48 — l’altra musica Cantacronache N di Gualtiero Bertelli el cinquantenario della nascita di C antacronache – celebrata al MittelFest di Cividale del Friuli con un evento unico che ha riunito tra gli altri Fausto Amodei, Giovanna Marini, Enzo Jannacci e Moni Ovadia (oltre a Dario Fo e Sergio Staino in collegamento video) – Gualtiero Bertelli ci racconta il senso di quell’inedita e fortunata esperienza, che lo coinvolse direttamente. Il 3 dicembre un’altra serata sarà organizzata alla Maison Musique di Rivoli. l’altra musica Penso a Cantacronache e la mia mente si ritrova in una Giovanna Marini Gualtiero Bertelli mattina uggiosa d’un novembre d’altri tempi. Correva l’anno 1963 e un impercettibile gocciolio di umidità scendeva lungo la mia schiena e sulla fisarmonica che avevo in spalla, mentre attraversavo di buona lena il tratto di fondamenta della Giudecca che porta da Campo Marte a San Giacomo, il quartiere attorno alla chiesa del Redentore. Alle undici avevo un appuntamento troppo importante per potermi concedere anche un solo minuto di ritardo, e mentre quasi correvo sentivo e risentivo la voce di Margot cantare «En España, las flores / que nacen en abril…» e soprattutto «España nunca ha muerto / nunca puede morir…» 1 La sera prima in una sala degli specchi di Ca’ Giustinian piena di gente Sergio Liberovici, Margot e Fausto Amodei avevano presentato il libro e il disco I canti della resistenza spagnola che rappresentava l’ultimo lavoro di Cantacronache che da un anno ormai aveva smesso la sua attività. Liberovici, Jona e altri nel 1960 si erano recati in Spagna per raccogliere le testimonianze della lotta clandestina contro Franco e avevano portato in Italia nastri e testi preziosi pubblicati in quel libro2 e quel disco, straordinario epilogo di una grande avventura umana e culturale. A fine serata Luigi Nono mi incrociò e mi disse: «Gualtiero, se vieni domani mattina a casa mia puoi conoscere Sergio e Margot, che sono miei ospiti, e se vuoi puoi fargli sentire le tue canzoni». In realtà di canzoni da far sentire ne avevo una sola, «Alle 14 e 30»; le altre erano roba da ballo da suonare con la mia orchestrina il sabato sera o la domenica pomeriggio alle feste danzanti. Ma tanto bastava: camminavo con il cuore in tumulto quella mattina uggiosa di novembre. È il 1958 quando un gruppo di intellettuali provenienti dal mondo della letteratura, della musica, dello spettacolo si incontrano a Torino con lo scopo di comporre canzoni dai contenuti meno scialbi, banali, estranei al vissuto quotidiano. Nasce Cantacronache che fa oggetto della sua pungente polemica la canzone di consumo ed in particolare il festival di Sanremo. Val la pena di ricordare che il Festival degli anni cinquanta, seguitissimo alla radio e poi alla televisione da milioni di ascoltatori, ammanniva italiche mamme (Alla mamma, Tutte le mamme, Mamma dei sogni), interminabili serenate (Serenata celeste, Serenata ad un angelo, Serenata a nessuno), estasi contemplative e misticheggianti (Angeli neri, Una donna prega, Come Giuda), bucoliche visioni (Chiesetta alpina, Campanaro, Campane al Montenevoso, Borgo antico, Pino solitario) e così via fino al piatto forte costituito da lacrime e disperazione (Cantando con le lacrime agli occhi, Ti scrivo e piango, Addio sogni di gloria). L’anno successivo, quello che vede la nascita ufficiale e l’uscita del primo disco di Cantacronache, vince il festival la sorprendente «Nel blu dipinto di blu» di Domenico Modugno, portando nella sonnolenta sala del Casinò una ventata di quella moderata innovazione che stava serpeggiando tra la canzone proposta fuori dal sacrario sanremese. In ogni caso però la tradizione fu subito ristabilita dalla seconda classificata, la botanica «L’ edera» portata ai fasti del largo pubblico dalle incisioni di Nilla Pizzi e Tonina Torielli. Il primo nucleo di Cantacronache, nato dall’incontro del musicista Sergio Liberovici con Italo Calvino ed Emilio Jona, si ampliò rapidamente raccogliendo quelle che divennero le figure più rappresentative dell’esperienza, Fausto Amodei, Michele Luciano Straniero, Giorgio De Maria, Margot, Franco Fortini, Mario Pogliotti, e realizzando preziose collaborazioni con autori ed interpreti come Edmonda Aldini, Duilio Del Prete, Piero Buttarelli, Umberto Eco e Gianni Rodari. Le prime quindici canzoni furono pronte alla fine del 1957 e furono presentate all’inizio del ‘58 a cantanti e discografici l’altra musica — 49 lo stesso tempo nuova. Le copertine realizzate dai grafici Lucio Cabutti e Lionello Gennero con xilografie o stampe in bianco e nero su fondi colorati hanno un’impronta visiva inequivocabile, austera e riconoscibile, così come tali erano i contenuti e le forme testuali e musicali delle canzoni proposte. Cantacronache dunque non fu solo un gruppo capace di produrre canzoni straordinarie e straordinariamente attuali ancor oggi; raccolse e ripropose per primo canti della tradizione anarchica e socialista, inventò per l’Italia la produzione discografica indipendente, introdusse nelle manifestazioni e nelle feste popolari gli appuntamenti con il canto sociale, ma soprattutto restituì alla canzone il ruolo di testimonianza della realtà e della storia. Il movimento si sciolse nel 1962. In effetti non era mai stata una vera organizzazione; non aveva mai smesso di essere un gruppo di amici che – dopo un certo lavoro in comune – continuarono ad occuparsi, secondo le attitudini personali di ciascuno, di argomenti più o meno attinenti allo spettacolo o alla organizzazione della cultura. A casa di Gigi arrivai con qualche minuto di anticipo. Sergio e Margot però erano già lì e, dopo uno scambio di battu- l’altra musica «amici» per la loro esecuzione e la successiva registrazione, ma esse, ricorda Straniero «furono assolutamente respinte. Ci furono pacche sulla schiena, e qualche sorriso di compatimento e complimento al tempo stesso, ma si levò assolutamente una barriera, cioè proprio l’impossibilità di proporre questo discorso attraverso i canali consueti»3. A questo punto gli autori delle canzoni decisero di divenirne anche gli interpreti e con mezzi di fortuna, nel retrobottega di un negozio di magnetofoni, dischi e altro, incisero, nei primi mesi del 1958, il primo disco per l’etichetta Italia Canta, che prese il nome di Cantacronache Sperimentale contenente quattro canzoni, tra cui quella che identificherà il gruppo nel tempo, «Dove vola l’avvoltoio» parabola contro la guerra ed il riarmo con il testo di Italo Calvino e la musica di Sergio Liberovici. Queste prime canzoni cominciarono ad essere diffuse attraverso serate tenute in luoghi del tutto particolari per un pubblico già selezionato: nei circoli ricreativi o all’Unione Culturale di Torino, nel corteo del Primo Maggio, nelle feste dell’Unità oppure nella casa di qualche amico della «borghesia rossa» (Einaudi, Massimo Mila, Galante Garrone e altri). Le reazioni del pubblico furono decisamente positive, un po’ per ragioni «snobistiche», ma anche perché coinvolgeva direttamente gli intellettuali. Infatti per scrittori di successo come Calvino e Fortini fu una specie di scommessa, poiché scrivere canzoni è altra cosa che scrivere saggi e poesie e misurarsi, «contaminarsi» con questo strumento di larga diffusione sembrava una sfida interessante da sostenere. Inizia così l’importante, anche se non troppo nota, serie dei dischi di Cantacronache, tutti incisi per Italia Canta. Tra il 1958 e il 1959 il gruppo pubblica anche una rivista, con lo stesso nome, che ne raccoglie composizioni ed esperienze. Ne usciranno in tutto tre numeri. Italia Canta è l’etichetta discografica sostenuta dal Partito Comunista di Torino e con questa etichetta vengono pubblicati i sei dischi di Cantacronache e altre incisioni del gruppo4 che contengono tutte le nuove composizioni, canti che raccontano ciò che d’importante avviene al mondo, dalla paura dello scoppio della terza guerra mondiale alla lotta per la pace, dal significato della Resistenza allo scontro con il rigurgito fascista protetto dal governo Tambroni del 1960, fino a storie più quotidiane come quelle relative alle sofisticazioni alimentari o a microstorie di personaggi come Il povero Elia, campione di nullatenente, o La donna nubile, o Il soldato Adeodato, esemplari di un’umanità varia e segnata dalla subalternità a modelli e condizioni di vita imposti dalla società capitalista impegnata in uno dei momenti chiave dello scontro sociale. Non mancano poi canzoni segnatamente politiche, soprattutto ad opera di Fausto Amodei, che dopo aver composto uno degli inni più famosi del secondo dopoguerra, «Per i morti di Reggio Emilia»5, con «Il Tarlo», una metafora che illustra mirabilmente la teoria del plus-valore, inizia una lunga serie di canzoni che lui stesso definirà «didascaliche». La tiratura di ciascun disco è molto bassa, qualche centinaio di copie distribuite durante le serate o nelle feste dell’Unità, oppure tramite circoli culturali o di partito o qualche libreria «di sinistra». La veste grafica dei dischi è estremamente semplice e nel- te generate dall’avidità delle mie domande, uno dei due mi disse «Ce la fai sentire la tua canzone?». Urlai con tutto il mio fiato, strattonando la fisarmonica ancora umidiccia, «Per una radio rubata t’hanno ammazzato, t’hanno ammazzato…» «Bravo, non c’è male… ma ci devi lavorare ancora...». Era uomo di pochi complimenti, Sergio, e di grande sincerità. Ci siamo rivisti molte volte e sempre con grande piacere, penso reciproco. ◼ 1. «In Spagna i fiori che nascono in Aprile…» «La Spagna non è morta e non può morire…» 2. Il libro pubblicato da Einaudi fu successivamente sequestrato e costò ai suoi autori un processo per «offesa a capo di stato straniero», il generalissimo Franco definito in una canzone «cabrón». Dopo cinque anni giunse l’assoluzione. 3. Michele Luciano Straniero in Atti del primo Congresso della Nuova Canzone, op. cit. 4. I dischi di Cantacronache sono stati ristampati in 3 LP della collana Albatros dal titolo Cantacronache 1-2-3 edizioni discografiche Vedette, Milano. Tutto il materiale di Cantacronache, compresi numerosissimi inediti, sarà messo a disposizione del pubblico entro i primi mesi del 2009 dall’editore Nota di Udine, per conto del quale Enrico De Angelis sta curando l’edizione critica. 5. «Per i Morti di Reggio Emilia» di Fausto Amodei, Cantacronache n° 6, canta Fausto Amodei, Italia Canta EP 45/C/0016. 50 — l’altra musica Nuove «Risonanze» al Teatro Fondamenta Nuove C l’altra musica oncentrata nello spazio di poche settimane, pren- drone/noise dalla forma libera e sperimentale, ed è nel 2004 che al duo si unisce la violoncellista e multistrumentista islandese Hildur Gudnadottir. Proprio con lei, musicista che ha conosciuto una grande popolarità grazie alle collaborazioni con i Mum, i Pn Sonic, i Lost In Hildurness, e che ha al proprio attivo anche molti altri progetti, si esibiranno in trio a Venezia. A chiudere la rassegna penserà Mark Stewart, mitico cantante del Pop Group e uno dei nomi più rappresentativi del- de il via a novembre «Risonanze Fall 2008», rassegna di nuove musiche contemporanee che al Teatro Fondamenta Nuove traccerà, nel cuore della città lagunare, un intenso percorso attraverso il jazz più avventuroso, il cantautorato rock, l’elettronica e il punk/funk. Cinque concerti, cinque mondi sonori, cinque differenti modalità di rapportarsi con la contemporaneità, cinque linee di fuga che sottolineano le potenzialità espressive della musica d’oggi. Si parte dunque domenica 9 novembre con l’unica data italiana del quartetto formato dal trombettista Roy Campbell, Roy Campbell, Joe McPhee, William Parker e Warren Smith dal sassofonista Joe McPhee, dal contrabbassista William Parker e dal batterista Warren Smith, che presenteranno un tributo al leggendario Albert Ayler, rinnovando l’energia e l’impatto emozionale del free storico in una chiave di notevole poesia. Quella del sassofonista Albert Ayler, scomparso drammaticamente nelle acque dell’East River newyorkese nel novembre del 1970, è stata una delle espressioni più infuocate e irripetibili del jazz afroamericano, una lezione che a quasi quarant’anni dalla sua scomparsa può trovare oggi un significato di commovente attualità. Il concerto di giovedì 13 novembre sarà invece un inconElliott Sharp e Franck Vigroux tro esclusivo tra jazzisti americani e francesi, durante il quale a dialogare fra loro saranno le chitarre di Elliott Sharp e Franck Vigroux, il contrabbasso di Bruno Chevillon e la batteria di Joey Baron. Il percorso di questi musicisti è segnato da molte affinità musicali, che vanno dal jazz all’elettronica, dalla musica contemporanea al rock, affinità che hanno già permesso loro di incontrarsi in numerose collaborazioni. Per gli appassionati del rock cantautorale sembra invece pensato il concerto solitario di Michael Gira, storico leader degli Swans. Ripercorrendo il repertorio degli ultimi dischi, attraversando le tematiche che da sempre caratterizzaMichael Gira no i suoi testi – l’amore, la perdita, il desiderio, il tradimento – la voce scura e tormentata e la chitarra scarna di Gira si presenteranno al pubblico veneziano il 19 novembre per la prila scena post-punk inglese della fine degli anni settanta, che ma delle due sole date italiane. il 4 dicembre salirà sul palco del Fondamenta Nuove per L’esplorazione elettronica del trio Angel – nel quale ritroviamo veri e propri «miti» della scena digitale europea, cola prima data del suo tour italiano. A Venezia Stewart, l’artista che ha influenzato i Massive Atme Ilpo Väisänen dei Pn Sonic e Dirk tack e che ogni volta ridisegna i conDresselhaus degli Schneider TM – safini del suono, presenterà il nuovo dirà invece la protagonista della serata del Venezia sco Edit e i suoi grandi successi insie27 novembre. È dal lontano 1999 che Teatro Fondamenta Nuove Väisänen e Dresselhaus lavorano a un me agli inseparabili Maffia. (i.p.) ◼ dal 9 novembre al 4 dicembre 2008 l’altra musica — 51 S di Guido Michelone la cifra che la caratterizza è autobiografica, ma il mio sforzo principale è di renderla astratta, universale, e anche diversamente interpretabile. Tuttavia si è arricchita negli ultimi tempi di una vena più ironica che mi ritrovo congeniale, e che trae spunto dai fenomeni di costume che mi circondano, da una frase rubata al bar o dalla pubblicità di un’agenzia immobiliare. E sul fronte della composizione? L’ho sviluppata da autodidatta, è una partita a scacchi fra cervello e orecchio, fra forme conosciute e nuovi aggregati che mi inseguono quando sto per addormentarmi, quando corro in bici e quando sono ferma in qualche coda. Le canzoni si trovano, come i funghi (e le note, per John Cage). Leggi un giornale in treno e lì la trovi, ti guardi alle spalle e ne trovi i divide tra Vicenza e Padova la più importante musicista che il Veneto ha espresso negli ultimi anni, anche se non è difficile incontrarla a Londra o a New York, dove collabora con i maggiori esponenti dell’arte sperimentale. Debora Petrina, dietro l’aspetto di ragazzina impertinente e bellissima, nasconde un animo profondo e una cultura pazzesca in fatto di musica e linguaggi espressivi. La incontriamo qualche tempo prima del concerto in trio al Carambolage di Bolzano, il 10 novembre, e del recital del 14 al Musicus Concentus di Firenze dove, al solo pianoforte, passa dai canti popolari veneziani a destrutturare il rock dei Radiohead. Debora, c’è l’uscita imminente di un tuo nuovo disco? Il disco è pronto, aspetta solo di trovare un’etichetta che lo pubblichi: cosa sempre più difficile in Italia di questi tempi. Un anno fa ho vinto il Premio Ciampi per la canzone d’autore, e ho creduto che mi avrebbe facilitato la vita… Il disco è talmente pronto, che per me è quasi roba vecchia, e sono alle prese con progetti nuovi: praticamente ho quasi pronto un ulteriore album... Ci puoi dire qualcosa riguardo il disco che «sta per uscire»? Si chiama In Doma, contiene brani in italiano, in inglese e spagnolo, con qualche assaggio di francese e di ungherese. I pezzi parlano di pesci, asteroidi, bisbetiche doDebora Petrina mate, sms anonimi, spritz e bikini rosa. Immagina un Elton John che gioca a flipper a un trance-party dove Terry Riley suona piaun’altra. Alcune sono anche velenose, ma non si butta mai via no-bar sulla sua organetta d’infanzia, mentre Ernesto Giniente, sennò ti vengono a trovare tutte le notti e non ti fanno nastera attorciglia lenze alle corde del pianoforte vero per dormire. Sì, la musica arriva come disturbo, o come salvezavvicinarlo alla tana di un’urlatrice nana, quand’ecco soza, e non ti lascia in pace fino a che l’enigma è risolto. Non dipraggiungere William Shakespeare a cavallo di una mucca mentico di essere anche una pianista-pianista. L’anno scorso scortato dai Beach Boys che hanno visto Jimmy Page suoho suonato le Noces di Stravinskij e un concerto giovanile di nare un’arpa celtica e vogliono cimentarsi nell’allevamenBruno Maderna (una prima esecuzione insieme all’altro piato delle rane da passeggio. Gli strumenti che ci senti dennoforte di Giovanni Mancuso, alla Fenice), ma soprattutto tro sono, oltre alla voce (una, bina e anche multipla) e tutuna pianista più trasversale, che si diverte a scomporre e rito ciò che ha tasti (in orizzontale però), il basso acustico comporre. Che è poi quello che mi piace fare ogni tanto. ed elettrico di Alessandro Fedrigo e la batteria di Gianni Sei anche ballerina, attrice, regista, performer… Bertoncini, le chitarre di Elliott Sharp e la fisarmonica di Amy Kohn, l’elettronica di Emir Bijukic e la voce di AscaSono e resto principalmente una musicista, ma la danza, e di conseguenza il teatro, hanno aperto nuove voci, alnio Celestini. E poi la vacca di Shakespeare con una sua la mia voce esterna e a quella interna. E se il mio vocaboamica, calici, scatole del caffè piene di caffè che fortunatalario espressivo si è arricchito, parlo di quello vocale e delmente sono rimaste chiuse, e compressori. le sue modulazioni, lo devo soprattutto alle mie esperienze Al di là del disco la tua attività è sempre molto frenetica. Quali sono i progetti a cui stai lavorando? teatrali. L’ultimo spettacolo in cui ho danzato è un solo diretto da Sara Wiktorovicz, all’OperaEstate Festival di BassaIl principale resta quello attorno alle mie canzoni, alla no del Grappa e al Dansatelier di Rotterdam: si tratta di Botvoce, alla scrittura dei testi e alla composizione. La voce toms Up, in cui canto tra l’altro una canzone del disco regiè per me fonte di scoperta e di sperimentazione continua, strato, «Pool Story». Un altro è una mia creazione, She-Shoe, come coltivare con amore una pianta che dà a sorpresa frutti nuovi e si colora di tinte diverse da stagione a stagioda cui è scaturita poi anche una canzone. She-Shoe è un po’ la mia carta d’identità, sia nelle parole della canzone sia nelne. Non la intendo solamente come «bel canto», melodiala coreografia del pezzo, tutto con una mano in una scarre melodioso, ma ha per me un significato totale, in tutte le pa, e le gambe all’aria. Adesso sto pensando a un altro lavosue forme: voce nella vasca dei pesci, voce dentro la capsuro, un duetto con un musicista elettronico, anzi, un duello. la di un’astronave, voce nell’asilo d’infanzia, o nel manicomio... La scrittura dei testi è una compagna di antica data; E lo costruirò attorno a una canzone, anche questa volta! ◼ l’altra musica Debora Petrina: ritratto in musica Ruzzini Palace Hotel ★★★★ Venezia - Campo Santa Maria Formosa Castello 5866 30122 Venezia (Italy) tel. 041 2410447 fax 041 5230956 www.ruzzinipalace.com e-mail: [email protected] l’altra musica — 53 «Hair», opera-rock in versione italiana Parsons, Solari ed Elisa rivisitano il musical ideato nel ‘68 A di Tommaso Gastaldi ll’inizio c’era il caschetto sbarazzino dei Beatles, l’altra musica poi i capelloni hippie, le chiome barbariche dei musicisti heavy metal, le creste multicolori dei punk, fino alle stupefacenti tecnologie dei trapianti sulla testa di Elton John. La storia della musica rock si potrebbe narrare anche attraverso l’evoluzione delle acconciature, in una sorta di trattato socio-trico-musicale. Quando nel 1968 James Rado, Gerome Ragni e Galt MacDermot idearono Hair, portare i capel- antiamericanismo sbattuti in faccia a un pubblico fino ad allora abituato a ben altri tipi d’intrattenimento. In maniera inversamente proporzionale man mano che le voci dei moralisti inneggiavano contro, la popolarità del musical aumentava, e si spandeva in tutto il mondo portandosi dietro di sé il proprio carico di polemiche. La trama dello spettacolo gira attorno a una tribù, una sorta di comune che ha come scopo il ritorno all’Era dell’Acquario nella quale il mondo riuscirà finalmente a vivere in pace con se stesso; per ora il gruppo inneggia alla disobbedienza civile contro la Guerra in Vietnam, alla libertà sessuale, all’uso legale di droghe. C’è il leader Berger, Woof che procura l’erba a tutti, le belle Sheila e Jeanie e Claude che alla fine partirà suo malgrado per il fronte dopo la scena finale, un be-in in cui vengono bruciate le cartoline di chiamata alla leva e in cui anche il pubblico è invitato a partecipare. Hair è stato il primo spettacolo che ha unito le tecniche tipiche del musical alla prorompenza e l’energia della musica rock (mescolata a una buona dose di funky) li lunghi simboleggiava la contrapposizione a quella società che mandava i giovani a combattere in Vietnam, significava appartenere a quel movimene la cui popolarità è cresciuta oltre che per le argomentazioto che credeva in maniera onesta a quegli ideali di pace e amoni innovative anche per canzoni come «Aquarius» o «Let the re fin troppo banalizzati negli anni successivi. Addirittura Sunshine». In Italia la prima edizione venne messa in scena per arginare il fenomeno dei cappelloni in molti stati vennei primi settanta con una compagnia in cui figuravano tra nero emanate leggi apposite per tentare di imporre un taglio gli altri Loredana Bertè, Teo Teocoli e Renato Zero. Oggi a consono alla morale comune. Ma nulla, alopecia a parte, poquarant’anni da quella prima rappresentazione, Hair ritorteva fermare la diffusione di criniere rivoluzionarie né tantona sulle scene grazie all’unione degli sforzi organizzativi del meno il clamore suscitato da questo musical che divenne ben Teatro Colosseo di Torino, del Politeama Genovese e dello presto voce di una generazione che credeva nella pace, nelSmeraldo di Milano: un cast di attori giovani selezionati dola convivenza, nell’utopia del cambiamento e rappresentava po vari provini tra New York e Milano per una produzione allo stesso tempo lo sdoganamento della controcultura hipin grande stile con le coreografie affidate a David Parsons, la pie al grande pubblico. Nella sua prima edizione gran parte regia a Giampiero Solari e la supervisione musicale a Elisa. degli attori erano veri hippie scelti tra la colorita folla di perIn particolare la cantante di Monfalcone, per quanto anagrasonaggi che popolava la New York dell’epoficamente lontana dal periodo di cui parla lo ca e messi su un palco a interpretare se stessi. spettacolo, è riuscita a riarrangiare gran parPer l’America puritana, conservatrice e perte dei pezzi con sonorità più affini agli orecVenezia benista Hair fu un vero e proprio choc: seschi dei giovani d’oggi. Anche se i capelli caTeatro Toniolo dal 12 al 16 novembre so, droga, scene di nudo antimilitarismo e dono, gli ideali per fortuna rimangono. ◼ 54 — l’altra musica Offlaga Disco Pax, trio «neosensibilista» I di John Vignola l’altra musica l gioco della memoria è alla base dell’arte degli Offlaga Disco Pax, trio di Reggio Emilia (Enrico Fontanelli, Daniel Caretti e Max Collini) che ha dato una scossa alle convenzioni dell’underground con l’ottimo esordio di Socialismo tascabile (prove tecniche di trasmissione), tre anni fa. Album di cui si sono accorti non pochi, evocatore di una miserabile giovinezza che non smette di affascinare la generazione degli ultratrentenni di oggi, oltre le rotte degli amati Massimo Volume nell’intrecciare racconti declamati, in maniera volutamente (?) trasandata, con ronzii e riverberi, scenari sonori che evocano apocalissi dell’anima, più che del corpo. All’inizio dell’anno è uscito Bachelite, secondo disco di un percorso in cui la voce e i testi di Max intrecciano ricordi e riflessioni personali, la cui universalità stupisce prima di tutti proprio il suo autore. canonica. Innanzi tutto, non ne sarei capace. Poi, l’idea è quella di suggestionare, di rendere ciò di cui si parla un piccolo dardo che trafigge il cuore. Non ha senso la perfezione, allora, che renderebbe il tutto troppo asettico. È invece più importante generare pensieri deboli, da consumare assieme. Deboli, in che senso? Nel senso che non hanno un fine preciso. Si racconta della televisione degli anni settanta, di una piazza in cui si spacciava e di una futura rockstar che fatica, prima di diventarlo, a suonare in provincia, fra lo scetticismo generale. Perché? Non c’è una risposta, se non che la suggestione funziona, evoca immagini e suoni, va avanti quasi da sé. Funziona soprattutto dal vivo, se è vero che in poco tempo avete collezionato quasi duecento concerti. Vedere l’effetto che fa, uscire dalla cameretta, per un trio «neosensibilista» come noi era necessario. Dal 2004 a oggi ci siamo trovati a condividere, il fattore più importante per l’esistenza degli Offlaga Disco Pax. Se non lo facessimo, le mie parole non sarebbero mai uscite dalla mia testa, Enrico e Daniel suonerebbero da qualche altra parte. Invece, la voglia di mettere assieme i pezzi e mostrarli agli altri è sta- Offlaga Disco Pax Partiamo dalla scelta di recitare, e non cantare ta più forte di tutto, anche di un nuovo alciò che scrive. C’è stato qualcosa di davvero stratebum, che infatti ci ha messo 35 lunghi meConegliano (Tv) gico, in questo? si per venire fuori. Zion Rock Club Ovviamente nulla. Diciamo che sono Ha però ancora senso, oggi, pubblicare un cd? 13 dicembre, ore 22.00 partito da una urgenza, quella di raccontaOramai i giovanissimi sono abituati a formati re frammenti di me stesso, magari con la presunzione che «virtuali», anche quando non scaricano gratuitamente dalla Rete. potessero interessare anche altri. Il resto è andato avanti da Non lo chieda a me, che incarno il consumatore medio di solo. Le confesso la mia sorpresa quando il primo disco ha vecchio vinile, anche adesso. Credo che il disco rappresensuscitato un interesse che andava al di là del piccolo grupti un’opera completa per chi lo fa, un po’ come il libro per po di amici. Cantare era un po’ troppo, nel senso che quanchi lo scrive, almeno per il momento. Pubblicarlo significa do abbiamo iniziato ci siamo detti «proviamo con qualcodare una testimonianza. Poi, per sopravvivere – ammesso sa di spiazzante». È vero che i Massimo Volume facevano che in un ambito del genere, in ogni caso, ci si riesca – sono qualcosa di simile, ma noi siamo meno interessati alla preimportanti i tour, le trovate estemporanee, et similia. cisione, all’alienazione del suono, anche alla perfezione, se Dove vi porterà il vostro viaggio, nei prossimi mesi? vuole. Per me è più importante srotolare una storia, cattuUn po’ ovunque, in Italia. Siamo popolari, ovverare l’attenzione sulle parole. ro facciamo musica per il popolo (sorride). AndreAnche per questo, immagino, non recita il testo in maniera mo là dove il richiamo sarà più forte (altro sorriso). ◼ l’altra musica — 55 Il live incendiario dei Gallon Drunk li consacra tra le migliori band britanniche. I testi di Johnston, bisbigli arrabbiati e spettrali, avvolti da atmosfere noir e notturne, sono splendidamente cupi, disillusi e decadenti nel loro muoversi fra debordanti deflagrazioni noise a cui fanno imponente eco torridi tappeti musicali e ritmi indiavolati. Il gruppo ben presto comincia una serie di tour che dall’Europa approdano a Stati Uniti e Giappone. Nel ’94, con l’album Dora Suarez – disco ispirato al lavoro letterario di Derek Raymond, autore cult del giallo inglese – i Gallon occhi sulfurei e mefistofelici, un rock-blues diretDrunk si esibiscono al National Film Theatre di Londra. È to, sfrontato e sporco. Sbarcano all’Interzona di Veproprio in quegli anni che Johnston viene contattato da Nirona i Gallon Drunk, una delle formazioni più creack Cave per una collaborazione che proseguirà fino al 2003: tive della storia del rock britannico. eccolo dunque vestire i panni di chitarrista dei Bad Seeds Il gruppo nasce nel 1990 nella Londra del Nord, e subiin occasione del «Lollapalooza Tour» e suonare nel pezto chiari risultano zo «There’s a Lii maestri che funght», canzone di gono da ispirazioCave inserita nelne: Birthday Party, la colonna sonora Suicide, Cramps, di Batman Forever. Tom Waits Gun Al ritorno di James Club… ai quali, dal «Lollapalooza» per altro, i Gallon il lavoro dei GalDrunk non hanno lon Drunk in stunulla da invidiare. dio subisce un lieLa prima formave arresto. Non inzione comprencideranno fino alla de James Johnston fine del 1995, anno (voce, chitarra, orche coinciderà con gano), Mike Delala pubblicazione nian (basso), Max dell’ep The Traitor’s Decharne (batteGate per la loro etiria) e Joe Byfield chetta personale: (maracas), ed è la Gallon Drunk con questo assetRecords. to – che subirà più Nella primavedi una variazione ra del ‘96 inizianel corso degli anno le registrazioni ni, durante i quali del nuovo album, si assisterà anche a In The Long Still Nidipartite e riapparight, interrotte da un zioni della band intour europeo con i glese – che i Gallon Dirty Three e riDrunk iniziano a prese subito dopo. esibirsi nel circuito Nel 1998 il grupdi Londra. Divenpo partecipa alla tati una delle micolonna sonora di gliori proposte liMojo e nel ‘99, doGallon Drunk ve della capitale inpo aver pubblicato glese, il gruppo di un paio di album James Johnston si live, lavora in Greguadagna ben precia alla composisto le attenzioni della critica, che li descrive come «una sinzione di quella realizzata per Black Milk – pellicola del regitesi di elementi disparati, dal soul di Memphis al rockabilsta greco Nicholas Triandafyllidis – racchiusa in un cd dally primigenio». l’omonimo titolo. Inizia così anche l’attività di registrazione, siglata da una Lungi dal voler esser didascalici oltre misura, un breve acserie di sorprendenti singoli, compreso il classico «Some cenno lo dobbiamo ancora a The Rotten Mile del 2007, anno Fool’s Mess», lavoro che ha scalato tutte le classifiche di che vede il ritorno dei Gallon Drunk dopo un silente periodo. musica indipendente. Nel corso della carriera dei Gallon E il loro marchio di fabbrica è quello che ben ricordavamo: Drunk quasi ogni singolo è diventato «singolo della setdiretto e sparato, stridente e tranquillizzante («Down at the timana» nella classifica di riviste quali «NME» o «MeloHarbour» è una splendida ballata notturna d’autore), pulsandy Maker», e la loro trilogia di album – You, te e coinvolgente, nero e distorto («All HanThe Night...And The Music (1992), Tonite, The ds Lost at Sea» il pezzo forse più violento Singles Bar (1992) e From The Heart Of Town del disco), per una produzione attenta e miVerona – Interzona (1993), nominato al Mercury Music Prize – nimale con suoni quasi in presa diretta. (i.p.) ◼ 2 novembre, ore 21.00 A Verona il ritorno della band di James Johnston l’altra musica T