Il Cantiere n° 1 Gennaio 2014

MENSILE DI
INFORMAZIONE
DELLA PARROCCHIA
SAN BERNARDO
CASTEL ROZZONE
IL CANTIERE
GENNAIO 2014 - NUMERO 1 - ANNO XV
Beati gli operatori di pace
perché saranno chiamati figli di Dio
Matteo 5,9
Con questo primo numero di gennaio de «Il Cantiere» dell’anno 2014, ci
siamo lasciati alle spalle il tempo di Natale ma non certamente i messaggi
importantissimi che questo tempo ci ha comunicato e che diventano, per un
cristiano in particolare, ispirazione per la propria esperienza di vita e di fede.
Per individuare alcuni di questi messaggi evangelici, prendo ad esempio il
presepe che, pur modestamente, rispetto a quelli «maestosi e scenografici» di
don Albino - che ho potuto godermi attraverso le fotografie - abbiamo realizzato presso l’altare del Sacro Cuore.
Sei sono i messaggi che «visivamente» ci trasmette
il Presepe della nostra Chiesa.
EDITORIALE
EDITORIALE
Il PRIMO: Gesù è la stella luminosa che guida i nostri passi per i sentieri spesse volte oscuri, tortuosi e complicati della nostra esistenza. La grande stella «giallo - luce» posta proprio sopra la culla di Gesù ci conferma in questa verità: una stella, che per definizione è già di suo luminosa, segna un percorso di luce per tre
uomini sapienti che, nel Dio - Bambino, potranno con umiltà riconoscere la Luce di Dio che viene a mitigare
le ombre del cuore umano. Riporto uno stralcio dell’omelia del Papa Emerito Benedetto XVI, in occasione
del primo Natale presieduto da pontefice, e che mi ha molto colpito. Il passo che voglio consegnarvi dice
così: «Infine, il Vangelo ci racconta che ai pastori apparve la gloria di Dio e “li avvolse di luce”. Dove compare
la gloria di Dio, là si diffonde nel mondo la luce. “Dio è luce e in Lui non ci sono tenebre”, ci dice san Giovanni
La luce è fonte di vita. Ma luce significa soprattutto conoscenza, significa verità in contrasto col buio della
menzogna e dell’ignoranza. Così la luce ci fa vivere, ci indica la strada. Ma poi, la luce, in quanto dona calore,
significa anche amore. Dove c’è amore, emerge una luce nel mondo. Dove c’è odio, il mondo è nel buio. Sì,
nella stalla di Betlemme è apparsa la grande luce che il mondo attende. In quel Bimbo giacente nella stalla,
Dio mostra la sua gloria - la gloria dell’amore, che dà in dono se stesso e che si priva di ogni grandezza per
condurci sulla via dell’amore. La luce di Betlemme non si è mai più spenta. Lungo tutti i secoli ha toccato uomini e donne, “li ha avvolti di luce”. Dove è spuntata la fede in quel Bambino, lì è sbocciata anche la
carità - la bontà verso gli altri, l’attenzione premurosa per i deboli ed i sofferenti, la grazia del perdono. A
partire da Betlemme una scia di luce, di amore, di verità pervade i secoli. Se guardiamo ai santi - da Paolo
ed Agostino fino a san Francesco e san Domenico, da Francesco Saverio e Teresa d’Avila a Madre Teresa di
Calcutta - vediamo questa corrente di bontà, questa via di luce che, sempre di nuovo, si infiamma al mistero
di Betlemme, a quel Dio che si è fatto Bambino. Contro la violenza di questo mondo Dio oppone, in quel
Bambino, la sua bontà e ci chiama a seguire il Bambino» (OMELIA TENUTA NEL NATALE 2005 DALL’EMERITO PAPA BENEDETTO XVI).
Il SECONDO: dei Re, così ci sembra di poter dedurre dai doni che i Magi offrono al Bambino, trovano il
«Principe della Pace». Così Isaia ci presenta l’Emmanuele. Noi tutti abbiamo bisogno e desideriamo ardentemente la pace, ma non la cerchiamo là dove questa ha la sua origine. Tutti i nostri sforzi risulteranno
sempre vani ed illusori se partiranno solo dalle nostre misere intenzioni. È solo accogliendo l’Emmanuele
che la pace pervaderà il nostro cuore e diventerà davvero una pace giusta perché non sarà né la mia né la
tua di pace, ma sarà «pace» vera e profonda proveniente da Colui che è la «nostra» pace.
Il TERZO: i 5 colori del Mondo (bianco per l’Europa; rosso per le Americhe; azzurro per l’Oceania; verde
per l’Africa ed infine giallo per l’Asia) evidenziano un duplice movimento: ascendente e discendente. Dalla
stella luminosa partono i drappi colorati dei 5 colori dei Continenti. Essi formano una culla accogliente per
Gesù e, poi, discendono fino al mappamondo. Questo movimento dei tessuti ci parla di questo Bambino che
è Dio e che discende verso l’uomo, ogni uomo, di ogni luogo e di ogni razza; ma, essi evidenziano anche
la possibilità degli uomini, di ogni uomo, di poter - accogliendo Gesù e facendo così del proprio cuore una
culla per il Figlio di Dio fattosi uomo - ascendere a Dio in una prospettiva di eterna comunione con Lui.
Il QUARTO: è dato dalla sagoma della capanna. Essa è stata studiata dai nostri artisti falegnami per fare sì
che ciascuno possa sbirciarci dentro. La nascita del Figlio di Dio nella nostra storia umana è un Mistero,
certo, ma non un Mistero che non possiamo accogliere e conoscere ... bensì, un dono così grande di cui
possiamo assaporarne solo una minima realtà. Da una parte, quindi, essa protegge questo Mistero, ma,
dall’altra parte, con il gioco di finestrelle, essa lo fa anche trapelare. L’uomo, umile e semplice, ha lo sguardo
capace di accogliere questo dono. Subito ci viene alla mente l’affermazione che fa l’Evangelista Giovanni
nella sua Prima Lettera: «Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto
con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo
della vita (poiché la vita si è fatta visibile, noi l’abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi), quello che abbiamo veduto e udito, noi
lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre
e col Figlio suo Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia perfetta».
Il QUINTO: ci è offerto dalle figure di Maria e di Giuseppe, inginocchiati presso il Dio - Bambino. Volutamente non sono stati inseriti altri personaggi del presepe, evangelici o meno, perché a tutti è rivolto l’invito,
sostando a contemplare il Mistero dell’Incarnazione tradotto in immagine, ad entrare in una adesione di
fede e di amore, di speranza e di gioia, di disponibilità e di servizio ... È il dono di un Amore che può essere
accolto e vissuto pienamente come è avvenuto sia per Maria che per Giuseppe. È la nostra «annunciazione», la Buona Notizia che Dio ci è vicino e che non si stanca mai di noi nonostante le nostre infinite infedeltà. In Maria ed in Giuseppe ciascuno di noi si può riconoscere: essi sono la possibilità per ogni uomo di
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Il Cantiere
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IL CANTIERE
In questo numero
EDITORIALE
PAG. 2
Beati gli operatori di pace
perché saranno chiamati figli di Dio
CULTURA
PAG. 5
Il racconto dei Magi
CARITAS
PAG. 10 L’organizzazione della carità
PAG. 13
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DON RICCARDO CASTELLI
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Yari Viganò
Il Cantiere
www.parrocchiasanbernardo.it
Notiziario mensile
della Parrocchia San Bernardo
di Castel Rozzone
PAG. 14
PAG. 16
PAG. 19
PAG. 20
PAG. 21
PAG. 22
PAG. 24
INCONTRI
Le condizione per una conversione della politica
CULTURA
In-decenti, In-docenti, Decenti
FIABA
La regina delle nevi
STORIA
San Giovanni Bosco
CARTOLINE DA ...
Madrid
MUSICA
Michele il tesorino di X-Factor
CUCINA
Menù per le feste
CELEBRAZIONI
Matrimoni - Battesimi - Comunioni
Cresime - Funerali
PAG. 28 Orari delle S.Messe
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rivolgersi alla Redazione presso
la Casa Parrocchiale o scrivere all’indirizzo
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Direttore Responsabile don Riccardo Castelli
Stampato in proprio
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EDITORIALE
lasciarsi rinnovare pienamente dall’Amore che supera e compendia tutti i nostri umani amori.
Infine, il SESTO: è dato proprio dai 5 Continenti «distesi» ai piedi di Gesù. Con essi si è voluto comunicare
l’universalità dell’Amore di Dio. La salvezza offerta da Dio agli uomini, mediante il Suo Figlio Gesù, non è
«settaria», «di élite», ... per qualcuno ... essa è per tutti!!! C’è solo una condizione che impedisce tutto questo: il rifiuto stesso dell’uomo, di fronte al quale, Dio, si ferma e non vuole forzare la mano, ma offrirsi nella
piccolezza «adorabile» di un piccolo. Solo quando l’uomo la finirà di volersi fare GRANDE a tutti i costi, allora, nella sua piccolezza - finalmente - potrà accogliere il piccolo Gesù nel suo cuore e, così, intraprendere
la via dell’Amore che porta a salvezza.
Concludo lasciandovi cinque preghiere che ci parlano dei cinque Continenti. Durante questo mese di
gennaio potreste recitarle per le popolazioni che vivono in quei luoghi e che, come noi, hanno ricevuto la
Buona Notizia.
Nella gioia del Dio con noi ...
Vostro don Riccardo
Maria, Madre della speranza, veglia sulla Chiesa in Europa:
sia essa trasparente al Vangelo,
autentico luogo di comunione;
viva la sua missione di annunciare,
celebrare e servire
il Vangelo della speranza per la pace e la gioia di tutti.
Amen.
Signore Gesù, ti ringraziamo
perché il Vangelo dell’Amore del Padre,
con il quale sei venuto a salvare il mondo,
è stato ampiamente proclamato in America
come dono dello Spirito Santo
che fa fiorire la nostra gioia.
Concedici di essere testimoni fedeli
della tua Resurrezione
davanti alle nuove generazioni d’America,
perché conoscendoti ti seguano
e trovino in Te la loro pace e la loro gioia.
Amen.
O Madre Santa,
volgi il tuo tenero sguardo sulla Chiesa
che il tuo Figlio ha piantato sul suolo d’Asia.
Sii guida e modello, mentre continua la missione
e proteggila da ogni potere che la minaccia.
Prega affinché, tutti i popoli dell’Asia
possano giungere a conoscere il Figlio tuo Gesù Cristo,
unico Salvatore del mondo.
Amen.
O Stella maris,
luce di ogni oceano e Signora delle profondità,
guida i popoli dell’Oceania
O Maria, Madre di Dio e Madre della Chiesa,
attraverso ogni mare oscuro e tempestoso,
alla vigilia di una nuova Pentecoste
affinché possano giungere
per la Chiesa in Africa,
al porto della pace
Madagascar ed isole attigue,
preparato in Colui che ha calmato le acque.
il popolo di Dio con i suoi Pastori
Mentre ci avventuriamo per gli oceani del mondo,
a Te si rivolge e insieme con Te implora:
e attraversiamo i deserti del nostro tempo,
l’effusione dello Spirito Santo
mostraci, o Maria,
faccia delle culture africane
il Frutto del tuo grembo,
luoghi di comunione nella diversità,
poiché senza il Figlio tuo siamo perduti.
trasformando gli abitanti
Amen.
di questo grande continente
in figli generosi della Chiesa,
che è Famiglia del Padre,
germe e inizio in terra di quel Regno eterno
che avrà la sua pienezza nella Città
il cui costruttore è Dio:
Città di giustizia, di amore e di pace.
Amen.
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Il Cantiere
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CULTURA
Il racconto dei Magi
Autore: Mattioli, Vitaliano; Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele; Fonte: CulturaCattolica.it
I Magi con i loro abiti tradizionali: brache, mantello e berretto frigio. Ravenna, Basilica di Sant’Apollinare Nuovo, circa 600.
La festa che si occupa di questo episodio viene chiamata «Epifania», vocabolo che significa «manifestazione del Signore». In oriente viene chiamata con il vocabolo più appropriato «Teofania», manifestazione
della divinità del Signore. È in rapporto a questo significato che in quel giorno si ricordano le tre grandi
manifestazioni di Cristo-Dio: l’adorazione dei Magi, il battesimo di Gesù (anche se questa festa oggi è spostata alla domenica seguente) ed il miracolo di Cana. Di queste tre manifestazioni l’episodio dell’adorazione dei magi ha finito col prevalere diventando in occidente l’unico tema della festa, come si deduce dalle
omelie del papa San Leone Magno. Per divina ispirazione i magi hanno visto in quel bambino, presentato
a loro dalla madre Maria, l’atteso delle Genti ed il figlio di Dio. Con il tempo tale festa ha assunto anche una
connotazione missionaria: manifestazione di Cristo-Dio al mondo pagano. I Magi sono visti dalla tradizione cristiana come la «primitia gentium», i primi fra i pagani ad aver riconosciuto e adorato il Signore. Per
questo il loro culto fu tanto fortunato, diffuso e radicato tra i convertiti dal paganesimo. Il tema dell’«Adorazione» è diventato uno dei classici nell’arte. Solo due riferimenti tra i tanti. Il primo è il già ricordato
sarcofago di Adelfia, dove la scena dei magi si riscontra due volte: sul coperchio e sotto il clipeo. Qui la
Madonna appare seduta in cattedra e tiene in braccio il Bambino, che si protende nell’atto di ricevere la
corona d’oro gemmata offerta dal primo dei tre Magi. L’altro è il meraviglioso mosaico di Sant’Apollinare
Nuovo in Ravenna. Anche in questo caso la data è probabilmente presa da una festività egiziana. Ci narra
infatti Epifanio di Salamina († 403) che in Egitto nella notte tra il 5/6 gennaio si celebrava la nascita del
dio Sole Aion dalla vergine Kore e contemporaneamente si celebrava la il culto del Nilo.
Mito o realtà
Diverse volte in quel giorno la gente mi domanda: «Padre, i re magi sono veramente esistiti o si tratta di
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Il Cantiere 5
EDITORIALE
CULTURA
una leggenda?». Vediamo prima il racconto evangelico: «Gesù nacque a Betlemme di Giudea, al tempo del re
Erode. Alcuni Magi giunsero da oriente a Gerusalemme e domandavano: “Dov’è il re dei Giudei che è nato?
Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per adorarlo”. All’udire queste parole, il re Erode restò
turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo, s’informava da
loro sul luogo in cui doveva nascere il Messia. Gli risposero: “A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per
mezzo del profeta: E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero il più piccolo capoluogo di Giuda: da te
uscirà infatti un capo che pascerà il mio popolo, Israele”. Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece
dire con esattezza da loro il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme esortandoli: “Andate e
informatevi accuratamente del bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga
ad adorarlo”. Udite le parole del re, essi partirono. Ed ecco la stella, che avevano visto nel suo sorgere, li
precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, essi provarono una grandissima gioia. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo
adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti poi in sogno di
non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese» (Matteo, 2, 1 - 12). Oltre ai Vangeli
«canonici» (riconosciuti dalla Chiesa come ispirati), ne parlano anche i vangeli apocrifi. Il Protovangelo
di Giacomo, probabilmente anteriore al IV secolo, (cap. 21 - 23); il Libro dell’infanzia del Salvatore, circa
IX secolo, (cap. 89 - 91); il Vangelo dello Pseudo Matteo, verso il VI secolo, (cap. 16 - 17); il Vangelo Arabo
dell’infanzia del Salvatore, circa la metà del VI secolo, (cap. 7 - 9); il Vangelo Armeno dell’Infanzia, fine VI
secolo, (cap. V, 10) che ci riferisce anche i nomi, accettati poi normalmente nella tradizione. Riporto solo la
citazione di quest’ultimo: «Un angelo del Signore si affrettò di andare al paese dei persiani per prevenire
i re magi ed ordinare loro di andare ad adorare il bambino appena nato. Costoro, dopo aver camminato
per nove mesi avendo per guida la stella, giunsero alla meta proprio nel momento in cui Maria era appena
diventata madre. È da sapere che in quel momento il regno persiano dominava sopra tutti i re dell’Oriente
per il suo potere e le sue vittorie. I re magi erano tre fratelli: Melchiorre, che regnava sui persiani, poi Baldassare che regnava sugli indiani, ed il terzo Gaspare che dominava sul paese degli arabi». È anche interessante che il «Libro della Caverna dei Tesori», scritto nel V secolo d. C., ma riferentesi ad un testo siriaco
più antico, descrive i Magi come Caldei, re e figli di re, in numero di tre.
Cominciamo dal termine
La parola «mago» che si usa per indicare questi personaggi non va identificata con il significato che oggi
noi diamo. Il vocabolo deriva dal greco «magoi» e sta ad indicare in primo luogo i membri di una casta
sacerdotale persiana (in seguito anche babilonese) che si interessava di astronomia e astrologia. Potremo
meglio nominarli: studiosi dei fenomeni celesti. Nell’antica tradizione persiana i Magi erano i più fedeli ed
intimi discepoli di Zoroastro e custodi della sua dottrina. Rivestivano anche un ruolo di primo piano nella
religione e vita politica. L’idea del tempo che ciclicamente si rinnova conduceva il mazdeismo (religione
della Persia preislamica) alla costante attesa messianica di un «Soccorritore divino», il ruolo del quale
sarebbe stato quello di aprire ciascuna era di rinnovamento e di rigenerazione dopo la fase di decadenza
che l’aveva preceduta. In tal senso il mazdeismo si collega all’attesa messianica. In questa religione si attendevano tre successive arcane figure di salvatori e rigeneratori del tempo futuro: l’ultimo di essi, il «Soccorritore», sarebbe nato da una vergine discendente da Zarathustra e avrebbe condotto con sé la resurrezione
universale e l’immortalità degli esseri umani. Molte leggende accompagnavano il mito del «Soccorritore»,
tra le quali: una stella lo avrebbe annunciato. Tenendo conto di questo contesto culturale, non fa meraviglia il comportamento dei magi nella descrizione di Matteo. Il nome generico di provenienza, Oriente, può
indicare diverse regioni. La Babilonia, Mesopotamia, dove si studiava specialmente l’astronomia. Si deve
tener conto infatti che in seguito alla terribile distruzione di Gerusalemme da parte di Nabucodonosor nel
586, gli ebrei sopravissuti furono deportati in Babilonia, dove rimasero fino alla liberazione da parte di
Ciro nel 539. L’influsso ebraico si fece sentire in quella regione, dove tra l’altro anche dopo la liberazione
rimasero a vivere diverse famiglie ebraiche, e dove fu compilato il Talmud Babilonese. Sicuramente a Babilonia le attese messianico giudaiche erano conosciute. Sotto questo aspetto potrebbe trattarsi anche della
Siria. Seleuco I tra il 305 - 280 vi aveva fondato la città di Antiochia e vi aveva concentrato numerosi giudei
deportati dalla Palestina. Una terza possibilità è che i magi provenivano dalla Media. Questa si basa sullo
storico greco Erodoto secondo il quale i magi appartenevano ad una delle sei tribù della Media ed esercitavano molta importanza a corte. Erano sacerdoti e venivano chiamati astrologi, indovini, filosofi. Niente
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Il Cantiere
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di strano quindi che un gruppo di questi studiosi fosse guidato verso la Giudea da una singolare posizione
delle stelle, da far presagire qualcosa di «strano». L’episodio dettagliato di Matteo, la domanda di Erode sul
«tempo» del sorgere della stella permettono di interpretare in forma storica e non allegorica l’esistenza
dei magi e l’episodio della stella (19). Ancora lo Stramare ci permette una meditazione, oltre la curiosità: «Perché Matteo avrebbe usato il termine “ab oriente”, evidentemente molto generico? Senza scartare
come risposta la possibilità che Matteo ignorasse effettivamente la località precisa di provenienza, rimane
sempre da considerare la sua chiara intenzione di privilegiare in questo racconto l’universalità, contro il
particolarismo nel quale era rinchiusa l’attesa ebraica. L’esattezza geografica, infatti, non avrebbe servito
in questo caso allo scopo: la chiamata alla fede sarebbe stata estesa semplicemente ad un altro popolo ben
determinato, ma non a tutti» (20).
La stella
Molto si è scritto su questa stella. Diverse sono state le ipotesi che possono riassumersi a tre: una cometa,
una «stella nova», una sovrapposizione di satelliti. È difficile accettare l’identificazione della stella con la
cometa di Halley in quanto comparsa 12 anni prima della nostra era. Precedentemente era stata avvistata
nel 240, 164, 88 a. C.; riapparsa anche nel nostro secolo, nel 1910 e nel 1985/86. Del resto nei cieli della
Palestina non è apparsa nessuna cometa tra il 17 a. C. ed il 66 d. C. Non si può neppure pensare ad una «stella nova», bagliore prolungato emesso da corpi celesti invisibili al momento della loro esplosione. Infatti
nell’area di Gerusalemme non ne comparve nessuna tra il 134 a. C. ed il 73 d. C. La Grande Enciclopedia
Illustrata della Bibbia (21) sembra propendere per la terza ipotesi, già condivisa a suo tempo da Keplero:
«Di tutte le spiegazioni possibili la più probabile rimane quella, in qualche modo accettabile sulle fonti,
secondo cui si è trattato di un’insolita posizione di Giove, l’antica costellazione regale. L’astronomia antica
si è occupata dettagliatamente della sua comparsa in un preciso punto dello zodiaco e l’ha identificata,
sul grande sfondo di una religiosità mitologico-astrale molto diffusa, con la divinità più alta. Essa era importante soprattutto per gli avvenimenti della storia e del mondo, in quanto i movimenti di Saturno erano
facilmente calcolabili. Saturno, il pianeta più lontano secondo gli antichi, era il simbolo del dio del tempo
Crono e permetteva immediate deduzioni sul corso della storia. Una congiunzione di Giove e di Saturno in
una precisa posizione dello zodiaco aveva certamente un significato tutto particolare. La ricerca più recente si lascia condurre dalla fondata convinzione che la triplice congiunzione Giove-Saturno dell’anno 6/7 a.
C. ai confini dello zodiaco, al passaggio tra il segno dei Pesci e quello dell’Ariete, deve aver avuto un enorme
valore. Essa risulta importante come una “grande” congiunzione e, in vista della imminente era del messia
(o anche età dell’oro), mise in allarme l’intero mondo antico». Il Prof. Baima Bollone propende per questa
possibilità. Si appoggia su conclusioni dell’astronomia che sostiene che la sovrapposizione di Giove con
Saturno si verifica ogni 179 anni; nel periodo in esame avvenne proprio nel 7 a. C. e per ben tre volte: 29
marzo, 3 ottobre, 4 dicembre nella costellazione dei Pesci, secondo i calcoli di Keplero. «Betlemme si trova
a pochi chilometri da Gerusalemme, proprio nella direzione in cui la luce nella costellazione dei Pesci poteva essere percepita da viaggiatori che giungessero da Oriente. Tradizione, documenti archeologici e calcoli
astrofisici confermano che fu soltanto, ed esattamente nel 7 a. C. che nei cieli della sponda meridionale del
Mediterraneo e in Mesopotamia si verificò un fenomeno luminoso nettamente percepibile con gli stessi
caratteri di quello dell’episodio dei Magi» (22). Questa ipotesi sembra affascinante; tuttavia diversi biblisti
preferiscono seguire una diversa impostazione. Il Ricciotti commenta: «In questi tentativi, fuor della buona
intenzione, non c’è altro da apprezzare, giacché scelgono una strada totalmente falsa: basta fermarsi un
istante sulle particolarità del racconto evangelico per
comprendere che quel racconto vuole presentare un
fenomeno assolutamente miracoloso, il quale non si
può in nessun modo far rientrare nelle leggi stabili
di una meteora naturale sebbene rara» (23). Anche
lo studioso Andrés Fernández propende per questa
linea: «Altri, infine, sostengono che si trattò di una
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I Re Magi in viaggio
scolpiti nella facciata del Duomo di Fidenza;
sopra al bassorilievo i tre nomi:
Caspar, Baltasar e Melchior.
Il Cantiere 7
CULTURA
meteora speciale che non si muoveva secondo le leggi naturali ... Dobbiamo preferire la terza ipotesi (questa, dopo quella della congiunzione e di Halley - N.d.A.), l’unica soddisfacente. La stella vista in Oriente si
presentava con caratteristiche eccezionali; la sua apparizione non si può spiegare in nessun modo come
fenomeno comune ed ordinario; resta pertanto esclusa ogni interpretazione puramente naturalistica ... I
Magi compresero bene che si trattava di qualcosa al di sopra dell’ordine naturale» (24). Anche «La Sacra
Bibbia», a cura del Pontificio Istituto Biblico di Roma (25) nella Nota al brano di Matteo 2, 2, sostiene la
stessa opinione: «La stella, veduta dai Magi, secondo l’opinione più probabile, dedotta dalle sue caratteristiche, era una meteora straordinaria, formata da Dio espressamente per dare ai popoli il lieto annunzio
della nascita del Salvatore».
Le reliquie dei Magi
Una legittima curiosità provoca una domanda: ma poi, che fine hanno fatto i Magi? Il Vangelo ci informa
soltanto che «i magi per un’altra strada sono ritornati al loro paese» (Matteo 2, 12). Altro ufficialmente non
sappiamo. Per completare il racconto e rispondere alla domanda non abbiamo fonti certe, ma si de- vono
seguire le tradizioni formatesi nel tempo. Del resto non si deve ritenere inutile la questione dato che nei
giorni 19 e 20 dicembre 1998 si è svolto all’Abbazia di Chiaravalle (presso Milano) il convegno: «I tre Saggi
e la Stella. Mito e Realtà dei Re Magi», organizzato da Identità Europea. Una tradizione ci dice che i Tre,
dopo la loro conversione, sono stati consacrati vescovi dall’apostolo Tommaso e morirono martiri all’età tra
i 106 e 118 anni. Sarebbero stati sepolti in India (dove l’apostolo Tommaso avrebbe predicato) ma in luoghi
separati. Un’altra tradizione invece ci dice che sono morti in Persia e sepolti insieme in una grande tomba.
Secondo questa tradizione l’imperatrice Elena (madre di Costantino), venutane a conoscenza, avrebbe fatto trasportare le reliquie a Costantinopoli in una grande chiesa fatta costruire apposta per ospitarle. Tuttavia in questa città a quel tempo non si riscontra un culto in onore dei Magi. Alcuni storici sostengono che
queste reliquie nello stesso IV secolo furono trasportate da Costantinopoli a Milano da Eustorgio, vescovo
di questa città. Altri infine ritengono che le reliquie sono giunte in Italia con le crociate, dato che prima di
questo periodo a Milano non c’è traccia di questo culto. Una tradizione lega il vescovo Eustorgio ai Magi.
A Milano fu dedicata in suo onore una basilica; già nell’XI secolo vi si trovava una urna preziosa chiamata
«Arca dei Magi» con una stella sopra un pilastro. Una cosa sembra certa: nel 1162 si sa che le spoglie dei
Magi si trovavano in Lombardia. Infatti in questa data il Barbarossa, che aveva raso Milano, teneva molto
alla conservazione di quelle reliquie per appropriarsene, come garanzia di una particolare compiacenza e
Ancona marmorea datata 1349 con l’«Adorazione dei re Magi» nella Chiesa di Sant’Eustorgio a Milano.
Le figure sono attribuite a Matteo da Campione.
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Il Cantiere
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protezione da parte di Dio. Si dice anche che nel XIII secolo i Tartari volessero invadere l’Europa proprio
per riprendersi i «loro» Magi. La presenza delle reliquie nel capoluogo lombardo è testimoniata anche dal
culto che si diffuse nella regione. Solo alcuni esempi: nel 1420 nella Certosa di Pavia su un trittico d’avorio
sono inserite ben 26 scena della storia dei Magi; nel 1570 in San Michele a Pavia si affresca una cappella
dei Magi; pochi anni prima a Voghera i cistercensi avevano aperto una abbazia intitolata ai Re Magi. Queste
reliquie nel 1164 da Milano sono state trasportare a Colonia in Germania. Attualmente si trovano in una
arca-cattedrale nel Duomo di questa città. Di questo viaggio ci è giunta una particolareggia descrizione del
carmelitano Giovanni di Hildesheim nel 1364. Riporta le 42 tappe segnate dall’arcivescovo Reinaldo di
Dassel effettuate per il trasporto dell’urna. Il percorso sarebbe: Pavia (dove si trovava il Barbarossa che
aveva ordinato il trasferimento), Vercelli, Torino, Alpi. E Milano? Solo nel 1903 l’arcivescovo di Colonia inviò al suo collega di Milano alcune reliquie consistenti in qualche ossicino. Queste almeno sono le notizie
tramandateci e confermate dal padre Goffredo Viti, professore a Firenze di storia della Chiesa nella relazione, tenuta al Convegno citato, dal titolo: «La reliquie dei Re Magi. Storia di un cammino in terra lombarda».
Note
19) 20) 21) 22) 23) 24) 25) Tarcisio Stramare, Vangelo dei Misteri della vita nascosta di Gesù, Ed. Sardini, Brescia 1998, p. 229.
T. Stramare, o. c., p. 234.
Grande Enciclopedia Illustrata della Bibbia, o. c., vol. II, p. 294.
P. Baima Bollone, o. c., p. 140 con note 20 e 21 a p. 277.
G. Ricciotti, o. c., p. 185.
A. Fernández, Vita di Gesù Cristo, Istituto Poligrafico dello Stato, Roma 1961, p. 100. Per un approfondimento
sulla natura della stella: cfr. T. Stramare, o. c., p. 240 - 248.
«La Sacra Bibbia», a cura del Pontificio Istituto Biblico di Roma, Salani, Firenze 1962, nota 2, p. 1778.

Il sogno dei magi,
capitello della cattedrale di Saint-Lazare,
Autun, XII secolo
I Re Magi,
particolare di bassorilievo della Porta di Bronzo,
anno 1180,
Duomo di Pisa
Pulpito medioevale del Duomo di Fano opera del Maestro Rainerio
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Il Cantiere 9
EDITORIALE
CARITAS
2. L’ORGANIZZAZIONE
DELLA CARITA’
La riflessione sulla carità ha spesso avuto una dimensione confinata all’ambito individuale: la carità
è stata pensata come virtù individuale, ma non adeguatamente come realtà da vivere comunitariamente, ecclesialmente e quindi in modo organizzato, nel
senso di una rilevanza a livello di scelte
pastorali condivise.
Come ben evidenziato da Benedetto XVI ne]l’enciclica “Deus caritas est”, l’amore al prossimo è compito
di ogni singolo fedele ma è anche compito della comunità ecclesiale, a tutti i livelli. L’amore ha quindi
bisogno di organizzazione quale presupposto per
un servizio comunitario ordinato (cfr. n. 20).
Non ci sono dubbi che il termine “istituzione” abbia
finito per assumere un significato negativo, tendenzialmente sinonimo di “burocrazia”, di “normativa”,
insomma di qualcosa che ingabbia, che soffoca, che
appesantisce.
Se pensiamo solo per un attimo al meccanismo mediatico con cui si guarda alla Chiesa ci si accorge che
se ne parla come se ne esistessero “due”: da una
parte quella istituzionale o gerarchica (che fa pensare a potere, privilegio, conservazione, dogmatica
lontananza dalla gente, ...); dall’altra quella di base,
capace di caritatevole vicinanza, comprensiva, de-
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Il Cantiere
LA CARITAS TRA PROFEZIA
E ISTITUZIONE
In questa prima parte del sussidio vorremmo
soffermarci sui due aspetti cardine del nostro
primo appuntamento diocesano e cioè il convegno delle caritas decanali del 7-8 settembre:
il tema della “profezia” e quello dell’“istituzione”.
L’azione della Caritas si pone infatti tra i poli di
questo duplice orizzonte valoriale: quello appunto della profezia, che ci colloca nella Chiesa
e nella società come capaci di leggere la storia
e, a partire da essa, cercare di balbettare una
Parola di Dio nell’oggi degli uomini, e quello
della dimensione istituzionale, che a livello ecclesiale assume appunto la forma dell’organizzazione Caritas.
Senza pretesa di esaurire l’argomento offriamo
qui alcuni spunti che passano aiutarci a riflettere e ad interrogarci in ordine a queste due
dimensioni.
mocratica, ovviamente progressista. Ugualmente
negli anni si è diffuso il pregiudizio che vedrebbe
nei movimenti (portatori di profezia e carisma) la
vera primavera della Chiesa, relegando la dimensione Diocesana e Parrocchiale nell’ambito della grigia
istituzione, certo necessaria per il lavoro di “basso
profilo” (iniziazione cristiana, sacramenti, ...), ma incapace di effervescenza e fascino.
Ebbene la grande “presunzione” che Caritas ha coltivato fin dal suo sorgere è stata ed è ancora oggi
quella di realizzare un’ardita quadratura del cerchio: una dimensione organizzativa/operativa che
abbia l’obiettivo di sostenere una crescita spirituale/mistico/ascetica di tutta la comunità cristiana e
di ogni credente (e non solo degli operatori o dei
volontari).
Dunque una quadratura del cerchio che faccia convivere (per non dire sovrapponga) una dimensione
profetico/carismatica con una più squisitamente istituzionale. Quando Caritas nacque fu pensata
come “organismo pastorale della Chiesa italiana”,
dunque come qualcosa di strutturalmente connesso
alla comunità cristiana nelle sue diverse articolazioni (Conferenza Episcopale, Diocesi, Parrocchie).
Insieme, come qualcosa di animato dal vento di una
profezia che altro non è che l’esperienza della fede
in Gesù Cristo che raggiunge un significativo livello
di maturità nel saper leggere la realtà e le sue contraddizioni, nel saper attivare risposte in grado di
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far fronte ai bisogni più inediti e meno tutelati, nel
sapere denunciare con voce competente ingiustizie
e misconoscimento dei diritti dei più poveri.
Caritas oggi.
Osservare il territorio significa che tutte le persone
che sono presenti sul territorio della parrocchia riCome ben sappiamo, dal 1940 al 1970 aveva operato guardano la parrocchia stessa.
la Pontificia Opera di Assistenza (POA). Si trattava di
un grande organismo assistenziale erogatore di beni Osservare sul territorio i bisogni che si presentano,
e servizi nel periodo cruciale del dopo guerra. Era lo le povertà, ma anche osservare le risorse: quelle
strumento della carità del Papa per l’Italia e dipen- presenti sul territorio stesso, o al suo servizio,che
deva dalla Santa Sede; amministrava i consistenti danno risposte ai bisogni. Le risorse possono esseaiuti dei cristiani americani e aveva diramazioni in re quelle istituzionali o quelle promosse dalla cotutte le Diocesi con le Opere Diocesane di Assistenza munità cristiana o quelle più spontanee nate dalla
(ODA) che dipendevano dai Vescovi. Quando Paolo fantasia della carità di singoli o di gruppi di persone
VI nel 1970 sciolse la POA sollecitò la CEI a dar vita motivate.
ad un organismo pastorale caritativo meglio rispondente ai tempi, che avesse il compito di coinvolgere Scelta simbolica del compito di osservare è la protutta la comunità cristiana e quindi con una funzio- mozione per ogni Caritas diocesana di un “osservane primaria di promozione e coordinamento. Dun- torio delle povertà e delle risorse”.
que pensò alla Caritas come a una realtà non facoltativa, non legata al carisma di questa o quella figura Ascoltare
di sacerdoti o religiosi particolarmente sensibili, ma Ascoltare per entrare in relazione, nella disponiuna struttura appartenente alle Diocesi e alle Par- bilità ad essere coinvolti; ascoltare i poveri, la loro
rocchie. Una realtà che a livello nazionale avesse storia ma si ascolta anche ciò che capita in noi e ciò
una sua personalità giuridica, ma non per questo che si smuove in noi dall’evento dell’incontro col
indipendente dalla propria Conferenza Episcopale. povero. Lo si ascolta e lo si confronta con la parola
Una realtà che a livello diocesano fosse Ufficio di Cu- di Dio, con la tradizione di carità della chiesa, con
ria, ma che mantenesse una autonomia gestionale altre persone che hanno fatto una simile esperienza,
ed economica. La dimensione non facoltativa della perché si possa comprendere il senso e l’appello di
Caritas la salva dal rischio di una discrezionalità, quell’incontro.
fondata su umori e simpatie o sull’emotività del momento. Con la nascita della Caritas non si negava il Atto simbolico è la costituzione dei “centri di ascoldiritto di cittadinanza a nessuna delle infinite forme to” che non sono solo luogo di raccolta di domande
caritative che la fantasia dello Spirito Santo può far ed elenchi di bisogni. Sono il luogo dell’incontro con
sorgere, nè si immaginava un assorbimento o una l’altro, segno tangibile di una comunità attenta ai
cancellazione di tali forme. Si voleva però ribadi- fratelli più fragili.
re che per un prete diocesano, per una Parrocchia,
quella della Caritas doveva essere la prima modalità L’ascolto consente di dare significato ad alcune sida conoscere e seguire.
tuazioni di lacerazione, di strappo, è un modo di
Una organizzazione quindi con un modo preciso di
lavorare, derivato da una riflessione che ha portato
ad individuare e scegliere un metodo di lavoro sintetizzato intorno allo schema: osservare, ascoltare e
discernere. I tre verbi richiamano un’altra formula
conciliare vedere, giudicare e agire.
farsi vicino, di sollevare l’altro, di offrire una nuova possibilità, di valorizzare le risorse dell’altro, di
aiutarlo a camminare con le proprie gambe, senza
creare dipendenze, è un modo di offrire speranza, di
offrire la possibilità di un futuro.
Discernere
La carità è operosa e deve concretizzarsi in atti di
carità. Il tema del discernimento ha a che fare con il
Il riferimento è al contesto del territorio. La Caritas fatto che c’è una concretezza da agire.
come “organismo pastorale” della comunità cristia- Discernere quindi come promuovere nella comunina è legata in modo naturale alla dimensione terri- tà l’attenzione, come rispondere alle esigenze della
toriale la parrocchia e la diocesi sono, infatti, collo- carità, in dialogo con le istituzioni e le varie realtà.
cate su di un territorio. Questo legame immediato
è diventato però scelta simbolica esplicita, capace Un metodo teso a rinnovare l’agire pastorale per
di esprimere aspetti qualificanti del ministero della
Osservare
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Il Cantiere 11
CARITAS
dare qualità alle relazioni, per aiutarsi a non dimen- costruisce una storia, si dà un volto alla comunità
ticare la scelta preferenziale dei poveri; un metodo ecclesiale e civile; in questo senso si parla di “sfida
che ci tiene ancorati alla storia che cambia, alla vita di collegare emergenza e quotidianità”
della gente, alle problematiche sociali.
- spiritualità di povertà e di condivisione: per esseLo stile di azione e le finalità dell’intervento del- re “degni dei poveri”, come modo di stare accanto ai
la Caritas, sono quindi sintetizzate dalle seguenti poveri, anticipando e invocando il Regno di Dio che
espressioni (cfr. Lo riconobbero nello spezzare il viene.
pane, nn. 31- 42):
Tratto dal Sussidio per la formazione
- funzione pedagogica: nel senso che “il lavoro prevalente da fare è educare alla carità”, spingendo questo compito fino a giocarsi sui temi di “giustizia, pace
e salvaguardia del creato”, educando le coscienze ai
fondamentali valori umani, alla riconciliazione, alla
pace, al servizio
- pedagogia dei fatti: nel senso di risalire dalle opere
al loro risvolto educativo e di fare educazione promuovendo la carità nei fatti
- opere segno: nel senso che le opere di aiuto ai poveri devono essere “segno per i poveri che Dio è
amore, accoglienza e perdono; segno per i cristiani
di come essere fedeli al Vangelo; segno per il mondo
di che cosa sta a cuore alla Chiesa”
- progetto: perché la carità non sia soltanto la risposta emotiva ed estemporanea alle emergenze, ma
diventi un percorso quotidiano attraverso il quale si
IN CASA
PARROCCHIALE
Il «CENTRO DI ASCOLTO», espressione
della cura della Comunità Parrocchiale
attraverso la sensibilità dei componenti
della Caritas è a disposizione ogni
Lunedì, dalle ore
16.00 alle ore 18.00
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Il Cantiere
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INCONTRI
LE CONDIZIONI PER
UNA CONVERSIONE
DELLA POLITICA
Appunti dall’incontro di spiritualità per impegnati nel socio-politico, tenuto domenica
24 novembre 2013 da Don Luca Violoni presso il Collegio degli Angeli in Treviglio. 
Alle nove lo sparuto gruppo inizia l’incontro con la preghiera e la lettura di brani preparati in
Diocesi e che serviranno per la meditazione e le riflessioni della mattinata: Vangelo di Luca 3,1-6;
Salmo 127, stralcio di “Esercizi di buona Politica” del Card. Martini; stralci dalla lettera pastorale
“Il Campo è il Mondo” del Card. Scola.
Una prima considerazione emerge dalla
riflessione dei documenti esaminati: la presenza del male nelle realtà umane non
può fermare il progetto di Dio.
Partendo da questa certezza, siamo invitati ad operare nella società (ma anche
nella Chiesa) partendo dalla consapevolezza
dell’esistenza del bene. Su questa base siamo
chiamati a valutare la storia, fidandoci della
Parola di Dio.
Giovanni predicava “un battesimo di
conversione”, non di consenso o di approvazione: al cristiano impegnato nelle questioni
sociali o politiche è richiesto di agire e di operare in conseguenza al Vangelo, senza voler manipolare
la verità alla ricerca di un successo immediato ma effimero. Acquisire consenso facendo promesse
che si sa di non poter mantenere o distorcendo la verità, può anche portare qualche temporanea
adesione, ma è comunque sempre contrario al progetto divino.
Nel brano di Vangelo che abbiamo letto, Luca, riportando Isaia dice: “Ogni burrone sarà riempito,
ogni monte e ogni colle sarà abbassato...Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio”. Il cristiano sa di essere
nel mondo per testimoniare la venuta del Regno, per diffondere la buona novella, per proclamare la
venuta di una terra nuova. Ma sa anche che la piena realizzazione del Regno si compirà nella “pienezza del tempo” stabilita dal Padre celeste. Pertanto nessun scoraggiamento ci deve raggiungere se non
sempre le nostre azioni hanno un immediato successo.
Una sola cosa è chiesta al cristiano che si occupa nell’impegno sociale e/o politico: coltivare la
propria spiritualità! L’incisività del nostro impegno dipende dalla forza della nostra fede.
Quando verifichiamo la difficoltà del nostro agire nella società, quando ci sembrano senza soluzioni i problemi che abbiamo davanti, ricordiamoci che il nostro Maestro conosce le soluzioni!
Gianfranco Ferri
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Il Cantiere 13
CULTURA
In-decenti, In-docenti, Docenti:
la riflessione dello scrittore Alessandro D’Avenia
Un libro li definisce “sdraiati”. I ragazzi di oggi. Una generazione che non sa tenere la schiena dritta, ma
spalma sulla vita la propria spina dorsale liquida. Avrei la schiena come la loro se mi avessero dotato di una
comodissima sedia a sdraio, dalla quale avrei mandato a quel paese chi dopo averla fornita ora, pentito, la
rivuole indietro. Moralismo. Nostalgia del tempo andato. Paternalismo sornione.
Gli sdraiati invece li vedo tendersi quando offri loro qualcosa di cui non possono fare a meno e che abbiamo
sostituito con surrogati tecnologici, assenza di “no” e limiti, ma soprattutto di mete non autoreferenziali e
narcisistiche. Raddrizzano la schiena quando al moralismo sostituisci la morale: facendo loro toccare cosa
è bene e cosa è male, non a parole; quando alla nostalgia del tempo andato sostituisci la nostalgia del futuro, sudando lo stesso loro sudore, non metaforico; quando al paternalismo sostituisci la paternità, difendendoli dalle paure ma sfidando le loro risorse migliori, dedicando loro tempo al di fuori di quello stabilito.
La spina dorsale cresce dritta a chi è teso verso la luce, come quelle piante a cui mia nonna metteva accanto
un bastone fissato con uno spago, che le lasciava abbastanza libere da slanciarsi verso l’alto e non troppo
libere da curvarsi su se stesse. Come si slanciavano verso il sole affondando proporzionalmente le loro
radici! Dopo un po’, eliminati spago e bastone, rimanevano dritte, perché la fisica vuole che più ti slanci in
alto più hai bisogno di radici profonde. Incolpare la pianta di non avere radici salde è incolpare se stessi,
ma questo è duro da ammettere, e la colpa finisce sempre per cadere fuori dal recinto della responsabilità
personale: loro, la tv, il consumismo, la scuola, la playstation (che abbiamo comprato con la sdraio).
Solo la vita e l’esempio educano, le parole non bastano. Non basta dire tieni su la schiena, se non additiamo
il panorama da guardare oltre la soglia. Il nostro modo di vivere autoreferenziale lancia spesso proclami
contraddittori rispetto alla schiena dritta che esigiamo. I bambini allo stadio fanno lo stesso che fanno i
padri: e ci scandalizziamo pure? O li multiamo?
C’è però chi reagisce, cito da una delle tante lettere di contenuto analogo che ricevo:
Mi dica, le piace essere un professore? Pensa che abbia ancora un valore, per un professore, essere tale? Io sinceramente odio la scuola e non perché non ami studiare, imparare cose nuove, ma
perché mi sento soffocare, quando la prospettiva è entrare in classe ed ascoltare passivamente
persone che nel loro mestiere non mettono impegno, che sembrano sempre sull’orlo di una crisi
isterica, che non fanno amare ciò che si vantano di insegnare.
Ho solo diciotto anni, che ne so io della vita, di come si svolge un mestiere? Potrebbe chiedermi
e dirmi che tutto ciò è una scusa per giustificare il fatto che di studiare non mi va. Sì è vero, non
mi va di studiare un argomento che non mi appassiona. Ma non dovrebbe essere proprio quello,
il ruolo del professore? Far amare la cultura? Far amare lo studio? No, perché quello che nel mio
liceo si fa è imparare a memoria. Ma a Lei non sembrano sbagliati i verbi che vengono usati per
capire se si è studiato o meno? Interrogare e ripetere.
Io li odio questi due verbi, Professore, perché interrogare ha perso il suo significato latino, è diventata una minaccia, e alla domanda “La misoginia nella Medea di Euripide” – che neanche è
una domanda a dirla tutta – si deve ripetere, come un automa, quello che il professore ha “pazientemente” dettato in classe per un’ora (50 minuti, nei primi dieci era a prendere il caffè col collega di turno) e le altre cinquanta pagine che invece avresti dovuto imparare a memoria a casa.
Io invece vorrei che un professore mi chiedesse “Ma tu della Medea cosa hai capito?”, “Ma perché
secondo te Manzoni ha rinnovato completamente il genere del romanzo?”, “Ma quindi a te cosa è
rimasto di Hegel?”, e vorrei lo facesse con quella luce che si ha negli occhi quando si fa qualcosa
che si ama, per guidarci verso la maturità, quella vera, verso la capacità di guardare con occhio
critico la realtà, quella luce che fa scattare dentro la curiosità, una volta a casa, di aprire il libro
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Il Cantiere
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e capire “Ma quindi cosa voleva trasmettermi D’Annunzio, con tutta ‘sta pioggia?”.
Io guardo i miei professori e in loro vedo tante cose, tranne l’amore verso il proprio mestiere. Più
che odiare la scuola, io odio i miei professori. Preferisco passare i pomeriggi a scrivere o visitare
una mostra che hanno appena allestito o andare in quella libreria, un po’ nascosta tra le vie del
centro, dove posso comprare un libro e sedermi a leggerlo.
Lei la vede intorno a sé la voglia di insegnare, di trasmettere qualcosa a coloro ci si aspetta siano
il futuro del nostro Paese? Le vede le loro anime accese, vive, piene di voglia di fare, di dire?
Questa non è una lettera sdraiata, ma la lettera ben dritta di una ragazza all’ultimo anno di liceo, delusa,
polemica, in uscita con un cumulo di nozioni in testa e la certezza di sapere chi non diventare. Eppure ne
voleva di cultura, di quella che trasforma la vita, cultura indicata infatti come “luce che fa scattare”. Non
basterà rispondere che la vita è la fatica di fare “anche” ciò che non appassiona, perché lei la passione non
l’ha vista proprio e le sembra di dover fare “solo” ciò che non appassiona, la morte in vita per chiunque,
figuriamoci per un diciottenne.
Chiedete ad un ragazzo di oggi quali lezioni frequenta volentieri: vi citerà non l’“in-decente” (professore
amicone, complice, che parla di sé e non fa lezione), non l’“in-docente” (colto ma freddissimo), ma il docente che li mette alla prova, che li sfida, che dà molto ed esige molto, che si occupa della loro crescita e
non solo dei loro voti, il docente che amano e odiano, e che sceglierebbero autonomamente, se fosse loro
consentito. I ragazzi si sdraiano nella scuola degli “in-decenti”, e odiano quella degli “in-docenti” (letteralmente coloro che non-in-segnano anche se conoscono in modo ineccepibile la materia). L’in-docenza si
nasconde dietro la ripetizione, la formula vuota, il dovere per il dovere, evita la vita, non la seduce, non per
portare gli sdraiati verso noi stessi (triste e inutile beffa), ma per raccontare loro il sole, attraverso la luce
di occhi posati sì sulle carte ma altrettanto sulle vite, perché raggiungano -singolarmente e insieme- la loro
altezza. Prima di discettare sul ridurre di un anno la scuola italiana, per uniformarci (verso il basso) al resto
dei paesi europei (se la sognano una scuola con contenuti come la nostra), dovremmo provare a costruire
scuole in cui sia consentito scegliere insegnanti decenti e docenti, come prova a fare qualsiasi mamma che
vuole iscrivere il figlio in prima elementare.
Autore: Alessandro D’Avenia
Mio figlio frequenta il terzo anno della scuola superiore e in tre anni, a parte un unico professore con la P maiuscola, non ha incontrato un granché di
docenti in grado di attirarlo e fargli raddrizzare la schiena. Tutto il lavoro di
accrescimento dell’autostima e della passione per una professione ricade su
noi genitori e sul ragazzo stesso.
Quanto vorrei che la riflessione di questo autore di bellissimi libri, nonché
Professore, passasse tra le mani di tanti docenti e li smuovesse dal torpore in
cui sono caduti per colpa della routine, per ritrovare nuovo slancio nella loro
‘missione’ di educatori culturali e risvegliare la passione nei nostri ragazzi!!!
Paola M.
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Il Cantiere 15
EDITORIALE
FIABA
La regina delle nevi
di H. C. Andersen
T
anto, tanto tempo fa, c’erano un bambino chiamato Kai e una bambina chiamata
Gerda. Vivevano porta a porta e si volevano molto bene.
Fra le due case c’era un giardino nel quale i due ragazzi giocavano tutta l’estate tra i fiori. Il fiore preferito di Gerda era la rosa e lei aveva perfino inventato
una poesia dedicata a Kai:
«Le rose non perdono il profumo mai e amici per
sempre saran Gerda e Kai.» Durante l’inverno, sedevano accanto alla stufa ad ascoltare le storie che la
nonna di Kai narrava sulla perfida Regina delle Nevi:
«Vola nella grandine e ricopre i campi di neve. Paralizza i fiori con la brina e ghiaccia i fiumi. Il suo cuore
è di ghiaccio e vorrebbe che anche quello degli altri
fosse come il suo.»
Una sera, mentre la nonna parlava, il vento fischiava intorno alla casa e una finestra si spalancò. Una
folata di grandine colpì Kai al viso e una scheggia
di ghiaccio gli entrò in un occhio e gli arrivò fino al
cuore.
Lì per lì Kai dette un grido di dolore. Ma pochi momenti dopo stava ridendo di nuovo. E Gerda non ci
pensò più.
Il giorno dopo, Kai stava andando a giocare nella
piazza del paese con gli altri ragazzi.
«Posso venire anch’io?» gli chiese Gerda. Ma Kai si
rivoltò con uno scatto: «No davvero. Sei solo una ragazzina stupida.»
Gerda rimase molto ferita da queste parole. Ma come
poteva sapere che la scheggia penetrata nel cuore di
Kai glielo aveva reso di ghiaccio?
Uno dei giochi favoriti dai ragazzi era quello di lega-
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Il Cantiere
re gli slittini ai carri dei contadini e farsi così trascinare sulla neve. Ma quel giorno, sulla piazza, c’era
una grossa slitta bianca, col conducente avvolto in
una bianca pelliccia.
«Questo è meglio del carro dei contadini», pensò Kai
e legò il suo slittino alla parte posteriore della slitta
bianca.
La slitta si mosse, sempre più veloce finché Kai cominciò a spaventarsi. Voleva slegarla, ma non poteva
sciogliere il nodo. Correvano sempre più lontano, oltre i confini del paese, volando nel vento.
«Aiuto! Aiuto!» gridava Kai, ma nessuno lo sentiva.
Filarono via per ore, poi all’improvviso la slitta si
fermò e il conducente si alzò in piedi. Era una donna
alta e sottile vestita tutta di neve. Kai la riconobbe
subito. Era la Regina delle Nevi! Mise Kai sulla slitta
vicino a lei e lo avviluppò nel suo mantello. «Tu hai
freddo», disse e lo baciò in fronte.
Il suo bacio era come il ghiaccio, ma lui non sentì più
freddo.
La guardava e pensava che nessuna al mondo fosse
più bella della Regina delle Nevi.
Infatti era stata proprio lei a mandare il vento che
aveva fatto entrare il ghiacciolo nel cuore di Kai, che
ora era un blocco di ghiaccio. Kai aveva già dimenticato Gerda, la nonna e la sua casa.
Gerda pianse amaramente quando Kai non tornò a
casa. Tutti dicevano che era sicuramente morto, sepolto chissà dove nella neve.
Gerda aspettò tutto l’inverno, ma Kai non tornò. Alla
fine, arrivò la primavera e Gerda ricevette in dono
un paio di scarpette rosse. Se le mise e andò fino al
grande fiume.
«Avete visto il mio amico Kai?» chiese alle onde. «Vi
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darò le mie scarpette rosse se mi dite dov’è.»
Le onde annuirono con le loro creste spumeggianti. Essa allora montò su una piccola barca attraccata
fra le canne, e lanciò le scarpe nell’acqua, più lontano che poté.
In quel mentre, la barca si allontanò dalla riva e cominciò a correre lungo il fiume. Gerda aveva paura,
ma non osava saltar giù.
«Forse la barca mi porterà da Kai», pensò.
La barca trascinò Gerda giù lungo il fiume, fino a una
casetta dal tetto di paglia circondata da un giardino
di ciliegi.
Una strana vecchia signora, con un gran cappello in
testa, uscì dalla casetta e con il suo lungo bastone
ricurvo agganciò la barchetta e la tirò in secco.
«Povera bambina», disse a Gerda.
«Come mai stavi navigando tutta sola per il mondo?»
Gerda raccontò la sua storia alla vecchia signora e le
chiese se per caso avesse visto Kai.
«Ancora non l’ho visto, cara, ma sono sicura che verrà molto presto.» La portò in casa e le offrì delle ciliege. E mentre Gerda mangiava, la vecchia signora
le pettinava i capelli.
Ora, dovete sapere che in verità la vecchia signora
era una maga, che si sentiva molto sola, e perciò desiderava tenere Gerda con sé. E con il suo pettine
magico aveva cancellato tutti i suoi ricordi, perfino
quello di Kai!
I giorni passavano e Gerda giocava nel giardino dei
ciliegi. Ma, una mattina di sole, mentre girellava tra i
fiori del giardino, vide un cespuglio pieno di boccioli
di rose. Gerda baciò le rose con trasporto e si ricordò immediatamente di Kai.
«Sono rimasta qui troppo a lungo!» gridò e la sua
voce disturbò una grossa cornacchia nera che gracchiò:
«Che succede ragazzina?»
«Devo trovare il mio amico Kai. L’hai forse visto?»
«Un ragazzo è passato di qui la settimana scorsa. Ha
fatto innamorare di sé una principessa e ora è principe anche lui. Vivono in un bel palazzo non lontano
da qui.»
«Oh, sarei proprio felice per Kai se fosse diventato
un principe», rise Gerda. «Puoi mostrarmi la strada
per raggiungerlo?»
E la cornacchia accompagnò Gerda fino al palazzo.
Poi si appollaiò sulla sua spalla e insieme salirono
su una lunga scala buia e arrivarono nella camera
del principe.
Gerda guardò il principe addormentato e scoppiò in
lacrime: «Ma non è Kai! Dovrò continuare a cercarlo
e sono così stanca!»
Il suo pianto svegliò il giovane principe e la principessa che si stupirono moltissimo alla vista di una
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fanciulla in lacrime ai piedi del loro letto e con una
cornacchia sulla spalla, per di più. Ma ascoltata la
sua storia furono molto comprensivi.
«Ti darò il mio vestito più bello per rallegrarti» disse
la principessa.
«E io ti darò il mio cocchio d’oro» disse il principe,
«così potrai viaggiare più velocemente e trovare al
più presto il tuo amico.»
Con la carrozza del principe, Gerda si avventurò in
una cupa foresta, ma la vettura dorata riluceva troppo fra gli alberi e dei banditi la videro.
«È oro, oro!» gridavano, e al primo crocicchio la circondarono.
Tirarono giù Gerda dalla carrozza e la portarono nel
loro covo. Sulla soglia c’era una bambina dagli occhi
neri che era la figlia del capo dei banditi.
Quando si resero conto che Gerda non era una ricca
principessa e che non c’era niente da rubarle, decisero di ucciderla.
«Oh no, non lo fate!» gridò la figlia del bandito. «Giocherà con me e io potrò indossare i suoi bei vestiti!»
Il capo dei banditi si accigliò. «Va bene, ma la terrò
sotto chiave perché non scappi e non denunci il nostro nascondiglio.»
Quella sera Gerda raccontò alla sua nuova amica la
storia di Kai. Mentre parlava, le colombe che stavano appollaiate sulle travi e una vecchia renna, sentirono tutto.
Dopo un po’ una delle colombe disse: «Cuu, cuu, noi
abbiamo visto il piccolo Kai. Era sulla slitta della Regina delle Nevi e andava verso la Lapponia.»
«È vero», disse la renna. «Io ci sono nata in Lapponia, dove tutto scintilla di neve e di ghiaccio e la Regina ha il suo palazzo estivo.»
«Devo andarci subito!» esclamò Gerda. «Ora capisco
perché Kai è stato così duro quel giorno. Il suo cuore
era già di ghiaccio.»
I ladroni dormivano; la figlia del capo scivolò furtivamente vicino al padre che russava e gli rubò la
chiave della porta.
«Porta Gerda in Lapponia» disse alla renna «E aiutala a ritrovare Kai.»
La renna era felicissima di tornare a casa sua e corse
via per brughiere e paludi. Viaggiarono per diversi
giorni e infine arrivarono nella gelida Lapponia. Faceva un freddo terribile e dappertutto c’era ghiaccio
e neve.
«Guarda laggiù!» gridò Gerda. In lontananza, il palazzo estivo della Regina delle Nevi scintillava come
una montagna di diamanti.
Intanto, nel Palazzo, la Regina aveva fatto di Kai il
suo schiavo. Era una donna fredda e dispettosa e lo
costringeva a lucidare continuamente i grandi pavimenti gelati.
Il Cantiere 17
FIABA
Kai avrebbe pianto, se il suo cuore non fosse stato di
ghiaccio. Poi un giorno la Regina delle Nevi dette a
Kai dei ghiaccioli e gli disse:
«Se con questi riesci a formare la parola ETERNITÀ, può anche darsi che ti lasci libero.» Poi volò via.
Kai venne lasciato solo con i ghiaccioli. Le sue mani
erano livide dal gelo ma lui non sentiva freddo. Stava ancora tentando di formare la parola ETERNITÀ
quando Gerda trovò la strada che conduceva al palazzo e alla grande sala ghiacciata.
«Kai» gridò. «Finalmente ti ho trovato!» E gli gettò le
braccia al collo. Ma Kai rimase impassibile.
«Chi sei? Che ci fai qui? Vattene e non mi toccare.»
Gerda non gli diede retta. Malgrado gli sguardi ostili
continuò a stringerlo a sé e pianse lacrime di gioia. E
mentre piangeva, le sue lacrime calde caddero negli
occhi di Kai... e sciolsero il ghiaccio del suo cuore.
Kai si ricordò subito di lei. «Gerda! Sei tu!» e finalmente rideva.
Si abbracciarono e si baciarono e danzarono di gioia.
Anche i pezzettini di ghiaccio danzavano e composero da soli la parola ETERNITÀ sul pavimento.
«Ora sono libero!» gridò Kai. «La Regina delle Nevi
non ha più potere su di me. Il mio cuore è di nuovo
mio!»
Gerda guidò Kai dove la renna stava aspettando. Sulla sua groppa fecero il viaggio di ritorno e quando
arrivarono a casa era di nuovo estate.
E le rose del giardino erano in piena fioritura.
Luca Coletta
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Il Cantiere
Hans Christian Andersen nacque il 2 aprile
1805 a Odense, nell’isola danese di Fionia, figlio di un ciabattino e di una lavandaia. Il padre morì quando lo scrittore era ancora piccolo, lasciando la famiglia in assoluta miseria.
Nel 1866 fu nominato Consigliere di Stato e la
sua città natale, Odense, volle festeggiare l’avvenimento conferendogli la cittadinanza onoraria.
Hans Christian Andersen morì il 4 agosto 1875
e fu sepolto, con tutti gli onori, a Copenaghen.
Gennaio 2014
STORIA
San Giovanni Bosco
sacerdote
– MEMORIA –
Nacque il 16 agosto del 1875
nella frazione rurale di Castelnuovo d’Asti, in una famiglia
contadina.
Casa natale di Don Bosco
Contro il parere dei parenti, mamma Margherita aveva voluto che
egli seguisse la sua vocazione sacerdotale ma, donna ammirevole,
gli aveva detto “Se tu volessi farti prete per diventare ricco, io non
verrò mai neppure a farti visita”. Visse invece sempre con lui e con i
ragazzi da lui raccolti sotto la famosa tettoia Pinardi, che costituì il
primo nucleo delle opere di Don Bosco. Egli chiese a tutti, per tutta la
vita, denaro e lavoro, per quei ragazzi raccolti per la strada, sfamati,
educati e istruiti in un mestiere.
Ideò le prime scuole professionali, dalle quali dovevano uscire non
tanto uomini colti quanto operai onesti e capaci. Egli fu anche un
acuto pedagogista, e volle che nelle sue scuole fosse applicato il sistema “preventivo” che consisteva nel prevenire gli errori, in tempi
nei quali il sistema educativo era ancora “repressivo”. Egli perciò, più
che un maestro, si reputava “amico” dei ragazzi, per i quali sopportò
gravissime fatiche e patì persecuzioni politiche: un prete che si occupava di scuole e fondava laboratori dava sospetti ai politici liberali
di nome ma settari di fatto. Pose la sua opera di educatore cristiano
sotto la protezione di S. Francesco di Sales, donde il nome Salesiani.
Morì a Torino il 31 gennaio del 1888.
Luca Coletta
Gennaio 2014
Il Cantiere 19
CARTOLINE DA ...
Ciao a tutti!!! Si sa, a gennaio fa freddo, quindi, questo
mese vi parlerò di una città calda, non per il clima, ma per
le persone che vi abitano … MADRID!!! Con circa 3 milioni
di aitanti e una superficie di 607 km quadrati, oggi è tra le
città più grandi in Europa. La lingua ufficiale è lo spagnolo,
ma gli abitanti delle varie regioni parlano dialetti diversi,
in particolare quelli che vivono in Cataluña, con capoluogo Barcellona, si considerano “diversi” dagli altri, pur essendo di fatto degli spagnoli a tutti gli effetti. Passiamo ai
monumenti adesso!!!
MADRID
IL PALACIO REAL: (Palazzo Reale) è un palazzo di circa 2000 stanze che il re Filippo IV commissionò a
degli architetti italiani perché lo costruissero dove sorgeva
la prima fortezza araba. Inizialmente fu pensato per essere
una residenza reale, ma con la deposizione di Alfonso XIII;
il suo successore e attuale sovrano Juan Carlos si trasferì
fuori città e il palazzo viene utilizzato per le occasioni ufficiali. Tra i locali aperti al pubblico meritano la visita l’enorme Salone dei Banchetti, la Sala della Porcellana con pareti
e soffitto decorati, la Sala del Trono con i seggi reali e le
Sale Gasparini. All’esterno si ammiri la Plaza de l’Armeria
che precede l’ingresso al Palazzo e dove si svolge il cambio
della guardia. Adiacente al Palazzo si trova la Cattedrale di
Nuestra Señora de la Almudena, iniziata oltre un secolo fa
e consacrata solo negli anni Novanta; la chiesa, che conserva reliquie di San Isidro, è stata scelta dall’erede alla corona spagnola per il “matrimonio evento” del 2004.
Situate a poche centinaia i metri l’una dall’altra, la PLAZA MAYOR
e la PUERTA DEL SOL si contendono il titolo di piazza più bella di
Madrid.
Testimone in passato di processi dell’Inquisizione e di canonizzazione di Santi, PLAZA MAYOR accoglie invece al giorno d’oggi madrileni e turisti ai tavolini dei tanti caffè presenti sotto i suoi portici e
spesso regala esibizioni di artisti di strada. Meta irrinunciabile del
passeggio in città, la piazza emoziona anche per i singolari affreschi
dell’edificio principale, la Casa de la Panadéria.
Antico ingresso orientale della città, la PUERTA DEL SOL è tra i luoghi più significativi di Madrid. è in
questo posto che passa il “chilometro zero”, a partire dal
quale si calcolano le distanze in tutto il paese ed è qui che
si trova la statua emblema della città, un orso che addenta
una pianta di corbezzolo. La piazza, trafficatissima di per
sé, diventa ancora più caotica l’ultimo giorno dell’anno.
in cima alla “Casa del Correos” si trova infatti l’orologio
più importante della città, quello che i madrileni seguono
con i 12 beneauguranti chicchi d’uva per i primi rintocchi
dell’anno nuovo.
Per questo mese è tutto … alla prossima!!!
Irene B.
20
Il Cantiere
Gennaio 2014
MUSICA
MICHELE, IL TESORINO
DI X-FACTOR7
MICHELE BRAVI, UN NOME, UNA STORIA, UN VINCITORE.
Appunto, il vincitore dell’ultima edizione italiana di X-Factor. Chi ha visto il programma, ha seguito Michele e magari lo supportato (come me)? Io dall’inizio e, quando è arrivato alla finalissima, già tutti sapevamo che avrebbe vinto perché “il mercato musicale è in cerca di una nuova
stella, che però deve essere giovane, talentuosa e con un timbro diverso dagli altri” come disse
Elio. Tutte queste caratteristiche si possono riscontrare nel TESORINO, come lo soprannominarono Simona Ventura e Morgan. Un’avventura, la sua, iniziata a Giugno con i provini passati
egregiamente. Arriva così ai Bootcamp, agli Homevisits e alla finale, dove duetta con Giorgia.
Ritrovatosi vincitore, sotto consiglio dei giudici, ricanta la sua canzone, “La Vita e La Felicità”
di cui, recentemente, è stato rilasciato il video-clip ufficiale. Per ora non ha pubblicato nessun
album, ma magari col tempo diventerà la nuova stella internazionale, anche perché è un ragazzo semplice, genuino, insomma acqua e sapone, che mette ancora al primo posto la famiglia.
Vi lascio un piccolo pezzetto della sua canzone, una ballata romantica che, a mio avviso, è un
vero e proprio inno all’amore … Un bacio a tutti …
Chiara
“E l’estate che non passerà,
Si troverà una soluzione
La vita e la felicità,
Nessuna via
Nessuna convinzione,
Qui mi troverai
Qualunque volta vorrai rivedermi
Qui a sognare se vorrai tornare,
Io rimango qua”
Gennaio 2014
Il Cantiere 21
CUCINA
Menù delle feste
Ciao a tutti cari lettori,
questo articolo sarebbe dovuto uscire nel numero di dicembre, ma per questioni di tempo non sono
riuscito a terminarlo. Ve lo propongo adesso, subito dopo aver preparato la valigia per la mia esperienza lavorativa (stage) in un albergo a Sirmione. Al mio ritorno vi dirò com’è andata!!
Vi auguro un Anno Nuovo di Pace e Serenità.
Il vostro futuro chef Massimiliano
ANTIPASTO
Insalata di cappone al melograno
Ingredienti per 4 persone
· mezzo cappone nostrano
· 2 melograni
· 1 ciuffo di sedano
· 1 porro
· 6 carote
· insalata tenera
· aceto di vino bianco
· olio extravergine di oliva
· sale
· glassa di aceto balsamico
Fate bollire per un paio d’ore il cappone con il porro, un gambo di sedano, due carote e sale. Quindi
riporlo in frigorifero per un’ora. Una volta raffreddato spellatelo, disossatelo e tagliatelo a striscioline. Tagliare a mezze rondelle le carote rimanenti e il sedano. Preparare la vinaigrette sciogliendo il
sale nell’aceto di vino bianco e aggiungendo l’olio di oliva. Miscelare bene la vinaigrette con il succo
di un melograno (sgranatelo e passatelo nello schiacciapatate). Quindi con la salsa ottenuta condire
il cappone con le carote e il sedano e il secondo melograno precedentemente sgranato (attenzione a
eliminare tutte le parti bianche interne, che rendono amaro il gusto del frutto). Servire a monoporzioni su un letto di insalata tenera, guarnendo con ghirigori di glassa di aceto balsamico.
PRIMO PIATTO
Risotto allo champagne e tartufo
Ingredienti per 4 persone
· 500 ml di Champagne
· 100 ml di panna da cucina
· 250 g di riso
· 20 g di burro
· 1 scalogno
· 1 brodo vegetale
· 1 piccolo tartufo nero
· sale
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Fate appassire lo scalogno tritato con il burro, unite il riso e tostatelo, bagnate con lo champagne
e fatelo evaporare. Tirate il riso con il brodo, aggiungendone di tanto in tanto un mestolino e mescolando. Pulite il tartufo, ricavate da esso la parte superficiale, tritatela finemente e aggiungetela
al risotto a cottura quasi ultimata. Unite la panna, regolate di sale, mescolate e lasciate riposare un
momento. Distribuite in superficie il tartufo rimasto a lamelle e servite.
Il Cantiere
Gennaio 2014
SECONDO PIATTO
Arrosto di maiale ripieno di datteri
con contorno di cipolline caramellate
Ingredienti per 4 persone
· 1 arrosto di maiale
· 10/15 datteri
· 1 litro di brodo di carne
· 500 gr cipolline
· 4 cucchiai di zucchero
· 1 bicchiere di aceto di vino bianco
· burro
· 5 foglie di alloro
· sale
· glassa di aceto balsamico
Con un coltello lungo e sottile praticate un foro centrale per tutta la lunghezza dell’arrosto. Infilare
quindi i datteri precedentemente denocciolati. Far rosolare l’arrosto nel burro, quindi procedere
con la cottura aggiungendo il brodo poco alla volta e il sale q.b..
Far dorare le cipolline in una padella larga con una noce di burro. Aggiungere 4 cucchiai di zucchero e far caramellare le cipolline facendo attenzione a non farle scurire troppo. Quindi aggiungere
l’aceto di vino bianco e le foglie di alloro. Far cuocere per almeno 20 minuti con il coperchio. Gli
ultimi 10 minuti scoprire per far rapprendere il sugo che dovrà raggiungere una consistenza abbastanza densa.
Tagliare l’arrosto a fette e guarnire con le cipolline caramellate e qualche goccia di glassa di aceto
balsamico.
DESSERT
Mini pandorini golosi al ribes rosso
Ingredienti per 4 persone
· 4 pandorini monoporzione
· 150 g di Crema Pasticcera
· 100 g d’uvetta
· 100 g di arance candite
· zucchero a velo
· cacao amaro in polvere
· ribes rosso
Tagliate i pandorini orizzontalmente in dischi di 1 cm di spessore e con un coppapasta eliminate
l’interno dei 3 dischi più grandi di ciascun pandorino. Sbriciolate il pandoro ricavato e amalgamatelo con la crema pasticcera, l’uvetta precedentemente ammollata e le arance candite tagliate a cubetti (tenetene da parte 1 cucchiaio per la decorazione). Su un piatto da portata posizionate il disco
di base (quello più grande) del pandorino e a scalare gli altri dischi formando un piccolo albero di
Natale. A metà riempite lo spazio interno con la crema e terminate con i dischi rimasti. Ripetete
l’operazione anche con gli altri pandorini.
Spolverizzate i pandorini con zucchero a velo e cacao, quindi decorate con il ribes rosso e i cubetti
di arance candite tenuti da parte.
Gennaio 2014
Il Cantiere 23
CELEBRAZIONI
01. Cortesi Alessio con Rozzoni Veronica
il 07 giugno 2013
02. Moriggi Gianmaria con Finardi Michela
il 02 settembre 2013
03. Pala Alessandro Giuseppe con Albanese Francesca
il 06 settembre 2013
01. Lahai Jason Sayoh
02. Rozzoni Daniele
03. Rozzoni Nadia
04. Finardi Emma
05. Simeone Diego
06. Belotti Rebecca Maria
07. Marta Giulia
08. Cortesi William
Massimiliano Francesco
09. Bosco Elia
10. Reduzzi Samuele
11. Borbone Mathias
12. Rama Edoardo Amedeo 24
Il Cantiere
19 gennaio 2013
09 febbraio 2013
07 aprile 2013
21 aprile 2013
05 maggio 2013
05 maggio 2013
05 maggio 2013
07 giugno 2013
09 giugno 2013
09 giugno 2013
23 giugno 2013
07 luglio 2013
Gennaio 2014
13. Trevisan Sara
14. Delcarro Evelin
15. Cortesi Filippo
16. Ferri Leonardo
17. Zanetti Beatrice Maria Carmela
18. Belloli Ginevra
19. Cavazzuti Cristina
20. Cavazzuti Roberto
08 settembre 2013
08 settembre 2013
08 settembre 2013
27 ottobre 2013
27 ottobre 2013
10 novembre 2013
08 dicembre 2013
08 dicembre 2013
01. Agazzi Laura
02. Apa Francesco
03. Belloli Paolo
04. Berewa Catherina
05. Borzì Cristian
06. Bosco Alessandro
07. CavagnaYuri
08. IntraMichelangelo
09. Invernizzi Irma
10. MarcialliMartina
11. Merlin Gaia
12. Paris Danny
13. PossentiSamuele
14. Recanati Elisa
Gennaio 2014
Il Cantiere 25
CELEBRAZIONI
15. Reduzzi Swami
16. Resmini Fabio
17. Valvassori Arianna
01. Belloli Anita
02. Bosco Marco Carlo
03. CavagnaGaia
04. Cau Alessia
05. Colnaghi Gabriele
06. Comotti Agnese
07. Ferri Claudio
08. GualandrisYuri
09. Leoni Sofia
10. Locati Gaia
11. Lo Muscio Francesca
12. Micheli Vivian Tiziana
13. Morino Martina
14. Resmini Mattia Natale
15. Scotti Erika
16. TadiniLuca
17. Troiano Martina
26
Il Cantiere
Gennaio 2014
01. Ferri Giuseppina
02. Bosco Domenico
03. Pala Maria Margherita
04. Finardi Clotilde
05. Cassarà Emanuele
06. Monticelli Maria Bambina
07. Fanzaga Bambina
08. Possenti Francesca
09. Corda Giacomina (Emi)
10. Palumbo Caterina
11. Fanzaga Maria Lucia
12. Criscuoli Angela
13. Amici Lucilla
14. Boschi Maria Ausilia
15. Rossoni Luigi
16. Carminati Antonia
17. Reduzzi Valerio Basilio
18. Resmini Rosa
19. Pala Gabriella
20. Bolandrini Carlo
21. Lanzeni Maria Bambina
22. Magni Pasquale
23. Resmini Giuseppa
24. Bosco Mario Livio
Gennaio 2014
di anni 88 - 14 gennaio 2013
di anni 71 - 01 febbraio 2013
di anni 81 - 04 marzo 2013
di anni 75 - 19 marzo 2013
di anni 69 - 12 maggio 2013
di anni 88 - 13 maggio 2013
di anni 83 - 18 maggio 2013
di anni 91 - 22 maggio 2013
di anni 58 - 25 maggio 2013
di anni 92 - 25 giugno 2013
di anni 88 - 04 luglio 2013
di anni 48 - 07 luglio 2013
di anni 85 - 10 luglio 2013
di anni 54 - 24 luglio 2013
di anni 87 - 29 luglio 2013
di anni 91 - 13 agosto 2013
di anni 68 - 22 agosto 2013
di anni 87 - 24 agosto 2013
di anni 71 - 08 settembre 2013
di anni 88 - 11 settembre 2013
di anni 71 - 24 ottobre 2013
di anni 86 - 05 novembre 2013
di anni 82 - 02 dicembre 2013
di anni 64 - 29 dicembre 2013
Il Cantiere 27
CHE IL
PORTI PACE E SERENITA’
A TUTTA LA COMUNITA’
GENNAIO 2014
La Redazione
28
Il Cantiere
PARROCCHIA SAN BERNARDO ABATE
ORARIO S. MESSE
FERIALI:ORE 08,30
MARTEDI’
ORE 09,15
GIOVEDI’
ORE 20,30
FESTIVI:
SABATO
ORE 18,00
ORE 08,00
DOMENICA
ORE 10,00
ORE 18,00
Gennaio 2014