Musica e nazionalismo tra Ottocento e Novecento

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La Musica nella Storia
Lezione di martedì 17 novembre 2009
Musica e nazionalismo tra Ottocento e Novecento
Le scuole nazionali
Brani e testi
La Russia tra nazionalismo e cosmopolitismo
Nikolaj Rimsky-Korsakov (1844-1908)
Shéhérazade
1. Il mare e il vascello di Sinbad
2. Il racconto del principe Calendo
3. Il giovane principe e la giovane principessa
4. Festa popolare a Bagdad – Il mare – Naufragio
Modest Mussorgsky (1839-1881)
Quadri di un’esposizione
(Orchestrazione di Maurice Ravel)
Promenade (Allegro giusto, nel modo russico, senza allegrezza, ma poco sostenuto)
Si alternano battute in 5/4 e 6/4.
1. Gnomus (Sempre vivo)
Il primo quadro rappresenta un nano malvagio che si aggira nella foresta.
(Promenade) (Moderato commodo [sic] assai e con delicatezza), nell'originale senza titolo.
2. Il vecchio castello (Andantino molto cantabile e con dolore) (titolo italiano nell'originale).
La scena si svolge in Italia dove un trovatore intona la sua canzone davanti alle mura di un castello
medievale in un paesaggio soffuso di tristezza.
(Promenade) (Moderato non tanto, pesamente [sic]), nell'originale senza titolo.
3. Tuileries (Allegretto non troppo, capriccioso)
Alcuni bambini giocano felici nei giardini del parco parigino delle Tuileries sotto lo sguardo attento delle
governanti che chiacchierano tra di loro.
4. Bydło (Sempre moderato, pesante)
Un bydło, caratteristico carro dei contadini polacchi, dalle ruote altissime e pesantissimo, è trainato
faticosamente e lentamente da buoi.
(Promenade) (Tranquillo), nell’originale senza titolo.
5. Balletto dei pulcini nei loro gusci (Scherzino: Vivo, leggiero)
Ballerini travestiti da pulcini che escono dall'uovo.
6. Samuel Goldenberg e Schmuÿle (Andante. Grave-energico)
Due ebrei polacchi si incontrano: uno ricco, grosso, grasso e tronfio del suo benessere, l'altro piccolo,
magro, insistente e piagnucoloso.
Promenade (Allegro giusto, nel modo russico, poco sostenuto)
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Questo pezzo, che riprende espandendola la prima Promenade e che con il suo carattere di ricapitolazione
divide la suite in due parti, venne omessa da Ravel nella sua orchestrazione dell'opera
7. Limoges. Il mercato (La grande notizia) (Allegretto vivo, sempre scherzando)
Chiacchiere tra contadine nella piazza del mercato di Limoges.
8. Catacombae (Sepulcrum romanum) (Largo)
Hartmann al lume di una lanterna visita le catacombe di Parigi.
8b. Cum mortuis in lingua mortua (Andante non troppo, con lamento)
È la seconda parte del numero precedente e una reminiscenza delle Promenade.
L'autografo del compositore spiega: "Lo spirito creatore del defunto Hartmann mi conduce verso i teschi e li
invoca; questi si illuminano dolcemente all'interno".
9. La capanna sulle zampe di gallina (Baba Yaga) (Allegro con brio, feroce - Andante mosso)
Il quadro illustra l'incedere della strega Baba Yaga, essere grottesco raffigurato da un orologio a cucù
sorretto da zampe di gallina e la musica esprime la paura del compositore nel visitarne l'orribile antro.
10. La grande porta di Kiev (Allegro alla breve. Maestoso: Con grandezza)
Hartmann, nella sua veste di architetto, aveva progettato una maestosa porta per Kiev nello stile del
rinascimento russo.
Piotr Il’jč Čajkovskij (1840-1893)
Sinfonia n. 5 in mi minore op. 64
2. Andante cantabile, con alcuna licenza
3. Valse
Vladimir Vasil’evic Stasov (1824-1906)
La Scuola Russa
In un lungo saggio pubblicato su «Vestnik Evropï» nell’ottobre 1883, Viadimir Vasil’evic Stasov tracciava un profilo
dell’evoluzione della musica russa dal tempo di Glinka fino a quell’epoca, esaltando naturalmente l’attività della corrente
nazionalista. Ne riproduciamo i passi salienti del paragrafo iniziale, dove sono analizzati i tratti caratteristici che
differenziavano, secondo l’autore, la ‘scuola’ russa da tutte le altre culture musicali europee. Dello stesso Stasov
riportiamo poi un brano d’un articolo pubblicato in «Severnij Vestnik » (luglio-agosto 1889), nel quale si rievocano i tours
in Russia di Liszt, Berlioz e Schumann, e si rivendica ai nazionalisti russi il merito di aver compreso prima e più a fondo
degli ‘occidentali’ la vera grandezza di quei musicisti. Seguono infine alcuni brani di lettere di Musorgskij a Stasov:
testimonianze concise ma efficacissime del radicalismo senza compromessi, che caratterizzò la vita e l’opera del
musicista.
[…] Per lungo tempo non fu concesso ai nostri compositori alcun riconoscimento; si guardava ad essi con sussiegosa
sufficienza. Ancora nel r86o Dargomyžškij scriveva: « Quanti dei nostri più autorevoli esperti mettono in discussione
l’esistenza stessa d’una scuola russa, non solo di canto ma anche di composizione. Ciò nondimeno essa s’è
vittoriosamente affermata, ed è ormai troppo tardi per soffocarla. La sua esistenza è già iscritta negli annali dell’arte ».
Infatti la scuola russa ha cominciato a esistere fin dal tempo di Glinka, con caratteristiche proprie che la differenziano da
qualsiasi altra scuola europea.
Quali furono dunque le forze che produssero la speciale fisionomia della scuola russa, i fattori determinanti del suo unico
carattere e del suo singolare sviluppo?
Un fattore primario è l’apertura mentale, l’assenza di preconcetti e di cieca fede. Fin dal suo inizio, con Glinka, la scuola
russa è stata caratterizzata da una completa indipendenza, nelle opinioni e negli atteggiamenti, verso la musica dei
passato. Non ha mai accettato senza discutere i giudizi delle «autorità costituite» ma ha insistito nel voler verificare ogni
cosa per quel che era e determinare se un compositore era di per sé grande, e le sue opere importanti. Se perfino oggi
una siffatta indipendenza di giudizio è rara a trovarsi nei musicisti europei, cinquant’anni fa lo era ancora di più. Solo una
piccola schiera di loro
— uomini come Schumann, per esempio — osava manifestare il proprio giudizio critico nei confronti degli idoli
consacrati. La maggior parte dei musicisti occidentali accetta ciecamente tutte le opinioni delle autorità e condivide tutti i
gusti e pregiudizi della folla. I nuovi musicisti russi, al contrario, sono terribilmente ‘irriverenti’. Essi guardano con
scetticismo alle opinioni tradizionali, e anche di ciò che ci si aspetta ch’essi apprezzino, non valuteranno nulla
positivamente se prima non si saranno autonomamente convinti del suo valore. Così nel 1842, nonostante l’opinione
contraria universalmente diffusa, Glinka disse franca- mente a Liszt che trovava Weber «molto deludente (perfino nel
Freischütz) per l’eccessivo uso dell’accordo di settima di dominante nella posizione fondamentale». In quei giorni
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nessuno avrebbe avuto il coraggio di dar voce a una simile critica contro un idolo così universalmente venerato come
Weber. [...]
Dargomyžškij già nel 1844, durante il suo primo viaggio in Europa, scriveva al fratello: «Meyerbeer non ha forza
drammatica. Il soggetto dei Roberto è una leggenda, una storia fantastica del Medioevo che conviene perfettamente alla
mentalità di quell’autore. Il soggetto degli Ugonotti tratta di fanatismo religioso ed è intensamente drammatico. La
violenza dei popolo e la malizia dei cattolici vi sono eccellentemente espresse; c’è in questa materia una qualità satanica
ch’è congeniale alla penna di Meyerbeer. Ma le scene drammatiche sono rumorose, macchinose e dei tutto irrealistiche!
Durante la rappresentazione seguivo col libretto. Conoscevo già da prima ogni scena del dramma, ma ascoltando la
musica non riuscivo a trovare una sola idea ispirata. L’abilità e l’intelligenza di Meyerbeer sono incredibili, ma né l’una né
l’altra possono simulare il cuore umano. L’artefice più grande non è ancora un poeta».
In altre lettere Dargomyžškij dice che la musica di Meyerbeer e di Halévy è «spesso banale». Riguardo all’ode sinfonica
Le Désert di Félicien David, scriveva nei 1845: « Ho avuto difficoltà a procurarmi un biglietto. I Francesi hanno fatto
pazzie per quest’opera, ma noi guardiamo ed essa con occhi differenti. Non si vuoi negare a David un certo talento, ma
egli è un Beethoven non più di quanto il mio pollice sia la colonna di Vendôme ».
Dargomyžškij aveva come Glinka una scarsa opinione dei cantanti italiani. «La naturalezza e la nobiltà della scuola
russa di canto non può che rallegrare il nostro cuore dopo la pretensione degli Italiani, l’urlamento dei Francesi, lo stile
manierato dei Tedeschi», scriveva nel 186o. Le stesse idee e lo stesso bisogno di verità e sincerità possiamo trovarli in
tutti i migliori musicisti russi venuti dopo Dargomyžškij.
Inoltre, nessuno dei nostri grandi, da Glinka in poi, ha mai fatto molto affidamento sull’educazione accademica, né l’ha
mai riguardata con quel servilismo e quel timore superstizioso dei quali ancor oggi è circondata in molte parti d’Europa.
Sarebbe ridicolo negare il valore della dottrina in qualsivoglia campo, compresa la musica, ma i musicisti russi, liberi
dall’impaccio dell’antiquata tradizione scolastica europea, guardano ad essa francamente in viso. La rispettano, fanno
uso dei suoi doni, ma non ne esagerano l’importanza né le si genuflettono davanti. Respingono la nozione che la dottrina
debba essere necessariamente arida e pedante. Non vogliono aver assolutamente a che fare con le capriole
accademiche cui migliaia di persone in Europa attribuiscono tanta importanza. Non credono alla necessità di dover
vegetare per anni e anni sulle ritualità misteriose dell’erudizione.
« Generalmente parlando, non ero destinato a studiare con contrappuntisti rigorosi », annota Glinka nelle sue Memorie a
proposito del suo fallito incontro col celebre teorico Raimondi a Napoli nel 1832. Nei raccontare la sua giovinezza egli
dice pure: «In un modo o nell’altro non mi riuscì mai d’incontrare il famoso contrappuntista Miller, che stava allora a
Pietroburgo. Chissà? forse fu per il meglio. Il rigoroso contrappunto tedesco non sempre va d’accordo con una fervida
immaginazione». A Milano nel 1830 Basili, il direttore del Conservatorio, lo «torturò » con i vari rompicapi del
contrappunto, «ma la mia focosa immaginazione non poté sottomettersi a quel lavoro arido e impoetico e così — egli
scrive — presto smisi le mie lezioni con lui».
Solo quando ebbe raggiunto la trentina, cioè solo quando l’idea di una musica russa cominciò a muoversi potentemente
in lui, Glinka cominciò ad attendere seriamente allo studio della composizione musicale. Sulla via del ritorno dall’Italia in
Russia fece una sosta a Berlino, dove in circa cinque mesi completò un corso di esercizi di teoria musicale col professor
Dehn. Tutto ciò che Dehn gli aveva insegnato riempiva non più di cinque piccoli quaderni d’appunti. Ma né questo fatto,
né il così breve tempo dedicato a questo tipo di studi impedirono a Glinka di conquistare una straordinaria padronanza
tecnica. Più tardi, Dargomyžškij pure s’impadronì di questa materia con grande rapidità. «Glinka — scrive nella sua
autobiografia — mi prestò gli appunti di teoria del professor Dehn, ch’egli aveva portato con sé da Berlino. Io li ricopiai e
assimilai subito la cosiddetta scienza del basso continuo e del contrappunto ». A differenza dei tedeschi, essi non
sprecano anni ed anni sulla grammatica musicale. La apprendono presto e facilmente, come ogni altra grammatica, ma
ciò non impedisce loro d’impararla solidamente e a fondo. Quest’atteggiamento verso la cosiddetta ‘scienza’, tanto
venerata dalle altre scuole di musica, ha salvato i compositori russi dal pericolo di scrivere opere pedanti, di routine: cosa
ch’essi non hanno mai fatto. Questa è una delle maggiori differenze fra la nostra scuola e quelle europee che l’hanno
preceduta.
Un altro importante tratto distintivo della nostra scuola è la costante ricerca del carattere nazionale. Esso risale a Glinka,
ed è proseguito ininterrottamente fino ai nostri giorni. In nessun’altra scuola europea di composizione è riscontrabile un
simile impegno: le condizioni storiche e culturali degli altri popoli sono tali che il canto popolare — l’espressione semplice
e spontanea della musicalità del popolo — è ormai da lungo tempo nulla meno che scomparso in quasi tutti i paesi civili.
Nel XIX secolo chi mai conosce, o anche solo ascolta canzoni popolari tedesche, italiane o inglesi? Canzoni di tal genere
certo ce n’erano ed erano largamente diffuse, ma furono abbattute dalla falce livellatrice della cultura europea, così
nemica di tutte le arti e i costumi popolari; tanto che oggi ci vogliono gli sforzi degli archeologi musicali e dei viaggiatori
curiosi per dissotterrarne qualche frammento negli angoli sperduti di qualche provincia. Nel nostro paese le cose stanno
in modo completamente diverso. Canzoni popolari si ascoltano dovunque anche oggi. Ogni mugik, carpentiere,
muratore, portiere, vetturino; ogni contadina, lavandaia, cuoca, bambinaia, balia: tutti portano con sé i canti popolan dei
loro villaggi a Pietroburgo, a Mosca, in ogni città, e noi ce li sentiamo risuonare attorno tutto l’anno: siamo costantemente
circondati da loro. Ogni lavoratore e ogni lavoratrice in Russia canta sempre mentre lavora, proprio come facevano i loro
antenati migliaia di anni fa. I soldati russi vanno in battaglia con una canzone popolare sulle labbra. Queste canzoni sono
parte di ciascuno di noi; non abbiamo bisogno di archeologi che le disseppelliscano affinché le conosciamo e le amiamo.
In tali condizioni ogni Russo musicalmente dotato è immerso fin dalla nascita in un’atmosfera di musica autenticamente
popolare. Per di più si dà il caso che tutti i più importanti compositori russi — Glinka, Musorgskij, Balakirev, RimskijKorsakov — sono nati non nelle capitali ma in città di provincia o nei possedimenti dei loro padri: gli altri pure hanno
passato gran parte della loro giovinezza nelle pro vince, in stretto e frequente contatto con la canzone e con il canto
popolare. Da questo essi derivarono le loro prime e più profonde impressioni musicali. Che poi ci sia voluto tanto tempo
perché noi producessimmo una musica d’arte autenticamente nostra, questo è un fatto dovuto alle sfavorevoli condizioni
della vita russa nel XVIII e nel XIX secolo, quando tutto ciò ch’era nazionale veniva gettato nel fango. Nondimeno il
bisogno d’una musica nazionale era così profondo e diffuso, che perfino nel tempo di Caterina la grande — un tempo di
cortigiani e di parrucche incipriate — i nostri compositori l’un dopo l’altro tentarono d’incorporare melodie popolari nelle
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loro povere opere, a lor volta modellate sulle povere opere dell’Europa di quei giorni. Questo è precisamente quel che
Verstovskij fece più tardi. Certo, in tali condizioni il materiale popolare appariva nella sua forma peggiore; e la sua stessa
presenza testimoniava un bisogno che non si riscontrava presso gli altri popoli. Ma non appena i tempi cominciarono a
cambiare, non appena il popolo russo divenne nella vita e nella letteratura il soggetto preferito delle discussioni, non
appena si riaccese l’interesse su quest’argomento, subito apparvero persone geniali che cercarono di creare una musica
nazionale, in quell’idioma che ciascuno sentiva per sé più caro e più congeniale. Indubbiamente i compositori europei
(almeno quelli di più brillante talento) avrebbero seguito lo stesso sentiero che i nostri seguirono, a cominciare da Glinka,
ma tale sentiero non era più praticabile per loro. Prova ne sia l’entusiasmo col quale essi si gettarono sempre sul
materiale folklorico di altri popoli, anche in forma frammentaria. Basterà ricordare, per esempio, i tentativi di Beethoven di
usare temi russi, quelli di Schubert con i temi slovacchi, quelli di Liszt con gli ungheresi. E tuttavia essi non crearono una
musica russa, slovacca, ungherese. Perché la musica non consiste soltanto ditemi. Per essere nazionale, per esprimere
lo spirito e l’anima del popolo, essa dev’essere radicata nella sua vita: e né Beethoven né Schubert né Liszt si calarono
nella vita del popolo. Essi presero semplicemente le belle gemme, le creazioni fresche, risplendenti e sempre nuove che
questo o quell’altro popolo avevano conservato, e le incastonarono nelle montature della musica d’arte europea. Non
s’immersero mai nel mondo dal quale quegli squisiti frammenti provenivano: soltanto s’imbatterono in essi, ci giocarono,
ammirarono la loro bellezza e li misero in mostra illuminati dalla luce del loro stesso talento. La situazione dei
compositori russi era del tutto diversa. Essi non erano ospiti ma ‘a casa’ nel mondo donde le nostre melodie popolari —
in effetti tutte melodie slave — si originavano, ed erano perciò in grado di usarle liberamente, di presentarle nel loro vero
valore, aroma, carattere. Oggi i risultati raggiunti da Glinka sono riconosciuti universalmente. Egli tracciò una nuova via,
creò un’opera nazionale in una forma della quale non c’è traccia altrove in Europa. I suoi successori seguirono le sue
orme, guidati dal suo esempio brillante e dalle sue iniziative.
Insieme col canto popolare russo c’è un altro elemento che distingue la scuola russa di composizione: l’elemento
orientale. In nessuna parte d’Europa esso ha un ruolo così preminente, come nelle opere dei nostri compositori. In
questa o in quell’epoca ogni architetto, scultore, pittore europeo dotato di vero talento, ha provato a riprodurre le forme
singolarissime dell’arte orientale. Finora i soli musicisti sono restati di gran lunga indietro rispetto ai loro colleghi artisti.
Mozart, Beethoven, Weber e alcuni altri che scrissero pezzi ‘alla turca’ fecero il tentativo d’incorporare alcunché di
orientale, ma i loro sforzi dimostrarono soltanto il loro interesse in questa materia, senza raggiungere mai un vero
successo. Félicien David, che visse in oriente, introdusse alcune autentiche melodie orientali nella sua ode sinfonica Le
Désert, ma aveva poco talento e non produsse nulla d’importante. Coi compositori della nuova scuola russa le cose
stavano in tutt’altra maniera. Alcuni di loro visitarono effettivamente l’oriente (sia Glinka che Balakirev passarono qualche
tempo nel Caucaso), ma anche gli altri, nonostante non vi si recassero mai, furono esposti per tutta la vita alle influenze
orientali, che perciò riuscirono a riprodurre con tanta vivacità e chiarezza. Essi condividevano l’interesse che in generale
i Russi dimostrano verso tutto ciò ch’è orientale. Né c’è da sorprendersi di ciò, perché molti caratteri dell’Oriente hanno
sempre fatto parte integrante della vita russa, sì da conferirle quel suo colore così caratteristico e particolare. Lo stesso
Glinka ne era consapevole, quando scriveva nelle sue Memorie: « Indubbiamente il nostro canto russo è figlio del Nord,
ma in qualche modo è stato influenzato dalle popolazioni dell’Est ». Il risultato è che molte delle migliori opere di Glinka e
dei suoi eredi e successori sono piene di orientalismi. Considerare ciò semplicemente un’eccentricità o un capriccio da
parte dei compositori russi (come i nostri critici musicali spesso hanno fatto) è ridicolo e poco lungimirante.
Infine c’è un altro elemento che caratterizza fortemente la scuola musicale russa, ed è la spiccata predilezione per la
musica a programma. Dopo aver vissuto per parecchi mesi a Parigi, Glinka scrisse al suo amico Kukolnik nell’aprile
1845: «Lo studio della musica di Berlioz il gusto del pubblico parigino hanno avuto per me conseguenze di estrema
importanza. Ho deciso di arricchire il mio repertorio con alcuni pezzi da concerto che voglio intitolare Fantaisies
pittoresques. Mi sembra che dovrebbe essere possibile conciliare le esigenze dell’arte con quelle del nostro tempo, e,
traendo vantaggio dal perfezionamento degli strumenti e dell’esecuzione, scrivere pezzi che siano ugualmente
accessibili agli intenditori e al pubblico generale. Voglio cominciare a lavorare in Spagna alle Fantaisies che mi sono
proposto; l’originalità della melodia spagnola mi sarà di grande aiuto». Fu questa l’origine della Jota, della Notte a Madrid
e, un po’ più tardi, della Kamarinskaja.
Questi pezzi sono importanti non solo per il loro intrinseco valore musicale, ma anche perché furono i prototipi della
‘musica a programma’ in Russia. Scrivendoli, Glinka seguiva la tendenza generale del tempo, una tendenza che s’era
già manifestata dapprima in Beethoven, poi in Weber, Berlioz e Mendelssohn, e più tardi in tutti i più importanti nuovi
compositori, come Liszt e Wagner. Certo non tutti costoro l’aggiunsero lo stesso grado di chiarezza nell’esprimere le loro
idee programmatiche. Alcuni le incarnarono in una forma alquanto nebulosa ed embrionale; ma generalmente parlando
l’elemento programmatico presente in tutti loro. Che cosa sono la maggior parte delle ouvertures di Beethoven,
(Leonora, Coriolano, Egmont), certe parti dei suoi ultimi quartetti e tutte le sinfonie (tranne le prime due), se non «musica
a programma»? In taluni casi il soggetto è più discernibile, in altri meno; talvolta il compositore stesso aiuta la nostra
comprensione con un titolo: Sinfonia Eroica, ‘Marcia per la morte d’un eroe’, Sinfonia Pastorale, ‘Allegra riunione di
contadini’. ‘Canzona di ringraziamento in modo lidico offerta alla divinità da un guarito’. In altri casi egli rivelò durante la
conversazione il programma di opere il cui contenuto non era altrove indicato. Per esempio, a proposito del primo tempo
della Quinta Sinfonia, una volta egli osservò: «Così il Fato batte alla porta», e quando gli fu chiesto qual era il soggetto
della sua grande Sonata in fa minore rispose: «Leggete La Tempesta di Shakespeare». In altri casi ancora è la musica
stessa che suggerisce il soggetto facilmente. Così nell’Andante [sic] della Settima Sinfonia è agevolmente riconoscibile
una processione; nel finale sia di questa che dell’Ottava Sinfonia udiamo chiaramente i suoni della guerra. Le ouvertures
di Weber, Mendelssohn e Berlioz sono evidentemente programmatiche. Tutta questa musica è molto, molto lontana dalla
musica ‘assoluta’ dei tempi anteriori. Nelle sue composizioni orchestrali Glinka seguì lo stesso sentiero, non solo a causa
dello « studio della musica di Berlioz» (come scriveva a Kukolnik nel ‘45), e nemmeno perché era quella la tendenza
prevalente del momento, ma prima di tutto per un suo proprio, innato bisogno. «Lo sfrenamento della mia fantasia ha
bisogno d’un testo o difatti concreti. I fatti concreti sono la base della creatività musicale; essi costituiscono, di certo,
l’elemento basilare della ‘musica a programma’». Il contenuto delle tre grandi opere orchestrali di Glinka è chiaramente
‘programmatico’: è facile da seguire, facile da riferire.
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[...] Quel che Glinka incominciò, i suoi successori continuarono. Virtualmente tutta la musica russa è programmatica,
come le note che seguono dimostreranno. Ed è assolutamente chiaro che la propensione per questo tipo di musica è più
forte nel nostro che in qualsiasi altro paese d’Europa. [...]
Vladimir Vasil’evic Stasov (1824-1906)
Liszt, Schumann e Berlioz in Russia
Circa vent’anni dopo le loro visite qui, Liszt, Schumann e Berlioz cominciarono a esercitare un’enorme
influenza sulla scuola russa di musica. I compositori di questa scuola erano eredi e successori di Glinka, e
l’entusiastica stima ch’essi nutrivano per questo musicista di genio eguagliava in loro quella per Beethoven e
per altri compositori delle età precedenti. Al tempo stesso però essi avevano un alto concetto (lei tre grandi
compositori occidentali dei nostri giorni, Schumann, Berlioz e Liszt, perché erano perfettamente consapevoli
non solo delle loro doti straordinarie, ma anche della loro indipendenza di pensiero e della loro audacia
innovativa. Nel suo eccellente articolo su Schumann Liszt scrive che i suoi due principali contributi furono:
primo, ch’egli fece progredire la musica lungo il sentiero aperto da Beethoven, e secondo, ch’egli fissò con
chiarezza la direzione di tale sentiero, prima di lui troppo raramente seguito dai musicisti. Schumann capì
chiaramente ch’era necessario avvicinare fra loro la musica (compresa la strumentale), la poesia e la
letteratura, e lo fece. [...]
Quel che Liszt attribuisce in questo scritto al solo Schumann è ugualmente vero di Berlioz e di lui stesso.
Tutti e tre appartengono a quel gruppo di musicisti che non solo hanno bisogno d’un ‘programma’, ma che
reputano la musica senza programmi del tutto inaccettabile, un ozioso passatempo. Nutriti da quei principi
che resero vivi e vitali i nostri anni Quaranta e Cinquanta, i giovani compositori della nuova scuola musicale
russa, che fecero la loro apparizione verso la fine degli anni Cinquanta, avevano gli stessi bisogni. Essi
reagirono perciò immediatamente a Schumann, a Berlioz e a Liszt quando le loro magnifiche opere, nelle
quali quell’idea si incarnava, cominciarono ad essere eseguite nei nostri concerti. Nel 1855 Schumann era
già uscito di scena, ma un numero considerevole delle sue creazioni più belle non era ancora stato
pubblicato, e perciò non era ancora conosciuto al tempo della sua morte: molte apparvero solo alla fine degli
anni Cinquanta e durante i Sessanta. Parimenti, un numero considerevole delle opere di Berlioz non era
stato pubblicato, era ancora sconosciuto, e cominciava a circolare solo in quegli anni. Alcune non erano
nemmeno state scritte fino alla metà dei Cinquanta o all’inizio dei Sessanta E...]. Quanto a Liszt, tutte le sue
opere più importanti furono scritte o fissate nella loro forma definitiva durante i Cinquanta e i Sessanta.
Tutto ciò si dimostrò di grande valore ed interesse per i nuovi musicisti russi. Essi si gettarono avidamente
nello studio di queste composizioni, che, per quanto apparissero strane alla maggioranza, erano per loro
opere di genio. La nuova scuola s’era educata principalmente con Glinka e Beethoven; ora i suoi adepti
cercavano d’imparare da Schumann, Berlioz e Liszt. Di questi grandi musicisti essi non fecero, però, dei
feticci. Con l’onestà e l’indipendenza che li caratterizzava, essi compresero benissimo che la musica di
Schumann, Berlioz e Liszt conteneva parecchie imperfezioni. Le studiarono, le analizzarono, e le
considerarono delle spiacevoli mende. Per esempio, i giovani musicisti russi si avvidero benissimo che la
simmetria e l’aderenza alla forma rigorosa, che a volte aduggia alcune opere di Schumann, erano
conseguenze d’un’eccessiva educazione classica. S’avvidero pure della totale inettitudine di Schumann
nell’orchestrazione. Erano inoltre perfettamente consapevoli di quel che d’incoerente, vago e pomposo c’era
nello stile di Berlioz, e di pretenzioso, affettato e decorativo in quello di Liszt. Ma le grandi qualità,
predominanti nella musica di questi compositori — l’immaginazione, l’ardore e la profondità del sentimento,
l’impareggiabile poesia e la forza descrittiva —, fecero sì che i nostri giovani compositori passassero sopra a
questi inconvenienti. Probabilmente neanche i più entusiasti compatrioti di Berlioz, Schumann e Liszt
avevano di loro un così alto concetto, come quello che nutrivano i giovani musicisti russi. Dovrebbe essere
anzi rimarcato che, sotto questo profilo, essi erano quasi completamente soli. Molta gente qui era
indifferente oppure ostile verso questi tre stranieri tanto quanto lo erano i loro compatrioti in Francia e in
Germania. A un riconoscimento del loro vero significato si giunse solo con lenta gradualità, e perciò solo
quando essi erano già stati assimilati, carne e sangue, dalla nuova scuola russa. La nostra scuola dovette
dar prova, per questo, d’una bella resistenza. [...]
Modest Mussorgsky (1839-1881)
Lettere a Stasov
[16 e 22 giugno 1872]
Come avete potuto pensare che io non mi renda conto di quanto voi invece riuscite a vedere in me? O slavo,
vedi quant’io abbia errato! E che significa se Musorjanin si fa cantore della madre-Russia? Non è la prima
volta che mi gingillo con la nostra nera terra contadina, ma ora non voglio restare alla superficie, voglio
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scendere nell’umido della terra, non limitarmi a conoscere il popolo, ma affratellarmi con lui: ne ho una gran
voglia, proprio così! E allora? E le eresie, a che scopo? E non SO io a che cosa dare un’eco? Non sento
forse dove si nasconde la forza e dove la verità salta agli occhi? L’energia della nera terra contadina verrà
fuori, se s’andrà sino in fondo. Ma è possibile anche grattare la terra nera con gli strumenti d’un mondo che
le è estraneo. E incominciarono già alla fine del XVII secolo, a stuzzicare la madre-Russia con simili
strumenti, tanto che lei non s’accorse subito che la stavano stuzzicando e per questo s’espanse e, come la
terra nera, si mise a respirare. E con tutta cordialità accolse i vari consiglieri effettivi, segreti o di stato che
fossero, ed essi non le diedero il tempo di riaversi e di domandarsi cosa stesse accadendo. Giustiziarono
ribelli e gente che non sapeva nulla: in nome della forza! Eppure l’izba del territorio governativo continua a
vivere tale e quale come quelle fuori del territorio governativo. I tempi però sono cambiati e, effettivamente, i
consiglieri effettivi o di stato che siano impediscono alla terra nera di respirare. «Il passato nel presente»:
ecco ciò che mi prefiggo di raggiungere.
«Siamo andati avanti! » — non è vero! « Siamo sempre lì! ». La carta stampata, i libri sono andati avanti, noi
siamo sempre allo stesso punto. Fino a quando il popolo non si renderà conto con i propri occhi di cosa si fa
di lui e fino a che non dirà lui stesso che cosa vuole che si faccia di lui, saremo sempre allo stesso punto! Si
continuano ad incensare benefattori d’ogni tipo, si sostengono, documenti alla mano, ogni sorta di
glorificazioni, e intanto il popolo geme e per tirare avanti s’ubriaca: siamo sempre lì! [...]
[18 ottobre 1872]
Al preclaro Volodimiro Vasil’evi Stasov
epistola di Musorjanin:
il commercio verbale con gli uomini dotti rende agile il cervello ed affina la parola, così come la lettura dei
Sapienti salva l’anima nostra. E ciò io dico fondandomi su due motivi. Motivo primo è per me il saper
chiaramente che mai, se a ciò non invitato, mi sarei immesso in qualsivoglia interessante e fossanche
minima disputa, non essendo io da tanto. E motivo secondo è il saper io con ancora maggior chiarezza che
se non m’avesse qualcuno o qualcosa indotto a legger in fra le righe dei sapienti, da tempo mi si sarebbe
confusa la mente e sarei diventato simile a bricconi e pellegrini: ovvero un passo avanti e due indietro.
Orbene, mio caro e preclaro mentore, io mi sento beato anche se il cielo ha indossato brache grigio-azzurre
da gendarme. La fonte di cotal beatitudine sta nei libercoli passatimi da Opčinin: questa persona egregia,
invero, non avendo ancor egli stesso terminata la lettura di Darwin, subito a me ne passò i primi fascicoli. Sia
grazia a lui. Leggo Darwin e mi colmo di beata letizia. Non la forza dell’ingegno né la luce in Darwin mi
soggiogano, ché già questi attributi del colosso-Darwin m’eran noti dai suoi precedenti ammaestramenti. Ma
ecco ciò che m’affascina: studiando le origini della gente umana, Darwin sa con quali animali ha a che fare
(e come potrebbe non saperlo!) e per questo egli ti afferra disinvoltamente ed è tanta la forza del genio di
questo colosso che non soltanto non senti offesa al tuo amor proprio per la violenza ch’egli esercita, ma anzi
il leggerlo ti diventa piacevole sino alla delizia. Se una donna forte, ardente ed amata serra fortemente fra le
sue braccia la persona cara, questa, pur sentendo la violenza dell’abbraccio, non se ne vuoi liberare, poiché
tale violenza ti « porta oltre i confini della beatitudine », e per il fatto che in tal violenza si sente l’irrompente
ardore del sangue giovanile. Non mi vergogno del paragone: pur quanto si voglia civettare e far schermaglie
con la verità, resta sempre vero che chi ha provato l’amore, in tutta la sua forza e libertà, ha vissuto e
conserva il ricordo d’aver meravigliosamente vissuto e non getterà ombre sulla passata beatitudine.
Ma voi, mio mentore, avete letto Darwin già lo scorso anno in edizione inglese, ragion per cui mi morsico la
punta della lingua e basta! Quanto però alle cose che mi pare di leggere « fra le righe », in Darwin, di
questo, tuttavia, voglio parlarvi. Il colosso sulla riva dell’isola è tanto colossale che la sua immagine si riflette
non solo in tutti i mari fiumi ed oceani, ma financo sulla luna. Che vi sarebbe di strano, adunque, se la forza
del suo pensiero si riflettesse in un lillipuziano e lo temprasse per sempre, infiggendosi anche nelle sue forse
lillipuziane aspirazioni? Il piccolo David uccise invero il grande Golia!
Ad onta delle ingenue tendenze, di squisita delicatezza, a tratteggiare le nude Veneri, i Cupìdi, i Fauni con
flauti e senza flauti, con foglia da bagno o semplicemente « come li ha fatti la mamma », io sostengo che
l’antipatica (volevo scrivere « antica ») arte dei greci è rozza. Si inducono i lillipuziani a credere che la pittura
italiana classica rappresenta la perfezione e invece, secondo me, essa è mortale, disgustosa come la morte.
In poesia vi sono due colossi: il rozzo Omero ed il sottile Shakespeare. In musica vi sono due colossi: lo
speculativo Beethoven e l’ultra speculativo Berlioz. Se si aggiungono a questi quattro colossi i loro generali
ed aiutanti di campo, si raccoglierà una bella compagnia. E che cosa ha mai fatto questa compagnia di
aiutami maggiori? Hanno fatto salti e danze lungo le vie segnate dai colossi, ma anche sono andati molto
avanti!
«E i nostri?». Giinka e Dargomyžškij, Puškin e Lermontov, Gogol’ e Gogol’ e ancora Gogol’ (non gli si può
mettere accanto nessuno) sono tutti grandi generali che hanno guidato i loro eserciti artistici alla conquista di
buone provincie. Dopo, i loro discendenti si sono impegnati a concimare il terreno non da loro conquistato,
ma questo terreno è talmente fertile che non c’è bisogno di concimi (i contadini piccolo- russi delle terre nere
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lo hanno capito meglio). Darwin mi ha rafforzato in quello che è sempre stato il mio sogno ed a cui m’ero
accostato, sia pure con sciocca timidezza. La raffigurazione artistica della bellezza nel suo significato
materiale è roba da ragazze e si riferisce al periodo infantile dell’arte. Insinuarsi nelle più delicate pieghe
della natura dell’uomo e delle masse umane, sino a conquistare queste ancor poco note piaghe: ecco qua] è
la vera vocazione dell’artista. « Verso nuove sponde! », impavidamente fra la bufera i fulmini e gli scogli
subacquei:
« verso nuove sponde! ». L’uomo è un animale sociale e non può essere altro; nelle masse umane, come
nel singolo, vi son sempre tratti sfumatissimi che ci sfuggono, tratti che nessuno ha ancora colto: rilevarli e
studiarli leggendo, osservando, indovinando in tutte le profondità e nutrire di ciò l’umanità, offrendo quasi un
nuovo cibo salutare, ancora non gustato. Ecco qua] è il nostro compito! Entusiasmo, entusiasmo ora e
sempre!
E tenteremo di far ciò nella nostra Chovanščina, non è vero, mio caro memore?
Musorjanin
[25 dicembre 1876]
Mio caro généralissime,
[...]
Voi sapete che, prima del Boris, io avevo fatto dei quadretti popolari. Mio desiderio attuale è di fare un
pronostico ed ecco qual è questo pronostico: melodia vitale, non classica. Sto lavorando su1 linguaggio
umano, sono giunto alla melodia creata da questo linguaggio, sono giunto alla fusione del recitativo con la
melodia (a parte i movimenti drammatici, bien entendu, quando si può arrivare anche alle interiezioni). Vorrei
chiamarla melodia razionalmente giustificata. Ed è una consolazione per me pensare che improvvisamente,
come se nulla fosse, verrà cantato un pezzo nettamente contro la melodia classica (che va tanto per la
maggiore) e subito questo pezzo verrà compreso da tutti. Se ce la farò, la considererò una conquista nel
campo dell’arte. E bisogna che ce la faccia. Vorrei dare qualche quadro, come saggio. Quantunque, le
premesse già ci sono nella Chovanščina (afflizione di Marfa dinanzi a Dosifej) e nella Fiera.
Vi saluto, généralissime
Il vostro Musorjanin
Ancora due parole. In questo periodo, per ragioni che rimangono a me stesso incomprensibili, ho potuto
comporre secondo la nostra maniera dans les plus hauts rangs e ho conquistato all’arte un buon posto di
combattimento. Sono in buona posizione. Sono stanco, ma ho operato in modo irreversibile. Ne sono
convinto.
Sempre Musorjanin
La Boemia
Antonin Dvorak (1841-1904)
Concerto per violino in la minore op. 53
3. Finale: Allegro giocoso ma non troppo
La Finlandia
Jean Sibelius (1865-1957)
Concerto per violino in re minore op. 47
3. Allegro ma non tanto
La Norvegia
Edvard Grieg (1843-1907)
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Peer Gynt, Suite n. 2 op. 65
4. Canzone di Solveig
L’Inghilterra
Edward Elgar (1857-1934)
Sonata per violino e pianoforte in mi minore, op. 82
2. Romance
L’Italia
Ottorino Respighi (1879-1936)
Le Fontane di Roma
1. La fontana di Valle Giulia all’alba
2. La fontana del Tritone al Mattino
3. La fontana di Trevi al meriggio
4. La fontana di Villa Medici al tramonto
Ottorino Respighi (1879-1936)
I Pini di Roma
Data di composizione, 1923
1. I pini di Villa Borghese
2. Pini presso una catacomba
3. I pini del granicolo
4. I pini di Via Appia
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