cono imbiancato. Il pallido sole dei giorni successivi rompe il freddo, manda in giro un po’ di calore e comincia a far intravedere i bordi delle foglie. Sono ‘cotti’ di gelo. Col dito aiuto la pianta a disfarsi di altra neve, la tiro via dall’incavo del vaso. Il sole continua pallido anche nei giorni seguenti e le parti di foglie pian piano riemergono all’aria traslucide, imbevute di acqua ghiacciata. Questa pianta quest’anno la perdo. La neve rimane presente solo al centro di ogni foglia. Provo a rimuoverla anche da lì. Lo faccio delicatamente, ho paura di disfarle, le foglie, si sfaldano facilmente, così intrise! Dopo la neve di sicuro la trovo putrida d’acqua, povera piantina. Forse è già morta. Sollevo il lembo ad una foglia, provo a togliere l’ultimo mucchietto di neve e . . . quattro, no, cinque bocciòli piccoli, piccoli di ciclamino sono lì, fermi, sereni, sovrani. oh! lì sotto altri tre. otto. oltre il gambo, il nono. no, un altro, dieci. Sono dieci. Appena nati. Gonfi e rosa. Sono belli. Deliziosi e inaspettati. Belli, belli, belli, belli. Felici, incuranti, pieni di fiducia, nuovi. I pensieri preoccupati erano soltanto miei. Durante la settimana della neve la pianta è rimasta tranquilla a lavorare, a far andare a giro la linfa, a generare placidamente, a fiorire. E i miei occhi, forse stupiti dai piccoli fiori, raccolgono lacrime da un’anima che, io non lo so, da sola si è mossa verso la tenerezza e la commozione e piango, gli occhi e il cuore felici. Come i bambini. Pronti a tanta meraviglia per niente. Traboccanti sempre di anima vibrante come una fogliolina in un giorno di vento. Non decido. Le mani da sole si muovono indaffarate a raccogliere il vaso di ciclamino e lo affiancano all’altro ciclamino bianco che ho vicino alla porta. Li metto insieme. Così sono in compagnia. Saranno contenti. Mi fermo. Riconosco delicatezza a questo gesto semplice che prova, per loro, a sconfiggere il freddo e la solitudine. La gentilezza del cuore sempre più mi è accaduto di doverla lasciare spesso dimenticata sotto cumuli di sensibilità irruvidita, resa sommaria e grossolana dalle cose del tempo. Dai 56 anni, che sembrano essere stati sufficienti. Stanno riemergendo dolcemente, ora, deliziosi ricordi di purezza. Ero bella da piccola. Come tutti i bambini. Intera sempre, affaccendata, fusa col mondo incantato che sentivo intorno, immersa in esso fino agli occhi, ai capelli. Senza distinzione, disgiunzione, pensiero, desiderio. Solo tanti gesti pieni di grazia. Sempre spontaneamente pronta a comportamenti di cura, di premura, di dono. Sorprendentemente piena di facilità alla bellezza. Le mani in tasca, mi trattengo, mi piace continuare ad offrirmi lieta ad un sole che senza avvisarmi ha sciolto gentilmente anche un po’ della mia intima neve.